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7576  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Manipolazione e falsificazione delle fonti, il solito metodo del giornalismo... inserito:: Ottobre 08, 2015, 11:50:28 am
Ops, Travaglio si è arrabbiato: ora la contraerea è puntata su di noi
Il Fattone   
Marco Travaglio al convegno "Partiti per le tangenti", Milano, 20 ottobre 2014.

ANSA/DANIEL DAL ZENNARO   

Manipolazione e falsificazione delle fonti, il solito metodo del giornalismo come lo intendono al Fatto

Eh sì, doveva succedere ed è successo: è bastata una settimana di Fattone e il Fatto ha attivato la contraerea con un editoriale significativamente intitolato “Rondolingua”. Signori si nasce e Travaglio, modestamente, lo nacque. Se ne parlo qui non è per litigare – Travaglio mi fa tenerezza, come quei bambini caratteriali che richiamano l’attenzione degli adulti buttandosi per terra, quando basterebbe una carezza per mandarli a letto felici – ma perché l’articolo di oggi è un esempio perfetto di manipolazione e falsificazione delle fonti e, in quanto tale, illumina alla perfezione il giornalismo (absit injuria verbis) praticato dal Fatto.

Per dimostrare che cambio continuamente idea – anzi, precisa Travaglio, che sono “sempre a favore del padrone di turno” – il Nostro cita un gran numero di articoli. Vediamoli.

“Nel 2006 – scrive Travaglio – lavora a Canale5 e dunque si lancia sul Foglio in un peana al ‘gruppo dirigente Mediaset’ che tutti ‘dovrebbero ringraziare’”. Non lavoravo affatto a Canale5 e avevo invece scritto questo: “Se non si vuole ringraziare il gruppo dirigente di Mediaset, si potrà almeno ringraziare il libero mercato. Adesso però, e in modo paradossalmente convergente, sia Prodi sia Berlusconi sembrano voler schiantare quell’azienda, e non importa se piegandola ai propri voleri o delegittimandone la funzione. Insomma, e non suoni troppo paradossale: bisogna difendere Mediaset. Da Prodi e da Berlusconi”.

“Nel 2011 – scrive Travaglio – scrive sul Giornale e si bagna tutto: ‘Più volte Berlusconi ha ricordato la gioia che suo padre portava in casa come se avesse il sole in tasca’”. Ma il pezzo proseguiva così: “Quando Berlusconi racconta barzellette che non fanno ridere nessuno, è perché ha tirato il sole fuori dalla tasca. Quando si fa riprendere in mezzo ad una piccola folla urlante, davanti a quel Palazzo di Giustizia che gli italiani hanno conosciuto grazie ai tg Mediaset, cessa di essere il leader dei moderati e dei radicali (il suo capolavoro politico) e diventa un qualunque moderato radicale. Quando si autointervista a reti unificate con il simbolo di un partito dietro le spalle – e che importa se è il suo – tradisce simbolicamente i suoi elettori per confondersi con un qualunque capopartito”.

“Lui intanto – scrive Travaglio – fonda con Velardi il blog TheFrontPage, che insulta D’Alema (‘fanatismo del tono, approssimazione nell’analisi, balbuzie strategica’)”. Il pezzo però non è mio, ma di Antonio Funiciello: a FrontPage usavamo pubblicare libere opinioni di uomini liberi.

“Poi però – scrive Travaglio – Matteo perde le prime primarie e a Rondo piace un po’ meno: ‘Renzi fa peggio della Prima repubblica: partito per rottamare un’intera classe dirigente, si appresta a condividere con essa una quota di potere’”. Il pezzo, peraltro scritto prima dei risultati delle primarie, continuava però con queste parole: “Ma è davvero così? È Renzi ad aver scelto l’accordo più o meno sottobanco, o è il corpaccione del Pd che l’ha obbligato ad un oggettivo passo indietro? […] Lo scopo è quello di rassicurare l’opinione pubblica più vicina al Pd, bombardata ogni giorno dalle accuse che i bersaniani di ogni rito scagliano contro Renzi, fino a dipingerlo come un corpo estraneo, o persino come la quinta colonna dell’intramontabile diavolo Berlusconi. […] È questo ventre molle del partito, stratificatosi negli anni e abituato alla cooptazione e al compromesso, che ha frenato la corsa di Renzi fino ad imporgli il cambio di passo. Domenica conosceremo il risultato. Il sindaco di Firenze, però, sembra essersi già preparato alla sconfitta: ‘Cercherò di avere un po’ di spazio – ha detto ieri nel famoso fuorionda radiofonico – ma io non mi faccio comprare’”.

Capito come lavora Travaglio?

Da - http://www.unita.tv/opinioni/ops-travaglio-si-e-arrabbiato-ora-la-contraerea-e-puntata-su-di-noi/
7577  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Stefano FOLLI. - Rai, il format di Palazzo Chigi inserito:: Ottobre 08, 2015, 11:48:34 am
Rai, il format di Palazzo Chigi

Di STEFANO FOLLI
30 settembre 2015

LE STRATEGIE politiche non si riflettono solo nelle grandi scelte, tipo la riforma del Senato e il conseguente referendum finale, concepito già oggi come momento di consacrazione del leader e del suo partito. Anche gli episodi minori sono significativi e talvolta assai rivelatori. È il caso del duro attacco mosso sul "Corriere della Sera" da un parlamentare del Pd, Anzaldi, alla terza rete della Rai e al Tg3. L'accusa è di non essersi accorti che a Palazzo Chigi tutto è cambiato e che Renzi è diverso dai suoi predecessori figli della tradizione comunista o post-comunista. Un tempo si diceva TeleKabul, oggi il tono non è meno aspro. La differenza è che una volta il maggiore partito della sinistra difendeva TeleKabul, mentre oggi l'offensiva viene da ambienti vicini al presidente del Consiglio che è anche segretario del Pd. Al punto che un altro parlamentare, questa volta anonimo, parla della necessità di usare "il lanciafiamme" per abbattere le resistenze di quei conservatori di Saxa Rubra.

Qualcuno aggiunge che i programmi della terza rete spesso sono brutti e non si può abolire il diritto di critica, nemmeno se viene esercitato dai parlamentari. Il che è un argomento sbagliato alla radice. E non si può ignorare che poche ore prima il governatore della Campania, De Luca, si era lanciato in un'arringa verso le stesse trasmissioni con un linguaggio ben più violento di Anzaldi, senza suscitare particolare indignazione. Giorni fa, come è noto, lo stesso presidente del Consiglio non aveva lesinato giudizi pesanti su certi "talk show" a suo dire troppo spostati a sinistra e come tali in perdita di ascolti. Peccato che non sia compito suo o dei sui collaboratori valutare i programmi televisivi e nemmeno reclamare una linea più o meno ottimista, più o meno comprensiva verso il governo. La verità è che la relazione fra stampa e potere è come sempre lo snodo cruciale per capire un passaggio politico. In questo caso la progressiva trasformazione del Pd nel partito di un leader risoluto e poco propenso alle mezze misure. Sia che si tratti di riforme costituzionali sia che il tema coinvolga l'informazione del servizio pubblico. Sul quale peraltro governo e maggioranza si sono garantiti un sicuro controllo istituzionale, senza che sia indispensabile ricorrere alle invettive peroniste.

Il faro resta l'opinione pubblica, che Renzi è certo di conoscere e interpretare come nessun altro. E l'opinione pubblica, si ritiene a Palazzo Chigi, è favorevole ai metodi sbrigativi quando c'è da smantellare vecchie trincee e consolidate rendite di posizione. Perché è evidente che Renzi giudica la minoranza del Pd e tutto quello che ne deriva, compreso — a torto o a ragione — il mondo del Tg3, un residuo del passato senza veri legami con la società italiana di oggi. Per cui la frase rivolta ai sindacati dopo lo sciopero degli impiegati del Colosseo («la musica è cambiata») resta emblematica di un modo di rivolgersi al Paese. Le mediazioni, semmai, riguardano altri terreni: la politica economica, le pensioni, le tasse.

Ma nel fondo il messaggio è esplicito: il Pd così com'è non serve più; e non servono nemmeno le sue storiche propaggini nell'informazione di Stato. Ne deriva che la prospettiva può essere solo plebiscitaria: la vittoria personale del leader coincide con il trionfo del "partito della nazione". Che è tale proprio perché rispecchia fino in fondo il leader. I poli sono destinati a «disaggregarsi per poi riaggregarsi in forme nuove», dice il nuovo alleato Verdini, riecheggiando in modo inconsapevole una celebre frase di Moro. Ma Verdini pensa alla disgregazione di Forza Italia da ricomporre nel partito egemone di Renzi. E la sinistra? Nella concezione renziana o si converte o è, appunto, residuale. Tuttavia non è spinta verso la scissione, a meno che per scissione non si intenda la fuoriuscita alla spicciolata, inoffensiva, dei Fassina e dei Civati. Sullo sfondo la Rai è come sempre lo specchio privilegiato di una certa concezione del potere. Oggi la si vuole funzionale a un cambio di stagione politica, quasi come accadde ai tempi di Berlusconi. Quando invece Renzi prometteva di essere alternativo, nel merito e nel metodo, al suo predecessore.

