LA-U dell'OLIVO
Aprile 29, 2024, 03:52:43 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
  Home Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
  Visualizza messaggi
Pagine: 1 ... 412 413 [414] 415 416 ... 529
6196  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / ANTONIO SCURATI. Il Paese del fragile benessere inserito:: Ottobre 28, 2016, 06:24:04 pm
Il Paese del fragile benessere

28/10/2016
ANTONIO SCURATI

Siamo il Paese del fragile benessere, non quello della grande bellezza (quella va bene per la notte degli Oscar). Viviamo sotto il vulcano. Da sempre e, forse, per sempre. Un meraviglioso vulcano, spruzzato di neve in inverno e splendente di Ginestre in estate.
 
Per questo ce ne dimentichiamo: il vulcano è ancora attivo. 
 
Che cosa significa vivere sotto il vulcano? Sotto il vulcano e sopra la faglia. In che misura questo nostro essere figli di una terra dove la terra trema ha influenzato e influenza il carattere degli italiani? In che modo un’esistenza condotta quotidianamente con nelle orecchie il ronzio sinistro di sciami sismici modula la psicologia di una nazione? Un tempo lo sapevamo e adesso abbiamo smesso di chiedercelo.
 
Personalmente rigetto la facilità cialtrona con cui l’italiano spesso vanta, di solito davanti a un piatto di spaghetti, di vivere nel «Paese più bello del mondo». Ma basta viaggiare per il mondo - non a Parigi, Londra o New York, ché quello non è il mondo - per rendersi conto di essere stati privilegiati dalla sorte. Per noi la roulette delle nascite si è fermata su di una casella fortunata. Per mitezza climatica, pregevolezze paesaggistiche, bellezze artistiche, varietà umane, ricchezze culturali, l’Italia è sicuramente uno dei luoghi del pianeta dove si conosce in abbondanza la dolcezza del vivere. Anche la sua mollezza, ovviamente. E tutti ce lo riconoscono. L’idea dell’italiano bon vivant, che ci crocifigge con lo spillo dell’entomologo nella teca degli esemplari magnifici e inutili, ci corrisponde. Sono luoghi comuni, è vero, ma nei luoghi comuni albergano verità profonde e vastissime, spesso inesplorate solo dagli autentici imbecilli. Ma le condizioni che fanno dell’Italia il Paese della «dolce vita», della «bella giornata», del buon vivere e del benessere ricevuto come diritto di nascita, sono in buona parte le stesse che lo minano fin dalle fondamenta. 
 
Questa penisola snella, agile, lunga e stretta, protesa come un dito puntato su di un mare antico, questo paesaggio rinfrescato da decine di salubri brezze, variegato di pianure, colli, coste e montagne, è terra di terremoti. Questo popolo di poeti, santi, navigatori, cantanti e chef stellati è capace di coltivarla con una mano ricca di sapienza artigiana nella bellezza di orti e di borghi e con l’altra di abbandonarla all’incuria di decadenza e crolli.
 
La mappa della pericolosità sismica è un emblema di questa nostra mirabile miscela di fragilità e complessità policroma: uno stretto lacerto di mondo ospita l’intera gamma dei colori, dai rossi della terribile dorsale appenninica, ai gialli delle zone collinari adiacenti, ai verdi delle coste tirreniche, fino agli azzurri tenui della Pianura Padana e ai grigi rassicuranti della prealpina. Nati e cresciuti su questo manto d’Arlecchino, stiamo fragili nell’esistenza storica, in un disquilibrio perenne tra ipermodernità d’avanguardia e brutale premodernità, stiamo incerti nella mappa geografica tra Europa e Africa, tra Occidente e Levante. Il manto terrestre su cui muoviamo i nostri passi è una crosta sottile - lo sappiamo, lo avvertiamo nelle vibrazioni sorde della terra -, la nostra smagliante civilizzazione è appena uno strato di smalto sul nulla. Siamo gente di confine, passeurs perenni, migranti per vocazione, frontalieri tra la gioia e la disperazione, tra la vita brillante e la morte improvvisa.
 
A lungo si è pensato che questa condizione fosse all’origine sia dei vizi sia delle virtù del carattere nazionale. Le dobbiamo il peggio di noi stessi: gli egoismi, i campanilismi, i servilismi, le superstizioni, gli odi di fazione, il respiro corto, il ghigno furbo, le mani sporche, la rarità di autentici statisti, il troppo cinismo, scetticismo, individualismo, pagnottismo, familismo, fatalismo. La facilità con cui dubitiamo delle magnifiche sorti e progressive, l’incapacità di credere in qualsiasi idea o persona che non si possa invitare a cena. Tutto ciò è all’origine dell’inclinazione meschina che ci spinge, davanti ad ogni nuovo terremoto, alluvione, naufragio, a fare gli scongiuri e a mormorare: «E’ toccato a te e non a me». Ma la policroma, variegata mappa della pericolosità sismica, è anche, in qualche, modo, all’origine della nostra parte migliore: la nostra preferenza per la speranza comica piuttosto che per la disperazione tragica, il nostro genio per il melodramma, l’amplissima articolazione della nostra esperienza che ci consente, a qualsiasi latitudine e in qualsiasi tempo, di incontrare gli altri, di adattarci alle situazioni, di «inventarci la vita», la nostra rara e preziosa capacità di empatia, di solidarizzare con il prossimo. E’ la somma delle virtù che, di fronte al sisma, ci spinge a pensare: è toccato a te ma sarebbe potuto toccare a me.
 
Oggi viviamo di nuovo al crocevia di due grandi cataclismi, uno ambientale e l’altro umano: l’emergenza ecologica (di cui le distruzioni causate dai terremoti fanno parte) e le migrazioni dei popoli che vengono a morire sulle nostre coste. Sarebbe bello se questa tormenta di terremoti aiutasse noi italiani, in un’epoca che favorisce con ogni mezzo l’indifferenza mediatica verso le sciagure altrui, a ritrovare il meglio di noi stessi: il pietoso sentimento di appartenenza a un comune destino umano.
 
 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/10/28/cultura/opinioni/editoriali/il-paese-del-fragile-benessere-36UbBzMlIfTblJsnm7YBQI/pagina.html
6197  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / AMEDEO LA MATTINA. “La manovra è in ritardo”, tempesta alla Camera inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:47:23 pm
“La manovra è in ritardo”, tempesta alla Camera
Montecitorio: sorpresa e delusione. Mattarella firma il decreto. Le opposizioni: una forzatura inserire alcune norme sul Fisco

23/10/2016
Amedeo La Mattina
Roma

Si annunciano giorni molto burrascosi alla Camera. Non solo l’opposizione, ma anche una parte del Pd considera una forzatura quella del governo di avere inserito nel decreto fiscale alcune norme, come la chiusura di Equitalia e rottamazione delle cartelle esattoriali, che dovrebbero essere contenute nella legge di bilancio. Non è un tecnicismo per addetti ai lavori. I risvolti sono finanziari e anche politici, con una ricaduta sul referendum costituzionale. 

Il decreto prevede sia misure relative al 2016 che interventi i cui effetti ricadranno sulla manovra triennale 2017-19. È chiaro, spiegano pure fonti della maggioranza, che rottamare oggi le cartelle esattoriali per decreto, e quindi con valore esecutivo di legge, accarezza chi ha problemi con il Fisco e il 4 dicembre si troverà dentro una cabina a segnare una croce sul Sì o sul No. E questo, osservano i 5 Stelle e nel centrodestra, va ad aggiungersi alle altre misure e bonus elettorali. Ma in questo caso c’è un problema in più. La riforma di bilancio è stata votata dall’80% di deputati e senatori. Un accordo a larghissima maggioranza (cosa più unica che rara in Parlamento). Tra l’altro, vista la novità rispetto agli anni passati, erano stati dati più giorni al governo per presentare la legge di bilancio. Il termine scadeva il 20 ottobre e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi non l’ha presentata. 

Le reazioni 
Sentendo la bufera che gli sta arrivando addosso, la presidente della Camera Laura Boldrini ha messo le mani avanti e ha fatto filtrare la sua «sorpresa e delusione» per la tempistica dell’approdo della legge di bilancio a Montecitorio. Viene precisato che la legge, nella sua nuova definizione, dovrebbe sempre rispettare i tempi previsti. Si sperava in un esordio più puntuale. L’auspicio della presidenza della Camera è che il ritardo non si protragga ulteriormente. Dai collaboratori del ministro Boschi nessun commento alla reazione della Boldrini. Da Palazzo Chigi altrettanto fanno finta di niente. Intanto ieri il presidente della Repubblica ha firmato il decreto fiscale, passando la parola a Montecitorio. Il capogruppo di Fi Renato Brunetta aveva chiesto a Mattarella di non firmarlo e di rispedirlo al mittente. «Va salvaguardato il Parlamento. Basta con queste insopportabili violenze da parte del governo Renzi». Brunetta assicura che «il Parlamento rispedirà al mittente «la violenza incostituzionale di Renzi-Padoan». Ha pure spiegato che la grande accelerazione delle ultime ore pare sia stata imposta dal fatto che, «dopo gli irresponsabili annunci di Renzi sulla chiusura di Equitalia e sulla rottamazione delle cartelle esattoriali, nell’ultima settimana ci sia stato un calo spaventoso e senza precedenti nella riscossione delle tasse e dei tributi: un collasso del gettito fiscale». Ed ecco l’avvertimento di Brunetta che preoccupa la Boldrini. «Nella discussione parlamentare non sarà possibile analizzare il bilancio prossimo triennale prima che si capisca a quanto ammontano gli effetti finali del decreto fiscale». 

Il dibattito in Parlamento 
Il pericolo è che si allunghino all’infinito i tempi del dibattito parlamentare, moltiplicando i rischi di imboscata. E a Brunetta che parla di «roba da dittature sudamericane e di attentato alla Costituzione», fa eco la Sinistra italiana. Secondo Arturo Scotto la legge di bilancio arriverà alla Camera non prima di mercoledì, oltre quanto stabilito dalle norme votate tre mesi fa. «Non si permetta il governo di imporre una tabella di marcia incompatibile con i diritti delle opposizioni». E poi, aggiunge Scotto, «Equitalia non chiude, cambia solo nome. Un po’ come nel film di Checco Zalone con le province che si trasformano in città metropolitana». Anche la sinistra Pd storce il naso ma finora non ha parlato. Il presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia dice che «le regole vanno rispettate, a maggior ragioni se sono state votate da maggioranza e opposizione». E si riferisce al fatto che nel decreto fiscale non possono essere inserite misure che hanno impatto per il triennio 2016-19. Ora tutto questo esploderà nella mani della Boldrini.

