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Autore Discussione: Gabriele Lavia - È un altro tempo. Il tempo? Quale tempo?  (Letto 2484 volte)
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« inserito:: Gennaio 01, 2015, 04:25:49 pm »

Nel mondo d'oggi ci vuole l'Uomo degli Anfratti
Pubblicato: 29/12/2014 14:21 CET Aggiornato: 29/12/2014 19:25 CET

Ieri sono andato in un piccolo supermercato del mio piccolo quartiere.
È veramente piccolo questo supermercato e di "super" non ha nulla. È soltanto una stanza un po' grande.
C'è un banco che è occupato solo dai detersivi. Quanti sono!
È evidente che la pulizia nella nostra società dev'essere molto importante!
Tutti i clienti si conoscono un po' e scambiano sempre qualche parola. Anche solo un saluto. Anche solo con gli occhi.
Saluti con gli occhi e senza parole.

Mi piace vivere così, come in un paese sopravvissuto all'aggressione della "modernità smemorata" che vive, appunto, nella "dimenticanza di sé". Smarrita da sé.
Si dice che questa sia la "società liquida".
La società delle carte di credito che insegna a non rinviare mai il desiderio. Tutto veloce e subito.
È questa è la società in cui vivo.

Il mio piccolo supermercato è completamente vuoto, data l'ora insolita.
Compro "tre" cose.
La mia spesa sta sempre tutta in una mano sola e non uso mai il carrello. Vado a pagare. Sei euro e trentuno.
Mi piacerebbe conoscere il genio che ha inventato la storia dei centesimi al supermercato. Probabilmente, il genio, ci potrebbe spiegare che con questa trovata si salva l'economia.

Colpo di scena: la cassiera mi dice quanto devo pagare (sei euro e trentuno) in francese.
Mi ero accorto, da diverso tempo, che questa cassiera parlasse con un accento un po' strano. Molto dolce al mio orecchio. Mai avrei pensato che fosse francese.

"Ah... ma...allora... lei è francese?"
"No, sono Belga..."
"Ah... - esclamo-... Che bello!..."
"Di Bruxelles..."
"Davvero? ... E come mai vive qui? ..."

La donna alza gli occhi al cielo, sospira tristemente e vedo in lei la nostalgia. La vera nostalgia.
La stessa che doveva avere lo sguardo di Ulisse.
Poi la donna aggiunge con un sospiro:
"L'amore... Mi ha... come posso dire? ...Fregato!..."
"Beh, a volte l'amore lo fa..." dico sorridendo.
Altro colpo di scena, la cassiera belga si mette a canticchiare:

"È l'amore, un ladroncello, un serpentello è amor.
Ei toglie e dà la pace, come gli piace, ai cor..."

Beh... Così fan tutte cantata dalla cassiera malinconica di Bruxelles... non è magnifico?
La donna smette di cantare e aggiunge:
"Che errore... (piccola, intensa pausa) ... e che orrore!"
Capisco che qualcosa non va nella sua vita...
"Perché... che orrore? Siamo a Roma..."
Dico "Roma" con un po' d'orgoglio.
"Appunto..." dice lei.
"Ah..." sussurro e l'orgoglio è sparito.
"... Là è tutto... come posso dire? ... Pulito... "
Lo dice con grande nostalgia e, alla parola "pulito", guarda pure il banco dei detersivi! Sono proprio tanti!
Un mondo sporco e pieno di detersivi!
Che contraddizione!
Hegel dice: "La verità intima della realtà del reale è la contraddizione."
La mia cassiera nostalgica e hegeliana è un vero fenomeno!
Forse la nostalgia della pulizia (fisica e metafisica) non è un sentimento diffuso qui, da noi.
Qualcuno potrà spiegarci che questo accade per ragioni storiche.
Dicono che la Storia abbia leggi ferree! Sarà vero?

La cassiera triste, gentilmente mi abbuona il centesimo, mi fa pagare solo sei euro e trenta e dice:
"Anche questa storia dei "centesimi" dev'essere una fregatura..."
Sorrido e penso che sia meglio tacere, sennò la facciamo lunga... Dò i dieci euro e lei mi dà il resto con un sorriso... triste e pieno di nostalgia. Mi saluta e dice ancora: "Qui non so più chi sono."
Sorrido. Saluto. Esco dal supermercatino.
Cammino per strada. Mi guardo attorno.
Ecco, carte per terra... cacca di cane... un'altra cacca di cane... Quanto amano i cani nel mio quartiere!
Sono un po' triste e le parole "non so più chi sono" mi girano nella testa.
"Io so davvero chi sono?"

Entro nel mio bar. Mi salutano.
"Buongiorno, maestro! Subito un supercappuccino al supermaestro Gabriele!"
Mi sfottono, lo so.
È una specie di bonaria vendetta popolare perché credono che io sia ricco! È una vendetta affettuosa e mi vogliono bene.
Comunque, al bar, pare che sappiano chi io sia.
Goldoni fa dire a un suo personaggio: "Io son chi sono".
I clienti del mio bar popolare non sono mai andati a teatro in tutta la loro vita ma leggono "tutto" sul giornale e ne sanno più di me delle cronache teatrali.
Leggono solo le critiche! Non vedono gli spettacoli.
Questo dovrebbe dirci qualcosa sui guai della "storiografia"!
Chissà se loro hanno gli stessi problemi di identità della cassiera belga. E miei.

