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7126  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / MERKEL si tira fuori dalla contesa tra Renzi e l’Ue inserito:: Gennaio 30, 2016, 12:44:56 pm
Merkel si tira fuori dalla contesa tra Renzi e l’Ue

Europa   

Tra Renzi e la Cancelliera una discussione franca, ma “con il sorriso”.
Su flessibilità e aiuti alla Turchia, però, la palla torna a Bruxelles


La conferenza stampa che è seguita al vertice bilaterale tra Angela Merkel e Matteo Renzi ha mostrato due capi di governo di Paesi amici, pronti a collaborare su molti fronti, la cui stima reciproca è fuori discussione. Non però due leader pronti a guidare l’Europa fianco a fianco. Il premier italiano più volte si è trovato nella posizione di dover chiarire che “su alcune cose la pensiamo diversamente” e quando ha spinto sul tasto della flessibilità, chiedendo alla Commissione europea di prendere le proprie decisioni in linea con quanto affermato un anno fa, ha ricevuto dalla Cancelliera una fredda presa di distanze: “Una comunicazione può essere interpretata sempre in modo diverso. Ogni Paese può aprire un dibattito con la Commissione, noi ne prendiamo atto”. Renzi, insomma, non si aspetti da Berlino un aiuto decisivo per raggiungere i suoi obiettivi.

Ma il premier italiano ha anche ricordato che “la flessibilità è stata una condizione per l’elezione di Juncker”. Il Ppe, Merkel in testa, non può pensare insomma di guidare l’Europa autonomamente, come fatto in passato.

Merkel ha sottolineato come il governo italiano abbia finalmente intrapreso la strada delle riforme e, soprattutto per quanto riguarda le norme sul lavoro, “sta andando nella giusta direzione”. Da questo punto di vista, le Germania è non solo disponibile, ma perfino interessata a consolidare un rapporto già esistente. L’annuncio di una conferenza economica congiunta su industria, digitalizzazione e banda larga va in questa direzione.

Sulle partite europee, però, il discorso si è fatto subito più complicato. L’Italia resta “disponibile” a sbloccare la propria quota del contributo da concedere alla Turchia per contenere il flusso di migranti. Ma Renzi ha fatto presente di continuare ad attendere prima “le risposte che abbiamo chiesto a Bruxelles sulla computazione di questi denari”, che riguardano non solo la cosiddetta tratta balcanica, ma anche quella che proviene dal nord Africa. La domanda che il nostro governo fa a Bruxelles è semplice: perché i soldi spesi per bloccare i migranti che provengono da est possono essere scomputati dal calcolo del deficit e quelli impiegati per la tratta libica – cioè quelli che spendiamo soprattutto noi – invece no.

 

L’impressione è che su questo punto la Merkel abbia dimostrato comprensione, riconoscendo l’impegno del nostro Paese sul tema dell’immigrazione “sin dall’inizio”, ma niente di più. Mentre Renzi ha detto di aspettarsi una risposta dall’Ue “prima del vertice di giovedì prossimo” che vedrà partecipare a Londra i ‘donatori’ per la Siria. “Alla Commissione sono molto impegnati – è stata la stoccata rivolta a Bruxelles – ma trovano spesso il tempo per fare conferenze stampa, quindi mi auguro che possano affrontare anche questo problema”.

L’impegno comune va comunque al di là delle dichiarazioni di principio. Non solo un generico “salvare Schengen”, ma anche la necessità ribadita dalla Cancelliera di un ruolo più forte dell’Europa nel controllo dei “confini marittimi”, cioè nel pattugliamento nel Mediterraneo. Con Renzi che – ringraziando “Angela perché già nel Consiglio europeo di giugno fu decisiva per affermare il principio che questo fosse un problema europeo” – cala sul tavolo anche le sue carte: “Lo sforzo che possiamo fare per salvare Schengen – ha detto – deve essere fatto insieme. Vale per i rimpatri, per i confini, per le procedure di identificazione”. Su tutto questo, l’Italia si aspetta una maggiore collaborazione da Bruxelles. E Merkel non ha negato il proprio sostegno.

Il confronto, insomma, è stato franco. Non uno scontro – non avrebbe aiutato nessuno dei due – ma nemmeno una pura formalità. Renzi e Merkel si sono detti tutto quello che avevano da dirsi, anche se “con il sorriso” (parole del premier italiano). “Per me le politiche di austerity da sole non funzionano”, è stato il refrain renziano, perché “portano alla sconfitta dei governi, portano l’Europa a fallire” e aiutano l’avversario comune, cioè il populismo. “Per me – ha spiegato – è necessaria una crescita economica che combatta la disoccupazione e quindi il populismo”. Merkel non si è spinta così in là, attenta a mantenere i panni di Cancelliera piuttosto che di leader ombra dell’Ue (ma il premier si è premurato di portare con sé il futuro ambasciatore italiano in Europa, Carlo Calenda, per presentarglielo). Berlino si limiterà a osservare la partita tra Roma e Bruxelles, intervenendo solo quando sarà necessario. Per i propri interessi, anche elettorali.

Da - http://www.unita.tv/focus/merkel-si-tira-fuori-dalla-contesa-tra-renzi-e-lue/
7127  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Nessuna sorpresa, Merkel fa solo gli interessi della Germania inserito:: Gennaio 30, 2016, 12:43:02 pm
Nessuna sorpresa, Merkel fa solo gli interessi della Germania

Europa   

Italia e Germania sono due paesi forti, ma Berlino con l’Ue ha guadagnato più di tutti

La differenza tra Germania e Italia? La prima ha sfruttato tutto dell’Unione quando le è servito e dopo ha fatto chiudere i cordoni della borsa. La seconda, non ha chiesto mai nulla, anzi ha sostenuto con 50 miliardi di euro la solidarietà comunitaria e quando ha avuto necessità, come ora con il caso banche e il Moloch di sofferenze da smaltire, le è stato impossibile. In concreto, e questo spiega anche perché i nostri titoli creditizi cadono in borsa, Berlino ha salvato i propri istituti di credito e solo dopo ha spinto l’Ue a far adottare la direttiva ‘bail in’ sull’autosalvataggio. Roma ha fatto l’esatto contrario e ora ha le mani legate. Noi siamo stati generosi, sicuramente ingenui e frettolosi nel recepire direttive e regolamenti senza pensare agli effetti; loro, hanno scritto le tavole della legge a propria immagine e somiglianza ma dopo essersi messi in sicurezza.

E’ questa l’Europa a due velocità che non si può accettare, una cosa ben diversa da quella che paventano il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni e Etienne Davignon, ex numero due di Delors e che è figlia del caos politico generatosi con la sospensione sostanziale di Schengen.

L’Europa che serve invece è quella dipinta da Matteo Renzi e Angela Merkel alla fine del loro quarto incontro, dove entrambi hanno riaffermato con forza il ruolo che i due paesi hanno nel tenere unita tutta la confederazione. L’Ue, senza Germania e senza Italia che concordino su quali passi fare nella politica estera e in quella economica, non esiste: è un dato fondamentale. Si sta insieme per costruire e non per dividere. Vale per i rimpatri, il diritto d’asilo, la lotta al terrorismo ma anche per le troppe distonie economiche.

Anche perché italiani e tedeschi devono tanto alla partecipazione all’euro. Bastano poche cifre a indicare come la scelta di credere ancora nell’Unione Europea sia obbligata e dettata dai confortanti (talvolta ottimi) risultati economici.

Analizzando gli effetti del Quantitative Easing della Bce, enorme iniezione di liquidità da oltre 1.500 miliardi di euro, fotografati nel primo mese del 2015 (anno del suo varo) con le ultime stime disponibili, si scopre che è proprio la Germania tra i principali beneficiari del bazooka di Mario Draghi.

I dati parlano chiaro. Il Pil tedesco è aumentato dal +1,4% di inizio anno al +1,7% (dato di fine settembre 2015), il debito pubblico è diminuito dal 74,3% del Pil al 71,9% (fine 2014 su fine 2015), la disoccupazione è a livelli americani (è scesa in un anno di QE dal 6,5% al 6,3%) e le esportazioni hanno registrato un boom: da un saldo attivo di 90 miliardi di euro, ora la Cancelliera può gioire per un più 106 miliardi di euro.

Anche il nostro paese ha beneficiato delle politiche espansive dell’Eurotower. Nel primo anno del QE, il Pil è passato da un meno 0,4% del 2014 a un +0,8% (o +0,7%, si vedrà a consuntivo) dodici mesi dopo, la disoccupazione è calata dal 12,4% all’11,5%, le esportazioni mostrano un saldo attivo in aumento (da 33,5 miliardi a 33,8 di fine ottobre 2015), lo spread Btp-Bund viaggia intorno quota 100 dopo aver cominciato il 2015 a 120 punti base.

Ci sono ancora nodi finanziari che ci oppongono, è vero, ma sono superabili. Non passa giorno che Bruxelles non ricordi a Roma di fare qualcosa per il proprio debito pubblico: è ancora troppo alto, sopra il 133% del Pil, infinitamente lontano dall’ormai dimenticato livello del 60% fissato dal Trattato di Maastricht. Il maggior stimolo per arrivare ad operazioni significative di Tagliadebito è proprio il tanto criticato Fiscal Compact, che pur nella sua irragionevole concezione recessiva, impone a qualsiasi governo della penisola di impegnarsi a ridurre l’indebitamento per arrivare ad un ‘equilibrio’ di bilancio. Lo dobbiamo ai nostri figli, ha ricordato giustamente Renzi a Berlino, non tanto per accontentare i burocrati di Bruxelles e la Bundesbank.

