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6376  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Roberto NAPOLETANO Ciao Carlo Azeglio inserito:: Settembre 20, 2016, 08:51:17 pm
Ciao Carlo Azeglio

Di Roberto Napoletano 17 settembre 2016

«Pensa, lunedì avremmo festeggiato i settant’anni di matrimonio e gli avevo detto: Carlo, faremo una cosa intima tra di noi». Mi dice la signora Franca, al telefono, e aggiunge: «Tu lo conosci bene, devi dire quello che sai, devi dire che era una persona perbene». La signora Franca si esprime con il suo linguaggio diretto, fatto di imperativi affettuosi, e ha ragione: Carlo Azeglio Ciampi era, prima di tutto, una persona perbene. Ho scelto di iniziare con questo racconto familiare perché qui, in questo articolo, non intendo parlare del Normalista, del governatore della Banca d’Italia, dell’uomo di governo padre dell’euro e del presidente emerito della Repubblica. Vorrei parlare dell’uomo Carlo Azeglio Ciampi per come lo ho visto e conosciuto da vicino, di quello che mi ha insegnato e di quello che ha rappresentato nella difesa del decoro delle istituzioni, il sentimento viscerale dell’orgoglio della Patria, il tratto identitario dell’uomo delle istituzioni, di un grande italiano e di un grande europeo.
***
Un giorno abbiamo scherzato sull’ansia, qualcosa che ci accomunava, ma che io ho sempre sentito come un tormento, soprattutto per chi mi sta intorno. Ho davanti agli occhi il suo faccione burbero e quella frase buttata lì: «Guarda, conosco il tema. Chiariamo subito: l’ansia ci permette di vedere prima i problemi, e quindi può essere un vantaggio. A una condizione, però, che si individui un metodo per gestirla». Presidente, lei lo ha trovato? «Sì, una squadra di collaboratori competenti e fidati. Se l’ansia ti porta a individuare prima il problema, allora questo va affrontato con la squadra di collaboratori, vanno sentite con attenzione tutte le opinioni, poi si ponderano le cose, si prende una decisione e non ci si pensa più. A quel punto, l’ansia cessa e, spesso, è stata utile».
***
Ricordo un fatto di vita vissuta che risale ai tempi di quando era governatore e che mi ha voluto raccontare un pomeriggio, nella casa romana, in via Anapo. Cito a mente il suo racconto: un politico mi chiede un appuntamento, lo ricevo, restiamo insieme una buona mezz’ora, ragioniamo di tante cose e non mi chiede niente. Dopo qualche settimana un amico comune mi riferisce la confessione del politico: avevo voluto l’incontro perché dovevo chiedere un piacere, ma Ciampi mi trattò con così tanta cortesia e così tanto distacco che non ebbi il coraggio di dire niente. Distacco e cortesia, lezione di civiltà, un insegnamento da tenere a mente. Scavo nei ricordi e mi riaffiora nella testa una telefonata, sempre del Presidente, di un po’ di anni fa. Mi dice: «Ha letto le dichiarazioni di Paul Volcker? Parla di disintegrazione dell’euro. Questo un banchiere centrale non lo può dire». Non era orgoglio ferito, da padre dell’euro, anche in questo caso parlava il governatore che è in lui. Un abito mentale, da servitore dello Stato, mai dismesso.
***
Non so perché ma continuo a pensare all’ossessione di Ciampi contro l’infezione diffusa, e mai davvero domata, dei cattivi derivati e, anche in questo caso, ricordo una sua telefonata di diversi anni fa, mentre passeggiava a villa Ada, all’epoca in cui dirigevo il Messaggero e lui era il primo dei nostri editorialisti: «Direttore, le racconto un episodio che mi è successo da qualche minuto. Sono vicino al laghetto, mi saluta una signora e mi dice: grazie presidente per tutto quello che fa per noi. Replico: signora, ma io non faccio più niente. E lei: non è vero, scrive degli articoli bellissimi». Aveva ragione la signora. Qualche giorno prima, il 17 settembre del 2008, quest’uomo che ha avuto in Italia l’onore di tutte le responsabilità ed è apprezzato nei circoli più importanti della finanza internazionale, ma sapeva parlare come pochi al cuore degli italiani, aveva scritto un articolo che iniziava testualmente così: «Per capire quello che sta accadendo in questi giorni, forse, dovremmo partire dalla debolezza congenita degli accordi di Bretton Woods...».
***
È passato un tempo che, per la pesantezza del conto che l’Italia ha pagato sull’altare della crisi globale finanziaria, assomiglia a un’eternità e, soprattutto, non accenna a finire. La nuova Bretton Woods, invocata da Ciampi, non si è vista, anzi assistiamo a un indebolimento delle leadership politiche globali, aumentano le diseguaglianze, si continua a passare da una crisi all’altra, gli Stati Uniti d’Europa restano un sogno, i focolai di crisi geopolitica nel mondo si moltiplicano a vista d’occhio, la Cina non ha guadagnato in libertà ma ha fermato la sua galoppata, per la prima volta gli americani sono convinti che i figli avranno un futuro meno roseo dei padri. Servono la forza della democrazia e l’intelligenza della politica, servono uomini come Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill combattenti e costruttori di democrazia o del calibro dei Padri Fondatori dell’Europa come De Gasperi, Adenauer, Schuman. Servono proprio uomini con passione politica, servitori dello Stato e persone perbene come Ciampi. Ciao Carlo Azeglio.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-09-17/ciao-carlo-azeglio-000658.shtml?uuid=AD7nIkLB
6377  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Gilberto Corbellini Una «cultura» antiempirica inserito:: Settembre 20, 2016, 08:49:12 pm
Una «cultura» antiempirica

Di Gilberto Corbellini 16 settembre 2016

Più o meno da quando ho smesso i calzoni corti leggo discussioni sulla cultura classica e/o umanistica, su quanto questa conti per la formazione del cittadino democratico, che le persone che conoscono i classici sarebbero in qualche modo migliori e più felici, sulla superiorità, equivalenza o inferiorità del liceo classico, etc. Scrivendo un libretto sulle basi culturali e psicologiche della democrazia dei moderni, ho studiato l’evoluzione storica del dibattito in alcuni contesti sociopolitici occidentali e mi sono fatto alcune idee. Così, anche su questo tema mi sono trovato in sintonia con Giovanni Jervis, condividendo l’insofferenza per le discussioni basate su esperienze personali, impressioni, “sentito dire”, etc. Soprattutto perché esiste una mole ingente di dati empirici che consentirebbe di entrare nel merito.

Viviamo, e alleviamo i giovani, in una cultura nazionale “antiempirica”, dove fatti e opinioni sono confusi prima di tutto da chi dovrebbe insegnar loro a saperli distinguere. Cercare di portare prove di quello che si dice non è costume degli intellettuali italiani, in generale.

Siamo il paese dove è stato descritto il familismo amorale e dove l’educazione cattolica ha un forte peso in età giovanile. Inoltre i programmi scolastici e il genere di cultura umanistica propinata ai giovani, carente di letteratura e filosofia anglosassone, non aiutano a capire il funzionamento del mondo moderno.

Cercando di capire perché le élites politiche, governative, economiche, etc. di questo paese da un certo momento in poi le hanno sbagliate tutte, mi sono ricordato che fino al 1969 si poteva accedere alla facoltà di giurisprudenza (e ovviamente di lettere) solo con la maturità classica. Ora, non penso certo che sia l’unica causa, ma Felice Ippolito, Adriano Buzzati Traverso o Antonio Ruberti scrivevano che in Italia non si riusciva a trovare nei leader politici, parlamentari, imprenditori e banchieri qualcuno che capisse l’importanza della cultura e della ricerca scientifica per la crescita economica e civile del paese. Non penso si possa additare tutto alla cultura cattolica, anche perché fino a metà anni Sessanta diversi ministri e dirigenti di area democristiana erano sensibili ai problemi della politica della scienza. Molto più di politici e dirigenti comunisti e socialisti. Non ho le prove, ma ipotizzo che proprio a causa del deficit di cultura scientifica presso le élites di questo paese il Parlamento italiano abbia votato cose incredibili, come la sperimentazione della terapia Di Bella, la messa al bando della ricerca sugli Ogm, la legge 40, etc. E cosa dire delle sentenze di giudici basate su credenze pseudoscientifiche? Vogliamo discutere delle idee sulla natura del diritto e della legge che sono state insegnate nelle facoltà di giurisprudenza, così smettiamo di meravigliarci per certe disfunzioni della giustizia in Italia?

Fino ai tempi di Togliatti e De Gasperi forse era abbastanza indifferente se i politici avessero o meno una cultura scientifica, ma non scordiamoci per favore cosa scrivevano Croce, Gentile e il 90% dei filosofi italiani sulla scienza, dopo l’ubriacatura di positivismo che aveva interessato anche l’Italia nei decenni a cavallo del 1900, e che aveva portato in parlamento decine di scienziati, concepito alcune leggi sanitarie molto avanzate e portato alla creazione di enti di ricerca come il CNR. Da mezzo secolo almeno però non è più indifferente. Lo stucchevole clima anti-intellettualistico, ma soprattutto anti-empirico che oggi caratterizza per esempio la logorrea populista e complottista, è figlio delle amenità e insensatezze relativiste che hanno infettato soprattutto l’ambiente culturale di sinistra.

E poi, è vero che gli scienziati creativi hanno molto spesso anche una solida cultura umanistica, e conoscono a livello quasi specialistico soprattutto arti visive o musica. Ma probabilmente sanno apprezzare la cultura umanistica anche perché sono creativi e scienziati.

Il fatto è che troppi umanisti non sanno niente di scienza, e questo avrebbe poca importanza se non giudicassero questa lacuna o irrilevante o un merito. Questo non c’entra col saper tradurre dal greco e dal latino, ma se queste capacità sono rinforzate socialmente si crede di possedere gli strumenti migliori per capire il mondo e si assume un tipico atteggiamento di disimpegno di fronte ai propri limiti rispetto ad altri contenuti culturali.

Negli ultimi trenta o quaranta anni è stata pubblicata una montagna di ricerca empirica su come si sviluppa l’epistemologia personale, cosa credono le persone sulla natura della conoscenza, e quando o come cambiano queste credenze, fino ad accedere al piano del pensiero critico; cioè a fare ragionamenti valutativi e ad accorgersi dei bias cognitivi ed emotivi che ostacolano una comprensione pertinente dei fatti e degli argomenti. Esistono persino studi su quanti laureati nelle prestigiose università dell’Ivy League sono in grado di capire quella ventina di idee chiave senza le quali mancano gli strumenti cognitivi per apprezzare criticamente il funzionamento delle società moderne. Il filosofo morale e psicologo dell’intelligenza James Flynn ha condotto lo studio e ha scritto un libro in merito: Osa pensare (Mondadori 2013). Prima di stracciarci pubblicamente le vesti per le sorti del liceo classico, proviamo discutere di questi fatti.

Tra queste idee chiave ci sono la fallacia naturalistica, il sillogismo pratico, la legge della domanda e dell’offerta, l’effetto placebo, il gruppo controllo, etc. Personalmente, ad esempio, penso che sia un handicap cognitivo grave e che non si dovrebbe uscire da una qualunque maturità senza sapere cosa è e come funziona un trial clinico.

Per la discussione in corso giudico istruttivo un dibattito grosso modo analogo che si svolse negli anni Trenta negli Stati Uniti. Tra le due guerre in quel paese ferveva una discussione accesa sulle basi culturali della democrazia e quali fossero i fattori che potevano esporre quel paese agli stessi rischi di totalitarismo che stavano spazzando via le libertà in tre quarti dell’Europa. Nel 1936 il filosofo dell’educazione Robert Maynard Hutchins, che presiedeva la Chicago University, pubblicava un libro intitolato The higher learning in America, dove sosteneva che l’università americana era diventata anti-intellettualistica a causa di un’istruzione naturalistica e scientifica che aveva alimentato lo scetticismo. A questa deriva, contrapponeva la superiore saggezza della metafisica e degli studi classici. A suo dire, anche «le scienze naturali derivano i loro principi dalla filosofia della natura, che a sua volta dipende dalla metafisica». Un tesi che molti filosofi ripetono, ma più per sentirsi utili che non perché possano provarla. Per Hutchins il naturalismo scientifico produceva confusione sociale, in quanto affetto da presentismo e scientismo, e in ultima istanza portava al totalitarismo. E qualcuno ci crede ancora, se usa il termine “scientista” come un insulto.

