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6991  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / LUOGHI DELLA CULTURA e CULTURA DEI LUOGHI provocazione ai 2 editori ... inserito:: Marzo 12, 2016, 09:29:57 am
MILANO da LUDOVICO IL MORO ad oggi. 

Il GHETTO DI VENEZIA da 500 anni fa ad oggi.

Restringiamo lo spazio della ricerca ... allargandolo.

ciaooo

6992  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / PAOLO GALLORI. Iraq, intelligence: forze speciali Usa catturano capo programma.. inserito:: Marzo 10, 2016, 06:25:19 pm
Iraq, intelligence: forze speciali Usa catturano capo programma armi chimiche dell'Is
Secondo due membri dei servizi iracheni coperti da anonimato, si tratta di Sleiman Daoud al-Afari.
Sotto Saddam Hussein lavorava per l'ormai dissolta Autorità per l'Industrializzazione Militare, specializzato nello sviluppo di armi chimiche e batteriologiche.
Per ora gli Usa non confermano, ma il New York Times cita fonti del Pentagono: "Rivelato uso gas mostarda"


Di PAOLO GALLORI
09 marzo 2016
   
BEIRUT - Forze speciali americane hanno catturato in Iraq il responsabile del programma dell'Is per le armi chimiche, secondo quanto affermano fonti di intelligence di Bagdad citate dall'agenzia Ap. La cattura, riferiscono due ufficiali dei servizi iracheni sotto anonimato, è avvenuta il mese scorso nel nord dell'Iraq, nei pressi della città di Tal Afar.

Le fonti dell'intelligence irachena lo hanno identificato in Sleiman Daoud al-Afari, cinquantenne, che sotto il regime di Saddam Hussein lavorava per l'ormai dissolta Autorità per l'Industrializzazione Militare, dove era specializzato appunto nello sviluppo di armi chimiche e batteriologiche. Attualmente, aggiungono i due membri dei servizi iracheni, al-Afari comandava il braccio dell'Is, di recente formazione, per la ricerca e lo sviluppo di armi chimiche. Secondo Ap, le fonti sono particolarmente attendibili perché in possesso di informazioni di prima mano sull'individuo catturato e del programma dell'Is sulle armi chimiche.

Nessuna conferma dagli Usa, dove la scorsa settimana fonti ufficiali americane avevano parlato della cattura di un leader dell'Is, senza fornirne l'identità. Ma il New York Times cita fonti del Pentagono per affermare che lo specialista sta rivelando sotto interrogatorio informazioni su come il Califfato abbia in dotazione il gas mostarda in polvere e lo abbia caricato nei proiettili d'artiglieria, non abbastanza concentrato per uccidere ma col potere di menomare. Il dettaglio combacia con quanto affermato da fonti locali curde, secondo le quali oltre 40 persone hanno riportato sintomi di soffocamento e irritazioni alla pelle nel nord dell'Iraq dopo che colpi di mortaio e razzi Katyusha riempiti di "sostanze velenose" hanno colpito martedì sera il villaggio di Taza, a maggioranza sciita turcomanna, 20 chilometri a sud di Kirkuk.

Mentre una ulteriore conferma della cattura del "chimico" dell'Is sarebbe la notizia rilanciata da Cnn che l'aviazione americana ha iniziato a colpire proprio i siti dove lo Stato Islamico ha stoccato le armi chimiche, nei pressi di Mosul, sulla base delle informazioni fornite dal prezioso prigioniero. A quei bombardamenti farebbero riferimento i due comunicati con cui il 5 e il 7 marzo la Coalizione internazionale dava notizia di un "centro per la produzione di armi" distrutto vicino a Mosul e di una "unità tattica" colpita nella stessa area.

Secondo il New York Times, come da protocollo, il Dipartimento della Difesa ha notificato di avere nelle sue mani un prigioniero dello Stato Islamico al comitato della Croce Rossa che monitora il trattamento dei detenuti. Il riserbo sulla cattura deriverebbe proprio dal fatto che il "chimico" è attualmente negli Usa e le fonti della Difesa hanno tenuto a sottolineare come gli Stati Uniti, per espressa decisione dell'amministrazione Obama, non abbiano alcuna intenzione di spedire i jihadisti catturati in campi di prigionia in stile Guantanamo per un tempo indefinito. Dopo l'interrogatorio, essi saranno consegnati alle autorità irachene o curde.

Se gli Usa confermassero la notizia, si tratterebbe del più significativo successo della nuova e più aggressiva strategia contro i jihadisti adottata dall'amministrazione Obama lo scorso dicembre, con il dispiegamento in Iraq di un commando d'élite sotto copertura di entità ignota - si parla di meno di 100 soldati - dedito alla cattura o all'eliminazione dei leader dello Stato Islamico, oltre alla fornitura di informazioni raccolte sul campo preziose per guidare i nuovi raid aerei.

La cattura del capo progetto, corroborata dalle informazioni che la fonte della Difesa americana ha fornito al New York Times, costituirebbe evidentemente un duro colpo al programma per lo sviluppo di armi chimiche che lo Stato Islamico perseguirebbe con grande decisione. Si ritiene che dell'unità messa in piedi dai jihadisti facciano parte altri scienziati iracheni ed esperti giunti dall'estero per unirsi all'Is.

Le autorità irachene hanno espresso particolare preoccupazione riguardo a un simile programma perché l'Is controlla almeno un terzo del Paese, quanto basta per condurre esperimenti e nascondere laboratori. Oltre al gas mostarda, di cui sarebbe in possesso di limitate quantità, l'Is ambirebbe a disporre di agenti chimici ancora più pericolosi, come il gas nervino. Secondo gli Usa, lo Stato Islamico è comunque lontano da questo obiettivo, anche se test hanno confermato l'uso del gas mostarda contro una città siriana, precisamente Marea, nella provincia di Aleppo, durante l'offensiva dell'Is dell'estate 2015. Altri report, non verificati, affermano che i jihadisti hanno usato agenti chimici anche contro il nemico sul campo di battaglia.

Se in Iraq le forze speciali americane operano su un terreno in cui possono contare sulla presenza di un governo con cui l'amministrazione Usa dialoga e si raccorda, non è così in Siria. Sul punto ha insistito davanti a una commissione del Senato il generale Joseph Votel, candidato alla guida del Comando Centrale che controlla le forze americane in Medio Oriente. L'alto ufficiale ha espresso le sue preoccupazioni per la mancanza in Siria "di un partner affidabile" nella lotta all'Is e ha dichiarato che in caso di nomina all'alto comando presterebbe "molta attenzione a Washington" aspettandosi una "strategia coerente
e ben finanziata" con cui muovere contro le roccaforti dei jihadisti. "In Iraq abbiamo un partner, un governo. Non in Siria. Per questo sono preoccupato su come potremo approcciare una nostra avanzata in Siria senza un elemento politico che la supporti" le parole del generale Votel.

© Riproduzione riservata
09 marzo 2016

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/09/news/iraq_soldati_usa_catturano_capo_chimico_dell_is-135112520/?ref=HREC1-2
6993  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / ROBERTO SAVIANO Modesta proposta per salvare il sud inserito:: Marzo 10, 2016, 06:23:18 pm
Modesta proposta per salvare il sud
Quel che accade a Napoli presto potrebbe accadere anche altrove


Di ROBERTO SAVIANO
10 marzo 2016

MI ACCUSANO di non essere propositivo per Napoli: è vero, lo ammetto. Ci ho riflettuto a lungo e ho un consiglio. Un consiglio da dare ai napoletani e ai cittadini di altre realtà del Mezzogiorno. Organizzate un'inaugurazione.

Direi quasi: inventate un'inaugurazione. Il cantiere di una nuova stazione della metropolitana, una strada, un ponte, una mostra. Qualcosa che possa provare l'usurato assunto secondo cui l'Italia è ripartita. Fatelo anche se non è vero, magari allestite un palco, chiamate un cantautore a suonare, qualcuno che possa veicolare un messaggio positivo. Che non sia uno di quei rapper che raccontano di periferie desolate e straccione, no. Le note devono arrivare in alto ed essere melodiose. E poi invitate il presidente del Consiglio, nonché segretario del Partito democratico: vedrete che verrà, a lui piacciono le inaugurazioni, a lui piace tutto ciò che sa di ripartenza, di nuovo inizio. Lui ha sempre forbici in tasca pronte a tagliare nastri. Sono i problemi che lo turbano, che lo spingono sistematicamente a cambiare strada. È davanti ai problemi che tace e smarrisce la sua nota parlantina.

Ma non tendetegli tranelli, non parlate con lui di ciò che nel suo partito sta accadendo a Napoli: anzi, sta accadendo ovunque solo che a Napoli è più evidente che altrove. Lui che quel partito lo ha ereditato, lui che ne voleva rottamare i dirigenti, se ne laverà le mani. Meglio tagliare nastri e tenersi lontano dai disastri, anche quando si consumano in casa propria.

E così intervistato a Genova da Ezio Mauro nel 2015, dopo la sconfitta del Pd alle regionali liguri, non una parola sugli immigrati a cui era stato distribuito l'euro, ma una frase chiara sulle primarie: "Il Pd deve avere il coraggio di dire se le primarie sono lo strumento che va ancora bene o no". Un anno dopo la risposta non è ancora arrivata. Il Pd non è un'entità astratta, mi verrebbe di dire a Renzi, ma ha un segretario, ed è lui a doverci dire, una volta per tutte, se un istituto non prescritto da nessuno, che volontariamente è stato introdotto per scegliere democraticamente e dal basso i candidati, può ancora andare bene dopo i brogli di Napoli nel 2011, dopo i ricorsi di Genova nel 2015 e dopo gli "euro per le donazioni" a Napoli di domenica scorsa.