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/10/23/economia/la-manovra-in-ritardo-tempesta-alla-camera-pqsChBoWyPEgHAEYyCLubN/pagina.html
6198  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / CARMELO LOPAPA Renzi: "Allucinante la decisione Unesco su Israele". inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:46:04 pm
Renzi: "Allucinante la decisione Unesco su Israele". E convoca Gentiloni. Tel Aviv ringrazia
Il premier pronto a "rompere con l'Ue" sulle risoluzioni che penalizzano Gerusalemme, l'Italia si era astenuta: "Siamo andati in automatico, un errore"

Di CARMELO LOPAPA
21 ottobre 2016

ROMA. Il presidente del Consiglio si schiera contro la risoluzione dell'Unesco sui luoghi santi del Medio Oriente che penalizza Israele. Una presa di distanza netta, risoluta, senza precedenti. E la protesta italiana sarà formalizzata già nelle prossime ore, come annuncia lo stesso Matteo Renzi. Anche se la posizione del governo era stata più morbida, nei giorni scorsi in occasione della risoluzione il nostro esecutivo, attraverso la Farnesina, si era astenuto. "Una vicenda allucinante, ho chiesto al ministro Esteri di vederci subito al mio ritorno a Roma - spiega il primo ministro in collegamento telefonico con Rtl - E' incomprensibile, inaccettabile e sbagliato. Ho chiesto espressamente ieri ai nostri di smetterla con queste posizioni. Non si può continuare con queste mozioni finalizzate ad attaccare Israele. Se c'è da rompere su questo l'unità europea che si rompa". La risoluzione era passata con l'astensione dell'Italia, ma la linea adesso sarà ulteriormente irrigidita. Si vedrà con quali ricadute.

Intanto, si registra l'immediato riconoscimento e apprezzamento da parte del governo di Tel Aviv. "Ringraziamo e ci felicitiamo con il governo italiano per questa importante dichiarazione", dice il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Emmanuel Nahshon. Si conclude il Consiglio europeo da lì a qualche ora e in conferenza stampa da Bruxelles il presidente del Consiglio torna sul caso. E precisa. "Non ho convocato il ministro, si convocano gli ambasciatori degli altri paesi, ho detto solo di aver parlato con il ministro degli Esteri". Quella italiana è stata una "posizione tradizionale nel senso che tutti gli anni va in automatico un voto di questo genere, non è la prima volta. Ecco, siamo andati in automatico, ce ne siamo accorti tardi. Ma questo non vuol dire che la posizione non vada cambiata, io almeno la penso così - ha continuato - Penso si debba ridiscutere e riflettere: non è certo colpa dell'ambasciatore", ma di linea politica "e su questo è stato fatto un errore". Perché "non si può negare quel che è l'origine, la storia di quella meraviglia, quello scrigno che è la città di Gerusalemme".

In Italia il caso accende subito una polemica politica, col centrodestra che accusa Palazzo Chigi. Giovedì, assai duro era stato il rabbino capo di Venezia, Scialom Bahbout: "I Paesi che si sono astenuti" dal voto sulla risoluzione Unesco "che nega la stretta relazione del popolo ebraico con Gerusalemme e il Monte del Tempio hanno collaborato a un atto terroristico che si propone di cancellare migliaia di anni di storia", ha tuonato. Il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, usa toni più moderati ma non rinuncia a manifestare il disagio: "Gli ebrei italiani sono sconcertati e feriti dal comportamento tenuto dalla rappresentanza diplomatica italiana all'Unesco" scrive in una lettera aperta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pubblicata sulla Stampa. Poi il centrodestra, dalla Lega a Fi e non solo. "Dov'era Renzi quando per due volte l'Italia si è astenuta in sede Unesco a distanza di giorni?" attacca Daniele Capezzone, deputato vicino a Fitto. E Maurizio Gasparri: "Renzi pagliaccio, non controlla nulla".

In cima all'agenda di Renzi resta tuttavia il referendum costituzionale del 4 dicembre. C'è il sostegno al Sì del Pse, ricorda. Subito dopo il Consiglio europeo il premier si sposta in Sicilia per una serie di comizi in favore del Sì. Mentre i sondaggi iniziano a segnare una prima inversione di tendenza proprio in favore della riforma. "I grandi professori hanno fatto ricorso e hanno perso anche al Tar del Lazio - ironizza a proposito della bocciatura del ricorso sul quesito - adesso per favore parliamo di merito". Perché la consultazione, torna a ripetere, "non è su di me, né sul governo". L'inquilino di Palazzo Chigi nega anche che ci sia stata una sua sovraesposizione mediatica in tv.

"Trovo più facilmente rappresentate le ragioni del No - aveva detto in radio in mattinata - Vado da Semprini e la settimana dopo a Politics è andato un deputato M5s, domenica sarò dalla Annunziata perchè la settimana prima c'era D'Alema e le trasmissioni sono iniziate con Di Maio e Di Battista. Facciamo una lista e vediamo chi partecipa a cosa". C'è un blocco "che dice sempre no" rimarca, e da Bruxelles elenca tutti gli ex premier che si sono iscritti appunto a quel fronte: "Berlusconi e D'Alema, Monti e De Mita fino a Dini". Oltre a "illustri personalità quali Gianfranco Fini e Cirino Pomicino". Come dire, il passato. Glissa sorridendo invece in radio sul sostegno dei Masai, a proposito della notizia dei giorni scorsi sulla quale tanto si era ironizzato sui social: "Non me la sento nemmeno io, che pure ho la faccia tosta, di dire che i Masai voteranno sì. A questo non arrivo. Mi autocontengo".

© Riproduzione riservata
21 ottobre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/10/21/news/renzi_allucinante_la_decisione_unesco_su_israele_linea_dura_con_bruxelles_la_manovra_non_si_tocca_-150257297/?ref=HRER3-1
6199  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / CUPERLO: “Mi impegnerò fino in fondo, ma ognuno nega le ragioni dell’altro” inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:43:18 pm
Interviste
Sergio Staino   

@SergioStaino
· 22 ottobre 2016

Cuperlo: “Mi impegnerò fino in fondo, ma ognuno nega le ragioni dell’altro”

Il deputato Pd al direttore dell’Unità: “Ho chiesto io di far parte della commissione per la modifica della legge elettorale. Il partito? Renzi ha la maggiore responsabilità. Sento toni sbagliati anche da chi polemizza con lui. Un errore alimentare incendi”

Caro Gianni, ti confesso che quando ho letto l’intervista a Bersani e, ancor più, quella a Fornaro, mi sei subito venuto in mente. Sbaglio o è un passaggio che segnala un salto di qualità in questo scontro tra la sinistra Dem e il nostro segretario? In pratica una specie di sconfessione verso la tua partecipazione alla commissione di studio sulla legge elettorale. O no?
«Capisco perché lo dici ma spero di no, e non per me ma perché quel tentativo lo abbiamo condiviso. Però c’èqualcosa che travalica la cronaca di giornata, i titoli di giornale o le singole battute. Sai cosa mi impressiona di più in questo passaggio? Il clima, il linguaggio, la totale incomunicabilità che cogli nella negazione delle ragioni dell’altro, anche quando le ritieni sbagliate. E credimi, non ne faccio una questione di garbo o bon ton. Credo sia oggi tra le questioni di sostanza perché incide la carne e lascia tracce, cicatrici, che solo un tempo lungo può rimarginare».

Sì, capisco molto bene quello che dici, anche perché molti di noi, diciamo un po’ quelli come te e me che hanno dentro sé una strana vocazione a fare il pompiere, ne buscano spesso dalle due parti. Qualcuno però potrebbe dire che è giusto e che in fondo non è la prima volta che questi scontri così forti avvengono nel nostro Partito, no? Intendo partito come arco completo, dal PCI ai DS.
«Guarda, l’altra sera ho discusso con Occhetto del suo ultimo libro e Achille ha descritto la difficoltà politica degli ultimi due anni di vita di Berlinguer. Ha ricordato la durezza dello scontro dentro una direzione che nei fatti aveva messo il segretario – parlo di “quel” segretario – in minoranza. Tu mi dirai, altri tempi e hai ragione. Ma quella durezza, quelle differenze di giudizio e persino di strategia non impedirono a un gruppo di personalità di affrontare una stagione che non era meno complicata di oggi. Perché alla fine una classe dirigente è questo, è cultura, rispetto. Anche scontro aspro, ma non puoi spingere quello scontro sino a denigrare il tuo interlocutore perché facendolo finisci col denigrare un po’ anche te stesso».

A parziale attenuante di chi nella sinistra Dem utilizza certe considerazioni per me, ti confesso, oltre che sbagliate incomprensibili, c’è anche l’atteggiamento non sempre persuasivo del Segretario. Al contrario, in certi momenti sembra che cerchi lui stesso lo scontro per lo scontro…
«Penso da sempre che chi è alla testa abbia le responsabilità più grandi. Se stai al timone devi farti carico di quelli che sono a bordo e se lavori per buttarne a mare una parte non sei un buon comandante. Renzi è una personalità forte. Ha scalato il potere con un intuito e una velocità che hanno stupito. Ha risorse che nessuno può negare ma oggi si dimentica che è soprattutto a capo di una comunità più ampia della Leopolda. Avrebbe la responsabilità di indicare la rotta per il dopo e sa che per tanti di noi quella rotta non può che fondarsi su un centrosinistra di governo, ancorato ai principi che questa forza hanno fatto nascere. L’alternativa non è quel partito della Nazione che le urne hanno già sconfessato. Al punto in cui siamo l’alternativa è una frattura sull’identità del Pd perché se l’approdo fosse un partito piazzato al centro che attrae pezzi della destra promettendo di relegare la sinistra in cantina verrebbe meno la nostra ragion d’essere».

Sì, questo è un sospetto sufficientemente motivato. C’è da dire però, per mettere tutta la carne al fuoco, che altrettanto spesso Renzi mostra un entusiasmo e una simpatia verso la sinistra che sono quasi commoventi ma che contrastano fortemente con altre uscite. Insomma, colpi bassi ci sono da una parte e dall’altra ma queste dichiarazioni di due esponenti importanti della sinistra Dem mi sembra vadano un po’ oltre, no?
«Certo che ascolto toni e parole sbagliate anche da alcuni che con le scelte di Renzi polemizzano. Ma vedi, penso che contino molto i luoghi e i momenti. Io la mia sfida al congresso l’ho persa e l’ho riconosciuto un istante dopo. Le correnti che mi avevano sostenuto si sono riprese la propria autonomia e noi siamo ripartiti daccapo, senza potere né ruoli. Con la sola forza di qualche idea e la passione di volerla difendere. Mutuando Flaiano potrei dirti che la mia riconoscenza per quelli con i quali ho condiviso questi anni è infinita perché hanno scelto di salire sul carro di chi non aveva vinto e in quella scelta avevano qualcosa da rimetterci. Poi, è capitato anche a me di criticare il premier. L’ho fatto dalla tribuna della direzione, con quello streaming che mi sarei volentieri risparmiato perché un gruppo dirigente deve anche poter discutere in libertà senza pensare che si parla prima di tutto a telecamere e giornalisti».

