Pietro Salvatori
pietro.salvatori@huffingtonpost.it Alitalia, Massimo Mucchetti (Pd): "Il governo parla di discontinuità, temo siano solo parole"Pubblicato: 14/10/2013 18:56 CEST | Aggiornato: 14/10/2013 21:03 CEST
Il caso Alitalia divide la maggioranza. Sul piano di salvataggio promosso dal tandem Letta-Lupi piovono gli strali di Scelta Civica: “Siamo in presenza di un’incoerente operazione patriottica fatta con i soldi pubblici – spiega Linda Lanzillotta - Ferrovie dello stato aveva messo in campo idee per un risanamento strutturale, è preoccupante che per questo sia stata accantonata”. E, nonostante per Renato Brunetta “la soluzione trovata con Poste sia utile per arrivare a trattare su un vettore europeo non in condizioni di debolezza”, una parte del Pdl è scettica sulla bontà del piano. “Non capisco l’operazione Poste, penso che si sarebbe dovuto dare spazio a chi è più bravo sul mercato – osserva Deborah Bergamini, azzurra in commissione Trasporti alla Camera – Non credo che questo intervento renda l’operazione più potabile per Air France”.
Ma anche nel Partito democratico le perplessità non mancano. “La discesa in campo di Poste è ancora avvolta, e forse non per colpa della società, da una fitta nebbia”, dice Massimo Mucchetti, ex vicedirettore del Corriere della sera, oggi a Palazzo Madama. “Sarebbe stato meglio chiudere senza se e senza ma con la vecchia gestione. Il governo parla di discontinuità, ma c'è la discontinuità reale e quella verbale. Temo siamo alla seconda”.
Era necessario l'intervento del governo per salvare Alitalia? Non si tratta di un aiuto di Stato come denuncia British Airways?
Sul piano formale, British Airways ha torto marcio. La disciplina europea qualifica come aiuto di Stato il versamento di denaro pubblico laddove nessun privato investirebbe. Questo aiuto non è da escludere a priori, ma è sottoposto a una regolazione settore per settore, affinché non se ne abusi. nel caso di Alitalia, l'aumento di capitale dovrebbe essere sottoscritto da azionisti pubblici, le Poste, e da azionisti privati, le banche e i "patrioti" residui. Sul piano politico, la disciplina europea in materia andrebbe rivista in radice per eccesso di discrezionalità. Gli aiuti arcimiliardari alle banche inglesi vanno bene? E qual è l'azionista privato di riferimento, che investe o non investe: un fondo di private equity, un cassettista brianzolo, un fondo avvoltoio, una banca universale, una marchant bank, una finanziaria, un fondo sovrano, un imprenditore? Ciascuno ha un'idea diversa dell'investimento. Ma l'attacco di British Airways non ci deve indurre all'arrocco. L'operazione attuale è legittima, ma Alitalia non è salva. Ha solo rinviato di qualche mese la presa d'atto del fallimento. Per guadagnare questo lasso di tempo, nel quale trattare l'integrazione con un vettore estero, il governo ha promesso 75 milioni da parte di Poste Spa. Se nei prossimi due mesi, si varerà un piano industriale decente e una partnership internazionale, la società per azioni Alitalia potrà dirsi salva. Ma bisognerà vedere quale compagnia il piano industriale in fieri darà all'Italia. Sotto quest'ultimo profilo, temo assai.
L'opzione Poste era la migliore possibile?
Diamo a Massimo Sarmi il tempo di calare le sue briscole sul tavolo. Certo è che la discesa in campo di Poste è ancora avvolta, e forse non per colpa della società, da una fitta nebbia. Quando si parla di aumenti di capitale, non è secondario sapere se esista e quale sia il valore residuo dell'emittente, ossia di Alitalia. Quando si parla di piano industriale, bisogna partire da uno stato patrimoniale e poi avere idee e uomini per le operations. Qual è lo stato patrimoniale di Alitalia da cui muovono il Governo e le Poste? Tante dichiarazioni roboanti, ma tanto silenzio sui numeri.
Il Financial Times dice che per Letta è stato un passo falso, è d'accordo?
