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7036  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Regeni, i pm romani: Ucciso per le sue ricerche da professionisti della tortura inserito:: Febbraio 29, 2016, 12:01:17 am
Caso Regeni, i pm romani: "Ucciso per le sue ricerche da professionisti della tortura"
Indiscrezioni di fonti interne alla Procura.
Escluse tutte le ricostruzioni offerte dal Cairo.
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26 febbraio 2016
   
ROMA - Giulio Regeni è stato ucciso da professionisti della tortura, persone esperte in crudeltà. Arriva dalla procura di Roma una pietra tombale sulle ricostruzioni alternative fornite dall'Egitto per la morte del ricercatore italiano. Non un delitto di strada, non un incidente stradale, nemmeno un delitto legato al mondo della droga.

La direzione che sta prendendo l'indagine è rivelata da indiscrezioni interne alla procura, visto che ancora manca una presa di posizione ufficiale. Ma la linea è chiara: il movente dell'omicidio del ventottenne ricercatore friulano, come già emerso, sarebbe da ricercare nell'ambito della sua attività di studio in Egitto.

LEGGI / La campagna di Amnesty con Repubblica

Sarebbero da escludere, secondo la procura di Roma, tutte quelle ipotesi circolate filtrate nelle ultime settimane dall'Egitto secondo cui Giulio Regeni sarebbe stato ucciso da criminali di strada o per una questione legata ai rapporti intrattenuti dal giovane nel quartiere del Cairo in cui viveva. Il fatto che sia stato torturato inoltre escluderebbe la pista della criminalità di strada.

In base agli elementi raccolti fino ad ora, spiegano le fonti della procura, è possibile affermare che Regeni facesse una vita piuttosto ritirata al Cairo, non aveva avuto contatti con persone equivoche e che le sue conoscenze e frequentazioni fossero limitate all'ambiente universitario. Inoltre, dai primi esiti degli esami tossicologici sarebbe emerso che Regeni non faceva uso di droghe.

Non emergono poi legami di Giulio Regeni con servizi segreti e tantomeno che i dati raccolti nell'ambito delle sue ricerche siano uscite fuori dall'ambito universitario.

Sul fronte degli accertamenti tecnici, la procura di capitolina ha richiesto le password di alcuni profili di Regeni da parte dei responsabili dei social network, ma è ancora in attesa di ricevere queste informazioni. Attraverso l'accesso a queste piattaforme, gli inquirenti potrebbero infatti acquisire i dati GPS collegati al telefono mai ritrovato di Regeni. La richiesta arriva nei giorni caldi delle polemiche sullo sblocco richiesto dall'Fbi dell'iPhone del killer di San Bernardino e dell'ok di Facebook all'accesso degli inquirenti italiani nell'account della sorella di Matteo Messina Denaro.

Intanto, per la prossima settimana è atteso in procura l'esito completo dell'autopsia effettuata dal professor Vittorio Fineschi.

© Riproduzione riservata
26 febbraio 2016

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/26/news/regeni-134298312/?ref=HREA-1
7037  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / ILVO DIAMANTI - Sì alle unioni civili, no alla stepchild: gli italiani approvano inserito:: Febbraio 28, 2016, 11:57:06 pm
Sì alle unioni civili, no alla stepchild: gli italiani approvano la nuova legge
L'intesa tra il Pd e Alfano rispecchia gli orientamenti degli elettori, non solo tra i moderati.

Renzi e M5s pagano gli scontri dei giorni scorsi

Di ILVO DIAMANTI
27 febbraio 2016

ALLA FINE, il maxiemendamento sulle "Unioni civili" è stato approvato dal Senato. Con lo stralcio delle norme sulla stepchild adoption e dei riferimenti diretti al matrimonio. Ha ottenuto il sostegno dell'Ncd di Angelino Alfano e del gruppo guidato da Denis Verdini. Così Matteo Renzi è riuscito a sbloccare una legge-bandiera. Facendo, però, attenzione agli orientamenti degli elettori. Come emerge dal sondaggio di Demos, realizzato nei giorni scorsi e pubblicato oggi da Repubblica. L'Atlante Politico di Demos, infatti, mostra come le Unioni civili fra coppie omosessuali siano approvate da oltre due elettori su tre. Al contrario della stepchild adoption. Accettata da poco più di un elettore su tre. E, soprattutto, da una quota minoritaria, seppure di poco (46%), di elettori del Pd. Ma anche del M5S (41%). Così si spiega il percorso contorto seguito da Renzi - e dai leader del M5S – in questa vicenda. Renzi e il M5S rivolgono, infatti, grande attenzione agli elettori "moderati". Decisivi per affermarsi e governare, nel Paese.

LE TABELLE

Naturalmente, la geometria variabile delle alleanze scelta da Renzi, in Parlamento, apre nuove divisioni. Anzitutto, nel suo partito, nel Pd, dove la sinistra appare, ormai, ostile. Un'opposizione al PdR dentro al PD. Ma il dissenso si sta allargando anche in altri ambienti. D'altronde, intorno a questa legge, nelle scorse settimane, si sono mobilitate piazze animate da sentimenti opposti. Da un lato, il "popolo arcobaleno", a sostegno del ddl Cirinnà. Dall'altro, il "Family day", ovviamente contrario.

Si spiega anche così il relativo calo della fiducia nei confronti del governo e di Matteo Renzi rilevato dall'Atlante di Demos. La fiducia nel governo, anzitutto, è scesa al 41%: 5 punti in meno rispetto a novembre 2015, quando è stato condotto l'ultimo sondaggio. Ma ancor più significativa appare l'evoluzione del gradimento personale nei riguardi del premier. Oggi è espresso dal 41% degli elettori. Come il governo. Cioè, 7 punti percentuali in meno rispetto allo scorso novembre. Ma, soprattutto, poco più del consenso ottenuto da Pier Luigi Bersani (39%). Era dai tempi in cui vinse le primarie, nel 2012, che Bersani non risultava così apprezzato dagli elettori. A conferma delle divisioni interne al Pd e, in particolare, nella sinistra.

Certo, Renzi è ancora il primo, nella graduatoria dei leader. Ma le distanze dagli altri esponenti politici sono molto strette. Dopo Renzi e Bersani, in una decina di punti incontriamo: Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Luigi di Maio, Diego Della Valle e Maurizio Landini. A un'incollatura: Beppe Grillo (peraltro, in sensibile calo). Solo Giorgia Meloni, leader dei FdI, e Di Maio, (candidato) leader del M5S, fanno osservare una crescita del loro consenso personale. Comunque, limitata. Non paragonabile alla progressione di Bersani (7 punti in più). Tuttavia, è interessante osservare come il Pd - sul piano elettorale, almeno - non paghi queste crescenti tensioni intorno al segretario-premier (e viceversa). Le stime di voto – proporzionale – elaborate da Demos riportano, infatti, il Pd oltre il 32%. Poco più rispetto allo scorso novembre. Ma era dall'estate scorsa che non raggiungeva questo livello. Peraltro, il M5S – unica vera opposizione, fino ad oggi - è danneggiato dalle polemiche di questi giorni sulle Unioni civili. Ma, soprattutto, dai conflitti – interni oltre che con gli altri partiti - a Bologna, a Livorno, a Parma... E, prima ancora, a Quarto, dov'è accusato di essere stato "infiltrato" dalla camorra.

Certo, il M5S resta la forza politica più accreditata nella lotta alla corruzione. Ma la quota di elettori che lo ritiene il soggetto più credibile, su questo piano, scende di qualche punto: dal 31% al 27%. Mentre, al contempo, si allarga l'area di quelli che non credono a nessuno. Secondo quasi metà del campione (il 46%), di fronte alla corruzione, tutte le forze politiche sono in-credibili. Nonostante questi problemi, il M5S paga un prezzo, tutto sommato, relativo. Si attesta poco sotto il 26%. Un punto e mezzo in meno, negli ultimi tre mesi. Ma oltre 6 punti sotto al Pd. La distanza più elevata dalla scorsa estate. Tra le altre forze politiche, si osserva il riallineamento di Forza Italia, in crescita lieve, alla Lega Nord, in calo di quasi un punto. È significativo, infine, il risultato attribuito ai FdI, che raggiungono il 5,5%. Favoriti dalla visibilità di Giorgia Meloni.

Dunque, il Pd oggi mantiene le sue posizioni, anche se il suo leader ha perduto qualche punto, negli ultimi mesi. O, forse, proprio per questo. In passato ho scritto che nel PD coabitano due identità. Quella "storica" e quella "personalizzata". Il Pd e il PdR. Riuniscono coloro che votano Pd nonostante Renzi. E quelli che votano per Renzi nonostante il Pd. Quando le due identità coabitano, allora il successo è grande. Come alle elezioni europee del 2014. Ma la coesistenza non è sempre facile. Anzi lo è sempre meno. Anche se Renzi è abile e agile. Persegue e realizza iniziative ad alta visibilità e, comunque, gradite. Le sue polemiche con L'Unione Europea: contro i vincoli di spesa che costringono all'austerità. Contro coloro che non condividono la ripartizione delle quote di migranti. Sono largamente apprezzate dagli elettori. Non solo nel Pd, ma ben oltre.

Tuttavia, Matteo Renzi appare, sempre più, un leader "solo". Che si affida soprattutto – anzitutto - a collaboratori fidati. Nel partito, nel governo: al centro c'è lui. Il Capo. Il Premier. Tutto il resto gli ruota intorno. Così, se, in termini proporzionali, il Pd si conferma primo partito, in caso di ballottaggio, il suo successo risulta più incerto.

Secondo le stime di Demos, due punti soli lo dividono dal M5S, ma anche da un soggetto politico di destra, che riunisse FI, Lega e FdI. Naturalmente, nel ballottaggio, il Pd potrebbe contare sull'immagine – ancora forte - del Capo. Mentre non è chiaro chi sarebbe alla testa degli altri partiti. Però, anche per questo, la coabitazione fra i due Pd potrebbe diventare un problema. Trasformando il Pd-R – cioè, il Pd di Renzi - in un faro. Che indica il porto verso cui dirigersi. O da cui fuggire. Una specie di nuovo muro. Come Berlusconi, fino a ieri.

© Riproduzione riservata
27 febbraio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/02/27/news/si_alle_unioni_civili_no_alla_stepchild_gli_italiani_approvano_la_nuova_legge-134331362/?ref=HRER3-1
7038  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / ANNA LOMBARDI. Regeni, lo scrittore Ala al Aswani: "In Egitto non c'è libertà" inserito:: Febbraio 28, 2016, 11:55:19 pm
Regeni, lo scrittore Ala al Aswani: "In Egitto non c'è libertà"
L'intervista.
Intellettuali in cella, cristiani condannati solo per una frase.

Di ANNA LOMBARDI
27 febbraio 2016
   
"NON si può tacere. Quello che sta accadendo in Egitto è terribile. Nel mio paese la libertà, sotto qualunque forma, è sempre più sotto attacco". Non tace Ala al Aswani. Il più celebre scrittore egiziano - autore di bestseller come Palazzo Yacoubian, Chicago, Cairo Automobile Club - che fu al fianco della rivoluzione ai tempi di Piazza Tahrir, non smette di esprimere il suo dissenso. L'ultimo gesto è la firma, insieme ad oltre 500 esponenti del mondo dell'arte, della cultura e della società civile egiziana, di una dichiarazione di solidarietà con lo scrittore Ahmed Naji. Condannato a due anni di prigione per "offesa alla morale pubblica" a causa del contenuto del suo ultimo libro, Istikhdam al-Hayat, l'uso della vita. Un appello dove si esprime la preoccupazione di vivere in un Paese dove l'arte, la cultura, la critica e il libero pensiero sono sempre più sotto attacco da parte dello Stato.

Cosa sta accadendo in Egitto?
"C'è meno libertà d'espressione oggi che ai tempi di Mubarak: il regime di Al Sisi teme tutto ciò che non controlla. Non solo: nella lotta politica contro i Fratelli Musulmani il regime ha finito per sposarne certi valori. E ora è terrorizzato da tutto ciò che riguarda la religione e la morale. Pensi che solo ieri cinque ragazzini cristiani sono stati condannati per essersi fatti beffa dello Stato Islamico. Citavano un verso del Corano: è bastato a mandarli in prigione..."