Sembra quasi un rammarico nostalgico verso le riunioni del comitato centrale a porte chiuse. Ricordo che tra Napolitano e Ingrao all’epoca c’erano sicuramente differenze più grandi di quelle che possono esserci tra te e Renzi eppure, fuori da quelle stanze, ben pochi ne erano a conoscenza. Comunque il fatto della diretta in streaming non mi sembra ti abbia condizionato più di tanto…
«In quelle direzioni forse ho mosso a Renzi le critiche più dirette. Ho parlato in modo schietto della sua autorevolezza, ho criticato alcune scelte a partire dal jobs act, dalla buona scuola o dalla mancata scossa all’economia e di un tagliando per una classe dirigente che in troppi casi non si è mostrata all’altezza. E qualche dato oggi conferma quelle preoccupazioni e ragioni. Se lo avessi davanti adesso gli direi che sono sbagliate le sue accuse a Visco, fosse solo perché da lui sono venute le migliori proposte che questo governo ha realizzato per un recupero serio di gettito. Ma con la stessa sincerità ho apprezzato altre cose. Il coraggio sulle unioni civili, sul dopo di noi, la legge sullo spreco alimentare e la coerenza su diritti umani e migranti o la voce forte con l’Europa sulla crescita. Ma anche per questo ti dico che se ci fosse stata maggiore capacità di ascoltare le critiche forse avremmo conservato una quota del consenso che abbiamo perduto tra gli insegnanti, i precari, o quei lavoratori iscritti alla Cgil ai quali, se guidi la sinistra, non puoi dire che Marchionne ha fatto per loro più di tutti i sindacati messi assieme. Perché se lo dici li perdi. E se vuole vincere, questo la sinistra non se lo può permettere».

Sì, non posso che essere d’accordo, sono affermazioni propagandistiche nei confronti della destra ma alla fine inutili alla nostra crescita. Non pensi però che siano anche motivate da un atteggiamento troppo pregiudiziale della CGIL e di tutti quegli organismi che una volta chiamavamo “di massa”? Capisco lo sconforto della CGIL sugli apprezzamenti verso Marchionne ma anche loro si muovono su un terreno politico come se invece di un organismo unitario fossero un partito politico. Non trovi?
«Credo che il sindacato abbia ben chiaro il tema del suo rinnovamento che dipende in gran parte da come è cambiato il lavoro, il suo ruolo sociale, la stessa centralità che ha avuto nella vita delle persone. La sfida per la Cgil non è farsi meno sindacato e più partito ma capire cosa vuol dire essere sindacato in un mondo segnato da una svalutazione del lavoro. Però, vedi, il compito della sinistra politica dovrebbe essere sempre quello di mediare tra interessi diversi e non per evitare le scelte ma per coinvolgere la parte migliore del paese nelle riforme. Trentin firma l’accordo sulla politica dei redditi e si dimette, ma a parte che viene confermato a gran voce quella è la prova che se coinvolgi le grandi organizzazioni sociali nelle responsabilità ne trae beneficio anche il governo. E d’altra parte l’Italia è cresciuta di più quando a guidarla sono state forze e figure depositarie di questa cultura, da Giolitti al primo centrosinistra fino a Ciampi e all’Ulivo di Prodi. Siamo cresciuti meno e peggio con Crispi, la destra reazionaria o Berlusconi. Qualcosa la storia dovrà pur insegnare, soprattutto in una stagione come questa segnata da una ripresa che stenta e da una povertà che per la prima volta da moltissimi anni colpisce soprattutto i più giovani. Ma quelle tabelle della Caritas che ce lo spiegano non sono statistiche: sono una condanna morale a cui la sinistra deve ribellarsi».

Comunque, tornando alle polemiche sulla tua presenza dentro questa commissione, è evidente che ti fanno molte critiche per aver accettato di partecipare…
«Vedi, io non ho accettato di entrare in quella commissione. Ti confesso che ho chiesto io di entrarci perché credo giusto farmi carico di una necessità che non è strappare un premio di consolazione per le minoranze. Non possiamo ridurre tutto a caricatura. Io penso che un accordo alto su una nuova legge elettorale serva a non ridurre la rappresentanza del Paese e gli spazi di partecipazione. Quel comitato è un tentativo in questo senso e io mi impegno fino in fondo e con lealtà perché abbiamo il dovere di rispondere a una convinzione diffusa tra tanti che voteranno Sì come tra molti che hanno scelto il No. E la convinzione è che per tutti esiste il giorno dopo e avendo una sola camera a votare la fiducia ma rimanendo in capo al Senato competenze rilevanti serve una legittimazione diretta e forte di deputati e senatori. È di questo che voglio farmi carico. Trovare regole più condivise per rafforzare un tassello della nostra democrazia. Poi è evidente che per riuscirci serve una volontà politica che deve venire in primo luogo da chi guida il Paese e oggi è anche segretario del Pd».

Trovare regole più condivise mi sembra un obbiettivo saggio e condivisibile però a volte si ha l’impressione che la sinistra meni un po’ il can per l’aia. Che lo faccia Renzi siamo un po’ abituati ma che lo facciano persone come Bersani o Migliavacca mi colpisce molto. Sono sempre stati dei sani compagni con i piedi per terra e con tanto buon pragmatismo. Adesso invece mi sembri solo tu tra loro a credere a una possibilità di accorciare le distanze.
«Lasciamo da parte i nomi. Il punto per me è che quando dico “riduciamo le distanze” non penso al ceto politico. Stiamo parlando della Carta fondamentale, della bibbia laica della Repubblica. Lo ha scritto bene Reichlin giorni fa sul tuo giornale, il pericolo è che la Costituzione non sia più percepita come la “casa” di tutti, ma questo sì sarebbe uno sbrego storico. Poi certo voglio accorciare le distanze nel Pd e chiedo tempi brevi anche per rispetto dei nostri elettori».

Ma questo tuo lavoro non credo che sia fatto pensando solo alla riforma Boschi e al cosiddetto combinato con l’Italicum, ha ambizioni più larghe che riguardano il partito.
«Penso che questa strada possa ridurre le differenze anche nel centro sinistra. Per me è inaccettabile, te l’ho detto, andare al voto con la maggioranza attuale. Voglio tornare a un centrosinistra e un centrodestra alternativi. In questo Milano è un modello vincente per la città e in generale per la politica».

E le divisioni?
«Intendi le divisioni nella sinistra interna? Io sto a quello che ognuno di noi ha sostenuto perché poi in politica conta questo. Certo, posso provare una punta di amarezza nel vedere che mentre si sta cercando di percorrere un sentiero strettissimo c’è chi – per – ché convinto del Sì o del No – alimenta il fuoco anziché spegnerlo. Ma capisco tutto anche se poi, alla fine, ciascuno di noi in coscienza è chiamato a rispondere delle sue convinzioni. E io sono convinto che una lacerazione ancora più grande dentro la sinistra e dentro il Pd rischia di compromettere seriamente le prospettive del domani».

Però ti rendi conto che ci sono alcune personalità che si muovono come se la divisione fosse già compiuta? E non mi riferisco al solo D’Alema.
«Ma vedi per uno che ha la mia formazione, la scelta di tante personalità di valore, da Onida a Smuraglia, la posizione della CGIL, dell’ANPI, di tanti nostri elettori mi mette di fronte a domande serie e a una divisione che si è già consumata. Penso che non si è fatto quel che sarebbe stato giusto fare per evitarla. Ma insisto, anche se tutto sembra spingere nella direzione opposta, questo dovrebbe essere il momento in cui un gruppo dirigente fa una scelta e un investimento. Leggo che alcuni non credono agli impegni sulla carta a cambiare la legge. Io voglio credere che se un impegno venisse preso, poi quella volontà verrebbe rispettata. Se non credessi più alla lealtà tra noi me ne andrei altrove».

Che bella cosa che hai detto. La lealtà e la sincerità tra compagni è una cosa imprescindibile dall’essere di sinistra. Però c’è molto da riguadagnare anche su questo terreno.
«Se provo a farmi carico del problema è perché chiunque vinca, il giorno dopo quei nodi se li troverà sul tavolo a partire da un Paese lacerato e da regole meno condivise. Anche per questo avrei preferito un referendum su più quesiti che aiutassero i cittadini a comprendere veramente il merito. La mia critica alla riforma è che non si è avuto il coraggio che serviva. È mancato l’ascolto quando abbiamo proposto il modello più simile al Bundesrat tedesco o quando abbiamo chiesto di prevedere nel nuovo Senato i governatori delle Regioni. Certo che in tutta questa vicenda 5Stelle e la destra hanno colpe enormi ma quell’Aula mezza vuota che vota la Costituzione per me rimane una ferita».

Sì, però poi l’avete votata, a me è sembrato un atteggiamento giusto: nel partito abbiamo sempre agito secondo quel che è stato deciso a maggioranza.
«Lascia che te lo dica così, non vorrei che il racconto della riforma si rivelasse peggiore del suo contenuto. Te lo dico perché trovo sbagliato che si motivi la revisione di un terzo della Costituzione col problema dei costi o imputando alla navetta le colpe per ritardi cumulati negli anni perché è come dire che hai perso la partita per colpa del pallone. Vedi Sergio, quel manifesto del PD che invita a votare “Sì” per tagliare i politici forse farà guadagnare qualche voto ma al prezzo di un’offesa a decenni di cultura politica e costituzionale della sinistra. Se l’Italia soffre questa crisi più degli altri è a causa di uno Stato lesionato e di politiche che hanno bloccato lo sviluppo tutelando rendite e interessi di pochi. Ma ricchezza privata e miseria pubblica non fanno una nazione più forte. Casomai è vero l’opposto ».

Posso dirti da compagno, non da intervistatore, che hai perfettamente ragione? Quel manifesto è una cosa “orribile”. Rincorrere i grillini sul loro sporco terreno è quanto di più nefasto si possa fare.
«La realtà è che siamo davanti a una crisi profonda delle democrazie. Con urne sempre più deserte perché milioni di persone hanno perso fiducia nella loro sovranità, il che è all’origine della rivolta popolare contro il potere nelle sue espressioni più diverse. Se non vediamo questo non capiamo Trump e neppure i muri che tornano a rialzarsi nel cuore dell’Europa. Allora è giusto porsi il tema della stabilità e della forza di chi governa, ma dico attenzione perché il rischio è darsi regole che alimentano governi numericamente forti ma politicamente fragili perché senza un consenso ampio nella società. Dovrebbe essere questo il cruccio che non ci fa dormire la notte e la radice di un pensiero nuovo e persino eretico della sinistra».

 
Continua a leggere
……………………………..
SEGUE A PAGAMENTO (sull'unità non qui).