© Riproduzione riservata
30 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/09/30/news/rai_il_format_di_palazzo_chigi_che_assomiglia_a_telekabul-123964541/?ref=fbpr
7578  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Putin apre ai raid anti Isis. (Furbo il Putin)... inserito:: Ottobre 08, 2015, 11:46:28 am
Putin apre ai raid anti Isis.
Obama: Siria, lavorare con Russia e Iran con le analisi

di Alberto Negri e Ugo Tramballi
29 settembre 2015


L’importante incontro Obama-Putin si è svolto nella notte ora italiana, mentre in Siria cadevano le bombe francesi: attacchi aerei che Mosca ha definito «illegittimi». Il bilaterale è stato preparato dai capi delle due diplomazie, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov e il Segretario di Stato John Kerry. «Il colloquio con Obama è stato sorprendentemente franco, costruttivo. Possiamo lavorare insieme. Eventi come questi sono utili, informali e produttivi». Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin in una conferenza stampa con i media russi. Putin ha respinto gli appelli dei leader Usa e francese alle dimissioni del presidente siriano Bashar al-Assad. «Obama e Hollande non sono cittadini siriani. Non possono decidere sul futuro del Paese», ha poi aggiunto il presidente russo Vladimir Putin, che tuttavia non ha escluso la possibilità che la Russia si unisca ai raid aerei contro l’Isis in Siria. «Ogni nostra azione sarà fatta solo se in linea col diritto internazionale. Ma ne abbiamo parlato. Ci stiamo pensando e non escludiamo nulla».

La giornata di ieri
Gli Stati Uniti non vogliono tornare alla Guerra Fredda, non possono risolvere «i problemi del mondo da soli» e per porre fine alla guerra in Siria sono disposti a «lavorare con Iran e Russia». Lo ha dichiarato il presidente americano Barack Obama nel suo intervento alla settantesima Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. L’accordo sul nucleare iraniano, spiega Obama, «è un esempio della forza di questo approccio internazionale che evita guerre».

Un’apertura a collaborare con Vladimir Putin che non è più tale quando Obama affronta un’altra crisi: «L'America ha pochi interessi in Ucraina. Riconosciamo la profonda e complessa storia fra Russia e Ucraina ma non possiamo» restare a guardare quando «la sovranità e l'integrità territoriale sono violati in modo flagrante» afferma Obama, e sottolinea «quanto è accaduto in Ucraina, può accadere in qualsiasi altro paese. Questo è alla base delle sanzioni che gli Stati Uniti e i nostri partner hanno imposto alla Russia. Non c’è desiderio di tornare alla Guerra Fredda».

Quello che è certo - oggi che all’Onu tiene banco la guerra che insanguina la Siria dal 2011, «il» problema di politica estera del presidente Obama - è che a Damasco non si può tornare «all’era Assad pre-guerra», dice il presidente americano. Insomma, le cose devono cambiare «siamo pronti a lavorare con Russia ed Iran per porre fine alla guerra in Siria». «Bashar Al Assad - dice Obama all’Onu - ha brutalizzato il suo popolo: una soluzione in Siria deve essere la transizione da Assad a un nuovo leader».

Putin, per lotta a Isis coalizione come contro Hitler
In questo senso Obama sembra avere un interlocutore a Mosca. Per la seconda volta in un mese Putin ha preso infatti l’iniziativa sulla Siria chiedendo una coalizione anti-Stato Islamico. Per combattere l'Isis, ha dichiarato il presidente russo nel suo intervento all’Onu, «occorre una coalizione internazionale come quella che si creò contro Hitler durante la Seconda Guerra mondiale.

Putin a Obama, irresponsabile armare terroristi
Nel suo discorso all'Assemblea generale dell'Onu, il presidente russo ha sottolineato anche che «è pericoloso dare le armi ai ribelli e giocare con i terroristi». «È irresponsabile» manipolare gruppi estremisti, ha aggiunto Putin, con un chiaro riferimento alla politica di Obama in Siria.

Ucraina lascia sala durante discorso Putin
Intanto, durante l'intervento del presidente russo, la delegazione ucraina ha lasciato in segno di protesta la sala dell'assemblea generale dell'Onu. Ieri tutti i membri della delegazione russa tranne uno erano usciti dalla sala durante il discorso del presidente ucraino Petro Poroshenko a un summit sullo sviluppo sostenibile.

Hollande: Assad deve lasciare
La Francia è pronta a lavorare con Russia e Iran per mettere fine al conflitto siriano, ma Teheran e Mosca devono comprendere che il presidente Bashar al-Assad non può essere parte della transizione politica nel Paese. «Russia e Iran hanno detto che vogliono essere maggiormente coinvolti nella soluzione politica. Dobbiamo lavorare con questi Paesi ma questa transizione deve avvenire senza Assad», ha spiegato il presidente Francois Hollande.

Cameron: Assad a processo anche se coinvolto in transizione
Sulla crisi siriana si è espresso anche il premier britannico, David Cameron, parlando con i giornalisti a margine dell'Assemblea generale dell'Onu. Il presidente siriano Assad, ha detto, dovrà essere processato per i crimini commessi contro il suo Paese anche nel caso in cui dovesse essere coinvolto in un governo di transizione imposto dalla comunità internazionale.

Migranti, Obama cita Papa Francesco
Infine, sul tema dei migranti, nel suo discorso all’Onu oggi il presidente Obama ha affermato che risolvere questo problema vuol dire «risolvere un problema di sicurezza globale». Poi un’ammissione. «Non importa quanto possa essere potente il nostro esercito, forte la nostra economia, gli Stati Uniti non possono risolvere i problemi del mondo da soli». Lezione, dice Obama, che gli Stati Uniti hanno imparato, a caro prezzo, con la guerra in Iraq. Nonostante le centinaia di migliaia di soldati inviati a combattere e «i trilioni di dollari spesi» nella guerra voluta da George Bush, che Obama ha concluso, gli Stati Uniti hanno capito che non si possono risolvere i conflitti «senza lavorare con gli altri». (an. man.)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-09-28/siria-ban-attacca-consiglio-onu-quattro-anni-paralisi--154651.shtml?uuid=ACXGP85&cmpid=nl_7%2Boggi_sole24ore_com
7579  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Caterina Malavenda. Intercettazioni, nessun segreto se c’è il diritto di cronaca inserito:: Ottobre 08, 2015, 11:44:16 am
UNA PROPOSTA AL MINISTRO
Intercettazioni, nessun segreto se c’è il diritto di cronaca
La legge sulla divulgazione delle conversazioni dovrebbe tenere conto che il giornalista può scegliere cosa pubblicare.
È il giudice che deve valutarne la correttezza se la persona coinvolta lo chiede.

Di Caterina Malavenda
Avvocato esperta in diritto dell’informazione

Caro direttore, la Camera ha approvato la legge che delega il governo, fra l’altro, a riscrivere le norme sulla divulgazione delle intercettazioni «avendo speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale», legge che passa ora all’esame del Senato.

I più hanno paventato si tratti di un bavaglio per l’informazione, in misura minore hanno plaudito alla stretta sulla «libertà di sputtanamento», un modo elegante per indicare la pubblicazione di conversazioni a volte davvero irrilevanti.

E c’è stato chi ha evidenziato, con competenza e una certa fondatezza, possibili profili di incostituzionalità. Il governo non ha replicato nel merito, consapevole com’è che, fra qualche giorno, l’attenzione di gufi e detrattori, ma anche quella di simpatizzanti ed estimatori, verrà calamitata da altri provvedimenti, che alimenteranno nuove polemiche.

E, tuttavia, al ministro Orlando, giurista e persona perbene, è scappato un commento che lascia intendere più di quanto probabilmente non volesse: «Non vogliamo mettere il bavaglio, piuttosto vogliamo chiudere il buco della serratura. Dal buco della serratura bisogna guardare solo quanto è funzionale all’interesse collettivo». E se il buco della serratura è quello che restituisce il «materiale intercettativo» — brut ta espressione per indicare l’insieme delle «comunicazioni e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione», prima di qualsiasi scrematura — basta intendersi sul concetto di interesse collettivo, appagato solo quando circolano liberamente informazioni di rilievo pubblico, quale che sia la loro provenienza, come Strasburgo ci insegna.

Un principio, quello ricordato dal ministro, già recepito nella legge sulla privacy, che tutela, in via generale, la riservatezza dei dati personali, fra i quali rientrano anche quelli desumibili dalle conversazioni intercettate, il che pone qualche dubbio sulla effettiva necessità di legiferare ancora sul tema. Si tratta di dati liberamente utilizzabili dai giornalisti, solo se sono essenziali per l’informazione, cioè appunto, come il ministro ha sottolineato, se sono funzionali all’interesse collettivo, così come possono essere diffuse, secondo l’ultima modifica, introdotta nella stessa legge, le intercettazioni fra presenti, nell’ambito del diritto di cronaca.

Che i divieti alla circolazione di notizie possano esser derogati, in presenza di un interesse pubblico è, dunque, pacifico. Anche perché, quale che sia la sanzione, è impossibile, oltre che non previsto dal codice, impedire la circolazione dei contenuti delle intercettazioni, una volta venuti a conoscenza delle parti, in fase di selezione e, quindi, non più segreti; mentre sarebbe incostituzionale inibire la diffusione di quelle che appaiano di manifesto interesse pubblico, al di là della loro rilevanza penale, sanzionando chi esercita quello stesso diritto di cronaca.

E allora, caro direttore, mi perdoni se, avendo una discreta esperienza in materia, pur scrivendo a lei, ne approfitto per rivolgermi direttamente al ministro, per quel che ha detto e per quel che potrà fare.

Un suggerimento, non un lodo, per carità: invece di impelagarsi in lavori di una commissione creata ad hoc, estenuanti e probabilmente inutili, perché il governo non introduce un solo articolo che punisca severamente chi diffonde intercettazioni che coinvolgono terzi, estranei alle indagini o penalmente irrilevanti, a meno che ciò non avvenga nell’esercizio del diritto di cronaca, trattandosi di conversazioni essenziali per l’informazione?

