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7606  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / LIANA MILELLA Scontro Pd-Ncd: a rischio la nuova prescrizione anti-corruzione inserito:: Settembre 28, 2015, 07:36:35 pm
Scontro Pd-Ncd: a rischio la nuova prescrizione anti-corruzione
I centristi voteranno contro il testo che allunga i termini dei processi

Di LIANA MILELLA
28 settembre 2015

ROMA - Prescrizione lunga addio. Niente bonus di tre anni dopo la sentenza di primo grado e soprattutto nessun aumento per i reati di corruzione. Gli alfaniani, che stanno tenendo in scacco il Pd dal 24 marzo, quando il ddl del governo è passato faticosamente alla Camera, dopo mesi di trattative, adesso puntano i piedi e fanno saltare il banco. "A Montecitorio i numeri sono quelli che sono, e il testo è passato, ma a palazzo Madama invece..." dice Nico D'Ascola, senatore di Ncd e aspirante presidente della commissione Giustizia al posto del forzista Nitto Palma. Lo scontro di marzo se lo ricordano tutti, una lite epocale tra il Guardasigilli Andrea Orlando, il suo vice ministro Enrico Costa, la presidente Pd della commissione Giustizia Donatella Ferranti. Litigarono sulla prescrizione della corruzione, che Ferranti ha portato al massimo della pena più la metà (adesso è il massimo più un quarto). Ncd per tutta risposta si astenne, ma adesso è ben intenzionato a votare contro.

Ieri, a Sorrento, dove si svolgeva una summer school dei centristi con Alfano, Lupi, Quagliariello, aspettavano Orlando per affrontare la questione. Lui non c'è andato e loro, sia Costa che D'Ascola, hanno sparato a zero. "Una prescrizione più lunga di tre anni significa solo processi più lunghi" ha arringato Costa diretto alla platea. Idem D'Ascola: "Con i tre anni in più salta la ragionevole durata del processo, viene meno il rispetto dell'articolo 111 sul giusto processo. Non possiamo accettare. Allora tanto vale fare a meno della prescrizione, pur di garantire un processo rapido. Abbiamo sempre detto che i processi sono troppo lunghi, adesso non possiamo allungarli ancora di più. E poi basta guardare i dati di via Arenula per rendersi conto che un allarme prescrizione non esiste".

I voti di Ncd al Senato sono determinanti e il partito di Alfano può permettersi di fare la voce grossa. Da marzo ad oggi D'Ascola si è incontrato decine di volte con David Ermini, il responsabile Giustizia del Pd, un renziano doc, ma non c'è stato verso di raggiungere un accordo. Muro altissimo di Ncd che non vuole contemporaneamente sia lo stop di tre anni (2 per l'appello e uno per la Cassazione) che l'aumento per la corruzione. "O l'uno o l'altro, tutte e due le cose insieme sono inaccettabili, mettano pure la corruzione prescrittibile in 25 anni, ma allora i tre anni per tutti gli altri reati saltano" avrebbe ripetuto Costa ad Alfano e Lupi.

Un ricatto bello e buono, che rischia di far saltare una legge già debole, che di certo non cancella la famosa ex Cirielli approvata da Berlusconi nel dicembre 2005 per salvarsi dai suoi processi e che decisamente non piace ai magistrati. L'Anm l'ha attaccata in tutte le sedi, proponendo una soluzione molto più razionale, peraltro seguita in altri Paesi: l'orologio della prescrizione si ferma all'atto del rinvio a giudizio, quando lo Stato ha concretizzato la sua volontà di perseguire il reato. Il Guardasigilli Orlando gli ha contrapposto la soluzione invisa a Ncd, tre anni di bonus per fare i processi, con la prescrizione ferma dopo la sentenza di primo grado. L'emergenza corruzione ha imposto, in corso d'opera, di allungare almeno i termini previsti per questo reato. Un emendamento di Donatella Ferranti ha aumentato i termini mettendoli nell'articolo del codice penale, il 157, che regola la prescrizione e dove ci sono già gli altri reati che ne abbisognano di una più lunga, come quelli gravi e quelli a sfondo sessuale.

L'8 settembre la Corte di giustizia del Lussemburgo ha bocciato l'Italia proprio per via della prescrizione troppo corta che impedisce di punire in tempo le frodi e ha invitato i giudici a disapplicare la legge. La Cassazione lo ha già fatto. Poteva essere l'occasione giusta per accelerare, invece ecco la frenata di Ncd.
 
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28 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/09/28/news/scontro_pd-ncd_a_rischio_la_nuova_prescrizione_anti-corruzione-123827059/?ref=HREC1-16
7607  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / ALDO CAZZULLO. Odi e amori di Ingrao, un comunista di ferro inserito:: Settembre 28, 2015, 07:34:59 pm
DOPO LA SCOMPARSA A ROMA

Odi e amori di Ingrao, un comunista di ferro
Il dirigente del Pci scomparso all’età di 100 anni in versione privata nel libro «Volevo la luna».
Il rapporto stretto con le figlie, la simpatia per Togliatti, le critiche a Pasolini

Di Aldo Cazzullo

Suo nonno aveva combattuto con Garibaldi, a Varese. Lui aveva conosciuto Mao, e ne era rimasto spaventato. Aveva discusso con Castro e pure con Che Guevara: «Mi portò in spiaggia e mi fece notare con orgoglio che tutto era dello Stato, anche le sdraio. Ma lo Stato non deve mica fare il bagnino». Al liceo aveva studiato con Gioacchino Gesmundo, «il professore» di Roma città aperta, ucciso alle Ardeatine. Quelli che ora ne parlano come di un fascista pentito dicono sciocchezze: Ingrao partecipò ai Littoriali, si iscrisse al sindacato fascista per contattare operai, ma fu ardentemente comunista; il che dovrebbe bastare per darne un giudizio severo, essendo il comunismo una grande tragedia del Novecento. Va detto che l’uomo, per quanto di vanità quasi infantile, aveva una storia di grande interesse da raccontare. Seppe farlo nel libro-intervista con Antonio Galdo, nell’autobiografia “Volevo la luna” (Einaudi), un libro scritto benissimo, e anche in un’intervista che diede al Corriere per i suoi 90 anni.

Non taceva i turbamenti della sua vita infinita, fin da quando uno zio crudele lo sorprese mentre giovinetto si masturbava («di colpo mi scoprì seminudo, col piccolo membro maschile drizzato. Disse qualcosa di volgare che mi fece bruciare di vergogna. Fino a quando mio nonna levò un urlo e lo cacciò: e poi mi fece una lieve carezza senza parole»). Rievocava i toni foschi e plumbei del comunismo: la riunione di dirigenti e giornalisti «in un’antica villa nei boschi maestosi attorno a Bucarest dalle lunghe stanze un po’ buie», dove lui direttore viene contestato pure «per le immagini di donnine seminude a cui l’ Unità - ahimè! - indulgeva»; le notti di vigilia dell’ undicesimo congresso, quando Ingrao era «convinto che nell’angolo della strada di casa mia ci fosse un compagno della cosiddetta “vigilanza” a controllare chi in quell’ ora veniva da me, come in funzione di poliziotto di Botteghe Oscure». Fu il congresso della sua sconfitta: lui, movimentista, battuto da Amendola, il “socialdemocratico”. Votò per la radiazione del gruppo del Manifesto, che gli era molto vicino, e lo rimpianse per il resto della vita: «Fu davvero un’azione assurda, perché nulla mi costringeva a quel gesto di capitolazione e si può dire di tradimento verso quei miei antichi compagni di lotta». Parlava con simpatia del Sessantotto e alla militanza delle figlie: Celestina aggredita dai fascisti, Renata colpita a Valle Giulia dalla polizia («la sera aveva i segni crudeli delle manganellate sul giovane corpo»), Chiara partita a Parigi per il Maggio, il genero Marco che lancia sanpietrini contro i poliziotti: «Non so se mi sentii un po’ disertore». Criticava Pasolini, schierato invece con gli agenti: una «evidente civetteria», prova di «quanto fosse debole ancora, nel mio paese, la percezione del livello della lotta in campo in Europa».

Si trovava meglio con Togliatti che con Berlinguer, che lo volle presidente della Camera per lo stesso motivo per cui Moro volle presidente del Consiglio Andreotti, uomo della destra Dc: tranquillizzare l’opposizione interna ai due partiti, ostile al compromesso storico. Non durò. Sapeva fare autocritica, anche come uomo: «Ero un giovane maschio reazionario e parassitario», che amava «rotolarsi (con la figlia) all’infinito, nel letto, pizzicandola e sbaciucchiandola», ma non aiutare nelle faccende domestiche. E quando la moglie, Laura Lombardo Radice, era in clinica a partorire, lui telefonò dalla stazione e detta imperioso: «È una femminuccia? Si chiamerà Celestina, come mia madre». Però raccontava con tenerezza l’incontro con Laura, staffetta dei gruppi antifascisti: «C’era sempre il timore di essere seguiti dalla polizia. Prendevamo i tram al volo per sottrarci ai pedinamenti, e avevamo concordato una copertura: Laura e io dovevamo fingere di essere fidanzati. Un giorno le feci una carezza, e lei mi fermò: “Che credi di fare? Ricordati che siamo fidanzati solo per finta”. Siamo stati insieme tutta la vita». Era meno disposto all’autocritica parlando del comunismo: «Pentirmi? Assolutamente no. Resta il meglio della mia vita: ciò che ho cercato di dare al mondo degli oppressi e degli sfruttati. Mi sono pentito, se si può dire così, di pesanti errori che ho compiuto nella mia lunga vita di militante comunista. Il più grave fu nell’autunno del ‘ 56, quando sull’ Unità scrissi un pessimo articolo che attaccava gli insorti di Budapest che si ribellavano ai sovietici. Non me lo sono mai perdonato».