In questo momento è lui il Pd e non altri. È da lui che aspettiamo questa risposta. Lui, che ha conquistato il Pd proprio grazie alle primarie, non dovrebbe accettare che il suo partito le riduca a quella farsa di democrazia che abbiamo visto a Napoli.

Un euro. Un euro per la donazione. Si difenderanno dicendo: "Figuriamoci se possiamo comprare un voto con un euro!". Vero, non se ne fanno niente. Quell'euro serviva ad accedere al diritto di votare. A Napoli con un euro ci compri una pizzetta, una graffa (come chiamiamo le krapfen), dolce di cui i napoletani (ed io per primo) vanno pazzi. Ci compri mezza zeppola di san Giuseppe. Ma un voto no. Un voto lo compri facendo promesse. Promettendo una casa, un posto di lavoro, un posto auto. Promettendo ciò che non puoi dare perché non è in vendita. Un euro non rappresenta ovviamente il costo di un voto alle primarie, ma è la prova dell'esistenza di un'organizzazione rodata, di un sistema di potere e di controllo del voto di cui Antonio Bassolino ora vittima, fu un tempo creatore.

Questo vale un euro, nulla e insieme la consapevolezza che esistono pacchetti di voti che da destra a sinistra si muovono per inquinare le acque, per falsare il normale svolgimento di ogni cosa, elezioni e persino primarie.

A Napoli il Pd meriterà di perdere perché non ha più credibilità. E rischia di riconsegnare la città a De Magistris: un sindaco con il maggior numero di deleghe nella storia dei sindaci italiani. Un sindaco che si vanta di aver riempito la città di turisti, ma che avrebbe perso parte dei fondi stanziati dall'Unione Europea e dall'Unesco per la riqualificazione del centro storico per ritardi colossali nei lavori. Sito che rischia di perdere la tutela, nonostante la sua enorme bellezza, per lo stato di degrado in cui versa e che l'Unesco definisce oramai "sito a rischio". Un sindaco che non è un buon amministratore, ma che è senza dubbio una persona onesta e per questo (e forse unico motivo) potrebbe essere rieletto. Un sindaco che, dopo lo scempio di queste primarie, potrà poi contare sui voti di chi, ora deluso, era pronto per votare per il Pd.

Le polemiche di queste ore, i trucchi di domenica e il silenzio di Renzi scavano ferite profonde, in una città che drammaticamente va avanti, che sopravvive a ogni nuovo giorno. L'altro ieri un vigile urbano è stato ucciso a Ponticelli con modalità mafiose. Centrato da tre colpi d'arma da fuoco in un quartiere che solo nell'ultimo mese ha contato tre omicidi. Qualche giorno prima è stata sventata una tragedia nel centro sportivo di Marianella-Piscinola, in un campetto di calcio sorto su un terreno comunale sequestrato qualche anno fa alla camorra. Un ordigno rudimentale, il secondo attentato alla struttura, azionato quando sul campo c'erano 15 bambini. Ne avete avuto notizia? Pochi, pochissimi ne hanno parlato. Silenzio.

Scampia, Piscinola, ecco dove sono stati girati i video da Fanpage che documentavano il pagamento di un euro per il voto a Valeria Valente. Dove la camorra ci mette un attimo ad arruolare ragazzi pronti a tutto, tanta è la miseria. Dove da anni chiedo ai giornali nazionali di spostare le loro sedi perché possano raccontare cosa accade davvero in una delle città più importanti d'Italia. Dove da anni imploro la politica locale di spostare i suoi uffici, perché vi sia luce e perché diventino il cuore della città. Affinché si possa voltar pagina. Altrimenti Napoli rischia di diventare un'avanguardia del nostro Paese: quel che oggi accade qui, accadrà presto anche altrove. Per questo è impossibile accettare l'inerzia del segretario del Pd davanti a questo piccolo, grande, scandalo. Il silenzio di oggi genera la cattiva politica del futuro.

© Riproduzione riservata
10 marzo 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/03/10/news/modesta_proposta_per_salvare_il_sud-135143431/?ref=HRER2-1
6994  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EZIO MAURO. Primarie Pd, l'anima smarrita inserito:: Marzo 10, 2016, 06:21:35 pm
Primarie Pd, l'anima smarrita

Di EZIO MAURO
09 marzo 2016

DOV'ERA l'anima? Questa è la vera domanda che il Partito democratico dovrebbe rivolgere a se stesso due giorni dopo le primarie di Roma, Napoli, Trieste e Benevento. Capisco che è una domanda scomoda in tempi in cui quasi nessuno crede più alla metafisica dei valori e degli ideali, come se la politica fosse tutta e soltanto prassi, slogan e immagine, concretezza e fisicità da esibire e consumare sul momento: per domani si vedrà.
 
Il risultato è che il corpo del partito ha votato, anzi ha votato lo scheletro che lo tiene in piedi, l'apparato che vive di politica professionale, il suo riverbero sociale interessato, più gli irriducibili che si lamentano insoddisfatti tra un'elezione e l'altra e poi si presentano puntuali ogni volta che in città spunta un seggio qualunque, perché considerano - per fortuna - il voto un dovere civico cui non riescono a venir meno. Ma l'anima democratica non si è presentata al gazebo, almeno per metà, e sarà sempre più difficile farla uscire di casa.

Questo è il dato politico delle ultime primarie, che i giornali titolano come un "flop" del Pd. Un elettore su due in fuga dai seggi a Roma, 15 mila in meno a Napoli, le due grandi città dove vincono nettamente i candidati renziani. Poi c'è la vergogna del denaro passato di mano a Napoli nei seggi di Scampia, San Giovanni a Teduccio, Piscinola in cambio del voto per la candidata della maggioranza, con Bassolino (sconfitto per una manciata di voti) che parla giustamente di "mercimonio inammissibile" e "ferita gravissima", e c'è il mistero romano di 3700 schede bianche con verbali spariti, che fa pensare ad una partecipazione gonfiata nel suo disastro. Ma non c'è nemmeno bisogno di arrivare fin qui. Basta la debolezza civica complessiva della giornata elettorale in due grandi capitali per suonare l'allarme. Ammesso che si voglia dire la verità, senza nascondere gli errori sotto il tappeto della propaganda.

Naturalmente è vero che se si guarda il sistema politico nel suo insieme il Pd è un'eccezione. I Cinque Stelle, in attesa che il Politbjuro controlli magari la posta dei nuovi eletti, procede ad una selezione ridicola nei numeri e nella trasparenza, in una devozione elettronica fine a se stessa. La destra gioca di rimbalzo a Milano e non riesce a mettere uno straccio di squadra in campo nella capitale, dove Salvini e Bertolaso trovano un'intesa solo sulla litania miserabile delle "ruspe contro i rom". Ma il punto è che il Pd, tagliate le radici con le sue tradizioni novecentesche, è nato nell'auto-mitologia delle primarie e la stessa leadership di Renzi ha fondato la sua promessa di cambiamento nel rapporto diretto con gli elettori, rottamando il vecchio gruppo dirigente per spostare il baricentro dal Palazzo ai cittadini. Oggi è quel baricentro socio-politico che rischia di saltare, se anche le primarie vengono viste come un rito usurato e inutile di auto-conferma di una nomenklatura minore.
Per fortuna i meccanismi elettorali sono dei semplici strumenti della politica, non dei soggetti politici essi stessi. Come tali, corrispondono funzionalmente e psicologicamente alle diverse fasi che un Paese vive e che l'opinione pubblica interpreta. Questo vale per i differenti sistemi di voto (maggioritario, proporzionale), ma vale anche per le primarie. Quello che nella fase di nobiltà della politica si chiamava il processo di selezione delle élites è avvenuto per anni dentro un procedimento interno ai singoli partiti dove le diverse componenti (maggioranza, minoranza, centro, periferia) si confrontavano e si controllavano indicando alla fine il candidato che rispondeva nello stesso tempo alla rappresentanza del potere interno e alla speranza di vincere all'esterno. Gli scandali politici, la consumazione delle storie e delle tradizioni novecentesche, l'atrofia dei gruppi dirigenti, la disaffezione dei cittadini hanno convinto il neonato Pd, per una scelta veltroniana, a sposare il meccanismo delle primarie trasferendo la scelta dei candidati di spicco ai cittadini, o almeno consegnando loro il sigillo della selezione finale su un parterre di vertice: con gli anni, le primarie sono anzi diventate l'unica religione ufficialmente accettata e universalmente praticata in un partito per il resto miscredente, senza nessuna fede riconoscibile e riconosciuta.

L'importazione del modello americano nel sistema italiano ci portava ovviamente in casa anche alcune contraddizioni: negli Stati Uniti i partiti sono un network d'affezione dal vincolo blando che li trasforma in comitati elettorali non certo intorno al segretario, ma intorno ai candidati delle primarie, e poi della corsa presidenziale vera e propria. Da noi i partiti esistono, anche se la loro esistenza è travagliata per la discussione infinita e mai risolta sulla loro natura "liquida" o "solida": ma intanto esistono, vivacchiano, creano e alimentano gruppi dirigenti, compongono una moderna nomenklatura, come in tutte le democrazie europee. E poi, al momento delle candidature, la mettono in stallo per far scegliere l'uomo giusto dall'esterno. C'è in questo meccanismo la convinzione - giusta - che il cittadino abbia più fiducia nella politica se può determinarla come singolo e come gruppo, portando nella vita di un partito quella "risonanza" (come la chiama Habermas) che i problemi sociali hanno nelle sfere private della vita. E c'è, con ogni evidenza, un sentimento di inferiorità della politica, che delega ogni volta le sue scelte supreme come se dovesse farsi perdonare quotidianamente un peccato originale permanente. Il risultato - come dimostra la storia recente del centrosinistra italiano, ma come rivela lo stesso fenomeno Trump in America - è che nelle fasi di forte crisi economico- sociale, con la politica ufficiale in ovvia difficoltà, qualunque candidato si presenti come anti-sistema parte con un vantaggio notevole in tasca, perché diventa l'uomo al centro dello show.