La selezione rimarrebbe di competenza del giornalista — cui occorre pur dare la necessaria fiducia, oltre che cento codici deontologici — e la valutazione della correttezza della sua scelta sarebbe del giudice, cui l’interessato potrà rivolgersi se non la condivide. In fondo, non è così che si fa in uno Stato di diritto?

30 settembre 2015 (modifica il 30 settembre 2015 | 09:42)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_30/intercettazioni-nessun-segreto-se-c-diritto-cronaca-2c949e94-673b-11e5-9bc4-2d55534839fc.shtml
7580  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Federico FUBINI. Deflazione e conti Il dilemma dei prezzi inserito:: Ottobre 08, 2015, 11:42:59 am
Deflazione e conti Il dilemma dei prezzi
L’economia mondiale del ventunesimo secolo somiglia a un solo grande mercato, da Ho Chi Minh City a Boston, con al suo interno diseguaglianze enormi

Di Federico Fubini

Vent’anni fa, prima di diventare un blogger di successo, Paul Krugman ha avuto un’intuizione brillante. Ha colto quello che sarebbe diventato un tratto dell’epoca, i prezzi freddi.

L’economia mondiale del ventunesimo secolo somiglia a un solo grande mercato, da Ho Chi Minh City a Boston, con al suo interno diseguaglianze enormi. Un operaio cambogiano lavora a una frazione del costo di uno tedesco, e così via. Questa concorrenza fra sette miliardi di persone tiene strutturalmente sotto pressione al ribasso la dinamica dei prezzi nell’emisfero Nord del mondo. Non è un caso se le banche centrali dei Paesi ricchi hanno già stampato qualcosa come settemila miliardi di dollari (quattro volte e mezzo il reddito dell’Italia) nel tentativo di scongiurare la deflazione. Questa è una parola che inquieta, perché ne conosciamo le conseguenze. Le famiglie rinviano gli acquisti aspettando che fra qualche mese un’auto o una vacanza costino meno. Le imprese sospendono gli investimenti perché temono di dover vendere in futuro un manufatto a un prezzo troppo basso rispetto al costo di produzione attuale. Tutti aspettano, i prezzi scendono ancora di più, e la spirale fa un altro giro.

Se ci sono cause secolari di queste minacce (non ancora realtà), ce ne sono altre più vicine. La Cina è in una brusca frenata. In Brasile è ormai aperta quella che chiamano la «Caipirinha Crisis». L’America cresce, ma meno di quanto si sperasse un anno fa, e persino Germania e Spagna danno segnali di affanno.

Questo non è un replay del 2009, perché l’espansione continua. Ma il paradosso per l’Italia è che vive una ripresa più vivace proprio mentre quasi ovunque nel mondo accade il contrario. L’insidia della deflazione prende spunto proprio da qui: meno crescita, dunque meno domanda di petrolio, che ne fa crollare i corsi e spinge verso l’Europa una seconda ondata di freddo sui prezzi.

Per l’Italia possono esserci anche conseguenze positive: la Banca centrale europea reagisce ai rischi creando moneta e iniettandola nell’economia tramite l’acquisto di titoli pubblici, e forse in futuro lo farà ancora di più. Così il governo gode di tassi più bassi. Nessuno beneficia dell’azione della Bce come uno Stato debitore da 2.200 miliardi, che di solito pagherebbe interessi più pesanti degli altri: non è un caso se proprio ora l’Italia migliora, in controtempo sul resto del mondo.

Ci sono però anche dei rischi. Quando l’inflazione è sottozero il reddito nazionale, contato in euro, sale meno di quanto non si sperasse. Soprattutto sale meno del debito, perché questo cresce per inerzia a causa dei tassi d’interesse. Meno euro del previsto in entrate, stessi euro di interessi da pagare. Il risultato può essere un debito pubblico più alto.

Proprio in una fase così il governo sta perseguendo una forte detassazione del mondo produttivo, giusta e coraggiosa. Basta che non dimentichi la profezia di Krugman, se per caso esita di fronte ai tagli di spesa corrispondenti.

2 ottobre 2015 (modifica il 2 ottobre 2015 | 07:10)
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Da - http://www.corriere.it/
7581  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / ILVO DIAMANTI - Gli euroscettici nel Mediterraneo inserito:: Ottobre 08, 2015, 11:41:26 am
Gli euroscettici nel Mediterraneo
26 anni dopo la caduta del muro di Berlino, in Europa ne sorgono altri. Non solo simbolici. Marcano il cammino di una costruzione che si è sviluppata senza un disegno politico e culturale

Di ILVO DIAMANTI
29 settembre 2015

IL RISULTATO delle elezioni in Catalogna conferma l'ampiezza del sentimento separatista che anima la Comunidad autónoma. Il fronte a favore dell'indipendenza (Junts pel Sì + Cup) ha ottenuto il 47,8% dei voti. Ha, così, conquistato la maggioranza assoluta dei seggi, ma non dei voti. Si fosse trattato di un referendum, questo esito non sarebbe sufficiente a sancire la secessione da Madrid. Ma oggi appare adeguato ad amplificare lo spirito indipendentista che spira, forte, in altre aree della Spagna.

Anzitutto nei Paesi Baschi. Questo voto, inoltre, rischia di produrre "una rivoluzione geopolitica su scala europea", come ha osservato Lucio Caracciolo, ieri, su Repubblica. Una Catalogna indipendente, infatti, non troverebbe posto nella Ue. Tuttavia, il voto catalano non costituisce un evento isolato. E de-limitato. Ma si somma a quanto avviene, da tempo, in altri Paesi. In particolar modo, in quelli affacciati sulla sponda mediterranea. Dove si allarga il contagio dell'Ues: l'Unione Euro-Scettica. Trasmesso da una catena di attori politici, impolitici e anti-politici. Uniti da un comune bersaglio. L'Europa dell'euro. Dunque, l'Europa, tout court. Visto che l'Unione è stata prevalentemente costruita, appunto, sul terreno economico e monetario. Mentre i soggetti politici di maggiore successo, negli ultimi anni, sono quelli che hanno esercitato una critica aperta all'Euro-zona. E, spesso, alla stessa Unione Europea, in quanto tale.

In Italia: la Lega di Salvini. Esplicitamente contraria all'Euro, ma anche alla Ue. Appunto. Inoltre: il M5s. Anch'esso esplicitamente ostile all'Euro-zona. Tanto che, nei mesi scorsi, Alessandro Di Battista, deputato del M5s, fra i più autorevoli, ha proposto un "cartello tra i Paesi del Sud Europa" per "uscire dall'euro" e "sconfiggere la Troika che ha distrutto l'Ue". Un aperto invito, dunque, a costruire la Ues. Rivolto, anzitutto, alla Grecia, governata da Alexis Tsipras e dal suo partito, Syriza. Che, come ha confermato Yanis Varoufakis, ex ministro delle Finanze, aveva pianificato un programma per trasformare l'euro in dracma. E per liberarsi del controllo della Troika. Prima, ovviamente, della recente crisi. Che ha condotto la Grecia a scontrarsi con la Germania della Merkel. E con il "governo" della Ue. Anche se ora, ovviamente, questo progetto è divenuto impraticabile. Dopo il prestito- ponte erogato dalla Ue, per fare fronte all'enorme debito che opprime la Grecia. Mentre Tsipras ha estromesso dal governo Varoufakis e gli altri esponenti del partito, reticenti e indisponibili ad accogliere le pesanti condizioni poste dalla Ue.

Nonostante tutto, pochi giorni fa, Tsipras ha ri-vinto le elezioni. Si è confermato alla guida del governo e del Paese. E la Grecia è rimasta nella Ue e nell'euro. Non certo per passione, ma per necessità. E per costrizione. Ma l'Ues ha messo radici anche in Francia. A sua volta, Paese mediterraneo. Soggetto protagonista della scena europea, insieme alla Germania. Ebbene, com'è noto, in Francia, negli ultimi anni, si è assistito all'ascesa di Marine Le Pen, che ha spinto il Front National ben oltre il 25%. Al di là delle zone di forza tradizionali, nelle regioni "mediterranee". Per affermarsi, Marine Le Pen ha moderato i toni -  più che i contenuti -  del messaggio politico tradizionale. E ha preso le distanze dal padre, Jean-Marie. Fondatore e "padrone" del Fn. Fino alla rottura. Sancita dall'espulsione del padre, avvenuta a fine agosto, per decisione del comitato esecutivo del partito.

Il Fn di Marine e Bleu Marine, la coalizione costruita intorno al partito, hanno, tuttavia, mantenuto i due orientamenti tradizionali forse più importanti. La xeno-fobia. Letteralmente: paura dello straniero. E l'opposizione all'Europa dell'euro. Così, i confini mediterranei della Ue oggi sono occupati dalla Ues. Che tende ad allargarsi rapidamente altrove. Nei Paesi della Nuova Europa. A Est: in Polonia, Ungheria. E a Nord. In Belgio, Olanda, Danimarca, Scandinavia. Per non parlare della Gran Bretagna. Dove l'euroscetticismo è radicato da tempo. La Germania, il centro dell'Europa dell'euro, intanto, si è indebolita. Messa a dura prova, da ultimo, dallo scandalo che ha coinvolto e travolto la Volkswagen. Un grande gruppo automobilistico. Ma, soprattutto, un marchio dell'identità (non solo) economica tedesca nel mondo. Intanto, la xeno-fobia si è propagata ovunque. Alimentata dall'esodo dei profughi degli ultimi mesi. Dall'Africa e dal Medio Oriente, attraverso l'Italia, la Grecia, i Balcani.