Dobbiamo però francamente chiederci come andrebbero le aste del Tesoro da 300 miliardi di euro l’anno senza questo pungolo continuo a rispettare gli accordi comunitari e senza la possibilità di avere tassi d’interesse molto bassi, grazie proprio all’ingresso nell’euro.

Ma anche i Lander hanno mostrato di utilizzare al meglio la partecipazione all’Unione monetaria.

Il livello di cambio marco-euro ha permesso a Berlino di ripagarsi gli immensi costi della riunificazione, grazie agli aiuti di Stato è stato messo in sicurezza il sistema bancario tedesco, il primo salvataggio della Grecia targato Ue è servito a far pagare a tutti i paesi membri le spericolate operazioni finanziarie degli istituti di credito teutonici.

Ma c’è anche un’altra motivazione economica che giustifica la partecipazione tedesca al Trattato sulla libera circolazione delle persone, oggi di fatto sospeso nel Nord Europa, e per cui il governo Merkel insiste sugli aiuti alla Turchia, snodo delle migrazioni di massa: i conti previdenziali. Entro il 2035 l’invecchiamento della popolazione tedesca farà sì che il rapporto tra lavoratori e pensionati passerà da 3 contro 1 a 2 contro 1, con problemi seri di sostenibilità. Ecco il vero motivo delle porte aperte agli immigrati e delle pressioni a finanziare Istanbul. Senza questi passaggi l’esecutivo dei Lander dovrà fare una manovra gigantesca di riequilibrio pensionistico, ma certo non possono essere finanziati dagli stati membri (Italia in primis) senza che questi abbiano certezze sullo scomputo delle risorse dai vincoli di Maastricht.

In conclusione, ogni mossa di politica estera di Berlino, l’energia non fa eccezione, è dettata solo da convenienze economiche domestiche ma si nutre proprio sulla sua partecipazione all’Europa unita.

Roma fa meno calcoli ed è sempre in prima fila (spesso da sola, come è accaduto per anni a Lampedusa) quando si tratta di dare un aiuto concreto. Nel derby infinito Italia-Germania, sarebbe bello considerare tutti questi elementi che uniscono i due paesi più dei tanti stereotipi (tedeschi seri, rigorosi, egoisti; italiani allegri, spendaccioni, inaffidabili) che purtroppo oggi echeggiano ad ogni vertice europeo. Siamo due paesi forti, possiamo prendere per mano l’Europa, coinvolgendo anche l’inerte Francia. Prendiamone atto, facciamolo subito.

Da - http://www.unita.tv/focus/nessuna-sorpresa-merkel-fa-solo-gli-interessi-della-germania
7128  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MICHELE AINIS. Ai politici italiani serve una vitamina inserito:: Gennaio 30, 2016, 12:41:53 pm
Se i politici in parlamento aspettano le piazze
Il Parlamento è debole nei confronti del governo.
Il governo è debole nei confronti delle dimostrazioni.
Ai politici italiani serve una vitamina


Di Michele Ainis

E due. Dopo le adunate arcobaleno del 23 gennaio (un milione di persone in 96 città, per difendere la legge sulle unioni civili), oggi tocca al Family day contro la stepchild adoption. Che nonostante l’etichetta non si terrà sulle rive del Tamigi, bensì a Roma, al Circo Massimo; e anche stavolta sono attesi un milione di manifestanti. Insomma, una piazza spiazza l’altra. Ma chi rimpiazza questa piazza? Il Parlamento, o ciò che ne rimane. Perché ieri come adesso non è in questione il sacrosanto diritto di riunirsi, d’assieparsi in folle vocianti inalberando le proprie ragioni. No, è in questione il modo in cui la politica s’atteggia dinanzi a tali eventi, la singolare inversione di ruoli e competenze fra popolo e Palazzo.

Le prove? Già la conta delle adesioni illustri ha un che d’improprio, d’irrituale. La settimana scorsa, a sfilare in sostegno del ddl Cirinnà, c’erano ministri (Martina), viceministri (Della Vedova), sottosegretari (Scalfarotto), governatori (Serracchiani), sindaci (de Magistris), e ovviamente frotte di parlamentari. Oggi è previsto il bis, sicché ti monta in gola una domanda: ma contro chi manifesta cotanto manifestante? Contro il legislatore, cioè contro se stesso. E no, gioco scorretto: a ciascuno il suo mestiere. Chi governa deve sfornare testi, non proteste. Almeno su quelle, lasciate il monopolio ai cittadini, dato che voi esercitate il monopolio sulle leggi. Sennonché pure quell’antico dominio parrebbe ormai senza padroni.

Il disegno di legge sulle coppie gay aveva subito un’accelerazione alla vigilia della piazza favorevole, è rallentato bruscamente alla vigilia di quest’altra piazza, tanto che il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità è stato rinviato. A quale scopo, forse per contare le adesioni? Ma il principio di maggioranza vale nelle assemblee legislative, non sui marciapiedi. In democrazia si governa con un seggio in più, non con un corteo più numeroso. Anche perché altrimenti s’investe la piazza di un potere interdittivo, del quale ha immediatamente approfittato Massimo Gandolfini, promotore del Family day. Venite in molti, ha detto, così fermeremo questa legge. E se Renzi non ci ascolta, bocceremo pure il referendum costituzionale. Ma perché, la nuova Costituzione è omosessuale?

E a proposito di referendum. È l’unica pistola di cui sono armati i cittadini, il solo contropotere popolare avverso gli abusi o gli errori del potere. In questo frangente, viceversa, l’ha evocato Alfano, ministro dell’Interno. Per carità, è un suo diritto. Ma è un dovere dei politici governare nelle istituzioni, non nelle piazze. Intervenire in Parlamento, non nei talk show televisivi, dove ormai s’incontrano più senatori che in certe sedute a Palazzo Madama. Occuparsi di leggi e di decreti, non d’una frasetta pronunziata a Ballarò dal suo conduttore. Ed è un dovere — etico, politico, giuridico — reggere anche il peso di decisioni impopolari, se lo reclama l’interesse generale. Governare significa scontentare, diceva Anatole France.

Ecco, è da quest’impotenza che deriva la potenza della piazza. Da una politica debole, in crisi di fiducia popolare, che insegue perciò l’ultimo sondaggio, l’ultimo dato d’ascolto in tv. Ne è prova la retromarcia del governo sul reato d’immigrazione clandestina: avrebbe dovuto abrogarlo ai primi di gennaio, poi non ne ha fatto nulla, troppi mal di pancia nell’elettorato. Eppure l’altro ieri il presidente della Cassazione, Giovanni Canzio, ha ribadito che si tratta d’un reato inutile e dannoso. Nessuna reazione; forse gli converrà indire a sua volta un Justice day. Nel frattempo il Parlamento è debole nei confronti del governo, il governo è debole nei confronti delle piazze. Ai politici italiani, più che un voto, serve una vitamina.

29 gennaio 2016 (modifica il 29 gennaio 2016 | 23:45)
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Da - http://www.corriere.it/cultura/16_gennaio_30/se-politici-parlamento-aspettano-piazze-33d74380-c6d3-11e5-bc00-4986562dd09c.shtml
7129  Forum Pubblico / PERSONE che ci hanno lasciato VALORI POSITIVI / Giovanni SPADOLINI. Quella sinistra fra radicale e repubblicana inserito:: Gennaio 30, 2016, 12:40:10 pm
Quella sinistra fra radicale e repubblicana

Giovanni Spadolini
Sabato 30 gennaio 2016
“La Voce Repubblicana”, 23-24 settembre 1983

1870-1892.
Il ventennio, e qualcosa di più, affrontato in questo nostro convegno, è fondamentale per la nascita dell’Italia moderna, per i germi destinati poi a svilupparsi negli anni immediatamente successivi, cioè l’ultimo decennio dell’ottocento e l’età giolittiana. Ed è sull’ultimo scorcio di secolo che voglio brevemente richiamare la vostra attenzione, proprio per capire l’importanza estrema dell’indagine su ciò che precede, su ciò che sta immediatamente prima.

È solo nell’ultimo decennio dell’Ottocento, a partire dal 1890, che si definiscono in Italia i partiti politici in senso moderno. Nel 1890 sorge il partito radicale, col battesimo un po’ pomposo, molto classicheggiante e plutarchesco., del “patto di Roma”; nel 1892 si ha a Genova la costituzione ufficiale del partito socialista, che si separa dall’involucro anarchico; nel 1895 si definisce formalmente nel triangolo fra Forlì, Firenze e Milano, il partito repubblicano italiano, che era sì il più antico di tutti, ma che si era espresso dopo Roma capitale attraverso il movimento sindacale, i patti di fratellanza, precedente e quasi condizionante il movimento politico: un po’ come i laburisti inglesi.

Tutto avviene sulla sinistra dello scacchiere politico italiano, anzi per i tempi sull’estrema sinistra. A destra e al centro poco o niente in questa direzione si muove. Per registrare la nascita di un partito liberale organizzato come tale, in Italia, si dovrà attendere il crollo del vecchio sistema liberale, la marcia su Roma, l’avvento del fascismo.

