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Autore Discussione: Pasticcio kazako: troppi errori e omissioni senza sapere A CHI GIOVA LA COSA.  (Letto 3361 volte)
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« inserito:: Luglio 13, 2013, 10:38:41 am »

L'imbarazzo

«Pasticcio kazako»: troppi errori e omissioni senza colpevoli a livello politico

Sarà difficile spiegare ai nostri partner europei e internazionali cosa sia realmente accaduto

Giuseppe SARCINA

Sarà difficile spiegare ai nostri partner europei e internazionali come sia stato possibile confezionare il «pasticcio kazako».
La nota che è stata diffusa ieri al termine del vertice a Palazzo Chigi in pratica autoassolve il livello politico.

Nessuno dei ministri competenti, compreso il titolare dell'Interno, Angelino Alfano, sarebbe stato messo al corrente delle operazioni che hanno portato all'espulsione di Alma Shalabayeva e della piccola Alua, 6 anni, moglie e figlia del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov. Ne uscirebbero molto male, stando alle ultime ricostruzioni, gli apparati dello Stato, gli alti gradi dei ministeri degli Interni e degli Esteri.
Il problema è che le cancellerie europee e organismi come l'Alto commissario dell'Onu per i rifugiati non fanno troppi distinguo: sono abituati ad attribuire la paternità degli atti giuridico-diplomatici direttamente al potere politico di un Paese. E dunque questo si aspettano sempre anche da uno Stato pienamente democratico come l'Italia.

Le prime reazioni negli ambienti europei sono state di sconcerto, mentre la stampa internazionale, con il quotidiano inglese Financial Times in testa, ha subito accusato l'Italia di aver voluto compiacere il presidente autocrate del Kazakistan, Nursultan Nazarbaev, 73 anni, padrone di un Paese ricco di petrolio. E in effetti, quand'anche si sarà dimostrata la completa estraneità alla vicenda del ministro Alfano, da qui bisogna partire. Nei due giorni in cui è maturato l'ordine di espulsione di Alma Shalabayeva, l'ambasciatore del Kazakistan, Andrian Yelemessov, ha svolto un insolito ruolo di suggeritore, esercitando forti pressioni sulla polizia italiana. Fin troppo facile l'accusa che le organizzazioni umanitarie, parte dell'opinione pubblica europea rinfacceranno al governo italiano. Nazarbaev è un amico personale di Silvio Berlusconi e partner d'affari dell'Eni: ha chiesto un favore e lo ha ottenuto. Certo, il «favore», in realtà è un mandato di cattura spiccato dalle autorità giudiziarie di Kazakistan, Russia e Ucraina riversato nel bollettino delle ricerche Interpol. Nessuno, però, negli organi di polizia incaricati di eseguire la cattura si è posto il problema di approfondire il dossier Ablyazov. Anzi, le informazioni per localizzarlo sono venute dall'ambasciata del Kazakistan, che lo ha definito un pericoloso latitante, scortato da uomini armati.

Ora sarà difficile spiegare perché funzionari collaudati come quelli italiani non abbiano sentito il bisogno di fare una verifica. Non stiamo parlando di chissà quali manovre di intelligence . Sarebbe bastato cliccare il nome Ablyazov su Google per scoprire che il Regno Unito gli aveva concesso asilo politico già nel 2009. Da lì poi, con una semplice telefonata a Londra, gli stessi funzionari avrebbero saputo che la «metropolitan police» già nel gennaio 2011 aveva inviato al dissidente kazako un avviso «di pericolo imminente».
Ma le fonti di imbarazzo non finiscono qui. Rimane da chiarire perché le autorità italiane abbiano deciso di procedere all'espulsione della moglie e della bambina con una velocità che non viene riservata (giustamente) neanche ai boss più pericolosi. In quei giorni di fine maggio gli svarioni, i controlli superficiali si sono susseguiti rimbalzando tra gli uffici della Farnesina e del ministero dell'Interno. La donna fermata era in preda al panico e sicuramente ha alimentato la confusione, mostrando una serie di documenti di varia provenienza. Motivo in più per congedare l'ambasciatore kazako e prendersi tutto il tempo necessario per studiare la vicenda.