È quella che potremmo chiamare la "dote populista", il moderno favore che incontrano a destra e a sinistra le posizioni più radicali a cui i cittadini non chiedono soluzioni ma emozioni, performance e non programmi, sintonie istintive più che progetti, la notorietà al posto della fama, la celebrità prima ancora della stima.

Purché si spari sul quartier generale e si alzi ogni giorno il tono apocalittico della denuncia generica e della condanna indifferenziata: appunto la ruspa e la ghigliottina, che dovrebbero ormai finire sulle schede come i più autentici simboli della vera destra e della falsa sinistra, che occupa mimeticamente una porzione di elettorato a sinistra, con schemi, intenzioni e linguaggi in realtà di destra.

Basta questo rischio sistemico per abbandonare lo strumento delle primarie? Ovviamente no. La politica è troppo debole, paradossalmente, per riappropriarsi di scelte che non è palesemente in grado di compiere. E l'elettore si è abituato al meccanismo-primarie, e si sentirebbe giustamente defraudato se gli fossero sottratte. Ma una riflessione di metodo è indispensabile, a sinistra. Prima di tutto non basta scrivere qualche nome a caso sulla scheda perché i cittadini si mobilitino e sentano il richiamo civico del voto: com'è possibile che il più grande partito italiano, che governa il Paese, non abbia sentito il dovere di scegliere una personalità di spicco, romana ma di statura e esperienza nazionale, per proporsi al governo di una capitale che esce dallo scandalo mafioso del malaffare e dall'agonia pasticciata della giunta Marino? In secondo luogo, l'America dimostra che i candidati dello stesso partito anche più lontani tra loro se le suonano di santa ragione ma dentro un recinto che considerano comune, coperto da un tetto che riconoscono condiviso, dentro una casa che non si sognano nemmeno di abbandonare in caso di sconfitta. Là dove il partito è davvero "liquido", il legame è più solido. Qui dove i partiti esistono, anche tra un'elezione e l'altra, è il legame comune che si è liquefatto.

E qui viene l'ultima questione, decisiva, come ha spiegato Stefano Folli. Non si capisce più qual è la cornice comune. Renzi incredibilmente si accontenta di guidare mezzo partito, invece di rappresentarlo per intero. La minoranza invece di porre lealmente le grandi questioni al segretario sembra cercare ogni giorno la miseria di un trabocchetto. La verità è che a forza di far trascolorare il partito nella narrazione di governo, il Pd da soggetto diventa oggetto, forza di complemento. Deve pur esistere anche in Italia, come ovunque in Europa, un pensiero di sinistra moderno, europeo, occidentale, finalmente risolto, a cui il segretario Renzi ha non solo il diritto, ma il dovere di dare una sua interpretazione e quindi una sua impronta e a cui la minoranza deve concorrere. Questa e solo questa è la cornice possibile, peraltro antidoto e risposta ai soccorsi verdiniani sulle riforme in Parlamento, che devono trovare l'autonomia concettuale e politica di una risposta culturale da parte del partito. Senza questa cornice di valori e di riferimenti culturali - che in Europa si chiama sinistra - per cosa si va a votare? Per guidare davvero il Pd, bisogna ricongiungere la sinistra e il suo popolo. E per salvare le primarie, bisogna crederci ed essere credibili.

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09 marzo 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/03/09/news/primarie_pd_l_anima_smarrita-135070039/?ref=HRER2-2
6995  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Gian Enrico Rusconi La pericolosa scommessa della Merkel inserito:: Marzo 10, 2016, 06:15:01 pm
La pericolosa scommessa della Merkel

09/03/2016
Gian Enrico Rusconi

In una Europa divisa, confusa e inconcludente di fronte alla questione dei migranti, la Germania di Angela Merkel è determinata a imporre la sua linea di intesa con la Turchia - anche a prezzo maggiorato. A costo di sfidare ostilità esterne e interne e anche di innescare situazioni drammatiche come la chiusura dei confini decisa ieri da Slovenia e Serbia. È una nuova prova per l’egemonia tedesca, di cui si è tanto parlato negli anni scorsi con accenti controversi. Ma ora si gioca su un terreno inatteso dove la Germania si è mostrata estremamente vulnerabile. 

La situazione è difficile. La strategia della cancelliera non è dettata semplicemente dall’essersi cacciata in un vicolo cieco, come dicono i suoi avversari. Risponde ad un calcolo che segue un preciso ordine di priorità, all’interno e all’esterno. Con l’interruzione o quantomeno il contenimento del flusso dei migranti, garantito dagli accordi con la Turchia, fermo restando il principio dell’accoglienza per gli aventi diritto d’asilo, Angela Merkel mira a riguadagnare i livelli di popolarità pericolosamente persi nei mesi scorsi. Non sarebbe la prima volta nei lunghi anni del suo cancellierato che interagisce attivamente con il sentire della gente comune. 

Così era sembrato del resto anche nell’agosto scorso quando ha spalancato le porte ai migranti/ profughi/ richiedenti asilo raccogliendo a prima vista un grande consenso. In seguito sono arrivati i ripensamenti, i pentimenti, i disinganni sino al grave episodio della notte di San Silvestro a Colonia percepito da molti tedeschi e dalla cancelliera stessa come una sorta di «tradimento morale» da parte dei rifugiati (o quantomeno da una parte di essi). Ma anche davanti al successivo drammatico deterioramento della situazione lungo le linee di fuga di massa dei migranti nei Balcani e nel centro d’Europa, Angela Merkel ha tenuto fermo alle sue convinzioni. Da qui è nata l’idea dell’intesa con la Turchia, accettata con riluttanza da Bruxelles. Subito si è rivelata una prospettiva carica di incognite. All’interno, la cancelliera deve ora trovare le parole giuste per convincere e tranquillizzare i semplici cittadini, che le stanno a cuore più e prima ancora degli equilibri di partito.

Per difendere la sua politica non manca di usare argomenti che puntano sull’ orgoglio di «essere tedeschi che sanno fare cose grandi anche quando sembrano impossibili». E’ il suo modo di essere «populista», per contrastare gli slogan nazionalisti dell’estrema destra euroscettica di Alternative für Deutschland (Afd) che nelle elezioni comunali in Assia ha raggiunto il 13,2 per cento, diventando la terza forza politica. Ma decisivi saranno soprattutto i risultati dell’importante appuntamento di domenica prossima, quando si voterà in tre Länder: Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt. Saranno certamente un verdetto su Angela Merkel. Ma è difficile dire in che misura quei risultati saranno interpretabili come un giudizio specifico sugli accordi con la Turchia. 

Il costo finanziario dell’operazione turca appare sopportabile soltanto se ad esso si accompagna la ricostituzione di un affidabile confine esterno dell’Unione. E quindi si cancellino i vergognosi muri di reticolato interni, specialmente in quella che era la mitica Mitteleuropea. 

Ancora una volta - sia pure in dimensioni minori - la vicenda tedesca si incrocia e diventa storia europea. Ancora una volta la Germania merkeliana si presenta come «nazione di riferimento».

A questo proposito è interessante osservare il comportamento della cancelliera in questi giorni. Assai meno visibile, meno centrale e meno sorridente che nei tradizionali meeting europei, Angela Merkel è intensamente impegnata a contattare direttamente i singoli esponenti politici, quasi a convincerli uno per uno. 

Vedremo nei prossimi giorni sino a che punto l’aggravio dell’impegno finanziario con la Turchia sarà un ostacolo insormontabile o ancora trattabile. Vedremo se sarà il vincolo principale o se verranno alla luce gli altri seri problemi di ordine etico e giuridico, connessi ai comportamenti del governo di Ankara a cominciare dalla scandalosa e inaccettabile restrizione, se non addirittura abolizione della libertà di stampa. Di fronte a queste e altre questioni però non sembra che l’Unione europea sia in grado di presentare una linea chiara, univoca e condivisa. Sarebbe deplorevole se ogni Stato tirasse fuori le sue richieste, le sue obiezioni, se non addirittura i suoi veti - in ordine sparso. Ma soprattutto, come si comporterà la Germania che in questa partita mette in gioco molto di più della tenuta del suo governo? Sarebbe estremamente pericoloso per la tenuta stessa dell’Unione se la Germania dovesse trovarsi isolata o quasi, circondata dal malumore degli altri Stati. Ma lo sarebbe anche se riuscisse a far passare la sua linea a costo di cattivi patteggiamenti e compromessi che lascerebbero tutti insoddisfatti. Spero che i politici europei siano consapevoli della gravità delle decisioni che dovranno prendere nelle prossime settimane. 

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/03/09/cultura/opinioni/editoriali/la-pericolosa-scommessa-della-merkel-z1kX9foVIPGmVkjfhHlsnN/pagina.html
6996  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / JACOPO IACOBONI. - Le dieci domande a Casaleggio. Il manager in audizione alla.. inserito:: Marzo 10, 2016, 06:10:40 pm
Le dieci domande a Casaleggio. Il manager in audizione alla Camera
L’ex M5S Mucci: chiederemo di ricavi e concessionaria del blog
Il manager milanese Gianroberto Casaleggio in una foto scattata in piazza San Giovanni durante lo Tsunami Tour

09/03/2016
Jacopo Iacoboni

Quando citi Lenin per atterrire i sospettati di eresia, il minimo che possa succederti è che prima o poi qualcuno tenti di processare te. Il Processo a Casaleggio. 