Ecco perché – l’ho ricordato nelle pagine introduttive del volume I radicali dell’ottocento – ecco perché la battaglia per la definizione del partito politico, delle sue regole, dei suoi strumenti d’azione, è tutta una battaglia di sinistra in Italia: o socialista, o repubblicana, o, sempre meno col tempo, radicale.

Radicale. Un termine, una parola quasi scomparsa all’indomani della liberazione dal linguaggio politico corrente: almeno fino all’inizio degli anni cinquanta.

In quel clima, in quella fase della vita politica italiana, torna a circolare la parola “radicale”. È un termine che non è stato presente alla Costituente: sostituito da un partito, la “democrazia del lavoro”, con qualche venatura massonica e lontane ascendenze vetero-radicali, ma perfino timoroso di riprendere l’insegna dei Sacchi e dei Credaro. Quella miniatura di partito radicale, piuttosto erede delle clientele meridionali che non di una vera impostazione politica, si è dissolta intorno al 1948: in qualche zona assorbita dai “fronti popolari”, in qualche altra dai “blocchi” (o presunti tali) liberali. Dei due nuclei storici dell’opposizione allo Stato monarchico, su sponda non marxista, sopravvive solo, nel parlamento successivo al ’48, il vecchio e tenace partito repubblicano.

19 febbraio 1951. Esce allora, in quel clima, sul “Mondo” di Mario Pannunzio, la seconda puntata della mia storia dei Radicali dell’ottocento. “Con, senza, contro Garibaldi”, l’ha intitolata il grande direttore con quella sfumatura di ironia che sempre lievitava nei titoli del settimanale fondato da poco più di un anno. È il tramonto dei massimi miti del partito d’azione di origine mazziniana – l’iniziativa popolare, la Costituente, l’associazionismo – che genera la nascita dei primi gruppi radicali: quasi la “destra” del repubblicanesimo intransigente, chiuso nell’inflessibile non possumus politico.

1951. Probabilmente quello fu il mio primo incontro ideale con Alessandro Galante Garrone. Non ci conoscevamo ancora, nessun convegno storico ci aveva ancora uniti. Ricordo solo in quello stesso anno l’incontro a Siena, in un convegno organizzato dalla stessa Società, (presidente e segretario, con un commovente accento di fedeltà ai valori del primo e del secondo Risorgimento, Eugenio Artom e Sergio Camerani), in quel convegno a Siena, ricordo l’incontro con un uomo cui dovevo legarmi con una stretta, affettuosa amicizia, un uomo che io voglio rievocare in questo convegno, autore di tre fondamentali volumi nella mia collana “quaderni di storia”, personaggio appartenente a quella sinistra gobettiana e democratica anticale che è rimasta sale della nostra storia vivente, Nino Valeri.

Nino Valeri sì, Federico Chabod sì, molti altri amici già in quegli anni ’50-’51 che furono i miei primi del noviziato accademico: ma Galante Garrone, che incontrai più tardi, ma che certamente fu fra i primi a leggere e apprezzare quella storia d’insieme, quello schizzo, quell’affresco di storia del partito radicale, cui egli doveva poi portare il contributo della sua indagine scavata e approfondita, dentro la storia del radicalismo.

La mia amicizia con Alessandro Galante Garrone ha costituito uno dei punti fermi della mia vita di studioso non meno che di uomo politico. Ed ecco perché sono qui a Livorno, a testimoniare a lui e all’amico Della Peruta, come gli altri relatori, un affettuoso ringraziamento per avere accettato il nostro invito. Il tema è temperato dalla prudenza accademica, “Sinistra costituzionale, correnti democratiche e società italiana”; in realtà è la storia della sinistra italiana nel suo filone radicale repubblicano e nella preparazione del filone socialista.

È il rapporto fra socialisti e radicali, repubblicani e socialisti. È una storia che continua ancor oggi in forme diverse, è la storia che animò il nobile tentativo del partito d’azione. Non fatemi finire in politica: questa è stata la costante riflessione della mia vita. Fino alle pagine recenti sul “partito della democrazia”.

Giovanni Spadolini

Da - https://www.facebook.com/notes/giovanni-spadolini/quella-sinistra-fra-radicale-e-repubblicana/969069233184682
7130  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / SERGIO RIZZO Dieci milioni al giornale che «fabbricava» pubblicisti In 6 anni.. inserito:: Gennaio 30, 2016, 12:37:27 pm
CONTRIBUITI ALL’EDITORIA

Dieci milioni al giornale che «fabbricava» pubblicisti In 6 anni i soldi pubblici sono arrivati al «Corriere laziale», piccolo giornale sportivo romano che ha sfornato 560 tesserini: esposto dell’ordine dei giornalisti

Di SERGIO RIZZO

Dieci milioni 254.825 euro di soldi pubblici. Tanti ne ha incassati in sei anni, dal 2006 al 2011, un piccolo giornale sportivo romano che fa capo a una cooperativa, la Edilazio ‘92. Si chiama Corriere laziale, e in quanto vestito da coop è stato ammesso a godere delle laute provvidenze a carico dei contribuenti previste dalle leggi per l’editoria. Piccolo, ma dotato di una impressionante produttività di tessere professionali, considerando che ha sfornato da solo qualcosa come 560 (cinquecentosessanta!) pubblicisti.

Come sia stato possibile, è scritto in un esposto che la presidente dell’ordine dei giornalisti di Roma, Paola Spadari, ha presentato alla Procura della Repubblica. Con tanto di testimonianze e verbali. Nella denuncia si ricorda come l’ex direttore responsabile Eraclito Corbi, amministratore unico della cooperativa editrice del giornale nonché marito dell’attuale direttore Marcella Coccia, e per giunta già consigliere nazionale dell’ordine, sia stato sospeso per un anno dall’albo in seguito a un provvedimento disciplinare avviato dal predecessore di Paola Spadari, Bruno Tucci, decano del Corriere della Sera. Decisione confermata la scorsa primavera in secondo grado. Con una sanzione che sarebbe stata ancora più pesante, si dice nelle carte, se non esistesse quella regola piuttosto singolare per cui le sentenze dei ricorsi contro i provvedimenti disciplinari dell’ordine dei giornalisti non possono risultare peggiorative.

Quale l’accusa? Quella di aver messo in piedi una specie di fabbrica di pubblicisti, con una catena di montaggio funzionante a pieno ritmo. Ma a spese degli operai. La tesi fatta propria dal consiglio di disciplina dell’ordine è che il giornale reclutava giovani aspiranti giornalisti da impiegare per realizzare le cronache degli avvenimenti sportivi locali nel Lazio. Il loro compenso? Spiegano gli atti che consisteva solo nella documentazione necessaria per avere la sospirata iscrizione all’albo, che per i pubblicisti consiste in un certo numero di articoli pubblicati, a patto che siano regolarmente retribuiti. E questo è l’aspetto più delicato della faccenda, perché fra le testimonianze raccolte durante l’istruttoria sfociata nella sanzione inflitta a Corbi, c’è anche quella di chi ha dichiarato di aver dovuto firmare attestazioni di pagamenti mai avvenuti. Per il consiglio di disciplina il meccanismo sarebbe stato gestito da un’impresa familiare in piena regola, con l’ex direttore coadiuvato dai tre figli. Il tutto, con il corollario di quei generosi contributi pubblici incassati in sei anni.

La nuova presidente dell’Ordine di Roma ha ora ritenuto che ci fossero gli estremi per far uscire la vicenda dal recinto professionale, investendone i pm. In un clima di guerra totale con il Corriere laziale. Perché quel giornale specializzato nel seguire le serie calcistiche minori si sta impegnando a fondo da settimane in uno sport completamente diverso e del tutto inedito: il tiro all’Ordine. Ultimo capitolo, il titolone a tutta pagina del numero nel quale si riprende un articolo pubblicato una decina di giorni fa dal Fatto Quotidiano che dava conto di rilievi sollevati da uno dei sindaci revisori su certe voci di spesa: «Odg sotto accusa. Quanti sprechi!». La battaglia infuria, senza esclusione di colpi. Non passa giorno senza bordate all’indirizzo tanto di Paola Spadari, quanto del precedessore Tucci. Bordate in certi casi talmente eleganti da aver indotto la presidente a querelare il giornale. Mentre Corbi, abruzzese di Avezzano, l’avverte a mezzo stampa che da «lupo marsicano» si è trasformato «in cinghiale» pronto a caricare. E «credetemi», aggiunge, «le furie di un cinghiale sono spaventose» ...

21 marzo 2014 | 10:02
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/14_marzo_21/dieci-milioni-giornale-che-fabbricava-pubblicisti-9055b7b6-b0d4-11e3-b958-9d24e5cd588c.shtml
7131  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Renzi a Ventotene: «Accolti al grido “Schenghen, Schenghen” Non lasceremo ... inserito:: Gennaio 30, 2016, 12:34:51 pm
La visita

Il premier Renzi a Ventotene: «Accolti al grido “Schenghen, Schenghen” Non lasceremo distruggere l’Europa»
Appena atterrato in elicottero sull’isola è andato nel cimitero e ha reso omaggio all’antifascista che scrisse il «Manifesto per un’Europa libera»


Di Ernesto Menicucci - il nostro inviato

Il premier Matteo Renzi è atterrato con un elicottero sull’isola di Ventotene, e la prima cosa che ha fatto è stata portare un mazzo di fiori sulla tomba di Altiero Spinelli (come testimonia la foto in alto scattata dal responsabile della comunicazione del premier, Filippo Sensi, che ha anche lanciato su Twitter l’hashtag #cosedieuropa). Spinelli è l’ideatore, insieme con Ernesto Rossi, del «Manifesto di Ventotene» che negli anni ‘40 gettò le basi di quella che oggi è diventata l’Unione Europea.