28 settembre 2015 (modifica il 28 settembre 2015 | 11:10)
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_settembre_28/odi-amori-ingrao-comunista-ferro-4f8c5240-65bd-11e5-aa41-8b5c2a9868c3.shtml
7608  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Susanna Tamaro I migranti in arrivo Le regole da rispettare inserito:: Settembre 28, 2015, 07:33:30 pm
Il punto
I migranti in arrivo
Le regole da rispettare
L’esodo è una risorsa o fattore di disgregazione? Dipende dalle nostre scelte
Ma accoglierli non significa rinunciare alle radici

Di Susanna Tamaro

Guardando le immagini delle torme di bambini che marciano per settimane insieme ai loro genitori nelle condizioni più estreme, mi sono resa visivamente conto della fragilità in cui versa la nostra società che spinge ormai i suoi figli in carrozzina fino quasi alle soglie dell’età scolare e alla stessa epoca, in sempre più casi, li disabitua all’uso del pannolino.

Sono sempre stata colpita da questo prolungamento della prima infanzia, da questa impossibilità di marcare i tempi e di crescere facendo continuamente procrastinare l’ingresso nell’età adulta. Fin dai primi istanti, i nostri piccoli vivono sotto la costante cappa di controllo degli adulti che tendono a proteggerli in maniera ossessiva da qualsiasi cosa possa turbarli o ferirli. Il frutto di tutto ciò è una generazione di bambini fragili o fin troppo sicuri, bambini già immersi nella foschia della depressione o vittime di una sovraeccitazione difficile da controllare senza l’aiuto dei farmaci.

Di questo disagio, di questo straniamento, nella nostra società prostrata davanti all’altare dell’esasperato narcisismo si parla poco, perché parlarne vorrebbe dire affrontare altri livelli di discorso, prima tra tutti quello della distruzione sistematica di tutti i valori che hanno permesso al nostro Paese - e agli altri Paesi europei - di avere radici profonde e di produrre una cultura ammirata ed esportata in tutto il mondo.

Così quest’esodo biblico - che tanto, e per tante ragioni, ci turba - appare in primo luogo come un’improvvisa e imprevista iniezione di vitalità. Questi bambini che marciano silenziosi sono abituati a sopravvivere, ad affrontare il disagio, la fatica e la morte, trovando sempre comunque la forza di andare avanti, sorretti dai loro genitori. Se un giorno nasceranno nuovamente grandi scrittori, ho pensato, verranno fuori da lì, da questi bambini in marcia che tutto hanno visto e tutto hanno provato, e non certo da qualche raffinato ed esangue master di scrittura creativa.

Quando un’arnia di api è debole, spesso arrivano api più forti a saccheggiarla, così mi pare che questa affluenza straordinaria di persone, al di là delle ragioni politiche ed economiche, abbia anche un’altra valenza, direi quasi energetica. Quando una società diventa debole, confusa, capace solo di seguire i fantasmi della sua mente non più calibrata sulla concretezza della realtà, attira direi quasi spontaneamente l’energia di mondi più giovani, più forti, capaci di emergere per la compattezza e la profondità delle loro radici. Popoli affamati di vita contro popoli che della vita non sanno più che cosa farsene. Popoli che conoscono la ferocia della sopravvivenza, la durezza di condizioni comunque sempre estreme, contro popoli per lo più assopiti in una dimensione larvale, capaci di risollevarsi dal sonno soltanto per esaltare l’alimentazione crudista o compiere battaglie epocali come quella per l’abolizione del maschile e femminile, la misera fola culturale che continua a infestare la nostra società.

Abolire ogni differenza, ecco il ruggito terminale del nichilismo: né maschio né femmina, né giorno né notte, né bene né male, né vita né morte. La polarità che da sempre regge il mondo - e che con il suo movimento dinamico crea tutto ciò che esiste - viene finalmente annullata, le sue catene che per troppo tempo ci hanno tenuti schiavi, facendoci recitare una parte per cui non ci sentivamo più adatti, alla fine sono state divelte. Nessun condizionamento deve tarpare le ali della nostra libertà.

Gli estremamente liberi allora come si potranno relazionare con gli estremamente vitali? Quali nuovi equilibri si formeranno o, piuttosto, come si farà a mantenere un equilibrio positivo per entrambi? Lo sforzo di generosità scaturito in queste settimane da parte di normali cittadini è un bellissimo segno di risveglio ma, quando l’emergenza sarà finita, in che modo riusciranno a relazionarsi queste realtà così diverse e così storicamente lontane? Come sarà possibile mantenere un equilibrio positivo per entrambe le culture?

Una scuola in Germania, che si trova nelle vicinanze di un centro per rifugiati, ha chiesto alle ragazze di vestirsi in modo più acconcio per non urtare la sensibilità degli ospiti. L’ospitalità è sacra - e quando si tratta di ospitare persone in fuga da guerre e persecuzioni è doppiamente sacra - però, nella sua sacralità, ha delle precise regole che devono essere rispettate da entrambe le parti. E oltre alle regole, richiede un sentimento fondamentale che è quello della gratitudine. Senza questi due capisaldi - rispetto e gratitudine - con molta facilità si trasforma in qualcos’altro.

Un mondo fluttuante come il nostro, che ha rinunciato alle sue radici più profonde, timoroso e pavido nell’affermare i propri valori, in che modo potrà rapportarsi con persone dall’identità così forte? Basterà fare un girotondo inneggiando alla fraternità, convinti che l’importante sia volersi bene e che il bene che noi vogliamo sia anche il bene che desiderano gli altri per noi? Oppure, evaporata l’ebbrezza dei buoni sentimenti, le cose non rischieranno di essere un po’ più complicate?

I processi di integrazione richiedono sempre tempi molto lunghi e la via preferenziale per ottenerli sono i bambini, quando viene loro permesso di inserirsi in un contesto positivo. Ma questo purtroppo non sempre avviene perché, per istinto, gli esseri umani amano stare con chi gli è più simile e diffidano di chi è diverso. Lo spauracchio del razzismo ci impedisce spesso di vedere questa realtà, i gruppi etnici tendono a proteggersi con una struttura chiusa e difficilmente si aprono verso ciò che viene percepito come estraneo. Conosco persone che da più di vent’anni vivono in Italia e non hanno imparato più di duecento parole della nostra lingua.

Cosa succederà poi di tutti quei giovani maschi soli, provenienti dall’Africa subsahariana o da altri miseri paesi, che bighellonano nella maggior parte dei giardinetti pubblici italiani, in attesa dei lunghissimi processi di valutazione della richiesta di asilo? Con quali speranze, con quali orizzonti vengono da noi persone che non fuggono da realtà in guerra ma soltanto dalla miseria? Non rischiano di innescare situazioni esplosive? Un Paese come il nostro, in cui le famiglie, in buona parte dei casi non arrivano a fine mese, non può vedere di buon occhio questi ragazzi che vagano senza meta per le nostre strade e che vengono mantenuti dal denaro pubblico. E chi dà loro i soldi per affrontare un viaggio così costoso, quando nei loro Paesi il reddito annuo si aggira intorno ai duecento euro? Con la stessa cifra non avrebbero potuto iniziare una qualsiasi attività, anche modesta, dalle loro parti, contribuendo così al cambiamento della loro terra? Che peso hanno nell’immediato, e che peso avranno nel futuro queste presenze? Saranno una risorsa o diventeranno un elemento di disintegrazione?

Molto dipenderà credo dal nostro comportamento. Dal nostro saper essere veri ospiti, capaci di stabilire e imporre le regole del rispetto e della reciprocità. Se invece ci ridurremo nello stato larvale, balbettando incerti davanti ad ogni richiesta, arretrando e cedendo ogni giorno, convinti in fondo che nella nostra civiltà non ci sia granché da difendere, non occorre avere la sfera da veggenti per renderci conto che il paese in cui vivranno i nostri nipoti sarà molto diverso da quello che fino a qui abbiamo conosciuto.

@TamaroSusanna
28 settembre 2015 (modifica il 28 settembre 2015 | 08:59)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/cronache/15_settembre_28/i-migranti-arrivo-regole-rispettare-tamaro-5ea19544-65a2-11e5-aa41-8b5c2a9868c3.shtml
7609  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Paolo Lepri. La pericolosa censura delle critiche all’Islam inserito:: Settembre 28, 2015, 07:25:50 pm
Il corsivo del giorno
La pericolosa censura delle critiche all’Islam

Di Paolo Lepri

Maryam Namizie non è una «incendiaria», come qualcuno l’ha voluta dipingere. È un’iraniana fuggita dal suo Paese dopo la rivoluzione khomeinista, una combattente per la difesa dei diritti umani. Certo, il suo impegno contro le leggi religiose e nelle organizzazioni degli ex musulmani è sempre stato netto, lontano dagli eccessi del «buonismo». Ma non per questo la sua testimonianza non può essere significativa e importante, in un mondo costretto a convivere con l’attacco del radicalismo islamico alle libertà fondamentali. Per chi ha la memoria corta dovrebbero bastare due parole, Charlie Hebdo.