Il manager milanese è stato chiamato a comparire in audizione alla commissione Affari costituzionali della Camera tra gli «esperti» che a vario titolo parleranno della nuova legge sui partiti. L’idea è venuta a Mara Mucci, una ex deputata M5S oggi nel gruppo misto, che gli farebbe alcune domande. Diciamo le dieci domande a Casaleggio. Mucci ha parlato con «La Stampa» e ce le ha raccontate.

«Faccio una premessa: questa legge sui partiti a me pare border line, credo ne sia anche consapevole il relatore, Matteo Richetti. Come si fa a imporre una forma giuridica alle forze politiche? Penso che anche nel Pd stiano riflettendo. Non possono imporre un’organizzazione a un movimento o a un partito, ma si può invece regolamentare per legge la trasparenza». La prima domanda da fare a Casaleggio, dice allora Mucci, è: «Ci direte con esattezza tutti i bilanci? Se rispondono che il bilancio è già pubblico, ci direte come sono rendicontati tutti gli eventi o extraeventi? Chi sono le società a cui vengono appaltati? A noi risulta che sia una sola, sempre la stessa, sono legati alla Casaleggio in qualche forma? Noi avevamo un servizio legale, dove viene rendicontato il pagamento di tutto questo? Chi lo paga? Qual è la lista esatta dei finanziatori di tutti gli eventi?».

Ad alcune domande Casaleggio potrà rispondere agevolmente; ad altre meno. Mucci vorrebbe veder rispondere ad alcune domande sul blog e i suoi guadagni: «I bilanci della Casaleggio sono pubblici, alla Camera di Commercio; ma da quelli non si evince la fetta del blog: quali sono i ricavi pubblicitari esatti del blog, che è collegato all’attività di una forza politica, e se ne giova apertamente? Se tu metti nel bilancio, per dire, 8500 voci, o se aggreghi tutto in poche voci, è diverso, il bilancio diventa leggibile o oscuro. Qual è la società che fa la raccolta pubblicitaria? È una società controllata, direttamente o indirettamente, dalla Casaleggio associati?».

 
È più che possibile, anzi è probabile, che Casaleggio non si presenti al suo Processo alla Camera, anche per evitare l’assalto. Molte questioni non paiono sempre messe bene a fuoco, come la vicenda delle mail sul server gestito da Massimo Artini («se Casaleggio usava quel server per spiare - dice una nostra fonte - perché poi avrebbe dato ordine di chiuderlo?»). Ma anche altre cose non tornano, e ci riconducono alla legge sui partiti, e all’emendamento Boccadutri che prevede 150 mila euro di multa a chi non presenta un bilancio e una forma giuridica.

Qui la domanda che andrebbe posta - a Casaleggio, e ancor di più ai suoi scalatori/rottamatori del gruppetto Di Maio - è semplice: Danilo Toninelli, che per conto di Di Maio si occupa della questione della legge sui partiti, ha fatto diverse uscite molto plateali denunciando che la legge sui partiti è un modo per attaccare il Movimento, colpendolo anche economicamente. Ma qui siamo in grado di svelare una banalissima contraddizione, che peraltro nel gruppo parlamentare del Movimento conoscono tutti benissimo: proprio per evitare di incappare nei rigori della nuova legge, il Movimento si è ormai dotato sia di un’associazione giuridica (con fondatore, tesoriere e segretario, Beppe Grillo, Enrico Nadasi, Enrico Grillo), sia di un bilancio. In altre parole: l’associazione c’è già; il bilancio è già regolarmente pubblicato, e risulta a zero euro (certificato da una società terza, la Audit Services, è su https://materiali-m5s.s3.amazonaws.com/rendiconti/ASSOCIAZIONE.pdf). Le spese per eventi, o spese legali, o extra, sono invece pubblicate sotto la voce «Comitato elettorale». Ma allora scusate, se il problema non esiste, perché Toninelli e Di Maio fanno lo show contro la legge? Impossibile pensare lo facciano per avere un video teatrale da far cliccare. 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/03/09/italia/politica/le-dieci-domande-a-casaleggio-il-manager-in-audizione-alla-camera-ZA4VyBQy0tUsyaNkA2Y6TM/pagina.html
6997  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / GIOVANNA CASADIO RAFFAELE RICCIARDI senatori del Pd contro la riforma delle Bcc inserito:: Marzo 10, 2016, 06:04:16 pm
Spaccatura nella maggioranza: i senatori del Pd contro la riforma delle Bcc
Missiva al governo sottoscritta da Massimo Mucchetti e altri parlamentari dem.
Riprese le critiche di Federcasse e Bankitalia sul progetto di holding unica e sulla possibilità di sfilarsi per le casse che raggiungano 200 milioni di patrimonio.
"Errore trasformare le Bcc in Spa, si darebbe ai soci pieno possesso delle riserve"


Di GIOVANNA CASADIO e RAFFAELE RICCIARDI
10 marzo 2016

Anche i senatori del Pd chiedono correttivi alla riforma delle Bcc, mettendosi in scia a quanto rilevato da Bankitalia e dalle stesse casse cooperative nei giorni scorsi. Una lettera sottolinea i punti deboli dell'intervento del governo, che prevede in buona sostanza la creazione di una holding unica per le Bcc, che vi dovranno aderire versando un capitale complessivo di 1 miliardo di euro. E' però prevista la nota way-out, ovvero la possibilità di sfilarsi da questo schema per le Bcc che abbiano almeno 200 milioni di patrimonio. La lettera è indirizzata al premier Renzi, a Maria Elena Boschi nella sua veste di ministro per i Rapporti con il Parlamento e al capogruppo dem Luigi Zanda. E' l'altolà di venti senatori del Pd capitanati da Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria di Palazzo Madama, al disegno di legge sulle banche così come è stato scritto dal governo, soprattutto per quanto riguarda le banche di credito cooperativo, finite nel mirino negli ultimi mesi. "Inaccettabile" è la parola chiave per dire che il governo non pensi di mettere la fiducia al testo che uscirà da Montecitorio, soprattutto se la Camera non apporterà le modifiche indispensabili. A sottoscrivere il dissenso sono senatori bersaniani come Doris Lo Moro, Maurizio Migliavacca, Miguel Gotor e della sinistra dem tra cui Cecilia Guerra, Lucrezia Ricchiuti. Ma anche battitori liberi come Walter Tocci, Felice Casson, Sergio Lo Giudice. È un altro fronte aperto nelle file del Pd e rischia di scoperchiare un calderone di polemiche e di interessi contrapposti.

Il testo della missiva
La prima "lacuna" tecnica sottolineata dai senatori dem sta a monte: "Riguarda le modalità con cui le Bcc possono costituire il capitale della holding. Il ddl non precisa se la holding debba essere capitalizzata per contanti o attraverso il conferimento di asset. Non funziona. Bisogna scegliere, e scegliere bene", si legge nella missiva. "Con il versamento in contanti, la holding sarà forte, basata su valori non discutibili. Un miliardo liquido, d'altra parte, rappresenta una somma rilevante per le Bcc. Avremo perciò una holding sola e un gruppo unico di credito cooperativo, aperto al capitale finanziario nella holding, che è una Spa, ma non scalabile. Ridurre a 5-600 milioni il capitale della holding e ammettere la sua sottoscrizione attraverso il conferimento di asset (immobili soprattutto, ma anche partecipazioni) favorirebbe la moltiplicazione di holding per lo più illiquide e di gruppi di credito cooperativo per lo più deboli. Alla prima difficoltà, le Bcc dovrebbero aprire le holding anche oltre il 49% per ricapitalizzarsi, non potendo più contare sulla solidarietà del sistema del credito cooperativo. E non ci sarebbe obbligo di legge a conservare il 51% della holding che possa tenere ove i requisiti patrimoniali si indebolissero sotto le soglie stabilite dalla Vigilanza".

Il dito si punta anche sulla way-out sopra richiamata: "L'errore consiste nel prevedere il diritto di uscire dal credito cooperativo per le Bcc con patrimonio netto superiore ai 200 milioni previo pagamento di un'imposta sostituiva del 20% sulle riserve indivisibili", scrivono Mucchetti e colleghi. "La fuoriuscita potrà avvenire o attraverso la semplice trasformazione della cooperativa di credito in spa ovvero con la scissione dell'azienda bancaria e il suo conferimento a una spa in prima battuta controllata dalla cooperativa e poi chissà. Anche in questo caso si prevede l'imposta sostituiva del 20%. E' un errore consentire la trasformazione della Bcc in spa. In tal modo si darebbe ai soci attuali il pieno possesso di riserve, che costituiscono in media il 90% del patrimonio delle Bcc e che sono state accumulate dalle precedenti generazioni in esenzione d'imposta per la precisa finalità di esercitare lo scambio mutualistico nell'attività creditizia. L'imposta sostituiva, d'altra parte, non ripagherebbe le imposte evitate in tanti decenni e il loro costo finanziario cumulato per lo Stato. Ove l'errore fosse confermato, il minimo che ci si possa aspettare è una procedura d'infrazione da parte della Ue per aiuti di Stato".

Come ha fatto Bankitalia, anche i senatori si soffermano sulla "data alla quale si calcola se una Bcc raggiunge o meno la soglia dei 200 milioni che darebbe diritto alla way out. Logica vorrebbe che ci si riferisse all'ultimo bilancio approvato prima dell'entrata in vigore della legge. Ma il ddl tace e con questo silenzio accredita il sospetto che si voglia procrastinare nel tempo la verifica della soglia così da consentire anche a Bcc di minor taglia di approfittare della way out attraverso fusioni dell'ultima ora. Una tale combinazione di errori e di lacune può risultare fatale al progetto del gruppo bancario cooperativo con gravi ricadute sull'intero sistema del credito. E sarebbe un peccato. Vi chiediamo dunque di operare in modo tale da scongiurare esiti inaccettabili".

