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Autore Discussione: Sergio Bocconi. Pirelli, l’impero della gomma che portò l’Italia nel mondo  (Letto 2414 volte)
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« inserito:: Marzo 23, 2015, 11:08:57 am »

La storia
Pirelli, l’impero della gomma che portò l’Italia nel mondo
In Borsa nel ‘22. Dai cavi agli pneumatici, le tre svolte della Bicocca

Di Sergio Bocconi

Messi a punto gli ultimi dettagli della complessa ingegneria finanziaria dell’operazione, China National chemical corporation diventerà il maggior azionista di Pirelli. Quando più o meno 150 anni fa, il 28 gennaio 1872, è stata costituita la società in accomandita semplice che ha dato vita al gruppo, Giovan Battista Pirelli era gerente unico con una partecipazione inferiore al 10%. E la famiglia fondatrice in un secolo e mezzo non ha mai posseduto più del 15%. Un assetto che allora era comune a molte imprese e che garantiva una giustapposizione fra diritto di voto e capacità manageriale. Più o meno quanto dovrebbero prevedere gli accordi che lascerebbero la gestione a Marco Tronchetti Provera fino al 2021.
Nonostante le assonanze di governance e la possibilità che Pirelli, che sarà probabilmente delistata dopo un secolo di Borsa (la capogruppo entra in Piazza Affari nel 1922), torni in quotazione come una sorta di Ferrari del pneumatico, brand del Made in Italy con vocazione all’alta gamma, prodotti destinati ad auto «premium» e supercar, l’operazione segna una svolta senza precedenti e senza ritorno per il gruppo della Bicocca. Un riassetto «finale» coerente con la nuova geopolitica industriale che non ci vede in posizione di particolare forza sulla grande industria.

Il capitolo cinese, che segue di poco quello che evidentemente ha accusato proprio i colpi della geopolitica e che ha come protagonista il partner russo Rosneft, è comunque l’ultimo di una storia lunghissima e piuttosto travagliata. Inevitabile forse per un gruppo che ha attraversato nella sua attività ben tre secoli, tutti «brevi» anche solo parlando dal punto di vista industriale.

Contrariamente a quanto si potrebbe ricavare dalla fotografia attuale, Pirelli non è nata nel pneumatico perché ha preceduto le automobili. Bensì per i suoi primi trent’anni, quando la sede a Milano era in via Fabio Filzi, è stata un’impresa della gomma intesa anzitutto come cavi, da quelli sottomarini per il telegrafo a quelli per telefonia ed elettricità: ha contribuito quindi alla illuminazione di città come New York o Chicago. Successivamente ha sviluppato il comparto Pro.di, cioè dei prodotti diversificati (dalle mantelline impermeabili agli stivali). Al pneumatico prima per bici poi per auto e camion arriva nei primissimi anni del Novecento.
È un gruppo per certi versi atipico in Italia, sia perché costituisce presto holding all’estero (prima a Bruxelles quindi a Basilea) sia perché con Leopoldo Pirelli, quarto figlio di Alberto e nipote del fondatore, cerca a più riprese l’alleanza internazionale con una integrazione industriale. Dunlop, Firestone, Continental: per tre volte fra il 1970 e il 1991 l’impegno è grandissimo e si va anche vicino al traguardo, ma alla fine i dossier si chiudono senza il risultato auspicato. E con difficoltà finanziarie. Il gruppo nel 1980 ha anche venduto il simbolo, cioè il grattacielo progettato da Giò Ponti. Pensato fin dal 1937, realizzato nel 1960 e fino al 1966 il più alto d’Europa, è l’icona Pirelli per «soli» vent’anni.

Ed è atipica anche la successione. La Camfin dei Tronchetti Provera entra in Pirelli nel 1985 con una quota, circa il 3%, simile a quella della famiglia fondatrice, come quinto-sesto socio. Prosegue gli acquisti e in breve sale a terzo azionista dietro a Mediobanca e Orlando. Nel 1992 Marco Tronchetti Provera diventa il numero uno operativo mentre Leopoldo avvia la ritirata che lo porta fuori dai vertici nel ‘99.
Per il turnaround Tronchetti punta su pneumatici di maggior valore aggiunto e sui cavi, mentre vende subito la parte Pro.di. Fibre, componenti ottiche, brevetti: il gruppo negli Stati Uniti realizza cifre impensabili senza i valori di una gigantesca «bolla» e con la vendita a Corning della società prima destinata al collocamento al Nasdaq incassa una plusvalenza di oltre tre miliardi di dollari (con guadagni anche per la prima linea di manager grazie alle stock option).

Cifra che nove mesi più tardi verrà investita in Telecom: Pirelli nel 2001 acquista da Colaninno & co. il controllo della società di telecomunicazioni. Complessivamente, compreso l’impegno a supporto della fusione con Tim, il gruppo della Bicocca investe 6,5 miliardi e quando, nel 2007, esce dalla (troppo) grande avventura, accusa una perdita complessiva di 3,2 miliardi. Nel frattempo, per far fronte agli impegni troppo gravosi, vende i cavi a valori ormai ampiamente sgonfiati.
Tronchetti Provera ricomincia dunque dal pneumatico. Puntando da un lato sui prodotti ad alto valore aggiunto e dall’altro sui mercati emergenti come Brasile e Cina, mette a segno una sorta di rivincita industriale che porta il gruppo, fra il 2009 e oggi, a moltiplicare il valore di Borsa, passato nel periodo da meno di 2,2 miliardi ai 7,4 di venerdì (certo complice l’Opa negli ultimi giorni).

La struttura finanziaria però lo porta a perseguire riassetti e far leva su nuovi soci. Ma con la famiglia genovese Malacalza il tentativo finisce in contenzioso e con i russi di Rosneft la situazione internazionale, la caduta dei prezzi petroliferi e del rublo giocano a sfavore del consolidamento di una partnership stabile e forte. Ecco dunque il colosso cinese. La geopolitica industriale ha ora nuovi «eroi».

22 marzo 2015 | 14:19
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Da - http://www.corriere.it/economia/15_marzo_22/pirelli-story-79467d2a-d082-11e4-a378-5a688298cb88.shtml
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