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7621  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / LIANA MILELLA Sul nuovo bavaglio è scontro alla Camera, oggi il sì alla legge inserito:: Settembre 23, 2015, 04:15:15 pm
Sul nuovo bavaglio è scontro alla Camera, oggi il sì alla legge
Scomparsa l'udienza filtro, il governo limita ancora l'uso delle intercettazioni. Protesta M5S: no alla delega in bianco

Di LIANA MILELLA
22 settembre 2015

ROMA -  E siamo arrivati alla fine. Almeno del cammino a Montecitorio della riforma delle intercettazioni. Oggi si vota. Il Pd fa muro sulla delega, Ncd pure, sarà a favore Forza Italia perché è la legge che Berlusconi non è riuscito a fare. Decisamente contro i grillini, decisi a spendere oggi l'ora scarsa che resta dal contingentamento dei lavori. Domani ci sarà il voto complessivo sulla riforma del processo penale e lì, in diretta tv, M5S si toglierà qualche soddisfazione mediatica. Ma il "come" e il "che cosa" è al momento top secret.

Un fatto è certo. Non è destinata a placare gli animi l'ultima trovata del Pd per cambiare il testo della delega. Finisce nel cestino la famosa "udienza stralcio" o "udienza filtro" che dir si voglia. Doveva essere il momento in cui le parti - il giudice, gli avvocati - decidevano le intercettazioni effettivamente rilevanti da portare al processo, innanzitutto depositandole. Quindi rendendole pubbliche. Quindi pubblicabili. Ma il Pd, all'improvviso, ci ripensa. Si rende conto, come dice una fonte importante al loro interno, "che l'effetto potrebbe essere controproducente, soprattutto se il processo riguarda non uno, ma decine e decine di imputati".

La preoccupazione è evidente: se l'intero pacchetto delle sbobinature finisce in mano a tante persone, il rischio di veder pubblicate anche quelle che si vorrebbero considerare riservate aumenta a dismisura. Ragiona una fonte governativa: "Mettere l'udienza filtro nella delega significa creare un automatismo. Poi saremo costretti a farci i conti. Invece è preferibile avere più margine di flessibilità".

A questo punto la formula diventa generica. Nel testo si parlerà di una "scansione processuale per selezionare il materiale intercettativo ". La relatrice del ddl, la presidente Pd della commissione Giustizia Donatella Ferranti, la rivendica come "una mia idea", ne parla come di una correzione che evita l'equivoco di un'udienza stralcio che, per esempio prima degli arresti, non si può fare. David Ermini, il responsabile Giustizia del Pd, minimizza: "Il governo si assume la libertà di scegliere se fare o no l'udienza a seconda dello stato del processo". Il vice Guardasigilli Enrico Costa manda giù il boccone, ma è chiaro che lo considera indigesto: "Basta che non si sacrifichi il contraddittorio tra le parti, perché sulle intercettazioni non può scegliere solo il giudice ". Vittorio Ferraresi, capogruppo M5S in commissione Giustizia, taglia corto: "Il governo è libero di agire come vuole, ma per noi resta un bavaglio, contenuto in una legge piena di norme pessime".

Il bavaglio. Già, il vero obiettivo, anche se il Guardasigilli Andrea Orlando promette di dar vita in pochi giorni a una commissione con magistrati e giuristi. Tuttavia la delega è chiara su tre punti. Il primo: "Prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni". Significa che il governo dovrà scrivere una norma per dire ai magistrati di utilizzare il meno possibile le intercettazioni nelle motivazioni degli arresti. Il secondo punto: ci sarà "una precisa scansione processuale per selezionare il materiale intercettativo".

L'obiettivo del governo è ridurre anche il numero degli ascolti depositati per gli avvocati. Il terzo punto: garantire che non escano più le conversazioni degli imputati con gli avvocati e quelle di chi, per caso, viene in contatto con l'imputato. Nella delega non è previsto, ma una legge così dovrà comportare anche multe salate per chi pubblica. Il carcere, quello sì, resta per le registrazioni abusive.
 
© Riproduzione riservata
22 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/09/22/news/sul_nuovo_bavaglio_e_scontro_alla_camera_oggi_il_si_alla_legge-123397855/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_22-09-2015
7622  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Varoufakis duro con Renzi: "Non ti sei liberato di me, ma della democrazia" inserito:: Settembre 23, 2015, 04:13:46 pm
Varoufakis duro con Renzi: "Non ti sei liberato di me, ma della democrazia"
L'ex ministro greco contrattacca alle parole del premier, che aveva detto: "Ci siamo liberati di lui", additandolo come la causa della frattura di Syriza. La replica del greco: "Artefice dell'imboscata vigliacca contro Tsipras". Reazioni anche nel Regno Unito per le critiche di Renzi all'elezione di Corbyn al Labour

Dal nostro inviato ETTORE LIVINI
22 settembre 2015

ATENE - "Caro Matteo Renzi, ho un messaggio per te". Yanis Varoufakis non ci sta. E dopo l’attacco del premier italiano ("Ce semo liberati di lui, chi di scissione ferisce, di elezioni perisce"), risponde sparando ad alzo zero. Ieri sera il primo tweet – "Non ti sei liberato di me ma della democrazia nel momento in cui hai ricattato Alexis Tsipras". Oggi il raddoppio in un cinguettio molto più elaborato in cui accusa Renzi di aver giocato il ruolo del "poliziotto buono" nel pressing che all'alba del 13 luglio ha convinto il presidente del Consiglio greco a cedere alle pressioni della Troika e firmare il memorandum.

"Il messaggio per Mr. Rentzi (l’errore è nel testo originale, ndr) è questo – scrive Varoufakis -: Giocando un ruolo in quella imboscata da vigliacchi contro Tsipras hai perso la tua integrità di democratico europeo. Forse pure l’anima. Per fortuna non si tratta di un processo irreversibile. Ma devi fare delle serie riflessioni e correggerti. Spero di vederti tornare presto tra i ranghi dei democratici". La lunga lettera di Varoufakis descrive tra l’altro il ruolo del premier italiano nella lunga notte di trattative dopo il referendum di Atene che ha portato alla capitolazione del governo ellenico. "Cosa è successo? Tra il 12 e il 13 luglio il mio Primo ministro Alexis Tsipras è stato sottoposto a insopportabili aggressioni, veri e propri ricatti e pressioni disumane dai leader europei, compreso Matteo Renzi che si è rifiutato di discutere le nostre ragionevoli proposte", scrive. Il premier tricolore "ha recitato un ruolo centrale nell’aiutare a piegare Tsipras, con la sua tattica del poliziotto buono basata sulla narrativa del "Se non ti pieghi questi ti distruggono, per piacere digli di sì".

Varoufakis difende pure il suo divorzio da Syriza. "Alexis e io ci siamo separati perché io pensavo che i partner europei stessero bluffano e lui no. E perché io non avrei mai firmato un memorandum che riconsegnava le chiavi della Grecia alla Troika. Non siamo apostati, come ci ha definiti Rentzi, ma compagni che non volevano Syriza diventasse il nuovo Pasok". Il finale, come nello stile dell’uomo, è con il botto: "Mr. Rentzi deve sapere che non si è liberato di me. Sono vivo, anche politicamente, come mi ricorda molta gente anche in Italia quando cammino per le strade del vostro bellissimo Paese". La partita, insomma, continua e visti i protagonisti promette ancora scintille.

Una partita, per altro, che pare destinata ad esser doppiata altrove, precisamente nel Regno Unito. Non sono passate inosservate altre dichiarazioni del premier, che ha commentato la vittoria di Jeremy Corbyn alle primarie del Labour indicandola come una ricetta per la sconfitta alle prossime elezioni. Una posizione - dettata dalla necessità di tenere compatto il Pd e mostrare cosa accade ai dissidenti altrove - che ha suscitato l'attenzione di un quotidiano come il Financial Times. Il foglio della City ha dato grande evidenza alle insolite prese di posizione di un capo di governo straniero rispetto alle vicende casalinghe, per quanto riguardino la grande famiglia della sinistra.

© Riproduzione riservata
22 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/economia/2015/09/22/news/varoufakis_renzi_corbyn_financial_times-123410300/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_22-09-2015
7623  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Eugenio Scalfari, lo zibaldone per un altro futuro inserito:: Settembre 23, 2015, 10:28:30 am
Eugenio Scalfari, lo zibaldone per un altro futuro
 
Esce oggi il nuovo libro del fondatore di "Repubblica". "L'allegria, il pianto, la vita" è una raccolta di riflessioni, ricordi, citazioni e poesie.
Dopo i saggi e i romanzi per la prima volta la scrittura è in forma di diario per registrare non gli eventi, "ma i mutamenti interiori generati dalla realtà"

Di SIMONETTA FIORI
22 settembre 2015

Il futuro compare fin dal principio, in un verso della poesia dedicata al fiume della vita. E la parola ricorre nelle pagine, declinata con l'attesa e l'inquietudine, curiosità del futuro o paura per il futuro, comunque passione per il mondo, anche per quello ignoto che verrà. In un diario scritto da chi si sente "vicino alla fine del viaggio" ci si aspetterebbe ripiegamento, nostalgia, malinconica resa all'ultimo traguardo. Il tempo trascorso, non quello che sarà. E invece Eugenio Scalfari continua a sorprenderci con un nuovo importante libro - per la prima volta in forma di diario - che è sì un confronto aperto con la " Signora nerovestita" ma con il cuore e la testa rivolti alle generazioni prossime.