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10 marzo 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/finanza/2016/03/10/news/lettera_pd_senatori_bcc-135186745/?ref=HRER2-1
6998  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Libia. Matteo Renzi preme su Francois Hollande: "Impegnati per il governo Onu" inserito:: Marzo 10, 2016, 06:02:18 pm
Libia. Matteo Renzi preme su Francois Hollande: "Impegnati per il governo Onu"

Pubblicato: 08/03/2016 21:57 CET Aggiornato: 1 ora fa

“Bisogna rimuovere tutti gli ostacoli alla nascita del nuovo governo libico…”. Matteo Renzi parla francamente a Francois Hollande, al vertice italo-francese a Venezia, il 33esimo nella storia delle relazioni tra Roma e Parigi, tristemente dedicato a Valeria Solesin e le vittime degli attentati terroristici del 13 novembre scorso. Proprio mentre i due leader parlano a Palazzo, da Tobruk arriva la notizia dell’ennesima fumata nera: anche oggi il Parlamento non è riuscito a esprimere la fiducia al governo di Fayez al Sarraj, premier designato dall’Onu. Hollande può fare molto per sbloccare la situazione. Renzi glielo chiede. Il presidente francese promette di esercitare pressioni sui “paesi esterni che influenzano la Libia” e che impediscono la nascita del nuovo esecutivo di unità nazionale. In primis: l’Egitto di al-Sisi.

La triangolazione è presto detta. Ormai è un dato acquisito tra i diplomatici al lavoro sulla questione libica che Il Cairo sta frenando la nascita del nuovo esecutivo delle Nazioni Unite. Vale a dire che il governo che dovrebbe poi chiedere l’aiuto della comunità internazionale (dunque anche italiano) per l’addestramento delle truppe libiche, la sorveglianza dei siti sensibili. Il primo ostacolo alla nascita del governo di al Sarraj è il generale Khalifa Haftar, capo dell’esercito libico a Tobruk che vorrebbe mantenere il ruolo di capo delle forze armate in Libia anche con il nuovo governo. Haftar è fortemente sostenuto dall’Egitto. Ma Haftar è anche colui che guidò l’insurrezione contro Gheddafi ai tempi della guerra dei francesi contro l’ex dittatore nel 2011. Ecco perché Hollande, se vuole, può fare molto per disinnescare le ragioni che tengono ancora in stand-by il governo di unità nazionale in Libia.

Non a caso, in conferenza stampa, Renzi non manca di ricordare che “la Libia è anche punto di approdo delle forti tensioni in tutta l’area africana, zona di leadership francese presente e legata al passato”. E’ un modo per chiamare l’alleato di Parigi alle proprie responsabilità. Più volte in passato Renzi ha criticato l’azione unilaterale della Francia contro Gheddafi (solo dopo si accodarono Usa, Gran Bretagna e Italia). Ora per effetto di quell’azione la Libia si ritrova nel caos e terra di conquista dell’Isis. “C’è una crescita dell’estremismo in tutta l’area subsahariana”, sottolinea Renzi. Adesso è il momento per la Francia di porre rimedio. E Hollande promette aiuto, almeno ufficialmente. “Dobbiamo fare di tutto perché ci possa essere un governo di unità nazionale – dice il presidente francese in conferenza stampa – ci sono diversi paesi che influenzano gli attori del nuovo governo in Libia: il pericolo è talmente grande che cercherò di convincerli: un nuovo governo è anche nel loro interesse”.

Il tempo stringe. E per la prima volta lo ammette anche Renzi, che sfodera un inedito avvertimento. “I libici devono sapere che il tempo a loro disposizione non è infinito”, dice il premier italiano. Il governo di Roma continua a restare agganciato all’idea che “in Libia si debba formare un governo: è una priorità per i popoli della Libia”. Insomma, sottolineano dallo staff del presidente del Consiglio, la linea di prudenza imboccata fin dall’inizio non subisce scossoni dopo il bilaterale con Hollande. E nemmeno per le notizie che arrivano dagli Usa: il New York Times scrive dei piani di attacco del Pentagono contro “30-40 postazioni dell’Isis in Libia”. Piano che è stato già esposto al presidente Barack Obama. Renzi disinnesca la mina: “Più che di scoop, si parla di realtà”. Per dire che l’Italia è “informata”, come sapeva dei bombardamenti statunitensi a Sabrata il 19 febbraio scorso, quelli che poi però pare abbiano ‘disturbato’ le operazioni dell’intelligence del Belpaese nella liberazione dei quattro ostaggi italiani, due dei quali sono morti come si sa.

Però se il tempo scade, sul piatto resta un’unica possibilità, ammettono fonti di governo: agire contro l’Isis in Libia nell’ambito della coalizione anti-Daesh. Dunque al fianco dei bombardamenti americani. Perché più il tempo passa, più i jihadisti conquistano territori: ieri hanno attaccato al confine tra Libia e Tunisia. Ma Renzi continua a respingere l’opzione militare senza un governo libico. Ora si aspetta frutti dalle promesse di Hollande. Il premier è convinto che far nascere il governo di al-Sarraj convenga a tutti gli attori della comunità internazionale. A patto che la comunità internazionale riesca a trovare davvero un interesse comune in Libia, economico e politico.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/03/08/renzi-hollande_n_9409518.html?utm_hp_ref=ital
6999  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Obama: "Un errore sostenere intervento Nato nel 2011" inserito:: Marzo 10, 2016, 06:00:48 pm
Libia, il bilancio di Obama: "Un errore sostenere intervento Nato nel 2011"
Lunga intervista del presidente Usa a The Atlantic: "Ho avuto troppa fiducia che europei, vista vicinanza, seguissero follow-up".
Definisce gli alleati 'free rider', opportunisti.
Critica Sarkozy, Cameron, sauditi. Ma si dice "orgoglioso" di aver fatto marcia indietro sui raid in Siria per punire l'uso di armi chimiche di Assad

10 marzo 2016
   
WASHINGTON - "Quando mi guardo indietro e mi chiedo cosa sia stato fatto di sbagliato - ha spiegato Obama - mi posso criticare per il fatto di avere avuto troppa fiducia nel fatto che gli europei, vista la vicinanza con la Libia, sia sarebbero impegnati di più con il follow-up". Con il Pentagono che prepara i piani per un nuovo intervento in Libia, Barack Obama ammette che il suo sostegno all'intervento della Nato nel 2011 fu "un errore", dovuto in parte alla sua errata convinzione che Francia e Gran Bretagna avrebbero sostenuto un peso maggiore dell'operazione.

"Non ha funzionato" e "nonostante tutto quello che si è fatto, la Libia ora è nel caos", ha detto il presidente in una lunghissima intervista sulla sua politica estera al The Atlantic, che la titola 'The Obama doctrine', durante la quale bolla gli alleati, dei paesi del Golfo ma anche europei, come "opportunisti". E fa il nome del presidente Nicolas Sarkozy "che voleva vantarsi di tutti gli aerei abbattuti nella campagna, nonostante il fatto che avessimo distrutto noi tutte le difese aeree".

Poi l'affondo, anche questo andava bene perché, continua il presidente americano "permise di acquistare il coinvolgimento della Francia in modo che fosse meno costoso e rischioso per noi". Obama non esita poi a coinvolgere nelle critiche anche David Cameron che dopo l'avvio dell'intervento perse interesse, "distratto da una serie di altre questioni".

Il primo ministro britannico David Cameron e Barack Obama, la foto è tratta dall'intervista dell'Atlantic (Pete Souza / White House)

Un'intervista lunga in cui Obama si confida con Jeffrey Goldberg, autore dell'articolo, e racconta come la sua amministrazione fosse spaccata sull'intervento - con Hillary Clinton, bisogna sottolinearlo, alla guida dei falchi - e come vi fossero pressioni da parte dell'Europa e dai paesi del Golfo all'azione, come da sempre gli alleati fanno con Washington. "E' ormai diventata un'abitudine negli ultimi decenni - si lamenta - che in queste circostanze la gente ci spinga ad agire ma non mostra nessuna intenzione di rischiare nulla nel gioco".

Sono "opportunisti", "free rider", cioè quelli che viaggiano gratis, e rivolge anche un serio monito all'Arabia Saudita, alleato storico che ha duramente criticato l'accordo nucleare con Teheran, sottolineando come debba imparare a "dividere" la regione con l'arcinemico iraniano con il quale condivide la responsabilità di attizzare i conflitti in Siria, Iraq e Yemen. I sauditi "devono trovare un modo efficace di condividere il vicinato ed istituire una pace fredda" ha poi aggiunto, spiegando che se gli Usa dovessero sostenerli acriticamente contro l'Iran "questo significherebbe che noi inizieremmo ad usare i nostri interventi e la forza militare per azioni punitive, ma questo non sarebbe nell'interesse degli Usa né del Medio Oriente".

In compenso Obama si dice "orgoglioso" della decisione presa nell'agosto del 2013 di fare marcia indietro, quando ormai le macchine della guerra e del consenso si erano messe in moto, sulla decisione di avviare i raid aerei in Siria per punire l'utilizzo di armi chimiche da parte di Bashar al-Assad. "Sapevo che premere il pulsante di pausa per me avrebbe avuto un costo politico, ma sono riuscito a svincolarmi dalle pressioni e pensare in modo autonomo a quale fosse l'interesse dell'America, non solo rispetto alla Siria ma anche rispetto alla democrazia".