È in questa atmosfera che ha trovato la morte di Giulio Regeni?
"Assolutamente sì. Che storia dolorosa, inaccettabile, inesplicabile. Purtroppo parte del problema è che qui l'apparato di sicurezza è ancora gestito da uomini di Mubarak che si muovono guidati da un sentimento di vendetta nei confronti della rivoluzione. Per loro qualsiasi elemento di novità è potenzialmente rivoluzionario. Può trattarsi di arte d'avanguardia così come di uno studio scientifico. Che poi a modo loro rivoluzionari lo sono anche. Ma non nel senso che teme il regime".

Nel mirino non ci sono dunque solo gli oppositori. Oggi in Egitto anche artisti, intellettuali, studiosi sono in pericolo?
"Viviamo ormai in uno stato di polizia dove nessuno è al sicuro. Qualunque attività fuori dal coro può portarti in carcere. Puoi finirci per aver partecipato a una manifestazione pacifica. Per aver scritto un romanzo con un passaggio erotico, come Ahmed Naji. O, come la poetessa Fatima Naoot, per aver definito lo sgozzamento degli agnelli in occasione della festa islamica di Eid al-Adha, "il più grande massacro dell'umanità". Una frase scritta su Facebook che le è valsa una condanna a tre anni per offesa alla religione. La mia impressione è che si sta rafforzando l'islamismo nella società nel tentativo di occupare il vuoto lasciato dall'uscita di scena dei Fratelli Musulmani a causa della repressione".

Lei ha paura?
"Sono abituato alla repressione e alla paura che comporta. Da quindici mesi, ormai, non posso pubblicare i miei articoli. Il regime ha fatto pressione sui giornali affinché non mi dessero spazio. Sono stato bandito dalla televisione. E dallo scorso dicembre anche i miei seminari sono stati cancellati. L'unica libertà che mi resta è Twitter. È lì che ormai esprimo il mio pensiero. Ma non mollo. Molti miei compagni sono in prigione: chi sta fuori ha il dovere di portare avanti la lotta".

La gravità della situazione egiziana, soprattutto dopo la morte di Regeni, è sotto gli occhi di tutti. Eppure nemmeno l'attenzione internazionale sembra scalfire il regime...
"La vita è sempre più dura e la gente è sotto pressione: anche perché da una parte il regime la ricatta, dall'altra la confonde. Il messaggio che arriva continuamente è che se non accettiamo quel che sta accadendo, se ci ribelliamo di nuovo, l'Egitto finirà come la Siria. Dall'altra, i giornali sono pieni di notizie assurde e complottiste. Il dramma è che la gente ci crede sempre di più. Pensano che tutto sia frutto di cospirazioni: che perfino la rivoluzione sia stata pagata da paesi stranieri per distruggere lo Stato. Sì: la libertà in Egitto è sempre più in pericolo".

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27 febbraio 2016

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/27/news/l_intervista_intellettuali_in_cella_cristiani_condannati_solo_per_una_frase_parla_lo_scrittore_ala_al_aswani-134331747/?ref=HREC1-7
7039  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EUGENIO SCALFARI. Se Renzi impugna la bandiera europea di Spinelli inserito:: Febbraio 28, 2016, 11:53:36 pm
Se Renzi impugna la bandiera europea di Spinelli
Il premier prenda ora l'iniziativa di un'intesa dei Paesi che condividono l'obiettivo e consolidi l'identità di vedute con Mario Draghi

Di EUGENIO SCALFARI
28 febbraio 2016
   
IL DIBATTITO tuttora vivacemente in corso dopo l'approvazione in Senato della legge Cirinnà sulle unioni civili, era prevedibile: in Parlamento sono presenti numerose posizioni politiche e non più, come accadeva nel Novecento repubblicano, un centro democristiano con una spolverata di piccoli partitini laici, una destra fascistoide molto minoritaria e una sinistra comunista. Ora le posizioni sono molte, la politica è estremamente frazionata non solo in Italia ma in tutta Europa, come ha analizzato con meticolosa completezza Ezio Mauro su queste pagine venerdì scorso.

Non so fino a che punto questo dibattito interessi l'opinione pubblica italiana. Direi che interessa poco, eravamo in vergognoso ritardo rispetto a tutti gli altri Paesi d'Europa e d'America e il risultato ottenuto dal Pd di Renzi rimette finalmente a posto una situazione ormai insostenibile riconoscendole diritti finora ingiustamente ignorati. Renzi ha scelto, dopo qualche tentennamento, la via giusta per vincere con una larga maggioranza di voti: lo stralcio delle adozioni per far passare finalmente la legalizzazione delle coppie di fatto e unioni civili etero e omosessuali. Non poteva far meglio.

La discussione sulla fedeltà è ridicola. È evidente che non toglie assolutamente nulla alle coppie di fatto: la fedeltà c'è o non c'è e non esiste norma di legge che tenga se viene interrotta. Spesso l'interruzione è ignorata dall'altro coniuge o convivente che la subisce e il rapporto di coppia continua inalterato. Oppure è nota e il rapporto s'interrompe. Le coppie di fatto non possono ricorrere al divorzio ma questo è un regalo, si limitano ad informare l'autorità amministrativa che il loro rapporto ha cessato di esistere con le conseguenze amministrative che la cessazione comporta.

L'altro tema di discussione - che impegna soprattutto la sinistra del Pd - è il contributo di Verdini e del suo gruppo alla vittoria renziana. Ma anche questa critica mi sembra priva di fondamento. Se la sinistra ha accettato che Alfano facesse parte della maggioranza di governo, non si vede perché non possa accettare Verdini che è perfino più ragionevole di Alfano. Una nuova destra non populista e non berlusconiana è un tentativo ancora in una fase iniziale che sarebbe da incoraggiare, così come la Dc di Aldo Moro si alleò con i socialisti di Pietro Nenni e poi alcuni anni dopo addirittura con il Pci di Berlinguer, non solo per affrontare in forze tempi assai oscuri (quelli attuali non sono oscuri ma neri come l'inchiostro) ma anche per aiutare la nascita d'una destra moderna alla quale in un futuro auspicabilmente prossimo si fosse contrapposta una sinistra riformatrice. La separazione di Alfano da Forza Italia fu incoraggiata da Monti e da Enrico Letta, la cui tempra democratica di sinistra non è mai stata in discussione.

Dunque il preteso scandalo Verdini, a mio avviso, è inesistente e la discussione è oziosa. Il problema semmai è un altro: è di sinistra il Pd guidato da Renzi? E che cos'è la sinistra del ventunesimo secolo? Nell'Europa e nell'Italia di oggi? Questo dunque dovrebbe essere il tema da discutere. In questo chiassoso e confuso dibattito il termine più ricorrente è stato "famiglia", soprattutto da chi, dichiarandosi cattolico, avversava ogni riforma che in qualche modo intaccasse la solidità e l'unicità di quella tradizionale istituzione. È certamente vero che tutti noi usiamo il termine famiglia per designare la coppia di uomo e donna che ha celebrato il matrimonio e i figli che ne sono nati, ma quella parola non è appropriata né storicamente né religiosamente.

Storicamente il termine famiglia ha sempre designato non una ma molte più numerose comunità. Nella Roma classica la famiglia si identificava col nome del capo e comprendeva non soltanto i parenti anche lontani ma i "clientes", le persone che stabilmente lavoravano, i beni materiali che ne componevano il patrimonio, i servitori e gli schiavi. Quella famiglia aveva anche il nome, la gens Claudia o Giulia o Flavia o Marcia; insomma un'infinità di famiglie che costituivano la casta senatrice degli Ottimati. Ma ci sono anche le famiglie mafiose, anche quelle sono una casta che prende il nome del boss. Religione: Gesù odiava la famiglia e lo diceva pubblicamente fin dall'inizio della sua predicazione come raccontano almeno due dei vangeli sinottici. Infine anche un'unione di fatto, etero o omosessuale, può usare il termine di famiglia, lessicalmente è corretto, è una comunità di due persone ed i loro eventuali figli, naturali o adottivi.

Oltre ad avere ben meritato con la legislazione delle coppie di fatto e delle unioni civili, Renzi ha modificato in modo sorprendente la sua visione del futuro dell'Europa. Non posso nascondere che questo cambiamento mi fa molto piacere ed è venuto in modo assai repentino. Ancora l'11 febbraio scorso, in una lettera a me diretta e pubblicata su Repubblica, rispondendo alla proposta da me più volte sostenuta sulla necessità di istituire un ministro del Tesoro unico che gestisse le finanze dell'Eurozona, con un bilancio autonomo, un debito sovrano, il potere di emettere eurobond per finanziare investimenti pubblici e incentivare quelli privati, la lettera di Renzi dice: "La risposta ad una politica di rigore che fa soltanto danni, non è un superministro delle Finanze, ma la direzione della politica economica". Sono passati pochi giorni e Renzi ha presentato alle autorità europee un documento di nove pagine diviso in tre punti e una conclusione.

Il primo punto è intitolato: "A Fragile Recovery: Challenges and Opportunities " (è redatto in inglese). Il secondo punto è intitolato: "A Comprehensive Policy Mix". Dove si descrive un complesso di misure che realizzino una politica espansiva al posto di quella di austerità e rigore fin qui imposta dalla Commissione (e dalla Germania). Bisogna aumentare le capacità di crescita, sostenere la politica monetaria della Bce, varare una politica fiscale europea che tenda a riequilibrare le politiche nazionali aiutando la loro flessibilità in modo da ristabilire tra loro un equilibrio attualmente molto alterato. Completare l'Unione Bancaria ed estendere le garanzie in favore dei depositi bancari dei singoli Paesi. Fare intervenire l'Europa anche nelle politiche sociali e sindacali dei singoli Paesi, sempre al fine di rafforzare l'integrazione europea ed una politica di crescita e di equità. Rafforzare i confini europei verso il resto del mondo e smantellare al più presto possibile i confini interni ripristinati in molti Paesi violando il patto di Schengen. Dunque una politica comune dell'immigrazione più volte chiesta dall'Italia ma finora inesistente.

Infine il punto tre del documento che rappresenta, con un titolo altamente significativo, lo sbocco istituzionale della politica europeista delineata nelle pagine precedenti: "From the Short-term to the Long-term View" e così prosegue: "Una più forte comune politica monetaria ha bisogno di istituzioni comuni. Abbiamo bisogno d'una comune casa europea adottando un sistema comune. Queste funzioni debbono essere gestite da un ministro delle Finanze dell'Eurozona che persegua una comune politica fiscale. A questo scopo abbiamo bisogno d'un bilancio dell'Eurozona dotato delle risorse necessarie. Naturalmente questo ministro deve essere politicamente dotato di poteri per svolgere questo ruolo. Un ministro del genere deve far parte della Commissione europea e deve avere forti legami con il Parlamento di Bruxelles". Debbo dire: mi sono stropicciato gli occhi a leggere queste nove pagine del documento, la loro conclusione e il titolo che è tutto un programma. Bisogna passare da una politica a breve termine ad una visione a lungo termine: una frase nella quale c'è qualcosa che somiglia molto agli Stati Uniti d'Europa.

Sembrava che Renzi fosse andato inutilmente a Ventotene e invece il messaggio contenuto nel Manifesto firmato da Spinelli, Rossi e Colorni è stato, almeno così sembra, fatto proprio da Renzi che non si limita a invocare una politica di crescita e flessibilità economica, ma sceglie anche una bandiera che guidi l'opinione pubblica europeista e i governi che decidano di rappresentarla verso un radicale mutamento delle istituzioni: la visione di lungo termine, che però non può essere attesa senza darle subito un avvio. Bisognerà accendere una serie di motori e quello iniziale che dia inizio al percorso. Così accadde negli anni del dopoguerra con Adenauer, De Gasperi, Monnet, Schuman. Allora nacque la Comunità del carbone e dell'acciaio e furono firmati nel 1957 i Trattati di Roma. Assumere come guida politica quella bandiera dà all'Italia uno status politico completamente diverso da quello avuto finora. Non più un monello che chiede concessioni alla spicciolata, un miliardo per un progetto, un altro miliardo per un'iniziativa, alternando sorrisi e insulti alla maniera d'un questuante, ma rivendicando il progetto che fu fatto proprio dai fondatori dell'Europa ma che aspetta ancora d'essere attuato.