L’anno successivo il filosofo John Dewey commentava criticamente le tesi di Hutchins sulla rivista «The Social Frontiers» e tra i due si accendeva un confronto che illustrava l’incomunicabilità tra quei punti di vista circa il genere di istruzione utile per allevare i cittadini più adatti per il buon funzionamento della democrazia. Una sintesi delle tesi di Dewey si può leggere in un appassionato e bellissimo saggio del 1942, intitolato Anti-naturalism in extremis, dove il filosofo contesta puntualmente che il naturalismo scientifico fosse stato all’origine delle degenerazioni sociali e politiche che avevano prodotto i totalitarismi, argomentando che in realtà la condizione umana era di molto peggiore quando non c’era la scienza e dominavano le credenze metafisiche e religiose.

Una cosa che Dewey dimenticava è che noi non ereditiamo quello che impariamo, e non teneva conto che veniamo al mondo con centinaia di bias che erano funzionali per farci sopravvivere nel mondo preistorico, ma che non aiutano a capire come e perché il mercato, lo stato di diritto, lo scetticismo scientifico, etc. hanno prodotto società migliori. Questo vuol dire che siamo naturalmente predisposti per apprezzare gli intrattenimenti televisivi dove si mettono a discutere di fatti persone che conoscono ciò di cui stanno parlando con altre che possono solo giudicare impressionisticamente e ragionando in modi esagitati. E siamo predisposti per coltivare credenze contraddittorie (dissonanza cognitiva) e per negare le prove che dispiacciono al nostro sistema limbico.

Se esce quasi un libro al mese che illustra con numeri e fatti tutto quello che più apprezziamo, inclusa la possibilità di fare studi classici, lo dobbiamo all’impatto cognitivo e morale del pensiero scientifico, cioè critico.

Non vorrei essere frainteso. Tradurre dal greco e dal latino è un esercizio intellettuale molto sano. Come tradurre in generale. È un procedimento empirico, e alcuni filosofi hanno paragonato il lavoro ermeneutico con la procedura falsificazionista che usano gli scienziati. Popper però non penso che sarebbe stato d’accordo, avendo scritto anch’egli che una cultura umanistico-letteraria non aiuta da sola a capire la natura e il posto della scienza nell’evoluzione culturale umana.

Un po’ di umiltà e senso della misura non farebbe male a noi umanisti. Perché progettare un nuovo vaccino, un algoritmo in grado di apprendere, un esperimento per stabilire se sia la molecola X o quella Y a causare l’effetto Z, e a quali condizioni, etc. non è cosa banale. Non è di sicuro più facile che tradurre Cicerone o leggere il Parmenide di Platone e la Metafisica di Aristotele. Altrimenti si sta con quel tale decisamente sopravvalutato, il quale diceva che la «tecnica non pensa» (Heidegger), ma che guarda caso (e non per caso) era anche un po’ nazista.

Anche l’idea che gli studi classici e umanistici rendano saggi è discutibile. E comunque le società moderne progrediscono, e migliorano le persone, perché premiano l’intelligenza e non la saggezza. Perché l’idea di saggezza che emerge dagli studi classici è diversa da quella di cui parlano scrittori, filosofi o psicologi contemporanei. È intesa come una delle quattro virtù cardinali, cioè come prudenza e quindi con una forte componente legata al senso comune e all’avversione al rischio. In realtà, nella società moderne e grazie alla scienza il senso comune viene addomesticato e l’avversione al rischio governata usando i dati e la conoscenza per decidere i cambiamenti necessari da fare senza paralizzarsi e trastullarsi sacralizzando o imbalsamando l’esistente. Si pensi al dibattito in corso sul referendum costituzionale: invece di usare argomenti prudenziali o quasi terroristici contro la riforma costituzionale bisognerebbe usare l’intelligenza per cercare di capire i pro e i contro, evitando di farsi influenzare da chi fa leva sull’emotività.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-09-16/una-cultura-antiempirica-180201.shtml?uuid=ADV0woJB&cmpid=nl_domenica
6378  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Marzio BREDA. - A CIAMPI, UN GRAZIE RICONOSCENTI! inserito:: Settembre 20, 2016, 12:44:15 pm
Che programmi sta facendo?
«Presto partirò con Franca per la montagna, l’Alpe di Siusi. Rientrerò a Roma ai primi di settembre, quando sarà passata la calura che per me è divenuta insopportabile. Sarò ospite di una residenza dei militari. Il posto è fresco, stupendo, in mezzo ai boschi, non troppo in quota: sui mille metri. La casa al mare, a Santa Severa, l’ho lasciata ai figli: ormai non ci posso più andare, a quest’età. Infatti, la testa funziona ancora, ma per il resto guardi come sono messo... Capisce perché non mi piace farmi vedere?».

Su che cosa le capita di riflettere più spesso, in questo periodo?
«Sulle grandi domande che dovrebbero essere inevitabili per un uomo, laico o religioso che sia. Il che significa, per uno che abbia la mia anagrafe, non fermarsi più alle cosiddette “domande penultime”, quanto andare dritto a quelle “ultime” e definitive. Ho pudore a raccontarlo, ma mi capita sempre più di frequente di ricordare papa Wojtyla, con il quale ho avuto rapporti sfociati in una vera amicizia. Mi invitava a colazione o alla sua messa privata, in Vaticano, anche un paio di volte al mese».

Di che cosa parlavate, tra voi?
«Di tutto, della vita e della fine della vita. Quando cominciò a stare sempre peggio, un giorno mia moglie Franca, con una delle sue uscite, diciamo così, estroverse, gli disse: “Santità, prego spesso per lei”. Mi intromisi subito io, per compensare quella che mi sembrava un’esagerazione: “Santità, io la penso spesso”. E a quel punto fu lui a parlare, con i gesti. Si passò la mano sul cuore, come per farci intendere: “Io vi ho qui dentro”. Poi, al momento di accomiatarmi, aggiunsi: “Santo Padre, abbiamo la stessa età… Se lei dovesse morire prima di me, mi promette che mi verrà incontro, che verrà a prendermi, che non mi lascerà solo quando giungerà la mia ora?».

Sono pensieri molto cupi, che tendono a chiudere l’orizzonte, addirittura a inibire il futuro…
«No, sono pensieri inevitabili. C’è una stagione giusta per tutto: per studiare, per coltivare progetti, per lavorare e per combattere, ma la stagione delle battaglie per me si è conclusa. Conosce l’epistola di San Paolo a Timoteo, che io imparai al liceo dei gesuiti? “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. È proprio così che succede, nell’ultima curva dell’esistenza. Cambiano le prospettive, non si ha più la forza di resistere e... viene quasi voglia di lasciarsi andare».

Ma lei ha saputo resistere a tanti momenti di grande difficoltà. Stento a considerarla rassegnata.
«Ha ragione... ma, ripeto, c’è un tempo per ogni cosa. Vede, a metà degli anni Novanta fui colpito dal solito male alla prostata. In pochi giorni si decise l’intervento chirurgico e, una volta uscito dalla sala operatoria, il medico mi confermò la più infausta delle diagnosi. Mi spiegò che si poteva soltanto tentare qualche terapia, per vedere se, e in quale misura, avrebbe funzionato. Propose la chemio o, in alternativa, le radiazioni. “Perché non tutte e due insieme?”, ribattei io. E così fu fatto».

Quando accadeva tutto questo?
«Era la primavera del 1996 e il centrosinistra aveva appena vinto una dura competizione elettorale. Una sera mi telefonò a casa il presidente Scalfaro, affannato. “Carlo, sto per dare l’incarico di governo a Prodi, ma se tu non lo affiancherai come ministro, non ce la potrà fare. So che non stai bene, ma te lo chiedo lo stesso: te la senti di essere della partita?”. Non ci pensai più di tanto, non feci l’amletico. Mi si domandava un servizio, risposi di sì».

Nonostante i suoi guai e nonostante la pesantezza di una simile responsabilità?
«È vero, l’impegno era pesante, perché si trattava di reggere insieme i dicasteri del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica. La mattina, prima di andare al ministero in via XX Settembre, passavo in clinica per le terapie, poi un caffè e via. Mi chiudevo in ufficio fino a sera, a lavorare duro con la mia squadra, avendo davanti la sfida del risanamento dei conti pubblici per l’ingresso nell’euro e i continui viaggi a Bruxelles e nelle altre capitali europee. A volte, non sapendo se nel pomeriggio avrei potuto darmi una pausa per le iniezioni, portavo con me la fiala e facevo arrivare qualcuno dalla farmacia più vicina, in maniera di non perdere tempo...».

Tutto questo non si sapeva...
«Non era il caso di farlo sapere, magari per costruirmi un alone eroico. Ci fu qualche indiscrezione, soprattutto nei primi mesi. Ma il mio stesso attivismo, la mia reazione (che forse dipendeva anche dal carattere livornese) mise a tacere chi, evocando quella malattia, puntava a indicarmi come inabile a qualsiasi progetto pubblico, ad azzopparmi insomma».

Le succede qualche volta di ricordare il periodo del Quirinale?
«Ripenso a tanti diversi periodi della vita. A quello da presidente, certo, che fu bellissimo e impegnativo. Ma anche ad altri tempi lontani, perché in noi vecchi si riaccende la memoria remota. Riaffiorano ricordi dell’infanzia o risonanze di quand’ero studente alla Normale di Pisa e sgobbavo sui libri e scoprivo certe pagine immortali. L’altra sera, ad esempio, mi è tornato in mente un autore che mi segnò molto, il Kant che chiude la “Critica della ragion pratica” con quella famosa presa di coscienza della specificità umana nell’armonia con l’universo e, insomma, della consapevolezza di quanto è giusto e quanto no, che in qualche modo riassume la sua stessa filosofia: “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”... Ecco, mi vengono in mente cose così, insieme ai volti di tanti compagni di strada che ho perduto».

I volti di chi, per esempio?
«Di Antonio Maccanico, tra gli ultimi. Mi veniva sempre a trovare, qui, nel mio studio, finché ha potuto».

Chi altri incontra o sente?
«Come può capire faccio vita ritiratissima. Leggo le lettere e gli inviti che ancora mi arrivano e detto alle segretarie le risposte. Ricevo qualche amico, come lei, e guardo un po’ la tv, anche se stento a trovare programmi in grado d’interessarmi. E certo, seguo sempre la politica e spero in tante cose per l’Italia... Ma poi, cosa vuole? Sono nonno e bisnonno, quindi mi rende felice soprattutto vedere i miei nipoti che crescono pieni di curiosità ed energia, di voglia di esplorare il mondo».

Marzio Breda

Da - http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=57dd1703d7809
6379  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / DOMENICO QUIRICO Una giungla di antenne del Kgb: così l’Urss spiava mezza Italia inserito:: Settembre 20, 2016, 12:34:53 pm
Una giungla di antenne del Kgb: così l’Urss spiava mezza Italia
I documenti sottratti dall’archivista sovietico resi pubblici a Londra
Intercettate le comunicazioni di politici, militari e anche magistrati
La Lubyanka, il palazzo che ha ospitato a Mosca il Kgb, i servizi segreti russi sospettati dell’omicidio di Alexander Litvinienko

18/09/2016 
Domenico Quirico

Chissà se Vladimir Aleksandrovic Krjuckov ha distribuito, nel 1976 medaglie e premi per il successo dell’operazione «Start» a Roma. L’onnipotente responsabile del Primo Direttorato Centrale, il capo del Kgb insomma, forse considerò quel capolavoro dei suoi uomini in Italia attività «normale». Aveva un brutto carattere Krjuckov: già, preferiva, lui, i bassopiani della guerra continua agli altopiani della pace. I rapporti che gli raccontavano in presa diretta tutti i segreti d’Italia, perfino le conversazioni private tra i giudici del principale tribunale del Paese, li scorreva con la eterna espressione dura e decisa, con gli angoli della bocca rivolti verso il basso, da tartaro senza sorriso. Il fedelissimo di Andropov, che aveva sollevato sconforto abolendo il mobile bar dall’arredamento e le bicchierate in onore degli ufficiali che andavano a spiare all’estero, sapeva che i sorrisi con gli americani erano commedia, commedia politica e diplomatica. Sì. Nel 1973 era stato firmato il primo degli accordi Salt sul disarmo. Ma la guerra continuava: per lui l’America restava «il Nemico principale». Come diceva benissimo il compagno Breznev «la distensione non alterava le leggi della lotta di classe». 