I nostri funzionari avrebbero capito che si poteva concedere alla signora Shalabayeva una forma di «protezione sussidiaria», come previsto dalle norme europee. Non solo. La Corte europea dei diritti dell'uomo, sede a Strasburgo, ha vietato la riconsegna al Kazakistan anche di spietati criminali (fosse anche un nuovo Jack lo Squartatore), ma perseguiti per motivi politici. A maggior ragione, dunque, non si capisce chi (e perché) abbia avuto tanta fretta di spedire in quello stesso Paese le due donne. Scelte ed errori gravi che hanno già danneggiato la reputazione internazionale dell'Italia.

13 luglio 2013 | 8:35
© RIPRODUZIONE RISERVATA


da - http://www.corriere.it/cronache/13_luglio_13/caso-dissidente_53d3fe52-eb85-11e2-8187-31118fc65ff2.shtml
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 14, 2013, 11:33:13 pm »

Esteri
14/07/2013

Il regno del petrolio che fa gola a Roma

Dal trattato strategico del 1992, l’Italia è tra i principali partner commerciali ed economici di Astana


Francesco Semprini
New York


Ciò che impressiona osservando Astana sono le rigide geometrie che ne definiscono la toponomastica, sulla quale si erigono le stravaganti architetture di Norman Foster, Kisho Kurokawa e Manfredi Nicoletti. Geometrie imposte dal presidente Nursultan Nazarbaev quando ha trasferito la capitale del Paese dall’antica Almaty in quella che viene definita la cattedrale nel deserto d’inverno. Le stesse su cui il primo e unico capo di Stato dell’ex repubblica sovietica ha improntato la sua politica di sviluppo economico e commerciale, con un nucleo centrale costituito dalla risorse energetiche, uno esterno rappresentato da infrastrutture, tecnologia e know-how, ed una serie di attività che si sviluppano a raggiera. E con una scala di priorità ben definite in termini di partenariato, fatta di rapporti privilegiati «in cui è compresa l’Italia», ci spiega il vice primo ministro Kairat Kelimbetov. 

 

Il Paese ha registrato negli ultimi vent’anni un tasso di crescita medio tra i più dinamici al mondo, circa l’8%, secondo soltanto alla Cina e al Qatar. A rendere attraente il Kazakhstan è la posizione strategica, l’ampiezza del territorio (il nono del Pianeta), e la grande ricchezza del sottosuolo. Occupa il 12 esimo posto al mondo per le riserve di petrolio e il 14 esimo per quelle di gas. Oltre alla stabilità politica, figlia - non pochi osservano - dei labili confini della democrazia locale. 

 

Dal 1992 in poi i rapporti tra Italia e Kazakhstan si sono rafforzati progressivamente in particolare con il Trattato di partenariato strategico firmato in occasione della visita a Roma di Nazarbaev, nel novembre 2009. Del resto è nota la simpatia tra l’allora premier, Silvio Berlusconi, e il presidente kazako, sebbene le relazioni tra i due Paesi siano proseguite sul solco della cooperazione anche dopo, con Monti prima e Letta poi (almeno dai primi contatti), come tiene a sottolineare Kelimbetov in occasione dell’Astana Economic Forum. In base ai dati kazaki, l’Italia è il secondo Paese destinatario dell’export (petrolio in larghissima parte), con una quota del 18% sul suo interscambio totale, seconda solo alla Cina. I dati del ministero degli Esteri la confermano al secondo posto come Paese esportatore in Kazakhstan - dopo la Germania - in ambito Ue, ed il sesto in assoluto, con oltre 900 milioni di euro nel 2012 (oltre il 70% di tutta l’Asia Centrale), ovvero cinque volte rispetto a dieci anni fa. Inoltre l’Unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan, offre all’Italia opportunità per 34 miliardi di euro. Il Paese ha svolto in Kazakhstan, negli anni immediatamente successivi alla sua indipendenza (1990), un ruolo da pioniere, prima di tutto con Eni. Il colosso degli idrocarburi è co-operatore del giacimento in produzione di Karachaganak, e partecipa al consorzio North Caspian Sea Psa per lo sviluppo del giacimento Kashagan. 

 

«Il Kazakhstan è per noi un impegno prioritario di lungo termine, dal punto di vista degli investimenti e della produzione futura - spiega Claudio Descalzi, direttore generale del settore Esplorazioni e Produzione -. Come nostra tradizione, non ci limitiamo a sviluppare e commercializzare le risorse presenti nel Paese ma investiamo in progetti volti a favorire lo sviluppo sociale e industriale locale, iniziative che vanno al di là del nostro core business». 

