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Autore Discussione: Giovanni Ariola. "Salvare il salvabile". NEOLOGISMI E ‘MONSTRA’ LINGUISTICI  (Letto 2535 volte)
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« inserito:: Maggio 23, 2013, 05:13:35 pm »

NEOLOGISMI E ‘MONSTRA’ LINGUISTICI

Categoria: Lingua in laboratorio

Data: 27/09/2010

"Salvare il salvabile".

Nei dialoghi del prof. Giovanni Ariola ‘istruzioni per l’uso’ utili a capire tutto ciò che è nuovo ma anche per resistervi.

La volgarità di certe parole.


- Secondo voi, che possiamo fare? – chiede con la sua foga abituale il prof. Piermario ai colleghi che hanno elevato l’ennesima invettiva contro la dissennata e irrazionale corsa al cambiamento ad ogni costo – Ci mettiamo a fermare il tempo? O possiamo pensare di poterne rallentare il corso? Sì, è vero, stiamo assistendo a cambiamenti continui e vorticosi in tutti i settori della vita sociale, politica e culturale tanto che rischiamo di esserne travolti, ma non possiamo illuderci di impedirli o soltanto di uscire dalla corrente…
- Possiamo in qualche modo – osserva deciso il prof. Eligio – offrire una qualche resistenza per salvare il salvabile…

- Io dico – ribatte il prof. Piermario – che dobbiamo riflettere sulle nuove situazioni, valutarle ed essere pronti a prendere decisioni adeguate ma alla svelta, non rimandando sempre a domani e tante volte alle calende greche. Dobbiamo convincerci che è necessario velocizzare i nostri processi di pensiero e di azione…
- “La gatta frettolosa partorì figli ciechi” – lancia il prof. Fantasia con un risolino tra l’ironico e il sapienziale.

- Finiamola una buona volta – esplode con volto acceso il prof. Piermario – con questo sentenziare stereotipato, narcisistico e automasturbatorio…soprattutto scuotiamoci di dosso l’atavico posapianismo….smettiamola con questo ‘sunà cu ’o sibbemoll’ (= suonare in si bemolle, ossia suonare con una intonazione abbassata di un semitono: si intende, utilizzando anche l’assonanza semantica del lemma molle, indicare un muoversi e un agire lento, troppo da comodone) come si dice al mio paese….Aprirsi al nuovo è una necessità…
- Di’ piuttosto – risponde alquanto acrimonioso il prof. Fantasia – alla neomania…all’accettazione indiscriminata di tutto ciò che è nuovo o appare tale, anche se si tratta di una ennesima invasione barbarica…

- Hai detto la parola giusta – ribatte improvvisamente calmo il prof. Incendiario – …una invasione barbarica…ben vengano i nuovi barbari, intesi nell’accezione data a quest’espressione da Alessandro Baricco: “Io quando penso ai barbari penso a gente come Larry Page e Sergey Brin (i due inventori di Google: avevano vent’anni e non avevano mai letto Flaubert) o Steve Jobs (tutto il mondo Apple e la tecnologia touch, tipicamente infantile) o Jimmy Wales (fondatore di Wikipedia, l’enciclopedia on line che ha ufficializzato il primato della velocità sull’esattezza).” (“La Repubblica”, 21/09/’10). Barbari, insomma = innovatori contro gli imbarbariti, “le folle che riempiono i centri commerciali o il pubblico dei reality show ….Da una parte una certa civiltà marcisce, dall’altra una nuova civiltà insorge…” (ibid.)

- Insomma – interviene il prof. Carlo – abbiamo tutti capito che dobbiamo velocizzare le nostre operazioni mentali e raddoppiare anzi decuplicare l’attenzione, la vigilanza…Esaminare il nuovo che avanza e che non si può né si deve fermare, analizzarlo, valutarlo e cernerlo. Distinguere il grano dalla pula. Per riferirci all’ambito linguistico, prendo spunto dal bel neologismo che tu, Piermario, hai usato testé: posapianismo, ricavato dal termine posapiano, registrato normalmente nei dizionari (= “persona eccessivamente flemmatica, lenta nei movimenti e nell’agire”, De Mauro, 2001) con l’aggiunta del suffisso – ismo (Quanta roba e robaccia, storica, letteraria, religiosa e altro, ha indicato questa minuscola appendice linguistica nel corso dei secoli e anche nel presente!). Ecco, ho notato che sempre più frequentemente si indulge alla produzione di neologismi, alcuni pertinenti e corretti, altri dei veri monstra linguistici.

