Intervista
Lella Costa e il femminicidio: 'Il 25 novembre non diventi un altro 8 marzo'
L'attrice è sui palcoscenici italiani nello spettacolo di Serena Dandini 'Ferite a morte'. Qui fa un bilancio di ciò che è stato fatto finora per arginare la violenza sulle donne.
E sui rischi che si corrono se, oltre a denunciare, non si promuove un vero cambiamento di mentalità
di Lara Crinò
Da mesi, sui palcoscenici di tutta Italia, Lella Costa è una delle voci narranti dello spettacolo ideato e scritto da Serena Dandini con Maura Misiti, 'Ferite a morte', sulla violenza contro le donne. Ha letto i monologhi che lo compongono, ispirati alla celebre antologia di Spoon River, pensati inizialmente per un libro e poi diventati teatro, e li ha trovati da subito “perfetti”. Perfetti per come, estrandoli dalla cronaca, distillano la sofferenza e la follia che ogni giorno portano donne diversissime per estrazione sociale, età, esperienza, a morire per mano del loro compagno. Perfetti soprattutto per il tono, perché sono capaci, “nonostante la premessa narrativa, che non può che essere tragica”, di raccontare con un tono che è “a tratti leggero, persino ironico, quotidiano” come la vita di una donna possa finire nella spirale di un inferno domestico, familiare, amoroso. All'indomani della giornata contro la violenza sulle donne, mentre ancora la tournée dello spettacolo (approdato persino negli Usa, alle Nazioni Unite) prosegue in Italia fino a metà dicembre, chiediamo a Costa di fare un bilancio di quel che si è fatto finora, in termini di discorso pubblico, visibilità e consapevolezza collettiva, su questo fronte. E di quanto (tanto) resta ancora da fare.
Lo spettacolo 'Ferite a morte' ha già girato l'Italia da nord a sud. Che tipo di reazioni ha suscitato la sua presenza sul palco e ciò che lei e le altre attrici (Orsetta de' Rossi, Rita Pelusio, Giorgia Cardaci) recitavate?
Le donne si commuovono. Credo che un piccolo pezzo di ciò che queste storie raccontano, ovviamente senza esiti tragici, sia capitato a tutte di viverlo. Soprattutto il fraitendimento fatale tra possesso, passività, violenza e amore. Come mi capita spesso di dire, la violenza sulle donne non è un problema di ordine pubblico, ma di patologia delle relazioni. Per questo, più che sulle leggi, è necessario agire sulla formazione della sensibilità delle istituzioni: forze dell'ordine e assistenti sociali in primis, ma non solo. Il grande cambiamento è modificare la mentalità, diffondere un altro punto di vista. Mostrare, tirare fuori il non detto. Anche dire che l'emancipazione non basta, che le 'rivoluzioni' che abbiamo fatto con la nostra generazione non hanno risolto il problema. Perché, per ogni cosa che conquistano, le donne pagano un prezzo altissimo. Se conquistano un posto nel mondo, se escono di casa, se vanno oltre il ruolo di madri e mogli, non per questo smettono di essere le responsabili assolute dell'accudimento. Che è accudimento pratico, e accudimento della fragilità maschile. Ci sentiamo in dovere di risarcire. E questo, nonostante ci siano molti uomini che singolarmente fanno la loro parte. E' la logica del mondo che è ancora tarata sul maschile.
A proposito di generazioni e rivoluzioni. Spesso si dice che i giovani sono cresciuti nel riflusso. E che le ragazze di oggi si trovano a confrontarsi con un'immagine del femminile stereotipata, appiattita sull'estetica, non valorizzante dei loro talenti. E' d'accordo?
Una cosa è l'immagine mediatica, e lì non c'è dubbio che l'appiattimento ci sia stato, perché quello della televisione è un mondo autoreferenziale, che tra l'altro fa sentire molto solo, molto isolato chi non vi si riconosce. Un'altra cosa è la realtà: ci sono un sacco di ragazzi e ragazze che in quel tipo di immagine non si riconoscono. C'è da sperare che questi 'nativi digitali' imparino a usare le tecnologie anche per questo, per comunicare tra di loro con modalità nuove. E' a loro che tocca sfatare i due grandi equivoci psicologici che sono alla base della violenza contro le donne. Il primo è che i comportamenti violenti abbiano a che fare con l'amore. 'Ti amo da morire' spesso per le donne è una sorta di autodichiarazione di sacrificio e per i maschi una sorta di patente alla violenza. Il secondo, è che per molti lo strupro non è davvero un reato ignobile. Desiderio, amore, capacità di vedere l'altro sono la grammatica delle relazioni che dobbiamo passare alle nuove generazioni.
Del 25 novembre, di questa giornata contro la violenza sulle donne si è parlato molto. Esiste un modo 'sbagliato' di affrontare questo tema?
Credo che il rischio che si corre sia fondamentalmente uno: quello di trasformare il 25 novembre in un altro 8 marzo. In una data di cui nessuno sa che cosa ricorda, e perché. La guardia va tenuta alta, al di là delle celebrazioni.
26 novembre 2013 © Riproduzione riservata
Da -
http://espresso.repubblica.it/attualita/2013/11/26/news/lella-costa-femminicidio-non-trasformiamo-il-25-aprile-in-un-altro-8-marzo-1.142763