Memorie personali e riflessioni filosofiche per chi continua il viaggio. L'allegria, il pianto, la vita (Einaudi) può essere letto anche come una sorta di lascito intellettuale e politico d'un testimone di un'epoca già conclusa che però non rinunzia a intercettarne una nuova. Senza accenti apocalittici, anzi con la speranza che la trasmissione della memoria possa un giorno essere riattivata dai quei giovani "audaci, volitivi, creativi" che oggi "immaginano il futuro senza avere il supporto del passato" e un domani forse potranno farvi ricorso. Come in fondo è già successo nella storia.

Ma per immaginare il futuro bisogna avere il coraggio di penetrare la realtà, esercizio coltivato da Scalfari nelle sue molteplici vesti di fondatore di giornali, scrittore, pensatore, saggista di storia, ora anche poeta. E ne è una prova anche questo inedito zibaldone che attinge a depositi di memoria privata e intellettuale in continuo movimento ("il passato non è un cimitero") per rispondere alle grandi domande sul senso della vita e della Storia. Amore e potere. Guerra e pace. Quale dei due sentimenti - amore e potere - è quello che fa più girare la ruota dell'esistenza? La natura dell'uomo tende alla guerra o alla pace? Domande di carattere universale che sembrerebbero scaturire - specie la prima - anche da un vissuto esistenziale che però resta fuori dalla pagina.

Amore e potere sono stati i sentimenti prevalenti nella sua vita pubblica e privata, talvolta illuminandosi vicendevolmente nelle distinte sfere, soprattutto nel mestiere di direttore di

giornale (che in altre pagine del diario associa al ruolo dei registi e dei direttori d'orchestra, "fanno lo stesso mestiere che per tanti anni ho fatto anch'io, quello di dirigere il lavoro degli altri e realizzare se stessi attraverso gli altri. Sono soprattutto curatori quando non addirittura possessori di anime"). Ma in questa sua nuova passeggiata filosofica Scalfari sembra dimenticare l'autobiografia, concentrandosi su un potere totalmente sprovvisto di amore se non per se stesso. Ed è in questo potere che individua il regolatore supremo della vita associata. Nel potere e nella guerra per ottenerlo. Ma se il potere e la guerra sono le passioni predominanti, la Storia non è più progresso e libertà, non è più razionalità, ma solo caso a vantaggio dei più forti (lo storicismo crociano definitivamente sepolto). E perfino Eros, il Signore dei desideri nume tutelare del suo personalissimo Olimpo, incrudelisce con le parole di Saffo in "dolce amaro indomabile serpente". Metafora della nostra "contrastata vita".

Non c'è una trama lineare e prevedibile, né nella vita né nella storia. Alla verità ci si avvicina per frammenti, perché di " scintille" e " schegge" sono fatti gli uomini, "scintille di divino, di desiderio del potere, di poesia, di amorosità, di concupiscenza, anche di anarchia". Sì, anche di libertà anarchica, ripete l'autore che recupera le sue letture giovanili di Bakunin, elevando la disobbedienza a capacità di sognare, di aspirare al bene comune. Scalfari sembra voler disobbedire soprattutto al presente, all'attuale assetto politico - italiano ed europeo - , alla inadeguatezza delle classi dirigenti e del popolo che le ha scelte. In un confronto con i classici del pensiero politico, da Machiavelli a Mazzini, s'interroga sulla natura del popolo italiano e sui fallimenti delle é lite nazionali: le plebi sottomesse si sono mai elevate alla condizione del popolo sovrano? La moltitudine di contadini, " anime morte", masse inconsapevoli che costituivano la massima parte della società italiana all'epoca dell'unificazione è mai diventata una comunità civile, partecipe della vita pubblica, capace di influenzarne il corso? Solo in parte, risponde Scalfari. Ed è questa incompiutezza che vede deflagrare nella società globale di oggi, nella "plebe incantata dal carisma dei Dulcamara", "pronta a innamorarsi del Narciso altrui e ad avvalersi di quella libera servitù per far trionfare a livelli più bassi il Narciso proprio". Uno spettacolo disperante per chi si è dedicato con intensità politica e culturale alla costruzione dell'assetto democratico e all'educazione civile di quelle masse.

Un'analisi senza possibilità di redenzione? Non proprio. Scalfari resta un protagonista del Novecento che ha eletto la politica - e l'etica - a bussola per l'avvenire. Per quanto sconsolato appaia lo sguardo sulla natura umana, non cede al pozzo profondo della malinconia. Anche questo suo zibaldone è una testimonianza di fiducia nella scrittura e nella sua funzione civile, dunque ancora una volta gesto politico. Allegria e pianto, evoca il titolo. Ma su tutto sembra prevalere il terzo elemento della titolazione, un istinto vitale capace di trasformare la fine in un nuovo inizio, lo sconforto in progetto, la nostalgia in speranza di futuro. È nelle pagine sui dolori privati - tra le più belle e coinvolgenti - che si trova la chiave di questa sua vocazione. Nei lutti famigliari - il padre, la madre, la moglie Simonetta - morte e rinascita come parte di sé. Negli strappi sentimentali poi felicemente ricomposti: Serena, sua compagna da quarant'anni. E soprattutto nei lutti che riguardano la sua vita pubblica. Rivelatore il pianto per la morte di Pannunzio, il padre politico e culturale da cui aveva preso le distanze sempre per ragioni di natura ideale. Una rottura "senza sofferenza né risentimenti", almeno fino alla malattia del fondatore del Mondo : lì accade qualcosa che lo tocca nelle corde più intime, "volevo vederlo e riabbracciarlo prima che il peggio avvenisse". Per la prima volta Scalfari che ha fatto del paterno il suo destino ci mostra il dramma umano di lui figlio che viene tenuto lontano dal capezzale, costretto a osservare il corpo malato del padre attraverso uno spiraglio della porta, le sue spalle scosse da un respiro affannato, "un rantolo che mi penetrò a tal punto da scatenare un rantolo mentale". Escluso dalla sua morte, escluso anche dai funerali: "ero stato disconosciuto senza che lui sapesse che esisteva un orfano". Il pianto è per l'uomo ma soprattutto per il capostipite d'una famiglia, quella dei liberali di sinistra, a cui Scalfari continua a restare fedele. E il coccodrillo del padre diventa storia politica, proposito, legame tra passato e futuro. "Lo scrissi senza sentire che lo stavo scrivendo. L'autore di quel ricordo da me firmato non ero io, avevo scritto meccanicamente. L'autore era la storia della cultura politica, era lei ad averlo scritto".

Guardare in avanti, sempre. Anche la fotografia in copertina lo ritrae mentre passeggia con il suo labrador in campagna: in movimento, sicuro di aver fatto la sua parte, di continuare a farla. Mai lasciarsi scoraggiare dalla fine, perché "è legge che tutto ciò che nasce debba morire". Nessuna illusione su Dio, "meravigliosa invenzione degli uomini" per consolarsi della loro finitezza. Entrare nel futuro insieme, possibilmente sulle note di I'm in the Mood for Love suonata da Louis Armstrong. Solo così il viaggio non finisce.

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22 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/cultura/2015/09/22/news/titolo_non_esportato_da_hermes_-_id_articolo_1316697-123397932/?ref=HRER2-2
7624  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Lorenzo Cremonesi Lotta all’Isis, tutti d’accordo Ma il dilemma è: con o ... inserito:: Settembre 23, 2015, 10:10:01 am
l’ANALISI
Lotta all’Isis, tutti d’accordo
Ma il dilemma è: con o senza Assad?
La Russia preme. Ma la vaghezza occidentale è specchio della complessità della situazione. Il presidente siriano Assad ha responsabilità gravissime sulle origini del caos siriano e nella genesi di Isis e non può essere parte della soluzione

Di Lorenzo Cremonesi

Un moto di profondo fastidio. È la reazione spontanea che viene a leggere le dichiarazioni di Bashar Assad nelle interviste rilasciate ai media russi e del regime siriano. Che diritto ha lui, che è alle origini del problema profughi nel suo Paese, di giudicare l’atteggiamento europeo nei confronti delle masse di disperati che premono alle nostre frontiere? L’arroganza con cui il presidente siriano accusa l’Occidente di aver aiutato Al Nusra e i gruppi qaedisti torna a ricordarci le gravissime responsabilità della dittatura siriana e l’ipocrisia della sua propaganda. In qualche modo l’avevamo dimenticato. È vero infatti che i crimini commessi da Isis da oltre un anno sono talmente gravi e plateali che le brutalità e le violenze perpetrate dalla dittatura siriana sin dai primi giorni delle rivolte nella primavera del 2011 passano in secondo piano.

Siamo tentati di pensare che tutto sommato Assad è il meno peggio. Viene naturale il parallelo con Gheddafi. Di fronte al caos libico, sono in tanti anche tra gli ex rivoltosi a Tripoli e Bengasi a ritenere che tutto sommato sarebbe stato meglio tenersi il Colonnello. Eppure, non va dimenticato che Assad e la sua Nomenklatura hanno davvero responsabilità gravissime sulle origini del caos siriano e persino nella genesi di Isis. Furono loro a liberare dalle carceri assassini e qaedisti con il fine preciso di criminalizzare le opposizioni. Furono loro a bombardare per primi indiscriminatamente città e villaggi, a colpire i civili con armi chimiche, a lanciare le loro milizie brutali con l’ordine di terrorizzare, torturare, reprimere in ogni modo. Furono loro a uccidere medici, infermieri e farmacisti per negare assistenza alle vittime degli scontri nelle regioni contese, a dare caccia spietata ai leader della resistenza laica e moderata, ignorando largamente i gruppi estremisti funzionali al progetto di spingere la comunità internazionale a desistere dai progetti di intervento per defenestrarli.