DA - http://www.unita.tv/interviste/cuperlo-staino-pd-referendum-intervista/
6200  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / MATTEO RENZI E news 448 inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:40:55 pm
Enews 448

1. Emozioni americane

Mi risulta molto difficile contenere le emozioni della visita di Stato della settimana scorsa negli Stati Uniti. A livello personale, innanzitutto, perché considero quella di Barack Obama una storia incredibile e la sua presidenza un passaggio cruciale nella storia americana. La scelta di dedicare all'Italia e al suo governo l'ultima cerimonia ufficiale della sua presidenza è figlia di una stima verso il nostro Paese di cui dovremmo essere molto orgogliosi. Tutti, nessuno escluso, indipendentemente dal colore politico.
E dovremmo essere molto orgogliosi anche delle persone che hanno composto la nostra delegazione a cominciare dal meraviglioso quartetto al femminile con la più grande scienziata italiana, Fabiola Gianotti, la curatrice del Moma di New York Paola Antonelli, il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini e l'atleta paralimpica Bebe Vio.
Sulla mia pagina facebook trovate alcune immagini di questa missione.
Qui il mio saluto al presidente Obama all'inizio della cerimonia ufficiale al mattino.

2. Giù le tasse, più soldi per i malati
Meno emozioni, forse, arrivano dalla Legge di Bilancio 2017. Ma si tratta di un passaggio importante per il nostro Paese, sottovalutato nella discussione di queste ore. Non a caso ho deciso di dedicare alcune uscite televisive originariamente previste per il referendum all'approfondimento del Bilancio: oggi sarò in diretta al Tg5, domani con i ministri Calenda e Madia a Porta a Porta (dopo la bellissima fiction sui Medici). Perché mi sono accorto che anche i punti principali della Legge di Bilancio non sono stati illustrati a dovere.

    L'eliminazione di Equitalia e la possibilità di pagare le multe senza le supersanzioni e gli interessi di mora.
    I due miliardi di euro in più sulla sanità a cominciare dai farmaci oncologici innovativi.
    I soldi di Industria 4.0 con un pacchetto di misure per la competitività che non ha eguali nel recente passato.
    L'abbassamento delle tasse, ulteriore: dall'Ires al 24% alle partite Iva, all'Iri, al canone RAI che scende da 100€ a 90€, fino alle tasse agricole.
    L'aumento delle pensioni per chi prende meno di mille euro: avranno una quattordicesima. E la possibilità di andare in pensione con qualche anno di anticipo con la formula "Ape".
    E la possibilità di sbloccare alcune partite ferme da tempo sul pubblico impiego, a cominciare dal comparto sicurezza, dai contratti e da nuove assunzioni nei settori di prima necessità (come infermieri e agenti di pubblica sicurezza).

Potrei continuare a lungo. Ma la sintesi è semplice: in questa stabilità ci sono diverse buone notizie (e non ho citato quelle per gli enti locali, per gli studenti e i ricercatori, per la scuola, per gli abbonamenti ai pendolari: l'elenco potrebbe continuare). Queste buone notizie sono state possibili nonostante un lavoro incredibile di abbassamento del deficit visto che siamo a 2,3%, il livello più basso degli ultimi dieci anni. Passo dopo passo, stiamo restituendo ai cittadini dignità e servizi.
A me piacerebbe che sui temi della legge di stabilità anche chi fa sempre polemica trovasse un minuto di onestà intellettuale per discutere nel merito. Erano tutti a favore di un aumento dei fondi alla sanità, perché fare polemica adesso? Erano tutti per chiudere Equitalia, perché fare polemica adesso? Aspetto le vostre mail: matteo@governo.it

3. Viaggio in Italia
Prosegue il mio viaggio dentro il cuore profondo del Paese (qui il video sintesi della settimana). A Pistoia abbiamo visitato la Hitachi, ex Breda, che ha fatto nuovi investimenti nelle fabbriche e si accinge a produrre per Ferrovie dello Stato 300 nuovi treni pendolari. Non pensiamo solo all'alta velocità insomma. Al Sant'Anna di Pisa ho sfidato gli studenti e i ricercatori a sommergerci di idee, proposte, suggerimenti e critiche in una sorta di gara di idee per il Paese. A Taormina abbiamo presentato il logo del G7. A Messina abbiamo firmato il Patto per la città: nelle prossime ore faremo lo stesso a Napoli. A Palermo abbiamo inaugurato l'anno accademico, cosa che faremo alla fine di questa settimana anche a Padova. E dal profondo sud ovest di Trapani fino al nord est di Vicenza (giovedì prossimo, pomeriggio), passando per Avellino, continuano gli appuntamenti di Basta un Sì. A proposito: mentre Massimo D'Alema non trova di meglio che insultare gli elettori anziani, io continuo a fare confronti - credo civili e pacati - con il mondo del NO. Dopo Travaglio e Zagrebelsky, è la volta di Ciriaco De Mita che sosterrà le ragioni del NO in un confronto da Enrico Mentana su la7 venerdì prossimo alle 22.30 Chi vuole darci una mano per sostenere le ragioni del Sì, smentire le "Bufale del No", fare un comitato o aiutarci a livello economico (stiamo per raggiungere quota mezzo milione) può digitare l'indirizzo www.bastaunsi.it. Mancano 41 giorni al voto e noi abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti i cittadini che credono che sia arrivato il momento di cambiare. Perché - come ci spiega qui in modo inappuntabile la nonnina - se voti no, non cambia niente.
Ah, ultima considerazione. Ricordate la polemica sulla scheda? Bene. Dopo giorni di discussione il Tar del Lazio ha respinto il ricorso dei professori del NO. Questa è la scheda che troverete in cabina elettorale, dunque.
La domanda è chiara, la risposta adesso è nelle mani del popolo italiano.
Ci sarebbero molti altri argomenti: la legge sul caporalato, il rapporto Green Economy, i dati del lavoro (nonostante il minor aumento siamo a più 588.000), il rapporto Export, ma ci torneremo in una delle prossime enews. Per adesso tutti al lavoro e a quelli che vogliono bene al PD l'invito a partecipare alla manifestazione sabato 29 ottobre a ROMA in PIAZZA DEL POPOLO nel primo pomeriggio. Il weekend successivo, da venerdì 4 a domenica 6 novembre, invece ci sarà la Leopolda.

Un sorriso, Matteo
www.bastaunsi.it

Pensierino della Sera. Da padre, dico che la frase di oggi del Presidente Mattarella sui vaccini è quantomai importante: "Occorre contrastare con decisione gravi involuzioni, come accade, ad esempio, quando vengono messe in discussione, sulla base di sconsiderate affermazioni, prive di fondamento, vaccinazioni essenziali per estirpare malattie pericolose e per evitare il ritorno di altre, debellate negli anni passati." Si perdono voti a dirlo? Forse. Ma è giusto e doveroso pensare ai nostri bambini. Voi che dite? matteo@governo.it

DA - https://mail.google.com/mail
6201  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Andrea M. Jarach. I cittadini che rifiutano lo Stato non sono sopra la legge inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:37:29 pm
I cittadini che rifiutano lo Stato non sono sopra la legge

Andrea M. Jarach
20 ottobre 2016

I Reichsbürger, in italiano cittadini del Reich, si presentano anche come Germaniten o Staatenlosen (traducibili rispettivamente come germani od apolidi). La sigla apparsa prepotentemente alla cronaca attuale è in realtà già nota da almeno 5 anni. Sono un gruppo eterogeno di malcontenti raccolti in mini organizzazioni, od addirittura di singoli, con un nocciolo duro ancorato nella destra estrema che si richiama specificamente al terzo Reich. Non riconoscono l’autorità dell’attuale Stato nazionale tedesco in alcuna forma e si richiamano ai suoi predecessori nei confini del 1937 o del 1871. Costituiscono un cocente problema per l’amministrazione tedesca ed anche per l’ordine pubblico.

Quattro tesi per negare la legittimità della BRD
Le tesi per giustificare l’inesistenza legale della BRD sono ancorate in argomenti tipici dell’estrema destra.

Il Reich tedesco esiste ancora
Il primo è che la BRD non sarebbe erede del Reich tedesco che esisterebbe ancora, ma impossibilitato di esercitare la sua autorità. Idea propagata negli anni settanta, tra gli altri, dall’estremista di destra Manfred Roeder. La fonte è un’interpretazione faziosa di una sentenza della corte costituzionale tedesca del 1973 che indicò che la BRD non è il successore in diritto del Reich tedesco aggiungendo però che è uno Stato identico a quello.

Con l’unificazione la BRD è morta
Un altro argomento è che la BRD sarebbe venuta meno con la riunificazione per effetto della cancellazione dell’articolo 23 della costituzione che indicava l’alveo della sovranità nazionale. L’articolo fu cancellato perché la Germania non intendeva più far valere diritti territoriali su Polonia e Cecoslovacchia, ma la validità della sovranità statale della nazione unificata è indicata sia nel trattato di riunificazione tedesca che nel preambolo della carta costituzionale.

Le Nazioni Unite ammettono l’autodeterminazione
Un’altra argomentazione cui ricorrono i Reichsbürger è che sia mancato un trattato di pace con gli alleati e che quindi la BRD è sempre una colonia, non volendo ammettere che il contratto sulle regole conclusive relative alla Germania sostituiva il trattato di pace. Essi richiamano ancora i diritti sulla autodeterminazione previsti dalle Nazioni Unite con la risoluzione A/RES/56/83, mancando di rilevare che per costituire un nuovo Stato dovrebbero poter vantare un potere di ordine sul territorio.

La Germania è una azienda non uno Stato
Infine c’è chi tra loro sostiene convinto che la Germania è una ditta: la BRD GmbH. La curiosa tesi si basa sull’effettiva esistenza di una Agenzia federale, la Bundesrepublik Deutschland Finanzagentur GmbH, che si occupa delle aperture di credito e debito della nazione.

Chi sono in realtà i Reichsbürger
Nella più parte i Reichsbürger sono solo persone indebitate che rifiutano il pagamento di imposte o di alimenti divorzili, rendendo i documenti di identità per sostituirli con altri privi di valore legale, acquisiti via internet, vuoi di un supposto redivivo Deutsches Reich o di uno Stato Libero Prussiano, od ancora dello Stato Federale Bavarese e Prussiano, od altre sigle più o meno fantasiose. Altri sono profittatori che vendono questi pezzi di carta. Altri ancora dichiarati revisionisti e neonazisti tout court. Già solo in Brandenburgo si contano siano circa 300 persone, almeno 80 nella Sassonia-Anhalt e poi diverse altre sparse negli altri Länder. Il fenomeno è apparentemente più diffuso all’Est dove ancora oggi strati di popolazione, perduto l’assistenzialismo della ex DDR, si ritengono perdenti dall’unificazione tedesca.

Danni all’amministrazione
I Reichsbürger hanno per lo più al loro attivo resistenze e male parole ad ufficiali giudiziari postandone i filmati su You Tube, costituendo grattacapi per le amministrazioni pubbliche. Ufficiali giudiziari, poliziotti ed amministratori di giustizia da tempo devono affrontare corsi specifici su come affrontare i nuovi protestatari. Persino all’Ufficio Tedesco per Brevetti e Marchi pare siano arrivate missive di piantagrane.

