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Autore Discussione: Maria Teresa Veneziani. L’uomo che crede (davvero) al valore di chi lavora con..  (Letto 1990 volte)
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« inserito:: Gennaio 05, 2015, 04:50:53 pm »

Storie di moda
L’uomo che crede (davvero) al valore di chi lavora con lui
Giuseppe Zanotti: se continuiamo a crescere il merito è dei miei ragazzi

Di Maria Teresa Veneziani

«C’è un brano dei Detroit Emeralds, un gruppo soul americano, che è stato la colonna portante dei miei sogni giovanili. Adesso ve lo faccio sentire: è come il rumore della “manovia”, le fasi di lavorazione alla base della nostra produzione». Giuseppe Zanotti non rinuncia alla goliardia. Trasforma il viaggio nella sua fabbrica di San Mauro Pascoli, in provincia di Cesena, in una commedia con operai e collaboratori che gli fanno da spalla. Nato 57 anni fa proprio qui, non lontano dalla Rimini di Fellini, nella sua terra ha creato la griffe di calzature che in 20 anni è arrivata a fatturare 155 milioni di euro (crescita a due zeri), di cui il 95% realizzati tra Stati Uniti, Cina, Emirati, Russia. Ma a renderlo orgoglioso non sono tanto i numeri, quanto le sue scarpe dal tocco decisamente forte, realizzate interamente nei cinque stabilimenti produttivi dislocati nella sua «Nazione Romagna» con 470 dipendenti (di cui 250 nella fabbrica dove il designer ha il suo studio tutto tappezzato di foto con le celebrity).

«Non facciamo niente fuori: questa è un’azienda creativa. I disegni diventano modelli e poi scarpe. Abbiamo tutti i processi produttivi di un’azienda che faceva scarpe 50 anni fa: ufficio stile, modelleria, giunteria, magazzino pellame, taglio», sottolinea. «Se vogliamo una pelle stampata cocco, con una grafica particolare, la realizziamo. Nelle aziende di creazione industriale, il capitale umano è importantissimo. Come dicono qui, io sono anche un po’ stronzo, vero Cristina?», dice rivolto alla collaboratrice. «Ma ascolto anche. Noi siamo un team. Queste persone riescono a fare un miracolo. Sono disposti a fermarsi un’ora in più per finire una collezione. Se tu fai fare le scarpe fuori, in Marocco o nelle Filippine i tempi tecnici sono dissipati. Può andare bene per prodotti seriali... Noi abbiamo tutto internamente, anche l’avvocato».

Il viaggio comincia dalla piccola manovia, la fabbrica in misura ridotta. Qui i neofiti ruotano continuamente e imparano a fare una scarpa dall’inizio alla fine, così, quando alla produzione principale manca qualcuno, sono subito in grado di sostituirlo. Nel reparto vengono realizzati i prototipi urgenti per le sfilate come quelle di Thierry Mugler e La Perla, «griffe romagnola salvata dal mio amico Silvio Scaglia, ex patron di Fastweb».

Zanotti passa velocemente tra i ragazzi e li presenta alla sua maniera: «Marco Matteoni, 53 anni, è il nostro Briatore… Mirco Montalti da 26 anni lavora in azienda, ne ha 40 è il campione della nostra squadra di calcio. Raies da dove vieni tu? Ah, Tunisia». Molti arrivano dal Nord Africa, «sono bravissimi». Poi indica le due «indigene»: la 25enne Ilaria di San Mauro Pascoli che ha studiato comunicazione e nel tempo libero scrive di musica e Katiuscia di Santarcangelo.

«Il montaggio a mano della scarpa è un lavoro duro di precisione. Ci vuole molta forza fisica ma anche molto occhio e memoria», dice indicando i ragazzi dalla pelle scura al lavoro nel reparto Grande produzione e rifinitura dove la musica dei martelletti che battono si fa più intensa. Di dove siete? Gyube Harry della Nigeria, poi altri arrivano da Marocco, Arabia, Tunisia.