Oggi Teheran e soprattutto Mosca ribadiscono il sostegno al loro alleato. In realtà c’è poco di nuovo. Si tratta di una scelta di continuità politica e strategica. Tra il Cremlino e il regime siriano esiste un’amicizia storica, precede la Guerra dei Sei Giorni nel 1967, risale agli albori della Guerra Fredda. A fronte di questa politica tanto chiara, l’Occidente appare molto più titubante, indeciso. Non è neppure impossibile che prossimamente Putin possa persino spingere Obama ad accettare alcuni dei suoi punti. Tuttavia, occorre capire i motivi della vaghezza occidentale.

Le titubanze americane ed europee non sono solo debolezza, piuttosto lo specchio della complessità della situazione. In Libia sono stati commessi errori catastrofici. Del resto li ha commessi anche la Russia in Cecenia (ma sono molto meno discussi per il fatto che la stampa è stata metodicamente censurata). Soprattutto resta la consapevolezza che Assad, in quanto causa integrante della crisi siriana, non può essere parte della soluzione. E qui sta il grande dilemma. Il consenso sulla necessità di eliminare Isis è granitico. Resta da capire se ciò va fatto con Assad, o senza di lui.

17 settembre 2015 (modifica il 17 settembre 2015 | 09:52)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_settembre_17/srias-dilemma-eliminare-isis-assad-o-senza-lui-0ee314f0-5d06-11e5-aee5-7e436a53f873.shtml
7625  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / MIGUEL GOTOR - Aspettando Gotor inserito:: Settembre 23, 2015, 10:06:46 am
Aspettando Gotor
Pd   

Sulla riforma del Senato la rottura nel Pd si può evitare. Ci sono persone di esperienza nel partito che non possono non vedere che all’accordo non c’è alternativa, ma dovrà prevalere la ragione e non la pancia.

La festa cominciata è già finita? Dai segnali delle ultime 24 ore parrebbe proprio di sì: nel Pd lo scontro finale stile Mezzogiorno di fuoco non ci sarà. Così pare, almeno. Sarebbe un bel problema per tutti quelli che, nel Palazzo, nei giornali, nelle tv, già pregustavano un delirio politico fatto di cadute del governo, eventuali bis, governi istituzionali e chi più ne ha più ne metta.

Tutto è possibile ma ad oggi sullo scenario apocalittico non punteremmo un centesimo. Meglio integrati che apocalittici. Se il clima politico si rasserena sarà anche possibile restituire un pochino di dignità a quello di cui si sta discutendo.

Perché non è vero che si sta discutendo del sesso degli angeli, si sta cercando di mutare radicalmente la funzione del Senato, non è cosa da poco, ma è pur vero che i cittadini normali stanno smarrendo il punto della questione. Che è abbastanza semplice: la sinistra ha posto un problema, questo problema è stato discusso, analizzato, sviscerato, e sembra anche risolto – o almeno si è capito che è risolvibile. Già solo questo è un bel passo in avanti. La rottura si può evitare. Psicologicamente cambia tutto, anche nell’animo di chi si augurava (o lavorava per) che stesse per giungere l’ora X della scissione.

Dovranno rifare un po’ di conti: la rivoluzione è rimandata a data da destinarsi, al massimo potremo fare un pochino di guerra di posizione, magari su qualcosa di più eccitante del comma 5 dell’articolo 2.

Invece qui siamo in presenza della più classica delle mediazioni: il Governo non vuole che il ddl Boschi riparta da zero (e una modifica piena dell’articolo 2 questo comporterebbe) e la sinistra chiede che nel medesimo articolo 2 vi sia contenuto il principio – vedremo come tecnicamente formulato – della indicazione dei senatori da parte dei cittadini. Si sta capendo che si possono fare entrambe le cose grazie a quello che è stato chiamato “intervento chirurgico”, tale da non ricominciare da capo come Penelope.

Un compromesso. Bersani è ancora guardingo, giustamente. Come in ogni trattativa – e Bersani queste cose le sa benissimo – bisogna chiedere di più, mantenere la faccia feroce, tenere il punto fino alla fine. Ma sa anche che se la mediazione andasse in porto la sinistra porterebbe a casa un risultato di merito. Oltre a quello di rafforzare il il governo e il quadro politico, essendo chiaro che superato questo scoglio Renzi potrebbe guardare al futuro con molta minore ansia soprattutto in relazione a un Parlamento totalmente legato alla vita di questo esecutivo. Il post di Bersani che “vede” le cose muoversi nel senso da lui auspicato segnala che la sua componente si dispone positivamente all’accordo.

I Migliavacca, i Chiti, i Gotor sono persone di esperienza che non possono non vedere che all’accordo non c’è alternativa. Il problema sarà costruire una nuova linea che gli consenta di spiegare perché il ddl Boschi che ieri era l’anticamera della fine della democrazia ora diventa votabile: forse si era esagerato prima. Ma tutto è razionalmente ricomponibile. Se prevale, appunto, la ragione e non la pancia. Aspettiamo Migliavacca e Chiti. Aspettiamo Gotor.

Da - http://www.unita.tv/focus/aspettando-gotor/
7626  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Manolo Lanaro Senato, Gotor (minoranza Pd): “Governo bluffa sui numeri. inserito:: Settembre 23, 2015, 10:04:01 am
16 settembre 2015

di Manolo Lanaro

Senato, Gotor (minoranza Pd): “Governo bluffa sui numeri.
Non si può giocare ad ‘asso piglia tutto'”

“Alla luce dell’Italicum per noi non funziona l’idea che i futuri 730 parlamentari per oltre tre quarti siano scelti a tavolino da 3/4 grandi nominatori che trasformerebbero il Parlamento in un gregge. La democrazia non è giocare ad ‘asso piglia tutto’. Così Miguel Gotor, senatore Pd ed esponente della minoranza non arretra sulla contrarietà alla non elettività dei futuri senatori. “Il governo bluffa sui numeri”, afferma Gotor che aggiunge: “Spero che il governo ascolti i nostri consigli affinché il processo vada avanti e si concluda.

Se questo non avverrà, noi voteremo i nostri emendamenti e poi se ci saranno delle conseguenze politiche dovranno essere valutate dal presidente del Consiglio. Spero – conclude Gotor – sia determinante l’unità del Pd, non voglio neppure pensare a un partito che viene sostituito da Verdini e dagli amici di Cosentino, non sarebbe un buon messaggio al nostro elettorato”

Da - http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/09/16/riforma-senato-gotor-minoranza-pd-governo-bluffa-sui-numeri-non-si-puo-giocare-ad-asso-piglia-tutto/414749/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-09-16
7627  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Franco VENTURINI Dalla Siria all’Ucraina Contatti Usa-Russia Il dialogo... inserito:: Settembre 23, 2015, 10:01:31 am
Dalla Siria all’Ucraina
Contatti Usa-Russia Il dialogo difficile

Di Franco Venturini

Dopo molte esitazioni da parte americana tra Washington e Mosca è scoppiato il dialogo. Nell’arco di poche ore, ieri, il presidente Usa Barack Obama ha accolto la proposta russa di far incontrare i militari delle due parti. Kerry ha dichiarato che se Putin vuole colpire l’Isis in Siria una collaborazione è possibile, e i due ministri della difesa si sono parlati per cinquanta minuti al telefono.

La Casa Bianca ha dunque scelto di andare a vedere le carte del Cremlino, malgrado le opinioni contrastanti dei consiglieri del Presidente. E se l’esplorazione darà esito positivo diventerà più probabile un incontro «informale» tra Obama e Putin nei corridoi dell’Assemblea generale dell’Onu a New York, forse il 28 settembre.

La distanza da colmare per giungere a una tacita intesa russo-americana sulla Siria resta tuttavia consistente. Gli Usa non nascondono i loro sospetti sulle intenzioni di Putin, dopo che secondo il Pentagono Mosca ha trasferito in Siria i suoi primi caccia bombardieri e ha intensificato le forniture di armi al regime di Bashar al-Assad. Ieri i timori americani non sono stati certo alleviati dal portavoce del Cremlino, quando ha detto che la Russia prenderebbe in considerazione una eventuale richiesta siriana di intervento su larga scala. Ma se il Cremlino chiede una coalizione internazionale per lottare contro l’Isis, i fatti diventano più forti dei sospetti. L’Isis è il nemico numero uno dell’Occidente. E lo è, o lo sta diventando, anche della Russia. Non soltanto perché con i jihadisti combattono in Siria 2.400 cittadini russi che potrebbero tornare a casa con pessime intenzioni, ma perché la corrente filo-Isis sta diventano sempre più forte nell’Emirato del Caucaso creato dagli estremisti nel 2007. Lasciar crescere l’Isis, perciò, significa rischiare una nuova destabilizzazione del Caucaso e dell’Asia Centrale, cosa che Putin vuole evitare ad ogni costo.