Se Renzi ha scelto sul serio questa strada, che non sarà certo di rapida attuazione, il suo compito è di prendere l'iniziativa di un'intesa dei Paesi che condividono l'obiettivo, consolidare l'identità di vedute con Mario Draghi affinché il motore politico si sposi a quello economico e monetario e ponga alla Germania il dilemma che quel Paese leader non può eludere. Aggiungo ancora che questo è anche il vero modo di rappresentare la sinistra. La domanda che prima ci siamo posti sulla vera natura della sinistra del ventunesimo secolo ha qui la sua risposta: la sinistra ha il compito di porsi l'obiettivo di costruire l'Europa federata che riformisti e moderati debbono far nascere insieme, come richiede una società globale governata da Stati di dimensioni continentali.

La sinistra italiana ed europea deve porsi alla testa di questo ideale e farne una concreta realtà dove le diseguaglianze siano rimosse e la produttività economica sia tutt'una con l'equità sociale, la comunione dei valori, il riconoscimento dei diritti e dei connessi doveri, la separazione dei poteri che garantiscano la nobiltà della politica e la democrazia. L'Inno alla gioia e la bandiera stellata europea, come ha proposto Laura Boldrini, divengano i simboli della Nazione Europa. Da questo punto di vista ben venga il Partito democratico se lotterà affinché la Nazione Europa diventi una realtà.

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28 febbraio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/02/28/news/se_renzi_impugna_la_bandiera_europea_di_spinelli-134401629/?ref=HRER2-1
7040  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / CLAUDIO TITO. G20, sì alla crescita. Il Tesoro studia il piano taglia-tasse inserito:: Febbraio 28, 2016, 11:52:37 pm
G20, sì alla crescita. Il Tesoro studia il piano taglia-tasse
L'esecutivo italiano sta elaborando un progetto per ridurre le imposte a livello continentale già nel 2016, da presentare ai leader Pse il 12 marzo

Di CLAUDIO TITO
28 febbraio 2016

METTERE più soldi nelle tasche degli italiani e di tutti gli europei. Con una manovra concordata e non solitaria di taglio delle tasse. Il piano è ancora allo studio. È arrivato nei giorni scorsi sui tavoli tecnici. Nostrani e anche di Bruxelles. Un pacchetto di idee del governo italiano per provare a disegnare una via di fuga dalla crisi economica che ha avviluppato di nuovo il Vecchio Continente e quasi tutti i Paesi industrializzati. L’appuntamento è per il 12 marzo. A Parigi si riuniranno i leader del Pse. In quella sede, che precederà il Consiglio europeo del 17, Matteo Renzi metterà all’ordine del giorno la sua bozza di lavoro.

L'obiettivo è costruire un fronte progressista dei socialisti per tentare di dare una "spinta" al concetto di flessibilità nei conti pubblici già nel corso del 2016. Una "spinta" che riguardi appunto la politica fiscale e una riduzione tangibile delle imposte. Il presupposto ormai accettato da tutte le cancellerie dell'Ue riguarda la politica monetaria. Gli effetti della riduzione dei tassi di interesse e della scelta della Bce di immettere nel sistema denaro fresco, si sono ormai esauriti. Le agevolazioni derivanti da quelle decisioni - che rappresentano comunque una base imprescindibile - non sono in grado di dare ulteriore carburante al motore della crescita.

Anche perché - sono i ragionamenti di questi giorni - permane un effetto psicologico sui consumatori: tendono a non indebitarsi più e a mantenere una riserva di garanzia nei loro conti correnti. Si sentono ancora feriti da quello accaduto dal 2008 ad oggi. E non vogliono più correre rischi. Il secondo elemento, che costituisce la piattaforma "politica" su cui tutti i leader dell'Unione europea stano ragionando, è costituito dall'avanzare nei paesi occidentali dei fronti populisti e anti-austerity. E dal rischio "instabilità". L'ultimo esempio è stato offerto dall'Irlanda. Nelle elezioni di venerdì scorso - nonostante le recenti buone performance economiche di quel Paese il cui Pil cresce del 7% - la coalizione di governo non solo è uscita sconfitta, ma sono stati premiati proprio i partiti che più hanno attaccato i sacrifici imposti negli anni precedenti. Risultato: ingovernabilità. Una condizione temuta anche in Spagna dove il ritorno alle urne è ormai un'opzione concreta. In Francia, dove l'ultima tornata amministrativa ha messo in crisi lo storico sistema bipolare a favore della destra di Le Pen. In Gran Bretagna, dove il prossimo referendum sull'adesione all'Ue è un macigno pesantissimo. E nel nostro Paese dove le forze antisistema formano un blocco permanente che supera il 30 per cento degli elettori. Ma anche negli Usa dove il successo di Trump sta scuotendo il Partito Repubblicano. E forse non è un caso che la recente proposta "rigorista" del ministro tedesco della Finanze Schaeuble di imporre il tetto del 25 per cento ai bond detenuti dalle banche, sia stata rapidamente respinta.

La soluzione, allora, che l'Italia è intenzionata a prospettare prima ai leader del socialismo europeo e poi a tutti quelli dell'Unione, è proprio quella di intervenire sulle tasse. "Non è una questione che riguarda solo l'Italia - è il discorso che il capo del governo sta svolgendo in tutti i suoi colloqui internazionali, compreso quello di venerdì scorso con il presidente della Commissione Ue Juncker - perché noi ci siamo rimessi in moto. Ma tocca tutti e a cui tutti devono dare una risposta se non si vuole peggiorare la situazione". Nella road map di Renzi, allora, l'intervento sulle aliquote Irpef era previsto per la fine del 2017. Ma l'esito dei contatti avviati in queste settimane potrebbe cambiare quell'agenda. Non è un caso che lo stesso ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, al G20 di Shangai abbia usato due parole che rappresentano il cuore della trattativa: "Spazio fiscale".

Nelle bozze in esame, infatti, nessuno prende in considerazione l'ipotesi limite di scorporare dal calcolo del deficit i soldi stanziati per far scendere la pressione fiscale. L'idea, semmai, è quella di rendere ancora più cogente la regola della "flessibilità". Del resto, già nelle due ultime leggi di Stabilità l'Italia ha usato alcune clausole - come quella per le riforme - al fine sostanziale di provare a comprimere le imposte. Si tratta di un percorso, nel quale a Trattati invariati si incida su tutte le alternative che gli stessi Trattati già presentano. Secondo Palazzo Chigi, ad esempio, questo è stato il percorso seguito con la discussa misura sugli 80 euro. Ma altre strade sono percorribili nel pacchetto di normative europee. Con un solo obiettivo: tagliare le tasse e mantenere inalterati i simboli dei parametri europei.

In tutte le ipotesi esaminate, comunque, viene scartata la possibilità di finanziare il taglio delle tasse con la sola sforbiciata alla spesa pubblica. La spending review non può essere sufficiente. Anche perché il governo registra un effetto boomerang sul Pil: almeno un terzo della riduzione della spesa si riflette sulla mancata crescita. I dati offerti dall'Economia indicano per il 2016 la possibilità di incidere in negativo sul Prodotto interno lordo per lo 0,5 per cento. Ma la partita fiscale è solo all'inizio.

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28 febbraio 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/02/28/news/_anticipare_il_taglio_delle_tasse_con_una_manovra_europea_ecco_la_mossa_del_governo-134400411/?ref=HREC1-1
7041  Forum Pubblico / I GIUSTI MAESTRI / Umberto Eco, esce il nuovo libro Pape Satan Aleppe per sopravvivere alla ... inserito:: Febbraio 28, 2016, 11:51:17 pm
Umberto Eco, esce il nuovo libro Pape Satan Aleppe per sopravvivere alla liquefazione della società

Pubblicato: 26/02/2016 15:36 CET Aggiornato: 26/02/2016 15:51 CET

Essere consapevoli "che si vive in una società liquida che richiede, per essere capita e forse superata, nuovi strumenti". È l'unico modo che abbiamo per sopravvivere, nell'interregno in cui ci troviamo, alla liquefazione. Umberto Eco ci lascia questo grande messaggio nel suo ultimo libro dal titolo dantesco (Inferno, VII, 1) 'Pape, Satan, Aleppe', che esce oggi, a una settimana dalla sua morte, avvenuta il 19 febbraio. S'inaugura così La nave di Teseo, la nuova avventura editoriale che ha fondato con Elisabetta Sgarbi, direttore generale ed editoriale.

"Cronache di una società liquida non a caso è il sottotitolo di questo libro in cui Eco ha raccolto, come spiega nella prefazione, le Bustine di Minerva degli ultimi 15 anni. "Dal 2000 al 2015, calcolando ventisei Bustine all'anno, di Bustine ne avevo scritte più di quattrocento e ho ritenuto che alcune fossero ancora ricuperabili. Mi pare che tutte (o quasi tutte) quelle che raccolgo in questo libro possano essere intese come riflessioni sui fenomeni della nostra 'società liquida', di cui parlo in una delle Bustine più recenti, che pongo a inizio della serie" dice l'autore de 'Il nome della rosa'. Fino all'ultimo lo scrittore ha lavorato a 'Pape Satan Aleppe' che aveva rivisto, corretto e consegnato e per il quale aveva scelto un titolo in cui c'è tutta la confusione e la "sconnessione" che viviamo. Sono parole, come spiega Eco nella prefazione, che "confondono le idee, e possono prestarsi a qualunque diavoleria. Mi è parso pertanto comodo usarle come titolo di questa raccolta che, non tanto per colpa mia quanto per colpa dei tempi, è sconnessa, va - come direbbero i francesi - dal gallo all'asino, e riflette la natura liquida di questi quindici anni".

La passeggiata di Umberto Eco nel suo "bosco narrativo"

L'uscita era prevista a maggio, e farlo arrivare in libreria a così pochi giorni dalla morte di Eco, è stata davvero una corsa contro il tempo per gli amici con cui era salito su La nave di Teseo, fra i quali l'editor di una vita Mario Andreose che ne ha parlato come un'opera di grande "intrattenimento" con alcune parti di "pura comicità". Come quella in cui Eco dice di Papa Francesco: "Credo che si sbagli a considerarlo un gesuita argentino: è un gesuita paraguayano. È impossibile che la sua formazione non sia stata influenzata dal "sacro esperimento" dei gesuiti del Paraguay". Ci sono molti parti in cui viene ridicolizzata la banalità che ci circonda. Così, alla frequente domanda su quale sia il libro preferito risponde: "attendo con impazienza il libro che sconvolgerà i miei cento anni". L'idea di società liquida, che come ricorda Eco, dobbiamo a Zygmunt Bauman, percorre tutto il libro in cui viene raccontato il crollo delle ideologie, dei partiti, delle memorie. Siamo in un mondo in cui si è persa la certezza del diritto, dove domina l'individualismo sfrenato, il consumismo che rende subito gli oggetti obsoleti. Un vuoto in cui l'unico punto di riferimento è l'apparire a tutti i costi. "A questo bambino che cresce parrà allora naturale vivere in un mondo dove il bene primario (ormai più importante del sesso e del denaro) sarà la visibilità" scrive Eco rivolgendosi al nipotino nella sezione "Fare ciao ciao con la manina".

Questa raccolta diventa così un viaggio che ci mostra chi siamo e in che realtà ci muoviamo, dove protagonista è anche l'invasione della tecnologia. "I giornali sono spesso succubi della rete" dovrebbero invece dice Eco nella Bustina che chiude il libro "dedicare almeno due pagine ogni giorno all'analisi di siti Web (così come si fanno recensioni di libri o di film) indicando quelli virtuosi e segnalando quelli che veicolano bufale o imprecisioni".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/02/26/umberto-eco-libro_n_9326394.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001
7042  Forum Pubblico / I GIUSTI MAESTRI / Manuel Anselmi. 12 motivi per considerare Eco un genio inserito:: Febbraio 27, 2016, 05:48:07 pm
12 motivi per considerare Eco un genio

Pubblicato: 23/02/2016 09:54 CET Aggiornato: 23/02/2016 09:54 CET

Non ce l'ho fatta a trattenermi dopo aver letto numerosi commenti sui social relativi alla morte di Umberto Eco. Mi rendo conto che ormai è un ambito dominato da dinamiche rituali assurde, senza alcuna pertinenza con la realtà, però da lettore di Eco non potevo tacere.

