Politica
31/01/2014
Il vero scandalo di Bankitalia
Urla e insulti contro il decreto, ma qual è il reale problema?
Paolo Baroni
Roma
Furto. Truffa ai danni dei cittadini. Regalo alle banche. Sono le accuse più comuni, le invettive più ascoltate (e urlate) in questi ultimi giorni a proposito del decreto Imu-Bankitalia. Proviamo a ribaltare la questione e, al tempo stesso, spiegare di cosa si tratta?
Il capitale della Banca d’Italia sino a ieri era fermo al valore nominale fissato nel 1936, ovvero 156 mila euro, i vecchi 300 milioni di lire. Una valutazione fuori dal tempo.
Non solo, per effetto delle aggregazioni bancarie degli ultimi vent’anni ormai, le quote che un tempo erano sparpagliate nelle mani delle cento e più casse di risparmio italiane, si sono via via concentrate ed oggi due soli gruppi, Intesa San Paolo e Unicredit controllano oltre il 60% di via Nazionale. Da un azionariato di tipo istituzionale molto frammentato e diffuso ad un duopolio, che anche se non ha alcun potere di influenza sulla banca centrale (per anni si è sollevata la questione del controllato padrone assoluto del controllore, altra polemica inutile e pretestuosa) è certamente eccessivo.
Come tante altre riforme all’italiana, anche dell’azionariato della Banca d’Italia, per anni si è parlato, discusso, forse anche litigato senza combinare mai nulla. Adesso che la struttura del sistema delle banche centrali è cambiato, molte funzioni sono passate alla Bce, e l’integrazione tra le varie autorità nazionali si fa sempre più stringente ci si allinea all’Europa e si cambia. Via Nazionale pesca dalle sue riserve e aumenta il capitale a 7,5 miliardi, come farebbe qualsiasi altra società chiamata ad allineare il proprio valore a quello…di mercato. A favore degli azionisti, certo. E di chi altri? Sono o non sono gli azionisti? O vogliamo immaginare un esproprio proletario? Sulla base di quali valori, quelli di cent’anni fa?
Si dirà, un tempo le casse di risparmio erano pubbliche ora parliamo di banche private. Vero. Ma se non si è provveduto ai tempi delle privatizzazioni, come se ne esce?
Un regalo? Si e no. Perchè sulle quote rivalutate le banche pagheranno le tasse, e nelle casse dello stato entreranno 8-900 milioni. In più gli azionisti avranno tre anni per portare le loro quote sotto il tetto del 3% in maniera tale da comporre un parterre di azionisti più equilibrato.
E non può sfuggire che un’operazione del genere poteva essere avviata solamente avendo presente un valore di mercato dei titoli della nostra banca centrale. Altrimenti sarebbe stata la Babele, il caos che si può vedere andando a spulciare i bilanci delle banche oggi azioniste. Sino ad arrivare al caso limite della Carige, la Cassa di Risparmio di Genova, che per puntellare i propri bilanci è arrivata a valorizzare il suo pacchetto del 3 e rotti per cento all’incirca 800 milioni, valorizzando così l’intera banca qualcosa come 22-23 miliardi di euro!
Allora lo scandalo qual è? E’ la rivalutazione del capitale della Banca d’Italia, con tanto di tasse pagate dagli azionisti, o due banche che da anni hanno i due terzi del capitale e gli artifici contabili, perché così devono essere definiti, di banche come la Carige?
Qualcuno dice, anche la Bce era contraria. Tacendo che le obiezioni erano soprattutto venute dai tedeschi, che notoriamente hanno un sistema bancario più fragile del nostro, e che mostravano una certa insofferenza per il fatto che in questo modo le rivali italiane beneficiassero di una inattesa ripatrimonializzazione. Ma questi son problemi loro, tanto più che i nuovi valori non andranno a incidere sul nuovo round di stress test previsto nei prossimi mesi.
Secondo punto. La parte sull’Imu. Obiezione comune: perché mettere assieme il taglio dell’Imu con Bankitalia? Risposta, ovvia, scontata e populista: per nascondere la truffa con il provvedimento sul taglio delle tasse. Per blindare il primo provvedimento con ricatto sulla decadenza del secondo. Forse, può essere. Ma non escluderei una seconda risposta: che il governo, lo ha già dimostrato altre volte, anche in questo caso ha combinato semplicemente un pasticcio. Aveva un treno in partenza, il decreto per il taglio dell’Imu, e ricordiamoci quanto è stato sofferto e travagliato questo parto, e ci ha attaccato un altro vagone, Bankitalia. Vergogna? Forse, non si dovrebbe procedere così, ed il presidente della Repubblica ha sempre detto di essere contrario a decreti omnibus; si è però fatto tante altre volte senza che nessun deputato arrivasse a dare l’assalto ai banchi del governo.
Io aggiungerei un’altra risposta. Che non ricordo se è stata esplicitata dal governo o da qualcuno della maggioranza ma che rimanda di nuovo al tema “regalo alle banche” e che possiamo raccontare così.
Per tagliare l’Imu, la seconda rata, servivano all’incirca 2,2 miliardi. E non potendo agire su nessun’altra leva, a cominciare dalle tasse pagate dalle famiglie, il governo ha pensato bene di caricare i due terzi di questo sforzo proprio su banche e assicurazioni portando a quasi il 130% l’acconto Ires e Irap versato a fine anno. Ripeto: versato, passato del verbo versare. Cash!
Un bel regalo davvero!
Certo, se si ritiene che le banche italiane siano una conventicola di ladri la punizione si può dire sacrosanta. Hanno tante colpe, ma forse non è il caso di ammazzarle tutte. Dunque, è questa è la verità che sarebbe stato il caso di non sottacere, la contestualità Imu-Bankitalia non serve tanto a nascondere la Grande truffa, quanto a riequilibrare un poco i pesi. E a incassare altre risorse senza strizzare ulteriormente gli italiani.
Allora, qual è lo scandalo-Bankitalia: il nuovo decreto o il pasticcio che abbiamo ereditato dal passato?
Ps. Sempre a proposito di regali, parliamo dei dividendi. Nel decreto si dice che i dividenti non potranno superare il 6%, ai valori dell’ultimo bilancio fanno 450 milioni anziché i 160 deliberati. Un altro regalo? Anche qui rovesciamo il punto di vista: il 6% vale come tetto, assicura un dividendo più alto di quello dell’ultimo bilancio ma mette un tetto a quelli futuri. Con le vecchie regole, teoricamente, la banca avrebbe potuto erogare anche dividendi più alti. Chi ha studiato un poco a fondo questo punto sostiene che le due misure, calcolando sul lungo periodo, di fatto di equivalgono.
Anche il buy back è finito nell’occhio del ciclone, ma buy back per buy back andiamo a vedere quello deciso dell’Eni: si obbliga l’ente a ricomprarsi il proprio capitale, per una cifra considerevole, per poi consentire al Tesoro di dismettere una quota importante: il Tesoro si libera di azioni che, solo per stare agli ultimi dati nel 2012 ha reso il 7,2% per annullare una quota equivalente di debito che è costato in media il 4%. Su questo buy back però non ho sentito molte proteste.
Da -
http://lastampa.it/2014/01/31/italia/politica/il-vero-scandalo-di-bankitalia-7A3dIlI1pUqQQpGWAlpVEP/pagina.html