Quanto alla parte americana, ieri Kerry è stato chiarissimo: il nostro obbiettivo è la distruzione dell’Isis, ma anche un accordo politico che non può essere raggiunto con la presenza «prolungata» di Assad al potere. In altri termini collaboriamo pure subito contro l’Isis, a condizione che parallelamente si apra una trattativa che preveda alla fine l’uscita di Assad. Il massacro in Siria deve essere fermato, non soltanto perché ora ci investe lo tsunami dei migranti. Un disgelo russo-americano dopo l’Ucraina (e magari anche sull’Ucraina) aiuterebbe.

Franco Venturini
19 settembre 2015 (modifica il 19 settembre 2015 | 07:12)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_19/contatti-usa-russia-dialogo-difficile-siria-ucraina-ffbaad22-5e8a-11e5-8999-34d551e70893.shtml
7628  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / GOFFREDO DE MARCHIS. Renzi stoppa Bersani: "Si scordi i caminetti, chi rompe... inserito:: Settembre 23, 2015, 09:59:38 am
Senato, Renzi stoppa Bersani: "Si scordi i caminetti, chi rompe ne risponderà"
Per il premier l'intesa resta vicina: "Ma non farò tavoli con la minoranza. Adesso vorrebbero rivedere il numero dei seggi, che invece hanno già votato anche loro"

Di GOFFREDO DE MARCHIS
20 settembre 2015

ROMA - Matteo Renzi è sorpreso fino a un certo punto dai toni battaglieri di Bersani sulla riforma costituzionale: "Pierluigi vorrebbe ricostituire i vecchi caminetti del Pd. Un bel tavolo informale maggioranza-opposizione in cui si prendono tutte le decisioni più importanti. Ma a questo tipo di gestione del partito, fuori dagli organismi ufficiali, non mi piegherò mai". Semmai non capisce come farà l'ex segretario a giustificare un'eventuale rottura sul Senato, ora che il traguardo sembra a portata di mano. "Per me la strada di un accordo è aperta - spiega il premier ai collaboratori -, ma non si ricomincia daccapo. Adesso vorrebbero persino rivedere il numero dei parlamentari, una cosa su cui hanno votato anche loro della minoranza. Questo è troppo, ma le nostre porte sono aperte per miglioramenti e correzioni. Se si rompe, però, si prenderanno la responsabilità".

Il segretario dunque continua a considerare vicina l'intesa finale sulla riforma. Anche perché coglie alcune crepe nella minoranza, come dimostrano le parole di Gianni Cuperlo. Mentre Bersani attaccava, e non solo sulle riforme, l'ex presidente del Pd parlava di accordo vicino, vicinissimo: "Se, come mi pare di poter dire, si farà avremo un saldo attivo per tutti", è la posizione di Cuperlo. Ma il fronte renziano è più pessimista del premier. Giachetti invoca ancora una volta le elezioni, Guerini e Serracchiani puntano il dito contro l'ex segretario, Orfini si prepara alla rottura definitiva. In effetti, i bersaniani in senso stretto hanno rilanciato la battaglia. "Non c'è niente di chiaro, nessuna dichiarazione ufficiale, solo pissi pissi bau bau. Non è così che si fanno gli accordi", avverte Massimo Mucchetti che ha accompagnato Bersani in una visita a Brescia.

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20 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/09/20/news/matteo_stoppa_pierluigi_si_scordi_i_caminetti_chi_rompe_ne_rispondera_-123261456/?ref=nrct-2
7629  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Guido OLIMPIO. La base di Putin svelata dai satelliti inserito:: Settembre 23, 2015, 09:51:10 am
Siria
La base di Putin svelata dai satelliti
Presenza russa nel nord della Siria vicino alla roccaforte di Assad: lo confermano le immagini. Il Cremlino difende l’alleanza: «Senza di lui ancora più profughi»

Di Guido Olimpio

I russi allargano la loro presenza in Siria. Le foto satellitari segnalano l’attività sul terreno. Vladimir Putin in persona conferma l’assistenza umanitaria, tecnica e militare. E aggiunge che continuerà a farlo perché senza l’aiuto ad Assad ci sarebbero molti più profughi ed è impossibile battere il terrorismo. Anzi, invita l’Occidente a collaborare.

Le ultime informazioni aggiungono tasselli al mosaico russo nel Paese mediorientale. Il cuore è sempre la regione di Latakia, con l’aeroporto di Jableh. Le immagini riprese da un satellite e rilanciate dal sito «Foreign Policy» mostrano spazi per accogliere altre strutture, qualche piazzola per gli elicotteri, una via d’accesso in più. Ancora poco, dicono gli esperti, ma è solo l’inizio. Fonti Usa sostengono che Mosca ha schierato 200 fanti di marina, una mezza dozzina di tank T 90, 35 blindati, 15 pezzi d’artiglieria e sistemi antiaerei S-22. Molto materiale che è arrivato via nave - Latakia, Tartus - e con i grandi velivoli An 124 Condor. Almeno 15 i voli che hanno attraversato lo spazio iraniano e iracheno.
L’intelligence statunitense ritiene che entro poche settimane Mosca possa dispiegare 1.000-1.500 soldati, truppe che dovranno fare da scudo alla regione costiera, da sempre feudo degli alawiti. E’ dunque probabile che arriveranno gli equipaggiamenti necessari al contingente. Chi sta di guardia sul Bosforo fotografa il passaggio delle navi militari russe con le stive piene, il cosidetto Syria-Express. A seguire sono attesi gli aerei d’attacco: si è parlato di Mig e Sukhoi 24. L’obiettivo finale è la creazione di una base avanzata che dovrebbe dare una mano allo schieramento siriano e prevenire quelle incursioni israeliane che hanno distrutto in passato armamenti importanti.

Non è escluso che i russi possano spingersi più a est. Per il centro studi americano ISW vi sarebbero piccoli nuclei attorno a Slinfah, località che è la porta sul corridoio di Latakia e spesso attaccata dagli insorti, anche nelle scorse settimane. Indiscrezioni hanno poi svelato che diversi bus carichi di russi sono arrivati nella cittadina di Hama, elementi che si sono insediati nel club ippico, ora trasformato in caserma. I media siriani hanno invece parlato di un convoglio di aiuti per i civili. Il Cremlino vuole rafforzare l’amico Assad, cercare di fermare il declino del suo apparato e tentare di proporlo come il male minore, visione condivisa anche da qualche esponente europeo. L’ex negoziatore finlandese Martti Ahtisaari ha rivelato al Guardian che nel 2012 Mosca aveva offerto un piano che prevedeva negoziati con l’uscita di scena - ad un certo punto - del dittatore ma che gli occidentali avrebbero detto no in quanto sicuri che la fine del regime fosse prossima. Progetto che è riemerso di recente, tra mosse tattiche per dare tempo al raìs e intenzioni vere per trovare un compromesso. Quanto ad Assad ieri ha ribadito che, prima di qualsiasi soluzione politica, dobbiamo battere i terroristi. Che nel suo vocabolario del presidente vuole dire chiunque si opponga.

Magari tutto sarà al centro di un incontro, a breve, tra Russia e Usa all’Onu. Per ora non è previsto ma i russi non lo hanno escluso. Il portavoce della Casa Bianca ha commentato: «Quando il presidente stabilirà che sia nel nostro interesse avere una conversazione al riguardo con Putin, (Obama) prenderà il telefono e lo chiamerà».

@guidoolimpio
16 settembre 2015 (modifica il 16 settembre 2015 | 08:18)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_settembre_16/base-putin-svelata-satelliti-1f67cb54-5c39-11e5-83f0-40cbe9ec401d.shtml
7630  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Marco TRAVAGLIO - Riforme: venduti & comprati inserito:: Settembre 23, 2015, 09:49:12 am
Politica
Riforme: venduti & comprati

Di Marco Travaglio | 20 settembre 2015
Direttore de Il Fatto Quotidiano e scrittore

Ma se le stesse cose le facesse Berlusconi? Il nostro titolo di ieri è uno dei ritornelli più ricorrenti, nelle conversazioni di chi ancora parla di politica. La risposta è sottintesa: se al posto di Renzi ci fosse B., verrebbe meritatamente lapidato, insultato e bruciato in effigie dal popolo della sinistra e anche da chi di sinistra non è, ma semplicemente tiene alla Costituzione e a un minimo di decenza istituzionale. Però forse la domanda è mal posta, perché B. ha già fatto le stesse cose – dall’abolizione dell’articolo 18 al bavaglio alla schiforma della Costituzione – che Renzi sta semplicemente rifacendo: solo che a B. non furono consentite da una mobilitazione dell’opinione pubblica, orientata e incanalata dalla stampa progressista, che invece oggi tace o acconsente, permettendo allo Spregiudicato di completare l’opera lasciata a metà dal Pregiudicato. Ieri Il Tempo ha raccolto una strepitosa antologia di quello che si diceva e si scriveva nel dicembre 2010, quando B. comprava senatori un tanto al chilo per rimpiazzare i finiani in fuga, esattamente come sta facendo Renzi per riempire il vuoto della sinistra Pd con verdiniani, fittiani, tosiani, alfaniani, ex grillini e gruppimisti, promettendo rielezioni future e poltrone attuali (la stessa merce di scambio usata da B. cinque anni fa). Con l’aggravante che oggi il mercato delle vacche avviene sulla riforma della Costituzione, non su leggi ordinarie.