Riprese dei processi
Il fenomeno a fronte delle crescenti paure verso gli stranieri è diventato tuttavia progressivamente dilagante e si sono registrati episodi più o meno gravi. A gennaio di quest’anno un’udienza per guida senza patente nel tribunale di Kaufbeuren, in Baviera, è stata interrotta da una ventina di persone tumultuose che ha sequestrato i fascicoli processuali filmando l’azione. È una prassi ripetuta dagli adepti di filmare giudici, udienze e metterli alla berlina su internet.

La truffa maltese
Jochen Eichner per l’emittente radiofonica Bayerischer Rundfunk ha ricordato che ad Augsburg appena il mese scorso un uomo ha dovuto rispondere di tentata estorsione ai danni di un ufficiale giudiziario per avergli richiesto 2 milioni di euro a titolo di danni insussistenti. Lo schema è noto già da almeno un anno come truffa di Malta. I Reichsbürger si iscrivono on line nel registro delle imprese UCC di Washington d.C., quindi annotano dei falsi crediti nei confronti dei funzionari pubblici che vengono girati ad una ditta di esazione di Malta e da essa azionati per via giudiziaria. Se il malcapitato non si difende di fronte ai giudici maltesi, la sentenza vale come titolo eseguibile in Germania. L’emissione Kontrast della MDR ha rivelato che anche la Cancelliera ed il Presidente della Repubblica tedesco sono stati attaccati con la truffa maltese; nel loro caso però i procedimenti annullati sul nascere su richiesta del Governo. USA. Germania e Malta sono già intervenuti per ostacolare questo meccanismo.

E poi le armi
Le armi hanno preso piede nelle frange più di estrema destra. Il caso più eclatante fu registrato nel 2012 a Bärwalde in Sassonia quando un gruppo autonominatisi Deutsche Polizei Hilfswerk ammanettò e sequestrò un ufficiale giudiziario poi liberato dalla vera polizia. A febbraio in Brandenburgo un ufficiale giudiziario ed un collaboratore di un fornitore di energia elettrica sono stati minacciati all’arma bianca da un padre di famiglia che non si riconosceva più cittadino della BRD. In Nord Reno Westfalia -ha riportato la ARD- un uomo ha dovuto rispondere in Tribunale per avere cercato di acquistare un AK-47 in Lussemburgo con un porto d’armi del fasullo Stato Libero Prussiano. In agosto a Reuden, nella Sassonia-Anhalt, una coppia che non riconosceva il potere della polizia di condurre un’espropriazione forzata ha provocato uno scambio di colpi d’arma da fuoco con gli agenti.

Georgensgmünd: il primo morto
Il caso di mercoledì del 49enne a Georgensgmünd, al quale dopo un giudizio di pericolosità dovevano essere ritirate oltre 30 armi- che peraltro aveva acquistato legalmente- ed ha sparato alle forze di polizia non dovrebbe purtroppo stupire più che tanto. L’uomo ha esploso i primi colpi già attraverso la porta di casa ancora chiusa. Riducendo un poliziotto in fin di vita che nonostante un’operazione d’urgenza è morto nella mattinata di giovedì, ferendone gravemente un altro ed altri due più leggermente con schegge di vetro, prima di essere ferito a sua volta ed arrestato.

Risposte improcrastinabili per la politica e la società civile
La risposta al fenomeno non può essere cavalcare il consenso degli insicuri come la deputata della CDU di Lipsia Bettina Kudla che in un tweet alla fine di settembre aveva criticato la politica della Cancelliera favorevole all'integrazione degli immigrati, dicendo “la ripopolazione della Germania è già iniziata” usando il termine di sapore vetero nazista Umvolkung.
Sono necessarie una sorveglianza più rigida dell’estrema destra e dei Reichsbürger; campagne avverso i pregiudizi contro gli stranieri; prevenzione ed inibizione della diffusione di filmati che minano la legittimazione degli agenti dello Stato. Ma soprattutto politiche di sviluppo economico stemperando le ansie dei ceti medio bassi. E questo deve avvenire sia a livello nazionale che europeo.
Tra un anno le elezioni del Bundestag potrebbero altrimenti sugellare l’avanzata dei populisti con danni incalcolabili.

Da - http://www.glistatigenerali.com/terrorismo/i-cittadini-che-rifiutano-lo-stato-non-sono-sopra-la-legge/
6202  Forum Pubblico / I.C.R. Immaginare Conoscere Realizzare. "Le TERRE DI RANGO" e "Le TERRE DI FANGO". / Mussolineide di Carlo Emilio Gadda - Salvatore Silvano Nigro inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:34:57 pm
Letteratura

Eros e Priapo senza censura

    di Salvatore Silvano Nigro 21 ottobre 2016

Milanese. Carlo Emilio Gadda

Torna in libreria Eros e Priapo, l’invettiva antifascista, la mussolineide di Carlo Emilio Gadda. Ma non è la ristampa dell’edizione che lo scrittore pubblicò da Garzanti nel 1967. È un’opera nuova, diversa; ancora più furibonda e inesorabile, più intimamente motivata nella complessità dei piani e nella profusione barocca dello scatologico e della deformazione grottesca. L’Eros e Priapo, che Paola Italia e Giorgio Pinotti hanno curato per Adelphi, è la versione originale, con vari stadi di scrittura, conservataci da un manoscritto appartenente agli anni 1944-1945; la redazione prima, «smoderata» dall’«ira» e dalla «rancura», più volte respinta, in ogni suo singolo assaggio proposto alle riviste, a causa dei fuochi matti del dileggio osceno e della manipolazione ingegnosa della lingua (una «contaminazione Machiavelli-Cellini-fiorentino odierno: con inflessioni, qua e là, romanesche e lombarde», nella definizione dello stesso Gadda). L’edizione Garzanti aveva proposto una versione sedata dell’opera, alla quale si prestò l’autore, coadiuvato nell’operazione dal giovanissimo Enzo Siciliano. Gadda era ormai stanco. Si era arreso alle esigenze degli editori. Accettò di epurare il testo. Mise qualche pudibonda foglia di fico alle parole più sguaiate; e fu così che qualche volta, come nel brano qui proposto, «culo» divenne «sedere». Si rassegnò all’eliminazione delle tante note a piè di pagina che, vere e proprie vampate di vocabolario, fingevano pedanteria e davano sostegno all’organizzazione saggistica dell’opera; e spesso erano occasione di lunatici microracconti, che si aggiungevano alle continue e sbrigliate digressioni narrative del testo.

La tarda edizione garzantiana era sì un pamphlet contro le funerarie priapate del «Predappiofesso», del «Predappiofava», del «Batrace stivaluto», del «Merda» con tanto di ventre «prolassato e incinturato», che dondolava sui tacchi e sulle «gambe a roncola» mentre il coltello gli oscillava alla cintola e la «ventosa labiale» gli andava in boccio per fiorire in «repentino garòfolo». Ma resecò dal manoscritto un brano truce di apocalittica visionarietà: «E se Dio voglia, finisce appeso come Cola, con rivoltate coglia (coi ball per aria, dialetti lombardi)». Il libro Garzanti si apriva con «Li associati» in camicia nera. Il libro Adelphi introduce subito «Li associati a delinquere cui per più d’un ventennio è venuto fatto di poter taglieggiare a loro posta e coprir d’onte e stuprare la Italia».

Eros e Priapo, riportato alla volontà integra dell’autore, muove dal «Gaddus» che dice «io Carlo Emilio», cita le sue opere e si racconta come lettore con le sue preferenze. Gadda è un personaggio del suo libro (a differenza di quanto avveniva nel libro Garzanti che, al posto dell’autore diretto, aveva dovuto inventare la maschera distanziante di Alì Oco De Madrigal). E in quanto ex simpatizzante del fascismo è coinvolto (nudamente) nella bolla narcissica e nella catastrofe storica. L’edizione curata da Paola Italia e Giorgio Pinotti, ricca di documenti collaterali, e forte di una Nota al testo che è un lungo racconto storico, filologico e critico, di esemplare potenza, si impone anche per il cambio di prospettiva che introduce nella lettura di quest’opera che non è per niente «bizzarra» e vuole farsi leggere (con tutti gli evidenti rimandi freudiani) come un saggio di psicologia delle masse. Scrivono i curatori: l’opera «si rivela molto più che un pamphlet antifascista (…) è un atto di (auto) denuncia e insieme un’autobiografia nazionale, che indaga le ragioni profonde della storia recente di un intero popolo, dopo aver mostrato lo strazio della sua distruzione materiale e morale, per additare la strada della rinascita (…) Non si tratta di utilizzare la chiave psicanalitica per capire il ventennio fascista, ma di utilizzare il ventennio fascista per capire, attraverso una degenerazione estrema, l’articolarsi del delicato rapporto tra narcisismo individuale e vivere civile. Per capire come le pulsioni dell’io agiscano in tutti i rapporti interpersonali, in tutte le dinamiche collettive, e possano, se non infrenate, portare a vent’anni di fallocrazia alimentata dal delirio di un “ippopotamo idolatra” e dalla incapacità delle masse di arginare la loro propensione all’idolatria narcissica».

Il salvataggio adelphiano è arricchito, nelle due Appendici, dalla riproposta di Avantesti e Riscritture e da una Galassia di “Eros e Priapo”. Non trascuri, il lettore, l’ecfrasi (forse la più bella della letteratura italiana) del Ratto d’Europa dipinto da Paolo Veronese. Si trova incastonata nei Miti del somaro, alle pagg. 295-296: «quella gran tela appunto che celebra il ratto dell’avvenente femmina da parte dello iddio fregolesco. La bella è montata a cavalcioni in groppa del cheratocefalo, (che un ciuffetto gli sbarba giù di tra i corni), opportunamente accosciatosi in nell’erbette per facilitarle quel delizioso inforcar la su’ groppa. Che lui, sotto a quel velluto e a quelle cosce, lui di tutta groppa ne prude e ne gode e rivolge addietro quel musone bicorne: tutto saturo d’una sua premeditante maestà. Ed estromessane cospicua e dilatata polpa di lingua, vaporando cupidità le du’ froge, lecca dal di sotto il di lei roseo piedino: il destro».

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-10-21/-eros-e-priapo-senza-censura--172444.shtml?uuid=AD1oUYfB&cmpid=nl_domenica
6203  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / Distrazione delle masse. (Attribuita a Noam Chomsky) - Sarà vero? uhm inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:28:52 pm
Le 10 strategie della distrazione delle masse (attribuita a Noam Chomsky)

Distrazione delle masse

Il fondamento del controllo sociale è la strategia della distrazione. Come funziona? Si fa un modo di distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti che vengono decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando una tecnica chiamata diluvio o inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse della popolazione verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica.