La visita con Franceschini e Zingaretti
Renzi, accompagnato nella visita dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini e dal governatore del Lazio Nicola Zingaretti, è poi salito su una nave della Capitaneria di porto è sta raggiungendo lo «scoglio» di Santo Stefano sede dell’ex carcere in cui venne rinchiuso da Mussolini, tra i tanti antifascisti, anche Sandro Pertini. Il progetto è quello di recuperare la struttura del carcere e adibirla a luogo simbolo dell’Europa. Dopo la visita a Santo Stefano, Renzi parteciperà ad una iniziativa pubblica a Ventotene con Franceschini e Zingaretti. C’è grande attesa per il suo intervento dal suolo pontino dopo l’incontro di venerdì con la cancelliera tedesca Angela Merkel.
   
Il rientro a Ventotene
Dopo la visita al carcere di Santo Stefano, Matteo Renzi, Franceschini e Zingaretti sono rientrati (con una motovedetta della Capitaneria di porto) a Ventotene. Ad attenderli, i manifestanti del Movimento federalista europeo che hanno mostrato i loro cartelli, le bandiere della Ue e scandito slogan: con loro il premier si è intrattenuto qualche minuto.

Il premier e il progetto del carcere
Renzi ha presentato il progetto di recupero del carcere borbonico, dichiarato monumento nazionale dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel 2008: «Arriva un momento, quando pensi che tutto vada storto, in cui c’è la necessità di tornare in un luogo protetto, a casa. Ma anche trovare rifugio per chi vive in difficoltà. Noi abbiamo scelto di tornare a casa, dove tutto è iniziato. Gli italiani non sono troppo orgogliosi di cosa è successo qui e fuori da qui: uno scontro che pochi definivano fratricida, una guerra civile europea. Alcuni visionari ebbero coraggio, passione, forza di immaginare l’Europa come luogo di pace». Renzi poi insiste: «L’Europa è la più grande vittoria politica e sembra strano che questa piccola isola sia la culla di tutto questo. Ma ancora oggi quel carcere versa in condizioni indicibili. Siamo stiamo accolti al grido di “Schenghen, Schenghen”. Chi vuole distruggere Schenghen vuole distruggere l’Europa. E noi non lo permetteremo».

Il primo cittadino dell’isola
Il sindaco di Ventotene, Giuseppe Assenso (al terzo mandato) ha ringraziato le autorità presenti e ricordato: «Mi auguro che questo progetto rilanci Ventotene. Le chiedo di essere tedoforo di questa iniziativa, perché Ventotene può dare un valore aggiunto all’Europa».

30 gennaio 2016 | 10:01
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://roma.corriere.it/notizie/politica/16_gennaio_30/premier-renzi-ventotene-porta-fiori-tomba-altiero-spinelli-a5fd63ea-c72d-11e5-b16b-305158216b61.shtml
7132  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Arriva il Jobs Act per gli autonomi: più tutele per professionisti e partite Iva inserito:: Gennaio 29, 2016, 06:09:39 pm
Arriva il Jobs Act per gli autonomi: più tutele per professionisti e partite Iva

Di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci
28 gennaio 2016

ROMA - Si rafforzano le tutele per professionisti e partite Iva: l'indennità di maternità si potrà ricevere pur continuando a lavorare (non scatta l'astensione obbligatoria); alla nascita del bambino si avrà diritto a un congedo parentale di sei mesi (entro i primi tre anni di vita); le spese per la formazione saranno deducibili al 100% (nel limite di 10mila euro l'anno); e in caso di malattia o infortunio il rapporto con il committente si sospende (non si estingue) per un periodo non superiore a 150 giorni.

Oggi sul tavolo del Consiglio dei ministri, salvo sorprese dell'ultimo minuto, è atteso il Ddl di riordino dei rapporti di lavoro autonomo (che disciplinerà anche il lavoro agile, ovvero il lavoro subordinato con prestazioni in parte svolto “da remoto”), insieme a un secondo Ddl delega con le misure per il contrasto alla povertà (che potranno contare su uno stanziamento di 600 milioni per il 2016, che salgono a 1 miliardo nel 2017). I due provvedimenti, una volta ricevuto l'ok del Governo, viaggeranno in Parlamento come collegati alla legge di Stabilità (per questo vanno presentati entro gennaio) per accelerare l'iter di approvazione definitiva.

Sul fronte del lavoro autonomo, il disegno di legge di 22 articoli messo a punto dai tecnici di palazzo Chigi e ministero del Lavoro, conferma la stretta sulle clausole abusive: si considerano illegittime quelle clausole che attribuiscono al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni di contratto o che fissano termini di pagamento superiori a 60 giorni. Si tutelano anche le invenzioni fatte dai lavoratori autonomi: si stabilisce che i relativi diritti di utilizzo economico spettino al professionista, e non al committente, che al più ne può trarre un vantaggio. Confermata anche la deducibilità dei premi assicurativi corrisposti per tutelarsi in caso di insolvenza del cliente.

Il provvedimento contiene anche una norma che “salva” le collaborazioni coordinate e continuative considerate “genuine”: «In accordo a quanto previsto dal Jobs act - spiega Maurizio Del Conte, professore di diritto del Lavoro alla Bocconi di Milano e neo presidente dell'Anpal - si riconosce la genuinità delle collaborazioni organizzate dal collaboratore d'accordo con il committente, e a queste si estendono le tutele previste dal Ddl sul lavoro autonomo».

Passando al lavoro agile, si chiarisce che il lavoratore che accetta di svolgere una quota della propria prestazione fuori dai locali aziendali, «ha diritto di ricevere un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda». Bisognerà garantire delle fasce di disponibilità. Le prestazioni “da remoto” beneficiano degli incentivi fiscali e contributivi riconosciuti per gli incrementi di produttività.

«Il Ddl sul lavoro autonomo è coperto con il fondo ad hoc previsto nella legge di Stabilità 2016, 10 milioni quest'anno e 50 milioni dal 2017 - sottolinea Marco Leonardi, economista alla Statale di Milano, e neo consigliere di palazzo Chigi sui temi del lavoro -. L'estensione delle tutele su malattia e maternità costeranno da subito, mentre la deducibilità delle spese di formazione, ricollocamento e assicurazione contro il rischio di mancato pagamento comporteranno effetti di mancato gettito solo dal 2017».

Quanto al Ddl delega con le misure contro la povertà, l'obiettivo del governo è quello di razionalizzare i molteplici interventi attivati nei territori per arrivare a un Piano nazionale che affianchi al sostegno economico i servizi alla persona. Nel Piano sarà indicato il livello minimo delle prestazioni, che servirà come riferimento per Regioni ed enti locali. Il Fondo per il contrasto della povertà per il 2016 ammonta a 600 milioni: di questi 380 milioni serviranno a rafforzare il sostegno per l'inclusione attiva da generalizzare a tutto il territorio andando quindi oltre alla sperimentazione che coinvolgeva le 12 città più grandi del paese, mentre 220 milioni andranno all'Asdi, l'assegno di disoccupazione che spetta per 6 mesi per chi resta in condizione di bisogno finita la Naspi. In realtà le risorse complessivamente disponibili per il 2016 superano 1 miliardo se si considerano anche gli stanziamenti pregressi e i risparmi.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-01-28/piu-tutele-professionisti-e-partite-iva--122038.shtml?uuid=ACxPr6IC
7133  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Massimo SIDERI Un malinteso ha «creato» posti di lavoro inesistenti. inserito:: Gennaio 29, 2016, 06:07:59 pm
Apple, 600 nuovi posti di lavoro a Napoli? No, saranno 600 studenti
Un malinteso ha «creato» posti di lavoro inesistenti.
Con la complicità dei social

Di Massimo Sideri

Cronaca (ex post) di un malinteso che ha «creato» 600 posti di lavoro inesistenti.
Oggetto: nuovo centro di sviluppo di Napoli della Apple.
Mezzo: conferenza stampa+Twitter+rimbalzo sui media.
Danneggiata: l’informazione. Per essere compresa la questione va vivisezionata. «Apple aprirà a Napoli una bella realtà di innovazione con circa 600 persone» aveva detto il 21 gennaio il premier, Matteo Renzi, a Palazzo Chigi.

Uno scoop confermato poco dopo da un comunicato della società di Cupertino, dove però si sorvolava sui numeri. L’annuncio sui social network è diventato subito «La Apple apre a Napoli, 600 posti di lavoro» e sulle agenzie «Apple apre a Napoli bella realtà con 600 addetti».