Non tutti però la pensano così. A Namizie è stato impedito nei giorni scorsi di prendere la parola all’università di Warwick, una delle più prestigiose della Gran Bretagna. L’associazione degli studenti ha sostenuto che il suo intervento avrebbe potuto costituire una «incitazione all’odio». La prevista conferenza è stata così annullata. Si è voluto difendere, è stato detto, «il diritto degli studenti musulmani di non essere discriminati».

Queste parole suonano come un paradosso. Ritenere il diritto di critica una mossa tendenzialmente discriminatoria è il sintomo di un ingiustificato complesso di colpa. La militante anti-sharia ha già risposto, sottolineando che «è assurdo definire razzista chiunque critichi l’Islam».

È necessario riconoscere che nei confronti dell’Islam si verifica spesso un atteggiamento che si potrebbe chiamare di «eccesso di rispetto».

Lo storico Nial Ferguson sostiene che i «demoni» del ventunesimo secolo sono i fanatici religiosi (che in misura minore, aggiungiamo, esistono anche fuori dell’Islam). Se questo fosse vero, come purtroppo sembra, andrebbe abolito il termine «demonizzazione». Si tratta di una parola troppo usata.


@Paolo_Lepri
27 settembre 2015 (modifica il 27 settembre 2015 | 13:24)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_27/pericolosa-censura-critiche-all-islam-4833c424-6509-11e5-b742-179fcf242c96.shtml
7610  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Silvia RAGUSA Elezioni Catalogna, la sconfitta del vincitore Artur Mas. inserito:: Settembre 28, 2015, 07:24:41 pm
Elezioni Catalogna, la sconfitta del vincitore Artur Mas.
Il suo futuro nelle mani del movimento anticapitalista
Cinquantanove anni, tre figli, una laurea in economia e una passione per Winston Churchill, arriva al governo catalano già nel 1995.
Visti i risultati, sarà lui il nuovo presidente.
Ma tutto dipende dalla Cup, distante dalle sue idee liberali. E che non ha grande simpatia per il leader di Junts pel sí

Di Silvia Ragusa | 28 settembre 2015

Si dice che fosse sul punto di abbandonare tutto la notte del 25 novembre 2012 – data delle precedenti elezioni catalane – quando il suo partito, Convergència i Unió, crollò perdendo 12 seggi, da 62 a 50. Mas aveva chiesto ai catalani una “maggioranza eccezionale” per il suo progetto nazionale, ma l’elettorato gli diede le spalle e il processo di una Catalogna indipendente, quando ancora la sua visione era basata sul diritto a decidere più che sul separatismo, rimase in mano a Esquerra repubblicana, vincitore morale di quelle elezioni, con mezzo milione di voti e 21 seggi alla Generalitat. Già allora politologi ed editorialisti davano Artur Mas per morto.

La scena, a distanza di tre anni, sembra ripetersi. Il presidente della Catalogna ha convocato le elezioni con una ben precisa condizione per i suoi alleati: sarà lui, di nuovo, il futuro presidente. Ma gli attuali 62 seggi sono lontani dal fare una maggioranza assoluta e con questi risultati il suo futuro è tutto nelle mani della Cup, un movimento anticapitalista parecchio distante dalle idee liberali di Mas. La Cup non ha grande simpatia per il leader di Junts pel sí, soprattutto dopo le ultime indagini sui casi di corruzione che coinvolgono proprio il suo partito. E ha già detto che non lo sosterrà in parlamento. Una via potrebbe essere quella di mettersi in disparte e lasciare il posto ad un altro nome in lista per ottenere l’appoggio dell’estrema sinistra. Al politico catalano però, si sa, non piace perdere. In molti frattanto hanno già trovato un’altra perifrasi, con tanto di ossimoro, da affibbiargli: la sconfitta del vincitore.

Cinquantanove anni, tre figli, una laurea in economia e una passione per Winston Churchill, Mas arriva al governo catalano già nel 1995, sotto l’ala protettrice di Jordi Pujol, padre, presidente e simbolo della regione dal 1980 al 2013, caduto in disgrazia l’anno scorso dopo aver riconosciuto di aver commesso un’ingente frode fiscale e aver trascinato con sé anche il partito.

Nel 2010 Artur Mas diventa presidente della Generalitat e, in piena crisi economica e di relazioni col governo di Madrid, coltiva il percorso per l’indipendenza della Catalogna. Due anni dopo convoca elezioni anticipate, dopo aver fallito i negoziati con Rajoy. Perde 12 seggi ma riesce ad essere rieletto a capo della regione con 71 voti. Il 9 novembre 2014 organizza il referendum sull’indipendenza catalana, ma il governo spagnolo pone subito il veto. Mas non desiste e torna a portare la Catalogna al voto. Quello di domenica.

I suoi detrattori lo accusano di dividere in due la regione, ignorando chi non vuole separarsi da Madrid con discorsi manichei: una Catalogna libera di fronte a una Madrid che stringe le catene. Per i sostenitori invece è il leader patriottico che lotta per l’autodeterminazione di un popolo, a costo di allearsi con gli acerrimi nemici di Esquerra repubblicana o di sperare in un sostegno dagli estremisti di sinistra. “Una volta finito questo cammino non ho più voglia di fare carriera politica” ha detto a France-Presse. Non ho l’ambizione di essere il primo presidente dello Stato catalano, voglio essere l’ultimo presidente dell’autonomia catalana”. Da oggi si potrebbero gettare le basi per decidere anche questo.

Twitter: @si_ragu
di Silvia Ragusa | 28 settembre 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/28/elezioni-catalogna-la-sconfitta-del-vincitore-artur-mas-il-suo-futuro-nelle-mani-del-movimento-anticapitalista/2073602/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-09-28
7611  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Angelo PANEBIANCO. Sondaggi e voto Il debito di Renzi con Grillo inserito:: Settembre 27, 2015, 11:44:24 am
Sondaggi e voto
Il debito di Renzi con Grillo

Di Angelo Panebianco

I sondaggi sulle intenzioni di voto attribuiscono al movimento Cinque Stelle percentuali da capogiro, lo indicano come il secondo partito in Italia. La rilevazione di Pagnoncelli, pubblicata sabato scorso dal Corriere, conferma: i Cinque Stelle sono al momento scelti dal 27% degli elettori potenziali contro il 33% di preferenze per il Partito democratico. Tenuto conto dell’altissimo numero di indecisi rilevati, però, è difficile credere al momento che in elezioni politiche «vere» i Cinque Stelle possano conquistare una così elevata percentuale di votanti.

Tuttavia, gli orientamenti fotografati oggi dai sondaggi hanno l’effetto di tenere sotto pressione la classe politica. E dovrebbero anche ricordare a Matteo Renzi quanto grande sia il debito di gratitudine che egli ha contratto con Beppe Grillo. Per due ragioni.

La prima è che senza il clamoroso successo elettorale dei Cinque Stelle nelle elezioni del 2013 e la conseguente sconfitta (perché di una sconfitta si trattò) di Pier Luigi Bersani e del partito da lui guidato, Matteo Renzi non avrebbe potuto vincere le successive primarie, non sarebbe diventato segretario del Pd, non sarebbe al governo. Furono la crisi e lo sbandamento indotti fra i militanti e gli elettori democratici da quel risultato a spianargli la strada. Tolto il caso dei true believers, dei veri credenti (quelli che credevano e credono nei Cinque Stelle e nei loro programmi), è un fatto che coloro che, in quelle elezioni, votarono Grillo con il solo scopo di scatenare una reazione all’interno della classe politica tradizionale, ottennero il risultato voluto: l’arrivo di Renzi ne fu una diretta conseguenza. M a c’è anche una seconda ragione per cui Renzi deve essere grato a Beppe Grillo. Ha precisamente a che fare con i sondaggi testé ricordati. Fin quando il movimento Cinque Stelle continuerà ad essere percepito come il più temibile competitor del Partito democratico, Renzi potrà rivendicare la propria indispensabilità: una variante aggiornata della «diga» incarnata dalla Democrazia Cristiana agli occhi degli elettori ai tempi della Guerra fredda: vade retro Partito comunista allora, vade retro Cinque Stelle oggi.

Si noti che quei sondaggi tolgono anche un po’ di credibilità ai propositi scissionisti della sinistra del Pd. Se il grosso degli elettori di sinistra che odia Renzi si indirizzerà davvero verso i Cinque Stelle, gli eventuali scissionisti potrebbero trovarsi a dare vita a un piccolo «partito dei pensionati» (magari iscritti alla Cgil) destinato all’irrilevanza.

Sembra che il Paese non riesca a sfuggire a una maledizione, non riesca a fare a meno di trovarsi di fronte a due alternative, nessuna delle quali davvero allettante. La prima è quella che abbiamo conosciuto nel periodo 1994 - 2011 (anno della caduta dell’ultimo governo Berlusconi): un bipolarismo «immoderato», fondato sulla delegittimazione reciproca fra gli schieramenti. Il vantaggio di quell’assetto era che permetteva l’alternanza al governo. Lo svantaggio era che il clima da guerra civile rendeva la democrazia assai mal funzionante.