Ecco i 10 punti della strategia

1- “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.
4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.
5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….
7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).
8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…
9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!
10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

Fonte: http://briganti.info/la-strategia-della-distrazione-delle-masse-attribuita-a-noam-chomsky/
………………


Da -http://blog.saltoquantico.org/distrazione-delle-masse-disinformazione-sistema-nwo/
6204  Forum Pubblico / I.C.R. Immaginare Conoscere Realizzare. "Le TERRE DI RANGO" e "Le TERRE DI FANGO". / Geronimo Stilton, il topo più amato del momento, inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:24:54 pm
Geronimo Stilton, il topo più amato del momento, vedendo uscire la settimana scorsa le pagine di «C'è qualcuno che sa leggere?» ne è rimasto incantato.

Ha preso carta e penna e ha scritto apposta per voi, piccoli lettori della «Domenica», un magnifico racconto che siamo felici di proporvi.
Si intitola «Il segreto dell'albero dalle foglie d'oro» è un viaggio alla ricerca del Tesoro più prezioso... Nato a Topazia, la capitale dell'Isola dei Topi, Geronimo Stilton è laureato in Topologia della letteratura rattica e in Filosofia archeotopica comparata.

Dirige l'«Eco del Roditore», il giornale più famoso dell'isola. Colleziona croste di formaggio del 700 e adora scrivere libri che hanno venduto 128 milioni di copie nel mondo.
Vi bastino questi brevi cenni biografici per far capire quanto è adatto come firma della Domenica. Tra un mese gli sarà dedicata una grande mostra e uscirà il suo ultimo libro «Origini del Regno della Fantasia».
E noi saremo pronti per raccontarvelo. Intento godetevi il racconto inedito, in un numero come di consueto ricchissimo di contenuti per i nostri lettori forti, da 0 a 99 anni!

Da – ilsole24ore.com
6205  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Maria Grazia GREGORI. Fo, il corpo del teatro contro il potere inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:21:17 pm
   Opinioni
Maria Grazia Gregori   
· 14 ottobre 2016

Fo, il corpo del teatro contro il potere

Speciale Fo | l'Unità   

Il più vero erede della commedia dell’arte. La grandezza di un autore e attore che ha creato un linguaggio spiazzante

Dario Fo diceva che da bambino, a San Giano, piccolo paese sopra Luino dove era nato e suo padre era capostazione, il suo tempo era scandito dai fischi del treno e dal suono delle campane. Ma raccontava anche della sua fuga a Milano per frequentare l’Accademia di Brera e dopo la Facoltà di Architettura al Politecnico senza però terminare gli studi. E ricordava, sia pure con fatica, di essere stato volontario, alla fine del fascismo, a diciassette anni, dopo avere cercato di essere renitente, nell’esercito della Rsi, per evitare la deportazione in Germania. E ricordava, con più piacere, quelli che considerava i suoi maestri: un fabulatore che si chiamava Dighelno, «straordinario, faceva mille mestieri, dall’imbianchino al contrabbandiere, al soffiatore di vetro». Ma anche Giorgio Strehler – che ironicamente chiamava l’Azzurro, per via del colore dei suoi capelli, «magnifico e generoso: quando con Parenti e Durano preparavamo al Piccolo Il dito nell’occhio veniva a vedere le prove, ci aiutava con le luci. Oggi ogni tanto lo attacco per via di quella maledetta voglia che abbiamo tutti noi di prendercela con quelli che ci hanno preceduto». E poi citava l’importanza di Totò, la rivelazione –grazie a lui – «del paradosso, dello scatto, del raddoppio delle situazioni, dell’uso del corpo, della voce e del ritmo». E non dimenticava mai l’incontro folgorante – un vero e proprio colpo di fulmine, diceva – con Franca Rame. È un fatto: scrivendo di Dario Fo che se ne è andato ieri mattina nella sua Milano a 90 anni, dopo qualche giorno in ospedale, mi viene voglia di riandare al passato, ai primi incontri che ho avuto con lui, alle prime cose che mi ha detto. Perché negli ultimi tempi, soprattutto da quando era mancata Franca che sapeva tenere diritta la barra del suo modo di essere e che amorevolmente gli stava vicina impedendogli di deragliare, Dario ha fatto scelte e detto cose che non potevo condividere. Disagio che non era solo mio ma che, certo, non misconosceva la sua grandezza d’artista.

L’autore italiano più rappresentato
Oggi, però, è alla sua parabola lunga, colma di difficoltà e di successi, così importante nel teatro italiano, aureolata oltretutto dal Premio Nobel per la letteratura nel 1997, che è giusto tornare. E cercare di raccontare del Fo autore, il più rappresentato fra gli italiani all’estero come Pirandello ed Eduardo, della sua invenzione di un meccanismo drammaturgico che si nutriva delle farse, delle commedie all’improvviso, sempre però affondando le sue radici nel grottesco, nell’assurdo spiazzante. E ricordare il Fo attore per il quale, certo, la parola era fondamentale, ma che in scena la faceva dilatare per come sapeva usare il corpo e una gestualità davvero straordinaria. E il corpo, per Dario, è stato un modo non solo di essere, di presentarsi, ma anche una sfida, una provocazione, un linguaggio, una scrittura parallela, un grimaldello per entrare nell’immaginario, nella coscienza dello spettatore per mettergli almeno la pulce all’orecchio, per sparigliare tutto aggiungendo un po’ di pepe al suo tranquillo ron ron. Grazie al corpo, al volto in grado di trasformarsi nella maschera di una maschera, alla sua capacità funambolica, da vero erede della commedia dell’arte, di raccontare, Fo ha conquistato spettatori di mezzo mondo che magari non capivano quello che diceva, ma in realtà erano in grado di cogliere il senso profondo del suo stare in scena. La sua strada di autore-attore, pur continuando a dipingere, l’aveva iniziata alla radio fra il 1952 e il 1953 con i discorsi strampalati del “poer nano”ed era continuata grazie all’incontro con due attori come Franco Parenti e Giustino Durano con Il dito nell’occhio che, presentato nel 1953 nella cosiddetta stagione estiva del Piccolo di Milano, aveva avuto un successo clamoroso, l’anno dopo ripetuto con Sani da legare subito tallonati dalla censura, che avrà sempre un “occhio di riguardo” nei suoi confronti: basti ricordare la celebre Canzonissima nella Rai del 1963 – che terminava con la bellissima canzone Stringimi forte i polsi musica di Fiorenzo Carpi, parole di Dario, cantata da Mina -, che lui e Franca Rame abbandonarono con grande clamore. E intanto scriveva e interpretava (con Franca) farse stralunate, su manichini e donne nude, su pistole con gli occhi bianchi e neri, becchine svaporate, regine e cacciaballe, ma anche pamphlet politici, ragionava cantando, denunciava la corruzione, rappresentava un glorioso Mistero buffo che ha tenuto vivo fino all’ultimo, una riscrittura dell’Opera tre soldi, anzi dello “sghignazzo”, con Nada dove non arrivava una nave «tutta vele e cannoni», ma un’astronave, morti accidentali o meno di anarchici , un Ubu Bas che voleva portare all’ammasso il cervello della gente… In una parola il teatro secondo Dario e Franca da rappresentare sul palcoscenico sotto il segno di un assurdo che cattura, che fa pensare, ma non spaventa, dove gli incidenti fortuiti sono il pane dell’attore, come se si potesse affrontare tutto con una risata, senza perdere il filo delle cose, senza fermarsi di fronte a nessuna denuncia, a nessun pericolo personale. Ovvero l’estetica dello sfottò, inventata da Dario, corroborata da Franca e portata avanti magistralmente da tutti e due. E quante risate quando lei in scena faceva la svampita e per il palcoscenico scorrazzavano i questurini mescolando spettacolo e vita privata con il celebre «Ma Dario…» e il pubblico pensava che quel richiamo fosse rivolto proprio all’attore che sembrava partito per la tangente ma non era vero perché il self control di Fo era a tutta prova e nulla era lasciato al caso: anzi, quell’esclamazione si trasformava in una specie di “sentinella” drammaturgica, un tracciato noto solo a loro due in un accumulo di tensione e di attenzione.

La sua grande scuola
Tutto senza mai possedere un teatro, ospiti paganti di teatri prima borghesi e poi in luoghi più proletari quando il discorso con il suo gruppo La Comune si era fatto più politico e duro o alla Palazzina Liberty occupata e rimessa a nuovo da loro e dai loro supporter. E intanto con loro recitava una giovanissima Mariangela Melato e un già scapestrato Paolo Rossi e molti altri: idealmente una scuola in palcoscenico secondo una tradizione che condividevano con Eduardo. Una tradizione magari “p ro f a n a t a” per amore del teatro, con uno slancio in grado di fare vibrare la corda pazza che ognuno di noi possiede dentro di sé, che orla di nero il riso e che è pronta a sbancare il precostituito, che ama il sarcasmo, ma sa buttarsi a capofitto nelle cose. Spesso i testi di Dario parlavano di Milano, sua città d’adozione: quella di Sant’Ambrogio di un lontano spettacolo, Milano e il suo orgoglio, ma anche Milano e le sue fogne da cui derivava – diceva – il celebre detto milanese «siamo nella merda fino al collo ma teniamo la testa alta»; quella della strage alla Banca dell’Agricoltura, un anarchico che vola giù da una finestra della Questura chissà come. Era Morte accidentale di un anarchico si parlava dell’anarchico Pinelli e con nomi di fantasia del “ballerino” Pietro Valpreda, di una giornalista scomoda, Maria Feletti (che era poi Camilla Cederna), testimone del volo dalla finestra del quarto piano della Questura con il suo Matto pasticcione che metteva a nudo le connivenze, le bugie: uno dei testi più tartassati dalla censura, più discussi e più famosi (è stato rappresentato anche al Berliner Ensemble, il teatro che fu di Bertolt Brecht). Negli ultimi tempi, con la complicità di Giuseppina Manin, aveva scritto un libro Dario e Dio, tema ostico visto alla sua maniera cioè da ateo convinto: Dio non c’è, diceva, anche se… «se guardo alle meraviglie del mondo…» Ma ha anche girato l’Italia tenendo delle affascinanti lezioni-spettacolo su artisti famosi come Giotto, Michelangelo, Raffaello, Caravaggio, di cui riproponeva il tratto, la tavolozza oltre che la vicenda umana e artistica. Infaticabile, sempre in movimento o dal figlio Jacopo in Umbria forse perché la casa milanese senza Franca – di cui diceva di sentire ovunque la presenza- era troppo grande e troppo silenziosa per lui.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/fo-il-corpo-del-teatro-contro-il-potere/
6206  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Andrea RomanoLa scomparsa di Dario Fo e le due idee d’Italia inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:19:40 pm
Opinioni

Andrea Romano   @andrearomano9
· 15 ottobre 2016

La scomparsa di Dario Fo e le due idee d’Italia

Le piccinerie che hanno accompagnato la scomparsa di Dario Fo ci raccontano anche di due idee diverse del nostro paese

C’ è chi ha tentato di fare un uso privato della scomparsa di un grande italiano di fama mondiale, Premio Nobel per la letteratura, utilizzando la sua uscita di scena come occasione per sventolare una bandierina di fazione.