“Libero voto in libero mercato”, titolava l’Unità l’11.12.2010: “Una maggioranza rabberciata con il voto di fiducia di alcuni deputati venduti non ha nulla a che vedere con i principi della buona politica”. E tre giorni dopo: “Governo Scilipoti”. Va detto che l’Unità era ancora un giornale, diretto da una giornalista, Concita De Gregorio. Oggi è il bollettino parrocchiale di Palazzo Chigi, infatti titola: “Stagione di riforme” e “Renzi: i numeri ci sono” (su come li ha raccattati, zitti e mosca), col contorno di Berja Staino che tenta disperatamente di far ridere con la consueta vignetta-marchetta: un cane dice a Dio “Se ci pensavi un po’ il mondo lo facevi meglio”, e Dio risponde “Se davo retta alla minoranza, ero ancora lì a pensarci” (Dio naturalmente è Renzi). Famiglia Cristiana definiva la compravendita berlusconiana dei senatori “peggio di Tangentopoli”. Oggi invece tace. Di Pietro, dopo il trasloco di Razzi&Scilipoti, sporse denuncia e la Procura di Roma aprì un fascicolo. Oggi a nessuno viene neppure l’idea, Di Pietro è stato rottamato (così impara: era contro le larghe intese).

E quel che resta dell’Idv è in Senato con gli ex 5Stelle Romani e Bencini, pronti a saltare sul carro renziano. “Scandalo in Parlamento”, tuonava Repubblica irridendo ai “Cicchitto e i Verdini, i Bondi e gli Alfano” che gabellavano il mercimonio per “libera dialettica parlamentare”. Oggi i Cicchitto, i Verdini, i Bondi e gli Alfano stanno tutti con Renzi e a Repubblica va benissimo così. Neppure la minaccia, prima fatta filtrare con apposita velina dai soliti “retroscenisti” e poi furbescamente smentita, di trasformare il Senato in un museo sordo e grigio, fa alzare un sopracciglio ai Mauro Boys. I titoli di ieri sono una trionfale cavalcata delle Valchirie in onore dei Renzi Boys: “Renzi sul Senato: accordo possibile”, evvai. “I conti del premier: ‘Stavolta ci siamo’”, wow! “Da Verdini sì alla riforma: entriamo in maggioranza”, e sono belle soddisfazioni. “Senato, sull’articolo 2 spunta una mediazione” (Repubblica la annuncia da due mesi e non s’è mai vista, però Repubblica insiste). “Primi sì in aula, Pd unito”, ahahahah. “Il premier apre: intesa possibile ma senza ricominciare daccapo” (cioè nessuna intesa possibile). “L’ultima sfida di Anna: ‘Sopporto i sospetti con cristiana virtù’” (dove Anna è la Finocchiaro, santa subito, e pure martire). Della compravendita, su Repubblica, non c’è traccia, a parte un colonnino pudicamente intitolato: “Quei trenta indecisi dell’opposizione pronti al soccorso”. Ecco: “soccorso”, mica “mercato delle vacche” o “vergogna” o “scandalo” come ai tempi di B. Dipende da chi è il compratore. “Niente inciuci con Renzi, solo consulenza”, precisa l’ex leghista leghista Flavio Tosi nell’apposita, rassicurante intervista, e pazienza se dopo l’incontro a Palazzo Chigi è passato dall’opposizione alla maggioranza, almeno sul Senato. Tutto bene, dunque, nessuna compravendita: al massimo soccorso, o consulenza. Anche Raffaele Cantone è indignato per “l’immoralità del mercato in Parlamento”, o meglio lo era quando lo faceva il Caimano. Oggi parla d’altro.

Ma allacciate le cinture, perché il meglio arriva ora. Il 14.1.2010, a Porta a Porta un giovane politico di belle speranze se la prese con Paola Binetti che aveva appena mollato il Pd per l’Udc: “La tua posizione è rispettabile, ma dovevate avere il coraggio di dimettervi dal Pd e dal Parlamento, perché non si sta in Parlamento coi voti presi dal Pd per andare contro il Pd. È ora di finirla con chi viene eletto con qualcuno e poi passa di là. Vale per quelli di là, per quelli della sinistra, per tutti. Se c’è l’astensionismo è anche perché se io prendo e decido di mollare con i miei, mollo con i miei – è legittimo farlo, perché non me l’ha ordinato il dottore – però ho il coraggio anche di avere rispetto per chi mi ha votato, perché chi mi ha votato non ha cambiato idea”. Il 22.2.2011 il giovanotto ribadì: “Se uno smette di credere in un progetto politico, non deve certo essere costretto con la catena a stare in un partito. Ma, quando se ne va, deve fare il favore di lasciare anche il seggiolino”. Si chiamava Matteo Renzi, detto il Rottamatore e non ancora il Compratore.

Il Fatto Quotidiano, 19 settembre 2015
Di Marco Travaglio | 20 settembre 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/20/riforme-venduti-comprati/2050559/
7631  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Stefano FELTRI. - Economia & Lobby Gb: meglio il rosso di Corbyn che quello... inserito:: Settembre 23, 2015, 09:44:19 am
Economia & Lobby
Gb: meglio il rosso di Corbyn che quello di Tsipras


Di Stefano Feltri | 14 settembre 2015

“Pagare le tasse non è un fardello, è il canone che paghiamo per vivere in una società civilizzata”. La Gran Bretagna non è la Grecia e Jeremy Corbyn non è Alexis Tsipras, anche se l’ostilità intorno al nuovo leader dei laburisti inglesi è simile a quella che ha circondato l’ex premier greco negli otto mesi in cui è stato in carica. Corbyn vuole più welfare State, più salari e più tasse per finanziare la spesa pubblica, ma le sue richieste riguardano un Paese che è fuori dall’euro, che nel 2014 è cresciuto del 2,8 per cento e che ha un deficit sotto controllo, che deve passare dal 4,5 al 3,1 per cento del Pil. Non esattamente le stesse condizioni in cui Tsipras è arrivato al potere in gennaio, quando aveva promesse più generose di quelle di Corbyn ma da applicare in un Paese in default strutturale, privo di accesso ai mercati finanziari e dipendente dagli aiuti internazionali.

Corbyn si è fatto la fama di avere un programma molto vago, in economia. Ma non è così. C’è un documento, “The Economy in 2020”, che risale a luglio ed è abbastanza preciso almeno nel delineare le idee di fondo. In sintesi: Corbyn non appartiene ai teorici della decrescita, non è rassegnato a una Gran Bretagna in declino in cui l’unico compito della sinistra è distribuire equamente i sacrifici (modello Tsipras). “La creazione di ricchezza è una cosa buona: tutti noi vogliamo una maggiore prosperità”, è la prima frase, che evoca quell’ “arricchirsi è glorioso” di Deng Xiaoping alle radici del boom cinese di questi decenni.

Il punto è la ricetta. Corbyn non si fida del mercato, sostiene però che la ricetta dei conservatori è sbagliata: non si produce crescita tagliano le tasse ai ricchi e alle imprese affidandosi all’idea che, con i giusti incentivi, il mercato genera innovazione e prosperità. Le sue proposte sono da socialdemocratico, più che da rivoluzionario: contesta al governo Cameron di aver ridotto la tassa di successione per i patrimoni elevati, un intervento da 2,5 miliardi di sterline che va a beneficio solo del 4 per cento della popolazione. Idem per la scelta sulla tassa sul reddito d’impresa: è stata ridotta al 20 per cento, la più bassa del G7, “perfino più bassa del 25 per cento in Cina e la metà del 40 per cento negli Stati Uniti”. Anche qui 2,5 miliardi di gettito in meno.

Corbyn sostiene, e ha i suoi argomenti, che dietro l’ossessione dei conservatori per l’austerità non ci sono conti pubblici insostenibili, ma la vecchia ideologia thatcheriana che più piccolo è lo Stato, meglio funziona l’economia. Se proprio si vuole ridurre il deficit, dice Corbyn, facciamolo alzando le tasse: lo spazio di manovra c’è eccome. Addirittura il leader Labour scrive di condividere l’obiettivo del cancelliere dello Scacchiere Osborne di azzerare il deficit nel 2020. Ma in modo diverso, stimolando con investimenti una crescita equa e diffusa invece che con tagli al welfare. Sul Financial Times il capo dei commentatori economici Martin Wolf ha scritto che “non si può avanzare nessun argomento forte per tagliare la quota della spesa pubblica sul Pil ai suoi libelli più bassi in 70 anni entro il 2019-2010, per mantenere un avanzo di bilancio in tempi normali o per abbassare contemporaneamente i benefici per i lavoratori poveri e la tassa di successione. E’ il lavoro della sinistra sfidare queste scelte”.