Innanzitutto c'è questa nuova moda un po' snob di stare a bacchettare gli afflati retorici dovuti alla morte di un grande personaggio (cosa che è già capitata di recente con David Bowie) e che forse tradisce una grande nostalgia di elitismo intellettuale in questo panorama di populismo kitsch.

Ma veniamo a Eco. Occorre fare chiarezza su alcune cose: se è molto ma molto riduttivo liquidarlo come un romanziere manierista e alessandrino, è davvero un orrore scientifico sostenere come alcuni fanno che non abbia contribuito allo sviluppo di alcuna nozione scientifica. Se sulla prima posizione posso limitarmi a dire che può essere una questione di gusti, la seconda è una semplice questione di ignoranza. Cercherò pertanto di elencare alcuni motivi del valore filosofico e scientifico di Eco, senza nessuna pretesa di esaustività ma solo sulla base della mia personalissima frequentazione dei suoi testi da quando avevo circa venti anni.

1) Eco resta uno dei massimi esperti di estetica medievale degli ultimi 50 anni, non esiste ricerca in questo campo che non lo citi;

2) Eco ha il merito di aver contribuito allo sviluppo di una estetica contemporanea non crociana in un momento in cui il crocianesimo era egemone e parrocchia;

3) Eco ha introdotto categorie di analisi dell'industria culturale che sono ormai classiche quanto il Super Io di Freud in psicologia e mi riferisco ad espressioni come "apocalittici e integrati", "superuomo di massa", "opera aperta", piacciano o non piacciano esistono;

4) Eco ha introdotto in Italia la semiotica, nello specifico quella di indirizzo analitico e ne è stato uno dei massimi studiosi a livello mondiale;

5) Come conseguenza o in abbinamento al punto precedente, Eco ha introdotto in Italia il pensiero di autori come Peirce, del quale non è stato solo un promotore italico ma uno dei massimi studiosi a livello internazionale;

6) Eco ha partecipato come critico dei costumi italiani inventandosi una nuova forma di pamphlet saggio quasi sconosciuta nel nostro paese, peraltro facendoci ridere tanto;

7) In ambito filosofico, insieme ad altri autorevoli esperti come Garroni, ha approfondito e riproposto il tema dell'attualità del trascendentalismo kantiano come questione centrale dei processi di classificazione razionale e di organizzazione dell'esperienza (mi riferisco al libro Kant e l'ornitorinco);

Fico Con grande acume ha approfondito aspetti della storia delle idee del Seicento, occupandosi con grande competenza di autori come Athanasius Kircher;

9) Allo stesso modo si è occupato della teoria della cospirazione e delle logiche sociali legate alle organizzazioni esoteriche moderne e contemporanee;

10) Ha svolto costantemente una azione di critica degli aspetti più autoritari della società italiana con testi come Pampini bugiardi oppure con i saggi sulla semiotica del fascismo;

11) Sempre in questa direzione per primo ha parlato del "populismo mediatico" italiano;

12) Parallelamente a tutte queste cose, ciascuna delle quali basterebbe a far fare una carriera straordinaria a ciascuno di noi, Eco è stato un divulgatore rigorosissimo dal primo e rivoluzionario manuale di storia dell'arte con Eugenio Battisti pensato per le medie ma così ben riuscito da essere adottato all'università, alle recenti enciclopedie del Medioevo, dell'Antichità, del Rinascimento, che sono un ottimo modo per conoscere quelle realtà storiche.

Ora questi sono solo alcuni dei motivi per cui Eco resta il più importante e conosciuto intellettuale italiano degli ultimi decenni. E non ho fatto riferimento all'Eco romanziere la cui fama tutti conosciamo. La cosa che mi viene da aggiungere come conclusione: tutta questa stizza e acredine tese alla diminuzione del personaggio sono fondate sulla conoscenza del personaggio? Oppure è solo un modo per liquidarlo sulla base di impressioni e di antipatie soggettive, magari anche alimentate da una certa spocchia dello stesso personaggio?

Mettetevi l'anima in pace, Eco poteva apparire spocchioso ma restava geniale.

Da -http://www.huffingtonpost.it/manuel-anselmi/12-motivi-per-considerare-eco-un-genio_b_9295722.html?utm_hp_ref=italy
7043  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / CONCHITA SANNINO. Il j'accuse di Saviano: "Napoli senza futuro, per il Pd è un.. inserito:: Febbraio 27, 2016, 05:43:47 pm
Il j'accuse di Saviano: "Napoli senza futuro, per il Pd è un buco nero e De Magistris ha fallito"
L'intervista. A pochi mesi dalle comunali lo scrittore denuncia la mancanza di rinnovamento della politica. Compresi i 5Stelle


Di CONCHITA SANNINO
26 febbraio 2016
   
ROMA. "Lo sa il Pd nazionale come tratta i posti difficili del sud? Come buchi neri. E difatti tende a lavarsene continuamente le mani". Roberto Saviano non ha smesso di scagliare le sue analisi indigeste. "Quello che accade a Napoli e in Campania è esemplare, basta osservare l'offerta politica, l'assenza di un autentico rinnovamento, proprio quando si decide il destino di una capitale del Mezzogiorno sempre più povera, e più preda del crimine". Ma ne ha anche per gli altri. "I Cinque Stelle sono un'estensione della volontà di Casaleggio. E il sindaco de Magistris ha fallito l'unica missione che aveva". Uno sguardo non addomesticato né dalla fama, né dalla (periodica) lontananza. Lo scrittore guarda dall'America al Mezzogiorno e alla sua Napoli, una delle metropoli che a giugno va al voto amministrativo in una sfida che non si annuncia semplice per il Pd di Matteo Renzi.

Saviano, cos'è cambiato cinque anni dopo la svolta arancione che accomunò Napoli a Milano, Genova e Cagliari? Con quale animo andrebbe a votare, se fosse rimasto in città?
"Io non voto a Napoli perché da dieci anni vivo sotto scorta. Forse bisognerebbe chiederlo a chi vive in una città dove si spara quotidianamente, dove è quasi impossibile trovare lavoro, dove non si investe più. Purtroppo, ciò che opprime la vita di tanti cittadini, o li costringe ad andare via, non è cambiato".

De Magistris si ricandida: si è paragonato al Che, poi a Zapata. Cosa salva e cosa boccia della sua "rivoluzione"?
"Il sindaco aveva una missione e l'ha fallita. A fine mandato non è importante isolare cosa va salvato e cosa no, ma quale città si è ereditata e quale città si lascia. L'evoluzione delle organizzazioni criminali a Napoli non ha vita propria, ma si innesta nel tessuto cittadino e in quello politico e imprenditoriale. Se fino a qualche anno fa era quasi solo la periferia a essere dilaniata da continui agguati di camorra, ora si spara in pieno centro. E si spara per le piazze di spaccio. Non una parola sulla genesi di agguati e ferimenti. Non una parola sul mercato della droga che in città muove capitali immensi. Fare politica a Napoli e in Campania dovrebbe voler dire essere l'avanguardia della politica in Italia, avere idee, proposte, e tenersi lontani il più possibile dalle logiche delle consorterie".

Sul Pd ha detto, a Ballaró, che la "più credibile è la vecchia generazione, che con Bassolino ha clientele". Ma lui, osteggiato dai renziani, può raccontarsi come nuovo.
"Lo ripeto. Io vedo che il Pd nazionale si lava continuamente le mani della Campania e di Napoli. Buchi neri, così percepisce le realtà tanto difficili da gestire. Ecco perché non c'è nessuna proposta nuova, nessun percorso alternativo, ma tutto è lasciato ad assetti già esistenti. Cosa c'è da spiegare? È tutto evidente".

Il Movimento 5 Stelle appare ancora segnato dal caso Quarto: da 20 giorni non riesce a indicare il candidato sindaco di Napoli e a sedare malumori.
"Il Movimento 5 Stelle, che sul Sud poteva fare la differenza, sconta un vizio di forma: essere sempre meno un partito e sempre più un'estensione della volontà di Casaleggio. Così il codice d'onore, la multe e - vedi Quarto - le espulsioni assumono un profilo pericoloso perché antidemocratico: quello della cessione di sovranità attraverso la negoziazione privata. Per logica dovrebbe essere: se vengo eletto, credo di poter amministrare secondo le specificità del territorio. Ma nel M5S non è così, perché basta invece prendere una decisione in disaccordo col direttorio per essere cacciato via. Mi domando se gli iscritti al Movimento questa cosa l'abbiano compresa, se la ritengano giusta o la subiscano. La mia sensazione è che anche per loro la politica ormai sia solo comunicazione".

Cosa serve di più al futuro sindaco di Napoli?
"Attenzione costante. E progetti veri: da Roma, dall'Europa. Nessun politico, nessun partito può farcela senza un progetto nazionale e internazionale che sostenga la riforma della città. Chiunque creda di potercela fare inganna se e gli elettori".

Nella città dove i killer sono sempre più "bambini", gli intellettuali si dividono sulla temporanea esposizione a Roma d'una splendida opera del Caravaggio. Ha vinto il no. Lo chiedo a lei che ha fondato una corrente narrativa: ma Gomorra si può esportare e i capolavori d'arte no?
"Capisco la provocazione: un Caravaggio esposto a Roma avrebbe agito ottimamente da marketing per il turismo. Se poi è vero quanto ho letto, e cioè che il prestito avrebbe garantito fondi per una casa rifugio al rione Sanità per donne e bambini, allora credo che certe polemiche non solo siano sterili, ma anche dannose. Il Pio Monte della Misericordia, dove si trova il Caravaggio, è in via dei Tribunali, a due passi da Forcella, dove a Capodanno è stato ucciso un innocente. Mi viene da sorridere quando oltre al vincolo di inamovibilità si fa appello alla comprensione dell'opera solo nel contesto che in cui è inserito. Perché quel contesto è terribile e difficile per chi ci vive e per chi resiste".

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26 febbraio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/02/26/news/il_j_accuse_di_saviano_napoli_senza_futuro_per_il_pd_e_un_buco_nero_e_de_magistris_ha_fallito_-134258007/?ref=HRER1-1
7044  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Due anni di Renzi. Adesso fase 2 per dare benessere agli italiani: PER DAVVERO. inserito:: Febbraio 27, 2016, 05:42:14 pm
Due anni di Renzi: "Serve accordo su adozioni. Italia solida, ma ancora tanto da fare"
Il presidente del Consiglio: "No a bambini di serie A e serie B, la legge si deve chiudere velocemente". E annuncia: "Il 22 dicembre inaugurazione della Salerno-Reggio Calabria".
Poi lancia un sondaggio: "Siamo a metà del cammino. Qual è prossima priorità?"

Di PIERA MATTEUCCI
22 febbraio 2016

ROMA - È tempo di bilanci per Matteo Renzi, a due anni dall'incarico di guidare il governo. Tanta strada è stata fatta, ma molta resta da fare. E su Facebook si rivolge agli italiani con un sondaggio: "Qual è la prossima priorità"?

Il premier, incontrando la stampa estera, sintetizza il lavoro fatto: "L'Italia non è più il problema d'Europa. L'Italia c'è, è forte e solida, ma ci sono ancora tante cose da fare: ho la stessa fame del primo giorno". Il presidente del Consiglio ha sottolineato, ancora una volta gli obbiettivi raggiunti dall'esecutivo: "Mai sono state fatte così tante riforme in così poco tempo, ma siamo ancora affamati perché ci sono ancora troppe persone senza lavoro", ha aggiunto, senza dimenticare, però, che "il futuro è tornato di casa in questo Paese, il passato c'è sempre stato, lo sapete, ma la vera sfida è portare il futuro ad avere residenza in Italia e solo la politica può farlo".

Ed è convinto di proseguire fino al 2018: "La legislatura terminerà nel febbraio del 2018, quindi siamo esattamente a metà. In due anni molte delle iniziative che il governo aveva scelto di realizzare stanno andando avanti: legge elettorale, scuola, pubblica amministrazione. L'Italia aveva il segno meno su Pil e occupazione, ora abbiamo il più. Non è ancora chiusa la partita sulla riforma costituzionale, ma è la prima volta in Occidente che un ramo del Parlamento vota per il suo superamento", ha ribadito ancora il premier.