Così, 26 anni dopo la caduta del muro di Berlino, in Europa sorgono nuovi muri. Non solo simbolici. Marcano il difficile cammino di una costruzione che si è sviluppata senza un disegno. Politico. Culturale. Perché l'Europa "immaginata", fra gli altri, da Adenauer, De Gasperi, Churchill, Schuman, l'Europa di Jean Monnet e Altiero Spinelli: è rimasta, appunto, "un'immagine". Un orizzonte. Lontano.

D'altra parte, (come dimostra l'Osservatorio europeo curato da Demos-Oss. di Pavia- Fond. Unipolis, gennaio 2015), l'Europa dell'euro non suscita passione. Tanto meno entusiasmo. La maggioranza dei cittadini -  in Italia e negli altri Paesi europei -  la accetta, per prudenza. Teme che, al di fuori, potrebbe andare peggio. Così, il progetto europeo non cammina. Perché ha gambe molli e non ha un destino. Mentre il sentimento scettico si fa strada. In Spagna. In Italia. In Francia. In Europa. A Destra (e al Centro), ma anche a Sinistra. E alla Ue si sovrappone la Ues. L'Unione Euro-Scettica. Più che un soggetto e un progetto organizzato: una sindrome. Densa e grigia. Diffusa nell'area mediterranea. Oggi si sta propagando rapidamente altrove. Conviene prenderla sul serio, prima che sia troppo tardi. Prima che contagi anche noi.

© Riproduzione riservata
29 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/09/29/news/gli_euroscettici_nel_mediterraneo-123894525/?ref=HRER2-2
7582  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / PRODI Romano Prodi a In mezz'ora: "Il potere tedesco è arrogante. inserito:: Ottobre 08, 2015, 11:39:24 am
Romano Prodi a In mezz'ora: "Il potere tedesco è arrogante.
Da Corbyn segnale di cambiamento. L'Italia? Non ha un ruolo"

Redazione, L'Huffington Post
Pubblicato: 27/09/2015 14:34 CEST Aggiornato: 27/09/2015 15:35 CEST

"Il potere tedesco è arrogante". L'ex presidente del Consiglio Romano Prodi è intervenuto a In mezz'ora, su Rai Tre. Il Professore ha parlato di questioni internazionali. Dal dialogo ripreso tra Stati Uniti e Russia alla guerra in Siria fino alla lotta al terrorismo. E ovviamente del caso di questi giorni sulle emissioni Volkswagen: "Quando arrivi a un livello di sicurezza, chiamiamola anche di arroganza, così forte, i freni inibitori sono a rischio". "In Germania - dice Prodi a proposito del 'sistema tedesco' e dello scandalo che ha riguardato la Volkswagen - non c'è contraddittorio" tra i vari attori sociali, "c'è un sistema molto compatto". Oggi il caso Dieselgate emerge "una crisi di un sistema, molto più complicata" di una crisi politica che interessa solo la Merkel. "Non a caso le irregolarità legate alla Volkswagen sono state scoperte da un'autorità americana. La cosa è stata messa fuori da una struttura non europea".

"E' ricominciato, ed era ora, il dialogo tra Stati Uniti e Russia, contro l'Isis. E Fa francia non vuole stare fuori da questo gioco. Un pò come Cavour con la guerra di Crimea, ha detto Romano Prodi a proposito dei primi raid di Parigi in Siria. "Se il colloquio iniziale tra americani e russi va avanti il terrorismo è davvero finalmente in difficoltà". "Non capisco a tutt'oggi perchè l'Italia si sia fatta trascinare dalla Francia a fare una guerra contro se stessa", aggiunge Prodi sulla guerra in Libia. "Oggi dobbiamo fare in modo che tutte le fazioni si siedano attorno a un tavolo", aggiunge Prodi riferendosi alla situazione attuale. Tuttavia, dice l'ex presidente del Consiglio, oggi l'Italia non ha un ruolo in Ue.

"La Siria è sempre stata una 'figlia' della Francia, Chirac era il papà, il confessore dei siriani. Un rapporto profondissimo. Il punto è che è ricominciato, ed era ora, il dialogo Usa-Russia contro l'Isis e la Francia non vuole stare dietro di questo gioco", ha sottolineato l'ex premier.

"L'unico esercito che può contrastare l'Isis è l'esercito di Assad, amico di Putin ma non di Obama. Se il colloquio Usa-Russia va avanti il terrorismo va davvero in difficoltà -ha spiegato ancora Prodi-. Rinforzano Assad, non hanno alternativa, sono gli unici scarponi che sono sul terreno. Il nemico comune è l'Isis".

A proposito del nuovo leader dei laburisti inglesi Jeremy Corbyn, Romano Prodi dichiara che dalla sua scalata al partito arriva un "segnale di novità, di cambiamento. Non so se sarà anche un segnale di rinascita, ma certamente un cambiamento lo porterà".

Sulle questioni interne, Prodi afferma che la fiducia in Italia "è migliorata, c'è stata una certa ripresa" e "abbiamo tanti fattori favorevoli come il petrolio basso e dollaro alto. Ma il lavoro è la mia grande preoccupazione". "Tutte le nuove tecnologie spingono per una ripresa senza lavoro, con un lavoro scarso o con occupazioni di altissimo livello, c'è una espulsione della classe media", ha aggiunto l'ex premier: "Senza crescita il lavoro non aumenta. Dobbiamo spingere la crescita, c'è una situazione migliore della precedente, vedo che continua un andamento leggermente positivo, se questo prosegue per qualche altro mese il discorso occupazione può muoversi".

DA - http://www.huffingtonpost.it/2015/09/27/prodi-in-mezzora_n_8202780.html?utm_hp_ref=italy
7583  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Antonio Polito. Il rebus della sinistra televisiva inserito:: Ottobre 08, 2015, 11:37:37 am
Il rebus della sinistra televisiva

Di Antonio Polito

Annoiati dallo scontro sul Senato elettivo? Stufi dei primi piani di Gotor e Chiti? Niente paura. La prossima «guerra culturale» della sinistra si preannuncia molto più eccitante e fotogenica, quasi berlusconiana; perché si combatterà, come ai vecchi tempi, per la televisione e le sue star.

In gioco c’è il destino di Rai3, molto più di una rete, vera e propria chiave d’accesso al cuore e alle menti del popolo di sinistra, resistenza catodica di un mondo che fu, a metà strada tra Guccini e Ingrao, e ne fu orgoglioso.

Prima Renzi, col fioretto del sarcasmo sull’audience dei talk show, poi il suo uomo in Vigilanza Michele Anzaldi, con la mazza ferrata di un minieditto bulgaro, e infine l’ineffabile governatore della Campania De Luca, con il kalashnikov dell’accusa di «camorrismo giornalistico», hanno reso chiaro che il Pd ripudia la «sua» rete, della quale non si sente più amato e rispettato «editore di riferimento». L’accusa, esplicitata da Anzaldi, è molto chiara: a Rai3 e al Tg3 non hanno ancora capito chi è il nuovo padrone, cioè chi comanda nel partito che comanda.

E in effetti Rai3 è un bel rompicapo fin dai tempi del Pci. Va benissimo quando la sinistra è all’opposizione, e anzi ne diventa il simbolo: quante carriere, quanti martirologi, da Michele Santoro a Sabina Guzzanti, si sono costruiti in quegli studi cantando Bella Ciao contro il regime berlusconiano! Ma, non appena la sinistra va al governo, Rai3 diventa indigesta, perché alla fine i media sono fatti dai loro lettori prima ancora che dai loro direttori, e il telespettatore di Rai3 vuole sapere ciò che non va, non ciò che funziona; vuole la denuncia, non l’agiografia; affida all’inchiesta, al talk show, alla satira il compito esorbitante di vendicare i torti della società; sogna giornalisti che si tramutino in pubblici ministeri dell’informazione (e molti aderiscono di buon grado). Non per niente la chiamavano TeleKabul. Il mito della spina nel fianco del potere. E chi è al potere, comprensibilmente, non gradisce. E lo dice ad Anzaldi. Che non è certo Goebbels, come scrive Grillo, ma gli pare strano se un Tg critica il governo.

È una storia vecchia come il cavallo di via Mazzini. Solo che Renzi aveva promesso, con grande giubilo collettivo, di mettervi fine, annunciando una rivoluzione: «fuori i partiti dalla Rai», la «più grande azienda culturale del Paese» che si libera di tessere e padroni, che non prende più ordini, cari giornalisti e programmisti sentitevi liberi di pensare solo al pubblico, e all’interesse generale. Poi, si sa come è andata. La riforma si è arenata, il nuovo cda è stato eletto esattamente come ai tempi di Gasparri, gli uomini di partito sono tornati a fare i consiglieri, basta con questa bufala della società civile, e gli uomini di partito della Vigilanza sono tornati a comandare, un po’ meno urbanamente di un tempo.

L’unica differenza è che, stavolta, non si sente volare una mosca. Neanche un girotondo, un ottavo nano da salvare, un articolo 21 da invocare. Perfino la sinistra televisiva cambia. Solo la Rai, quella no, resta sempre la stessa.

30 settembre 2015 (modifica il 30 settembre 2015 | 09:43)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_30/rebus-sinistra-televisiva-03d966fc-673a-11e5-9bc4-2d55534839fc.shtml
7584  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / ALDO CAZZULLO. Ruini minaccia Se vanno avanti sulle unioni civili le proteste... inserito:: Ottobre 08, 2015, 11:35:50 am
L’intervista
Ruini: «Se vanno avanti sulle unioni civili le proteste non mancheranno»
Parla il cardinale: «Le differenze con Francesco? Io vicino a Giovanni Paolo II e Benedetto. Per le parole di monsignor Charamsa provo più pena che sorpresa»


Di Aldo Cazzullo

Cardinal Ruini, quale impressione le ha fatto il «coming out» di monsignor Charamsa?
«Un’impressione di pena, più ancora che di sorpresa, soprattutto per il momento che ha scelto».