"E' stata una decisione difficile, e credo che alla fine è stata la decisione giusta", ha detto ancora il presidente difendendo la scelta di non intervenire allora contro Assad, criticata da molti e considerata il peccato all'origine del baratro in cui ora è precipitata la Siria. L'articolo sulla politica estera del presidente uscente ricostruisce i retroscena di quella guerra mancata, anche attraverso la voce altri membri dell'amministrazione, a partire da John Kerry che il 30 agosto aveva pronunciato un discorso che suonò come un'effettiva dichiarazione di guerra. Il segretario di Stato ha confidato a Goldberg che era sicuro che i raid sarebbero scattati il giorno dopo.

Invece il presidente - che si sentiva di "andare verso una trappola, preparata da alleati ed avversari e dal consenso sulle aspettative che si hanno riguardo a quello che il presidente americano deve fare", scrive Goldberg - al suo consiglio di guerra riunito annunciò, tra lo stupore di tutti, che non ci sarebbe stato nessun raid il giorno successivo ma che voleva chiedere un voto al Congresso sul raid.

La decisione di Obama provocò immediate e durissime reazioni sia da parte di alleati sia interni che esterni. Hillary Clinton - possibile prossimo presidente degli Stati Uniti che aveva avuto modo di mostrare da segretario di Stato in Libia la sua filosofia interventista - nel 2014, sempre a The Atlantic, ha durante criticato quella scelta: "Il non aver costruito una credibile forza in aiuto delle persone che originarono le proteste contro Assad ha lasciato un grande vuoto che ora stanno riempendo i jihadisti".
Libia, il bilancio di Obama: "Un errore sostenere intervento Nato nel 2011"

Ma oggi Obama difende con vigore quella decisione di ribellarsi a quello che chiama "il libro delle regole di Washington, che prevede risposte a diversi eventi, risposte che tendono ad essere militarizzate. Quando l'America è minacciata direttamente, il libro funziona, ma può anche diventare una trappola che ti porta a decisioni sbagliate. Nel mezzo di una sfida internazionale come la Siria - ha concluso - viene criticato severamente se non segui le regole, anche se vi sono buone ragioni per farlo".

E le ragioni per Obama erano gli errori commessi dal suo predecessore con il suo interventismo e la sua democrazia esportata in Medio Oriente, ricorda Goldberg che rivela anche come Obama consideri il primo compito di un presidente nell'arena internazionale del post Bush "don't do stupid shit", non fare cose stupide
 
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10 marzo 2016

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/10/news/obama_raid_nato_errore-135185099/?ref=HREC1-1
7000  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Gabriella Cerami Minoranza Pd teme il trabocchetto: "Renzi cerca l'alibi per ... inserito:: Marzo 10, 2016, 05:58:35 pm
Gabriella Cerami
gabriella.cerami@huffingtonpost.it
Amministrative.
Minoranza Pd teme il trabocchetto: "Renzi cerca l'alibi per scaricare su di noi la sconfitta alle elezioni"

Pubblicato: 08/03/2016 19:21 CET Aggiornato: 1 ora fa

Le amministrative saranno fra tre mesi, ma già cominciano le manovre e i litigi sul dopo elezioni. I parlamentari della minoranza del Partito democratico temono quello che chiamano “il trabocchetto Matteo”, ovvero hanno paura che i vertici del Pd possano scaricare sulla sinistra del partito il fallimento delle amministrative, in particolare a Roma, dove il candidato è Roberto Giachetti. "Abbiamo l’impressione - dice il senatore bersaniano Federico Fornaro - che riunire la Direzione nazionale sia un tentativo per ripetere in grande stile questo attacco in corso alla minoranza e per costituirsi un alibi in vista della sconfitta a Roma”.

Il 21 marzo, infatti, durante la Direzione nazionale, potrebbe andare in scena la resa dei conti, tra maggioranza e minoranza del Pd, che da due giorni si scambiano accuse in seguito alle primarie romane che hanno registrato un enorme calo di votanti: oltre 50mila in meno rispetto al 2013. I toni sono stati i seguenti. Il commissario del Pd romano e presidente dell’assemblea dem, Matteo Orfini, commentando i risultati ha detto: “Nel 2013 era andata più gente ai gazebo perché c'erano le truppe cammellate dei capibastone poi arrestati”. Roberto Speranza, della minoranza Pd, ha risposto dicendo che in questo modo Orfini offende i cittadini. E il commissario, a sua volta, ha puntualizzato: “I romani sono stati offesi da Mafia Capitale. Gli atti giudiziari dimostrano quello che ho detto. Sembra che Speranza rimpianga quel tipo di partito”. Come se non bastasse ecco la nuova replica alla replica: “I 50mila cittadini che non sono andati ai gazebo non possono essere tutti capibastone, mafiosi o rom”.

Ecco che Orfini, d’accordo il segretario Renzi, decide di convocare la Direzione nazionale del partito. “A fronte della discussione sviluppatasi in queste ore all'interno del Partito – si legge in una nota - ritengo sia necessario che il tema venga affrontato senza indugio e in maniera esplicita nelle sedi opportune”. La motivazione ufficiale dell’incontro è ricompattare il partito a sostegno di Roberto Giachetti in vista delle amministrative a sostegno dei candidati scelti dalle primarie: “Siamo impegnati in campagna elettorale e abbiamo poco tempo a disposizione, discutiamo subito, visto che ci sono da vincere delle elezioni”.

Ma nella convocazione improvvisa di questa riunione della Direzione nazionale, la minoranza Pd vede appunto qualcosa di marcio: “Nel passato abbiamo chiesto di convocare la Direzione e ci è stato sempre risposto picche”, ricorda Fornaro, tra i primi a parlare domenica sera di risultati deludenti. “Se durante la riunione ci sarà un confronto vero, noi siamo favorevoli. Ma pensiamo che le intenzioni non siano queste".

La minoranza inoltre chiede che venga anticipato il congresso del partito per scegliere un nuovo segretario: “Il doppio incarico di Renzi, premier e segretario, ha penalizzato queste primarie”, ha fatto presente Speranza. Ma Orfini, pur ricordando che da sempre sostiene che i due ruoli vadano scissi, respinge la richiesta al mittente: “Siamo in campagna elettorale e stiamo provando a dare risposte ai problemi dei cittadini. Se in questo momento decidessimo di anticipare il congresso, le persone ci prenderebbero per pazzi e avrebbero ragione”.

Mentre nel Pd romano nazionale e anche in quello romano volano gli stracci, l’ex sindaco Ignazio Marino e Massimo Bray si incontrano per fare il punto e decidere sulla candidatura dell’ex ministro. In questo caso supportato da una coalizione con Sinistra italiana. Se la discesa in campo dovesse essere ufficializzata si aprirà un altro fronte caldo nel Pd: qualcuno della Ditta ha già voglia di sostenere Bray. Inoltre si andrà incontro a nuove primarie, quelle della sinistra-sinistra, questa volta richieste da Stefano Fassina, che due mesi ha annunciato la sua candidatura per il Campidoglio.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/03/08/amministrative-direzione-nazionale-pd_n_9410162.html
7001  Forum Pubblico / PROTAGONISTI (news varie su loro). / Giorgio NAPOLITANO: No a vecchio pacifismo, ma prima di intervenire pensarci inserito:: Marzo 10, 2016, 05:56:55 pm
Libia, Giorgio Napolitano: "No a vecchio pacifismo, ma prima di intervenire pensarci mille volte"

L'Huffington Post  |  Di Redazione
Pubblicato: 09/03/2016 12:43 CET Aggiornato: 4 ore fa

"Non si può accettare l'idea che il ricorso alle armi, nei casi previsti dallo statuto delle nazioni unite, sia qualcosa di contrario ai valori e alla storia italiana". Lo ha detto il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, intervenendo in senato dopo l'informativa del ministro degli esteri Paolo Gentiloni.

L'ex capo dello stato ha avvertito: "generare l'illusione che non abbiamo mai nel nostro futuro la possibilità di interventi con le forze amate in un mondo che ribolle di conflitti e minacce sarebbe ingannare l'opinione pubblica e sollecitare un pacifismo di vecchissimo stampo che non ha ragione di essere nel mondo di oggi, nel mondo uscito dalla seconda guerra mondiale".

Napolitano ha invitato quindi governo e parlamento a "evitare ulteriori equivoci e prepararci a ciò che dobbiamo fare, in Libia e altrove, per contrastare l'avanzata del terrorismo islamico".

In ogni caso, ha spiegato "prima di agire dobbiamo pensarci non una ma mille volte".

L'ex Capo dello Stato ha fatto riferimento alla cifra fornita qualche giorno fa in una intervista al Corriere della Sera dall'ambasciatore americano, che ha parlato di 5 mila uomini che l'Italia potrebbe inviare in Libia e ha sottolineato che il rappresentante Usa ha "improvvisato quella cifra, è una cifra venuta in mente improvvidamente all'ambasciatore pensando forse a quello che era stato il nostro impegno in Afghanistan, dove abbiamo mandato circa 5 mila uomini. Ho vissuto uno dei momenti più dolorosi della mia esperienza di presidente recandomi a Ciampino ad accogliere le salme dei nostri soldati caduti - ha ricordato Napolitano - sono esperienze che non auguro a nessuno di dover ripetere. Prima di agire dobbiamo pensarci non una ma mille volte", ha concluso Napolitano.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/03/09/libia-napolitano-guerra_n_9416238.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001
7002  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FRANCESCO BEI. Patto per le amministrative Lega-M5S. inserito:: Marzo 10, 2016, 05:53:22 pm
Patto per le amministrative Lega-M5S.
Il piano segreto di Salvini a Roma per affossare Bertolaso nei gazebo
Torino e la Capitale ai cinque stelle, in cambio Bologna e Novara al Carroccio
I leghisti a Roma hanno già dimostrato un certo grado di mobilitazione organizzativa: hanno fatto votare 10 mila persone alle loro primarie quasi senza preavviso

09/03/2016
Francesco Bei
Roma

È tutto pronto, la strategia è stata studiata nei giorni scorsi. Matteo Salvini farà fuori Guido Bertolaso, il candidato di Berlusconi a Roma. Infilzandolo il prossimo fine settimana con la stessa arma scelta dal leader di Forza Italia per plebiscitare l’ex capo della Protezione civile: le gazebarie. La «gazebata» (copyright Maria Stella Gelmini) prevede un centinaio di chioschi aperti per far esprimere gli elettori romani su un quesito semplice: siete d’accordo con la candidatura di Bertolaso? Non essendoci altri nomi sulla scheda, i cittadini potranno mettere una croce sul sì oppure sul no. 