Un gruppo di economisti, non tutti sostenitori di Corbyn, hanno firmato sul Guardian un appello chiedendo di smetterla di raccontare fandonie sul suo conto: “La sua opposizione all’austerità non è altro che l’economia mainstream, sostenuta perfino dal conservatore Fondo monetario interazionale. Lui vuole spingere la crescita e la prosperità e ha votato contro il vergognoso disegno di legge di 12 miliardi di tagli al welfare”. Tra i firmatari Mariana Mazzucato, economista italiana che insegna in Sussex ed è la principale voce a favore degli investimenti pubblici. La promessa di nuovi investimenti, per la verità, è la parte più scivolosa del programma di Corbyn perché si regge sull’idea di un “quantitative easing per il popolo” invece che per le banche. Secondo quanto si è capito, l’idea del deputato laburista è che la Banca d’Inghilterra usi la sua liquidità e l’espansione del suo bilancio per finanziare investimenti pubblici invece che per comprare titoli sul mercato e dalle banche così da abbassare i costi di finanziamento. Una agenzia degli investimenti emetterebbe bond da usare per finanziare poi opere pubbliche e quel debito sarebbe comprato dalla Bank of England, privata, si suppone, di ogni indipendenza (come? È giuridicamente possibile? Boh). Non è detto che funzioni e che sia politicamente percorribile. Ma non è neppure detto che sia peggio della linea seguita dal governo Cameron: le ultime previsioni economiche della Commissione europea sottolineano – con una velata preoccupazione – la linea di sviluppo scelta dai conservatori. Cioè incentivare gli inglesi a risparmiare per comprarsi una casa. Che in un Paese reduce da una bolla immobiliare non è forse la scelta più saggia.

Discorso diverso sulla parte fiscale, quella che spaventa i giornali conservatori sensibili alle esigenze dei grandi gruppi finanziari. Nella parte sulla “giustizia fiscale”, Corbyn spiega di voler aumentare il prelievo fiscale di 120 miliardi di sterline all’anno. Soprattutto combattendo evasione e elusione fiscale, oltre che migliorando la capacità di riscossione del fisco. Primo passo: aumentare lo staff delle agenzie incaricate di raccogliere le imposte. Poi, certo, vuole anche far pagare più tasse. Ma il grosso delle entrate della Corbynomics derivano dalla scelta di impegnarsi di più a ottenere quanto già dovuto. I ricchi, comunque, dovranno pagare di più: “Il punto principale con cui si deve confrontare la politica britannica è se l’aliquota fiscale più alta (in realtà tax rate, cioè il peso del fisco, ndr) deve essere del 25 o del 50 per cento o invece del 18 o del 20 per cento”. Parole che, è comprensibile, hanno suscitato un certo panico in un Paese che è di fatto un paradiso fiscale al centro dell’Europa.

Le soluzioni di Corbyn sono, insomma, radicali ma di buon senso. Non certo meno radicali di quelle dei conservatori di David Cameron, che stanno smantellando il welfare mentre aiutano le imprese per ragioni ideologiche, non economiche. Sempre Martin Wolf del Financial Times evoca un parallelo tra Corbyn e il primo Tony Blair, a inizio degli anni Novanta: una sinistra che fa una diagnosi del mondo e delle sfide che ha di fronte e propone soluzioni drastiche, invece che limitarsi a piccoli aggiustamenti al margine.

Tutt’altra storia rispetto a Tsipras che ha vinto le elezioni senza avere alcuna possibilità di mantenere le demagogiche promesse della campagna elettorale. E che, con un misto di ingenuità, idealismo e furbizia tattica mista a ottusità strategica, ha congelato i rapporti tra Unione europea e Atene per mesi e mesi.

Tsipras è un leader che non poteva perdere ma che neppure poteva governare. Corbyn, almeno per ora, sembra un leader che non può vincere ma che avrebbe idee molto interessanti da vedere applicate. Troppo presto per immaginare come finirà. Ma il rosso del nuovo capo dei laburisti è decisamente più carico e convinto di quello di Syriza in Grecia. E la scommessa della sinistra inglese molto più interessante.

Di Stefano Feltri | 14 settembre 2015

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/14/gb-meglio-il-rosso-di-corbyn-che-quello-di-tsipras/2035073/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-09-15
7632  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Paolo Mieli Tsipras e la sinistra Lezione di realismo da Atene inserito:: Settembre 23, 2015, 09:42:08 am
Tsipras e la sinistra
Lezione di realismo da Atene

Di Paolo Mieli

L’ultimo giorno dell’estate 2015 passerà alla storia come il dì del trionfo di Alexis Tsipras, certo. Sul piano continentale, però, presto si capirà che le elezioni greche di domenica scorsa sono state vinte da Angela Merkel. È stata lei che ai primi di luglio ha preso per mano il leader di Syriza inducendolo a impiegare il successo conseguito al referendum in qualcosa di potenzialmente virtuoso per la Grecia e per l’Europa: l’accettazione delle dure condizioni per il terzo prestito europeo. Per ottenere l’assenso di Tsipras, la cancelliera tedesca ha dovuto convincere il suo ministro mastino Wolfgang Schäuble (che a leggere le memorie dell’ex segretario al Tesoro statunitense Tim Geithner voleva buttare Atene fuori dall’euro già dal 2012) e persino il vicecancelliere socialdemocratico Sigmar Gabriel che si era pronunciato per la cacciata dei greci, sia pure «solo» per un quinquennio. Ma ad essere decisiva, poco più di due mesi fa, è stata la velocità con la quale il capo del governo di Atene si è liberato del suo ministro Yanis Varoufakis e ha ratificato quella che, non senza malanimo, lo stesso Varoufakis oggi definisce la «resa del 13 luglio».

La storia è piena di leader di sinistra che, giunti al potere, si rendono conto di non poter mantenere le promesse elettorali e si vedono costretti a scaricare i deputati irriducibili prima di affrontare con la necessaria energia i problemi che si pongono. Con la necessaria energia e con modalità che quasi sempre non hanno alternative. Il caso più celebre - fatte le debite differenze con la Grecia - fu quello di François Mitterrand che vinse le elezioni presidenziali francesi del 1981, imbarcò nel governo presieduto da Pierre Mauroy i comunisti di Georges Marchais, suoi alleati, e fu costretto a contrattare con loro un gigantesco piano che prevedeva tra l’altro la nazionalizzazione di ben 729 aziende (contro le 1.400 pretese dal partito della falce e martello). Per qualche tempo Mitterrand vagheggiò addirittura di uscire dal Sistema monetario europeo. Nel marzo del 1983, il Presidente francese cambiò radicalmente il programma e ne adottò uno più consono alla bisogna; nel luglio del 1984 estromise dal governo i comunisti (reduci da una sconfitta alle elezioni europee e perciò felici di essersi liberati dell’ingrato fardello) e contemporaneamente cambiò anche il primo ministro Mauroy con il più docile Laurent Fabius. Troppo tardi. Alle elezioni politiche del 1986 il Partito socialista fu sconfitto e da quel momento Mitterrand dovette accettare la coabitazione con un primo ministro gaullista, Jacques Chirac che nove anni dopo gli sarebbe succeduto all’Eliseo. Mitterrand ci ha messo dai due ai tre anni prima di abbandonare l’ambizioso programma del 1981 e passare a fare i conti con la realtà. Il saldo di questo ritardo lo ha pagato la sinistra francese con una terribile batosta elettorale. Tsipras ci ha messo sei mesi ed è stato compensato con una clamorosa vittoria da un elettorato, il suo, che avrebbe avuto molte opportunità di scelte alternative e invece ha puntato su di lui.

A questo punto del discorso giunge puntualmente un’obiezione a cui ormai siamo abituati: vogliono dire queste considerazioni che un leader «di sinistra» può solo rassegnarsi a fare politiche «di destra»? No. Vogliono dire che in una stagione di crisi, se non ci si vuole abbandonare a una deriva sudamericana, le cose da fare sono pressoché segnate e alla sinistra tocca il compito enorme di farle e di difendere ad un tempo i diritti dei più deboli. Angela Merkel nel luglio scorso ha indicato a Tsipras la via per far riaprire le banche e per pagare gli stipendi pubblici a fronte dell’impegno a osservare le regole come tutti gli altri paesi europei. E il capo di Syriza - il quale sa di essere alla guida di un Paese in cui la sua pari grado del Pasok, la cinquantenne Fofi Gennimata, nel 2014 ha potuto mettersi in pensione (anche se adesso, da parlamentare, ha sospeso il ritiro dell’assegno) - ha preso l’impegno di stare ai patti imposti dal memorandum europeo. Del resto hanno scritto sul Wall Street Journal Jeremy Bulow e Kenneth Rogoff: «Rigettare le richieste di maggiore austerità da parte dei creditori suona bene; ma chi esattamente pagherebbe la minore austerità?». Nell’Unione europea ci sono dodici stati più poveri della Grecia, nell’eurozona sono sei su diciannove: perché un operaio di uno di questi Paesi dovrebbe lavorare un’ora in più per pagare la pensione alla giovane signora Gennimata?

Passato il mese di agosto, adesso anche Varoufakis riconosce alla Merkel, dopo l’atteggiamento che lei ha preso sull’immigrazione, «un incredibile livello di leadership». All’ex ministro greco dell’Economia ancora bruciano le sarcastiche parole con cui lo accolse Schäuble al loro primo incontro: «Per un politico come me è sempre un onore incontrare un accademico, un professore come lei». Gli risponde ora con una punta di veleno: «Mi piacerebbe che Berlino chiedesse alle sue imprese di stare lontane dai saldi greci». Intende dire che Schäuble, quantomeno per questioni di stile, dovrebbe dire apertamente ai tedeschi di astenersi dal prender parte a salvataggi e privatizzazioni del Paese che Tsipras dovrà rimettere in carreggiata. E, per rendere a Varoufakis l’onore delle armi, va detto che si tratta di una considerazione inappuntabile.