L’intervista al «Corriere» ha avuto un’eco molto vasta. Influirà sul Sinodo?
«Non farà certo piacere ai sinodali, ma non avrà alcun influsso sostanziale».

Dice monsignor Charamsa: «La Chiesa capisca che la soluzione proposta ai gay credenti, l’astinenza dalla vita d’amore, è disumana». Lei cosa si sente di rispondergli?
«Gli direi molto semplicemente: come prete ho anch’io l’obbligo di tale astinenza e in più di sessant’anni non mi sono mai sentito disumanizzato, e nemmeno privo di una vita di amore, che è qualcosa di molto più grande dell’esercizio della sessualità».

È parso però che il Papa abbia aperto al dialogo, quando disse «chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca Dio?».
«Questa è forse la parola più equivocata di papa Francesco. Si tratta di un precetto evangelico - non giudicare se non vuoi essere giudicato - che dobbiamo applicare a tutti, omosessuali evidentemente compresi, e che ci chiede di avere rispetto e amore per tutti. Ma papa Francesco si è espresso più volte chiaramente e negativamente sul matrimonio tra persone dello stesso sesso».

Esiste una «lobby gay» ai vertici della Chiesa? Il Papa stesso lo disse, sia pure in un incontro informale.
«Si sentono molte chiacchiere in merito. Se sono vere, è una cosa triste, sulla quale bisogna fare pulizia. Personalmente però non ho elementi per parlare di lobby gay, e non vorrei calunniare persone innocenti».
Dica la verità: al di là del rispetto e anche dell’obbedienza, papa Bergoglio lascia perplessi voi cardinali legati alla stagione di Wojtyla e di Ratzinger.
«Non ho difficoltà a riconoscere che tra papa Francesco e i suoi predecessori più vicini ci sono differenze, anche notevoli. Io ho collaborato per vent’anni con Giovanni Paolo II, poi più brevemente con papa Benedetto: è naturale che condivida la loro sensibilità. Ma vorrei aggiungere alcune cose. Gli elementi di continuità sono molto più grandi e importanti delle differenze. E fin da quando ero uno studente liceale ho imparato a vedere nel Papa prima la missione di successore di Pietro, e solo dopo la singola persona; e ad aderire con il cuore, oltre che con le parole e le azioni, al Papa così inteso. Quando Giovanni XXIII è succeduto a Pio XII, i cambiamenti non sono stati meno grandi; ma già allora il mio atteggiamento fu questo».

In Francesco rivede papa Giovanni?
«Per vari aspetti, sì. Bisogna essere ciechi per non vedere l’enorme bene che papa Francesco sta facendo alla Chiesa e alla diffusione del Vangelo».

Francesco è un Papa «di sinistra»? Le differenze non sono soltanto nello stile, non crede?
«Certo le differenze non sono solo di stile. Ma non toccano la missione di principio e fondamento visibile dell’unità della fede e della comunione di tutta la Chiesa. Quanto all’essere di sinistra, lo stesso papa Francesco vi è tornato sopra più volte, dicendo che la sua è semplicemente fedeltà al Vangelo, non una scelta ideologica. Ultimamente ha pure aggiunto, scherzando, di essere “un po’ sinistrino” ... se ricordo le parole esatte».

C’è il rischio che il Papa sia strumentalizzato sul piano ideologico, come teme il cardinale Scola?
«Che certe prese di posizione del Papa vengano enfatizzate e altre passate quasi sotto silenzio, è più di un rischio; è un fatto. Più che di strumentalizzazioni parlerei di schemi applicati alle personalità pubbliche; schemi ai quali i media si affezionano e difficilmente rinunciano. È successo anche a me: mi collocavano sempre nello schema».

Ad esempio?
«Sul matrimonio gay presi la posizione più aperta che si poteva prendere; ed è stata giudicata la più chiusa».

Lei disse che si potevano riconoscere diritti individuali.
«E ora lo dicono giuristi come Mirabelli. Tutti i diritti individuali si possono riconoscere e molti sono già stati riconosciuti».

Ma l’Italia non ha ancora una legge sulle unioni civili. Le norme di cui si discute in Parlamento richiamano il modello tedesco, non quello francese e spagnolo: niente matrimonio, niente adozioni. Perché un cattolico non potrebbe votarle?
«Proprio il modello tedesco prevede che le copie omosessuali abbiano in pratica tutti i diritti del matrimonio, eccetto il nome. E la proposta di legge su cui si discute in Parlamento apre uno spiraglio pure all’adozione. Si sa benissimo, e alcuni sostenitori della proposta lo dicono chiaramente, che una volta approvata si arriverà presto ai matrimoni tra persone dello stesso sesso e alle adozioni. Personalmente condivido il commento del cardinale Parolin, dopo il referendum in Irlanda: “Il matrimonio omosessuale è una sconfitta dell’umanità”. Perché ignora la differenza e complementarità tra uomo e donna, fondamentale dal punto di vista non solo fisico ma anche psicologico e antropologico. L’umanità attraverso i millenni ha conosciuto la poligamia e la poliandria, ma non per caso il matrimonio tra persone dello stesso sesso è una novità assoluta: una vera rottura che contrasta con l’esperienza e con la realtà. L’omosessualità c’è sempre stata; ma nessuno ha mai pensato di farne un matrimonio».

Ci sarà anche in Italia un movimento di protesta contro le unioni civili?
«Le avvisaglie ci sono già state con la manifestazione del 20 giugno in piazza San Giovanni. L’organizzazione è stata minima, e il riscontro mi ha colpito molto: si è parlato di 300 mila persone. Se si andasse avanti per una certa strada, difficilmente le proteste mancheranno».

Lei ha detto al «Corriere» che l’ondata libertaria rifluirà, come è rifluita l’ondata marxista. Come fa a esserne così certo?
«Non ho detto che rifluirà, ma che potrebbe rifluire. La possibilità e la speranza, non la certezza, di un cambiamento di direzione è suggerita dal contrasto tra l’ondata libertaria e il bene dell’umanità, che non è una somma di soggetti chiusi in se stessi, ma una grande rete in cui ciascuno ha bisogno degli altri. Mi stupisce che i governanti, che dovrebbero avere a cuore la coesione, non si rendano conto che in questo modo avranno società sbriciolate».

È possibile riammettere alla comunione i divorziati risposati?
«No. I divorziati risposati non si possono riammettere alla comunione non per una loro colpa personale particolarmente grave, ma per lo stato in cui oggettivamente si trovano. Il precedente matrimonio continua infatti a esistere, perché il matrimonio sacramento è indissolubile, come ha detto papa Francesco nel volo di ritorno dall’America. Avere rapporti sessuali con altre persone sarebbe oggettivamente un adulterio».

È possibile pensare a eccezioni caso per caso?
«Non mi piace la parola “eccezioni”. Sembra voler dire che ad alcuni si concede di prescindere dalla norma che li riguarda. Se invece il senso è che ogni singola persona e ogni singola coppia vanno considerate in concreto per vedere se quella norma le riguarda o non le riguarda, questo è un principio generale che va tenuto presente sempre, non solo per il matrimonio ma per tutto il nostro comportamento».

In astratto è possibile quindi che un divorziato risposato riceva la comunione?
«Sì, se il matrimonio è dichiarato nullo».

Le nuove disposizioni al riguardo non rischiano di ammorbidire il vincolo, di introdurre una sorta di divorzio cattolico?
«Il rischio può esistere solo se le nuove disposizioni non vengono applicate con serietà. Bisogna migliorare anzitutto la preparazione dei giudici. Introdurre surrettiziamente una specie di divorzio cattolico sarebbe una pessima ipocrisia, molto dannosa per la Chiesa e per la sua credibilità. Ma la decisione di papa Francesco, che molti di noi - me compreso - auspicavano, non ha niente a che fare con un’ipocrisia del genere».

Se la mancanza di fede di uno degli sposi può portare alla dichiarazione di nullità, non si aprono spazi molto vasti?
«Certo. E per questa ragione papa Benedetto, pur essendo convinto che la fede sia necessaria per il matrimonio sacramentale come per ogni altro sacramento, è stato molto prudente nel trarre da questo principio conseguenze pratiche. Anche papa Francesco si è limitato a indicare la mancanza di fede come una delle circostanze che possono consentire il processo più breve davanti al vescovo, quando questa mancanza di fede generi la simulazione del consenso, o produca un errore decisivo quanto alla volontà di sposarsi. Scherzosamente potrei dire che chi si è spinto più avanti su questa strada sono piuttosto io, nel mio contributo al libro degli undici cardinali che esce in questi giorni...».

Una famiglia di migranti in ogni parrocchia: la convince? O condivide le perplessità dell’arcivescovo di Bologna?
«Il cardinale Caffarra ha messo in luce le condizioni senza le quali l’accoglienza diventa difficile, e può anche essere controproducente. Cercare di realizzarle è un servizio e non un ostacolo all’accoglienza».

Caffarra sostiene che bisogna accogliere i migranti «conosciuti».
«Conosciuti nel senso di identificati. Diciamo la verità: molti anche nella Chiesa non accolgono nessuno; molti accolgono così, alla garibaldina. Bisognerebbe trovare una via di mezzo».