Nessuna smentita, nessuna precisazione, nessuna risposta a chi ha chiesto lumi. Anzi, i 600 posti di lavoro hanno iniziato a surfare sulla rete e sui media, complice la brevità dei tweet e la sintesi dei titoli. Ora, qualche dubbio mi era venuto subito visto che la società di Cupertino ha anche un sito dedicato ai posti di lavoro da cui risulta che in Italia i dipendenti sono 1.800. Con 2.400 (+33%) avremmo superato la Germania (2.200) e raggiunto la Francia (2.400). D’altra parte con il numero uno mondiale, Tim Cook, che il giorno dopo era atteso proprio a Napoli con Renzi, era anche comprensibile che non si volessero svelare tutti i particolari, anticipati in parte dal premier.

Purtroppo quei 600 posti di lavoro - che ormai sono scolpiti nella testa di molti come sulla pietra - non ci saranno: il numero è quello degli studenti che verranno selezionati per seguire, nella struttura di una società partner, i corsi di sviluppo sul sistema operativo iOs, cioè quello dell’iPhone/iPad/iWatch. Toccherà a loro dopo il corso cercarsi un’occupazione che però, in quanto sviluppatori, sarà probabilmente non un vero «posto di lavoro», almeno per come tutti noi intendiamo il termine. Basti pensare che in Italia risultano registrati su iOs 264 mila sviluppatori, di cui per la Apple stessa solo 75 mila sono operativi. Va aggiunto che avere delle entrate stabili è molto dura: pochissimi ci riescono e dipendono comunque da una app di successo che ha una vita media di pochi mesi. I 600 posti sono 600 studenti speranzosi. È la magia del rimbalzo o il malinteso della brevità dei 140 caratteri. Magari con l’introduzione dei 10 mila caratteri a cui sta pensando Twitter si riuscirà a veicolare informazioni più precise. O forse sarà il caos definitivo.

@massimosideri
27 gennaio 2016 | 16:56
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Da - http://corriereinnovazione.corriere.it/2016/01/27/apple-600-nuovi-posti-no-saranno-600-studenti-2e2d59ac-c4e3-11e5-9850-7f16b4fde305.shtml
7134  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Francesco GIAVAZZI. Renzi e Merkel: l’alleato che Berlino vorrebbe inserito:: Gennaio 29, 2016, 06:03:16 pm
Italia e Germania
Renzi e Merkel: l’alleato che Berlino vorrebbe

Di Francesco Giavazzi

Angela Merkel, incontrando Matteo Renzi domani, si chiederà quanto il potere abbia cambiato l’uomo politico che lei ebbe la lungimiranza di invitare tre anni or sono a Berlino, quando egli aveva perso le primarie del Pd ed era solo il sindaco di una relativamente piccola città italiana. L’impressione deve essere stata favorevole perché in seguito, al primo Consiglio europeo cui Renzi partecipò, lo presentò come «il mio amico Matteo». Forse in quel momento, volgendo lo sguardo intorno al tavolo e osservando la modestia politica dei partecipanti, Angela Merkel coltivò la speranza che quel giovane italiano ne potesse assumere la guida e aiutarla nel faticoso compito di rendere più solide le istituzioni europee.

Da quel giorno si sono alternate conferme e delusioni. Conferme per la capacità di portare in porto riforme che da anni venivano millantate, senza che nessun governo riuscisse a farle. Delusioni perché Renzi non è riuscito — forse non ha neppure provato? — a consolidare la sua posizione nel Consiglio europeo e a diventare un punto di riferimento. Come molti suoi predecessori non è andato al di là di qualche battaglia in difesa di legittimi interessi nazionali. Battaglie condotte male per di più, senza capire, ad esempio, che per essere influenti a Bruxelles sui dossier per noi più importanti sarebbe stato meglio chiedere i posti di commissario europeo alla Concorrenza o di direttore del dipartimento che si occupa di Aiuti di Stato.

Invece il posto di Alto rappresentante per gli Affari esteri che abbiamo ottenuto è di grande prestigio ma, come si è visto, del tutto inutile per quei dossier. Angela Merkel è l’unico vero statista in Europa, il solo capace di non abbandonare un progetto in cui crede anche se ciò significa, come si è visto durante la crisi dei rifugiati, sfidare l’opinione pubblica del proprio Paese. L’unico, nella tradizione di Konrad Adenauer, Helmut Schmidt e Helmut Kohl, che si chieda come contribuire alla Storia del suo Paese e quale futuro si debba costruire. Se Helmut Kohl sarà ricordato per l’unificazione della Germania, Angela Merkel vuole essere ricordata come il cancelliere che ha salvato l’Unione Europea. Ma ha bisogno di alleati, e oggi in Europa ne ha pochi.

A Est Polonia e Ungheria hanno imboccato una strada che li sta allontanando dai principi di democrazia che sottostanno al progetto europeo. La Gran Bretagna si prepara a un voto in cui potrebbe decidere di abbandonare l’Unione. Portogallo e Spagna hanno perduto l’equilibrio politico e non riescono a formare governi stabili. La Francia, alleato storico, è incapace di riformarsi e quindi indebolita. In questo quadro deprimente l’Italia può essere l’alleato indipendente e leale di Angela Merkel. Un’occasione unica di poter contribuire alla costruzione dell’Europa in cui vivremo guardando al di là del proprio orticello.

Per giocare questo ruolo il presidente del Consiglio deve convincersi che senza Europa nessun Paese può farcela da solo (basti guardare alla vicenda greca). Incominciando con il discutere in modo intelligente le proposte contenute nel Rapporto dei cinque presidenti sul completamento dell’Unione monetaria e proporre che l’argomento sia posto all’ordine del giorno del Consiglio europeo del 18 febbraio.

27 gennaio 2016 (modifica il 27 gennaio 2016 | 22:15)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_gennaio_28/renzi-merkel-l-alleato-che-berlino-vorrebbe-839ff582-c53a-11e5-9850-7f16b4fde305.shtml
7135  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Danilo TAINO Rifugiati, debito e gasdotto, la linea di Merkel con Renzi inserito:: Gennaio 27, 2016, 06:51:19 pm
Concertazione Bilaterale
Rifugiati, debito e gasdotto, la linea di Merkel con Renzi
Nell’incontro di venerdì 29 a Berlino la Cancelliera tedesca sosterrà l’Italia nel controllo delle frontiere. Ma chiederà il versamento delle quote a sostegno della Turchia
Di @danilotaino

BERLINO
Alla cancelleria di Berlino non si aspettano che l’incontro di venerdì tra Angela Merkel e Matteo Renzi, ore 12.30, sia un pranzo di gala. E non lo vorrebbero nemmeno: la polemica pubblica sollevata con il governo tedesco e con la Commissione Ue da alcune considerazioni del presidente del Consiglio italiano è considerata «non utile».

Dal punto di vista politico, è anzi ritenuta sbagliata anche nei tempi: in un passaggio nel quale l’Europa è divisa come non mai, Germania e Italia dovrebbero agire da stabilizzatrici, con differenze naturalmente sui diversi dossier ma unite nel cercare una soluzione alle crisi multiple che rischiano di sommarsi in una crisi grande. Così pensano nell’esecutivo tedesco e così ragionano anche molti parlamentari.

La posizione che Frau Merkel terrà venerdì sarà dunque netta ma orientata a dare un’idea di comunione d’intenti tra Berlino e Roma. La sua intenzione è di discutere di cose concrete, dei punti di frizione sollevati da Renzi e di cercare di trovare una via per affrontarle. Non è però la cancelliera di sei mesi fa, quella che vedrà il premier italiano. È una politica che sulla questione dei rifugiati ha messo in gioco non solo il suo futuro politico ma anche il ruolo della Germania in Europa: ancora disposta a cercare compromessi ma con meno spazio per trovarli. Sempre molto preparata sui dossier in discussione.

Nell’analizzare la situazione, Merkel si mostrerà preoccupata. Non solo sulla questione profughi. In Spagna e Portogallo, due nuovi governi probabilmente metteranno in discussione le politiche economiche seguite finora dall’Eurozona: Berlino teme uno stop alle riforme che — giudica — finora hanno prodotto risultati positivi nei due Paesi e soprattutto che i nuovi esecutivi portino elementi di divisione nell’Eurozona. In un momento in cui stanno per riprendere le discussioni con la Grecia sulla realizzazione delle riforme promesse in cambio del pacchetto di aiuti da 86 miliardi.

Frau Merkel e i suoi ministri ritengono che la risposta data alla crisi dell’euro sia stata positiva, che da allora l’Eurozona abbia fatto molti progressi; ma che le riforme strutturali debbano andare avanti, soprattutto ora che la politica monetaria della Bce è estremamente espansiva e anche la politica di bilancio tedesca è diventata tale (moderatamente) grazie agli investimenti per dare asilo ai profughi.

E sulla cosiddetta austerità, la Germania ritiene che gli spazi di flessibilità già ci siano. Merkel riconosce l’importanza e la portata delle riforme fatte e previste dal governo di Matteo Renzi. In Germania, però, l’opinione corrente è che sul versante dell’economia molto vada ancora fatto.

Sui rifugiati, la cancelliera sarà pressante. Dirà a Renzi che i tre miliardi promessi alla Turchia affinché trattenga il maggior numero possibile di profughi vanno finanziati; che Berlino sosterrà l’Italia nel controllare le frontiere esterne, in particolare nel Mediterraneo (chissà se riconoscerà che la Germania si è accorta in ritardo e quindi male del problema) ma chiederà che gli hot spot nei quali registrare chi entra in Europa vengano fatti funzionare. Probabilmente sottolineerà anche l’importanza della conferenza dei donatori ai siriani che si terrà a Londra a inizio febbraio: ne è co-sponsor e vuole che abbia successo.