Il Financial Times merita una risposta articolata. Chi non ha la pazienza necessaria per leggersela, passi alla domanda successiva. Il quotidiano britannico pone questioni serie, ma lo fa in modo superficiale. Forse è inevitabile quando si guarda un Paese da lontano, e con un po' di sufficienza. Capita anche ai giornalisti italiani quando scrivono di Usa o Uk. Il Financial Times teme una nuova ondata di protezionismo in Italia, e cita tre casi: il take over di Telefonica su Telecom Italia, l'ingresso di Cassa depositi e prestiti in Ansaldo Energia e il salvataggio di Alitalia. Aspetto di leggere una lex column sul debito di Telefonica una volta consolidata Telco e Telecm Italia e sulla sua capacità di investire nei mercati maturi. Siccome i colleghi - li chiamerei ancora così - della lex sanno far di conto, spareranno a palle incatenate contro Alierta. Ma forse lo salveranno dicendo che, per Telefonica, Telecom Italia viene via con soli 850 milioni di spesa ampiamente recuperabii con lo sconto che potranno avere sullo spezzatino di Tim Brasil... Ogni giorno ha la sua pena. Quanto ad Ansaldo, se la Cassa ora aprirà a partner esteri, magari ancora alla stessa coreana Doosan, le cose torneranno a posto. Questo è stato promesso. Il Financial Times ha diritto di non crederci adesso. Ma avrebbe anche il dovere di dare il dovuto riconoscimento se ciò avverrà. Quanto ad Alitalia, il Financial Times avrebbe dato un'informazione più completa se avesse ricordato che quella del 2008 non era un'offerta di Air-France Klm per un'Alitalia fallita, ma un accordo tra due compagnie che si ritenevano entrambe in bonis, promosso dal governo Prodi. Giusta la critica alla decisione di Berlusconi di affossare quell'intesa, ma ora tutto è cambiato. Il Financial Times dovrebbe dire che qui non c'è alcun investimento estero, ma il tentativo legittimissimo di Air France di portarsi a casa Alitalia senza sborsare nulla (ed è giusto perché la società si è mangiata il capitale) e anzi chiedendo di svalutare del 70% i crediti (e anche questo è comprensibile). Dovrebbe anche aggiungere che Air France vuole ridurre Alitalia al mero federaggio su Parigi Charles de Gaulle e Amsterdam Schipol. E concludere che a suo parere un paese disprezzabile come l'Italia questo deve accettare perché di meglio non saprebbe fare. Da italiano mi permetto di dissentire. Temo che su Alitalia i miei ex colleghi inglesi possano aver ragione, ma fino all'ultimo mi impegnerei affinché possano e debbano ricredersi. Quanto alla sincerità del premier Letta nell'aprire il Paese agli investimenti esteri, non la contesterei tanto su queste tre partite quanto sulle chiusure e sulle burocrazie con le quali l'Italia tende a bloccare gli investimenti esteri reali, come le piattaforme per l'estrazione del gas off shore o per costruire rigassificatori. Di questi investimenti, che allargano la base produttiva, l'Italia ha certamente bisogno. Di investimenti virtuali che hanno l'effetto reale di impoverire la base industriale del Paese, nessun Paese serio ha bisogno.
Palazzo Chigi risponde che il suo "non è protezionismo", al contrario. È d'accordo o l'affermazione è discutibile?
Trovo stucchevoli simili querelle, tutte di carta. Andiamo al sodo. La vera questione è se la soluzione che si delinea riesce a dare collegamenti intercontinentali diretti e numerosi all'Italia oppure no.
Davvero l'ingresso di Poste permetterà di negoziare da posizioni di forza con i francesi
Piuttosto di niente, meglio piuttosto. Ma il piuttosto delle Poste temo sia insufficiente alla bisogna. Sarebbe stato meglio chiudere senza se e senza ma con la vecchia gestione. Il governo parla di discontinuità, ma c'è la discontinuità reale e quella verbale. Temo siamo alla seconda.
Bonanni dice che occorre un alleato, ma non può essere Air France, che versa in condizioni non certo rosee. Si deve guardare all'estero seguendo altre strade?
Bonanni dice oggi una cosa giusta, avendone fatta una sbagliata 5 anni fa. Air France andava bene nel 2008 con l'accordo paritario raggiunto dal governo Prodi. Un accordo che la Cisl e poi anche la Cgil osteggiarono aprendo la strada ai patrioti di Berlusconi. Ora Air France non va più bene perché è cambiato il mondo ed è cambiata anche la compagnia franco-olandese. Ma per andare oltre bisogna rimuovere il diritto di veto dei francesi sul quale, se non ricordo male, i sindacati non si sono opposti per tempo. E allora i sindacati dovrebbero forse prendere una posizione di merito, sulla applicazione della legge Marzano ad Alitalia.
Perché secondo lei il governo ha scartato l'ipotesi Ferrovie?
Perché il capo di Fs, Mauro Moretti, ha posto come precondizione l'applicazione della legge Marzano ad Alitalia. L'uomo che ha riportato in nero i conti delle Fs non intende caricarsi 2,4 miliardi di debiti sulle spalle e prendere per buona una società che si è ampiamente bruciata il capitale. Ma questa linea di chiarezza cozza contro l'esigenza di salvare la capra (evitare che l'avventura dei patrioti berlusconiani fallisca in modo formale) e i cavoli (evitare il fiasco totale a Intesa Sanpaolo). Auguri.
Cosa accade se i francesi non partecipano all'aumento di capitale?
Verrebbero a mancare 75 milioni. Li metteranno le banche? Non lo so. Li metterà lo Stato? In queste condizioni, spererei di no.
Non siamo in presenza di un accanimento terapeutico per un'azienda che è da anni in difficoltà sul mercato?
Forse sì. Ripeto. L'accordo del 2008 con Air France Klm era ottimo. L'Italia lo ha affossato. Adesso rischieremmo una minestra riscaldata. Ma da allora altre compagnie internazionali stanno facendo piani di sviluppo. Alitalia in sé non è nulla, ma il Paese dal quale può attingere traffico è ancora qualcosa. D'altra parte, ogni Paese ha i suoi accanimenti terapeutici. Vogliamo parlare degli Usa e della Chrysler fallita tre volte in vent'anni? Eppure, insistendo, può capitare un Marchionne.
da -
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