Tutto scontato? Non proprio. I leghisti, che a Roma hanno già dimostrato un certo grado di mobilitazione organizzativa - hanno fatto votare 10 mila persone alle loro primarie quasi senza preavviso - hanno infatti deciso di rovinare la festa a Berlusconi. E quella che avrebbe dovuto essere un’incoronazione, rischia di trasformarsi in un disastro. Il piano di Salvini prevede infatti di saturare i gazebo forzisti con una massa di elettori pronti a votare “No” a Bertolaso. 

L’attacco avrebbe dovuto essere pianificato ieri tra lo stesso Salvini e lo stato maggiore leghista nella Capitale (il vicesegretario Giancarlo Giorgetti e il commissario laziale Gian Marco Centinaio). Riunione poi saltata all’ultimo minuto. Ma il capogruppo alla Camera Massimiliano Fedriga, dietro le quinte della trasmissione Omnibus, qualcosa si è lasciato sfuggire: «A queste consultazioni di Forza Italia si può votare sì... ma immagino si possa votare anche no. E se Bertolaso venisse bocciato, Berlusconi dovrebbe prenderne atto». 

Certo, i leghisti mettono in conto anche un controllo capillare del voto da parte dei forzisti. Decisi a non farsi travolgere dalle truppe cammellate di Salvini. Per questo il segretario del Carroccio ha pronto anche un piano di riserva, nel malaugurato caso Bertolaso venisse comunque incoronato dalle urne. Se infatti Berlusconi, come sembra, dovesse insistere, la Lega è già pronta a mollare gli ormeggi. E presentarsi da sola nella Capitale con un proprio candidato di bandiera per raccogliere quanti più voti possibile. Con quale volto? «Irene Pivetti potrebbe essere quella giusta», confida Fedriga. Ma ci sarebbe anche l’ipotesi di una corsa tutta sulla fascia destra, con un candidato lepenista come Francesco Storace. «Se la lega converge su di me - dice l’ex governatore del Lazio - di sicuro prende una barca di voti». 

Ma è improbabile che regalare «una barca di voti» a Storace (o Pivetti) sia l’obiettivo di Salvini. Dunque perché tutto questo attivismo su Roma? Le voci più affidabili su quanto viene discusso a via Bellerio, sede federale della Lega, descrivono un quadro molto più credibile e interessante. Che chiama in causa direttamente il Movimento Cinque Stelle. Negli ultimi tempi infatti colpiscono i ripetuti attestati di stima che il segretario elargisce a due candidate grilline: la romana Veronica Raggi e la torinese Chiara Appendino. «Entrambe - ha ripetuto ieri alla Zanzara su Radio24 - hanno le idee chiare su quello che bisogna fare. Se nelle due città ci fosse un ballottaggio tra Pd e Grillo, voterei certamente per i candidati dei 5 Stelle».

Questo rinnovato endorsement sulle due ragazze M5s nasconde l’ultimo elemento del piano leghista. Un patto occulto di desistenza tra Lega e Movimento 5 Stelle per lanciare reciprocamente Appendino a Torino, Raggi a Roma e i due candidati leghisti a Bologna e Novara. Una desistenza mascherata, che prevede il voto disgiunto nelle quattro città: a Roma e Torino i leghisti metteranno una croce sulla propria lista e sulla candidata sindaca grillina; in cambio a Bologna e Novara il M5s non si scalderà troppo per far arrivare al ballottaggio i propri candidati. Lasciando spazio a quelli del Carroccio. 

Da - http://www.lastampa.it/2016/03/09/italia/politica/patto-per-le-amministrative-legams-il-piano-segreto-di-salvini-a-roma-per-affossare-bertolaso-nei-gazebo-ZahpRHWuT9cxuuhB44z4BL/pagina.html
7003  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Alda MERINI, Ci sono donne… E poi ci sono le Donne Donne… inserito:: Marzo 08, 2016, 06:39:13 pm
"Ci sono donne…
 E poi ci sono le Donne Donne…
 E quelle non devi provare a capirle,
 perchè sarebbe una battaglia persa in partenza.
 Le devi prendere e basta.
 Devi prenderle e baciarle, e non devi dare loro il tempo il tempo di pensare.
 Devi spazzare via con un abbraccio
 che toglie il fiato, quelle paure che ti sapranno confidare una volta sola, una soltanto.
 a bassa, bassissima voce. Perchè si vergognano delle proprie debolezze e, dopo
 averle raccontate si tormentano – in una agonia
 lenta e silenziosa – al pensiero che, scoprendo il fianco, e mostrandosi umane e fragili e
 bisognose per un piccolo fottutissimo attimo,
 vedranno le tue spalle voltarsi ed i tuoi passi
 allontanarsi.
 Perciò prendile e amale. Amale vestite, che a
 spogliarsi son brave tutte.
 Amale indifese e senza trucco, perchè non sai
 quanto gli occhi di una donna possono trovare
 scudo dietro un velo di mascara.
 Amale addormentate, un po’ ammaccate quando il sonno le stropiccia.
 Amale sapendo che non ne hanno bisogno: sanno bastare a se stesse.
 Ma appunto per questo, sapranno amare te come nessuna prima di loro"

Alda Merini

7004  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / AVVERTIRE I TEMPI DEI CAMBIAMENTI DELLA CULTURA inserito:: Marzo 07, 2016, 05:14:13 pm
Nel mondo sta accadendo qualcosa di straordinario, ma molte persone non se ne sono accorte

Pubblicato: 18/12/2015 15:38 CET Aggiornato: 18/12/2015 15:38 CET

Molti di noi non si rendono conto che sono in atto cambiamenti straordinari.

Qualche mese fa mi sono liberato dalla società "a procedura standard". Ho spezzato le catene di paura che mi tenevano imprigionato in un sistema. Da allora, vedo il mondo da un'altra prospettiva, mi sono reso conto che tutto sta cambiando e che molti di noi (la maggior parte) ne sono inconsapevoli.

Perché il mondo sta cambiando? In questo post indicherò le otto ragioni che mi inducono a crederlo.

1. C'è sempre meno tolleranza verso l'attuale modello d'impiego.

Stiamo raggiungendo il limite. Le persone che lavorano con le grandi compagnie non sopportano più il loro lavoro. La mancanza di motivazione si fa sentire come se venisse da dentro di noi, simile ad un grido di disperazione.

Le persone vogliono uscirne. Vogliono mollare tutto. Pensate a quante persone sono disposte a rischiare con un'idea imprenditoriale, a chi si concede un anno sabbatico, a quante persone sono affette da depressione o esaurimento legati al lavoro.

2. Il modello imprenditoriale sta cambiando.

Negli ultimi anni, con l'avvento delle startup, migliaia di imprenditori hanno trasformato i loro garage in uffici per dare alla luce le proprie idee da miliardi di dollari. Al centro della nuova imprenditorialità c'era la necessità di trovare un investitore. Ottenere un finanziamento era come vincere la coppa del Mondo.
Ma cosa succede dopo aver ottenuto i fondi?

Torni ad essere un dipendente. Potresti aver coinvolto persone che non condividono il tuo sogno, che non sono d'accordo con il tuo obiettivo e ben presto... tutto gira intorno ai soldi. L'interesse economico diventa la spinta principale del tuo business.

Questo mette in difficoltà diverse persone. Startup eccellenti iniziano a fallire perché il modello incentrato sulla ricerca di denaro è incessante.
C'è bisogno di un nuovo modello d'impresa. Qualcuno lo sta già realizzando.

3. Aumenta la collaborazione.

Molte persone hanno compreso che non ha senso fare tutto da soli. In tanti hanno abbandonato la mentalità "chi fa da sé, fa per tre".

Fermati, fai un passo indietro e pensa. Non è assurdo che noi, 7 miliardi di persone sul pianeta, ci siamo allontanati sempre di più gli uni dagli altri? Che senso ha voltare le spalle alle migliaia, forse milioni di persone che vivono intorno a te, nella tua città? Ogni volta che ci penso mi sento triste.

Per fortuna le cose stanno cambiando. Le teorie dell'economia collaborativa sono sempre più seguite e questo ci dischiude nuove direzioni. La direzione della collaborazione, della condivisione, del sostegno reciproco, dell'unione.

È bellissimo rendersene conto. Mi commuove.

4. Finalmente capiamo davvero cos'è Internet.

Il web è una cosa straordinaria e solo adesso, dopo anni, ne stiamo comprendendo la forza. Grazie a Internet il mondo è aperto, privo di barriere e di separazioni. Ha reso possibile la solidarietà, la collaborazione, il sostegno reciproco.

Per alcune nazioni internet è stato il principale catalizzatore di vere e proprie rivoluzioni, come nel caso della Primavera Araba. Oggi in Brasile stiamo iniziando a fare un uso migliore di questo fantastico strumento.