Dal punto di vista di Merkel — l’ha detto più volte — sulla questione profughi si gioca il futuro dell’Europa e l’opinione nel governo tedesco è che nella Ue ci sia stata poca solidarietà in un passaggio nel quale dovrebbe essere massima. È soprattutto sui rifugiati che Berlino tende oggi a valutare le amicizie in Europa.

In merito alle critiche di Renzi alla Commissione Ue, Frau Merkel difficilmente entrerà nel merito. Se ce ne sarà bisogno, difenderà il capo di gabinetto di Jean-Claude Juncker, il tedesco Martin Selmayr, nonostante che anche a Berlino non sempre sia apprezzato: ad esempio dal ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, il quale lo scorso giugno gli intimò di smettere di intromettersi nelle discussioni con la Grecia.

Se infine Renzi solleverà la questione del Nord Stream 2, che imprese tedesche intendono realizzare con la russa Gazprom nel pieno delle sanzioni contro Mosca, Merkel gli farà probabilmente capire che è buona cosa lasciare la questione alla Commissione Ue che ne vaglierà legittimità e opportunità. Per lei, infatti, è difficile intervenire sulla questione. Sta molto a cuore ai socialdemocratici, partner di governo, ed è stata condotta dal vicecancelliere e leader della Spd Sigmar Gabriel: smentirlo creerebbe tensione nella Grande Coalizione.

Oltre ai dossier, ci saranno sorrisi reciproci. Ma non è detto che si esageri.

26 gennaio 2016 (modifica il 27 gennaio 2016 | 09:40)
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Da - http://www.corriere.it/economia/16_gennaio_26/rifugiati-debito-gasdotto-linea-merkel-renzi-a0d4c226-c46e-11e5-8e0c-7baf441d5d56.shtml
7136  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Federico FUBINI. Bad bank, garanzie a pagamento per l’accordo con l’Europa inserito:: Gennaio 27, 2016, 06:48:22 pm
LE SOFFERENZE delle banche
Bad bank, garanzie a pagamento per l’accordo con l’Europa
L'intesa fra il governo e la Commissione Ue è arrivato dopo un negoziato di un anno.
Il comunicato del Tesoro I punti deboli di una lunga trattativa, la mancanza di efficacia dei massimi vertici amministrativi del Tesoro, la rigidità dell’esecutivo Ue

Di Federico Fubini

Il meccanismo, ha avvertito lo stesso ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, è «un po’ più complicato» di una semplice garanzia statale o probabilmente anche di quanto il governo sperasse all’inizio. Ma ora c’è. L’accordo fra la Commissione europea e l’Italia su un metodo per aiutare le banche a vendere i propri crediti inesigibili è stato trovato solo martedì sera, al termine di un negoziato partito all’inizio di febbraio del 2015.

In un comunicato di mercoledì mattina il ministero dell’Economia ha chiarito i contorni dell’accordo. «Lo Stato garantirà̀ soltanto le tranche senior delle cartolarizzazioni, cioè̀ quelle più̀ sicure, che sopportano per ultime le eventuali perdite derivanti da recuperi sui crediti inferiori alle attese», si legge. In sostanza, la garanzia sarà riservata solo ai segmenti di maggiore valore e affidabilità dei pacchetti di prestiti deteriorati che le banche cercheranno di cedere agli investitori. Questi ultimi poi potrebbero rilavorarli in modo da metterli sul mercato come titoli strutturati (composti da tanti piccoli crediti), che offriranno un flusso di cassa in base ai pagamenti residui da parte dei debitori o dalla vendita dei beni che questi avevano posto a garanzia dei prestiti stessi.

La garanzia – spiega il Tesoro - sarà condizionata al fatto che questi pacchetti di prestiti abbiano un rating (giudizio di affidabilità) di livello accettabile. E potrà essere richiesta sia dall’operatore che compra questi pacchetti dalle banche, che dalle banche stesse se intendono rilavorare e mettere sul mercato direttamente i propri crediti in difficoltà. Nel comunicato di questa mattina, il ministero dell’Economia spiega che il prezzo della garanzia sarà calcolato sulla base del prezzo delle assicurazioni in derivati (credit default swaps) a favore di titoli obbligazionari di livello di rischio comparabile a quello di quei crediti malati. In sostanza, ci saranno riferimenti di mercato automatici che determinano il valore delle garanzie. Ma più passano gli anni, più il prezzo della garanzia salirà per ogni singolo pacchetto di crediti cartolarizzati e messi sul mercato.

L’obiettivo ultimo dell’operazione è dunque chiaro: creare pacchetti di titoli composti da crediti deteriorati, ma di buona qualità. Questi ultimi poi potranno essere comprati dalla Banca centrale europea nelle sue operazioni di “quantitative easing”, acquisto di obbligazioni con moneta appena creata. Il solo dubbio è che sia troppo ridotto il volume di titoli di questa qualità elevata nella montagna di credito malato delle banche italiane.

È dunque un accordo limitato, ma è almeno un punto dal quale ripartire.  A bocce ferme, sia il governo che la Commissione dovranno chiedersi cos’è che non ha funzionato. C’è voluto troppo tempo per arrivare a una decisione così importante per voltare pagina dopo la recessione. L’Italia paga senz’altro la lentezza con la quale ha maturato la scelta di un intervento a favore delle banche, a partire dall’ormai lontano 2011; ma paga probabilmente anche un negoziato che nell’ultimo anno non sempre è stato svolto con tutta l’efficacia necessaria da parte dei massimi vertici amministrativi del ministero dell’Economia.

 La Commissione Ue per parte propria ha rivelato, accanto a una grande attenzione alle regole che limitano gli aiuti di Stato, alcuni atteggiamenti di una intransigenza a tratti irragionevole. Di certo il quadro di regole che obbligano a colpire i risparmiatori se anche un solo euro di intervento pubblico viene concesso alle banche, si sono dimostrate per quello che era prevedibile fossero: talmente rigide da rischiare di creare l’opposto di ciò per cui sono state disegnate, il contagio finanziario e l’insicurezza del risparmiatori, anziché la stabilità necessaria alla ripresa. Ma questo è il passato, e in politica come in finanza conta soprattutto il futuro. Quando i contorni dell’accordo di martedì sera diverranno chiari nei dettagli, a partire dai prossimi giorni, ci si renderà conto probabilmente che il meccanismo emerso dal negoziato di Padoan a Bruxelles è piuttosto minimalista. Non poteva essere altrimenti, a questo punto. Ma certo non rappresenterà di per sé il grande colpo di spugna che permette alle banche italiane di liberarsi di crediti inesigibili per 200 miliardi di euro senza registrare forti perdite in bilancio.

C’è però un lato positivo da non sottovalutare: comunque sia, ora la lunga incertezza è finita. Per quanto di minima, il meccanismo di garanzie per la gestione di quella montagna di prestiti cattivi adesso c’è e presto tutti lo conosceranno e ne misureranno esattamente l’efficacia. Avanzato o meno, questo è il punto dal quale l’Italia e le sue banche da oggi in poi potranno finalmente ripartire per mettersi alle spalle i postumi di una lunghissima recessione.

Quel patto Roma-Bruxelles se non altro aiuta a stabilire con più chiarezza le forze in campo e i valori intrinseci di ciascuna banca italiana, soprattutto di quelle più cariche di crediti in sofferenza come Montepaschi di Siena o il Banco Popolare di Verona. Il mercato detesta l’incertezza e almeno questo fattore destabilizzante sarà meno pericoloso da stamattina. A partire da qui, sarà più facile per tutti accelerare nel processo che da ora in poi dovrà portare a nuove aggregazioni fra banche medie e medio grandi in Italia. Le protagoniste saranno inevitabilmente Ubi di Bergamo, la Banca popolare di Milano, fra le banche più solide, e le stesso Montepaschi, il Banco Popolare e altre fra quelle meno in grado di condurre le danze.

Quello delle aggregazioni bancarie è il nuovo capitolo che si sta aprendo nell’economia italiana. Grazie anche all’accordo di ieri sera fra Padoan e Vestager. Forse non è abbastanza, ma non è poco.

27 gennaio 2016 (modifica il 27 gennaio 2016 | 11:22)
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Da - http://www.corriere.it/economia/16_gennaio_27/quel-mini-accordo-banche-bruxelles-che-puo-segnare-svolta-97f45876-c4c1-11e5-9027-934aa0fd82d6.shtml
7137  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / ALDO CAZZULLO. Veltroni: «Renzi deve aver cura della storia della sinistra» inserito:: Gennaio 27, 2016, 06:46:09 pm
L’INTERVISTA
Veltroni: «Renzi deve aver cura della storia della sinistra»
L’ex leader: sul Senato dirò sì, ma al Parlamento più poteri di controllo
Non amo il dibattito sul partito della Nazione, il contrario della vocazione maggioritaria

Di Aldo Cazzullo

«Ci sta succedendo quel che di più pericoloso possa accadere a una comunità umana: stiamo perdendo la coscienza della storia».