La seconda alternativa è quella conosciuta nel cinquantennio democristiano e che, con tutti gli adattamenti del caso, potrebbe trovare una parziale replica nell’era Renzi: un partito elettoralmente grande che si colloca al centro dello schieramento, in grado di fare incetta di voti sia a destra che a sinistra, e che è anche il più credibile ostacolo al dilagare di forze anti-sistema o percepite come tali. In tale assetto, molto o poco che duri, l’alternanza al governo è di fatto impossibile.

Se Renzi supererà lo scoglio della riforma del Senato e se non sarà costretto a fare concessioni alle minoranze sulla legge elettorale, le sue probabilità di vittoria alle prossime elezioni politiche saranno assai alte. Per l’assenza di alternative plausibili. Naturalmente, devono realizzarsi due condizioni. La prima è che la ripresa economica si consolidi. La seconda è che egli abbia dall’Europa aiuti adeguati per governare (o per dare l’impressione di governare) l’immigrazione. Se queste due condizioni si realizzeranno, Renzi avrà vinto la sua scommessa. Continueranno in tanti, come hanno fatto fin qui, a dargli del «democristiano». Anche se, per la verità, sia le condizioni storiche generali che le stesse caratteristiche di Renzi, rendono improprio quell’accostamento. Tranne che per la questione della «diga».

23 settembre 2015 (modifica il 23 settembre 2015 | 07:20)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/editoriali/15_settembre_23/debito-renzi-grillo-7435ed50-61b1-11e5-a22c-898dd609436f.shtml
7612  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Volkswagen: cosa è successo, chi può guadagnarci e come inserito:: Settembre 27, 2015, 11:39:27 am
Volkswagen: cosa è successo, chi può guadagnarci e come

Economia   
Il gruppo tedesco affonda in Borsa. Quali sono le conseguenze e qual è il futuro delle concorrenti
Uno scandalo gigantesco che non accenna a placarsi: il trucco antismog della Volkswagen coinvolge 11 milioni di auto. Simbolo del potere economico e dell’efficienza tedesca, l’inganno della casa automobilistica di Wolfsburg tira in ballo anche la reputazione di un sistema paese, quello tedesco. Soprattutto dopo la notizia riportata da ‘Die Welt’ secondo cui Berlino era a conoscenza della manipolazione dei controlli dei gas di scarico.


In cosa consiste la truffa
Si tratta di un software installato (fin dal 2009) sulle centraline di tutti i motori diesel Audi e Volkswagen venduti negli Usa. In pratica un chip della centralina riconosceva quando erano in corso misurazioni di emissioni nocive e, in automatico, riduceva le prestazioni del motore, abbassando i parametri che altrimenti sarebbero risultati fino a quaranta volte superiori ai valori minimi consentiti. Un vero e proprio inganno che negli Usa prende i connotati penali: la Volkswagen rischia ora una pena pecuniaria pari a 37.500 dollari per vettura, per un totale di oltre 18 miliardi. Non solo, negli Stati Uniti si comincia anche a parlare di class action.

Quali sono le conseguenze
Il colosso delle auto vede seriamente minata la sua corsa inarrestabile verso la leadership mondiale delle quattro ruote. L’Unione europea sta valutando molto seriamente la questione e dalla Francia parte la richiesta di un’indagine a tappeto su tutti i costruttori. Anche in Corea sono stati annunciati controlli sulle vetture e i modelli sotto la lente sono gli stessi degli Stati Uniti: Volkswagen Jetta, Golf e Audi AG A3 sedan. Una brutta notizia visto che le vendite in Asia coprono ormai il 40% del totale, con la Cina a fare da mercato principale. E dopo Seul, anche l’Australia vuole sapere se i veicoli venduti nel Paese siano equipaggiati con il software “civetta” scoperto negli Stati Uniti.

La reazione delle borse
La risposta degli investitori allo scandalo Volkswagen è a dir poco spaventosa. Il titolo del gruppo automobilistico continua a perdere pesantemente terreno e dopo il crollo di ieri del 20% arriva a lasciare sul terreno un altro 19%. Oltre al salasso di 18 miliardi, infatti, si comincia a parlare di una class action che potrebbe addirittura raggiungere la mastodontica cifra di 275 miliardi di dollari.

Così, nel giro di due giorni, il costo per i soci del colosso automobilistico ammonta a oltre 20 miliardi.

Il crollo fa sbandare i listini europei che perdono tutti oltre il 3% colpiti dalle vendite sul settore auto. È proprio l’intero comparto dell’automotive infatti a soffrire: d’altronde in questi casi, si sa, è la speculazione a farla da padrona, puntando sull’incertezza e sui timori che lo scandalo possa coinvolgere anche altre case automobilistiche.

Il futuro delle concorrenti
Tuttavia, nel medio termine, se le concorrenti della Volkswagen dimostrassero di non essere coinvolte nella truffa uscendone ‘pulite’ potrebbero di fatto riconquistare le attraenti fette di mercato lasciate dal gruppo tedesco. E già la divisione americana di Fiat Chrysler Automobiles prova a rassicurare gli investitori specificando di “non usare il defeat devices”, il software incriminato a Volkswagen. In una nota, infatti, il gruppo spiega di “lavorare da vicino e continuamente con l’Epa (l’Agenzia per la protezione ambientale) e CARB (il California Air Resources Board, ndr) per garantire che i suoi veicoli siano rispettosi di tutti i requisiti richiesti”.

La posta in gioco, non solo per Fca, è davvero alta.

Da - http://www.unita.tv/focus/volkswagen-cosa-e-successo-chi-puo-guadagnarci-e-come
7613  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Volkswagen, 11 milioni auto ‘truccate’ Ombre sul governo: «Sapeva tutto» inserito:: Settembre 27, 2015, 11:38:02 am
LO SCANDALO DEI TEST MANOMESSI NEGLI STATI UNITI.

Merkel: fare chiarezza
Volkswagen, 11 milioni auto ‘truccate’
Ombre sul governo: «Sapeva tutto»
L’ad: «Non mi dimetto “Giù le Borse
In Borsa il colosso tedesco dell’auto perde un altro 22%: in due giorni brucia 24 miliardi di capitalizzazione. Parigi e Londra chiedono inchiesta europea. Il ministro Galletti: valutiamo stop vendite in Italia. Il gruppo accantona 6,5 mld per i rischi dello scandalo

Di Redazione Online

Non si placa l’eco dello scandalo legato ai dati alterati delle emissioni ambientali delle auto diesel di Volkswagen vendute negli ultimi anni negli Stati Uniti. Il caso dei test truccati affonda le Borse europee e da più parti arrivano richieste di chiarimento al colosso tedesco. Ultimo in ordine di tempo l’appello della cancelliera tedesca Angela Merkel, che invita il gruppo automobilistico a fare chiarezza e si augura «piena trasparenza». Martedì pomeriggio il ministro dei Trasporti tedesco Alexander Dobrindt ha annunciato, inoltre, una commissione d’inchiesta sul caso. La commissione, che sarà guidata dal sottosegretario ai Trasporti Michael Odenwald, andrà a Wolfsburg in settimana.

In Borsa, intanto, Volkswagen appare in caduta libera: le azioni ordinarie hanno perso a Francoforte il 22,5% a 111,2 euro e le privilegiate il 26,2% a 106 euro. I titoli nelle ultime due sedute hanno perso un terzo del loro valore: la capitalizzazione complessiva bruciata ammonta a oltre 24 miliardi di euro.

Die Welt: «Il governo tedesco sapeva»
Mentre si attendono i risultati di ulteriori indagini e verifiche, si susseguono notizie, smentite, indiscrezioni di stampa (e non solo). Secondo «Die Welt», la manipolazione dei controlli dei gas di scarico da parte della Volkswagen negli Usa era conosciuta dal Governo tedesco. Una notizia che pesa come un macigno sulle commissioni di inchiesta e che si evincerebbe da una risposta del ministro dei Trasporti tedesco ad una interrogazione dei Verdi del 28 luglio scorso. Nella risposta il Governo tedesco sostiene che è «in corso il lavoro sull’ulteriore sviluppo del quadro normativo comunitario» con l’obiettivo di ridurre «le reali emissioni» dei veicoli. Sempre secondo «Die Welt» il dispositivo che consente di ridurre le emissioni durante i test era conosciuto al Governo tedesco e il dispositivo non sarebbe specificamente legato ai motori a benzina o diesel.

L’ad di Volkswagen si scusa: «Ma resto al mio posto»

In un videomessaggio l’amministratore delegato di Volkswagen, Martin Winterkorn, «chiede scusa per la cattiva condotta della compagnia», ma ribadisce di voler restare al suo posto. Nelle ultime ore si erano diffuse voci di possibili dimissioni dell’ad. Secondo una anticipazione del Tagesspiegel, l’amministratore delegato avrebbe perso la fiducia del consiglio di sorveglianza e mercoledì il presidio dello stesso dovrebbe comunicargli la decisione di mandarlo via. Il giornale fa anche il nome del successore, il capo della Porsche Matthias Mueller.

«Mi dispiace infinitamente di aver deluso la fiducia che riponevano in noi - ha detto comunque Winterkorn nel suo videomessaggio - Chiedo scusa in tutte le forme ai nostri clienti, alle autorità e all’opinione pubblica per questo comportamento non corretto». L’azienda «farà di tutto per recuperare la fiducia». Nel video - diffuso via internet sul sito del gruppo - il numero uno della casa automobilistica aggiunge che «sarebbe sbagliato se il terribile errore di pochi compromettesse il lavoro onesto e duro di 600 mila persone. La nostra squadra non lo merita. Perciò vi chiedo di continuare a riporre fiducia sul nostro percorso - sottolinea Winterkorn - Non abbiamo ancora tutte le risposte allo scandalo sui gas di scarico. Metteremo tutto sul tavolo, il più velocemente possibile e in modo trasparente».

