DALLA FRANCIA AL VENETO
Charlie, la condanna degli imam
Tra i fedeli qualcuno «giustifica», no delle guide musulmane «Così ci rovinano. Ma la politica non crei clima islamofobico»
VENEZIA Il nervosismo sta nascosto tra le pieghe delle prime parole, pronunciate a bassa voce come un mantra. «Condanniamo in maniera decisa l’attacco», dicono tutti. L’hanno ripetuto ormai decine di volte nelle ultime ore, a chiunque. Sono gli imam e i presidenti delle comunità musulmane del veneto. Poi la tensione trova la strada e sfocia d’un colpo. «Qualsiasi condanna non è sufficiente- dice Mohamed Amin Al Ahdab, presidente della comunità islamica di Venezia, siriano di nascita, italiano di adozione – sono stufo di sentire che ci sono cretini del genere nel nostro mondo. Dovrebbero imparare che fanno del male alla comunità e pure al Profeta. La comunità mondiale deve combattere e prevenire cose di questo tipo, a cosa servono tutti i servizi segreti altrimenti? ».
Su Facebook scrive l’imam del centro islamico di Marghera Hammad Al Mahamed: «L’Europa ha accolto migliaia dei rifugiati musulmani che sono fuggiti dalla guerra offrendo loro sicurezza, alloggio, cura e vita civile. Ci si chiede il perché questi assassini vogliano trasformare la nostra vita in un inferno buio nel nome dell’Islam, la religione della pace e della misericordia». La notizia della strage di Parigi è arrivata anche in Veneto. Lì ci sono i morti, uccisi coi kalashnikov da due attentatori in pieno centro città. Qui sono moltissimi i musulmani che leggono quello che sta accadendo e che sono chiamati a esprimersi, anche ufficialmente. Perché a Parigi le pallottole sono partite all’impazzata all’urlo di «Allah è grande» durante la riunione di redazione del giornale satirico «Charlie Hebdo» che si è spesso occupato anche di Islam. E quindi la religione c’entra, eccome. Sono morti in dodici, compreso il direttore Stéphane Charbonnier.
«Al di la della fede, della nazionalità dell’appartenenza politica, questa è barbarie – dice Kamel Layachi, imam nelle comunità del Triveneto ed ex responsabile nazionale del dialogo interreligioso della Comunità religiosa islamica italiana – è stato fatto un salto di qualità molto grave in questo caso. Qui sono stati uccisi dei giornalisti. È stata colpita la libertà di stampa. Posso non essere d’accordo con la linea editoriale di “Charlie ebdo” ma non è una giustificazione. Tutte le comunità musulmane sono chiamate a condannare questo atto. Il percorso per educare alla cultura della pace è ancora lungo ma siamo noi a doverlo fare per primi». Non tutti i fedeli concordano. Qualcuno si schiera con la rappresaglia, su twitter, su facebook. «Sbagliano – dice Abdallah Kezraji, mediatore culturale e rappresentante delle comunità musulmane di Treviso - c’è un versetto coranico che dice “chi uccide una persona ha ucciso tutta l’umanità”. La condanna non è solo umana, ma anche di fede».
Poi si abbandona allo sconforto. «Vorrei un giorno parlare di bellezza, di cous cous e di deserto, ma continuano a succedere solo episodi così e poi scoppiano i focolai di contro-risposta». Come quello del sindaco di Padova, Massimo Bitonci, che ieri pomeriggio ha detto: «I rappresentanti di tutti i gruppi musulmani della città condannino l’attentato o se ne vadano». «Chiediamo a chi ha responsabilità politica di misurare le proprie parole – dice allora Kamel Layachi – tragedie del genere non possono essere strumentalizzate per creare un clima di islamofobia. Le parole del sindaco gettano benzina sul fuoco». A cambiare sguardo ci hanno provato anche i ragazzi dell’associazione Psm (Partecipazione e spiritualità musulmana) che a Padova sono scesi in strada a volantinare per marcare la differenza tra l’Islam vero e l’integralismo. «Cose così ci rendono più complicata la strada – dice Amin Niam, referente della sezione giovani - vorrà dire che dovremo impegnarci di più, facendo capire chi siamo noi veramente. Lo faremo con un video. Che caricheremo su Facebook. Lo stiamo già preparando».
08 gennaio 2015
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Alice D’Este
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