Walter Veltroni, dice questo proprio nel Giorno della memoria?
«La memoria non è solo quella del computer, senza la quale siamo come gattini ciechi. La memoria è essenziale per la costruzione del futuro e la lettura del presente. La mia generazione è abituata a pensare la democrazia come unica forma di governo possibile; ma si sbaglia. Certo è la migliore; ma non è l’unica. Non è irreversibile. Ed è una creatura giovane. Per una parte dell’Occidente la pienezza della vita democratica, il suffragio universale, il voto alle donne sono giunti solo dopo che si erano conosciuti i campi di sterminio; in Grecia, Spagna, Portogallo verso la metà degli anni 70; nei Paesi del blocco comunista dopo l’89. Se non si capisce che ora bisogna curare la democrazia malata si fa un grande errore».

Sta dicendo che la democrazia è in pericolo?
«Le forme di governo non sono altra cosa dal contesto storico, economico, geopolitico e persino antropologico del tempo in cui si vive. Noi siamo in un momento di crisi delle democrazie. Ha senso dirlo oggi, perché è dalla tragedia dei lager che nasce la più bella delle nostre conquiste. La Germania di Weimar ci insegna che quando gli istituti della democrazia non funzionano nascono bisogni nuovi; e se si saldano a determinate condizioni storiche possono portare all’autoritarismo».

Dove sono i segni della crisi della democrazia?
«Dappertutto. Negli Stati Uniti emergono i due candidati delle ali radicali degli opposti schieramenti; Bloomberg, che ebbi modo di apprezzare quand’era sindaco di New York, potrebbe essere il primo presidente eletto fuori dai partiti che hanno fatto la storia d’America. In Inghilterra la sinistra è schizzata dal New Labour a una radicalizzazione estrema. In Spagna non si riesce a fare un governo. In Francia il primo partito è quello di Marine Le Pen. L’Europa rischia di saltare sui valori, a cominciare dalla libera circolazione delle persone stabilita a Schengen. Nel Nord culla della socialdemocrazia prevale una destra dura. A Est, crollato il comunismo, si ricostruiscono i muri, stavolta contro i migranti».

Perché accade questo?
«Perché ovunque i meccanismi della decisione sono messi a repentaglio dalla recessione più lunga e dalla rivoluzione scientifico-tecnologica più grande della storia. Talmente grande che lo spirito del tempo fatica a interpretarne i mutamenti. La pensiamo come un gigantesco luna park pieno di colori, suoni, meraviglie; senza capire che il luna park sta cambiando il nostro modo di essere. I cittadini ne escono diversi. Cambia la concezione del tempo, del rapporto tra le persone, del rapporto tra sé e gli altri. Cambia la condivisione di esperienze collettive. Anche questo spiega il successo di Trump e Le Pen in Paesi di antiche tradizioni democratiche».

Di solito la rivoluzione tecnologica viene letta come una grande opportunità.
«In parte è vero. Paradossalmente viviamo il tempo migliore della storia. Il tempo più lungo senza guerre in Occidente; e il tempo di vita più lungo che gli uomini abbiano mai avuto. Migliorano le condizioni delle zone più povere; non è mai stato tanto facile viaggiare e comunicare. Dovremmo essere più felici della generazione che è andata due volte in guerra. Eppure c’è un senso di rabbia e di paura, che ci imprigiona in una spirale dove l’odio e la timore per la perdita della nostra condizione generano risposte irrazionali».

La politica cosa può fare?
«Se sta dentro il luna park, contribuisce a rendere tutto questo più un incubo che una possibilità. Il cittadino moderno applica la stessa velocità delle tecnologie alla democrazia. Che ha i suoi tempi, ma deve accelerare i processi di decisione rafforzando i processi di controllo. Più velocità, più trasparenza: solo così ci si salva dal baratro. E la politica deve ritrovare la grandezza che ha perduto, il senso di una missione storica, il sentimento di una grande impresa collettiva. Oggi la politica viaggia rasoterra. Si è persa nei rivoli del presentismo, un altro guaio dei nostro tempo: tutto si consuma in 24 ore; si anticipa pure il Capodanno. Dobbiamo ritrovare il respiro, la forza di un senso collettivo, la vocazione a migliorare la vita di ciascuno».

La riforma costituzionale approvata dal Senato rappresenta un passo in avanti?
«Sì, perché va nella direzione del rafforzamento dell’esecutivo; non so se va anche verso il rafforzamento del controllo. Tutti gli organismi dovrebbero avere maggior potere di decisione: pure i presidenti delle federazioni sportive farebbero bene a pensare più ai risultati che a farsi rieleggere. Ma il Parlamento, anziché uno strumento di cogestione com’è ora, dovrebbe diventare l’organo di controllo di un governo investito di un consenso popolare determinato dal suo programma e dalle sue decisioni».

Il governo Renzi non è passato dalle urne.
«Sto parlando di modelli. Credo proprio che Renzi si proponga questo. Altrimenti la democrazia si squilibra, come in Turchia e in Russia».

Quindi lei voterà sì al referendum costituzionale?
«Sì, anche se avrei preferito un Senato più rappresentativo delle assemblee locali. C’è un’altra questione fondamentale: dobbiamo attivare un grande circuito di democrazia dal basso. Il cittadino non può partecipare solo dicendo su Twitter che tutto fa schifo; dev’essere chiamato in prima persona a decidere il destino del suo quartiere, della scuola di suo figlio. Deve diventare parte di una gigantesca rete di partecipazione democratica».

L’attuale Pd ha queste caratteristiche? Non basta dire che non deve entrarci Verdini, le pare?
«Certo che non basta. Il Pd è il più forte partito europeo. Questa forza conferma le ragioni della sua nascita: è possibile per la sinistra italiana avere una cultura maggioritaria. Non amo il dibattito sul partito della Nazione, il contrario della vocazione maggioritaria, perché riproduce l’errore di mettere insieme tutti pur di governare; come ai tempi dell’Unione, quando erano ministri Mastella e Ferrero. Il governo per noi è un mezzo per trasformare il Paese; non può essere un fine».

Ma Renzi è di sinistra?
«Renzi è segretario di un partito di centrosinistra. Sinistra non è una parolaccia. Il sentimento della sinistra esiste. Non parlo di quella conservatrice, ma di quella della legalità, del cambiamento sociale, dei valori. Non è un armamentario del passato; è l’anima del Pd. Della storia bisogna avere cura, altrimenti comincia una lenta diaspora, una perdita di consenso con conseguenze anche elettorali. Il Pd esprima un pensiero politico proprio, quello della cultura democratica; non diventi un pendolo che quando si sposta al centro perde voti a sinistra, e quando si sposta a sinistra perde al centro».

Unioni civili: avanti con le adozioni? O meglio fermarsi?
«La società è andata molto più avanti su questi temi di quanto la politica sia in grado di rappresentare. Le relazioni umane non possono essere compresse dalle norme. Papa Francesco ha fatto grandissimi passi avanti».

Ma ha ribadito che non si può confondere la famiglia tradizionale con le altre.
«Questo lo capisco. Ma non saranno codicilli a impedire il libero dispiegarsi delle varie forme d’amore. Alzare barriere in questi campi vuol dire erigere cavalli di frisia destinati a essere travolti».

Renzi dovrebbe esprimersi più chiaramente al riguardo?
«No. Mi pare abbia espresso in modo chiaro una volontà su cui sarà difficile tornare indietro».

Neanche dopo il Family Day?
«Ci si indigna se De Rossi o Sarri dicono una cosa sbagliata, e non si tollerano opinioni diverse dalla propria. È normale, anzi è bello che una piazza esprima la propria sensibilità, diversa dalla nostra. Non va delegittimata o demonizzata per questo. Non è che loro sono i conservatori e gli altri i rivoluzionari. L’importante è garantire la possibilità di esprimere le forme dell’amore nella molteplicità che oggi obiettivamente esiste».

27 gennaio 2016 (modifica il 27 gennaio 2016 | 09:52)
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Da - http://www.corriere.it/politica/16_gennaio_27/democrazie-pericolo-renzi-deve-aver-cura-storia-sinistra-8808f8b4-c466-11e5-8e0c-7baf441d5d56.shtml
7138  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Dario DI VICO - Quel divario tra il comportamento dei consumatori e la ... inserito:: Gennaio 27, 2016, 06:43:58 pm
IL COMMENTO

Quel divario tra il comportamento dei consumatori e la loro percezione
Per ora gli italiani continuano a risparmiare per «paura», le famiglie hanno reddito disponibile ma hanno tarato i loro consumi al ribasso negli anni più duri della recessione e faticano a cambiare passo


Di Dario Di Vico

La risalita dell’indice di fiducia dei consumatori va salutato sicuramente con favore. Anche perché si recupera addirittura il livello di metà degli anni ‘90. In una congiuntura caratterizzata da potenti fattori di incertezza e da una ripresa debole la soggettività può avere il suo peso e può spostare in avanti i flussi dell’economia reale. Ad oggi bisogna sapere però che i comportamenti dei consumatori non corrispondono al loro sentiment. Proprio ieri il presidente di Federdistribuzione, l’associazione di categoria della distribuzione organizzata, lamentava addirittura un lieve stop dei consumi.