L’azienda spiega che le auto dotate del meccanismo che «modifica» le emissioni sono 11 milioni in tutto il mondo. Volkswagen ha deciso di accantonare 6,5 miliardi di euro proprio per fare fronte a eventuali costi dello scandalo: l’inchiesta aperta dall’Epa (l’agenzia per la protezione ambientale statunitense) potrebbe portare a una maxi-multa pari a 37.500 dollari per vettura, oltre 18 miliardi. Ma - dopo che il titolo è crollato perdendo fino al 22% a Francoforte - il costo per i soci del colosso dell’auto tedesca è già stato di 12,9 miliardi.

«Volkswagen non tollera alcun tipo di violazione delle leggi»
Intanto il gruppo automobilistico assicura in una nota che «sta lavorando intensamente per eliminare» le discrepanze di emissione fra i risultati dei test condotti in fabbrica e le misurazioni effettive su strada per i veicoli con motori del tipo EA 189. «Volkswagen non tollera alcun tipo di violazione delle leggi sotto qualunque forma» e la prima priorità del board aziendale, sottolinea il comunicato, è riguadagnare la fiducia perduta presso i suoi clienti. «Il Gruppo terrà informato il pubblico sull’ulteriore progresso delle indagini in maniera costante e trasparente».

Galletti: «Valuteremo stop vendite in Italia»
Nel nostro paese, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti incalza: «Ho chiesto a Volkswagen Italia rassicurazioni sul mercato italiano. Vogliamo vederci chiaro». Con una lettera indirizzata all’amministratore delegato e direttore generale di Volkswagen Group Italia Massimo Nordio, Galletti chiede informazioni sulle vetture vendute nel mercato italiano. «Ho appreso con preoccupazione le risultanze delle indagini e le chiedo di volermi fornire elementi oggettivi che nelle autovetture commercializzate in Italia non siano stati installati accorgimenti tecnici analoghi volti ad alterare i dati emissivi da test rispetto alla realtà», scrive Galletti. Il titolare dell’Ambiente, che ricorda l’incidenza di questi profili sulla qualità dell’aria e sul clima, fa riferimento nella lettera alla decisione assunta dall’azienda di bloccare le vendite delle auto sul mercato Usa e ritirare quelle già commercializzate, chiedendo al gruppo, «qualora necessario, di assumere analoghe iniziative già intraprese per il mercato americano anche a tutela dei consumatori italiani che hanno fatto affidamento sul marchio Volkswagen». Anche il Ministero dei Trasporti italiano esprime «preoccupazione» per lo scandalo delle emissioni truccate da Volkswagen e avvia un’indagine interpellando sia il Kba, Kraftfahrt-Bundesamt, il maggiore omologatore delle auto in questione, sia il costruttore tedesco. Il Mit, in sintesi, chiede di conoscere se l’illecito avvenuto negli Usa - dove vigono però regole differenti per la omologazione - risulti essere praticato su omologazioni della stessa autorità tedesca per l’Europa e se i veicoli sono stati commercializzati in Italia.

Dall’Ue a Seul: richieste di chiarimenti in tutto il mondo
Le richieste di spiegazioni si moltiplicano in tutto il mondo. «Per il bene dei nostri consumatori e dell’ambiente, abbiamo bisogno di avere la certezza che l’industria rispetti scrupolosamente i limiti sulle emissioni delle auto», è il primo commento ufficiale di Lucia Caudet, Portavoce Ue per il mercato interno. La Francia ha già sollecitato un’inchiesta «a livello europeo» per «tranquillizzare» i cittadini e controllare anche le altre case automobilistiche europee, ha dichiarato il ministro delle Finanze, Michel Sapin. I controlli, secondo Sapin, dovrebbero essere condotti sul territorio europeo, poiché sia il mercato sia le regole sono europee. Richieste analoghe anche dal Regno Unito che si rivolge alla Commissione Ue auspicando l’apertura «con urgenza» di una indagine. Il segretario britannico ai Trasporti, Patrick McLoughlin, ha spiegato che Londra «sta monitorando attentamente la situazione e sta spingendo per un’azione a livello europeo per test più accurati che riflettano le prestazioni su strada». «È importante che il pubblico abbia fiducia nei test sulle emissioni dei veicoli e per questo chiediamo alla Commissione europea di indagare su questo caso trattandolo come una questione di urgenza», ha aggiunto McLoughlin.

Volkswagen, lo scandalo delle emissioni
In Australia il dipartimento del governo che gestisce le verifiche ambientali ha chiesto alla Volkswagen se anche i veicoli venduti nel paese siano equipaggiati con il software «civetta» scoperto negli Stati Uniti. Simile richiesta a Seul dove il ministero dell’Ambiente sudcoreano ha convocato i responsabili del gruppo tedesco per raccogliere informazioni sul caso. Ma non solo. La Corea del sud ha infatti annunciato verifiche su tre dei modelli diesel della casa tedesca. L’indagine nel Paese coreano coinvolgerà tra 4mila e 5mila veicoli Jetta, Golf e Audi A3 prodotti nel 2014 e 2015. Il ministero valuta di richiamare tali veicoli, dopo l’indagine.

Verso l’inchiesta penale: «Volkswagen potrebbe non essere la sola»
Negli Stati Uniti il caso prende connotati penali. Il dipartimento americano di Giustizia sta conducendo un’inchiesta penale su Volkswagen che potrebbe non essere il solo gruppo ad avere barato sulle emissioni in Usa. Per questo le stesse autorità americane sono alla ricerca di altre possibili violazioni. «Non abbiamo intenzione di starcene seduti preoccupandoci che altri abbiano barato. Li scopriremo», ha dichiarato in un’intervista al Wall Street Journal Gina McCarthy dell’Agenzia per la protezione ambientale (Epa). «Al momento stiamo intensificando le nostre attività per capire cosa dobbiamo fare con altri veicoli», ha continuato. L’intento è scovare altri usi del software (soprannominato «defeat device») che permette alle aziende automobilistiche di barare mostrando in fase di test livelli di emissioni inferiori a quelle reali. McCarthy si dichiara, in ogni modo, «felice» che il gruppo tedesco «stia reagendo in modo deciso ammettendo il problema».

Fca Usa, su nostre auto nessun dispositivo simile
In merito ai dubbi avanzati dal dipartimento di giustizia americano, l’unità Usa di Fiat Chrysler Automobiles fa sapere che le sue auto non sono dotate degli stessi dispositivi adottati da Volkswagen cioè del software, presente in 482 mila vetture diesel, che faceva apparire le automobili molto meno inquinanti di quanto fossero in realtà. «Fca Usa - si legge in un comunicato e-mail della compagnia - non usa dispositivi simili». Inoltre Fca Usa fa sapere che sta lavorando in modo ravvicinato con l’Epa e la California Air Resources Board per «assicurare che le sue vetture siano in regola con tutti i requisiti riguardanti le emissioni inquinanti».

22 settembre 2015 (modifica il 22 settembre 2015 | 22:53)
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Da - http://www.corriere.it/economia/15_settembre_22/volkswagen-caso-emissioni-truccate-si-allarga-da-francia-a-australia-b55996b2-6100-11e5-9c25-5a9b04a29dee.shtml
7614  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Federico FUBINI. Soros: Se il premier porta a termine le riforme l’Italia ... inserito:: Settembre 27, 2015, 11:36:18 am
George Soros: «Se il premier porta a termine le riforme l’Italia crescerà più del resto d’Europa»
Il finanziere di origini ungheresi domani incontrerà Renzi a New York: «Il futuro dell’Ue si decide sui migranti: investire nell’accoglienza può dare grandi frutti»