La parte della raspatura e levigatura serve a preparare i fondi, e a rendere le suole perfette. Gabrio, 53 anni, di Bellaria, sta montando un tacco a un sandalo. «È uno dei primi che hanno cominciato a lavorare da noi. Il tacco ha un segreto, devi posizionarlo a destra e a sinistra e poi ruotarlo leggermente verso l’interno per correggere il vizio della postura. Non c’è misura, c’è l’occhio: perché la nostra è una lavorazione assolutamente artigianale». Lo ribadisce il creativo: i ragazzi devono sapere che fare una scarpa è una questione di matematica, la parte creativa è riservato solo all’ufficio stile». Giuseppe Esposito, 37 anni, è direttore di produzione. Lo chiamiamo «il pescatore» perché quello era il suo lavoro a Lampedusa prima di arrivare qui. In 14 anni, da ultima ruota del carro è diventato capo assoluto. Come ha fatto? «Con volontà e grazie a persone che mi hanno dato fiducia». «Ora sono arrivati anche il fratello, la sorella e alcuni amici», prosegue Zanotti.

Nella zona del ritocco con il pennellino è quasi tutto al femminile. «Sono le nostre artiste, Van Gogh, Gauguin...» Nel reparto giunteria e orlatura le ragazze cuciono la tomaia. A capo c’è Nadia Grilli. «Da quanto tempo ci conosciamo?» chiede il capo. «Da 37 anni...», risponde lei. «Lavoravamo insieme in una fabbrica di scarpe per i morti come la chiamavo io, perché erano bruttissime, io facevo il tagliatore. Ero matto da legare, portavo il fornelletto e alle 10, tutte le mattine, mi facevo l’uovo alla coque». Con Riccardo Beleffi collaboriamo da 40 anni. Faceva gli zoccoli per noi nel suo laboratorio, poi è venuto a lavorare qui». L’artigiano annuisce: «La crisi... non pagavano, a parte Giuseppe che ha sempre pagato...».

Zanotti dirige l’ufficio stile alla sua maniera. Negli anni 80, dopo aver imparato la psicologia di vendita nella gelateria di famiglia, comincia a collaborare con piccoli artigiani locali come free lance. «Avevo aperto uno studio e lo avevo chiamato “Sput”, come sputo, perché mi sembrava tutto orrendo». Erano gli anni in cui andava a Parigi attratto dalla moda e dormiva sulle panchine in stazione «perché non avevamo una lira». Ma in quelle incursioni conosce Thierry Mugler e comincia a disegnare le scarpe per le sue sfilate. Negli anni 90 decide di diventare imprenditore e rileva un piccolo calzaturificio. Nel 2000 apre la prima boutique a Milano. Seguono New York, Parigi, Londra, Dubai, Mosca per arrivare alle attuali 100 con cinque show room internazionali. Nel 2014 nell’ottica dello sviluppo internazionale cede il 30 per cento a due società di private equity sponsorizzate dal gruppo Lvmh. Ad oggi la Vicini Spa produce 3.200 paia di scarpe al giorno, 450 mila all’anno.

Le fan del designer romagnolo raccontano di conquiste fatte dopo sguardi assassini ai piedi decorati dai sandali sexy. «La scarpa è diventata sempre più importante. Con un paio di scarpe giuste trasmetti emozione, sensualità, eleganza ma anche provocazione» continua Zanotti. «Prima una donna con una sneaker o un biker da uomo diventava lesbo, oggi il gioco maschile-femminile è il massimo della seduzione».