4 ottobre 2015 (modifica il 4 ottobre 2015 | 11:46)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_ottobre_04/ruini-se-vanno-avanti-unioni-civili-proteste-non-mancheranno-c72265ae-6a6f-11e5-b2f1-e50684c95593.shtml
7585  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / GIULIANO BALESTRERI. Latouche: "Siamo condannati a consumare, ma un mondo più... inserito:: Ottobre 05, 2015, 06:26:57 pm
Latouche: "Siamo condannati a consumare, ma un mondo più equo è possibile"
Il filosofo francese è intervenuto davanti ai delegati di Terra Madre Giovani - We Feed The Planet criticando il modello di società individualista che "ha permesso di liberare le forze distruttive, su cui è basata la società della crescita"

Di GIULIANO BALESTRERI
04 ottobre 2015
   
MILANO - Rivalutare, ridistribuire e rilocalizzare. E ancora: ridurre, riciclare, riutilizzare e ristrutturare. Solo così, attraverso il "circolo virtuoso delle r" è possibile inventare un modo sostenibile di sopravvivere. Serge Latouche, il teorico della decrescita felice, lo ha ripetuto come un mantra davanti ai delegati di Terra Madre Giovani - We Feed The Planet a Milano. Il filosofo francese che ama definirsi ex economista ("perché ho perso fiducia nell'economia, è una menzogna") ha raccontato un altro modo di vedere la produzione, il consumo e i rapporti sociali: "Un modo più equo, più umano, più giusto" perché il sistema produttivo in cui siamo immersi genera ovunque situazioni di ineguaglianza, sfruttamento e prevaricazione. E gli stessi indici di misurazione della ricchezza (come il Pil) sono completamente schiacciati su parametri finanziari e monetari, che non corrispondono al reale benessere delle popolazioni: "L'economia è una religione occidentale che ci rende infelici".

"Oggi - ha detto Latouche - viviamo in una società fagocitata da un'esigenza di crescita che non ha più motivi economici, ma è crescita per la crescita. Illimitatezza del prodotto, quindi illimitatezza dello sfruttamento delle risorse naturali rinnovabili e non rinnovabili. Illimitatezza del consumo e quindi dei rifiuti e dello spreco, ossia dell'inquinamento dell'acqua e dell'aria". Una ricerca della crescita alimentata dalla pubblicità che fa desiderare quello che non si ha; sostenuta dalla banche "pronte a prestare denaro, quasi all'infinito" e condizionata dall'obsolescenza programmata: "Siamo condannati a consumare perché i nostri strumenti sono programmati per deteriorarsi più in fretta possibile".

L'alternativa proposta da Latouche è nella decrescita come risposta all'insostenibilità ecologica e sociale della nostra realtà: "Noi occidentali siamo meno del 20% della popolazione mondiale, ma consumiamo l'86% delle risorse naturali. Il nostro stile di vita distrugge la resilienza, la capacità dell'organismo terrestre di affrontare lo shock del cambiamento climatico come la perdita di biodiversità".

Le critiche del filosofo francese sono quindi rivolte verso quel modello di società individualista che "ha permesso di liberare le forze distruttive, su cui è basata la società dei consumi e crescita". Di fatto la ricerca dell'accumulazione continua è "una guerra tutti contro tutti. E' una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: una crescita infinita è per definizione assurda in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto. Per fare la pace dobbiamo abbandonarci all'abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo imparare a ricostruire i rapporti sociali".

Per gli economisti neoliberisti - prosegue Latouche - l'opzione più terribile è il protezionismo, "ma in realtà è uno strumento di difesa perché è la concorrenza ad alimentare la guerra, come ci dimostra il caso Volkswagen. Il libero scambio è come la libera volpe nel libero pollaio. Noi abbiamo distrutto l'agricoltura cinese, e in piena reciprocità l'industria cinese distrugge la nostra: ottocento milioni di ex contadini cinesi si accumulano nelle periferie, creando milioni di disoccupati nelle nostre società".

A sostegno della proprio punto di vista Latouche ha citato la New Economics Foundation che calcola l'"indice della felicità" su tre dimensioni: impronta ecologica, speranza di vita alla nascita, e subjective well-being (sentimento individuale di felicità). "Con questi parametri, come nella Bibbia - conclude il filosofo francese - gli ultimi diventano primi e i primi ultimi: Vanatu e Costa Rica sono in cima alla classifica, mentre gli Stati Uniti si collocano in 160esima posizione e l'Italia intorno alla sessantesima".

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04 ottobre 2015

Da - http://www.repubblica.it/economia/2015/10/04/news/latouche_terra_madre-124313928/?ref=HREC1-22
7586  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Angelo PANEBIANCO. Il tocco magico che l’Onu non può avere inserito:: Ottobre 05, 2015, 06:25:39 pm
Le risorse scarse e le illusioni
Il tocco magico che l’Onu non può avere

Di Angelo Panebianco

La settantesima sessione plenaria dell’Assemblea generale dell’Onu si è aperta in una fase delicata della vita del pianeta. Si spara in molti luoghi e, in altri, rumori minacciosi preannunciano tempeste. Nel Mar della Cina la volontà egemonica dell’Impero celeste mette a rischio la pace mondiale entrando in collisione con gli interessi vitali di tanti Paesi, ivi compresi alcuni alleati degli Stati Uniti come Giappone o Filippine. In Europa la guerra, ancorché di bassa intensità, è tornata nelle regioni orientali dell’Ucraina e la Russia non chiede ma pretende che ci si dimentichi dell’annessione della Crimea rivendicando il suo ruolo nella lotta allo Stato Islamico in Medio Oriente.

L’abulia strategica degli occidentali (degli americani in primo luogo ma anche degli europei alle prese con la difficoltà di governare gli ingenti flussi migratori) lascia vuoti che altri, dai russi agli iraniani ai turchi - con i loro interessi non coincidenti con quelli occidentali - vanno riempiendo a modo loro. L’incontro che si è svolto ieri tra Obama e Putin forse porterà a una svolta (e forse no), innescherà, nelle prossime settimane, il salto di qualità che tutti attendono all’azione di contrasto allo Stato islamico (condizione indispensabile perché si possa un giorno costruire un ordine accettabile in Siria). Ma è un fatto che è Putin a guidare il gioco e i suoi interessi non sono necessariamente coincidenti con quegli degli Stati Uniti o con quelli dell’Europa.

Mentre i rumori di guerra si diffondono e a New York si danno convegno potenze coinvolte in giochi «misti» (parziale coincidenza di interessi su alcuni temi unita a una dura competizione su molti altri), l’Onu non rinuncia all’ideologia onusiana e, in suo omaggio, si impegnerà anche in questa occasione a votare a favore della distribuzione a tutti dell’elisir della felicità. Tra gli impegni che verranno solennemente presi ci saranno cose come bloccare i cambiamenti climatici in atto, assicurare a tutti la sicurezza alimentare, il disarmo, eccetera. Chi non è d’accordo?
Non si tratta solo di ipocrisia. È anche un omaggio al mito fondante dell’Onu. L’Onu fu voluta da Franklin Delano Roosevelt per rilanciare l’utopia che durante la Prima guerra mondiale aveva spinto il presidente Woodrow Wilson a concepire la Società delle Nazioni.

Quell’utopia era uno dei lasciti del pensiero liberale del secolo diciannovesimo: l’idea era che imbrigliandoli entro organizzazioni guidate da un nuovo diritto internazionale, gli Stati avrebbero cessato di farsi la guerra, direttamente o per procura, come avevano fatto per secoli. Si sarebbero assoggettati al diritto dirimendo le loro controversie pacificamente, allo stesso modo in cui i cittadini degli Stati liberali dirimono le loro. La conquistata armonia degli interessi avrebbe consentito agli Stati di cooperare lealmente per risolvere i problemi del mondo.

Non è andata così. Il compito ambizioso che era stato attribuito all’Onu si rivelò irrealizzabile non appena esplose la competizione fra Usa e Urss. Dopo la Guerra fredda, molte illusioni sul ruolo dell’Onu rinacquero ma si scontrarono quasi subito, e di nuovo, con l’impossibilità di sostituire la «armonia» alla competizione e al conflitto fra gli Stati. Così come si era dovuta adattare alla distribuzione bipolare del potere durante la Guerra fredda, l’Onu si è poi piegata (anche se con molte tensioni) all’unipolarismo americano successivo. Allo stesso modo, oggi va adattandosi al multipolarismo emergente.

Ciò non rende inutile l’Onu, essa continua a servire come vetrina e tribuna, un consesso in cui ciò che accade racconta a tutti noi quali siano il clima imperante e lo stato dei contenziosi in atto. Non si tratta di pretendere che l’Onu rinunci ai suoi miti fondanti, alla sua ideologia ufficiale e a quel tanto di ipocrisia che vi è inevitabilmente appiccicato. Si tratta solo, per chi ne ha voglia, di guardare alle cose con realismo. Non è vero che i problemi mondiali si risolverebbero tutti facilmente se solo ci fosse la «buona volontà». Chi ragiona così non vede che in un mondo di scarsità non c’è verso di sfuggire alla competizione.

Ed è proprio l’idea di scarsità, e delle conseguenze della scarsità, che manca, e non solo nell’ideologia ufficiale dell’Onu. Si pensi alla lodevole richiesta di papa Francesco di dare terra, casa, lavoro a tutti gli uomini. Anche nel suo caso c’è la sottovalutazione del vincolo della scarsità. Come nel proposito onusiano di assicurare a tutti la sicurezza alimentare, c’è in Francesco l’idea che le risorse siano tutte a disposizione e che la scarsità, anziché un vincolo obiettivo, sia piuttosto l’effetto di una congiura delle classi dominanti ai danni dei poveri del pianeta. Tanto in Francesco quanto nella visione ufficiale onusiana si sentono echi dell’ideologia ottocentesca del progresso (sia in variante liberale che socialista), l’idea secondo cui l’umanità sarebbe ormai entrata nell’era dell’abbondanza illimitata. Non è così. Non ci sono risorse illimitate che possano cadere dal cielo rinnovando il miracolo della manna. La scarsità non è venuta meno.