Ecco com'è andata
Riforme - Lavoro - Tasse - Conti pubblici   Spending review - Banda larga

Unioni civili. Immancabile una domanda sulle unioni civili, la cui discussione riprende mercoledì al Senato: "Speriamo di chiudere entro qualche giorno", ha detto il presidente del Consiglio. "Via via che gli altri si sfilano, l'accordo" sulle unioni civili "lo facciamo con chi ci sta", ha detto, riferendosi al passo indietro fatto dal Movimento 5 stelle. "Oggi il problema che abbiamo è che non si vada avanti da nessuna parte, che il dibattito sia bloccato, che sia la strada di un emendamento di governo o un accordo parlamentare la certezza è che questa legge si faccia". Il Pd, ha proseguito ha 112 voti: "Occorre arrivare a 161 - ha precisato -. Occorre trovarne altri 49 o 50. Di conseguenza serve l'accordo di qualcun altro e non basta un solo partito. C'era una prova d'intesa col M5s che venti minuti prima di votare l'emendamento Marcucci si è tirato indietro. Si dice che cambiare idea è segno di intelligenza, allora loro sono dei geni assoluti, perché hanno cambiato idea costantemente". Una cosa è certa: non si può più aspettare. "C'è solo una cosa su cui dare certezza: che questa legge si faccia davvero senza che la strategia del rinvio colpisca ancora...Non possono esserci bambini di serie A e di serie B, noi pensiamo sia arrivato il momento di mettere la parola fine a questo lungo rinvio sulla legge sulle unioni civili e nei fatti c'è stato un ostruzionismo. Siamo dell'idea che si deve chiudere velocemente".

Ue. "Credo che il referendum non sarà una passeggiata per nessuno. Cameron l'ha detto con franchezza", ha risposto il presidente del Consiglio a una domanda sulla Brexit. Il referendum sull'uscita del Regno Unito dall'Unione europea "sarà su una certa idea di Europa - ha aggiunto - sarà una campagna molto difficile". "Se l’U.K. esce dall'Europa il problema principale è per l’U.K., per le sue aziende e per i suoi cittadini. Restare dentro l'Ue è utile in particolar modo per loro". Renzi ha sottolineato che "siamo a un bivio, o l'Europa cambia oppure rischia di vanificare la più grande operazione di costruzione politica mai fatta". E ha ribadito la sua visione dell'Unione europea, affermando che "L'Italia lavora per questo, non per ottenere qualche briciola di compensazione ma per l'ideale europeo".

Migranti. "Con la Germania, con l'opinione pubblica tedesca, ci sono stati problemi rispetto al passato per il fatto che c'erano mani larghe nel controllo degli arrivi. La preoccupazione era che l'Italia non facesse i controlli per tutti: questo è stato parzialmente vero in passato, non ho problemi ad ammettere che non sempre i controlli sono stati impeccabili. Adesso però la situazione è rovesciata e siamo al 100% dei controlli, con le impronte digitali e i rilevamenti. Anche perché si è unita all'esigenza umanitaria anche quella della sicurezza", ha detto Renzi, che ha rivendicato che sulla politica dell'immigrazione "se c'è un Paese che non ha cambiato idea, quello è l'Italia".

Niente solidarietà a senso unico. Ancora una volta, Renzi ha sottolineato l'impegno dell'Italia: "Noi ogni anno mettiamo 20 miliardi e ne riprendiamo 12 in fondi europei, noi siamo contributori attivi. A questo punto: o fai come Thatcher 'voglio indietro i miei soldi' o, come noi, sei disponibile a mettere più soldi se c'è un ideale comunitario. La solidarietà in Europa non deve essere a senso unico e la mia opinione molto chiara è che quando si dovrà discutere della programmazione dei fondi, non potremo non tener conto che qualcuno immagina la solidarietà a senso unico". E ha proseguito: "Ho detto al tavolo Ue molto chiaramente che al momento di discutere della programmazione dei fondi non possiamo non tenere conto che qualcuno non è solidale sull'immigrazione. A quel punto è legittimo che i paesi più grandi possano non essere solidali sui fondi". E ha osservato che "se avessimo utilizzato il principio dell'egoismo, oggi non avremmo l'Europa a 28" visto che "sono saltati dei governi in nome dell'allargamento della Ue".

Austerità. Il nostro Paese ha fatto i compiti a casa, ha detto il premier: "È evidente che abbiamo un Pil più basso di altri Paesi, perché stiamo facendo tagli da cura da cavallo e la spesa pubblica fa Pil". Ma, ha precisato, "credo che anche se scende più piano di quanto prevede il fiscal compact, è un fatto positivo. L'importante è che scenda. L'Italia ha fatto spending per 25 miliardi. Cottarelli ne aveva chiesti 20. Il deficit era al 3,7 con Monti e oggi è al 2,5. Ma rifiuto di accettare l'austerità come fine a se stessa perché uccide il paziente, però sto dentro le regole europee - ha tenuto a precisare Renzi -. Non ho mai violato le regole europee e ho chiesto alla Commissione di stare dentro un percorso di flessibilità, ma sto dentro le politiche europee". E ha precisato: "Il deficit è il più basso degli ultimi 10 anni. Se avessi fatto il 3%, avrei 10 miliardi di tasse da abbassare".

Ai tavoli internazionali da protagonisti. Il panorama internazionale è cambiato, ha ribadito il presidente del Consiglio, e anche il ruolo del nostro Paese: "Al prossimo G7 che si terrà a Firenze nel 2017 io voglio che l'Italia non sia più ultima al tavolo per gli aiuti ai paesi in via di sviluppo". E ancora: "Sulla Siria la posizione italiana è la stessa della comunità internazionale. In passato l'Italia ha perso qualche occasione, ma adesso è tornata con una presenza in politica estera da protagonista. Ora non solo siamo ai tavoli internazionali, ma vogliamo starci da protagonisti con i nostri partner perché per anni si è fatto credere che l'Italia era talmente in difficoltà da non poter giocare la sua partita". Sulla Siria, ha aggiunto il premier, "siamo impegnati con grande determinazione perché gli accordi siano raggiunti e si possa faticosamente arrivare alla transizione".

A marzo negli Usa..."Saremo a marzo al vertice promosso da Obama sul nucleare che si tiene a Washington. Tema su cui l’Italia ha carte da spendere sia in termini politici che industriali per lo smaltimento", ha annunciato ufficialmente il premier. Il vertice si terrà il 30 e 31 marzo, ma "prima di quella data saremo forse in Nevada, Illinois e Massachusetts per una missione", ha precisato. Per quanto riguarda le prossime elezioni Usa, Renzi tifa Clinton: "Da presidente del Consiglio dico che lavoreremo con chiunque sarà il presidente Usa, evidentemente. Da segretario del Pd nel rispetto della democrazia Usa faccio il tifo per Hillary Clinton".

...ad aprile a Teheran... Dopo aver ricevuto il presidente Rohani a Roma, Matteo Renzi ha annunciato di avere in programma un viaggio in Iran: "Sarò ad aprile a Teheran. Al tavolo di Ginevra sull'Iran - ha ricordato Renzi - l'Italia non c'era perché i miei predecessori scelsero di non starci, il che suona stravagante se si considerano i rapporti storici tra Italia e Iran".

...e il 18 giugno a San Pietroburgo. Ma non è finita: "Il 18 giugno sarò a San Pietroburgo su invito di Putin che ho già incontrato al Cremlino a marzo 2015", ha detto poi il premier, rispondendo a una domanda sul forum economico in programma a giugno in Russia. Rispondendo a una domanda sulle sanzioni alla Russia, Renzi ha dichiarato: "Spero si possa chiudere la fase sanzionatoria al più presto, ovviamente con l'implementazione dell'accordo di Minsk. È assurdo - ha aggiunto - non coinvolgere tutte le forze e i Paesi di buona volontà contro l'Is, che è di gravità inaudita. Continuo a pensare sia necessaria una grande convergenza internazionale e il ruolo della Russia sia molto importante, ma deve rispettare i principi di indipendenza e sovranità Ucraina".

Sinistra Ue è in difficoltà. "Il contenitore dei socialisti europei ha bisogno di ripensare se stesso", ha detto Renzi, evidenziando che "la sinistra europea è molto in difficoltà, è inutile fare giri strani. Nel Pse sull'immigrazione ci sono posizioni più vicine ad Orban che a Merkel, banalmente è così". E ancora: "Io mi sento di sinistra nel senso di Clinton e Obama, non di una certa sinistra massimalista che non vince neanche le elezioni del condominio. Chi cambia è di sinistra, chi non vuole cambiare è di destra". Infine, parlando della Grecia, ha aggiunto: "Lo sforzo di Tsipras di cambiare la Grecia è serio e sostanziale e l'Italia farà tutto quello che è nelle sue possibilità per dare una mano. L'Europa senza la Grecia perderebbe un patrimonio strepitoso e ideale. I miei rapporti con Alexis Tsipras sono molto buoni Io sto dalla parte di Tsipras. Spero che lui accetti di entrare a far parte del Pse".

Salerno-Reggio Calabria: inaugurazione il 22 dicembre. C'è stato, poi, un ulteriore annuncio. Sfidando lo scetticismo dei giornalisti della stampa estera, il premier ha detto: "Tenetevi forte, so che non ci crederete ma così come sembrava impossibile la Variante di valico, il 22 dicembre inauguriamo la Salerno-Reggio Calabria. E a tutti quelli che hanno fatto un 'oohhhh' di stupore gli faremo fare un pezzo di strada e guido io".

La prossima riforma. Il premier affida anche alla Rete una sintesi, postando su Facebook le tradizionali slide e chiedendo ai cittadini di indicare la prossima priorità: "Buongiorno. Qui trovate ventiquattro slide sui primi ventiquattro mesi di governo. Siamo a metà del cammino, mancano ancora due anni. Qual è per voi la priorità? Qual è secondo voi la riforma più urgente, adesso?". Così il presidente del consiglio, Matteo Renzi, interpella gli utenti che lo seguono su facebook nel giorno in cui il suo governo compie due anni.

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22 febbraio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/02/22/news/due_anni_di_renzi_il_premier_su_fb_qual_e_la_prossima_priorita_-133957389/?ref=HREA-1
7045  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Riccardo NOCENTINI. inserito:: Febbraio 27, 2016, 05:37:29 pm
Vocazione maggioritaria non confligge con partito della Nazione (se bene inteso)
Pd   
Riccardo NOCENTINI

Cosa significa costruire l’egemonia oggi

La visione del PD è quella di un partito di governo a vocazione maggioritaria che dialoga con tutti, al proprio interno e con le altre forze sociali, ma poi decide sulla base di quelle che sono le priorità per il bene comune.

La vocazione maggioritaria è lo sforzo di parlare a tutto il paese, è il principio di un “partito della nazione” ben inteso, e non si riferisce soltanto al dato quantitativo dei voti presi, bensì soprattutto a un salto qualitativo che renda il PD una guida nella società, quella “direzione intellettuale e morale” che intendeva Gramsci, parlando del concetto di “egemonia”. Certo quando Gramsci parlava del partito come “moderno principe”, capace di formare una volontà collettiva nazional-popolare e una riforma culturale da concretizzare in un programma economico conseguente, intendeva qualcosa che per noi oggi non è accettabile: il partito che si sostituisce, nelle coscienze, non solo alla divinità, ma anche all’imperativo categorico kantiano, cioè al nostro dover essere, ai valori e alle finalità che precedono i nostri comportamenti.

Il partito oggi deve invece fungere da apertura delle nostre coscienze al mondo, non una diminuzione, ma un ampliamento che ci permetta di avere maggiori strumenti individuali non solo di interpretazione, ma di azione su una realtà che sempre più si configura come una “rete”.

Proprio a partire dalla conoscenza dei nodi interdipendenti della rete si può ricostruire una visione comune “egemone” nel senso di una progressiva capacità di costruzione e allargamento del consenso a partire dalle cose fatte e dalla rappresentanza degli interessi in campo, in particolare delle forze produttive e intellettuali di cambiamento.

La visione maggioritaria vive in una tensione continua tra efficacia delle politiche e qualità della rappresentanza. La funzione di governo, che si affianca a quella maggioritaria, in un sistema parlamentare che non prevede elezione diretta del premier (differentemente rispetto a quello che succede per i sindaci e per i presidenti di regione), richiede, per rafforzare il suo ruolo, la coincidenza di premiership e leadership politica. La visione politico culturale per la nazione e l’azione di governo si completano fino a coincidere per valorizzare rappresentanza e efficacia delle politiche.