Bisognerà attendere la fine della campagna dei saldi per avere qualche elemento di conoscenza in più. La verità per ora è che gli italiani continuano a risparmiare per «paura», le famiglie hanno reddito disponibile ma hanno tarato i loro consumi al ribasso negli anni più duri della recessione e faticano a cambiare passo. Accantonare parte del reddito sembra essere ai loro occhi la scelta più consapevole anche se poi il risparmio investito per molti motivi non dà rendimenti brillanti (per usare un eufemismo). Vedremo nelle prossime settimane se una spinta ai consumi verrà dal mancato pagamento delle tasse sulla prima casa. Sapremo in sostanza se l’abolizione di Imu e Tasi riuscirà laddove il bonus degli 80 euro non aveva prodotto il botto sperato.

27 gennaio 2016 (modifica il 27 gennaio 2016 | 10:53)
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Da - http://www.corriere.it/economia/16_gennaio_27/quel-divario-il-comportamento-b0520116-c4da-11e5-9850-7f16b4fde305.shtml
7139  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / "In Italia bisturi scadenti, non tagliano più". inserito:: Gennaio 27, 2016, 11:30:37 am
"In Italia bisturi scadenti, non tagliano più".
La denuncia dei chirurghi ospedalieri

L'allarme arriva dalla associazione Acoi che cita segnalazioni da migliaia di medici e accusa la corsa a ridurre i costi della sanità: "L'esigenza di risparmiare non può andare a discapito dei pazienti e della qualità della cura. Così ci sono conseguenze estetiche e infettive"

25 gennaio 2016

Secondo la denuncia dei chirurghi i bisturi utilizzati in sala operatoria sono di qualità sempre più scadente

ROMA - La ricerca di un prezzo sempre più basso ha ridotto in maniera drastica la qualità degli strumenti chirurgici al punto tale che "i bisturi in Italia non tagliano più". L'allarme arriva dalla Acoi, l'Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani che ha ricevuto segnalazioni da migliaia di medici in tutta Italia. La "mediocre qualità" dei bisturi utilizzati oggi ha conseguenze sia estetiche, perché il taglio perde la famosa precisione chirurgica, sia infettive.

Per Diego Piazza, presidente dell'Acoi, "la continua ricerca del prezzo di mercato più basso, con criteri di valutazione spesso discutibili da parte delle commissioni regionali, ha determinato un livellamento verso il basso della qualità. Il prezzo non può e non deve essere l'unico criterio di valutazione, a scapito della qualità e della sicurezza".

I pazienti, dice Piazza, "hanno diritto, come peraltro stabilito dalla Carta della qualità in chirurgia già nel 2007, alla tecnica chirurgia più appropriata secondo gli studi di evidenza scientifica. La mediocre qualità dei bisturi utilizzati oggi ha conseguenze sia estetiche, perché il taglio perde la famosa precisione chirurgica, sia infettive, perché, aumentando il trauma cutaneo per incidere una superficie, si aumenta il rischio di contaminazione batterica della ferita. E' evidente che, dovendo aumentare la forza per incidere una superficie, si rischia di tagliare oltre le intenzioni dell'operatore".

"Quanto ai costi - prosegue il presidente dell'Acoi - possiamo affermare che si tratta di una scelta antieconomica, perché per uno stesso intervento può essere necessario utilizzare più bisturi, cosa che non si verificherebbe con un buon bisturi che, al contrario, potrebbe essere utilizzato più volte durante lo stesso intervento". Per questi motivi "è indispensabile che le società scientifiche di chirurgia siano parte attiva nel processo di selezione e scelta dei dispositivi medici. Se continuiamo a privilegiare il prezzo a scapito della qualità, fino a fare scomparire quasi del tutto le caratteristiche minime di funzionalità del prodotto, addirittura dei dispositivi medici ad elevata tecnologia il cui malfunzionamento può avere affetti letali, che tipo di sicurezza e qualità forniamo ai nostri pazienti?", conclude Piazza.

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25 gennaio 2016

Da - http://www.repubblica.it/salute/medicina/2016/01/25/news/_i_bisturi_non_tagliano_la_denuncia_dei_chirurghi_ospedalieri-132020109/?ref=fbpr
7140  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Ernesto GALLI DELLA LOGGIA Renzi rompe gli equilibri in un Paese che cambia inserito:: Gennaio 27, 2016, 11:28:50 am
Renzi rompe gli equilibri in un Paese che cambia

Di Ernesto Galli della Loggia

Curiosamente non ha suscitato molta attenzione il dissidio che nei giorni scorsi ha opposto il presidente del Consiglio da un lato e, pressoché contemporaneamente, la Banca d’Italia e il ministero degli Esteri dall’altro. La prima colpevole, agli occhi di Renzi, di non avergli saputo fornire in tempo le analisi e i consigli in grado di evitare la crisi bancaria che ha fatto scendere in piazza migliaia di risparmiatori; il secondo costretto a digerire la sostituzione del nostro rappresentante presso la Ue — finora un ambasciatore di carriera giudicato però troppo morbido nei confronti di Bruxelles — con un ambasciatore politico quale l’ex viceministro Calenda. Eppure pochi episodi fanno capire altrettanto bene quanto l’Italia è cambiata. Banca d’Italia e ministero degli Esteri non sono istituzioni qualunque.

Ognuna a suo modo ha rappresentato una quintessenza della statualità italiana e della sua vicenda storica. Non solo per la loro funzione, ma perché in entrambi i casi questa funzione si è per così dire incarnata in una specifica ideologia e in un altrettanto specifico «spirito di corpo». Fatti di una tradizione e di una cultura, di norme stilistiche e di principi di azione loro propri. Per le istituzioni italiane un caso rarissimo. Nella prima Repubblica Banca centrale e Diplomazia sono state chiamate a gestire un’idea d’Italia che era, com’è ovvio, l’idea delle culture politiche dominanti, ma che con qualche aggiustamento si combinava senza troppi problemi con quella delle loro rispettive tradizioni

L’idea di un'Italia «occidentale» e insieme europeista (sebbene con qualche inevitabile «giro di valzer»), ben conscia di certe sue storiche peculiarità, soprattutto guidata da una classe politica sufficientemente preparata e decisa a stabilire una consonanza collaborativa con l’alta amministrazione. Per mezzo secolo Esteri e Banca centrale hanno dunque rappresentato e gestito ognuna per la sua parte questa Italia, e lo hanno fatto, hanno potuto farlo, con un forte ruolo in prima persona, con la responsabilità di attori diretti.

Negli anni 90, con la fine contemporanea della «guerra fredda» e della prima Repubblica, tutto però ha cominciato a erodersi. Ha cominciato a prendere forma un’altra Italia, quella in cui viviamo. Un Paese che inediti scenari internazionali costringono a punti di riferimento sempre più mobili e incerti anche se al medesimo tempo, e contraddittoriamente, lo stesso si trova sempre più ingabbiato dalle regole europee. Un Paese dagli equilibri politici mutevoli, governato da una classe politica slegata da ogni passato che perlopiù ignora; attraversato da pulsioni di rabbia, da improvvisi movimenti d’opinione, da oscure voglie di rovesciamenti di fronte.

Per più di un verso l’Italia attuale appare insomma costretta a navigare a vista, alle prese con una difficile ridefinizione degli interessi nazionali, nel mentre si è incrinato quello stesso rassicurante perimetro della sovranità nazionale entro il quale proprio la Banca d’Italia e la nostra Diplomazia hanno tradizionalmente sviluppato la propria identità e del quale sono state addirittura tra i massimi presidi. Oggi l’una e l’altra si trovano prive della possibilità d’interloquire con vere culture politiche di riferimento (tutte ormai ridotte a informi gelatine di idee sparse), con veri partiti. Viceversa la crescente, impetuosa personalizzazione del sistema politico non solo italiano le pone sempre più direttamente a contatto con la solitaria figura del leader, del capo del governo (i ministri essendo ormai figure minori: nel caso degli Esteri quasi un comprimario). Il leader: con le sue mutevoli esigenze, la necessità di mantenersi sulla cresta dell’onda e magari in sintonia con i sondaggi, la sua voglia di accentrare nelle proprie mani le decisioni, con il suo naturale desiderio di successi visibili e immediati. Specialmente se questo leader si chiama Matteo Renzi.

Si capisce come l’insieme delle condizioni fin qui dette possa essere adoperato non solo al fine di porre per così dire «fuori fase» la Banca centrale o il ministero degli Esteri, non solo per restringere, come di fatto in certa misura sembra avere già ristretto, i margini di autonomia dell’una e dell’altro, ma anche per intaccare il senso e soprattutto la certezza della loro missione istituzionale. E si capisce allora il significato del dissidio che ha opposto entrambi al presidente del Consiglio.

Un dissidio che non manca di avere anche un evidente risvolto stilistico: da un lato la contegnosa sobrietà rivestita di grisaglia di Palazzo Koch, da un lato l’inglese fluente e una certa esterofilia blasé della Farnesina, dall’altro, invece, gli abiti troppo stretti, la voglia un po’ provinciale di far bella figura e il fare spiccio e risoluto di Renzi. Un dissidio che alla fine sembra l’indizio di un vero e proprio cambio di fase storica nella geografia del potere italiano e dei suoi rapporti interni. E che forse annuncia qualcosa ancora di più: l’avvento di una «gente nova» e del suo comando al posto delle élite di un tempo e delle loro istituzioni.

25 gennaio 2016 (modifica il 26 gennaio 2016 | 04:45)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_gennaio_25/renzi-rompe-equilibri-un-paese-che-cambia-b9a6430a-c3a7-11e5-b326-365a9a1e3b10.shtml
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