Semplice e geniale 
Ebbene l’operazione Start fu davvero un capolavoro, un capolavoro di creatività spionistica. Pensate! Piazzare antenne, banalissime, insospettabili antenne nei luoghi chiave di un Paese per ascoltare le conversazioni militari, politiche e giudiziarie, l’intera equazione dei Poteri. Una antenna ad esempio a piazzale Clodio, sede del tribunale di Roma; e poi ad Acilia per affatturare tecnicamente i cavi dell’Italcalble utilizzati allora dalla Marina per le comunicazioni; e alla base di monte Cavo. Questa ingegneria spionistica si deposita, non bisogna dimenticarlo, in metabolismi politico terroristici furibondi, sono gli anni delle invelenite sanguinose e opacissime trame delle Brigate rosse. Con piste e orme che portano a burattinai quanto meno di Oltrecortina. 

Un romanzo di spionaggio? Niente affatto: verità. E qui bisogna parlare degli archivi. Gli archivi sono miniere, filoni d’oro in cui, se riesci a trovare la vena, puoi riportare in superficie straordinari tesori. Ad esempio: gli archivi intitolati a Churchill all’Università di Cambridge, (luogo tra l’altro assonante con lo spionaggio visto che era uno dei maggiori centri di assunzione del Kgb che non lesinava nella compera delle spie). È lì che i servizi segreti di Sua Maestà hanno da poco depositato tutti i file con i segreti del Maggiore-archivista presso il deposito centrale di documentazione operativa del Kgb per lo spionaggio esterno Vassili Mitrokhin. Ancora archivi, come si vede, perché i regimi governano, reprimono: ma soprattutto scrivono. Figura archetipa dello sconquasso dell’Unione Sovietica giunta alla eutanasia, nell’ufficio di Balashika vicino a Mosca, Mitrokhin, nel 1992, cercava un cliente per il suo tradimento. Gli americani forse convinti del collasso definitivo dell’Arcinemico lo delusero. Costringendolo a ripiegare sulla Gran Bretagna. Non sapevano a Washington che per anni, fino all’85, nascondendolo nelle scarpe, aveva portato a casa, copiato su bigliettini, il lavoro di ufficio ovvero tutti i segreti dello spionaggio di Mosca. Che si estendevano anche all’Italia con nomi purtroppo in codice più o meno fantasiosi di infiltrati e collaborazionisti. Della operazione Start a Roma parlò per primo un consulente della immancabile Commissione bicamerale di inchiesta istituita per lo scandalo, reclutato alla Università di Stanford, Mario Scaramella, che per decifrare i segreti di Mitrokhin aveva arruolato una squadra con ex ufficiali della Cia e dell’MI6 e defezionisti russi tra cui l’ex capo dell’antiterrorismo dell’Fsb colonnello Alexander Litvinienko. Poi eliminato dai russi con una dose di polonio radioattivo che contaminò anche Scaramella. All’audizione davanti alla Commissione di inchiesta della Alta Corte inglese, e poi al processo italiano (perché nel frattempo è stato retrocesso da responsabile per le indagini all’estero della commissione a una sorta di agente provocatore), cita invano l’esistenza dei documenti sulle antenne di Roma come prova, tra le altre, della validità della sua attività investigativa. La operazione Start restò per l’Italia «una fantasia». 

Le parti mancanti 
A provarlo soccorreva un altro elemento: il materiale di Mitrokhin venne trasferito dai servizi inglesi a quelli italiani prima nel 1995 e poi dopo un’intesa tra Berlusconi e Blair di nuovo nel 2005. Tra i file consegnati dai Servizi alla procura di Roma e alla commissione di inchiesta quelli sulle antenne spia romane non c’erano. Fine della (falsa) storia dunque.

Dieci anni dopo il dossier 251 spunta all’Università di Cambridge, disponibili per qualsiasi consultazione. 

Leggiamo dunque, dal cirillico dattiloscritto con preziose annotazioni a mano dello stesso Mitrokhin che in stile burocratico essicca ogni pathos ma fissa bene i particolari.

«…Pagina 114/punto 316 Start postazione radio per l’ascolto clandestino di comunicazioni in Roma, tutto il personale consiste in 5 agenti più un ingegnere radio e quattro operatori, tutti gli operatori sono donne divenute mogli di agenti del Kgb, ogni operatore ha lavorato al suo posto di ascolto per 20 ore alla settimana, la postazione funzionava 5 giorni alla settimana e lavorava circa sedici ore al giorno dalle sette del mattino alle 11 della sera e in caso di necessità per 18 o 19 ore dalle 6,30 del mattino e a volte funzionava il sabato e in giorni festivi…». 

Mentre dunque gli americani spendevano milioni di dollari per spedire sottomarini con sofisticate apparecchiature nel Mar di Barents per connettersi ai cavi sottomarini sovietici, i russi di Krjuckov con poche migliaia di dollari e un manipolo di affaccendate e infaticabili signore del Kgb accumulavano cassette su cassette con tutti i segreti d’Italia.

Ancora: «Pagina 115 punto 317 Start è una postazione di ascolto radio, di acquisizione di informazioni in Roma che è stata istituita e organizzata con l’obiettivo di ricercare canali di informazioni, di raccogliere e organizzare informazioni di valore relative a varie operazioni del Kgb, nel 1976 ci sono state verifiche ed indagini sul funzionamento nel distretto di Roma e una operazione per installare degli apparati che somigliassero ad antenne e le prime verifiche hanno riguardato gli edifici della Ambasciata sovietica a Roma. Ovvero le postazioni fisse e permanenti localizzate negli edifici denominati Abamelik. I vari tipi di antenne e i sistemi sono stati verificati e il risultato è che molti apparati e canali di comunicazioni riguardavano le direttrici fra Roma, Pisa e Milano, cassette radio sono state utilizzate e 248 audiocassette con nastro magnetico sono state raccolte e sbobinate nel 1976. Il che ha costituito il punto di svolta con la creazione di ulteriori 18 nuove postazioni destinate a cercare informazioni e 37 messaggi segreti sono stati raccolti da cinque cavi telefonici denominati Ytk, ben noti…». 

«…Punto 318 la residenza romana del Kgb ha deciso di effettuare sopralluoghi visivi e fotografici… Sopralluoghi nelle seguenti città italiane di Acilia, Tenuta, Rocca Priora, per la zona Sud di Roma, Palo per l’Ovest di Roma e Fogliano, Morlupo, San Pancrazio per il Nord di Roma e il sopralluogo ha verificato che fosse rispettata la qualità delle informazioni ritrasmesse dalle antenne e delle radio localizzate nel distretto di Roma…».   

«…Altri nomi di luoghi dove erano installati punti di ascolto a Roma erano Inviolatella (parco a Roma Nord), Monte Mario (sopra il tribunale) e piazzale Clodio (sede del tribunale). 

«…Punto 319 postazioni radio di riascolto Start Kgb residenza in Roma, la presenza di centri operativi internazionali in questo Paese, soprattutto l’importanza del centro di Acilia ha evidenziato l’importanza dell’Italia nel sistema delle comunicazioni globali e ricopre tutti i tipi di connessioni via cavo, connessioni via reti di antenne, via radiofrequenze e Rrls e di altro tipo nei distretti fra Milano e Roma attraverso la città di Firenze. Sistemi di controllo sono stati da noi collocati anche nei distretti fra Milano e Roma attraverso la città di Pisa, sei punti di raccolta informazioni sono localizzati e controllati nel distretto fra Roma e Napoli come in altre parti del Sud Italia, nel distretto di Roma Inviolatella e del Monte Faito (o Faete) ci sono 7 posti di raccolta informazioni con antenne di differente diametro di portata di ascolto, localizzati e controllati».   

Pagina 128 paragrafo 351 «l’Ambasciatore Urss in Roma di nome Maltseev ha acconsentito alla installazione di una nuova postazione denominata Start 2 nell’edificio localizzato nella Grande Villa Balshaia e ha accettato che l’installazione sia posizionata sulla cima della stanza di soggiorno…».

 Il valore politico 
Tutto questo materiale ha un valore semplicemente storico? Sono passati quarant’anni e l’Urss è defunta, in fondo. Forse no, visto che il New York Times e la tv israeliana nei giorni scorsi, proprio con i file del Churchil Archive, hanno scatenato un putiferio politico svelando che tra i nomi sbianchettati c’era quello di Abu Mazen, ex agente a libro paga a Damasco. Per quanto riguarda l’operazione Start i documenti Mitrockin si fermavano all’85 e non comprendevano le operazioni ancora «in corso». Dunque potrebbe esserci a tutt’oggi un Start numero 20 o 30 visto che gli eredi del Kgb non si sono certo rassegnati a letarghi domenicali.   

E resta soprattutto aperta la domanda su chi e perché nascose questi documenti alla magistratura e al Parlamento. E qui i misteri non sono più russi ma italiani.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/09/18/esteri/una-giungla-di-antenne-del-kgb-cos-lurss-spiava-mezza-italia-JfkM1f1R1uUCjaTYOZI9yK/pagina.html
6380  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Walter Veltroni- Ciampi è stato davvero un grande italiano inserito:: Settembre 20, 2016, 12:32:41 pm
Walter Veltroni   
@veltroniwalter
· 18 settembre 2016

Un uomo della nostra storia
Uomo onesto e competente, innamorato delle istituzioni e della verità, Ciampi è stato davvero un grande italiano

In questo anno sono andati via Umberto Eco, Ettore Scola, Carlo Azeglio Ciampi. Se l’Italia avesse le lacrime avrebbe tutto il diritto di piangere. E il nostro paese ha diritto, guardando il panorama culturale e politico, di sentirsi più povero. Ha perso le parole di queste persone intelligenti. Ha perso il loro stile, la loro eleganza, la moralità di uomini che hanno fatto grande il nostro nome nel mondo. Ha perso, non è cosa da poco, il loro sorriso, il loro senso dell’umorismo, la loro curiosità. Ma erano figli di questo grande paese e, fatemelo dire, solo l’Italia – con la sua storia, il suo talento, il suo dolore – poteva generare persone così.

Sono stati figli di una grandezza culturale e di un Dna nazionale fatto di talento e competenza. Ogni italiano sa quello che Carlo Azeglio Ciampi ha fatto per il paese. Quando, soldato, difendeva la patria mentre i potenti se la davano a gambe. Quando, da Governatore della Banca d’Italia, contribuì a salvare la lira e l’economia italiana. Quando accettò il passaggio a compiti politico istituzionali, da presidente del consiglio nell’Italia terremotata del post Tangentopoli, capace di definire, con la concertazione, una nuova politica dei redditi.

Poi quando fu ministro dell’economia del governo Prodi e protagonista della difficile sterzata della finanza pubblica, operata secondo principi di equità sociale e di sostegno espansivo a ciò che, come la cultura, era segno forte e unico dell’identità italiana. Fino al tempo della sua presidenza della Repubblica, quando fronteggiò con grande saggezza una situazione politica difficile.

Ciampi, con la sua mitezza forte, fece una grande rivoluzione culturale, accompagnò gli italiani nella riscoperta della parola «Patria». La parola che avevano sulle labbra i protagonisti e i martiri della Resistenza, la parola che, per ragioni ideologiche, era sparita dal tempo successivo nel quale, per combattere il nazionalismo, si smise di considerare il valore della nazione e della sua identità. Ciampi era un italiano orgoglioso di esserlo, un maestro di «Italia» per gli italiani e, al tempo stesso, un convinto europeista.

L’Europa vera, quella che era negli auspici del manifesto di Ventotene, quella sognata nel fuoco di una guerra che insanguinava il continente. Ciampi era espressione, a suo modo, di una cultura azionista, purtroppo mai maggioritaria nel nostro Paese. Quella cultura che faceva del rispetto delle regole, dell’etica pubblica, della prevalenza dell’interesse generale su quello di parte il suo fulcro centrale.

Carlo Azeglio Ciampi che, insieme a Prodi, accompagnò il nostro paese all’appuntamento dell’euro che, prima del governo dell’Ulivo, sembrava una chimera o una pia illusione ha dimostrato che si possono avere, nella vita, più identità.