Lo hanno fatto esponenti della destra tanto quanto dei Cinque Stelle, con finalità diverse ma con toni e argomenti che non a caso sono apparsi del tutto simili. A loro lasciamo volentieri la responsabilità di affermazioni che hanno rischiato di inquinare una giornata dedicata all’omaggio e al ricordo.

Questo giornale ha fatto una scelta del tutto diversa e di cui siamo particolarmente orgogliosi, salutando un uomo libero che certamente non aveva alcuna simpatia per il Partito Democratico ma che ha rappresentato (nelle parole di Sergio Staino) “un vero compagno di strada geniale: inaspettato, imprevedibile, stupefacente, curioso e straordinariamente capace di illuminarci sfuggendo ad ogni dogma”.

Ma le piccinerie che hanno accompagnato la scomparsa di Dario Fo ci raccontano anche di due idee diverse del nostro paese. Da una parte chi non confonde la grandezza artistica con la militanza politica, chi non rinuncia a riconoscere il genio culturale come patrimonio di tutti gli italiani – di qualunque colore politico essi siano – e chi non si priva dell’orgoglio di salutare un grande concittadino che ha onorato la nostra nazione.

Dall’altra chi vede l’Italia solo attraverso le lenti della propria partigianeria, non riuscendo neanche in queste occasioni a riconoscere il segno di una comunità nazionale, e prova così a puntellare la propria debolezza. Non è tanto una questione di Guelfi e Ghibellini, né dello spirito di parte che attraversa da sempre la nostra vita pubblica. La differenza è piuttosto nella diversa capacità di pensarci come nazione, e quindi di riconoscere a noi stessi la libertà di guardare ai nostri punti di forza come ad un patrimonio condiviso.

Ci sono cose che rappresentano un grande e indiscutibile valore dell’Italia e degli italiani, prima ancora di essere un piccolo strumento di lotta politica di parte. Vale oggi per Dario Fo così come vale per tutto quanto ci ha reso quello che siamo e che abbiamo il dovere di preservare per le generazioni future. Al netto di chi ha scommesso sul declino dell’Italia, pensando forse di ricavarne qualche vantaggio.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-scomparsa-di-dario-fo-e-le-due-idee-ditalia/
6207  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Claudio BISIO Dario recitava in un capannone e m’illuminai: farò teatro inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:17:54 pm
Opinioni
Claudio Bisio   
· 14 ottobre 2016

Dario recitava in un capannone e m’illuminai: farò teatro
I ricordi si sommano, si sovrappongono, si moltiplicano. Cominciamo dall’inizio

Dario. Svegliato questa mattina dalla notizia della sua morte. E poco dopo dalla telefonata di Sergio (Staino) che mi chiede di scrivere un suo ricordo. Non amo i “coccodrilli”, ma a Sergio come si fa a dire di no… e poi questo non è un coccodrillo. I ricordi si sommano, si sovrappongono, si moltiplicano. Cominciamo dall’inizio.

Anni settanta, io studente liceale a Milano che tramite i Cub (Comitati unitari di base, legati ad Avanguardia Operaia) riesco ad assistere in un capannone di via Colletta alle prove degli spettacoli di Franca e Dario. Vedo così nascere lavori quali Morte accidentale di un anarchico, Tutti uniti! Tutti insieme! Scusa, ma quello non è il padrone? Ordine! Per DIO.OOO.OOO, Morte e resurrezione di un pupazzo e più di una rivisitazione di Mistero buffo (ne ebbe innumerevoli).

Ricordo di quel capannone l’odore di inchiostro e di uova (c’erano probabilmente dei ciclostili nei camerini e le pareti erano tappezzate da scatole vuote di uova per insonorizzare l’ambiente). E lì, in quei lunghi sabati pomeriggio, insieme a tanti compagni divertiti e affascinati da quello spilungone arguto e molleggiato come un folletto, dalle mani parlanti e dallo sguardo vivace, immerso nel mio eskimo extralarge, decido che nella vita, “da grande”, mi sarebbe tanto piaciuto fare quella roba lì.

Poi ho avuto la fortuna di provarci davvero a fare “quella roba lì”, che sarebbe poi il teatro. E così, siamo ormai negli anni ottanta, una sera al teatro dell’Elfo me lo vedo in platea, con Franca, ad assistere al nostro Nemico di classe. E nei camerini, senza il fare da “maestro”, che proprio non gli si addiceva, ma trattandoci da colleghi, da compagni di strada, spiega a me e Elio De Capitani (che per motivi di copione ogni sera ci menavamo e immancabilmente uno dei due si faceva male… spalle lussate, ferite alla testa etc.…) che il teatro è finzione e che si può ottenere maggior effetto colpendo con una mano il muro di cartongesso della scenografia contro il quale rovinavamo ad ogni replica! senza distruggersi il corpo, «perché il vostro compito è di andare in scena anche domani!»

Lo ringraziammo. Io pensai che mi/ci considerava dei dilettanti, ma qualche tempo dopo mi chiamò proprio per lavorare con lui, ad una ripresa di quel Morte accidentale di un anarchico che anni prima mi aveva incantato da spettatore. L’occasione fu un tentativo della giunta di Milano di rimuovere la lapide di Pinelli da piazza Fontana. Tentativo: prontamente sventato. Spettacolo: successo clamoroso.

E poi, negli anni novanta, quando Dario ricevette il Nobel per la letteratura, gli amici della Gialappa’s, sapendo che nei camerini di Mai dire gol ogni tanto lo imitavo, me lo fecero fare in tv. E Franca organizzò un incontro a due, per una campagna contro la clonazione di cui Dario era testimonial. Mi disse che avrebbe indossato una polo rossa e una giacca nera, in modo da vestirmi come lui. Quello che non mi disse era che Dario non ne sapeva nulla. La mattina dopo Dario si trovò quindi sul palco, mentre inveiva contro la clonazione, un suo clone!

Dario e Franca erano anche questo: impegno e divertimento, serietà e sberleffo. La stessa vita politica di Dario ce lo ha insegnato. Mai una scelta omologata, mai strade già segnate, neppure nell’alveo della sinistra, ma sempre sentieri, viottoli, a volte vicoli così stretti che bisognava tornare indietro e cercare un’altra via. Ecco, cercare , la ricerca direi che è stato il leit motiv della sua vita, artistica e non.

Mentre scrivo queste righe scopro che l’accademia svedese ha appena assegnato il Nobel per la letteratura a Bob Dylan.

Una scelta così coraggiosa e fuori dagli schemi la fecero solo diciannove anni fa proprio quando assegnarono il Nobel a Dario Fo.

Che abbiano saputo della sua morte e abbiano voluto, a modo loro, fargli un ulteriore omaggio?

Da - http://www.unita.tv/opinioni/dario-recitava-in-un-capannone-e-milluminai-faro-teatro/
6208  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MATTIA FELTRI. “Tu fai più schifo di me”. E la Camera diventa un mercato inserito:: Ottobre 25, 2016, 05:15:26 pm
“Tu fai più schifo di me”. E la Camera diventa un mercato
Brunetta: gli stipendi siano uguali al reddito precedente
Oggi è previsto l’arrivo show di Beppe Grillo. La proposta M5S di dimezzare le indennità nasce dai giorni di polemica intorno all’uso disinvolto dei rimborsi da parte di Di Maio

25/10/2016
Mattia Feltri
Roma

«Tu fai più schifo di me»: ecco l’arma segreta. Non si direbbe un’arma vincente, specie in una pluridecennale fase di discredito della politica. Eppure continua ad andare forte. Ci sono deputati, qui alla Camera, che sembrano le scimmie di 2001 Odissea nello Spazio, brandiscono ossa, se le danno vicendevolmente in testa e poi si battono il petto. L’onorevole Alan Ferrari, del Pd, ha trovato arguto e contundente spulciare nelle rendicontazioni dei cinque stelle, ossia 12 mila euro di taxi qua e quasi 17 mila di trasporti extra di là, a dimostrare l’immoralità dei moralizzatori. Poi toccherà rispondere alla domandina del grillino Alessandro Di Battista che impegna dieci secondi - mentre gli altri avevano da dipanare architetture logiche per minuti e minuti, e qui tocca segnalare Dore Misuraca del Nuovo centrodestra che, in un discorso della alte proprietà sedative, è riuscito a riproporre la citazione più citata di tutti i tempi, di Pietro Nenni («Nella gara fra i puri trovi sempre uno più puro che ti epura»), e a iscrivere Umberto Terracini al Pd, «se qualcuno non lo ricordasse». Ed è vero, non lo ricordava nessuno, visto che il costituente Terracini è morto nel 1983.

La domandina di Di Battista era la seguente: «Siete d’accordo a dimezzarvi gli stipendi, quindi guadagnare 3 mila euro netti, più spendere tutto quel che dovete spendere per l’attività politica, e restituendo ai cittadini italiani tutto quello che non spendete per la vostra attività politica?». (Subito dopo lo ha ripetuto Luigi Di Maio che evidentemente non si era accordato con Dibba e ha rimediato la figura del bagonghi). Del resto, se il livello del dibattito è questo, tante parole non servono. Né pare un suggerimento alla riflessione, per tornare al piddino Alan Ferrari, quello a proposito degli emolumenti riservati al sindaco di Roma, la cinque stelle Virginia Raggi, e cioè se i 10 mila euro lordi d’indennità siano «meritati». Nel calcio si dice buttarla in tribuna, a Roma buttarla in caciara, e dunque per una volpe come Renato Brunetta è stato un gioco venirne fuori da gigante, con un discorso quasi sussurrato, saggio, ironico, come non se ne sentivano da un po’. 
 
«È noto come in tutti gli ordinamenti ispirati alla concezione democratica dello Stato sia garantito ai parlamentari, rappresentanti del popolo sovrano, un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza», ha detto Brunetta, trascurando volutamente che si pensava la questione chiusa da un centinaio d’anni almeno, e prima che arrivassero i nuovi interpreti della virtù. L’indennità, ha proseguito Brunetta, ha permesso «il superamento del Parlamento degli aristocratici, dei possidenti, dei notabili, e l’ingresso dei ceti popolari». Per cui la faccenda è: un parlamentare non deve arricchirsi, d’accordo, ma deve impoverirsi? Meglio pensare a una legge, ha detto Brunetta, meno marmorea, che sollevi meno sospetti: «Proponiamo di calcolare l’indennità da corrispondere ai deputati e ai senatori sulla base del reddito percepito prima dell’elezione». 

L’onorevole che faceva l’operaio continuerà a guadagnare da operaio, chi faceva il professore universitario continuerà a guadagnare da professore universitario, e se arrivano miliardari come l’ottimo Alberto Bombassei, titolare della Freni Brembo, si studierà un tetto. Una proposta forse seria, di sicuro studiatamente comica, e col finale a sorpresa: e chi era disoccupato (molti dei cinque stelle)? «Reddito di cittadinanza», ha detto Brunetta, ed è pure «un’utile sperimentazione di uno strumento che tanto sta a cuore ai nostri amici del Movimento».

