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Autore Discussione: La strana coppia Di Pietro-Speciale  (Letto 2702 volte)
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« inserito:: Settembre 29, 2007, 09:57:26 pm »

POLITICA

LA POLEMICA

La strana coppia Di Pietro-Speciale

di GIUSEPPE D'AVANZO


Dicono che Antonio Di Pietro abbia gran voglia di elezioni. I sondaggi pare che lo premino, unico leader della coalizione di governo, e l'uomo assai avvertito non vuole logorarsi nell'attesa, ma saltare presto sull'onda della protesta "antipolitica". Nel dubbio che possa essere corta e non lunga, come appare oggi. Di Pietro ha preso a muoversi senza impacci, in ogni direzione. Intrattiene affettuosi rapporti con Beppe Grillo (pare che i due si piacciano molto). Concede e incassa aperture di credito da Gianfranco Fini (pare che i due si ammirino). Mena fendenti ad avversari e amici: in verità, più agli amici di governo che agli avversari. Senza vincoli, come se la sua storia politica dovesse cominciare la prossima settimana, circondato e consigliato da uno staff eterogeneo dove fanno capolino il webmaster di Grillo, Gianroberto Casaleggio; il capo di gabinetto di Tremonti, Vincenzo Fortunato, oggi suo capo di gabinetto; vecchie volpi della Prima Repubblica già transitate in imprese con molti guai giudiziari (Impregilo) o nelle segreterie politiche di Cossiga, Mastella, Buttiglione, D'Onofrio come Stefano Pedica, oggi capo della sua segreteria.

Questo si legge, in questi giorni. Ognuno fa quel che gli pare e con chi gli pare. E' nella natura della politica che Di Pietro voglia far cadere un governo che lo mette a disagio con i suoi elettori e con le sue convinzioni. Quel che appare contraddittorio in questa strategia è il "caso" che Di Pietro ha scelto per scuotere il governo, come del tutto incongruo è il "compagno di strada" che si è scelto: Roberto Speciale, già comandante della Guardia di Finanza.

Accade che la procura di Roma chieda l'archiviazione delle accuse contro Vincenzo Visco. Minacce e abuso d'ufficio: avrebbe preteso che Speciale rimuovesse la catena di comando delle Fiamme Gialle di Milano. Il pubblico ministero non rintraccia, nella controversia, alcun "atto illecito" - penalmente rilevante - del viceministro, ma soltanto "un atto illegittimo": affare per la giustizia civile e amministrativa, magari censurabile sul piano politico.

Brandendo come uno spadone questo approssimato esito giudiziario (il giudice non si è ancora pronunciato), Di Pietro chiede pubblicamente che Visco tolga il disturbo, ben sapendo che i giudizi di Visco sono stati e sono condivisi dal ministro dell'Economia. Ottiene che il "caso", già discusso al Senato, venga ancora ridiscusso mercoledì (3 ottobre) con l'incertezza che sempre provoca ogni discussione a Palazzo Madama per i risicatissimi numeri della maggioranza. Si potrebbe pensare alla spregiudicatezza di un ministro che vuole prendere le distanze da un governo in cattive acque, alla disinvoltura di un leader di partito in cerca di "riposizionamento", ma sono argomenti che, rispetto al merito delle questioni, non esauriscono la curiosità di sapere che c'azzecca Di Pietro con Speciale.

Di Pietro non è né un esordiente né un candido. Sa come in quell'essenziale istituzione dello Stato che è la Guardia di Finanza si sono create, ripetute nel tempo, sacche di malaffare e cordate di poteri storti. Come pubblico ministero, egli ha "pizzicato" generali corrotti e ne ha ottenuto la condanna. Come cittadino e politico, ha dovuto pagare il prezzo della vendetta di settori della Guardia di Finanza che gli hanno cucito addosso false accuse: gli costarono anni di lavoro per liberarsene e le dimissioni da ministro. Soltanto a parlare di Guardia di Finanza, Di Pietro avrebbe dovuto diventar prudente. Avrebbe dovuto farsi vigile, avere la voglia di leggersi le carte con attenzione, risvegliare il suo acume percettivo. Da ben scozzonato prosecutor, gli sarebbero subito saltati all'occhio - dell'inchiesta romana - un'inopportunità, un'improprietà e una stravaganza. Gli sarebbe apparso quanto meno sconveniente che il pubblico ministero dell'inchiesta fosse fratello di un ufficiale della Guardia di Finanza, oggi al Sismi.

Angelantonio Racanelli è pubblico ministero di buona reputazione, ma quella parentela ne pregiudica, in questo caso, l'immagine di indipendenza. Ripeto, l'immagine: in fondo, si discute di generali con cui, prima o poi, il fratello dovrà avere a che fare, e si sa che un magistrato non deve solo essere, ma anche apparire indipendente. Ancora. Di Pietro è così navigato che non gli sarebbe sfuggito che la procura conclude in modo molto dubbio. Definisce "atto illegittimo" la presa di posizione di Visco che al massimo può essere detta comportamento e non atto.

Non c'è nessuno "atto" di Visco nell'inchiesta, solo le parole dette. Gli unici atti in questa storia sono di Roberto Speciale che avrebbe dovuto essere, in linea di principio, indagato perché complice dell'abuso (firma l'atto contestato). A meno che - sola via d'uscita dai guai per il generale - non si ipotizzi che Speciale sia stato vittima di un'estorsione, costretto cioè a firmare l'atto con la violenza o l'inganno.