Di Federico Fubini

Dopo la fine della crisi finanziaria in Occidente, a 85 anni George Soros ha smesso di vivere ogni giorno sui mercati. Alla gestione diretta di Quantum, il suo fondo da circa 22 miliardi di dollari, adesso preferisce l’impegno nelle sue fondazioni che aiutano i rifugiati e i migranti in Italia, in Grecia, lungo tutte le rotte dei Balcani e in Ungheria. Si è convinto che le prospettive dell’Europa - inclusa la ripresa dell’economia - si decidano sulle sue capacità di assorbire i nuovi stranieri. Domani lo dirà a Matteo Renzi, quando lo incontrerà a New York.
Dopo gli choc di questi anni, lei crede davvero che l’area euro stia tornando a una crescita solida?
«L’economia europea in effetti sta migliorando, se la ripresa non verrà danneggiata da nuovi episodi di instabilità finanziaria come quelli delle ultime settimane. La mia impressione - dice Soros - è che alla politica monetaria delle banche centrali venga chiesto troppo, più di quanto possa dare. Ci sarebbe bisogno di una politica di bilancio che incoraggi la crescita, eppure questo è esattamente quello che manca».
Vuole dire che i governi dell’area euro dovrebbero gestire i conti con un approccio più espansivo?
«Sì, serve una politica di bilancio espansiva, che sostenga la ripresa. Del resto la soluzione alla crisi migratoria, e persino la soluzione alla crisi ucraina e alla minaccia rappresentata dalla Russia, richiedono che l’Europa faccia degli investimenti seri. Darebbero grandi frutti: accogliere i migranti e i rifugiati e impegnarsi nel garantire loro una sistemazione produrrebbe un effetto molto positivo per l’economia europea. Ma tutto questo implica uno stimolo di bilancio».
Crede che anche l’Italia questa volta riuscirà a partecipare alla ripresa dell’area euro?
«Sinceramente, per le prospettive dell’Italia ho buone speranze. Matteo Renzi è riuscito a introdurre dei cambiamenti importanti nel mercato del lavoro. Adesso sta affrontando il problema dei crediti incagliati e delle sofferenze nei bilanci delle banche, e dopo questo passaggio l’economia italiana potrebbe in realtà crescere più in fretta del resto d’Europa».
Perché dà tanta importanza alla crisi migratoria per la crescita economica?
«In negativo, perché la crisi migratoria minaccia di distruggere l’Unione Europea. Non dimentichiamo che la Ue sta vivendo varie crisi allo stesso tempo e questa è solo una di esse. La Grecia, la guerra in Ucraina, il rischio di uscita della Gran Bretagna dall’Unione e la stessa crisi dell’area euro sono le altre. Angela Merkel ha dimostrato di essere una vera statista, perché ha capito quanto sia critica la questione migratoria. Senza una politica realmente europea su questo fronte, il fatto che ogni Paese si muove per proprio conto potrebbe distruggere l’Unione. Di certo ha già distrutto Schengen, l’accordo sulla libertà di movimento delle persone. E il mercato unico sulla libertà delle merci attraverso le frontiere europee può essere la prossima vittima».
Crede che la soluzione sia un sistema vincolante di quote che distribuisca migranti e rifugiati nei vari Paesi?
«Dobbiamo arrivare a creare una organizzazione europea che cooperi con i vari Stati disposti ad accettare i rifugiati. I dettagli dipenderanno dalla volontà e dalla capacità dei singoli Paesi di assorbire nuovi arrivi. È evidente che quella della Germania è superiore a quelle di Grecia o Ungheria. Ma questa capacità di assorbimento bisogna anche svilupparla. Oggi l’agitarsi più vuoto e inutile mi pare sia in Francia e in Gran Bretagna: per entrambe la capacità di accogliere risulta molto sotto a quanto dovrebbe essere. Anche solo per ragioni demografiche, l’Europa ha bisogno di un milione di nuovi arrivi ogni anno. E i Paesi che ne accoglieranno di più, sono quelli che cresceranno di più in futuro».
Vede una concorrenza fra Paesi europei, quali riescono ad attrarre gli stranieri più qualificati?
«Certamente sì. I siriani che arrivano in Europa tendono a essere istruiti e rappresentano una fonte molto qualificata di lavoro per il futuro. Il perché è ovvio, se ci si riflette: per affrontare il viaggio fino alla Germania questi rifugiati hanno bisogno di un bel po’ di denaro. Ciò significa che è la crema della società siriana che attualmente sta affluendo in Germania. E la Germania è interessatissima ad accoglierli».
Intanto la Grecia è travolta dagli sbarchi. Ritiene almeno che il suo futuro nell’euro sia assicurato?
«Purtroppo il problema greco non è risolto, perché quel Paese ha dovuto accettare condizioni che gli sono state imposte. Non le ha scelte. C’è un atteggiamento ostile in Grecia di fronte all’idea di realizzare davvero quei piani, dunque questa è una ferita che continuerà a infettarsi e a assorbire un sacco di risorse. Molte più di quanto sarebbe giusto».
Cosa intende dire, che la Grecia non va più finanziata?
«Dico solo che l’ammontare speso per la Grecia è almeno dieci volte più vasto di quello speso per l’Ucraina, un Paese che non chiede altro che di avanzare nelle riforme. È un paradosso. C’è un Paese che vuole essere un alleato dell’Europa, ma viene trascurato. E c’è un altro Paese che è un suddito riluttante dell’Europa e riceve francamente, decisamente, troppo».
Suggerisce di spostare risorse e attenzione all’Ucraina?
«Purtroppo gli europei sono stati molto miopi. La nuova Ucraina nata con la rivoluzione di piazza Maidan sarebbe una grande risorsa per l’Europa, investirvi varrebbe veramente la pena. Ma ciò non viene capito e questa totale incomprensione sta mettendo a rischio la sopravvivenza stessa dell’Ucraina, il migliore alleato dell’Europa di fronte alla pressione della Russia putiniana».

26 settembre 2015 (modifica il 26 settembre 2015 | 08:36)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_settembre_26/george-soros-se-premier-porta-termine-riforme-l-italia-crescera-piu-resto-d-europa-0d6deb1e-6417-11e5-a4ea-e1b331475bf0.shtml
7615  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Luigi Ferrarella Trasparenza unico rimedio ai guasti delle intercettazioni inserito:: Settembre 27, 2015, 11:28:14 am
Confronto
Trasparenza unico rimedio ai guasti delle intercettazioni
Decidere cosa è una notizia spetta non alla legge ma ai giornalisti, segnala la Corte di Strasburgo.
Se la delega in bianco al governo promette male, peggio ancora è l’assenza di un diritto di accesso diretto agli atti

Di Luigi Ferrarella

In politica vince chi impone la propria agenda, e perde chi se la fa imporre. Perciò Renzi sta riuscendo a fare sulle intercettazioni quello che non era riuscito a Berlusconi: perché, proprio come l’ex Cavaliere ma senza il suo fardello di processi, sta riuscendo a schiacciare i giornalisti sulla distorta immagine di spioni dal buco della serratura giudiziaria, voyeur sciacalli delle vite degli altri. Aiutato, per paradosso, proprio da chi alimenta questa distorta visione inneggiando all’«intercettateci tutti», flirta con il totalitarismo mentale del «nulla teme chi nulla ha da nascondere», inflaziona il retorico riflesso condizionato della legge-bavaglio, o corre come un bambino dell’asilo a piagnucolare sotto la gonna dei magistrati che «è colpa loro inserire le intercettazioni negli atti».

E più ci si impigrisce a scrivere «spunta il nome di Tizio» o «nelle carte il nome di Caio», e meno risulta credibile la difesa – prima contro i progetti legislativi di Prodi/ Mastella, poi di Berlusconi/Alfano e adesso di Renzi/Orlando - del diritto dei lettori di essere informati anche sui contenuti di intercettazioni e atti non più coperti da segreto, regolarmente depositati, e di rilevanza pubblica non necessariamente solo giudiziaria nè legata soltanto alla posizione degli indagati.

Informare significa non limitarsi al copiaincolla di atti, sforzarsi di restituire al lettore anche il contesto di alcune frasi, estrarre i temi imprescindibili e nel contempo minimizzare i danni per le persone coinvolte, distinguere chi “fa” qualcosa da chi “dice” qualcosa, ed entrambi da chi invece è soltanto evocato da altri.

Ma in questa operazione è esclusivamente il giornalista a doversi assumere la responsabilità (sociale dinanzi ai lettori, prima ancora che penale davanti alle querele) di decidere che cosa sia notizia di interesse pubblico da trattare secondo deontologia e già vigenti regole della privacy: senza che il concetto di rilevanza di una notizia possa essere fatto dipendere solo dal suo peso giudiziario, e tantomeno delegato alla selezione della politica tramite una legge, o al filtro dei procuratori tramite una procedura, o al setaccio degli avvocati attraverso le relazioni con le imprese, i partiti e le persone loro clienti (con il risultato pratico di creare se va bene una casta di “iniziati”, e se va male un potenziale arsenale di piccoli e grandi segreti scambiati al mercato nero dei ricatti).

Che questa non sia una arrogante pretesa dei giornalisti lo si ricava dalla casistica delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Per essa, infatti, il diritto di dare e di ricevere informazioni – in bilanciamento con i diritti all’onore, alla reputazione, alla riservatezza e al giusto processo – è certamente un diritto condizionato, che cioè ammette interferenze da parte di uno Stato, ma solo alla duplice condizione che esse siano «necessarie in una società democratica » e «proporzionate»: nel contributo a temi di dibattito generale, «ciò che è di interesse generale dipende dalle circostanze del caso concreto» (sentenza Axel Springer contro Germania 2012), non spetta ai giudici nazionali sostituirsi ai giornalisti nell’indicare le modalità con le quali scrivere gli articoli (Marques da Silva contro Portogallo 2010), e un Paese può essere condannato nel caso in cui i suoi giudici nazionali «in modo sorprendente» riversino sul giornalista l’onere di provare l’interesse pubblico di una notizia (Kydonis contro Grecia 2009).

Ha dunque poco senso asserragliarsi nella trincea del rintuzzare preventivamente l’incongruenza spicciola di questa o quella norma futuribile, peraltro a tutt’oggi confusamente destinata a riempire una legge-delega ieri data dalla Camera totalmente e assurdamente in bianco al governo, mentre da ribaltare è l’agenda pubblica sottostante a questo primo voto in Parlamento: espresso peraltro con l’autorevolezza che contraddistingue partiti appena autoabbuffatisi di finanziamenti pubblici 2013-2014, nonostante l’apposita Commissione di Garanzia abbia attestato di non essere stata messa in condizione di verificare la trasparenza minima di molti dei precedenti bilanci di partito.