Pur aspirando a un modello semplificato e bipolare sappiamo che la situazione italiana vede una frammentazione dei partiti che il Partito democratico non può ignorare ma deve essere affrontata secondo un principio imprescindibile: la ricerca delle alleanze con altre forze politiche di centro e di sinistra, è subordinata alla condivisione di scelte programmatiche chiare, sfidanti e riformatrici. Il programma viene prima delle alleanze. Questa è la conseguenza se vogliamo essere coerenti con la funzione nazionale e maggioritaria del PD; cosa diversa quando discutiamo di regole e di riforme costituzionali, nel qual caso vanno ricercate le massime convergenze possibili. Questo perché diverso è il principio sottostante: il governo è della maggioranza (che deve governare) le regole sono di tutti (e devono garantire pluralismo e rappresentanza).  
(Riccardo Nocentini)

DA - http://www.unita.tv/opinioni/vocazione-maggioritaria-non-confligge-con-partito-della-nazione-se-bene-inteso/
7046  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Vito LOPS. Casa, meglio comprare con un mutuo o con il nuovo leasing agevolato? inserito:: Febbraio 26, 2016, 12:28:52 pm
Casa, meglio comprare con un mutuo o con il nuovo leasing agevolato?

Di Vito Lops
23 febbraio 2016

Nell’ultimo anno sono stati stipulati in Italia molti più mutui: il 97% in più stando agli ultimi dati dell’Abi. Un terzo di questi sono surroghe, cioè miglioramenti di vecchi mutui (modificando tasso e/o durata). Il tutto però a fronte di un mercato immobiliare che sta leggermente risalendo dopo anni di crisi. Cresce la domanda e crescono un po’ le compravendite ma non certo i prezzi. La legge della domanda e dell’offerta del resto è di limpida semplicità: i prezzi crescono solo quando la domanda supera l’offerta. In questo contesto che la domanda superi l’offerta è tecnicamente impossibile considerata la mole di immobili invenduti che circola.

In ogni caso dalla ripartenza del mercato immobiliare dipende anche buona parte della ripresa economica perché il real estate crea lavoro su ampia scala e favorisce un certo ottimismo che si autoalimenta. È anche per questo motivo che probabilmente il governo ha introdotto da gennaio delle importanti agevolazioni in tema di leasing immobiliare.

Finora il leasing è conosciuto prevalentemente dai privati per la macchina, l’obiettivo è agganciarlo anche al concetto della casa. È previsto in particolare che chi sceglie la formula del leasing, preferendola al mutuo, all’affitto o all’affitto con diritto di riscatto, abbia il fisco particolarmente amichevole. Cosa è il leasing? In due parole: la banca acquista l’immobile e il cliente prende possesso dell’immobile pagando un canone d’affitto (a tasso fisso o variabile) periodico fissando all’inizio dell’operazione anche il prezzo dell’eventuale riscatto, al termine del piano di leasing che solitamente dura 12 anni ma in questi casi può spingersi anche fino a 20.

Secondo la nuova legge di stabilità, gli under 35 con un reddito annuo non superiore a 55mila euro possono detrarre ogni anno dall’Irpef il 19% fino a un massimo di canoni pagati di 8mila euro (quindi 1.520 euro). Per gli over 35 anni invece l’agevolazione è identica a quella oggi prevista per il mutuo prima casa, si può detrarre il 19% ma fino a 4mila euro (quindi massimo 758 euro l’anno). La grande differenza con il mutuo però riguarda il fatto che nel leasing il montante su cui calcolare il 19% di esenzione fiscale è dato dall’intero importo del canone mentre sul mutuo riguarda solo la quota interessi della rata.

Ad esempio se in un anno ho pagato su un mutuo rate per 6mila euro ma di questi 6mila, 4mila rappresentano la quota capitale e 2mila la quota interessi, su un mutuo prima casa il 19% viene calcolato su 2mila. Mentre nel caso del leasing sarebbe calcolato su 6mila.

Inoltre per il leasing è prevista un’altra agevolazione. Chi decide di riscattare l’immobile al prezzo concordato inizialmente e quindi di passare dalla condizione di locatario a quella di proprietario, potrà detrarre dall’Irpef il 19% di un importo massimo di 20mila euro. Se quindi per riscattare la casa aggiungo 30mila euro, potrò detrarre dall’Irpef 3.600 euro (cioè il 19% di 20mila).

Dal punto di vista fiscale quindi, per un under 35, il leasing parte in deciso vantaggio. Perché se risparmio ogni anno fino a 1.520 euro (contro i 758 potenziali del mutuo) per 20 anni ho un tesoretto di circa 14mila euro. Se a questi poi aggiungo i potenziali 3.600 euro in caso di riscatto arriviamo oltre i 17mila euro.

Il mutuo invece di norma rosicchia qualcosa sul lato tassi. I tassi dei mutui (sia fisso che variabile) oggi a livello nominale (cioè senza considerare l’inflazione) sono ai minini storici. Si stipula un variabile anche sotto l’1,5% e un fisso anche al 2,5% (nelle migliori delle ipotesi). Mentre con il leasing i tassi dovrebbero essere mediamente un po’ più alti. Quindi quando si chiede un preventivo di leasing prima casa bisogna confrontarlo anche con gli interessi che si risparmierebbero invece con il mutuo. Se questi battono i 14-17mila euro di vantaggio base del leasing, a quel punto il mutuo torna in vantaggio.

Un altro vantaggio del mutuo è dato dal fatto che offre la possibilità di estinzione anticipata gratuita. Mentre con il leasing bisogna andare fino in fondo ed eventualmente decidere di non riscattare l’immobile.

Il mutuo poi si può spingere su durate fino a 30 anni mentre il leasing nella migliore delle ipotesi arriva a 20 anni. Il leasing prima casa però ha dalla sua il fatto che consente di prendere possesso dell’immobile anche avendo poca liquidità iniziale e per questo si rivolge ai giovani che fanno fatica ad accendere un mutuo (il maxi-canone d’anticipo di solito è pari al 10% del valore dell’operazione) mentre con un mutuo medio bisogna avere il 20% di contanti, considerato che la maggior parte delle banche non concedono oggi mutui superiori all’80% del valore dell’immobile.

Un’altra differenza riguarda la morosità. La banca può avviare la procedura di pignoramento dopo sette rate di mutuo non pagate. Mentre la misura è un po’ più rigida nel caso di leasing. Può bastare anche una rata non pagata (in assenza della perdita del posto di lavoro senza giusta casa) per essere sfrattati dalla banca.

Pro e contro da ambo le parti, in ogni caso, da valutare con attenzione. Un’ultima cosa, però. «Non è detto che le banche si strappino i capelli per concedere leasing immobiliari prima casa - spiega Luca Dondi, analista di Nomisma -. Con il leasing le banche infatti vanno ad acquistare - per conto del locatario e in attesa di un suo eventuale futuro riscatto - un immobile. Ma in questo momento le banche sono piene di immobili per effetto dei numerosi pignoramenti avvenuti durante gli ultimi anni di crisi. Quindi non sono portate ad aumentare la quota di immobili in pancia in un momento in cui gradirebbero anzi liberarsene in tempi brevi. Anche per questo motivo molti istituti oggi stanno creando delle agenzie immobiliari interne o dei network per liquidare più in fretta i propri asset immobiliari. Il leasing da questo punto di vista andrebbe nella direzione opposta».

Non c’è quindi un vero vincitore. L’importante è conoscere le differenze e adeguarle alle proprie necessità. Sempre con la calcolatrice in tasca.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-02-23/casa-meglio-comprare-un-mutuo-o-il-nuovo-leasing-agevolato-125708.shtml?uuid=ACd1TEaC&p=2
7047  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / LUCIA ANNUNZIATA - Spiati e manovrati ancora oggi? inserito:: Febbraio 26, 2016, 12:02:11 pm
Spiati e manovrati ancora oggi?

Pubblicato: 23/02/2016 20:11 CET Aggiornato: 29 minuti fa

Sì, sapevamo. L'atmosfera generale era quella. L'impazienza, il ruotar d'occhi, il sorrisino sprezzante fra Sarkozy e Merkel in mondovisione.
Ma una cosa è lo scherno di un sorriso, altro è la certezza delle trascrizioni, nero su bianco.

I dispacci di Wikileaks pubblicati da Repubblica e dall'Espresso, stilati dai funzionari americani per Washington, sulla base dell'"ascolto" illegale delle telefonate dei leaders politici italiani, sono uno schiaffo in faccia al nostro paese. E non soltanto per l'ovvio sopruso dello spionaggio.

Drammatiche sono le parole, l'atmosfera, che raccontano il disprezzo politico e la assoluta mancanza di ogni rispetto della sovranità del nostro paese: "Merkel e Sarkozy, che evidentemente non tolleravano scuse sull'attuale situazione difficile dell'Italia, hanno fatto pressioni sul primo ministro affinché annunciasse forti e concrete misure e affinché le applicassero in modo da dimostrare che il suo governo è serio sul problema del debito". Vi prego di notare quel "non tolleravano scuse".

Con nonchalance Sarkozy , in un incontro dell'ottobre 2011 con Merkel e Berlusconi, usa l'immagine del "tappo di champagne" per spiegare come "possono saltare le istituzioni finanziarie italiane": "Sarkozy avrebbe detto a Berlusconi che, mentre le affermazioni di quest'ultimo sulla solidità del sistema bancario italiano, in teoria, potevano anche essere vere, le istituzioni finanziarie italiane potrebbero presto "saltare in aria" come il tappo di una bottiglia di champagne e che "le parole non bastano più" e che Berlusconi "ora deve prendere delle decisioni". È il 22 ottobre, la data della conferenza stampa del sorrisino. Silvio Berlusconi si dimetterà il 12 novembre fra un'ala di folla che ne festeggia la caduta.

Queste carte di Wikileaks rivelano in effetti molto più della vicenda specifica (e già grave) di un ex leader defenestrato. Ci raccontano intanto che i due maggiori leader europei, uno dei quali, la Merkel, ancora in carica, pensavano fosse del tutto legittimo fare attivamente pressioni contro il Presidente del Consiglio di un altro paese. E che il nostro maggiore alleato, di allora come di oggi, gli Usa, ne erano consapevoli, se non (forse) addirittura compiacenti, visto che grazie allo spionaggio del telefoni, ne era al corrente. Siamo di fronte, insomma, a una vera e propria ingerenza, alimentata dalla convinzione, come si vede nelle trascrizioni, che il nostro è un paese debole, fragile, ed è dunque meritorio di essere messo " sotto controllo".

Molti di noi/voi dopo la lettura delle rivelazioni di Wikileaks avranno detto "Beh, vabbé si trattava di Silvio". Ma davvero, oggi, a più di quattro anni di distanza, e tutte le successive rivelazioni, possiamo leggere anche queste ultime intercettazioni e voltarci dall'altra parte, perché "tanto Berlusconi se lo meritava" o perché "Berlusconi era nostro avversario"? Può anche il peggior dei leader essere estromesso con tale procedura, senza che un danno venga fatto a tutto il sistema politico? È una domanda che dobbiamo porci noi cittadini prima ancora del Governo e del Parlamento Italiano. La rottura che si consuma in quell'inizio di inverno segna infatti tutto il percorso successivo, la storia degli ultimi quattro anni, fino ad oggi.

Intanto a questo punto dovremmo sapere con maggiore certezza chi in Italia sapeva dell'atteggiamento della leadership internazionale, e non solo la condivise ma diede una mano a farla diventare una realtà. Sarebbe molto interessante a questo punto ascoltare l'ex Presidente Napolitano che del passaggio Berlusconi/ Monti fu il deus ex machina, per capire di più quei momenti e le ragioni della classe dirigente di allora. Lo stesso Monti, che non ha mai nascosto le sue profonde radici "europee" potrebbe dare il suo punto di vista su quanto accadde allora.

E le spiegazioni non finiscono qui. Noi sappiamo oggi che dopo le elezioni del 2013 che, correttamente, segnarono la fine del governo tecnico, nemmeno il ricorso al voto riuscì a riportare la dinamica politica nel suo corso istituzionale. Sappiamo che il vincitore deciso dalle schede elettorali, Pierluigi Bersani, non ottenne l'incarico perché troppo ravvicinato il responso delle schede fra Pd e M5S. L'incarico va invece a Enrico Letta, non eletto. E dopo pochi mesi l'incarico va a Matteo Renzi, non eletto. Dal 2013 a oggi, in altre parole, nessuna elezione nazionale scioglie il nodo di governi senza maggioranza certificata. Sappiamo che questo è un lungo periodo di precario equilibrio istituzionale, di difficile situazione economica, di crescente destabilizzazione internazionale sul fronte di guerra.