E la storia potrebbe chiudersi qui, non fosse che ricomincerà oggi, con tifoserie grilline all’esterno e il gran capo Beppe Grillo in tribuna. È il gioco piccino, e da entrambe le parti, attorno al referendum: chi sostiene che le riforme fanno risparmiare, chi sostiene che bastano due tagli per risparmiare di più. Peccato che ieri in aula ci fossero solo settanta o ottanta parlamentari: il modo migliore per far risplendere la paccottiglia. 

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/10/25/italia/politica/tu-fai-pi-schifo-di-me-e-la-camera-diventa-un-mercato-dMzFxZUWK4bWDetSSFrvmN/pagina.html
6209  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Daniel Kahneman Non perdiamo i soldi e la testa inserito:: Ottobre 23, 2016, 05:36:54 pm
Economia e Società
Non perdiamo i soldi e la testa

    –di Gianni Toniolo 21 ottobre 2016
Premio Nobel. Lo psicologo israeliano Daniel Kahneman, classe 1934, nel 2002 ha vinto il Nobel per l’Economia insieme a Vernon Smith

L’obiettivo dichiarato è aiutarci a gestire meglio i nostri quattrini. Ma se uno psicologo e un filosofo uniscono le forze dobbiamo aspettarci di più: Legrenzi e Massarenti vogliono introdurci ai meccanismi mentali, sconosciuti a noi stessi, che regolano le scelte economiche. Una caricatura dell’economista lo vede basare le sue teoria su individui isolati, onniscienti, “razionali”, perché motivati solo dalla massimizzazione del profitto e del consumo. La scienza economica moderna si basa, per fortuna, su ipotesi ben più complesse e aderenti alla realtà. Ha anche incorporato nella disciplina l’«economia comportamentale» e insignito lo psicologo Daniel Kahneman del premio Nobel proprio per le scienze economiche. Ma la diversità di metodo tra economisti e psicologi resta, come si capisce subito leggendo Legrenzi e Massarenti, la strana coppia dello psicologo cognitivo e del filosofo.

Una scrittura agile, colloquiale, ricca di aneddoti ed esempi aiuta ad affrontare temi che non fanno parte del bagaglio culturale e lessicale di molti di noi. Aiuta anche il risvolto pratico, la curiosità di vedere se, giunti alla fine, sapremo dare più brio ai nostri risparmi e salvarci da qualche batticuore di troppo. Per questo, gli autori hanno inserito a conclusione di ogni capitolo, in caratteri abilmente colorati di azzurro, alcuni principi (quindici in totale) che consigliano di seguire nella gestione finanziaria. Il più utile si trova alla fine del secondo capitolo: «Se vi considerate esperti, non basatevi sulla vostra limitata esperienza e su quello che è successo a voi personalmente. Nel lungo periodo, prevalgono i pensieri, le emozioni e le azioni della maggioranza».

Le emozioni, appunto, l’elemento forse più trascurato dagli economisti, pure attenti alle molteplici forme di razionalità limitata e a funzioni di utilità non banali. Le incontriamo subito nel viaggio di Legrenzi a Massarenti attraverso la nostra mente. Superato il tabù del sesso, agli italiani è rimasto quello, irrazionale ed emotivo, dei soldi. Con conseguenze indesiderabili: il non volerne parlare, nel timore di svelare la consistenza della propria fortuna, porta a nasconderli, a tenerli nel conto corrente (anzi in più conti correnti), alla sfiducia verso tutti tranne verso quel vero e proprio confessore che è il consulente finanziario, spesso scelto con criteri diversi dalla sua abilità. Dal lato emozionale della nostra mente derivano altri caratteri del nostro agire rispetto al denaro: l’eccesso di autostima, di confidenza in se stessi da un lato e il seguire il gregge, la maggioranza, dall’altro. Quest’ultimo comportamento potrebbe essere, benché pochi lo sappiano, più razionale di quanto si immagini. Partendo dal famoso esperimento compiuto da Galton alla fine del secolo scorso, gli autori mostrano come, in date condizioni, la folla mostri un’intelligenza superiore a quella del singolo individuo, per esempio nello stimare pesi, misure e, forse, anche esiti finanziari (d’altronde, anche gli economisti sanno che non è possibile ottenere rendimenti superiori a quelli degli indici formati sul mercato se non assumendo rischi maggiori di quelli assunti dai partecipanti al mercato stesso). Ma la folla, come ricordano Legrenzi e Massarenti, può essere guidata, in un “effetto gregge” che, forse razionale per il singolo, può generare effetti esplosivi per il sistema. Gli esperimenti di Galton sono stati visti anche come prova della superiorità della democrazia a suffragio universale diretto su tutti gli altri sistemi, purché, appunto, non si generi un effetto gregge sotto la guida di un Mussolini o di un Hitler. I meandri emozionali della nostra mente vanno conosciuti, per essere tenuti il più possibile sotto controllo, anche per motivi diversi da quelli della gestione dei nostri risparmi.

Gli autori ci conducono attraverso altri apparenti paradossi: poiché la nostra tolleranza per le perdite finanziarie è bassa, non accettiamo il rischio necessario per ottenere dal nostro denaro buoni rendimenti di lungo periodo. Di qui la peculiarità del risparmiatore italiano che tiene la metà dei propri soldi in conto corrente, evita l’investimento azionario, per cadere magari nella trappola delle obbligazioni subordinate. L’invidia è emozione da conoscere e tenere sotto controllo perché cattiva consigliera. Molte pagine sono dedicate all’«assicurazione comportamentale», la psicologia della prevenzione del rischio. Poiché il rischio, al contrario dell’incertezza, può essere misurato statisticamente, parrebbe più facile assumere comportamenti razionali a suo riguardo. Non è così. Tendiamo sistematicamente a sottovalutare i rischi ai quali siamo esposti basandoci su poche esperienze personali piuttosto che sulle tavole attuariali. Nell’impiego del risparmio, confondiamo gli obiettivi di reddito da quelli precauzionali («non si sa mai»), con il risultato di ottenere bassi rendimenti e di essere, al tempo stesso, poco assicurati.

Senza conoscere la psicologia del comportamento economico, individuale e collettivo, sostengono gli autori, non è possibile fare in modo utile quell’educazione finanziaria che si chiede come strumento di prima autodifesa per chi investe i propri risparmi. Il contributo degli economisti – dicono Legrenzi e Massarenti – sta nel fare comprendere i principi di una scienza elegante ma insufficiente ad affrontare le scelte quotidiane: l’homo sapiens non si comporta come l’homo oeconomicus. Psicologi ed economisti stanno cominciando a collaborare; in Italia, per ora, non lo fanno abbastanza.

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-10-21/non-perdiamo-soldi-e-testa--172844.shtml?uuid=ADtb0ZfB&cmpid=nl_domenica
6210  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / NICOLA PIEPOLI. Soldi alla Sanità e meno tasse, agli italiani piace la manovra inserito:: Ottobre 23, 2016, 05:34:30 pm
Soldi alla Sanità e meno tasse, agli italiani piace la manovra
Quasi sette su dieci approvano le misure di sostegno sociale

23/10/2016
Nicola Piepoli

La legge di Stabilità è un evento molto importante e riscuote un gradimento elevato da parte dell’opinione pubblica: i due terzi degli italiani la gradiscono, in particolare coloro che dicono di votare per il centrosinistra.

Sanità, taglio delle tasse e pensioni sono i provvedimenti che gli italiani apprezzano di più (la ricerca è stata eseguita dall’Istituto Piepoli su un campione di 505 casi). Più in dettaglio tra le misure contenute nella nuova legge di Stabilità e più gradite dagli italiani ci sono: il finanziamento di 2 miliardi in più per la Sanità, il blocco dell’aumento dell’Iva, le misure anti-povertà e l’introduzione della quattordicesima per le pensioni più basse. Se a questo aggiungiamo il taglio dell’Ires, la diminuzione del canone Rai e la chiusura di Equitalia, ci accorgiamo che, quando il governo promuove la riduzione delle tasse o l’abolizione di istituzioni che con la loro stessa presenza generano tasse, diventa in ogni caso più popolare e quindi più gradito all’opinione pubblica. In definitiva: poco meno di sette italiani su dieci accettano le nuove norme e quindi più in generale la legge si conferma di forte gradimento.

L’effetto sui ministri  
Il gradimento della legge di Stabilità ha ripercussioni positive sul profilo di immagine dei ministri che l’hanno creata: in primo piano Pier Carlo Padoan (Economia) che guadagna ben 4 punti di popolarità, Giuliano Poletti (Lavoro) che ne guadagna cinque, Marianna Madia (Pubblica Amministrazione) e Beatrice Lorenzin (Sanità) che ne guadagnano due ciascuna, mentre l’unico che resta stabile nella popolarità è il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, forse meno gettonato degli altri a causa della sua presenza ancora marginale nella mente degli Italiani.

Una nota di sintesi ai profili d’immagine dei protagonisti della legge è che quasi tutti i ministri risultano essere determinati e onesti. Il più idoneo al voto risulta essere Pier Carlo Padoan che è anche il designato come produttore per tutti di un migliore futuro. Quanto al ministro più vicino alla gente Giuliano Poletti risulta il più gettonato. Forse qualcuno dirà che ho dimenticato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ma lo conservo per ultimo nell’elenco dei vincenti in quanto ha vinto bene: non solo ha guadagnato tre punti personali in popolarità ma ha superato il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, che da alcune settimane aveva un punteggio superiore a lui. Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha guadagnato un punto di popolarità questa settimana sigillando quindi con la propria presenza positiva l’onda piuttosto positiva nei confronti del governo.
I partiti  
Passando dal particolare al generale, cioè dai singoli eventi e dalle singole leggi allo «stato dell’opinione pubblica» nel suo insieme, ci accorgiamo che c’è una forte costanza attraverso il tempo nelle «quote di mercato» dei partiti. Il centrodestra, che nel 2013 e nel 2014 aveva totalizzato poco più del 31%, in questo momento è tra il 32 e il 33%. Il centrodestra risulta essere come trend piuttosto stabile e in ogni caso inferiore alle medie riportate durante i governi precedenti all’attuale.

Quanto al centrosinistra nel suo insieme è passato da una media del 38% a mezzo punto in più, una vera inezia. Reputiamo che questa stabilità nella leadership possa consolidarsi nei prossimi mesi. E il Movimento 5 Stelle? Sempre in una media 2013-2014 aveva intorno al 23% e adesso supera il 26%. Attenzione però. Il trend di lungo periodo è ingannevole: qualche settimana fa, prima della «rinuncia alle Olimpiadi del 2024», il Movimento 5 Stelle e i suoi rappresentanti avevano quote percettibilmente più elevate di oggi.  

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/10/23/economia/fondi-alla-sanit-e-meno-tasse-agli-italiani-piace-la-manovra-n1ucxQu9teTKlJCWofiF9M/pagina.html
Pagine: 1 ... 412 413 [414] 415 416 ... 529
Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!