Si può rivendicare, con la stessa forza, di essere figli della storia, dalla cultura e del talento italiano e di appartenere alla civiltà europea, alla cultura della libertà e della democrazia che questo continente, al prezzo del suo sangue, ha affermato come sua forma di convivenza.

Uomo onesto e competente, innamorato delle istituzioni e della verità, Ciampi è stato davvero un grande italiano. Ed era, non per caso, un uomo ricco di curiosità e dolcezza.

Mi parve di capirlo la prima volta che entrai nella sua casa e vidi il rapporto speciale che aveva con Franca, la cui intelligenza e il cui umorismo sono stati cemento per la splendida vita d’amore e di solidarietà che loro due hanno trascorso, sempre insieme. Non abbiamo mai smesso di sentirci e lui, pur con le difficoltà della sua età, non ha mai smesso di esserci.

Ora a me, come a tutti gli italiani, mancherà. Ma possiamo, come figli col padre, essere davvero fieri di lui.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/un-uomo-della-nostra-storia/
6381  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / MATTEO RENZI sta studiando da statista lasciamolo in pace. Non ce ne sono altri. inserito:: Settembre 20, 2016, 10:55:31 am
Lunedì 19 settembre 2016
Enews 443
   
Vi scrivo da New York dove oggi e domani partecipo all'annuale Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Sui social (qui Facebook, qui Twitter, qui Instagram) vi terrò informati su questa riunione che sarà l'ultima del segretario Ban Ki Moon e del Presidente Obama. Sarò in Italia da mercoledì mattina, a Milano per parlare di moda, industria 4.0, innovazione.

Fedele all'impegno: "Scrivi meno!", vi evito la lunga carrellata di cose fatte in questa settimana, da Cuneo a Caserta, da Battipaglia a Modena, da Bologna a Milano. È stata una settimana ricca di momenti molto belli sotto il profilo umano, a cominciare dalla Conferenza Nazionale sulla disabilità e dagli incontri con i ragazzi delle scuole. Ma non sono mancate le notizie tristi, penso alla scomparsa del Presidente Carlo Azeglio Ciampi, che voglio ricordare come uno degli uomini che ci ha riportato ad amare la parola Patria e il tricolore.

    Chi è interessato a saperne di più sulla settimana può cliccare su questo video: due minuti e vi evitate un papiro di due pagine. D'ora in poi cercheremo di raccontare la settimana in modo più semplice del passato: cliccare per credere!
    Chi invece è più interessato alla lettura politica della situazione qui trova una intervista al Corriere della Sera di ieri, domenica. Leggo volentieri i vostri commenti: matteo@governo.it

1. Ricostruzione e Casa Italia
È passato ormai quasi un mese dal terremoto di Amatrice, Accumoli, Arquata. Ho promesso agli abitanti che non li avremmo dimenticati. E adesso che i riflettori dei media, fisiologicamente, si abbassano, ecco adesso tocca a noi.
Venerdì con il commissario Errani presenteremo gli interventi per la ricostruzione.
E sul grande progetto "CASA ITALIA" stiamo andando avanti. Ho detto ai sindaci di tutta Italia, da San Tammaro a Bagnolo Piemonte di intervenire sulle scuole e sugli asili. Tutto ciò che serve a tenere al sicuro i nostri figli vale più di qualsiasi regola burocratica. Ma i lavori devono essere fatti bene, seguendo la filosofia del recupero, con l'attenzione a ogni centesimo come fossero i lavori di casa nostra. Perché la scuola è casa nostra, è Casa Italia. E rinnovo l'appello a tutti, forze politiche, sindacati, associazioni dei professionisti, mondo ambientalista, costruttori: litighiamo su tutto, ma non su questo. Il Governo vuole fare di Casa Italia un grande piano di prevenzione e rammendo del nostro meraviglioso Paese: durerà anni, ma questo non è un buon motivo per non iniziare, anzi lo è per iniziare subito, tutti insieme. Il primo piano strategico di prevenzione, senza ansie elettorali ma guardando al futuro dei nostri figli: che sia #lavoltabuona anche per questo, nessuno si senta escluso.
2. L'Unione Europea verso Roma 2017
Il vertice europeo di Bratislava non ha prodotto grandi risultati. Dovevamo rilanciare dopo lo shock della Brexit, ma la montagna - per il momento - ha partorito il topolino. Chi ha letto l'intervista al Corriere che ho linkato sopra conosce i dettagli della posizione italiana. L'unico impegno concreto è stato confermare il cammino che avevamo immaginato a Ventotene, che porterà a Roma, nel marzo 2017, per la cerimonia della firma dei 60 anni dell'Unione Europea e per il rilancio dell'ideale continentale. Toccherà al Governo Italiano giocarsi questi sei mesi, decisivi, lanciando proposte concrete.
Sogno un'Europa che torni a innovare, a crescere, a essere dinamica e attrattiva. Non solo l'Europa delle burocrazie e dei vertici dei capi di governo.

Ho fatto due esempi ai colleghi degli altri Paesi.
    Sulla politica economica bisogna riconoscere che Obama e l'America hanno fatto bene e che l'UE ha sbagliato direzione. Oggi è un dovere rilanciare sui giovani, sugli investimenti pubblici e privati non solo sull'austerity; sull'Europa sociale e non solo sull'Europa finanziaria. Dalle infrastrutture digitali alla ricerca l'Europa deve avere una strategia, non solo un insieme di regole che ognuno interpreta come vuole, dalle tasse al patto di stabilità.

    Sull'immigrazione bisogna intervenire in Africa come l'Italia ha proposto, illustrato, spiegato nel dettaglio. Non si possono piangere calde lacrime quando un barcone affonda o viceversa chiudere le frontiere quando la gente scappa dalla fame o dalla guerra. Bisogna intervenire a monte. Per il momento abbiamo visto tante interviste e pochi fatti concreti.

Se in nome di regole burocratiche astruse, qualcuno vuole impedire all'Italia di mettere a posto le scuole con gli interventi antisismici come pensate che possa reagire una famiglia normale? Semplice: darà la colpa all'Europa della propria paura per i figli. Odierà l'Europa considerata responsabile di tutto. Poi non ci stupiamo se crescono ovunque i movimenti populisti e demagoghi. Non puoi fare allo stesso tempo le condoglianze per Amatrice e poi bloccare gli interventi antisismici in nome del patto di stabilità. L'alternativa all'antipolitica è il buon senso, non la burocrazia.
Ho parlato chiaro senza mandarle a dire dietro, altrimenti i vertici diventano solo parate scenografiche, gite fuori porta. E siccome rappresento l'Italia, uno dei Paesi fondatori, uno dei Paesi che più dona soldi alle istituzioni europee, ho il dovere - non il diritto, il dovere - di difendere l'interesse nazionale. Io credo all'Europa come alla più grande scommessa della storia delle istituzioni. Ma credere all'Europa non significa ignorare l'interesse nazionale. Anzi.

3. Basta un sì, il vostro sì

La settimana prossima - come previsto dalla Legge - il Consiglio dei Ministri fisserà la data del referendum. Sono molto contento del fatto che il clima sia cambiato, finalmente, anche dopo alcuni confronti civili di questi giorni. Nessuno parla più di attentati alla democrazia e finalmente la discussione sta entrando nel merito. Il referendum sarà una scelta secca tra chi voterà SI' perché vuole cambiare il bicameralismo paritario, ridurre il numero dei parlamentari, ridurre i costi della politica, sopprimere il CNEL e cambiare il rapporto Stato-Regioni e chi voterà NO perché vuole lasciare le cose come sono adesso. Sono due posizioni ugualmente legittime ma è giusto fare chiarezza: chi vota NO non costruisce una riforma diversa, si tiene il sistema di oggi. E io penso che l'Italia per competere a livello globale, ma anche per dare risposte più incisive alle crisi di questo tempo, abbia bisogno di essere più semplice e più agile.

La settimana prossima partirà dunque il conto alla rovescia.
È fondamentale che chi crede alla possibilità di cambiare l'Italia ci dia una mano. Sarà una sfida da vincere porta a porta perché tutti i sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani ancora non è informata sul vero contenuto del referendum. Ecco perché chiedo il vostro aiuto, decisivo come mai in passato. Vi chiedo di organizzare i comitati (www.bastaunsi.it), di darci una mano tra i volontari, sui luoghi di lavoro. Il dibattito non è sulla legge elettorale, non è sulla durata della legislatura, non è sui poteri del premier. È più banalmente una possibilità concreta di rendere il nostro Paese più semplice, riducendo il numero dei politici (ecco perché gli altri reagiscono così arrabbiati!) e aumentando il livello della buona politica.

Siamo a quota 4.000 comitati, oltre 110.000 euro raccolti, migliaia di cittadini hanno dato la disponibilità a dare una mano con i propri amici, in famiglia, al lavoro: il più grande tam-tam mai realizzato. Non è un caso che noi abbiamo raccolto mezzo milione di firme e i nostri amici del No non ce l'abbiano fatta. Perché dire Sì significa scommettere sulla speranza e sulla proposta, non sulla rabbia e sulla protesta. Dire Sì è più difficile, ma più bello. Chi vota sì, cambia l'Italia. Chi vota no, lascia le cose come sono. Ce la date una mano? Vi aspetto sulla piattaforma degli attivisti digitali. L'email è comitati@bastaunsi.it.

Pensierino della Sera. Si sono chiuse le Paralimpiadi. Il Governo le ha salutate con questo video. Voglio scrivere qui i nomi delle medaglie italiane. I nomi: Alberto, Alex, Alvise, Amine, Andreea, Andrea, Arjola, Assunta, Bebe, Cecilia, Efrem, Elisabetta, Fabio, Federico, Federico, Francesca, Francesco, Francesco, Giada, Giancarlo, Giovanni, Giulia, Loredana, Luca, Martina, Michele, Monica, Oney, Paolo, Roberto, Vincenzo, Vittorio.

Alex Zanardi è un mito e lo sappiamo. Ero agli scout quando gli accadde il terribile incidente e ancora ricordo alcuni dibattiti in clan dopo che avevamo suggerito ai ragazzi di leggere il suo libro "...Però, Zanardi da Castelmaggiore". Ma tutti questi nostri connazionali hanno storie che ci rendono orgogliosi.
Leggete ad esempio questa intervista alla diciannovenne Bebe Vio e guardate il suo video), pieno di entusiasmo, passione, gioia per la vita.
Sono semplicemente felice di essere connazionale di queste persone. Grazie Alex, grazie Bebe, grazie tutti per averci emozionato con la vostra forza esplosiva, la vostra delicata tenacia. Viva l'Italia!

Un sorriso,
Matteo
www.bastaunsi.it

Da - https://mail.google.com
6382  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Prodi: “Noi due assieme al governo con un solo obiettivo: l’Europa” inserito:: Settembre 17, 2016, 10:56:35 am
Prodi: “Noi due assieme al governo con un solo obiettivo: l’Europa”
L’ex premier: “Mi aiutò tanto in un momento difficile. Non imponeva mai la sua autorità, lui persuadeva”
Era il primo gennaio 2002 quando la nuova moneta dell’Unione Europea fece il suo esordio. In qualità di presidente della Repubblica, ma anche da ministro del governo Prodi, Ciampi fu uno dei principali fautori di questo storico cambiamento


17/09/2016
Stefano Lepri
Roma

Presidente Prodi, Carlo Azeglio Ciampi era il suo ministro del Tesoro quando avete deciso di imporre agli italiani una tassa speciale per entrare nell’euro. Ci racconti come andò. 

«Fu Ciampi a definire la quantità di risorse che occorreva raccogliere se volevamo farcela. Mettergli il nome “eurotassa” fu una idea mia, lui era meno propenso a usare termini così esplicativi. Il contenuto della misura ovviamente fu condiviso: c’era allora, autunno 1996, il sentire che l’Europa fosse il nostro comune destino».

Oggi, a vent’anni di distanza, quel clima pare lontanissimo. Il 60% dell’eurotassa fu restituito negli anni successivi, ma su Internet circola indisturbata la bufala che non lo fu. 

«Eh già, oggi non è più cosa… Mentre allora c’era una concordia nazionale, la avvertivamo, su quell’obiettivo di entrare nell’euro, di far parte dell’Europa a pieno titolo. Anche le opposizioni di allora lo condividevano».