Heidegger dice che ci si accorge delle cose quando "esse vanno in rovina o cominciano a comportarsi in modo strano o ti deludono, ti abbandonano"...
Certo! Può accadere che ci si accorga di amare una donna soltanto quando lei ti ha lasciato.
Che mi sta succedendo?
La mia identità comincia a deludermi? Ad abbandonarmi?
Può essere che la crisi d'identità nasca da un sentimento di incertezza. Incertezza di che?
Dal Medioevo in poi la verità è certitudo.
Adequatio intellectus ad rem.

La certezza è una brutta bestia perché ha bisogno di fondamenti. E i fondamenti devono essere solidi. Ora dicono, che siamo diventati liquidi.
E nella "società Liquida" come si fa ad avere "solidi fondamenti" su cui appoggiarsi per avere la "certitudo"?
Questo mio lodevole desiderio di "certezza" vaga nello spazio indefinito dell' "incertezza" della "società liquida", senza appoggi, dove tutto, dal sesso alla politica, non è più "né carne né pesce."

Shakespeare fa dire a Macbeth: "Essere così è nulla se non lo si è con certezza..."
Però la certezza Macbeth non l'avrà più. L'ha uccisa lui stesso.
E con la certezza " Macbeth ha ucciso il sonno..."
(La mia farmacista mi dice che le pillole per dormire sono richiestissime. Sono tutti agitati! Avranno ucciso il sonno!)

Di mio nonno, mio padre diceva, con orgoglio, che era "un uomo tutto d'un pezzo."
Oggi un uomo tutto d'un pezzo è uno "stronzo".
Oggi bisogna essere morbidi, anzi liquidi, meglio se un po' oleosi, disposti a tutto. Bisogna riempire bene tutti gli spazi, adattarsi a ogni spigolo, corridoio, cunicolo.
Ci vuole l'Uomo degli Anfratti.
Poi, bisogna lasciare aperte tutte le porte, tutte le possibilità e vedere di ficcarcisi dentro.
Il lavoro fisso è finito.
Sopravvive solo nella mente di qualche sindacalista nostalgico ma è destinato a scomparire del tutto.
Tutti saranno come gli attori! Tutti in attesa di una scrittura! Così si capirà quanto gli attori siano poveri!

Però il lavoro è un fondamento di identità.
E allora? Non c'è più!
La pacchia dell'identità è finita.
E la certezza dell'essere? Non c'è più. Ora c'è l'incertezza dell'essere

Una volta c'era il ragionier Rossi. Non Rossi e basta.
L'ingegner Bianchi e non Bianchi e basta
E l'ingegnere aveva più "certezza dell'essere" del ragioniere perché l'ingegnere guadagnava di più.
Il denaro è un grande fondamento di identità.

Nei manifesti teatrali di una volta l'attrice, mettiamo, tizia caia, se era sposata, faceva mettere sul cartellone:
Tizia caia coniugata Sempronio!
Il matrimonio, per una donna, era un fondamento di identità.

E la famiglia? Anche.
Però la famiglia non è come quella di quando ero giovane. E non duecento anni fa.
Ai miei tempi, "tornare a casa" voleva dire un certo sentimento di strana, complice appartenenza, anche di noia, ma era "casa mia", dava una specie di tranquillità di sicura identità. Ma oggi, con la insicurezza del lavoro, è difficile che nasca il desiderio di "metter su famiglia".
E parlo di insicurezza del lavoro normale...
Figuratevi il teatro!
Gli attori sono uomini disperati!
La famiglia è un lusso da ricchi.
E ricchi si nasce o si diventa solo se si è molto "oleosi".

Mi ricordo che alla fine degli anni sessanta e poi negli anni settanta gli "Intellettuali di sinistra... gli intellettuali marxisti" attraversarono un momento di grande splendore, di grande entusiasmo.
Sovente non c'era una grande consapevolezza di che cosa significasse davvero "marxista".
Era come uno strano entusiasmo per una festa gioiosa di uguaglianza e di libertà.
C'era tanto dolore, certo, ma c'era una speranza.
E la speranza è sempre festosa.
C'era il senso di una festa vitale... di una festa sociale... non so come dire...

E poi, il capitalismo era la causa di tutti i mali e c'era il consumismo che uccideva l'umanità dell'uomo.
E poi c'era il gigantismo americano!

Ricordate lo sguardo finale dei due protagonisti de Il Laureato?
Lo sguardo smarrito, incerto, perplesso dei due innamorati che non si parlano.
Dove vanno?...
Oggi avrebbero la mia età... Dove li ha portati quell'autobus?

Pare che il guaio del nostro paese è che non "consumiamo" più. Questo è il Natale peggiore che si ricordi.
Bisogna consumare, così si produce.
Negli anni settanta non l'avevamo capito?
Il consumismo allora era cattivo.
Oggi è diventato buono?

È un altro tempo.
Il tempo? Quale tempo?
Ricordate le parole stupende di Jorge Luis Borges?

"Il tempo è un fiume che mi travolge, io sono quel fiume. Il tempo è una tigre che mi divora, io sono quella tigre. Il tempo è un fuoco che mi brucia, io sono quel fuoco."

Il fatto è che anche il tempo ha bisogno di fondamento.
Sennò è solo un numero sul display di un telefonino.

Da - http://www.huffingtonpost.it/gabriele-lavia/l-uomo-degli-anfratti_b_6385082.html?utm_hp_ref=italy
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