Rovesciare l’agenda: a cominciare dal fatto che Parlamento e Governo - tanto smaniosi di discettare di privacy quanto curiosamente àfoni ad esempio sui finanziatori di cene elettorali dietro il ridicolo alibi proprio della privacy dei donatori - mettono mano alle intercettazioni ma ancora non dotano l’Italia di un effettivo diritto di accesso generalizzato alle informazioni pubbliche (anche in assenza di un interesse giuridicamente legittimante richiesto invece come requisito dalla legge 241 del 1990): lo statunitense «Freedom of Information Act» è un modello ormai patrimonio di moltissime nazioni dalla Finlandia sino al Rwanda, ma lontano anni luce dalla finta imitazione del governo Monti nel 2013 o dal pallido emendamento alla riforma Madia della P.A. pensato solo per gli archivi pubblici di cui però sia già prevista come obbligatoria la pubblicazione.

Più informazioni diventasse legittimo attingere, infatti, e più si sgonfierebbe l’esasperata attenzione a quei brandelli di verità afferrati talvolta tra le righe delle intercettazioni. Perché anche per esse, come più in generale per gli atti giudiziari, l’unico realistico efficace rimedio ai guasti del «Far West» giornalistico sarebbe non iniettare una maggiore dose di segreto, ma al contrario riconoscere ai giornalisti e disciplinare un accesso diretto e trasparente ai medesimi atti man mano già depositati alle parti: le quali verrebbero tutelate - nella loro dignità di persone e nella loro posizione di indagati/ testimoni/vittime - da un meccanismo di lecita e sorvegliata disponibilità, alla luce del sole, molto più che dagli spizzichi e bocconi dell’odierna clandestinità, del (finto) proibizionismo, e della babele di pseudo-fonti giornalistiche tutte per definizione non disinteressate.

lferrarella@corriere.it
23 settembre 2015 (modifica il 23 settembre 2015 | 09:27)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_23/informazione-che-puo-battere-far-west-segreti-a6a6d0e6-61bc-11e5-a22c-898dd609436f.shtml
7616  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Michele SALVATI - MATTEO RENZI Un politico abile o uno statista? ... inserito:: Settembre 27, 2015, 11:26:40 am
MATTEO RENZI

Un politico abile o uno statista? Dipende dalla classe dirigente
L’ex sindaco di Firenze è riuscito ad aprire il partito all’esterno. La sfida è trasmettere ai militanti lo spirito delle sue riforme. Il tempo dirà se siamo di fronte a un nuovo Giolitti o De Gasperi

Di Michele Salvati

A giudicare dalle ultime mosse, è probabile che la partita a scacchi sul Senato si concluderà con una sostanziale vittoria del presidente del Consiglio, il quale porterà a casa i risultati cui maggiormente tiene: esclusione del Senato dal circuito fiduciario ed elezioni di secondo grado per i suoi membri.

Nel merito si poteva far meglio, ma il clima esasperato del dibattito — uno scontro all’ultimo sangue pro o contro Renzi, il «Renzi Sì / Renzi No» di cui dicevo in un precedente articolo — ha impedito la discussione pacata che l’argomento avrebbe meritato. In queste condizioni di tensione l’esito era prevedibile: come scacchista, come tattico-politico, Matteo Renzi non ha rivali, e probabilmente riuscirà anche ad evitare (per ora) una scissione seria nel Partito democratico. La domanda vera va però oltre la partita del Senato ed è di natura più generale: oltre a vincere, Renzi riesce anche a convincere?

Nessuno dubita delle sue qualità come politico puro. Ma è anche un uomo di Stato, con una visione al tempo stesso attraente e realistica del Paese che intende guidare nella difficile strada che lo dovrebbe condurre fuori dal declino? Le riforme che ha fatto, impostato o promesso sono passaggi necessari per procedere su questa strada? Non basta infatti sgolarsi a ribadire il proprio ottimismo, la fiducia nelle magnifiche sorti e progressive dell’Italia: questo è parte dell’armamentario populista standard di cui la politica democratica deve oggi avvalersi e somiglia non poco all’«Allegria, allegria!» che Berlusconi aveva preso in prestito da Mike Bongiorno.

Bisogna anche essere consapevoli delle difficoltà che si frappongono al tentativo di riportare il nostro Paese sulla strada di crescita e di modernizzazione che aveva imboccato nel primo dopoguerra, fino a metà degli anni 60, e che poi classi dirigenti inadeguate gli hanno fatto smarrire. Sarà in grado Renzi, come Giolitti alla fine dell’800 e De Gasperi in questo dopoguerra, di assecondare una grande ondata di modernizzazione e con essa la crescita di una «classe dirigente adeguata», come l’avrebbe definita Raffaele Mattioli?

Una risposta negativa a questa domanda non proviene solo da coloro che hanno un ovvio interesse a darla, dai politici degli altri partiti o da quelli che Renzi ha spodestato nel proprio. Proviene anche da osservatori e commentatori «indipendenti» che, immagino, troveranno stravagante il confronto tra i grandi statisti appena ricordati e un baldanzoso giovanotto fiorentino privo dello spessore culturale e della gravitas che essi ritengono connaturati a un vero uomo di Stato.

Ovviamente quel confronto è una provocazione, anche perché in quale misura un politico abbia le qualità di statista lo si può decidere solo dopo molto tempo, alla luce degli effetti che i suoi governi hanno prodotto. Una provocazione che esprime però un serio invito a sospendere il giudizio. Non è escluso, anzi, data la difficoltà del compito, è perfettamente possibile che l’esperimento vada a finir male; ma inviterei a riflettere sulle straordinarie innovazioni che Renzi ha introdotto nella politica italiana, specie in quella di sinistra. Ha trasformato un partito tutto rivolto al proprio interno, agli equilibri tra le due componenti ideologiche che conteneva, ex comunista e democristiana di sinistra, in un partito rivolto all’esterno, alla conquista di tutti gli elettori convinti dal suo messaggio sull’Italia. Non un tradizionale messaggio di sinistra: in esso si coniugano equità ed efficienza, ma con una forte accentuazione di quest’ultima. E ciò è inevitabile in un Paese a modernizzazione incompleta come il nostro, dove buona parte dei problemi più spinosi non sono affrontabili con le categorie di destra e sinistra: è questo che ha colto bene Carlo De Benedetti in una intervista rilasciata a Il Foglio il 18 settembre scorso.

Tutto ciò detto, sono d’accordo anch’io che un po’ più di gravitas e spessore non guasterebbero, se non vanno a discapito della capacità di raccogliere consenso. E soprattutto il programma di riforme andrebbe spiegato al partito, inserendolo in una narrativa che sottolinei le continuità e giustifichi le differenze con la sinistra tradizionale, che spieghi quanto essa deve cambiare affinché ciò che è essenziale non cambi, affinché possa sopravvivere in un Paese con gravi arretratezze strutturali, in una situazione economica difficile, attraversato da flussi migratori inarrestabili e in un contesto di egemonia mondiale neoliberale.

Solo se questa narrazione viene fatta propria da gran parte dei dirigenti e dei militanti si attenueranno le guerre di religione interne che hanno reso così faticosa l’approvazione delle riforme del governo, pur deliberate a grande maggioranza dagli organi di partito.

24 settembre 2015 (modifica il 24 settembre 2015 | 08:47)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_24/politico-abile-o-statista-dipende-classe-dirigente-ef1d8d5a-6285-11e5-95fc-7c4133631b69.shtml
7617  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MICHELE AINIS. L’intesa sulla riforma del Senato Un passo in avanti e tre dubbi inserito:: Settembre 27, 2015, 11:24:33 am

L’intesa sulla riforma del Senato
Un passo in avanti e tre dubbi
Di Michele Ainis

«E tu, donna, partorirai figli con dolore» (Genesi, 3, 16). Vale per le creature umane, vale per un’istituzione femminile che si chiama Repubblica italiana. Solo che nel primo caso la gravidanza dura nove mesi, nel secondo ne sono trascorsi già diciotto. Nel frattempo la riforma costituzionale è alla terza lettura, ne mancano altre tre. Dopo l’accordo politico di ieri, tuttavia, il parto s’avvicina. Ed è un bene, perché una gestazione troppo prolungata rischia d’uccidere il bambino. Ma con quali sembianze s’affaccerà al mondo il pargoletto?

Diciamolo: decisamente più aggraziate rispetto all’ultima ecografia, e anche rispetto alla penultima. Gli emendamenti concordati recuperano il ruolo di garanzia del Senato, quantomeno rispetto all’elezione dei giudici costituzionali. Gli assegnano funzioni di controllo, che si erano perse un po’ per strada. Ne fanno un organo di raccordo sia verso il basso (le Regioni) sia verso l’alto (l’Europa). Infine introducono il principio dell’elettività dei senatori, sia pure con modalità da precisarsi in una legge successiva. Questo giornale l’aveva chiesto con un editoriale del proprio direttore (21 settembre). E soprattutto lo chiedeva il 73% degli italiani, come attesta il sondaggio Ipsos pubblicato il 16 settembre dal Corriere.

Diciamolo di nuovo: è un bel passo in avanti. Dimostra che anche Renzi l’inflessibile sa essere flessibile, quando serve per incassare un risultato. Lui stesso, d’altronde, ha ricordato che il testo originario del governo ha già subito 134 modifiche, nel ping pong fra Camera e Senato. Però non è finita, non ancora. E il lieto fine reclama ulteriori aggiustamenti su tre aspetti.