Ciampi aveva fatto fare sondaggi di opinione riservati: favorevoli anche a un sacrificio aggiuntivo come quello dell’eurotassa. 

«L’euro era la ragion d’essere di quel governo. Anzi, la forza del nostro governo stava proprio nell’avere quell’obiettivo».

 In più sostenuto da un ministro del Tesoro eccezionalmente autorevole, come Ciampi. 

«Ricordo appunto un certo mio imbarazzo quando gli telefonai per chiedergli di far parte del governo. C’erano già affetto e stima reciproca, ma lui era assai più anziano di me ed era già stato presidente del Consiglio. Dovevo chiedergli di scendere un gradino, di fare un sacrificio. Fu subito disponibile, e poi conquistò tutti con la sua carica umana. Non lo potrò mai dimenticare. Anche per questo mi pesa tanto la sua perdita. Ci aiutò tantissimo, in quel momento difficile».

 Come era nei consigli dei ministri? 

«Mai che cercasse di imporre la sua autorità: lui persuadeva. Discuteva a fondo con tutti, senza stancarsi, ragionando. Erano riunioni anche molto lunghe. Ovviamente le preparavamo prima, a fondo, noi due con i nostri collaboratori, mettendo a posto le cifre; un modo di lavorare credo assai diverso da quello di oggi. Non ricordo mai riunioni drammatiche, neanche più tardi, quando Rifondazione comunista voleva che il governo cadesse».

 Però nei primi mesi, secondo una versione diffusa, non foste completamente d’accordo. Nell’estate del 1996 Ciampi voleva l’ingresso immediato nell’euro, lei esplorava se fosse possibile un percorso più graduale. Poi la svolta, dopo il vertice di settembre con la Spagna a Valencia. 

«No, è falso. La voce di uno sfasamento tra noi nacque dalla furbata dell’allora primo ministro spagnolo, José Maria Aznar, che per farsi bello, per fare l’“hidalgo”, disse che io esitavo. Ma ci sono i documenti. Fin dalla prima riunione del nostro governo, dal primo giorno, l’obiettivo dell’ingresso immediato nell’euro era centrale, irrinunciabile. E ci entrammo, in modo trionfale».

 Alla condizione di sottoscrivere un patto severo sul graduale azzeramento dei deficit pubblici che poi lei stesso, qualche anno più tardi, da presidente della Commissione europea, definì «stupido». 

«Certo. Era troppo rigido, non adattabile alle variabili esigenze del ciclo economico. Ma Ciampi ed io l’avevamo accettato sperando che si trattasse solo di un primo passo. Allora il nostro interlocutore in Germania era il cancelliere Helmut Kohl. Ricordo che ci disse: “I tedeschi non vogliono l’euro, preferirebbero tenersi il marco, ma il mio governo lo farà, perché pensiamo che sia giusto”. Gli avevo posto il problema dei limiti del Patto di stabilità, sostenendo che occorreva aggiungergli una politica economica comune».

Altrimenti l’euro resta zoppo, per usare le parole di Ciampi. 

«Sì, appunto. Kohl mi aveva risposto “vedrai che la faremo”. Poi non è andata così, sono venuti governi con altre priorità».
Il «decadimento morale» deprecato da Ciampi. E così siamo oggi a questo poco esaltante vertice di Bratislava. 

«Ciampi aveva ragione, l’Europa resta il futuro, perché gli Stati nazionali sono troppo piccoli per reggere alla globalizzazione. Sono ancora ottimista: spero che sull’orlo del baratro si riuscirà a recuperare. Altrimenti, noi europei ci ridurremo a dire, invece di “o Francia o Spagna purché se magna”, “o Stati Uniti o Cina…».

 LEGGI ANCHE - Quelle lacrime alla coniazione del primo euro (di STEFANO LEPRI) 

 LEGGI ANCHE - L’orgoglio di essere italiani: l’eredità di Ciampi (di ANTONELLA RAMPINO) 

 ARCHIVIO - L’ultima intervista a La Stampa: “In Europa decadimento morale” 
 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/09/17/italia/politica/prodi-noi-due-assieme-al-governo-con-un-solo-obiettivo-leuropa-0lZhe5bRkovwiTqewLkbnL/pagina.html
6383  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EUGENIO SCALFARI. Rifugiati, il governo fermi l'inferno del Cara di Foggia inserito:: Settembre 16, 2016, 11:45:19 pm
Rifugiati, il governo fermi l'inferno del Cara di Foggia
L’inchiesta de l’Espresso denuncia la vergogna del centro di accoglienza

Di EUGENIO SCALFARI
13 settembre 2016

SUL NOSTRO Espresso uscito domenica scorsa, insieme a molti articoli, reportage e inchieste ce n'è una che fa rabbrividire. L'autore è il nostro collega Fabrizio Gatti, il titolo dice "Sette giorni all'Inferno" e l'inchiesta si svolge in un centro di accoglienza per immigrati. Le poche parole di presentazione dicono tutto: sono entrato clandestino nel Cara di Foggia, dove mille esseri umani sono trattati come bestie e per ciascuno di loro le coop percepiscono 22 euro al giorno.

Nelle undici pagine che seguono, Gatti visita ogni stanza fingendo di essere un rifugiato di lingua inglese entrato in quel luogo d'angoscia per puro caso. Qualche volta alcuni abitanti di quell'inferno sospettano che sia un investigatore.

L'inchiesta de l'Espresso
Quelli che vivono in quel luogo sono persone di varia provenienza, per lo più africani che si dividono in diverse camarille e si disputano i cibi e i luoghi e le pochissime provvidenze che la gestione delle coop gli fornisce. Tra di loro ci sono anche donne, fanciulle, ragazzetti tra i 10 e i 12 anni che spesso vengono stuprati da gruppi di nigeriani che poi li fanno prostituire fuori dal campo.

La notte molti riescono ad uscire da quell'inferno circondato da fil di ferro e da ringhiere, con buchi che i più esperti varcano per poi ritornare dopo aver fatto sporchi giochi con controparti locali. Ai cancelli del campo la sorveglianza è compiuta da numerosi militari e agenti di polizia che però non entrano mai dentro i locali. Chi vi entra sono le persone che prestano servizio nelle coop e forniscono ai rifugiati pasti che, a quanto il nostro autore ha verificato, piacciono più ai cani randagi che entrano in massa in quel caseggiato e ai topi che ne traggono graditissimi alimenti.

Questa è la situazione. I contatti col mondo esterno sono limitati agli incaricati delle coop, i quali forniscono anche qualche medicina se vedono malati e bisognosi di soccorso. I medici naturalmente non sono mai arrivati anche quando ci sarebbe stato urgente bisogno di loro. In un brano dedicato alle porte, Gatti così scrive: "Non ci sono uscite di sicurezza. Nemmeno maniglioni antipanico. Molte porte si incastrano prima di aprirsi, il loro movimento comunque va verso l'interno. Dovevano servire a non far scappare i reclusi e a non agevolarne la fuga. Infatti se scoppia un incendio questa è una trappola".

Ma c'è dell'altro, c'è il caporalato nigeriano. "I ragazzi sono tornati ieri sera alle dieci. Hanno mangiato la pasta della mensa tenuta da parte da qualche compagno di stanza e a mezzanotte sono andati a dormire. Dopo tre ore di sonno hanno preso la bicicletta fornita dai nigeriani sfilando uno dietro l'altro per recarsi sui luoghi di lavoro. I braccianti che vivono in questo ghetto di Stato lavorano fino a 14 ore al giorno e guadagnano 16 euro, poco più di un euro all'ora e una mensa che piace soprattutto ai cani".

So bene che il nostro presidente del Consiglio ha molte cose da fare in Italia e in Europa, ma a nome dei nostri giornali, e credo di tutti i nostri lettori che tra carta e web sono oltre cinque milioni, gli chiedo di far ispezionare immediatamente quel Centro che accoglie all'Inferno un migliaio di persone e chiedo anche alla Procura di Foggia di disporre indagini sulle coop che dovrebbero gestire con competenza e amicizia quei rifugiati ed invece ignorano, direi volutamente, l'inferno che sta sotto i loro occhi.

I rifugiati devono essere assistiti con competenza e sensibilità non così. Il presidente del Consiglio disponga subito un'ispezione in quei luoghi.
© Riproduzione riservata 13 settembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/09/13/news/rifugiati_il_governo_fermi_l_inferno_del_cara_di_foggia-147661762/?ref=HRER2-1
6384  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Armando MASSARENTI - Il liceo classico è stato, ed è tuttora, una eccezionale... inserito:: Settembre 16, 2016, 11:44:09 pm
Il liceo classico è stato, ed è tuttora, una eccezionale palestra per il pensiero critico.

È, anche, il luogo privilegiato per coltivare l'idea del carattere disinteressato della cultura. Unisce dunque, idealmente, due aspetti essenziali di una buona formazione: una chiave universale di grande utilità, e il massimo del piacere che deriva dall'esperienza della pura bellezza. Forse è per questo che gli articoli di Nicola Gardini e Guido Tonelli, un umanista e uno scienziato, pubblicati due settimane fa in difesa di questa nostra gloria nazionale, hanno raccolto un ampio consenso. In questo numero torniamo sull'argomento con diversi interventi che pure sottolineano l'unità della cultura. Ma se è vero che i saperi umanistici possono aprire la strada a vocazioni scientifiche, è anche vero che la mentalità scientifica, o i metodi mutuati da essa, sono assai produttivi per lo sviluppo delle humanities.

Ne era ben consapevole Vito Volterra, il primo presidente del Cnr, di cui si parla in copertina di oggi con un articolo dell'attuale presidente del Cnr, Massimo Inguscio, che ne riprende la lezione. Nelle pagine interne su questa linea troverete altri due interventi, di Angelo Varni e di Vincenzo Fano, insieme a quello di Claudio Giunta che sottolinea - accanto agli argomenti, assai forti, ancora oggi validi per iscriversi al liceo classico - la percezione diffusa che non sia più il veicolo privilegiato per la selezione delle élite. Classe dirigente oggi lo si diventa anche per altre vie.

Allora la domanda diventa: quali sono i saperi necessari oggi per farsi strada nel mondo? E se siamo tutti d'accordo che sono le capacità logiche e argomentative - il pensiero critico - gli strumenti decisivi, perché non mettere queste al centro dell'intero sistema educativo? Si dice che lo studio del latino e del greco sviluppa le capacità di ragionare, di produrre analogie e inferenze logiche. Ma è vero anche il contrario: i più bravi a tradurre lo sono perché hanno buone capacità logiche e dialettiche. Perché non partire da qui? Perché non pensare che il trionfo della classicità, negli anni a venire, non possa passare per la creazione di tanti piccoli Socrate, capaci di usare il loro sapere critico negli ambiti più diversi?

Armando Massarenti - Responsabile il Sole24 Ore - Domenica
@massarenti24

Da -  ilsole24ore.com
6385  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EUGENIO SCALFARI. Vorremmo l'Italia e l'Europa con l'elmo di Scipio inserito:: Settembre 16, 2016, 11:41:50 pm
Vorremmo l'Italia e l'Europa con l'elmo di Scipio
Tutti noi auspichiamo l'avverarsi del sogno di Altiero Spinelli e dei suoi compagni di Ventotene

di EUGENIO SCALFARI
11 settembre 2016

A Bratislava si sono incontrati i ministri delle Finanze dell'Ue per fare il punto sulla situazione economica dell'Unione di 27 Paesi. Ma ai margini di quella riunione il ministro tedesco Wolfgang Schäuble ha lanciato un violento attacco contro la Grecia e contro la riunione che il premier greco Tsipras ha avuto con Renzi e Hollande. La rabbia di Schäuble era di tale intensità da mettere in ombra il dibattito sull'economia europea perché rappresentava una politica di rigore e di austerità della Germania in una fase in cui l'Unione europea dovrebbe adottare una politica di crescita la più accentuata possibile.

La Germania ha dunque cambiato la linea accettata dalla cancelliera Merkel appena tre settimane fa nell'incontro con Renzi e Hollande a Ventotene e poi a Maranello? Lì sembrò che la Merkel accettasse non solo un rilancio degli investimenti ma anche della domanda dei consumatori, dei lavoratori e delle imprese ed accettasse anche un patto delle potenze mediterranee per governare al meglio le politiche delle immigrazioni: una sorta di cintura mediterranea che avrebbe fatto anche gli interessi della Germania contenendo le correnti migratorie provenienti dal mare e in particolare dalla Libia.