E proprio le sneaker sono la sfida di Zanotti. Facevamo quelle da donna con gli strass e abbiamo visto che ce le compravamo anche gli uomini nell’ultimo numero, il 42. Da lì la decisione di creare una fabbrica tutta dedicata alle sneaker da uomo, che dopo due anni e mezzo vale il 38 per cento del fatturato dell’azienda. La sera anche il professionista di Piazza Affari ha voglia di sentirsi libero… La nostra scarpa in realtà è una parete bianca su cui disegnare un murales. La collezione asseconda i mercati, quelle in seta con dettagli di metallo fanno impazzire i ragazzi americani; cinesi e coreani adorano quelle con gli strass, i russi le vogliono con dettagli in pelliccia».

Tutta l’area sneaker è quella più sperimentale. «Abbiamo dovuto investire in maestranze e impianti. Perché sono culture differenti rispetto a un sandalo femminile. È come fare la pizza o la cucina molecolare. Abbiamo speso soldi e fatto qualche vacanza in meno ma i risultati arrivano».

«Le idee migliori nascono per caso», assicura il designer imprenditore. «Ero ad Atlanta con mio figlio, ho conosciuto il rapper 2 Chainz, mi è venuta l’idea di fargli due sneaker con due catene. Gliele ho mandate, poi ho fatto il lancio con Sacks ed è stato un successo. Lo stesso con Kanye West. Ora stiamo lavorando con Fedez e con G Dragon, un ragazzo coreano di 18 anni icona della musica asiatica hip hop.

Quante ore lavora Zanotti? «Gira la domanda alle collaboratrici». «Dodici», suggeriscono. «Di notte dormo poco e rispondo alle mail. Faccio anche un mese e mezzo senza fermarmi, ma poi stacco per una settimana sennò penso che morirei. La prima sera posso bere anche due bottiglie di vino, poi dormo un paio di giorni. Quindi comincio a scrivere quello che vorrei fare, il grande segreto è scrivere i progetti: I wanna be. Voglio fare una scarpa, un giubbotto di pelle, un gioiello di metallo, ho fatto un legging da donna fantastico. Noi sappiamo lavorare la pelle».

«Non ho mai fatto scarpe per il fatturato. Mi sono lasciato guidare da quello che mancava o mi piaceva. Adesso i miei nemici, gli amministratori delegati che ho assunto, mi rompono per il budget, mi spingono a fare il fatturato, ma finché siamo indipendenti io difendo il diritto di fare quello che mi piace. C’è la crisi in Russia? Ne abbiamo superate altre. Pazienza, si venderà un po’ meno in certi mercati e un po’ più in altri.. Bisogna saper aspettare. Questo devono capire i manager».

«Quello che annienta le imprese italiane è la burocrazia, peggio delle tasse», osserva l’imprenditore. «Per attivare un telefono a Londra ci vogliono 2 ore qui settimane». Il consiglio di Zanotti per i giovani? «Molti pensano che la moda sia un mondo facile. La moda è un lavoro faticoso, una guerra, che però puoi anche vincere. Ho amici che mandano i figli nelle scuole costosissime e pesano che così sia già uno stilista. Quando arrivano i ragazzi non sanno fare niente. Per imparare devi venire in azienda a sporcarti le mani. «Ci vorrebbe un po’ di elasticità da parte delle istituzioni, anche con gli stage. Io ho assunto un sacco di muratori che hanno perso il posto per la crisi edilizia. Non sapevano fare scarpe. Ma neppure io le sapevo fare. Facevo il gelataio. E non avrei mai imparato se i vecchi che ora sono in pensione non mi avessero insegnato. Romperai la prima scarpa, ma se hai volontà impari. Poi quando il mercato riprenderà, invece di guadagnare 1.200 euro al mese montando scarpe tornerai a fare il muratore per 2000». Positività romagnola, la vera ricchezza da diffondere.

4 gennaio 2015 | 17:29
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Da - http://www.corriere.it/moda/news/15_gennaio_02/uomo-che-crede-davvero-valore-chi-lavora-lui-cb82e388-9295-11e4-aaf8-f7f9176948ef.shtml
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