Internet sta sferrando duri colpi al controllo delle masse. I grandi gruppi mediatici che controllano le notizie in base al messaggio che vogliono veicolare ed a quello che vogliono farci leggere non sono più gli unici "proprietari" delle informazioni. Seguiamo quello che vogliamo. Esploriamo ciò che ci interessa.

Con l'avvento di Internet, i "piccoli" non restano in silenzio. C'è una voce. L'ignoto viene alla luce. Il mondo è più unito. E il sistema può crollare.

5. Il consumismo sfrenato è diminuito.

Per troppo tempo siamo stati manipolati per consumare il più possibile. Comprare ogni nuovo prodotto sul mercato, l'ultimo modello di automobile, di iPhone, tonnellate di vestiti e scarpe. Praticamente tutto ciò su cui potevamo mettere le mani.

Andando controcorrente molte persone hanno capito di essere sulla strada giusta. Il "lowsumerism" (basso consumismo), una vita più lenta, il ritorno allo "slow food" sono solo alcuni esempi delle iniziative intraprese che ci mostrano l'assurdità del modo in cui organizziamo le nostre vite.

Sono sempre meno le persone che utilizzano l'auto o spendono più del dovuto. Mentre invece aumenta il numero delle persone che ricorrono allo scambio di indumenti (lo swapping), comprano oggetti usati, condividono risorse, macchine, appartamenti, uffici.

Non abbiamo realmente bisogno di tutto quello che ci impongono. La consapevolezza che esiste un nuovo modello di consumo può colpire al cuore delle società che si fondano sul consumismo esagerato.

6. Alimentazione sana e biologica.

Siamo stati così folli da accettare di mangiare qualsiasi cosa! Bastava che avesse un buon sapore, per noi andava bene.

Siamo stati così incoscienti che le aziende hanno iniziato ad avvelenare il nostro cibo e noi non abbiamo detto una parola.

Ma poi qualcuno ha iniziato a svegliarsi, rendendo possibile un’alimentazione sana e fondata sul biologico.
Questo cambiamento è sempre più forte.
Cos'ha a che fare con l'economia e con il lavoro? Praticamente tutto, direi.

La produzione di cibo gioca un ruolo chiave nella nostra società. Se cambiamo il nostro approccio mentale, le nostre abitudini alimentari e i nostri consumi, le multinazionali dovranno rispondere e adattarsi al nuovo mercato.

Il piccolo produttore è di nuovo importante per l'intera catena di produzione. Le persone stanno coltivando piante e semi nelle loro abitazioni.
Questo trend può dare nuova forma all'intero sistema economico.

7. Il risveglio della spiritualità.

Quanti dei vostri amici praticano Yoga? Quanti si dedicano alla meditazione? Ora tornate a 10 anni fa, quanti conoscenti erano dediti a queste attività?

Per troppo tempo abbiamo associato la spiritualità a persone "strane", mistiche.

Per fortuna anche questo sta cambiando. Siamo arrivati al limite della ragione e della razionalità. Ci siamo resi conto che affidandoci solo alla nostra parte cosciente non possiamo capire davvero tutto quello che succede intorno a noi. C'è qualcos'altro e sono certo che volete esplorare questo mistero.

Vogliamo capire come funzionano le cose, la vita. Cosa succede dopo la morte, cos'è questa energia di cui le persone parlano così tanto, cos'è la teoria dei quanti, come i pensieri possono essere materializzati e plasmare la nostra percezione della realtà. Cosa siano le coincidenze e il sincronismo, come funziona la meditazione, com'è possibile curarsi usando solo le mani, come queste terapie alternative (non sempre approvate dalla medicina ufficiale) possono funzionare davvero.

Le aziende permettono ai dipendenti di meditare. Nelle scuole si insegnano ai ragazzi tecniche di meditazione. Pensateci.

8.  L'ascesa del cosiddetto "un-schooling" come modello d'istruzione alternativo.

Chi ha creato questo modello d'insegnamento? Chi ha stabilito le lezioni che dobbiamo seguire? Chi ha deciso le lezioni del programma di storia? Perché non ci insegnano la verità sulle altre civiltà antiche?

Perché i bambini dovrebbero seguire un determinato insieme di regole? Perché dovrebbero osservare ogni cosa in silenzio? Perché devono indossare un'uniforme? E perché dobbiamo sostenere dei test per dimostrare quello che abbiamo imparato?

Il modello che abbiamo sviluppato non fa altro che formare dei seguaci del sistema. Che trasforma le persone in esseri umani ordinari e mediocri.

Per fortuna molte persone stanno lavorando per rivedere questo modello attraverso i concetti di unschooling (letteralmente imparare senza andare a scuola), "hackschooling" e homeschooling (nuovi modelli educativi, in cui ognuno può modellare il proprio insegnamento a seconda dei propri interessi e del proprio stile di apprendimento).

Forse non ci avete mai pensato e potreste restare scioccati. Ma il cambiamento è in atto.
In silenzio le persone si stanno risvegliando, rendendosi conto di quanto sia folle vivere in questa società.

Pensate a tutte queste nuove metodologie e provate a rintracciare ancora un po' di normalità in tutto quello che ci hanno insegnato finora. Non credo la troverete.

Sta succedendo qualcosa di straordinario.

Gustavo Tanaka è un autore e imprenditore brasiliano, che sta cercando di creare un nuovo modello, un nuovo sistema, per l'avvento di una nuova economia.
Questo blog è apparso per la prima volta su Huffington Post America ed è stato tradotto da Milena Sanfilippo.

Da - http://www.huffingtonpost.it/gustavo-tanaka/nel-mondo-sta-accadendo-qualcosa-di-straordinario-ma-molte-persone-non-se-ne-sono-accorte_b_8837690.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001
7005  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Claudio Paudice. Achille Occhetto compie 80 anni. La festa al gruppo SI della... inserito:: Marzo 07, 2016, 05:08:56 pm
Achille Occhetto compie 80 anni. La festa al gruppo SI della Camera: "La svolta della Bolognina? La rifarei nonostante Renzi"

L'Huffington Post 
Di Claudio Paudice

Pubblicato: 03/03/2016 18:05 CET Aggiornato: 03/03/2016 18:09 CET

La torta è color arancio e non rossa. E il buffet di compleanno lo ha organizzato il gruppo di Sinistra Italiana, non il Pd erede per discendenza del suo Partito Democratico della Sinistra. "La svolta? La rifarei nonostante Renzi". Achille Occhetto compie 80 anni e alla sua festicciola informale alla Camera ci sono tanti volti noti della sinistra. C'è Pier Luigi Bersani, c'è il capogruppo dei deputati Pd Ettore Rosato, il capogruppo di Sel alla Camera Arturo Scotto e poi Stefano Fassina, Alfredo D'Attorre.

Un'occasione per guardare indietro al passato. E in particolare allo spartiacque che ha segnato la Storia della sinistra italiana: quel 12 novembre del 1989, quando a pochi giorni dalla caduta del Muro, nel quartiere Navile (ex Bolognina) di Bologna il segretario del Pci indicò ai compagni le "strade nuove" da percorrere. Fu il primo passo che portò all'addio al Partito Comunista Italiano e alla nascita del Pds. Ma con la Bolognina, ricorda oggi l'ex segretario Pd Bersani, "Occhetto ha consegnato alla storia il Pci mettendolo al riparo dalle intemperie della fasi calanti, evitandone la distruzione".

Occhetto difende ancora oggi quella scelta ma riconosce che non è andato tutto come aveva previsto, "non è riuscita l'operazione politica che volevo tentare, quella di un'uscita a sinistra". Bersani concorda: "Su questo non ero d'accordo. Com'era possibile uscire a sinistra dal Pci? Apprezzavo le intenzioni, Achille, ma era francamente impossibile".

Bersani gli riconosce una dote rara in politica. "Hai avuto un coraggio da leone, che nessuno aveva in quella classe dirigente. Io all'epoca non ero d'accordo. Fu una vicenda lacerante, anche con famiglie distrutte, mi ricordo benissimo di un marito e di una moglie che arrivarono a separarsi".

Si fa un salto e si passa dal suo Pci al nuovo Pd di Renzi: "Ovviamente rifarei la Bolognina, nonostante Renzi -dice Occhetto - Quello che è avvenuto dopo non è legato tutto alla Bolognina, che è stato invece un modo per superare la crisi profonda del comunismo. Io ho l'orgoglio di essere stato un uomo di sinistra in tutte le battaglie e nonostante oggi molti dicano che non fa differenza, io mi colloco in questa differenza. E chiedo alle nuove generazioni di fare un regalo a noi ottuagenari, quello di costruire la nuova sinistra".

La nuova sinistra che oggi vede proprio in Renzi la sua guida. Una sinistra diversa certamente dalla sua idea e incarnata da un segretario mai tanto amato da Occhetto perché troppo collocato su valori e idee di centro. Solo un anno fa, l'ultimo segretario del più grande partito comunista occidentale fece una previsione che sembra già superata dai fatti: "Do a Renzi il tempo di una legislatura. È stato bravo a interpretare un bisogno di uscire dall'afasia, dalla palude. È stato l'inventore talentuoso di una rivoluzione parolaia".

Nel sottobosco a sinistra del Pd però qualcosa si muove e la presenza di Fassina, Scotto, D'Attore al brindisi di compleanno lo conferma: "Bisogna prima costruire questa sinistra - dice Occhetto - non può essere solo una somma di vecchi apparati anche a sinistra, se no fa l'errore del Partito democratico che è stata una fusione a freddo di vecchi apparati". Un leader? "E' presto, speriamo in un giovane".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/03/03/occhetto-80-anni-compleanno_n_9374964.html
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