La povertà, ad esempio, non può essere eliminata con la bacchetta magica. Gli unici strumenti che l’hanno ridotta e che promettono di ridurla ulteriormente in futuro, sfortunatamente, sono proprio quelli che al Papa non piacciono e che, per giunta, non possono essere evocati esplicitamente in sede Onu, data la diversa costituzione economico-sociale di numerosi membri dell’Assemblea: il mercato e il capitalismo di mercato.

In un mondo di scarsità ove, per giunta, non sono affatto superate le sovranità territoriali, la competizione fra gli Stati, in barba alla mission dell’Onu, resta endemica e ineliminabile. Si possono anche mandare soldati per infoltire i caschi blu come ha fatto Renzi in omaggio a quell’ideologia onusiana che qui in Italia conta tanti adepti. A patto però di non dimenticare che esistono poi interessi (nostri e dell’Europa), in competizione con gli interessi di altri, e che l’Onu, di sicuro, non può tutelare.

29 settembre 2015 (modifica il 29 settembre 2015 | 07:18)
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/15_settembre_29/tocco-magico-che-onu-non-puo-avere-panebianco-529b6aec-6668-11e5-ba5a-ab3e662cdc07.shtml
7587  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / CRISTINA ZAGARIA Vola in rete la protesta contro la campagna Nastro Rosa 2015. inserito:: Ottobre 05, 2015, 06:24:26 pm
Vola in rete la protesta contro la campagna Nastro Rosa 2015.
Anna Tatangelo: "Mi sento offesa e indignata "
La cantante che si è spogliata per invitare le giovani donne a proteggere il proprio seno: "Il tumore riguarda tutti”. Le studentesse di un liceo di Napoli: "Perchè è nuda?"

Di CRISTINA ZAGARIA
03 ottobre 2015

La campagna Lilt
La rivolta delle blogger-medico contro la campagna di prevenzione della Lilt che usa una donna famosa e nuda che si strizza il seno, in meno di 48 ore ottiene migliaia di consensi.  Ma Anna Tatangelo, la modella che si è spogliata per invitare le giovani donne a proteggere il proprio seno non ci sta e interviene, "dispiaciuta” e “indignata”.
 
“Ho sempre pensato che la promozione di una causa così importante per tutti fosse inattaccabile - dice la cantante -  Mi sbagliavo, perché si è riuscito a fare polemica anche su questo. Non penso che una donna giovane, con gli addominali e con il seno florido come il mio, non possa prestarsi a fare una campagna come quella della Lilt. Il tumore riguarda tutti e la prevenzione deve interessare tutte le età, soprattutto le ragazze”.
 
La Tatangelo riprende le parole del presidente Lilt, Francesco Schittulli: “Ricordo che sono stata scelta anche per questo, perché ho 28 anni e sono una donna e una mamma che sostiene uno stile di vita sano per se stessa e suo figlio. Uno degli obiettivi che ho per la Lilt, è proprio quello di arrivare ad un pubblico giovane con l'intento di fare campagna anche negli istituti scolastici. Da sempre mi espongo per le donne, su diversi fronti e sono felice di farlo. Sono orgogliosa di essere stata scelta dalla Lilt e ringrazio il presidente Francesco Schittulli per le sue parole”.
 
Ma mentre la cantante si indigna, le firmatarie della petizione (un medico, una storica, una psicologa e due docenti una esperta in educazione e l'altra in comunicazione e social network) ribadiscono: “Noi non siamo contro la persona ma contro la scelta: sarebbe bastata una Tatangelo vestita che si autoabbracciava e già la cosa cambiava. Perché usare la nudità? Per trasmettere, il concetto di salute, non poteva trasmetterlo vestita?". E spiegano: "Poteva esserci qualunque altra persona al suo posto, vecchia, giovane, famosa o no, con quella posa e con quello sponsor, il nostro sconcerto sarebbe stato lo stesso. D'altra parte il pinkwashing (usare il corpo femminile e la malattia per fare profitti nascondendo di esserne responsabili della malattia) un fenomeno di portata internazionale su cui esistono studi sociologici che sarebbe ora di vedere tradotti in italiano e contro cui il fior fiore dell'attivismo sul cancro al seno si batte da anni". E citano il fenomeno della "sessualizzazione del cancro al seno".
 
Intanto è boom di adesioni alla lettera delle blogger-medico per chiedere il ritiro della campagna Nastro rosa 2015. Stanno aderendo medici ed infermiere dei reparti di chemioterapia di tutta Italia, ma anche tante giovani donne, proprio quelle a cui la pubblicità dovrebbe mirare.
 
Sandra Castiello, docente di latino e greco al liceo classico Piero Calamandrei di Napoli racconta: “Sono una delle promotrici della lettera e stamattina a fine lezione, senza che io aprissi l’argomento  le ragazze della II H mi hanno chiesto di parlare e mi hanno detto che si sentivano offese da un'immagine simile, che mostrava nudo il corpo di una donna e catturava l'attenzione dei maschietti per la sua sensualità maliziosa che insinuava nella loro mente di giovanissimi pensieri piuttosto lontani dalla tematica salute/prevenzione, ma che invece solleticava (per usare un eufemismo ed una perifrasi) i loro ormoni iper reattivi. Parliamo di ragazze/i giovanissimi, di un liceo classico, abituati ad esprimersi con maturità e a confrontarsi con l'attualità e con la problematica salute che nella nostra "Terra dei fuochi" costituisce un'emergenza”.
 
Su Facebook anche l’intervento di Carlo Naldoni, esperto in senologia e prevenzione: "Quello che dichiara Schittulli è veramente incomprensibile anche se non è però il primo che dice una cosa del genere: ricordate Umberto Veronesi tempo fa? Lui non ha fatto altro che riprenderlo. Quanto dice Schittulli è una vera e propria contraddizione scientifica non tanto per il risultato in sé (98%) che spara a caso senza alcun costrutto dal punto di vista statistico-epidemiologico, ma perché prefigura uno scenario allucinante per le donne ed il sistema sanitario pubblico senza alcuna base di evidenza scientifica e distinzione per condizioni di rischio, fascia di età, efficacia provata, tipo di esami da utilizzare e quando: in soldoni il suo pensiero è fare qualsiasi esame, tutti quelli che ci sono (e li elenca anche) a tutte le donne indistintamente come se fosse una cosa che si può fare così, solo dichiarandola”.

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03 ottobre 2015

Da - http://napoli.repubblica.it/cronaca/2015/10/03/news/vola_in_rete_la_protesta_contro_la_campagna_nastro_rosa_2015_anna_tatangelo_mi_sento_offesa_e_indignata_-124256412/?ref=HREC1-27
7588  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Maria Laura Rodotà Quel gesto che offende tutti i cittadini inserito:: Ottobre 05, 2015, 06:21:52 pm
ANALISI
Quel gesto che offende tutti i cittadini

Di Maria Laura Rodotà

Non è sessista, il gesto del senatore Lucio Barani, che ha mimato un invito al sesso orale nell’Aula del Senato all’indirizzo della collega Barbara Lezzi. Non interessa che Barani sia un craxiano ex Forza Italia e ora nello stesso gruppo e forse dallo stesso barbiere di Denis Verdini, e Lezzi sia dei 5 Stelle. Non fa ridere la miliardesima «bagarre in Aula», come da frase fatta.

Non rallegra, poi, l’immediato dibattito da social network, in cui si parla poco di regole minime necessarie a un reciproco rispetto; e ci si divide tanto per persuasioni politiche, o antipolitiche, o quel che è, e poi si sguazza nei battutoni irriferibili. Non si vorrebbe riferire di persone intelligenti, sensibili, esperte della nostra vita politica, che liquidano in un tweet la performance di Barani come «un timido accenno di fellatio»; e cosa vuoi che sia, non vorrete essere bacchettoni, lo sapete che lui è pittoresco. Lui, e forse pure noi, che affoghiamo nel pittoresco, grazie.

Insomma. È facile condannare, è comodo assolvere, è triste rifletterci su. In un ramo del Parlamento dove succedono queste cose non viene sessisticamente offesa una donna o le donne; vengono offesi tutti i cittadini. Il fattaccio non interessa politicamente; deprime causa deriva etica e comportamentale (da anni; dalle mortadelle nell’emiciclo ai vicepresidenti che chiamano le africane «oranghi»). Non è divertente, il video della lite successiva fa venire la nausea. Non è bello discuterne; soprattutto, viene da pensare che verrà ricordato come un episodio fondante della Grande Riforma. Il che non dovrebbe far piacere a nessuno (la Costituente ebbe il pianto di Concetto Marchesi, grande latinista e deputato Pci, che non votò l’articolo 7 sul Concordato; noi ricorderemo la richiesta di fellatio, per quanto timida, di Barani; e non volevamo una Repubblica fondata sul Pittoresco, in molti, proprio no).