Primo: il metodo. Fin qui abbiamo assistito a un match di pugilato fra maggioranza e minoranza del Pd. Ora i due pugili si sfilano i guantoni, evviva. Ma in Parlamento non abita il partito unico fascista, ci sono pure gli altri. E andrebbero ascoltati, coinvolti, valorizzati. Sia perché la riscrittura della Costituzione esige il massimo sforzo per ottenere il massimo consenso. Sia per evitare ostruzionismi devastanti. Qualche contatto in più con gli esponenti della Lega, per esempio, ci avrebbe forse risparmiato il Carnevale degli emendamenti (85 milioni) allestito da Roberto Calderoli.

Secondo: le forme. Perché in ogni testo normativo i principi vanno poi tradotti in commi, e i commi si dislocano all’interno degli articoli. Se un comma è fuori posto, se un articolo è mal scritto, allora il principio resta informe, oppure si converte in una maschera deforme. È quanto rischia d’accadere con l’emendamento sull’elettività dei senatori: un unico periodo di 48 parole, e con due sole virgole. Prima di recitarlo bisogna fare un bel respiro. Per piacere, fate in modo che la Costituzione italiana sia scritta in italiano.

Terzo: i vuoti. Rimangono omissioni, lacune da colmare. Quanto al rafforzamento degli istituti di democrazia diretta, per esempio; e sarebbe anche un’occasione per tirare dentro i 5 Stelle. Quanto all’elezione del capo dello Stato: dal settimo scrutinio bastano i tre quinti dei votanti, anche se vota una sparuta minoranza. Quanto all’ iter legis, dove serve una cura dimagrante, perché dieci procedimenti legislativi sono davvero troppi. Quanto alla linea di confine tra materie statali e regionali, dato che in questo campo ogni pasticcio genera un bisticcio. Non è un’impresa erculea, ci si può riuscire. E se si può, si deve.

michele.ainis@uniroma3.it

24 settembre 2015 (modifica il 24 settembre 2015 | 09:01)
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/15_settembre_24/riforma-senato-editoriale-ainis-03031bf8-6279-11e5-95fc-7c4133631b69.shtml
7618  Forum Pubblico / LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. / ICR con ARLECCHINO nella Vita e nella Politica "politicata". inserito:: Settembre 27, 2015, 11:13:57 am
Sto riflettendo su che titolo dare a una eventuale nuova realtà di comunicazione, dopo l'esperienza lunga (quasi 15 anni) di - ulivo.it - divenuto poi - il forumista.it -

Arlecchino (con o senza Batocio) è nato come nick name per rappresentare l'uomo comune chiamato, da persone amiche, ulivisti con Prodi, all'impegno socio-politico nella rete.

ICR IMMAGINARE CONOSCERE REALIZZARE, invece, nasce dalla mia concreta esperienza nel mondo del Marketing nella produzione industriale e della PMI.

Oggi il mio "ragionare" verte sulla ricerca di un gruppo di persone (giovani e meno giovani) con cui realizzare una "redazione" che sappia farsi carico nella gestire di un sito in cui la libera e indipendente comunicazione sia utile al lettore per essere più consapevole delle "cose" che lo circondano nella vita sociale e nella politica (politicata = politica praticata).

Vi dirò se ci si riesce.

ciaoooooooo
7619  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Danilo TAINO Volkswagen, i timori della Germania inserito:: Settembre 23, 2015, 04:19:01 pm
Il caso
Volkswagen, i timori della Germania
Lo scandalo auto imbarazza Berlino, ma se il governo ne era al corrente si appanna anche l’immagine del Paese garante della stabilità europea

Di Danilo Taino


Pare dunque che il governo di Berlino sapesse che qualcosa non funzionava nei test sulle emissioni delle auto tedesche. Quei test che, per sua stessa ammissione, sono stati usati dalla Volkswagen per ingannare le autorità di controllo ambientale americane e fare credere loro che i gas di scarico fossero meno tossici di quanto effettivamente erano.

Ieri sera il quotidiano Die Welt ha rivelato una risposta scritta del ministro dei Trasporti Alexander Dobrindt a un’interrogazione dei Verdi del 28 luglio scorso. Nell’interpellare il ministro, i deputati ecologisti chiedevano spiegazioni sul meccanismo che consente ad alcune case automobilistiche di ridurre il livello di emissioni durante i test rispetto a quella che è la realtà su strada. La risposta pare sia stata non una negazione del fatto ma che egli condivideva l’idea della Ue secondo la quale la pratica non fosse stata finora «applicata in modo estensivo». In realtà, ieri, Volkswagen ha comunicato di avere installato l’apparecchiatura ingannevole su 11 milioni di auto. Dobrindt aggiungeva che il governo tedesco avrebbe lavorato in collaborazione con Bruxelles per migliorare la situazione. Scoppiato lo scandalo, lunedì ha annunciato una commissione d’inchiesta.

Al momento non è dato sapere se gli elementi a conoscenza del governo tedesco fossero tali da fare ritenere che si fosse in presenza di un raggiro. Le idee gli sono però state chiarite dall’Epa, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente americana, che ha ordinato alla Volkswagen di ritirare 500 mila auto diesel e che, assieme al dipartimento della Giustizia, sta aprendo una procedura criminale contro la Volkswagen. Se si tratti di connivenza o di leggerezza del governo di Berlino sarà da vedere. Entrambi i casi, però, rivelano una tendenza a volere la Germania come sistema chiuso e protetto, nel quale i grandi gruppi industriali (e dei servizi) godono come minimo dell’occhio benevolo del sistema politico. Il fatto che una truffa di questa portata, che tra l’altro fa vacillare il primo gruppo industriale del Paese, sia stata rivelata in America e non in casa deve fare arrossire.

Alla base, c’è un’idea che somiglia a quella di Fortezza Germania. Tanto è liberale nella macroeconomia, sul non volere andare in deficit di bilancio, quanto il governo di coalizione è chiuso e spesso protezionista nella difesa dei suoi campioni nazionali. Di tutti quelli dell’industria auto, per i quali Angela Merkel ha fatto una pesante lobby a Bruxelles affinché le emissioni delle auto di alta cilindrata, cioè tedesche, fossero poco penalizzate. Di altri campioni dell’ingegneria e della chimica, che la cancelliera porta in giro per il mondo nei suoi viaggi «commerciali». Ma soprattutto nei servizi, dai trasporti al commercio, dalle assicurazioni alle poste, la protezione di

Stato rimane elevatissima. Il sistema di governance delle grandi imprese, centrato sulla codeterminazione con i rappresentanti sindacali, chiude il cerchio di un sistema poco trasparente, fondato sui rapporti di potere e suscettibile di commettere errori e addirittura reati in quanto non controllato dal pubblico e dai mercati ma da una sorta di Grande Coalizione degli interessi che tiene insieme business, politica nazionale e locale, sindacati, finanza.

Negli anni passati, gli scandali hanno spesso scioccato l’opinione pubblica tedesca che, in fatto di corruzione, riteneva le sue imprese più bianche della neve. La Volkswagen visse una decina d’anni fa lo scandalo di manager che rifornivano alcuni membri sindacalisti del consiglio di sorveglianza del gruppo con denaro e prostitute munite di Viagra. In cambio di voti nel consiglio stesso, nel quale i rappresentanti dei lavoratori hanno la metà delle poltrone, in ossequio al modello della codeterminazione. La Siemens, altro campione nazionale, meno di dieci anni fa ha dovuto affrontare una gravissima crisi perché suoi dirigenti corrompevano all’estero e in casa (ancora sindacalisti). Deutsche Telekom, Deutsche Post, Deutsche Bahn, Lufthansa - con rapporti strettissimi col governo se non controllate - si permettevano di spiare dipendenti, giornalisti, sindacalisti o membri dei loro consigli di amministrazione. L’elenco sarebbe lungo ma sempre riporta a imprese protette dallo Stato, poco visibili ai mercati e quindi non controllate, convinte di potere fare ciò che vogliono, anche sciocchezze. Che possono essere monumentali, come sta imparando la Volkswagen.

@danilotaino
23 settembre 2015 (modifica il 23 settembre 2015 | 09:24)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/15_settembre_23/volkswagen-timori-germania-6f6ce1dc-61bd-11e5-a22c-898dd609436f.shtml
7620  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Irene BUSCEMI. Comitato No nel referendum costituzionale: ‘Noi vecchi professori inserito:: Settembre 23, 2015, 04:16:40 pm
23 settembre 2015 |
Di Irene Buscemi

Ddl penale, deputati M5S si imbavagliano: “Dov’è finita la sinistra dei girotondi?”

La Camera approva il ddl riforma del processo penale, che contiene anche la delega al governo sulle intercettazioni, tra le proteste del M5S. I deputati si sono imbavagliati mostrando il cartello “Legge Bavaglio”. “Così zittite tutti. Non solo i giornalisti, ma i cittadini.

Queste sono le priorità del governo Renzi: non l’occupazione, il reddito di cittadinanza, ma difendere la casta”, ha spiegato il deputato M5S Vittorio Ferraresi nella dichiarazione di voto contrario.

Poi ha aggiunto: “Dove è finita la sinistra dei girotondi? Ora sta facendo quello che Berlusconi non è mai riuscito a fare”

Da - http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/09/23/ddl-penale-deputati-m5s-si-imbavagliano-dove-finita-la-sinistra-dei-girotondi/417542/
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