Dietro all’ Eni in Kazakhstan sono arrivate anche molte e piccole e medie imprese del settore «oil and gas», e in seguito, aziende del settore infrastrutturale o impegnate nelle costruzioni come Salini-Todini, Impregilo, Italcementi, Renco ed altre ancora. Sono 53 le società italiane con sede in Kazakhstan, secondo le stime 2013 dell’Ice, la maggior parte ad Almaty e Astana, oltre a un centinaio di joint-venture italo-kazake. Dal 2007 è attiva anche Unicredit che controlla la quinta banca del Paese. 

 

«Ma non di sola energia e cemento sono fatti i nostri rapporti commerciali», spiega Kelimbetov, il quale annunciava a fine maggio il varo «di una serie di accordi nel settore tecnologico». Alcuni di questi rientrerebbero nel progetto di collaborazione «strategica» tra Milano Expo 2015 e Astana 2017 per lo scambio di know-how italiano. Un ruolo assolutamente privilegiato quindi quello del «made in Italy» consolidato e ampliato, in ultima istanza, con una crescita di esportazioni nei settori abbigliamento, lusso e arredo, funzionali alle rigide geometrie estetiche di Nazarbaev.


da - http://lastampa.it/2013/07/14/esteri/il-regno-del-petrolio-che-fa-gola-a-roma-NjaC8iSMGb9tWtUWttUbqN/pagina.html
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 14, 2013, 11:34:37 pm »


Vertici al Viminale e relazioni sul tavolo ecco perché gli uomini del ministro sapevano

Per un mese e mezzo ignorato il dossier sulla notte del blitz. Davvero il ministro dell'Interno Angelino Alfano nulla ha saputo del destino di Alma Shalabayeva e della figlia Alua se non a cose fatte? È credibile che l'autorità politica sia stata tagliata fuori dai tecnici che maneggiarono la vicenda tra il 28 e il 31 maggio?

di CARLO BONINI


Vertici al Viminale e relazioni sul tavolo ecco perché gli uomini del ministro sapevano Angelino Alfano
Dopo l'inchiesta pubblicata ieri, "Repubblica" è tornata a sollecitare fonti ministeriali, di polizia e legali. E il proscenio dell'affaire si popola di nuove figure e dettagli cruciali, utili a comprendere come, in attesa delle conclusioni dell'indagine interna del Capo della Polizia Alessandro Pansa, il tentativo di trovare un capro espiatorio, di far volare qualche straccio sarà strada tutt'altro che agevole.

IL GABINETTO DI ALFANO SAPEVA
Bisogna tornare al 28 maggio. Sappiamo già che quel giorno l'ambasciatore kazako Andrian Yelemessov e il suo primo consigliere visitano la Questura e il Viminale per sollecitare la cattura di Mukhtar Ablyazov, dissidente che i due diplomatici pittano come spregiudicato malfattore, per giunta legato al terrorismo internazionale. Ma, scopriamo ora, la visita al Viminale non è in un ufficio qualunque. A ricevere i diplomatici è infatti il prefetto Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del Ministro dell'Interno.

L'oggetto della riunione è la cattura di Ablyazov e Procaccini si assicura che alla compagnia si aggreghi anche il prefetto Alessandro Valeri, capo della segreteria del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, l'ufficio al cui vertice siede il capo della Polizia (in quei giorni, Pansa non è ancora insediato). La riunione - per quanto ne riferiscono tre diverse fonti qualificate - non va per le lunghe. Di fatto, Procaccini sollecita Valeri a fare in modo che quanto i kazaki chiedono con insistente petulanza venga fatto. Rapidamente. Che insomma quel Mukhtar venga arrestato se è vero, come dicono i due diplomatici mostrando prove raccolte dall'agenzia di investigazione privata Syra, che, tre giorni prima, l'uomo era certamente a Casal Palocco.

Ora, perché Procaccini riceve i kazaki? Lo fa di sua iniziativa? È stato incaricato dal ministro? Riferisce ad Alfano quale è stata la loro richiesta e l'incarico dato al Dipartimento di pubblica sicurezza di risolverla celermente?
Procaccini non è di aiuto. "La prego di comprendere che la vicenda è oggetto di un'indagine interna - dice - e dunque non posso entrare nel merito". Certo, quella riunione del 28 c'è stata. Certo, non fu una sua iniziativa convocarla. Ma poi?