Mi è capitato ad esempio di leggere ultimamente parole come malpancismo (= malessere, fisico e psichico, di chi non approva una situazione, per lo più politica, e reagisce con parole e atti alquanto esagitati come per un mal di pancia), malpancisti, ditomedieggiare (= mostrare il dito medio con le altre dita piegate, gesto volgare e offensivo, comparso per la prima volta nel film “Il Sorpasso” con Vittorio Gassman, rivitalizzato poi da Umberto Bossi. Lo stesso gesto è al centro di vivaci polemiche in questi giorni in seguito alla provocatoria opera dell’artista Maurizio Cattelan che lo raffigura in una scultura collocata da poco in Piazza degli Affari a Milano), celodurismo (= fermezza e durezza di comportamento, parola formatasi dalla frase altrettanto volgare “ce l’ho duro”, adoperata sempre dal Boss(i) della Padania)…

Questi ed altri vocaboli ‘graziosi e leggiadri’, per dirla con il poeta, sono citati nell’interessante saggio di Gian Luigi Beccarla, “Il mare in un imbuto/ Dove va la lingua italiana (Einaudi, 2010) “Anche da noi, – scrive lo studioso – con l’avvento della «seconda Repubblica», ha preso piede il cosiddetto “gentese”, il discorso che si dice di voler chiaro, diretto, esplicito, non ‘difficile’, che deve parlare alla ‘gente’…. Ed è dilagato un linguaggio più popolaresco…ma anche più rozzo e sbracato.” (pag. 81)

- Non si può negare – ammette il prof. Piermario – la volgarità e l’arbitrarietà e il cattivo gusto di certe parole e di certa espressività verbale e gestuale, inquadrabile in un comportamento privato e pubblico di crescente violenza e aggressività, ma penso anche che in tante situazioni sia l’unico modo per scardinare grumi roccificati di vecchiume e di strutture obsolete…

- Ma vi rendete conto – sbotta il prof. Eligio – di quante parole vengono messe da parte e spinte fuori dalla corrente dell’uso quotidiano, sia nel parlato che nello scritto, per far posto a queste parole orribili….Nella scuola poi avviene una vera falcidie di parole, anche di quelle non appartenenti al sermo doctus, nel senso che o non sono proprio conosciute o, quando si incontrano in un testo, invece di prendersi la briga di consultare un dizionario per conoscerne il significato, vengono sistematicamente rimosse e dimenticate. Sentite cosa scrive Luca Serianni:

“In una ricerca recente, mi è capitato di constatare che una quota non trascurabile di alunni del primo anno di un liceo scientifico…ignorava un verbo che avrei considerato acquisito, anche a 14 anni, come biasimare. Ecco alcune definizioni (gli exempla ficta creati dai ragazzi per illustrare la definizione, come avverrebbe in un dizionario, rendono ancora più esilarante – o allarmante – l’incomprensione): «consolare ricordare – es. Lo biasima sempre»; «rispettare – es. Io ti biasimo per quello che hai fatto»; «l’azione dell’essere incerto, insicuro di ciò che si andrà a fare successivamente – es. Dai, Marco, senza biasimare, prova a camminare sulle tue gambe!»; «invidiare, dare ragione a qualcuno – es. Ti biasimo, amico mio!»; «dubitare di qualcosa che non ci è certa – es. Ti conosco da un anno, perciò non biasimo della tua serietà».” (Luca Serianni, “L’ora di italiano/scuola e materie umanistiche”, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010, pgg. 76-77).

- Proprio non ci siamo! – commenta sdegnato ma anche piuttosto sconsolato il prof. Piermario – Quale grande danno può arrecare a quei ragazzi o quale fatto grave e scandaloso costituisce l’ignoranza del significato del termine biasimare o di altri simili, soprattutto se in compenso quegli stessi ragazzi hanno appreso altri vocaboli relativi a settori ed attività di diversa pertinenza ma di uso corrente? (continua)

LA RUBRICA

Autore: prof. Giovanni Ariola

da - http://www.ilmediano.it/aspx/visArticolo.aspx?id=11037
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