22 settembre 2015 (modifica il 22 settembre 2015 | 07:17)
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Da - http://www.corriere.it/cultura/15_settembre_22/lezione-realismo-atene-505338be-60e6-11e5-9c25-5a9b04a29dee.shtml
7633  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Federico Plantera Elezioni Grecia: la testardaggine dei greci e il (salvifico?) inserito:: Settembre 22, 2015, 06:49:34 pm
Zonaeuro
Elezioni Grecia: la testardaggine dei greci e il (salvifico?) Tsipras-bis
Di Federico Plantera | 21 settembre 2015

Altro giro, altra corsa. Alexis Tsipras, dopo le dimissioni a sorpresa di metà agosto e le annunciate elezioni anticipate, ha riconfermato la solidità della propria leadership trionfando alle urne nella giornata di ieri. Chi si aspettava un calo più o meno drastico del gradimento del popolo greco verso il premier uscente è rimasto deluso: la percentuale complessiva di preferenze raccolte da Syriza diminuisce di meno dell’1% delle schede valide rispetto a gennaio scorso. Il messaggio, chiaro e cristallino, è che Tsipras è ancora vivo e annuncia di esser pronto a dare battaglia per “cambiare i rapporti di forza in Europa”.

Uno a uno e palla al centro? Decisamente no, perché dalle elezioni di fine gennaio sono passati otto mesi, e tanto è accaduto (e anche non è accaduto) nel frattempo. Il primo dato rilevante che si evince dai risultati di domenica sera è che i greci si sono stancati di andare a votare: come biasimarli, del resto, considerato che si è trattato della terza consultazione elettorale – compreso il referendum – in meno di un anno? Ciò potrebbe poi far sorgere degli interrogativi sulla concretezza e la fattività dell’azione del primo governo Tsipras nei mesi dall’inizio dell’anno a oggi, ma se n’è già parlato lungamente in varie occasioni.

Il secondo elemento da considerare è la naturale e spontanea domanda sulle sorti dell’intesa raggiunta con i creditori lo scorso luglio. Sembra chiaro che nulla sia destinato a cambiare, su un piano formale, sotto quel punto di vista: di fatto, le urne non hanno mutato gli equilibri e i rapporti di forza tra Grecia e resto d’Europa, né si è trattato di una consultazione sulla validità del terzo piano di aiuti concesso ad Atene. Il segnale politico, però, potrebbe essere di non trascurabile importanza: Tsipras ha ribadito con i numeri di avere il popolo dalla sua parte e, se l’obiettivo è di presentarsi in Europa unitamente alle altre forze di sinistra per provare a mescolare le carte in tavola, lo slancio ripreso dal fronte continentale anti-austerità dopo la vittoria di Jeremy Corbyn nel Regno Unito non potrà che risultare d’aiuto in questo senso.

Il terzo dato evidente è che i greci sono testardi – in senso buono e meno buono – e non possiamo farci niente. Significativa la stima che hanno deciso di continuare a riporre nel leader di Syriza, che risulterà utile nei prossimi mesi in sede di contrattazione con i creditori e di realizzazione delle riforme promesse, soprattutto in termini di credibilità (non hanno fatto l’errore di cominciare a cambiare il loro rappresentante in Europa con la frequenza con cui si fa il cambio di stagione dei vestiti nell’armadio, come invece non abbiamo evitato di fare noi).

Da non trascurare assolutamente, però, è il risultato di Nea Dimokratia. La festa di Syriza sarà pure durata tutta la notte, ma il partito conservatore – che insieme al Pasok ha governato la Grecia dalla caduta dei colonnelli alla fine del 2014 e ha, di fatto, contribuito a traghettare il Paese nella situazione in cui versa oggi – ha ottenuto il 28% dei voti. Per di più, dopo le rivelazioni dell’indagine condotta dall’ex ministro anticorruzione Nikoloudis, si parla di un partito coinvolto in uno degli scandali pubblici più gravi della Grecia contemporanea ed esposto per ben 200 milioni (insieme al già citato Pasok) in prestiti mai restituiti alla Banca Nazionale dell’Agricoltura e contratti nell’arco di tempo che va dal 2000 al 2012 – quindi anche sotto il regime del primo memorandum.

Come se non bastasse, la testardaggine greca si ripete in negativo negli ultimi dati sull’evasione fiscale dilagante nel Paese: secondo la stessa indagine, il buco nel gettito fiscale degli ultimi cinque anni è stato di 37 miliardi, viaggiando a una media di circa un miliardo al mese dall’inizio del 2014. I conti non tornano per cifre che si aggirano intorno al 30% delle entrate fiscali potenziali complessive, circa il doppio rispetto alla media degli altri Paesi dell’Unione Europea.

Duri a morire sì, ma anche duri a invertire rotta. È proprio questo, invece, quel che si auspica Tsipras, che ha ringraziato Kammenos – leader dei Greci Indipendenti di Anel – per essersi unito a lui “sotto la bandiera dell’onestà” e che ha conferito al nuovo mandato una dimensione quasi salvifica destinata a “liberarci da tutte le cose che ci tengono fermi al passato”. Il resto d’Europa non può che augurarsi che ciò non li induca in tentazione ed effettivamente ci (e li) liberi dal male. Ancora una volta, starà a Tsipras e ai greci sapersi giocare bene le proprie carte. Amen.

Di Federico Plantera | 21 settembre 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/21/elezioni-grecia-la-testardaggine-dei-greci-e-il-salvifico-tsipras-bis/2053022/
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Yanis Varoufakis: "La Primavera di Atene ha messo a nudo la tirannia dell'Unione"
L'ex ministro greco ha annunciato che alle elezioni voterà per i dissidenti euroscettici di Unità popolare: "L'Europa ha perso l'integrità e l'anima"

Di CHRISTIAN SALMON
19 settembre 2015

I GRECI domani tornano al voto per la seconda volta in nove mesi. Sono le elezioni anticipate volute dal premier Alexis Tsipras che non poteva più contare su una maggioranza in Parlamento. L'ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis era già uscito dal governo il 6 luglio (tanto che ieri ha annunciato a Press project che non voterà per Syriza ma per "Unità popolare", la neo-formazione dei dissidenti euroscettici, ndr). In questo dialogo, racconta la sua visione dell'Europa.

La crisi dei rifugiati, come la crisi greca, rappresentano due momenti parossistici di una più generale crisi dell'Ue, ed è necessario analizzarle congiuntamente, come ha detto recentemente: due facce di una stessa crisi, due sintomi acuti di una stessa malattia, il "male di sovranità" dell'Europa.
"Esattamente. Gli europei devono riuscire a comprendere la radice delle forze centrifughe che ormai da tempo stanno lacerando l'Unione Europea, toccando l'apice in questa orrenda estate del 2015 in cui prima la democrazia greca è stata stritolata (con la minaccia di un'espulsione dall'Eurozona come punizione per aver rifiutato un nuovo prestito a condizioni che ridurrebbero il Paese ancora più in miseria), e poi l'Europa non ha saputo mostrarsi all'altezza della crisi dei profughi. La radice sta nelle fondamenta stesse dell'Unione, che è stata costruita come un mastodontico cartello industriale, si è trasformata in una coalizione di banchieri, è stata gestita da una tecnocrazia incompetente che disprezza i principi della democrazia, e infine ha elaborato una sua versione di moneta unica che rispecchia la "logica" del sistema aureo vigente fra le due guerre. Una "costruzione" simile non poteva reggere. Quando ha cominciato a frammentarsi, dopo il 1929 della nostra generazione (l'implosione del 2008), gli Stati membri hanno cominciato a ripiegarsi su se stessi. Il dramma greco di luglio, che ha messo a nudo la perdita di integrità dell'Europa, e l'attuale crisi dei rifugiati, che dimostra che l'Europa ha perso la sua anima, sono il risultato di questa frammentazione. È così che interpreto la sua appropriata espressione, "male di sovranità"".

Gli Stati-nazione hanno perso la loro sovranità democratica, l'Ue non l'ha ritrovata. Siamo su un continente che vola col pilota automatico, abbandonato alla mano invisibile dei mercati... A bordo del bateau ivre, due categorie di politici litigano sulla direzione da prendere e la condotta da seguire.
"È esattamente quello che stiamo vivendo. Se posso permettermi di "correggere" leggermente la sua metafora, direi che abbiamo lanciato un battello fluviale nella vastità dell'oceano durante giornate di bonaccia. Il nostro battello è maestoso, ma non ha quello che serve per sopravvivere a un mare in tempesta. Peggio ancora: in questo spazio allegorico, quando gli elementi hanno deciso di scatenare una tempesta, la loro furia è stata proporzionale alla nostra mancanza di preparazione. E quando la tempesta è arrivata, il capitano e i suoi ufficiali hanno continuato a negare l'evidenza, insistendo che era tutta colpa dei passeggeri di terza classe (i greci, i portoghesi ecc.). Come dico spesso, la situazione in cui ci troviamo è figlia del modo stupido in cui è stata gestita una crisi inevitabile.