"IL PREFETTO TACQUE CON IL MINISTRO"
Più loquace è l'entourage di Alfano. Nel confermare quella riunione, il ministro dell'Interno ricorda semplicemente di aver girato al suo capo di gabinetto Procaccini l'incombenza di parlare con i due kazaki dopo che, insistentemente, lo avevano cercato al telefono nel corso della mattinata per ottenere un appuntamento "urgente".

Ma lo stesso Alfano nega di essere mai più tornato sulla questione con Procaccini. Non il 28 sera, non il 29, non il 31. Insomma, liberatosi degli scocciatori, Alfano - se è corretto quanto sostiene - avrebbe semplicemente rimosso la faccenda e Procaccini non gliene avrebbe più parlato (in questo caso, resterebbe da comprendere per quale misteriosa ragione un capo di gabinetto non dovrebbe riferire l'esito di una riunione con due diplomatici che è stato incaricato di ricevere proprio dal ministro). Almeno fino a quando, l'1 giugno o forse la sera stessa del 31 maggio (sul punto, l'entourage del ministro non è in grado di essere esatto), Alfano non riceve una telefonata.

LA TELEFONATA DELLA BONINO
A cercare Alfano è il ministro degli esteri Emma Bonino. È stata contatta dai legali dello studio Vassalli-Olivo, che hanno assistito Alma Shalabayeva, e vuole avere lumi su quello che le è stato prospettato come una grave violazione dei diritti umani. Il ministro dell'Interno - sempre a stare alla ricostruzione proposta dal suo entourage - trasecola. Ascolta la Bonino e le promette di informarsi. A quanto pare, non parla della faccenda con il suo capo di gabinetto Procaccini, non gli sovviene il ricordo dell'insistenza con cui i kazaki lo avevano cercato solo tre giorni prima. Niente di niente, insomma. Più semplicemente, Alfano alza a sua volta il telefono e chiede all'appena insediato capo della polizia Alessandro Pansa di informarsi su quella donna e sua figlia.

IL DIPARTIMENTO PIENAMENTE COINVOLTO
Non è dato sapere quanto tempo impieghi Pansa a venire a capo della questione. Ma deve essere questione di minuti. Al Dipartimento di Pubblica Sicurezza anche i sassi sanno infatti che razza di mobilitazione è costata la richiesta kazaka. Dopo la riunione del 28 con Procaccini e i due diplomatici kazaki, il capo della segreteria del Dipartimento, il prefetto Alessandro Valeri, ha infatti messo rapidamente in moto la macchina che porta al blitz quella stessa notte. Ha chiesto al capo della Criminalpol e vicecapo della Polizia Francesco Cirillo di dare una svegliata all'Interpol (Mukhtar è ricercato con mandato di cattura internazionale) e ha eccitato il capo della squadra mobile di Roma Renato Cortese accreditando i due diplomatici e le loro farlocche informazioni sulla pericolosità del soggetto.

L'ATTENTATO FASULLO
Del resto, a tal punto la Questura di Roma è convinta di dover "evadere" una pratica che sta a gran cuore al Viminale, che, anche quando si tratterà di mettere su un aereo direttamente per Astana Alma e sua figlia, si decide di non contrariare i kazaki. I soliti due diplomatici arrivano infatti a sostenere che la donna non può essere espulsa su un aereo di linea con destinazione Mosca perché lì, all'aeroporto Sheremetevo, un gruppo terroristico legato a tale Poplov, di cui Mukhtar è accusato dal Regime di essere fiancheggiatore, sarebbero pronto a scatenare l'inferno.

LA PRIMA RELAZIONE INTERNA
Il 3 giugno, su richiesta di Pansa, la Questura di Roma e l'Ufficio stranieri inviano al Viminale le prime relazioni di servizio interne su quanto è accaduto. È un pro-forma, perché tutti sanno cosa è successo. Anche chi fa finta di non sapere. E infatti, nulla accade per un mese e mezzo. Fino a venerdì pomeriggio. Quando il governo decide di uscire dall'angolo facendo volare gli stracci. Quando Alfano scopre che quel che per 45 giorni gli era apparso "perfettamente rispettoso delle norme", tale non è più. Che serve qualche testa.

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/07/14/news/vertici_al_viminale_e_relazioni_sul_tavolo_ecco_perch_gli_uomini_del_ministro_sapevano-62946615/?ref=HRER3-1
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