@marilur1
3 ottobre 2015 (modifica il 3 ottobre 2015 | 08:20)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/15_ottobre_03/quel-gesto-che-offende-tutti-cittadini-e5fbedb4-6994-11e5-b67f-8dc132718e33.shtml
7589  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Gianluca Di Feo. Quando la corruzione dilaga in Europa inserito:: Ottobre 05, 2015, 06:19:08 pm
Quando la corruzione dilaga in Europa
Per dieci anni Bruxelles, capitale dell'Unione Europea, è stata controllata e gestita da una cricca: senza mazzette non era possibile entrare in alcun appalto. E il dilagare degli scandali ha portato al crollo della fiducia nelle istituzioni continentali

di Gianluca Di Feo
01 ottobre 2015

È un tour tra gli edifici più importanti della città: dalla residenza reale al museo di belle arti, dagli uffici ministeriali alle carceri, dall'osservatorio astronomico al palazzo di giustizia. Per dieci anni a gestirli è stata una cricca: ogni appalto una mazzetta, altrimenti non si lavorava. Tutti sapevano, nessuno ha mai denunciato la rete criminale che ha trasformato il cuore del paese in una vera tangentopoli. Non stiamo parlando delle gang romana di Mafia Capitale, questa è Bruxelles: due volte capitale, del Belgio e dell'Europa. E due volte corrotta, nell'intreccio d'affari tra poteri locali e autorità continentali. Lo racconta "l'Espresso" nel numero in edicola da venerdì 2 ottobre, con un'inchiesta che analizza la metamorfosi dalle vecchie bustarelle al sistema delle lobby, capace di condizionare in profondità la reputazione dell'Unione. Senza correre rischi: gli investigatori Ue hanno poteri minimi mentre la giustizia belga appare lenta e inefficace.

LEGGI L'INCHIESTA INTEGRALE SU ESPRESSO+

Nei 28 stati, il 70 per cento dei cittadini ritiene che la corruzione sia entrata nelle istituzione europee. E un sondaggio Demopolis evidenzia il crollo della fiducia, che si è dimezzata in 15 anni: oggi solo il 28 per cento degli italiani crede nella Ue. Una reputazione minata dall'incapacità di rispondere alla recessione economica e all'emergenza profughi, ma anche dai tanti conflitti di interesse irrisolti. Come quello del presidente Juncker sul sistema di tasse del suo Lussemburgo. «Finora la Commissione è stata passiva su questa materia», sottolinea Eva Joly, per anni il giudice istruttore più famoso di Francia ed ora eurodeputato verde: «La follia è che abbiamo al vertice dell'Europa l'uomo che ha arricchito il Lussemburgo grazie alle tasse rubate agli altri, con guadagni che continuano a crescere. Nel Parlamento i verdi hanno imposto la creazione di un comitato speciale: il primo rapporto sarà pronto tra un mese e sarà molto duro. Anche i conservatori ora hanno capito e c'è la volontà di piegare i paradisi fiscali: sono convinta che il Lussemburgo dovrà adeguarsi o uscire dall'Unione».

"L'Espresso" passa in rassegna gli scandali degli ultimi anni, tra parlamentari che vendono emendamenti e un commissario dimissionario per una storia di mazzette da 60 milioni, evidenziando come gli organismi di controllo oggi appaiano divisi e demotivati. E manca anche la volontà di introdurre regole più rigide sulle lobby: «Nel Parlamento non esiste una maggioranza disposta a farlo», ammette l'eurodeputato Bart Staes. Mancano anche sanzioni efficaci contro chi inganna la legge, come è accaduto con il caso Volkswagen: «Questa è la nuova corruzione.

Ed è il nuovo mondo, in cui si agisce tramite logaritmi che falsificano i dati dei computer: la realtà si riduce a schermate digitali, mentre Volskwagen otteneva fondi per produrre auto ecologiche e contribuiva ad aumentare l'inquinamento che uccide migliaia di persone», tuona Eva Joly: «Ma la portata dello scandalo è ancora più grave, perché dimostra che il rispetto delle regole non è più un valore.  Le nazioni che hanno costruito questa Unione stanno perdendo credibilità e non capiscono quanto ciò peserà sul futuro delle nostre istituzioni».

L'inchiesta integrale sull'Espresso in edicola da venerdì 2 ottobre e già online su Espresso+
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01 ottobre 2015

Da - http://espresso.repubblica.it/archivio/2015/10/01/news/quando-la-corruzione-dilaga-in-europa-1.232254
7590  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Gianfranco PASQUINO "La sinistra? Vive di nostalgia" inserito:: Ottobre 05, 2015, 06:17:43 pm
Riforme, Gianfranco Pasquino: "Sono tutte sbagliate".
Il futuro sorride a Beppe Grillo. "La sinistra? Vive di nostalgia"

Redazione, L'Huffington Post
Pubblicato: 02/10/2015 09:52 CEST Aggiornato: 1 ora fa

"Tutte le riforme sono sbagliate. Alcune lo sono nel loro impianto stesso; altre lo sono nelle probabili conseguenze". Il politologo Gianfranco Pasquino boccia le riforme costituzionali in corso di votazione al Senato e in un'intervista a ItaliaOggi critica la strategia di Matteo Renzi, preconizza un futuro a 5 Stelle e bolla la sinistra italiana come una formazione nostalgica senza leader né idee.

La posizione più critica è riservata alle riforme - dall'Italicum al nuovo Senato, dalle Province ai referendum - perché "il pacchetto di riforme Renzi-Boschi comprime e riduce il potere elettorale dei cittadini. Non restituisce affatto lo scettro (della sovranità popolare). Al contrario, lo ammacca, per di più, senza nessun vantaggio per la funzionalità del sistema politico". Elementi che sono stati superati dagli "scontri dentro il Pd e dai trasformisti che si affollano alla corte del fiorentinveloce".

Secondo Pasquino non è da salvare nulla. "L'Italicum è una versione appena corretta del Porcellum. Se il bicameralismo imperfetto va superato, allora la vera riforma è l'abolizione del Senato, non questo bicameralismo reso ancora più imperfetto e pasticciato". Il modello migliore sarebbe il Bundesrat. L'Italicum, prosegue Pasquino, "darà una maggioranza assoluta ad un partito, sottorappresenterà le opposizioni, produrrà una Camera dei Deputati fatta per almeno il 60 per cento, forse il 70, di parlamentari nominati che non avranno nessun bisogno di rapportarsi ad elettori che neppure li conoscono. Pertanto, l'Italicum aggraverà la crisi di rappresentanza". Secondo il professore manca un pronunciamento della Consulta che "dovrebbe bocciare le candidature multiple e imporre una percentuale minima per l'accesso al ballottaggio".

Per quanto riguarda il referendum, oggi "l'art. 138 è limpido. Il referendum costituzionale è facoltativo. Può essere chiesto (qualora la riforma costituzionale non sia stata approvata da una maggioranza parlamentare dei due terzi) da un quinto dei parlamentari oppure da cinque consigli regionali oppure da 500 mila elettori. I referendum chiesti dai governi, da tutti i governi, compreso quello di Matteo Renzi, sono tecnicamente dei plebisciti, fra l'altro monetariamente costosi, e sostanzialmente inutili tranne che per il capo di quel governo. Populisticamente dirà che il popolo è con lui. È lui che lo interpreta e lo rappresenta, non le minoranze dentro il Pd, non l'opposizione politico-parlamentare, meno che mai i gufi. È dal popolo che lui sosterrà di avere avuto quella legittimazione che gli manca da quando produsse il ribaltone del governo Letta. Ovviamente si tratta di un inganno".

Sul fronte del capo dello Stato, poi, "temo che sarà ingabbiato - dice ancora Pasquino a ItaliaOggi - Non nominerà il presidente del Consiglio poiché questi sarà automaticamente il capo del partito/lista che ha vinto il premio di maggioranza, e pazienza. Ma, più grave, non potrà sostituirlo. Il sistema s'irrigidisce e quindi può anche spezzarsi rovinosamente. Non potrà, il presidente della Repubblica, neppure opporsi alla richiesta faziosa di scioglimento del parlamento. Altro irrigidimento, altro rischio. Potrà, però, bella roba senza nessuna logica istituzionale, nominare cinque senatori nella camera delle regioni".

Pasquino definisce "una grossa bugia" quella che arrivano le riforme dopo decenni di immobilismo. "Nei 30 anni anteRenzi abbiamo fatto due riforme elettorali, una bella legge per l'elezione dei sindaci, due riforme costituzionali del Titolo V e siamo anche riusciti a introdurre le primarie. Tutte riforme brutte? Ma quelle che ci stanno arrivando addosso sono almeno belline? Proprio no".

Il politologo si lancia poi in previsioni sul futuro. Nel 2018 "il vecchio Berlusconi sarà certamente fuori gioco", per motivi anagrafici, spiega, mentre Matteo Salvini "sarà pimpante, battagliero, con una nuova felpa colorata, ma consapevole di non potere vincere da solo e altrettanto consapevole che la sua politica gli impone di correre da solo per prendere tutti i voti che può, che saranno molti, ma non abbastanza". Dal canto suo Beppe Grillo "è il giocatore che si trova nelle condizioni migliori. Stando così le cose, continuando l'insoddisfazione degli italiani nei confronti della politica, dell'euro, dell'Unione europea, e rimanendo il premio in seggi da attribuire a partiti e/o liste singole, il candidato di Grillo alla presidenza del Consiglio andrà al ballottaggio e parte dell'elettorato italiano gli consegnerà il proprio pesante voto di protesta. Ne vedremo delle belle".

E la sinistra? "La sinistra non sa e non vuole ricomporsi - risponde Pasquino - Non ha nessun punto programmatico forte. Non ha neppure un leader attraente com'è Tsipras in Grecia, o com'è Pablo Iglesias di Podemos in Spagna. La sinistra italiana testimonia la sua nostalgia (non quella degli elettori) e si crogiola nella sconfitta, tutta meritata".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/10/02/riforme-gianfranco-pasquino_n_8231262.html?utm_hp_ref=italy
Pagine: 1 ... 504 505 [506] 507 508 ... 529
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