Da un lato i "sovranisti" chiedono che la Nazione torni in porto. Dall'altra parte ci sono i loro avversari, i "de-democratizzatori", che raccomandano di andare al largo affindandosi alle correnti della globalizzazione. I sovranisti esigono una riterritorializzazione del potere, l'uscita dall'euro, la resurrezione delle frontiere. I de-democratizzatori vogliono abbandonare qualsiasi potere decisionale e perfino il sistema democratico, affidando la politica a esperti e mercati finanziari. In questo dualismo si consuma il fallimento della politica. Che si è manifestato sotto una figura paradossale, l'"autoritarismo impotente": autoritari di fronte alla Grecia, impotenti di fronte ai rifugiati.
"È proprio così. Con l'aggiunta di un altro aspetto: in questo falso scontro fra rinazionalizzatori e paladini dell'euro, le due parti si nutrono a vicenda! Concorrono insieme, ovviamente senza volerlo, al processo che genera centralizzazione autoritaria e al tempo stesso frammentazione. Le due crisi di questa estate, la crisi greca e quella dei rifugiati, lo dimostrano: gli Stati membri cercano di scaricarsi a vicenda l'onere della crisi, ponendo incessantemente una domanda avvelenata "Che ci guadagno?"; e intanto Bruxelles e Francoforte cercano di accaparrarsi, riuscendoci, altro potere arbitrario a spese degli Stati-nazione. La frammentazione centralizzata è il risultato peggiore possibile della pessima architettura dell'Europa, ma anche della reazione nazionalistica che vuole rinazionalizzare i sogni, le aspirazioni, le politiche migratorie, la politica di bilancio e così via".

Per converso, il "no" greco al referendum del 5 luglio e il movimento europeo di solidarietà verso i rifugiati rappresentano la nascita caotica di un'opinione pubblica europea, e forse l'abbozzo di una sollevazione democratica contro le istituzioni europee, che non li rappresentano più e li opprimono.
"Il sontuoso "No!" gridato da quell'incredibile 62 per cento di greci è un meraviglioso lascito di resistenza all'idiozia dell'eurolealismo e alla riluttanza dell'euroclastia. Non era un "No" all'euro. Era un "No" a un accordo all'interno dell'Eurozona insostenibile e vendicativo. La maggioranza che ha detto "No" ci stava dicendo: "Non vogliamo che ci portiate fuori dall'euro. Ma non intendiamo tollerare un'umiliante parvenza di accordo che condanna i nostri figli a una depressione permanente e a un perenne status di Paese di terza classe in Europa. E se Bruxelles-Francoforte- Berlino continueranno a minacciarci con la Grexit, allora ditegli: Andate all'inferno". Quel "No" è stato tradito, su questo non c'è dubbio. Ma il suo spirito non è evaporato".

Dalle sue dimissioni il 6 luglio Lei sembra dire solo una cosa: "È venuto il momento delle rivoluzioni europee". Cerca di creare "una nuova narrativa per l'Europa", che io interpreto come "Creatività, solidarietà, democrazia". Contro l'impotenza autoritaria delle istituzioni dobbiamo contribuire a far emergere una potenza d'azione democratica.
"Prima delle elezioni del 25 gennaio 2015, insieme ad Alexis Tsipras dicevamo al mondo che quello che sarebbe cominciato in Grecia si sarebbe esteso all'Europa. Il nostro slogan era: "Riprendiamoci la Grecia  -  Cambiamo l'Europa!". Dopo la capitolazione di luglio, sono giunto alla naturale conclusione che con la Grecia sconfitta (anche se mai soggiogata) è venuto il momento di portare il messaggio della nostra Primavera di Atene, che ha già "infettato" tutti in Europa, da Helsinki a Porto, da Belfast a Creta. La Primavera di Atene ha dimostrato, anche agli europei che non erano d'accordo con il nostro governo, che tutte le decisioni importanti vengono prese da organismi che non rendono conto a nessuno, privi di trasparenza, dittatoriali, che non rispettano nessun principio di legalità, che agiscono nell'ombra, che nutrono solo disprezzo verso la democrazia. E allora i tempi sono maturi per portare il trittico della rivoluzione francese, libertà-uguaglianza- fratellanza, a livello europeo, e aggiungere a esso tolleranza-trasparenza-diversità".

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19 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2015/09/19/news/yanis_varoufakis_la_primavera_di_atene_ha_messo_a_nudo_la_tirannia_dell_unione_-123219780/?ref=fbpr
7635  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Danilo TAINO Confini e paradossi d’Europa inserito:: Settembre 22, 2015, 06:46:11 pm
Confini e paradossi d’Europa

Di Danilo Taino

Se l’euro non è morto con la crisi greca, è perché è troppo importante: i Paesi membri non lo vogliono lasciare morire. Lo stesso vale per Schengen. Assieme alla moneta unica, la libertà totale di movimento tra Paesi è, per i cittadini, il segno più rilevante dell’esistenza dell’Europa. Il trattato può essere sospeso - come d’altra parte è previsto dalle norme che lo regolano - in casi eccezionali. Ed eccezionale è, in queste ore, l’arrivo di migliaia di rifugiati in cerca di asilo che vanno organizzati e messi al riparo, in attesa di soluzioni stabili. Ma, a meno di catastrofi non prevedibili, rimarrà e, lentamente, tornerà a funzionare. Non sarà più lo stesso; ma se la Ue non vuole suicidarsi rimarrà.

Il problema è che, come è successo all’eurozona, di fronte a una grande crisi Schengen vacilla. In un campo diverso, con altre caratteristiche: ma anche questa volta l’architettura che doveva sottostare alle frontiere aperte non ha resistito alla pressione degli eventi. Le regole della Convenzione di Dublino si sono accartocciate su se stesse e la Commissione di Bruxelles non è riuscita a dare una prospettiva unitaria ai 28 membri della Ue. Solo quando, dopo avere a lungo sottovalutato la situazione, Berlino ha preso la guida degli eventi, la crisi ha cambiato di segno. È venuta alla luce in tutta la sua portata e si è anzi gonfiata, ma ha anche trovato una direzione sorprendente: Angela Merkel ha deciso che la Germania (ma in parallelo anche l’Europa) dovrà prendersi carico delle sue responsabilità morali e politiche nei confronti di chi cerca asilo.

La cancelliera lo dovrà fare anche a costo di sottoporsi a una trasformazione sociale e culturale radicale. Come si è subito visto, non sarà una passeggiata. L’imposizione dei controlli temporanei alle frontiere tedesche (e di un’altra decina di Paesi) dà il senso della difficoltà della sfida logistica. Sul fatto che la Germania riesca a superare gli ostacoli organizzativi, e quindi a tornare nella dimensione di Schengen, il governo di Berlino non ha dubbi, e non ci sono ragioni per dubitarne: fisicamente, i profughi verranno sistemati, grazie allo «sforzo nazionale» chiesto dalla cancelliera.

La difficoltà maggiore sarà piuttosto tenere unita l’Europa che in questo momento è profondamente divisa sia sull’analisi di quel che sta accadendo (evitabile o inevitabile) sia sulle soluzioni (quote rigide o volontarie). E sarà ancora la Germania a dovere indicare un piano per evitare che la grande migrazione si trasformi in tensioni sociali e politiche non gestibili.

Per la prima volta, Berlino ha dato l’impressione di non essere costretta a guidare l’Europa ma di volerlo fare. Sembra avere abbandonato la leadership riluttante del passato. A questo punto, però, la leadership dovrà essere determinata e consapevole: tornare indietro sull’apertura a chi chiede asilo non è possibile; lasciare che l’Europa si divida tra accoglienti e respingenti è altrettanto da evitare. Ancora: per la prima volta in dieci anni di guida della Germania, Frau Merkel ha parlato in termini epocali, di cambiamento profondo del Vecchio Continente, verrebbe da dire con una «visione». Alla novità e all’analisi dovranno però seguire idee e gambe per integrare probabilmente qualche milione di nuovi arrivi. Le difficoltà possono essere superate dai benefici che ne deriveranno: c’è chi, a Berlino, pensa che la grande migrazione possa essere l’alba di un nuovo miracolo economico. Ma tutto questo dovrà essere declinato in una prospettiva europea. Anche con flessibilità, tenendo conto dei timori forti in quei Paesi, in particolare dell’Est europeo, arrivati da poco alla prospettiva del benessere e spaventati all’idea che un siriano e un afghano glielo tolgano. Solo così le divisioni di oggi potranno essere ridotte e il ritorno a Schengen reso possibile.

Il 2015 passerà alla storia come l’anno test per l’Europa. Per la moneta unica e per le masse di profughi in movimento. Crisi gemelle in pieno svolgimento (domenica prossima si vota in Grecia) che hanno rivelato come l’Unione Europea fatichi a trovare soluzioni stabili ma voglia a tutti i costi mantenere un’unità, fuori dalla quale nessuno ha intenzione di andare.

Quando si è trattato di votare, nonostante le sofferenze patite, i greci hanno deciso di rimanere aggrappati all’euro, costasse quel che costasse. Straordinario. Si può prevedere che, nel medio periodo, lo stesso succederà con la crisi dei rifugiati e con Schengen: i costi di rimanere indietro rispetto a un resto d’Europa che evolve possono essere troppo alti. Come nel caso di Atene, saranno trattative dure, scontri, minacce e risentimenti.

Anche questa volta, la Germania sarà chiamata a essere protagonista; e parte da una posizione non debole, con Paesi come la Francia, la Spagna e soprattutto l’Italia che hanno sfumature diverse sulla soluzione della crisi ma nella sostanza ci sono. È che la forza dell’Europa sta nel fatto che nessuno vuole seriamente abbandonarla: questo è ciò che davvero racconta il 2015. Cosa direste ai vostri figli se si tornasse alla lira e si chiudessero le frontiere?

16 settembre 2015 (modifica il 16 settembre 2015 | 08:09)
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