A Di Pietro, a questo punto, non sarebbe sfuggita una bizzarria. Per una coincidenza, a inchiesta aperta (è il 5 luglio 2007), un signore denuncia Visco, appunto, per estorsione. Quel signore è Costantino Belluscio, iscritto alla P2 ("fascicolo 540, attivo"). Ci piace immaginare Di Pietro farsi ora molto guardingo, quasi sospettoso e spulciare tutti gli interrogatori e i documenti e gli allegati dell'inchiesta, a cominciare dalla trascrizione dell'esame di Vincenzo Visco. Le ragioni e gli argomenti del viceministro gli sarebbero apparsi evidenti, plausibili, coerenti. Ritorna al ministero dove fu già ministro delle Finanze con la missione di riportare nelle casse dello Stato parte dei miliardi evasi al fisco (100 mila). Conosce l'energia, le capacità e la dedizione della Guardia di Finanza, ma non si nasconde che esistono aree di inattività e di complicità con i poteri politici, economici e finanziari.

Non gli piace che, in quel momento, più d'un generale appaia legato agli interessi della Juve di Luciano Moggi, società quotata in borsa. Chiede informazioni, vuole saperne di più. Gli viene detto, anche autorevolmente, che a Milano si è creata un'incrostazione che fa capo agli ufficiali che Giulio Tremonti, suo predecessore, ha scelto, indicato e promosso uno per uno con il consenso di Roberto Speciale ("È un intreccio, sempre gli stessi, sempre negli stessi luoghi, sempre a contatto con gli stessi interessi"). Chiede che il comandante vi ponga rimedio sostituendoli, "senza danneggiarne la carriera" e senza indicarne i successori. Se avesse voluto punirli per l'inchiesta Unipol, li avrebbe danneggiati. Se avesse voluto controllare l'indagine, avrebbe scelto fidati "controllori".

Visco si muove come un elefante, è vero. Forse per ingenuità, forse per superbia. Sbaglia a non rendere trasparenti le ragioni delle sue scelte, a non farne una questione pubblica. S'inganna ad affidarsi, in quest'operazione di risanamento, a un gruppo che ritiene più affidabile. Sottovaluta che il gruppo uscente gli avrebbe preparato un "trappolone". Roberto Speciale lo allestisce con sagacia, come è evidente dalla ricostruzione degli avvenimenti. Tace. Dissimula. Finge. Ha gioco facile. Come spesso capita all'onesto, Visco è un gaffeur. Provocato, incalza senza misura. Imbrogliato, s'incazza.

Il generale lo attende al varco. Si procura testimoni (suoi subordinati e collaboratori); prende nota di ogni parola; annota ogni telefonata. Precostituisce le sue accuse. La lettura delle carte potrebbe essere anche univoca per un investigatore sperimentato come Di Pietro, ma una circostanza dovrebbe convincerlo a essere più cauto nel sostenere il generale. Roberto Speciale, dice Visco, voleva conquistarne la benevolenza spifferandogli segreti investigativi: "Una cosa riservatissima, ci sono indagini in corso in Puglia sui finanziamenti elettorali, riguarderebbero anche i Ds"; attenzione, "è imminente una perquisizione nei confronti di un amico di Giovanni Consorte, il presidente dell'Unipol".

Visco sostiene di aver mandato al diavolo il generale e Di Pietro può anche non credergli, ma ce n'è a sufficienza per non prendere posizione con avventatezza a favore di Speciale, per attendere le conclusioni dell'indagine perché è ragionevole credere che il procuratore di Roma dinanzi a questa notizia di reato, tanto autorevolmente santificata (un membro di governo), abbia aperto un'indagine (magari non affidata ad Angelantonio Racanelli) e indagato il militare.

A irrobustire la prudenza di Di Pietro dovrebbe essere l'assoluta coincidenza delle rivelazioni di Visco con un metodo - già affiorato in questi anni e documentato da qualche inchiesta milanese - di alcune burocrazie della sicurezza che, con la collaborazione di un network clandestino di spioni, lavorava in proprio raccogliendo e gestendo informazioni riservate (o false o mezze vere e mezze false) da offrire a power élite, angosciate dalle mosse degli alleati; spaventate da possibili complotti o desiderose di apprestarne qualcuno.

Dinanzi a queste nebbie, a comportamenti ancora tutti da verificare, a responsabilità ancora tutte da chiarire, è incomprensibile che un homme cultivè come Antonio Di Pietro (oggi politico, appena ieri investigatore e procuratore) si precipiti ad abbracciare con entusiasmo il generale Roberto Speciale. L'effetto è quantomeno confuso e imbarazzante. Può sembrare uno scherzo maligno, canzonatorio. Il politico che chiede trasparenza nelle condotte pubbliche sposa il responsabile di comportamenti quantomeno ambigui. Il leader che invoca il rispetto della legalità si accoppia con chi ha mostrato di gradire una legalità a quadro variabile, spesso subordinata alla volontà del potere o al suo autoreferenziale potere. Non si capisce. Che c'azzecca Di Pietro con Speciale?


(29 settembre 2007)
DA REPUBBLICA.IT
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