Insomma a Bratislava Schäuble ha ignorato e anzi addirittura capovolto le posizioni della Merkel e la cancelliera da Berlino ha taciuto. Forse è la sconfitta inattesa alle elezioni amministrative di Meclemburgo-Pomerania che suggerisce alla Merkel un radicale cambiamento di linea?

A Bratislava era presente anche Draghi perché l'Ecofin riguarda direttamente anche la Banca centrale europea. Il suo intervento è stato molto sintetico ma ha toccato un tasto di grande importanza: la Germania attraversa un periodo in cui le sue esportazioni hanno raggiunto un livello mai toccato prima. "Sarebbe ora - ha detto Draghi - che accrescessero molto nella propria economia gli investimenti e il livello dei salari, come del resto le regole dell'Ue prescrivono". Non è certo una battuta spiritosa il rimprovero del presidente della Bce al governo tedesco.

***

Visto che Draghi è entrato nel nostro racconto di quanto sta accadendo in Europa, penso sia opportuno esaminare la politica della Banca centrale in questi mesi estivi, dove tutti vanno in vacanza almeno per qualche giorno salvo lui che lavora senza soste e dorme non più di due notti di seguito nello stesso letto. È in moto continuo, soprattutto in Europa ma anche in Usa, in Asia, in Australia, in Canada, in Egitto, insomma dovunque. Le monete si muovono e lui come le monete di cui ne governa una che ha rapporti di cambio e di scambio con tutte le altre.

Personalmente sono buon amico di Mario; conobbi anche suo padre Carlo quando lavorai nella Banca nazionale del lavoro della quale suo padre fu anche presidente.

Tra noi però, per tacita convenzione, non parliamo mai del suo lavoro che io seguo da giornalista con le usuali fonti di informazione.

So, come tutti sanno, che Draghi ha sostenuto e sostiene in tutti i modi che lo statuto della banca gli consente la moneta comune dei 19 Paesi europei che compongono quella che si chiama Eurozona. L'euro. È lo strumento che usa con un intento che non è soltanto economico ma anche di politica economica.

In Italia i nostri governatori furono tutti di questa taglia: Luigi Einaudi, Donato Menichella, Paolo Baffi, Guido Carli, Carlo Azeglio Ciampi. Draghi è della stessa specie, mentre in altri Paesi europei quasi sempre i governatori della banca centrale sono soltanto efficienti esecutori della politica economica stabilita dal governo. Quando ci saranno (se mai ci saranno) gli Stati Uniti d'Europa, anche la posizione del capo della Banca centrale cambierà; ma Draghi auspica gli Stati Uniti d'Europa. Anzi - posso dirlo perché lo conosco molto bene - è interessato al bene pubblico dell'Europa e non al proprio.

Tutto ciò premesso, il nostro banchiere centrale è per la crescita delle economie dell'Europa. Sta immettendo da mesi liquidità nel sistema, acquista obbligazioni emesse da aziende private con una mole di acquisti che ormai hanno una mole di miliardi di euro. Finanzia le banche europee che ne hanno bisogno ma mette tassi negativi sui loro depositi presso la Bce per incoraggiare i flussi di credito dei nostri banchieri verso i loro clienti privati che meritano credito per investire.

L'economia italiana sta attraversando da tempo una fase di immobilismo. Il Pil degli altri Paesi è in aumento, ma quello italiano no, è fermo da almeno un anno ed oggi questa mancata crescita è uno dei motivi di rabbia psicologica d'una massa di italiani che trasformano le loro difficoltà economiche in rabbia politica.

Draghi non privilegia l'Italia, tratta tutti i Paesi di Eurolandia così come le loro economie richiedono. Ma non credo sia molto soddisfatto della politica economica del nostro governo. Ha apprezzato la convergenza di Renzi sulla proposta che fece lui alcuni mesi prima di un ministro delle Finanze unico dell'Eurozona. Ha apprezzato alcuni interventi di Padoan, ma constata l'immobilità del Pil e quel che ne consegue economicamente e socialmente.

Io non so cosa pensi in concreto che l'Italia debba fare. Ma poiché a questi problemi penso anch'io, la mia proposta a Renzi ed a Padoan è questa: un taglio se non totale almeno della metà del cosiddetto cuneo fiscale.

Il cuneo fiscale è il nome che si dà all'ammontare dei contributi che imprenditori e dipendenti versano all'Inps. Pesa molto su tutte e due queste categorie e produce una notevole differenza tra salari e profitti lordi e salari e profitti netti. Il taglio di almeno la metà di tale contribuzione produrrebbe un aumento dei salari e dei profitti. Un aumento tale da stimolare la domanda dei lavoratori e di profitti degli imprenditori. Nel complesso, secondo me, è questo il vero strumento per rimettere in moto il sistema. Romano Prodi fece qualche cosa di simile con il suo primo governo, ma il taglio fu del 3 per cento, eppure qualche beneficio lo produsse. Qui parliamo non del 3 ma del 50 del cuneo fiscale: secondo me una rivoluzione.

Naturalmente a carico dell'Inps che ha alcune risorse proprie ma certamente insufficienti a sostenere un taglio dei contributi di queste dimensioni, fermi restando i servizi di vario tipo che l'Inps deve continuare a fornire anche di fronte al taglio dei contributi.

A questo punto l'Inps chiederà l'appoggio del governo il quale a sua volta dovrà aiutare l'Inps finanziandosi su tutti i contribuenti, fiscalizzando cioè il taglio dei contributi e addebitandolo a tutti i contribuenti in ragione del loro reddito. Una vera e propria fiscalizzazione degli oneri sociali.

Questa è la proposta. Ignoro che cosa ne pensi Draghi ma per quel che lo conosco forse approverebbe. Se mi sbaglio mi dispiace ma la proposta che faccio a Renzi e a Padoan per quel che vale (e credo che valga molto) è questa.

***

Torniamo a Renzi e al suo accordo con Francia e Grecia che sarà esteso a Malta, Spagna, Portogallo.

È un accordo che punta su una politica europea di crescita, sul rafforzamento delle strutture europee, su una politica di contenimento dell'immigrazione, un contenimento attivo che trattenga i migranti nei Paesi d'origine negoziando con quei governi e puntando su una riaccoglienza dignitosa e alla creazione di nuovi posti di lavoro da parte di investitori esteri privati e pubblici.

Questa è la politica estera ed economica come la vedono i Paesi dell'alleanza mediterranea. E la Germania si opporrebbe? È impensabile che questo accada, anche perché una politica del genere comporta costi non indifferenti che spetta all'Ue di finanziare.

Tutti noi che auspichiamo l'avverarsi del sogno di Altiero Spinelli e dei suoi compagni di Ventotene, e Renzi, ma anche la Merkel, dovrebbero essere d'accordo su questa politica. Renzi lo è, anzi la promuove, ma l'Eurolandia al completo dovrebbe appoggiarla. Così come dovrebbe appoggiare una politica di sostegno del governo libico nella lotta contro il Califfato in Libia, in Iraq, in Siria, col pieno accordo degli Usa. Speriamo che Hillary Clinton, se vincerà, sia sulla stessa linea del suo predecessore.

La politica militare, comunque, è ormai diventata un'incombenza che l'Ue non può più ignorare. Renzi e il nostro ministro degli Esteri Gentiloni con la sua collega della Difesa, l'hanno già proposto: difesa e politica estera sono ormai un compito dell'Ue che va al più presto realizzato. Sarebbe un passo decisivo verso il traguardo di Spinelli.

La Germania non è soltanto il Paese economicamente più forte d'Europa, ma dovrebbe porsi il problema ormai centrale: guidare l'Europa verso l'unità federale oppure restare in questo stato d'incertezza neutralista?

Capisco che la Merkel abbia il peso delle elezioni tra pochi mesi, ma non sarebbe una carta per lei vincente presentarsi con la bandiera di Ventotene in mano?

***

Il ruolo europeo che Renzi ha conquistato è, come abbiamo visto, di grande peso e importanza. Ma poi c'è l'Italia e i problemi politici che comporta e qui la faccenda è particolarmente ingarbugliata. Ne abbiamo scritto più volte ma merita un aggiornamento.

Grillo: una catastrofe. Non per il Paese ma per il suo movimento. Che non ha mai attirato chi ha consapevolezza del bene comune. Promette un futuro luminoso ma non ha mai detto che luce avrà e quale panorama illuminerà. Ha detto però che per volere quella luce e il panorama illuminato bisogna prima distruggere tutto. E purtroppo per molti italiani questo programma distruttivo corrisponde alla loro rabbia.

È un fenomeno cominciato dalle elezioni europee che furono il trionfo di Renzi ma l'inizio di un astensionismo di massa mai visto prima. Nel seme di quell'astensionismo nacque il grillismo: un modo di astenersi votando. Poi: un modo di distruggere tutto, tutto vuotando.

Questo è il grillismo, riflette la rabbia di molti italiani. Giovani senza futuro, lavoratori precari, insegnanti frustrati, immigrati detestati, Europa obliata, moneta comune che non ci regala niente e che quindi non vale la pena di difendere. Questo è il grillismo.

Ora s'è visto che quanto meno è come gli altri se non peggio. La crisi c'è ed è tutt'altro che terminata, i sondaggi la riflettono con la diminuzione dei voti, ma non di molto. La situazione politicamente tripolare c'è ancora con tutti i guai e con tutti i pericoli che comporta.

Renzi comunque sembra aver capito che un "no" vittorioso al referendum lo renderebbe debolissimo in Parlamento. Ha capito che deve cambiare profondamente la legge elettorale. Ha capito che il ballottaggio è un pericolo tuttora grave, anche con un Grillo più debole.

Il "sì" referendario lo rinforzerebbe ma non è un obiettivo facile. Deve trasformare la legge elettorale. Deve accettare le sue caratteristiche di sinistra democratica e allearsi con formazioni di centro liberale. Deve combattere per uno sblocco economico e fiscale.

Se gioca bene queste carte la rabbia sociale diminuirà. Deve togliersi gli abiti da rottamatore e indossare quelli del nuovo costruttore. Deve studiare la storia politica di Alcide De Gasperi, di Aldo Moro, di Enrico Berlinguer.

Se capirà bene quello che legge e che alcuni di noi hanno vissuto potrà raggiungere una popolarità responsabile del popolo che è sovrano quando pensa e quando sa.

Abbiamo ieri pubblicato un'intervista a Giorgio Napolitano del direttore del nostro giornale. Napolitano ha fatto un'ampia indagine dell'Italia moderna, dei suoi guai e anche delle sue virtù. È per il "sì" referendario
ma è anche per un necessario mutamento della legge elettorale. Lui fa parte dei personaggi che ho prima ricordato. Ci conosciamo bene Giorgio ed io. Lui era liberal-comunista ed io liberal-socialista. Adesso siamo tutt'e due liberal-democratici e vorremmo un governo che lo fosse.

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11 settembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/09/11/news/italia_europa_elmo_di_scipio-147540354/?ref=HRER2-1
6386  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. In vista del referendum le Cancellerie puntano sulla stabilità... inserito:: Settembre 16, 2016, 11:38:00 pm
In vista del referendum le Cancellerie puntano sulla stabilità dell’Italia
Francia e Germania: il rinnovamento in atto rafforza tutta l’Europa. Da Washington a Pechino, ecco chi scommette sulla tenuta del governo

14/09/2016
Fabio Martini
Roma

Era l’ultimo giorno di agosto, nei saloni della Ferrari a Maranello, Angela Merkel e Matteo Renzi parlottavano tra loro dopo il lungo bilaterale tra ministri dei due Paesi e poco prima di riprendere la strada di casa, la Cancelliera disse al presidente del Consiglio: «Caro Matteo, bisogna riconoscere che la stabilità del tuo governo fa bene all’Italia e anche all’Europa». Settantotto ore più tardi, poco prima dell’inizio del G20 a Huanghzou in Cina, il presidente cinese Xi Jinping, si congeda da Matteo Renzi con una promessa: «Ci vediamo di nuovo qui da noi, nel 2017».