Non sappiamo però cosa succede in questo stesso periodo, alle forze che vediamo protagoniste della defenestrazione di Berlusconi. Gli Usa smettono davvero di spiarci? I grandi leader europei hanno smesso di "impicciarsi" delle vicende interne Italiane? A esempio, da quel che ci dicono i file, nel periodo di Monti, in un solo mese, dal 10 dicembre 2012 al 9 gennaio 2013, la Nsa raccoglie i metadati di 45.893.570 di telefonate degli italiani, cioè informazioni derivate dai tabulati. Letta al governo in verità chiese una verifica delle attività di spionaggio, e ne uscì rassicurato, ora sappiamo erroneamente. È così strano immaginare che lo spionaggio nei confronti dei nostri leader politici sia continuato fino ad oggi? O pensare che anche Matteo Renzi, per non parlare di altri protagonisti come Casaleggio e uomini di altre istituzioni e partiti, o di aziende di Stato come Finmeccanica ed Eni siano rimasti sotto osservazione? Oppure vogliamo pensare che dopo la caduta di Silvio Berlusconi ognuno è tornato virtuosamente al suo posto? Tutto quello che è successo negli anni scorsi, la opacità di vari passaggi, in parte la loro inspiegabilità, lascia zone d'ombra in cui si possono leggere molte mani, molti interessi.

Nessun complotto. Lo scontro politico oggi non passa più attraverso i partiti e non si ferma ai confini di nessuna nazione. Lo scontro sull'Europa, i migranti, e la guerra, sono i transiti in cui si incanalano oggi i temi del dominio, del controllo e del potere del mondo. Ma la globalizzazione degli accordi e delle soluzioni non può essere un abbandono della propria forza e identità nazionale.

Che si tratti dunque di una Commissione di Inchiesta, di una protesta di diplomatica, di una discussione parlamentare, è necessario che il Governo Italiano ottenga il massimo delle informazioni e si impegni a diradare tutte le ombre di questi ultimi quattro anni.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/spiati-e-manovrati-ancora-oggi_b_9299576.html?utm_hp_ref=italy
7048  Forum Pubblico / I GIUSTI MAESTRI / UMBERTO ECO: "Che bell’errore!": ecco la sua prima storica Bustina di Minerva inserito:: Febbraio 26, 2016, 11:55:52 am
La nostra storia
Umberto Eco: "Che bell’errore!": ecco la sua prima storica Bustina di Minerva
Era il 31 marzo 1985.
Ripubblichiamo qui la prima delle celebri rubriche ospitate sull'ultima pagina de "l’Espresso". Dove si celebravano lo sbaglio e il caso come strumenti di scoperta

Di Umberto Eco 
26 febbraio 2016

Sto iniziando una rubrica. Mi è accaduto altre volte e ho sempre avuto la forza di smettere nel giro di un anno. L’appuntamento settimanale corrode. Questa volta forse smetterò prima, provo soltanto, per far piacere al Direttore, uomo potentissimo e vendicativo, e in vena di novità.

L’intitolo alla bustina di Minerva, senza riferimenti alla dea della sapienza, bensì ai fiammiferi. Quando capita che la bustina abbia il lembo interno vergine di pubblicità, gli uomini pensosi usano appuntarvi idee vaganti, numeri di telefono di donne che un giorno sarà opportuno amare, titoli di libri da comperare, o da evitare. Valentino Bompiani scriveva (e forse scrive ancora) le idee che gli passavano per la testa sul retro delle scatole di raffinatissime sigarette turche. Credo conservi migliaia di ritagli di scatole nei suoi archivi, e molte delle sue iniziative editoriali sono cominciate così. Dal numero delle schede accumulate felicemente, direi che il fumo non fa male.

Ritengo sia utile appuntare idee sulle bustine di Minerva, e anche Husserl faceva qualcosa del genere. A Lovanio non hanno ancora finito di decifrare tutto quello che ha scritto, e il rettore di quella università, che deve stanziare i fondi per la ricerca su quei crittogrammi, mi diceva tra il preoccupato e il faceto che un uomo che ha scritto tanti foglietti (credo siano centomila) non può sempre aver scritto delle cose sensate. Però le cose che ha pubblicate sono piene di senso. Questo significa che l’umanità pensante si divide tra chi si limita ai Minerva e chi poi coordina questi appunti in un discorso organico. Lì vengono i nodi al pettine.

Per intanto bustine: sull’ultimo libro non letto, sull’intuizione che ci ha attraversato la mente in autostrada mentre si frenava per non finire in coda a un Tir, sull’essere e il nulla, sui passi celebri di Fred Astaire. Poi si vedrà.

Primo pensiero. Sto seguendo il Colombo televisivo, né intendo rubare il mestiere al titolare della rubrica apposita. Semplicemente (e accade ogni qual volta si rilegge la storia di Colombo) stupisce quanto si possa andare lontano con una idea sbagliata. Anzi, con un pacchetto di idee tutte sbagliate: sbagliato il calcolo delle dimensioni della terra, sbagliato il credito dato a certi cartografi, sbagliato il progetto di redenzione dei selvaggi asiatici, sbagliato persino l’investimento economico. Povero Cristoforo finito poi così tristemente. Eppure, la sua scoperta ha rivoluzionato il nostro millennio.

Per questo genere di scoperte, fatte per sbaglio, gli inglesi hanno un termine che non esiste nel nostro lessico se non per ricalco: “serendipità”. È curioso che il termine si formi nel lessico inglese, a causa della storia dei tre principi di Serendip scritta nel Settecento da Horace Walpole. Perché di fatto la storia di questi tre principi, che trovano qualcosa cercando qualcosa d’altro, viene da una antica novella persiana, poi tradotta in italiano nel Rinascimento, poi passata alle altre culture europee, come anche ci ripeteva Carlo Ginzburg nel suo famoso saggio sul paradigma indiziario.

Il fatto è che tutte le grandi scoperte avvengono per una certa qual forma di serendipità. E non sto solo pensando a Madame Curie che lascia la pecblenda sul comodino per disattenzione, o allo sciagurato Bertoldo il Nero che cerca la polvere di proiezione e scopre la polvere da sparo. Ogni grande scoperta avviene perché lo scienziato (o il filologo, o il detective) invece di seguire le vie normali di ragionamento si diverte a pensare che cosa succederebbe se si ipotizzasse una legge del tutto inedita e puramente possibile, la quale però fosse capace di giustificare - se fosse vera - i fatti curiosi a cui con le leggi esistenti non si riesce a dare spiegazione. Ma questa legge inedita non viene fuori al primo colpo: si va per così dire per farfalle, si passeggia con la mente in territori altrui. In fondo il pensatore creativo è colui che decide di fare, ma scientemente, quello che Colombo ha fatto per sbaglio: «Visto che non trovo una risposta a questo problema, perché non cerco la risposta a un altro problema, magari del tutto extravagante?».

Allenarsi a rischiare errori, con la speranza che alcuni siano fecondi. In fondo anche scrivere sulle bustine di Minerva può avere la stessa funzione. Dipende naturalmente se ci scrive Kant o se ci scrivo io (a cui Luis Pancorbo ha attribuito una volta l’angoscioso pensiero: «I can’t be Kant»).

Certe volte temo che chi non scopre mai niente sia colui che parla solo quando è sicuro di aver ragione. È mica vero quel che ci raccomandavano i genitori: «Prima di parlare pensa!». Pensa, certo, ma pensa anche ad altro. Le idee migliori vengono per caso. Per questo, se sono buone, non sono mai del tutto tue.

© Riproduzione riservata
26 febbraio 2016

Da - http://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2016/02/25/news/umberto-eco-che-bell-errore-prima-bustina-minerva-1.251605?ref=HRBZ-1
7049  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / UMBERTO ECO: "Che bell’errore!": ecco la sua prima storica Bustina di Minerva inserito:: Febbraio 26, 2016, 11:54:48 am
La nostra storia
Umberto Eco: "Che bell’errore!": ecco la sua prima storica Bustina di Minerva
Era il 31 marzo 1985.
Ripubblichiamo qui la prima delle celebri rubriche ospitate sull'ultima pagina de "l’Espresso". Dove si celebravano lo sbaglio e il caso come strumenti di scoperta

Di Umberto Eco 
26 febbraio 2016

Sto iniziando una rubrica. Mi è accaduto altre volte e ho sempre avuto la forza di smettere nel giro di un anno. L’appuntamento settimanale corrode. Questa volta forse smetterò prima, provo soltanto, per far piacere al Direttore, uomo potentissimo e vendicativo, e in vena di novità.

L’intitolo alla bustina di Minerva, senza riferimenti alla dea della sapienza, bensì ai fiammiferi. Quando capita che la bustina abbia il lembo interno vergine di pubblicità, gli uomini pensosi usano appuntarvi idee vaganti, numeri di telefono di donne che un giorno sarà opportuno amare, titoli di libri da comperare, o da evitare. Valentino Bompiani scriveva (e forse scrive ancora) le idee che gli passavano per la testa sul retro delle scatole di raffinatissime sigarette turche. Credo conservi migliaia di ritagli di scatole nei suoi archivi, e molte delle sue iniziative editoriali sono cominciate così. Dal numero delle schede accumulate felicemente, direi che il fumo non fa male.

Ritengo sia utile appuntare idee sulle bustine di Minerva, e anche Husserl faceva qualcosa del genere. A Lovanio non hanno ancora finito di decifrare tutto quello che ha scritto, e il rettore di quella università, che deve stanziare i fondi per la ricerca su quei crittogrammi, mi diceva tra il preoccupato e il faceto che un uomo che ha scritto tanti foglietti (credo siano centomila) non può sempre aver scritto delle cose sensate. Però le cose che ha pubblicate sono piene di senso. Questo significa che l’umanità pensante si divide tra chi si limita ai Minerva e chi poi coordina questi appunti in un discorso organico. Lì vengono i nodi al pettine.

Per intanto bustine: sull’ultimo libro non letto, sull’intuizione che ci ha attraversato la mente in autostrada mentre si frenava per non finire in coda a un Tir, sull’essere e il nulla, sui passi celebri di Fred Astaire. Poi si vedrà.

Primo pensiero. Sto seguendo il Colombo televisivo, né intendo rubare il mestiere al titolare della rubrica apposita. Semplicemente (e accade ogni qual volta si rilegge la storia di Colombo) stupisce quanto si possa andare lontano con una idea sbagliata. Anzi, con un pacchetto di idee tutte sbagliate: sbagliato il calcolo delle dimensioni della terra, sbagliato il credito dato a certi cartografi, sbagliato il progetto di redenzione dei selvaggi asiatici, sbagliato persino l’investimento economico. Povero Cristoforo finito poi così tristemente. Eppure, la sua scoperta ha rivoluzionato il nostro millennio.

Per questo genere di scoperte, fatte per sbaglio, gli inglesi hanno un termine che non esiste nel nostro lessico se non per ricalco: “serendipità”. È curioso che il termine si formi nel lessico inglese, a causa della storia dei tre principi di Serendip scritta nel Settecento da Horace Walpole. Perché di fatto la storia di questi tre principi, che trovano qualcosa cercando qualcosa d’altro, viene da una antica novella persiana, poi tradotta in italiano nel Rinascimento, poi passata alle altre culture europee, come anche ci ripeteva Carlo Ginzburg nel suo famoso saggio sul paradigma indiziario.

Il fatto è che tutte le grandi scoperte avvengono per una certa qual forma di serendipità. E non sto solo pensando a Madame Curie che lascia la pecblenda sul comodino per disattenzione, o allo sciagurato Bertoldo il Nero che cerca la polvere di proiezione e scopre la polvere da sparo. Ogni grande scoperta avviene perché lo scienziato (o il filologo, o il detective) invece di seguire le vie normali di ragionamento si diverte a pensare che cosa succederebbe se si ipotizzasse una legge del tutto inedita e puramente possibile, la quale però fosse capace di giustificare - se fosse vera - i fatti curiosi a cui con le leggi esistenti non si riesce a dare spiegazione. Ma questa legge inedita non viene fuori al primo colpo: si va per così dire per farfalle, si passeggia con la mente in territori altrui. In fondo il pensatore creativo è colui che decide di fare, ma scientemente, quello che Colombo ha fatto per sbaglio: «Visto che non trovo una risposta a questo problema, perché non cerco la risposta a un altro problema, magari del tutto extravagante?».