Merkel e Xi Jinping, due personaggi agli antipodi, restituiscono un pensiero comune a tutte le cancellerie: per l’Italia stabilità prima di tutto. In questa fase non soltanto a Berlino e a Pechino, ma anche a Washington, a Parigi, a Bruxelles, l’auspicio è quello di una continuità di governo per il governo di Roma. In una Europa affaticata da una ripresa economica che non arriva mai; lacerata su come affrontare le ondate migratorie e con i Paesi-guida (Germania e Francia) in vista di elezioni politiche dall’esito incerto, Matteo Renzi e i suoi venti mesi consecutivi di governo vengono visti dalle cancellerie più importanti come una boa da salvaguardare.

Poche ore prima che l’ambasciatore americano a Roma John R. Phillips si producesse nelle due esternazioni che si sono trasformate in un caso politico, da Washington era arrivato un segnale forte. Con l’annuncio della Casa Bianca dell’invito da parte di Barack Obama a Matteo Renzi per la sera del 18 ottobre, ventuno giorni prima dell’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti. Invito accompagnato da un dato simbolico: quella con l’Italia sarà, per Obama, l’ultima visita di Stato ospitata alla Casa Bianca. Nella lettura informale dell’evento - da Washington - si sottolineava come l’invito contenesse anche un investimento strategico sull’Italia e sulla sua stabilità politica. Ma al tempo stesso si faceva sapere che l’invito di Obama a Renzi non andava interpretato come un «endorsement» in vista del referendum istituzionale di fine autunno in Italia.

 Poi, ieri mattina, è arrivata la doppia esternazione dell’ambasciatore Phillips: da una parte l’auspicio per la vittoria del Sì al referendum costituzionale, dall’altro - ancora più irrituale - il timore che gli investimenti americani possano allontanarsi in caso di vittoria del No. In poche ore si è sollevato un caso politico, che nella protesta contro l’ambasciatore americano ha visto uniti Sel e gli ex missini di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Cinque Stelle. La doppia esternazione pro-Renzi in poche ore si è dunque trasformata in boomerang, o in qualcosa che vi si avvicinava. E il presidente del Consiglio? A palazzo Chigi non erano stati informati da parte dell’Ambasciata americana sulle intenzioni di Phillips, ma una volta che le dichiarazioni sono entrate in «rete», Renzi ha evitato qualsiasi commento, anche informale. Nessun imbarazzo, si fa sapere da palazzo Chigi. Anche perché quel che ha mosso l’ambasciatore americano è un impulso spiegato da Massimo Teodori, autore di numerosi saggi sulla storia degli Stati Uniti: «Dopo gli anni settanta la politica americana verso un Paese tradizionalmente instabile come l’Italia è tutta centrata sulla stabilità, come dimostrano tutti i rapporti inviati dai diversi ambasciatori». 

Sorpresa in Renzi per il riverbero anti-americano di alcuni commenti alla sortita dell’ambasciatore e qualcosa in più della sorpresa, «per le dichiarazioni di un vicepresidente della Camera», che è arrivato a paragonare Renzi a un dittatore come Pinochet. Certo, il presidente del Consiglio sa che con un’opinione pubblica nella quale gli umori anti-establishment sono così forti, vedersi appoggiare da agenzie di rating e governi stranieri, può essere controproducente. Anche per questo palazzo Chigi ha optato per il silenzio.

 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/09/14/italia/politica/in-vista-del-referendum-le-cancellerie-puntano-sulla-stabilit-dellitalia-s6lTvCz2w81yMtbxNQRNaK/pagina.html
6387  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / ANAIS GINORI - "L'Italia non investe sul futuro": la bocciatura di Attali inserito:: Settembre 16, 2016, 11:36:21 pm
"L'Italia non investe sul futuro": la bocciatura di Attali
L'economista: "La classe politica oggi pensa in piccolo, non ha visione e non prende decisioni coraggiose". Nostro Paese in fondo alla classifica dell'indice dell'economia positiva

Di ANAIS GINORI
14 settembre 2016

LE HAVRE - L'Italia finisce in fondo alla classifica per "l'economia positiva" della fondazione Positive Planet. "Quando si tratta di investire sul futuro, il vostro paese non è tra i migliori" osserva Jacques Attali, presidente della fondazione, presentando il nuovo rapporto in occasione del Positive Economy Forum che si svolge a Le Havre fino a sabato, con 150 relatori e più di 10mila partecipanti. "L'economia positiva è un sistema inclusivo e altruista, che pensa alle generazioni future" spiega l'intellettuale francese, seduto in un bar della città normanna.

"In tempi di crisi, è importante capire che le soluzioni non sono a breve ma a medio, lungo termine. Purtroppo - prosegue Attali - la classe politica oggi pensa in piccolo, non ha visione e non riesce a prendere decisioni coraggiose". Con alcune eccezioni, spiega l'intellettuale. Come Angela Merkel che apre le porte agli immigrati: "Anche se paga un prezzo politico, ha salvato il suo paese che ha una pessima natalità e aveva bisogno dell'immigrazione".

L'indice dell'economia positiva non misura la felicità ma quasi, tiene conto di quarantina di dati molto diversi tra di loro, come debito pubblico, investimenti per l'istruzione, occupazione giovanile, inquinamento, parità in politica, sviluppo energie rinnovabili, corruzione, banda larga, libertà di stampa. La classifica della fondazione presieduta da Attali è fatta sui 34 paesi dell'Ocse. Quest'anno, senza sorpresa, sono ancora Norvegia, Svezia e Olanda ad occupare il podio.

La Germania è al decimo posto e la Francia è stabile nelle diciottesima posizione, mentre l'Italia perde una posizione, da ventinovesima a trentesima, dopo averne già perso tre l'anno scorso. "Vi penalizza il forte debito pubblico, la corruzione, la scarsa demografia, tutti elementi che non permettono di impostare bene il futuro" commenta Attali che pure saluta il "coraggio" di Matteo Renzi, in particolare sull'immigrazione. Il Positive Forum ha anche un'edizione italiana che si svolgerà a marzo a San Patrignano.

Dall'Islam agli scenari macroeconomici, dalla crisi migratoria alle prossime scadenze politiche internazionali, il forum di Le Havre sarà un laboratorio di idee in cui discutere al più alto livello per "cercare soluzioni, uscendo dalla gestione di emergenza" continua Attali. Secondo l'intellettuale - economista, prolifico autore, nonché direttore d'orchestra - nel forum sono riunite persone che "ogni giorno creano un nuovo modello di società, meno individualista e più altruista, anche se non si vedono, nessuno ne parla". "Un po' come avveniva durante il Medio Evo quando tra Italia e Fiandre i mercanti hanno fatto esplodere la società feudale".

In conclusione, Attali presenterà un programma dettagliato di riforme che dovrebbe alimentare il dibattito in vista dell'elezione presidenziale in Francia. A sette mesi dal voto, l'intellettuale ha lanciato un movimento e un sito partecipativo "France 2022", in cui immaginare misure urgenti per garantire un avvenire al paese. Un movimento politico? "Vogliamo proporre un modo di fare politica altrimenti, coinvolgendo davvero la società civile" risponde Attali che vuole sottoporre il programma ai prossimi candidati all'Eliseo. Da François Hollande a Nicolas Sarkozy, fino al giovane Emmanuel Macron (con il quale ha lavorato in passato) nessuno per ora lo convince. "Non dobbiamo scegliere le persone, ma i programmi" ribadisce. E se fosse lui, il prossimo candidato all'Eliseo? "Non lo escludo - risponde - ma per adesso è prematuro parlarne".

© Riproduzione riservata 14 settembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/09/14/news/_l_italia_non_investe_sul_futuro_la_bocciatura_di_attali-147750396/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_14-09-2016
6388  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Stefano Stefanini. Perché ci guardano gli alleati inserito:: Settembre 16, 2016, 11:27:40 pm
Perché ci guardano gli alleati

14/09/2016
Stefano Stefanini

L’ambasciatore americano a Roma si permette di dire che Washington teme per le sorti dell’Italia in caso di vittoria del «no» al referendum costituzionale. Apriti cielo: il partito del «no» insorge contro l’ingerenza americana in Italia quasi che John Phillips stia complottando un colpo di Stato della Cia stile dimenticata Guerra Fredda. Il fronte interno del no esprime di tutto tranne che una linea vagamente comune sulla politica estera. Eccolo improvvisamente compattarsi sul Piave dell’orgoglio nazionale: lo straniero (in questo caso americano) non passerà.

Questa reazione è comodamente dimentica di tre cose: primo, di domandarsi se i consigli dell’ambasciatore americano siano buoni o cattivi o irrilevanti. Gli si nega semplicemente il diritto di darli. Secondo, di riflettere sul perché il principale alleato dell’Italia (e riscopriamo che lo sia ogni volta che abbiamo bisogno di qualche grosso puntello politico internazionale, anche in Europa) si preoccupa tanto di una vicenda interna. 

Terzo, di guardarsi intorno. Correrebbe il rischio di accorgersi che, fuori confini, il timore di un successo del no è tutt’altro che un’esclusiva americana. Lo condividono Berlino, Bruxelles, gli investitori cinesi e arabi che vogliamo attirare nel Bel Paese e le agenzie di rating internazionale. Altri politici e diplomatici parlano con più discrezione ma la pensano esattamente come Phillips: l’Ambasciatore americano può aver peccato in diplomazia ma certo non in onestà e sincerità. Del resto, si sa, è una caratteristica americana: gli amici possono permetterselo.

L’esplicita presa di posizione di Phillips dovrebbe costringere i sostenitori del no referendario a riflettere sulle conseguenze della loro eventuale vittoria. Invece, punti sul vivo, attaccano il messaggero anziché il messaggio. Esattamente come avvenuto nel Regno Unito dove Boris Johnson e compagni si sono scagliati contro Obama per aver sconsigliato l’uscita dall’Ue. Anche loro del resto si guardavano bene dal domandarsi quali sarebbero state le conseguenze della vittoria di Brexit. Col risultato che a quasi tre mesi di distanza Londra è ancora impreparata al grande passo. 

Molti di quelli che ieri hanno linciato Phillips a Roma, avevano applaudito Obama a Londra in aprile. Forse temono che gli italiani abbiano più buon senso dei britannici nel dare ascolto ai buoni consigli di amici.

La presa di posizione americana tocca in realtà un nervo scoperto italiano. Non si può guardare al nostro referendum costituzionale nell’orticello della politica romana, completamente ignari delle ripercussioni europee e internazionali. In gioco non è l’eventuale successione a Palazzo Chigi; è il futuro dell’Italia.

All’estero il referendum italiano è percepito essenzialmente come una prova di stabilità del nostro sistema e della capacità di tenuta delle riforme di questi ultimi anni. Le simpatie internazionali verso Matteo Renzi non sono né casuali né opportunistiche. Lo conferma l’invito il 18 oottobre di un Presidente americano uscente. Premiano un presidente del Consiglio che ha il coraggio di attaccare il tabù dell’Italia che non sa o non vuole cambiare - per inciso, sulla scia dei due predecessori, Enrico Letta e Mario Monti, anche loro sempre benvenuti alla Casa Bianca.

L’Italia deve capire che quello che succede nei palazzi romani non è più un innocuo rimescolamento di carte come avveniva nella Prima Repubblica. E’ un tassello di equilibri europei e, di riflesso, internazionali. Con tre elezioni in calendario nel 2017 (Olanda, Francia, Germania), più il secondo ripescaggio delle presidenziali austriache e, forse, il terzo parlamentare in Spagna, in autunno, con il Regno Unito nelle convulsioni di Brexit (la luna di miele di Theresa May è terminata), il panorama europeo d’incertezze e fragilità politiche è desolante. Anche le ultimissime urne croate non hanno prodotto una maggioranza. La stabilità che si trova in Polonia o in Ungheria non è forse quella che l’Europa cerca.

Ci stupiamo che l’Europa e il mondo si preoccupino di un risultato referendario che farebbe precipitare anche l’Italia nelle sabbie mobili dell’instabilità? Cosa succede al famigerato «spread»? Chi gestisce la pressione immigratoria sul canale di Sicilia? La Libia?

L’Ambasciatore americano a Roma ha avuto il coraggio di dirlo. Forse dovremmo ringraziarlo. Votare no rimane perfettamente libero, legittimo e democratico. Anziché lagnarsi dell’ingerenza chi lo sostiene dovrebbe però cogliere l’occasione per dimostrare che stabilità politica, tenue ripresa e corso riformista sopravviverebbero a una loro vittoria. 