Allenarsi a rischiare errori, con la speranza che alcuni siano fecondi. In fondo anche scrivere sulle bustine di Minerva può avere la stessa funzione. Dipende naturalmente se ci scrive Kant o se ci scrivo io (a cui Luis Pancorbo ha attribuito una volta l’angoscioso pensiero: «I can’t be Kant»).

Certe volte temo che chi non scopre mai niente sia colui che parla solo quando è sicuro di aver ragione. È mica vero quel che ci raccomandavano i genitori: «Prima di parlare pensa!». Pensa, certo, ma pensa anche ad altro. Le idee migliori vengono per caso. Per questo, se sono buone, non sono mai del tutto tue.

© Riproduzione riservata
26 febbraio 2016

Da - http://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2016/02/25/news/umberto-eco-che-bell-errore-prima-bustina-minerva-1.251605?ref=HRBZ-1
7050  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Il populismo d'Occidente che cancella i moderati. - Di EZIO MAURO inserito:: Febbraio 26, 2016, 11:52:17 am
Il populismo d'Occidente che cancella i moderati
In Europa come in Usa un vento radicale piega la destra moderna

Di EZIO MAURO
26 febbraio 2016

DUE parole faticano oggi a farsi largo in Occidente: moderato e conservatore. Nella semplificazione politica e giornalistica, esprimono ormai lo stesso concetto, una destra moderna, non reazionaria, con il senso delle istituzioni e il sentimento della tradizione. In un Paese sfortunato come il nostro, questa destra manca da sempre e il suo vuoto è stato riempito parzialmente per decenni dal post-fascismo, dal doroteismo democristiano, dal populismo berlusconiano, così com'è mancata simmetricamente per decenni una forte sinistra di governo, occidentale e riformista, che ha poi faticosamente preso corpo (ma non ancora anima) con il Pd.

Nelle altre democrazie europee, e negli Stati Uniti, quella tradizione politica moderata esiste e quella forma-partito conservatrice anche. Soltanto che ovunque, in Europa come in America, una spinta radicale di destra oggi piega i moderati come canne al vento: o li sfida direttamente con candidati estremi o impone l'agenda politica con i suoi temi e le sue ossessioni, o si costituisce in fronda interna autorizzata e organizzata, facendo saltare la cornice comune che per un secolo ha tenuto insieme i vecchi partiti. E in ogni caso, ovunque esercita un'egemonia negli stili e nei linguaggi, rendendo i moderati gregari riluttanti degli estremisti. E creando una nuova creatura ideologica imperniata sull'alleanza tra Dio e il capitale, nazione e reazione, suolo, sangue e frontiera, in un Paese immaginario che parla la neolingua del politicamente scorretto. Una neolingua per una neodestra, appena nata nella culla dell'antipolitica e della crisi economica più lunga del secolo. Proprio la fine delle paure del primo Novecento, con i tabù del totalitarismo spiega questa emersione improvvisa. Ritenendo la democrazia una conquista ormai consolidata al punto da essere usurata, oggi ci si prende la libertà di forzarne il confine, la forma e la sostanza, a patto di mantenerne intatta e lucida la superficie, sempre più sottile. Si disprezzano le istituzioni puntando a comandarle più che a guidarle, riducendole così a puro strumento dell'ideologia. Viene meno infatti anche il sentimento costituzionale, il rispetto naturale delle regole fondamentali e dei principi di legittimità democratica a cui si ispiravano, come se fossero fenomeni transitori, legati al ciclo di una o due generazioni, quelle appunto novecentesche. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, con una rincorsa estrema a scavalcare il limite che ogni volta si sposta più avanti, perché c'è sempre qualcuno pronto a non riconoscerlo. Non avere un limite, è infatti il primo comandamento scorretto.

Così l'Europa si sta spezzando ovunque, con Bruxelles che patteggia e rattoppa nelle varie capitali, dove ognuno ha capito che può alzare il prezzo dell'Unione a suo piacimento. Con Cameron che contratta fino all'ultimo il suo no al Brexit mentre indice il referendum, e deve però fronteggiare in casa la ribellione di un terzo dei suoi ministri e del sindaco della città più cosmopolita del continente, Londra, schierato contro l'Europa in un radicalismo conservatore che è già una piattaforma della nuova destra. E se l'Unione deve fronteggiare la ribellione di Vienna, che vuole limitare l'ingresso dei rifugiati nel Paese, alla seconda destra austriaca questo non basta: l'area xenofoba di Heinz-Christian Strache continua infatti a crescere nei sondaggi e chiede un no deciso all'Europa, amicizia con Putin, tolleranza zero contro i migranti. In Polonia la Chiesa appoggia i nazionalisti euroscettici e clericali di "Diritto e Giustizia" guidati da Jaroslaw Kaczynski in una politica che ha paralizzato la Corte costituzionale, ha epurato radio e tv, controlla e censura internet. L'ideologo e stratega di questa radicalizzazione a destra è naturalmente Viktor Orbàn, il premier ungherese al potere dal 2010 col suo partito nazional-conservatore che dopo aver normalizzato le magistrature e i media ha costruito il suo Muro e ora vuole estenderlo al confine romeno: ma intanto a destra di questa destra sta già prosperando il partito estremo Jòbbik, apertamente antisemita e nostalgico. Crescono i populisti in tutti e cinque i Paesi della Comunità nordica, con un partito anti-immigrati e anti-Ue che vola in Svezia nonostante un'economia che segna un + 3,5 per cento, gli ultra-conservatori che sono partner di governo in Norvegia e in Finlandia, gli xenofobi danesi all'opposizione, ma forti del 21 per cento.

Resta la Germania, dove la crisi dell'immigrazione e la polemica contro la Merkel ha ridato fiato al partito Afd, che opponendosi agli stranieri e a ogni trasferimento di sovranità sfiora nei sondaggi il 12 per cento. E infine c'è l'aperta rivendicazione di Marine Le Pen per guidare la Francia dall'Eliseo col suo partito di eredità post-fascista e di pratica antieuropea, che costringe i repubblicani di Sarkozy sulla difensiva. Se si aggiunge il fenomeno Trump, ormai apertamente in grado di terremotare non solo le primarie ma il sistema politico americano, il quadro è completo. C'è poi, ad aggravare la situazione, quel fenomeno particolare e non ancora indagato che potremmo chiamare la "sinistra mimetica". Movimenti nati a sinistra, o con base sociale in gran parte a sinistra, che mutuano modi e linguaggi dalla destra più radicale per rimanere sulla cresta dell'onda securitaria e islamofoba, sperando di lucrare una quota del dividendo elettorale della neodestra. È il caso del presidente xenofobo e russofilo della Repubblica Ceca, Milos Zeman che nasce di sinistra, del premier socialdemocratico di Slovacchia Robert Fico: ma anche, com'è evidente, del Movimento 5 Stelle in Italia, con le movenze di sinistra, l'elettorato composito e coltivato trasversalmente, e una chiara predicazione antieuropea e antieuro.

Che cosa spiega questo slittamento che restringe l'area moderata in tutto l'Occidente? La spiegazione economico-sociale poggia sulla crisi, che partita come fenomeno economico-finanziario ha finito per corrodere tutta l'impalcatura intellettuale, politica e istituzionale della democrazia materiale che ci eravamo costruiti nel dopoguerra per proteggere la nostra vita in comune.

Scopriamo improvvisamente, in questi ultimi anni, che il meccanismo democratico da solo non ci protegge. Anzi, potremmo dire che la scoperta è più radicale: la democrazia non basta a se stessa. Nasce il disincanto della rappresentanza, la nuova solitudine repubblicana. Tutto diventa fragile e transitorio, nulla merita un investimento a lungo termine, dunque la stessa politica tradizionale finisce fuorigioco perché cerchiamo risposte individuali a problemi collettivi.

C'è un elemento in più. Prima della crisi il ceto medio emergente aveva tentato di diventare soggetto politico mettendosi in proprio, autonomizzandosi sia dalla grande borghesia che dal proletariato: in Italia questa avventura aveva avuto come demiurgo Berlusconi con la promessa di uno Stato più leggero, di una forte riduzione delle tasse, di un sovvertimento della classe dirigente. Il fallimento del progetto berlusconiano - che non aveva evidentemente nulla di moderato e ben poco di conservatore - e il gelo della crisi hanno frustrato due volte questo tentativo di emancipazione di soggetti sociali che perdono la speranza di produrre politica direttamente dai loro interessi legittimi, si proletarizzano per le difficoltà finanziarie e ripiegano sconfitti in quella che De Rita chiama la "grande bolla" del ceto medio.

L'esito di questi percorsi collettivi è il riflusso da ogni discorso pubblico o appunto la ribellione, l'antipolitica. Nella convinzione che il cittadino possa disinteressarsi dello Stato, senza accorgersi che nello stesso tempo lo Stato si disinteressa di lui, perché quando la sua libertà non si combina con quella degli altri e l'esercizio dei suoi diritti resta soltanto individuale, lui diventa un'unità anonima da rilevare nei sondaggi, realizzando la vera solitudine dei numeri primi.

Si capisce che a questo crocevia tra la solitudine e la ribellione stia accampato il populismo, interessato ad entrambe. Tutti diversi tra loro, i leader radicali hanno un tratto in comune: propongono soluzioni semplici a problemi complessi (il "puerilismo", lo chiamava Huizinga) danno sempre la colpa ad un nemico esterno, attaccano un potere gigantesco e indefinito, berciano sulle élites, si rinchiudono nell'ossessione territoriale, immaginano complotti perché investono su un indebolimento dello spirito critico a vantaggio di una visione mitologica dell'avventura presente. I problemi veri - il lavoro che manca, la crescita che arranca, Daesh che uccide - vengono evocati e cavalcati, ma in forma fantasmatica, all'insegna di una sfiducia perenne nei confronti delle istituzioni e della stessa democrazia.

Noi vediamo chiaramente che tutto questo fa emergere i campioni della neodestra, gladiatori incontrastati di una fase in cui tutto vacilla. Ma non ci accorgiamo che parallelamente si corrode la cornice del pensiero liberaldemocratico, proprio nella fase in cui si è insediato (lo diceva anni fa Galli della Loggia) come l'unica dimensione politica comunemente accettata e condivisa, dopo le tragedie nel Novecento: e infatti il dogma di Orbàn è "il fallimento del liberalismo", da cui ricava la possibilità di demolire la separazione dei poteri. In realtà la neodestra più che un pensiero ha una superstizione del mondo e un'ideologia di sé, unita ad una feroce volontà di escludere e alla capacità di offrire nel contempo una fruizione politica dei risentimenti e delle paure. È la ricetta semplice e forte del fondamentalismo che negando valore ad ogni teoria divergente o preesistente costruisce quel senso di falsa sicurezza tipico di chi vive murato all'interno delle fortezze, pensando - come spiega Bauman - di tagliare fuori così "il caos che regna all'esterno". È il destino della destra italiana che spento il fuoco pirotecnico del berlusconismo consegna le sue ceneri a Salvini, rassegnandosi dopo il titanismo del Cavaliere all'imitazione da Asterix padano del lepenismo.

Prezzolini, guardandosi intorno sancirebbe a questo punto la sconfitta del "vero conservatore", come lo idealizzava lui: capace di non confondersi con i reazionari, i tradizionalisti, i nostalgici, di non rifiutare i mutamenti purché avvengano gradualmente, di conservare le istituzioni, soprattutto "di non confondere gli uomini con gli angeli o con i diavoli".

Oggi la neodestra italiana sembra invece cercare disperatamente un diavolo qualunque da scritturare, per farlo sedere a capotavola spaventando gli elettori nell'evocazione dell'inferno permanente, perché nel suo fondamentalismo non c'è spazio nemmeno per un angolo di purgatorio, figuriamoci il buon vecchio paradiso terrestre. Il problema, naturalmente, non riguarda soltanto la destra ma l'intero sistema, cioè la cultura di governo. Perché senza un vero conservatore non può esserci un vero riformista. E infatti...
 
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26 febbraio 2016

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