Il resto di noi prende atto che quello che succede in Italia conta per il resto del mondo che, pertanto, se ne occupa e lo dice. Rallegriamocene e assumiamocene la responsabilità. 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/09/14/cultura/opinioni/editoriali/perch-ci-guardano-gli-alleati-wS2UiwHKP6z5sfr5UhCrtN/pagina.html
6389  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Arrigo LEVI. CIAMPI: la mia Europa vive un decadimento morale”... inserito:: Settembre 16, 2016, 11:26:07 pm
“La mia Europa vive un decadimento morale”: ecco l’ultima intervista di Ciampi a «La Stampa»
Ripubblichiamo il colloquio dell’aprile 2011 con Arrigo Levi: «Si è indebolita l’integrità delle persone e delle istituzioni. Ma se questo manca, manca tutto. Prevale la logica del successo immediato, misurato in termini di successo puramente economico»


16/09/2016
Arrigo Levi

Ho ricordato a Carlo Azeglio Ciampi, incontrandolo ieri mattina nel suo severo studio a Palazzo Giustiniani, alle spalle del Senato (fuori, in una Roma quasi estiva, fra palazzi e chiese, c’erano folle di turisti vocianti in tutte le lingue europee) alcune delle tante dichiarazioni di morte imminente dell’Europa che si leggono oggi su giornali italiani, europei, americani. Le conosceva già, e mi ha interrotto con una battuta, che poi ripeterà: «Assistiamo a un decadimento morale, sia nell’etica individuale che nell’etica istituzionale. Si dimentica la frase di Vincenzo Cuoco: Alla felicità degli uomini sono più necessari gli ordini - noi diremmo le istituzioni - che gli uomini».

Ma perché la crisi economica europea? Gli ho ricordato una sua antica battuta: facendo l’euro, si è creata una «zoppia». Che cosa dobbiamo intendere? 
«La zoppia è stata una colpa di tutta l’Europa. Non si è accompagnato alla moneta unica, che è un fatto federativo, una politica economica europea. L’eurogruppo, il gruppo dei Paesi dell’euro, non si è mai istituzionalizzato, non ha mai assunto poteri decisionali cui tutti debbano adeguarsi. Questa è la zoppia di cui ha sofferto l’Europa. E poi, a una crisi mondiale, definita epocale, si è risposto con misure congiunturali. C’è stata una asimmetria fra la crisi e la risposta, che doveva prevedere rimedi anch’essi epocali, cioè strutturali. Quanto all’Italia, e non solo all’Italia, si è indebolita l’integrità delle persone e delle istituzioni. Ma se questo manca, manca tutto. Prevale la logica del successo immediato, misurato in termini di successo puramente economico».

Ho osservato che, almeno in linea di principio, la pericolosità della «zoppia» oggi è stata riconosciuta dall’Unione Europea, anche se i rimedi, consistenti in un severo coordinamento delle politiche economiche nazionali, stando al «Financial Times», sono progettati per un futuro troppo lontano. 

«In linea di principio il riconoscimento c’è stato, ma non nelle procedure. Di fatto, non c’è stato il governo dell’Europa».

Gli ricordo che quando discutemmo questi stessi problemi nel nostro libro-intervista, mi disse: «Penso che se fossero rimasti in carica per qualche anno di più alcuni ministri che avevano vissuto la creazione dell’euro, avremmo compiuto il passo indispensabile di far corrispondere alla Banca Centrale Europea un governo unico, coordinato, dell’economia europea, con alcuni poteri sovrannazionali». Chiedo: dobbiamo dedurne che la colpa di questa crisi europea è delle persone, della Merkel, di Sarkozy, di Berlusconi? 
«No, non solo loro. Certo, in loro è mancata la visione, è mancato un respiro veramente europeo. In questo c’è colpa, una mancanza di principi. Ma ricordiamo lo spirito col quale firmammo in Campidoglio il Trattato Europeo, nel 2004. Facemmo allora due errori. Anzitutto, avremmo dovuto fare prima il nuovo trattato, e poi aprire l’Europa ai Paesi nuovi. In secondo luogo, la Commissione Giscard aveva fatto un documento che non andava, che non finiva mai. Ci voleva un documento snello, nervoso, di contenuto, che giustificasse la rinuncia della Germania al marco tedesco, che fu un fatto straordinario. Invece avevano fatto un documento diluito, senza nerbo».

Ciampi rende qui omaggio a quella che fu la visione di Kohl. Ricorda che quando incontrò per la prima volta, da Presidente del Consiglio, il Cancelliere Kohl, si trovarono a dire la stessa cosa: se noi, la generazione che ha fatto la guerra, non creiamo una moneta unica europea, la generazione successiva non la farà più. Fu ancora un Kohl capace di visione a decidere, al momento dell’unificazione tedesca, il cambio di parità fra il Marco della Germania dell’Ovest e quello della Germania Est, invece del cambio di due marchi dell’Est per uno dell’Ovest, come avrebbe voluto la Bundesbank: che aveva ragione sul piano economico, non su quello politico. Il ragionamento di Kohl fu: «non possiamo umiliarli», e politicamente aveva ragione. 

«Quella decisione, come la scelta di non volere un’Europa che si allineasse al marco tedesco, ma una moneta europea, l’euro, furono tutte due scelte prese da chi aveva una visione, da uomini che non cedevano al loro elettorato. A confronto degli uomini d’oggi, erano dei giganti. E poi, trattati come quello di Roma non si approvano con dei referendum, si fanno ratificare dai Parlamenti. Se il trattato fosse stato ratificato dai Parlamenti della vecchia Europa, i nuovi Stati membri sarebbero stati ammessi in base a un trattato già definito. Questo, alcuni non lo capirono».

Guardando all’attuale disamore per l’Europa di molti popoli europei, compreso, a quanto sembra, il popolo italiano, dobbiamo chiederci in che cosa noi, i vecchi, abbiamo sbagliato? Perché non abbiamo saputo trasmettere il ricordo di quello che fu l’Europa delle guerre e dei lager? Che risposta mi dai? 

«Mi chiedi come si possa tenere viva la lezione della storia. Ma questo è un problema eterno. Sta a noi tutti affrontarlo, ma soprattutto a chi ha delle responsabilità istituzionali. E sta ai popoli scegliersi dei leader che abbiano una visione storica alta. Il voto va utilizzato bene».

Qualcuno, gli ricordo, ha parlato con leggerezza di «andarsene dall’Europa». Il Direttore della «Stampa», Mario Calabresi, rispondendo a un lettore che questo proponeva, gli ha fatto osservare che l’Europa non è una bocciofila a cui si restituisce la tessera in un momento di stizza, l’Europa è nata per un’esigenza di pace dopo due guerre mondiali con decine di milioni di morti; e poi, stiamo in Europa anche perché ci conviene in termini economici. Secondo Ciampi, che effetto avrebbe, sull’Italia, andarsene dall’Europa? 
«Andarsene non è possibile. E se fosse possibile, avremmo in Italia una decadenza, prima economica e poi morale. Immaginiamo che cosa sarebbe l’Italia da sola nel vasto mare dell’economia globale! Quando scegliemmo l’euro, invece di scegliere l’Europa del Deutsche Mark, lo facemmo, come dice Machiavelli, un po’ grazie alla Fortuna, un po’ grazie alla Virtù. Diciamo 50 e 50. Machiavelli diceva che la Fortuna è femmina, e che bisogna batterla»

 Batterla come? 
«Picchiarla». 

Chiedo se ritenga possibile la fine dell’Euro. 
«No, mai. Ho detto tante volte che l’euro è una strada di non ritorno. Fatto l’euro, non si può più tornare indietro. Piuttosto bisogna andare avanti. Per questo ci vogliono le persone giuste, ispirate da giusti valori. Ovidio dice (la citazione, dalle Metamorfosi, è ovviamente in latino. La troverai facilmente, mi dice: io vado un po’ a braccio): Agli animali fu dato un muso che guarda a terra, agli uomini fu concesso un volto che guarda in alto, e fu ordinato di alzare lo sguardo al cielo e alle stelle. Purtroppo, per ora noi Europei non stiamo andando avanti». 

Concludo: in un altro libro intervista, dopo il nostro, tu hai detto che l’Italia d’oggi «non è il Paese che sognavo». Deduco, da quanto mi hai detto, che anche questa Europa non è l’Europa che sognavi. Ma allora, questo vuol dire che temi anche tu la fine dell’Europa? 
«No, no. Ho ancora fiducia nell’Europa. Perché è l’unica via per dare un futuro alle giovani generazioni. Anche in loro ho fiducia». 

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6390  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Lina Palmerini. Pensioni, contratti pubblici e Italicum: il ritorno di Renzi... inserito:: Settembre 10, 2016, 10:47:15 pm
Pensioni, contratti pubblici e Italicum: il «ritorno» di Renzi a sinistra

di Lina Palmerini 07 settembre 2016

Inoltre ha aperto sui cambiamenti all’Italicum. Un tentativo di ricompattare il consenso a sinistra in vista del referendum. Difficile non vedere nell’annuncio di Renzi un ritorno a “casa”. La nuova legge di Bilancio, sulla base delle parole dette ieri dal premier a Porta a Porta, appare come un tentativo di ritrovare una connessione non solo con l’elettorato di centro-sinistra ma con i suoi punti di riferimento classici. I sindacati, per esempio. Ma anche la minoranza del partito alla quale il leader del Pd promette la disponibilità a cambiare l’Italicum in ogni caso, anche con una pronuncia favorevole della Consulta. Insomma, dopo l’inversione a U sulla personalizzazione del referendum, prova a fare un passo più avanti piegando la linea politica del Governo verso il perimetro tradizionale di sinistra.

E con le quattro misure anticipate ieri, che saranno – dice – il cuore della nuova legge di Bilancio, ridefinisce i confini del suo consenso. Meno partito della nazione, più nocciolo duro di sinistra. E dunque pensionati, dipendenti pubblici, insegnanti e quella parte di partite Iva delle gestioni separate di cui fanno parte i lavoratori freelance e i collaboratori che non hanno una cassa di previdenza. Un po’ di tempo fa veniva definito il partito della spesa pubblica e si imputava al Pd la responsabilità di alimentare un mondo che spingeva verso il deficit più che verso il taglio e la riqualificazione della spesa corrente fatta, appunto, di stipendi e pensioni.

Ieri Renzi ha promesso un ritocco alle pensioni minime, citando non a caso precedenti misure del Governo Prodi, la possibilità di uscite anticipate verso la pensione, lo sblocco dei contratti pubblici, un bonus agli insegnanti oltre che un intervento mirato sulle partite Iva. È chiaro che in ballo c’è un consenso da riconquistare, ci sono elettori e voti utili per l’appuntamento referendario. E c’è anche il ramoscello d’ulivo teso ai sindacati. I primi destinatari di queste misure sono loro che per anni hanno visto il blocco dei contratti nella pubblica amministrazione e hanno chiesto misure sulle pensioni. Misure che insomma parlano alla maggior parte degli iscritti Cgil, Cisl e Uil e che rimettono in gioco il ruolo e la funzione sindacale. Sarà interessante, anche su questo versante, vedere quale sarà l’impegno delle confederazioni sul referendum.

Se lo scorso anno Renzi voleva parlare all’elettorato moderato con l’abolizione della tassa sulla casa o con l’innalzamento del tetto sui contanti, misure targate Berlusconi, ora il solco ricorda di più i passati governi di centro-sinistra. Una sorta di “rammendo” dopo le lacerazioni degli ultimi anni, anche con la minoranza del suo partito. Alla quale offre non solo una manovra meno berlusconiana ma anche un’apertura più convinta sulle modifiche all’Italicum. Un’apertura che promette anche a fronte di una valutazione positiva della Consulta affidando al Parlamento l’ultima scelta.

Sullo sfondo c’è il referendum e la scelta di compattare il centro-sinistra sul “sì”, visto che c’è solo il Pd (e nemmeno tutto) sul via libera al quesito mentre tutto il resto dei partiti ha organizzato la campagna per il “no”. Ecco, la nuova manovra prova a mobilitare l’elettorato Democratico visto che il rischio più grande – come si è visto anche alle ultime elezioni – è l’astensione.

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