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6166  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / SERGIO RIZZO Non è l’Europa che fa crollare le scuole (Neppure Renzi però) inserito:: Novembre 05, 2016, 10:48:56 am
IL CORSIVO DEL GIORNO
Non è l’Europa che fa crollare le scuole
Fa rabbia confrontare la situazione deprecabile in cui versa la nostra edilizia scolastica con il vergognoso spreco di fondi comunitari.
Altro che dare la colpa al patto di Stabilità

  Di Sergio Rizzo

Assai arduo sostenere, come ha fatto ancora Matteo Renzi, che «è impensabile» veder crollare le nostre scuole «per la stabilità europea». Perché questa non c’entra proprio nulla con gli edifici scolastici che vengono giù come castelli di carte a ogni scossa di terremoto. Non è certo responsabile il patto di Stabilità se nel 2002 la scuola di San Giuliano di Puglia ha schiacciato una intera prima elementare: unico edificio di quel paese a crollare. Come non si può imputare ai rigori di bilancio imposti da Bruxelles il crollo della scuola di Amatrice, peraltro oggetto di un «miglioramento antisismico» giusto prima del terremoto del 24 agosto.

Il presidente del Consiglio dovrebbe puntare piuttosto il dito contro la sconcertante indifferenza con cui il Paese tratta da decenni il proprio futuro. Già nel 2007 una indagine del governo di Romano Prodi aveva accertato che ben oltre metà degli edifici scolastici non era a norma. Proprio ieri Legambiente ha poi diffuso un rapporto sull’edilizia scolastica dal quale risulta che lo stato delle scuole nella regione Lazio, dove il rischio sismico è particolarmente elevato, risulta letteralmente disastroso. La provincia di Rieti, cui appartiene Amatrice, è al cinquantesimo posto fra tutte quelle italiane. La ragione? Pochi soldi, d’accordo, ma anche spesi male: con programmi eccessivamente frammentati e senza un coordinamento.

Una follia. Alla quale si è cercato ora di porre rimedio creando una unità di missione per gestire il piano da un miliardo e 680 milioni messo in campo dal governo. Di cui finora si è riusciti a impiegare 902 milioni. Quanto all’Europa, fa rabbia confrontare la situazione deprecabile in cui versa la nostra edilizia scolastica con il vergognoso spreco di fondi comunitari. Altro che dare la colpa al patto di Stabilità.

3 novembre 2016 (modifica il 3 novembre 2016 | 21:34)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
 
Da - http://www.corriere.it/cultura/16_novembre_04/non-l-europa-che-fa-crollare-scuole-39925434-a1f9-11e6-9c60-ebb37c98c030.shtml
6167  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / NADIA URBINATI. Perché è importante che chi governa non possa decidere tutto... inserito:: Novembre 05, 2016, 10:46:57 am
Perché è importante che chi governa non possa decidere tutto da solo

Nadia Urbinati
4 settembre 2016

Dopo una breve vacanza, la questione del referendum costituzionale torna ad occupare, giustamente vivaddio, uno spazio centrale, nonostante il dramma del terremoto che ha colpito di nuovo il nostro Paese, fragile e bello. La questione della forma della nostra democrazia non è un fatto a se stante, neppure rispetto al dramma del terremoto, perché parte di una visione di Paese; di una visione del ruolo della classe politica, del potere dei cittadini e del peso delle associazioni che danno loro forza e rappresentanza sociale; di una visione, infine, del ruolo dei controlli istituzionali oltre che extra-istituzionali (in primis, i mezzi di informazione). Tutto questo si tiene insieme nella proposta di revisione costituzionale, e gli effetti potenzialmente perversi si mostrano anche in situazioni di emergenza come questa del terremoto. Il quale mette in luce la fragilità non solo dell’Italia fisica ma anche dell’Italia politica, del senso di legalità delle forze di governo e imprenditoriali poiché, come puntualmente si ripete in occasioni come questa, al danno del sisma si assomma quello di lavori eseguiti male e di una gestione della cosa pubblica o incompetente o lassista o disonesta; un nodo di problemi che mette il dito sulla piaga dell’opacità delle funzioni pubbliche. In casi come questo, come si ripete ogni volta che succedono, si vede come i sistemi di controllo preventivo, non solo di punizione a reato avvenuto, definiscono la fisionomia dello Stato e dell’apparato istituzionale.

Casi di emergenza come il terremoto dimostrano una volta di più come nessuna leadership può operare per il bene del Paese se le regole non impongono limiti al suo potere, e controlli e monitoraggi continui su ogni sua decisione. La revisione della Costituzione che questo governo ha pilotato a partire dal suo insediamento è volta ad allentare questi controlli e a rendere le decisioni del governo fatalmente più esposte non solo alla corruzione ma anche alla disfunzione. È proprio in casi dolorosi e tragici come questo che gli organi amministrativi dimostrano quanto poco ci si deve fidare delle promesse dei leader e quanto importante sia non lasciare mai chi governa solo a decidere.

Il referendum per il quale andremo a votare ci chiede di approvare una revisione in senso dirigista della nostra democrazia parlamentare, di dare il via libera a una nuova Costituzione che umilia il diritto dei cittadini ad essere rappresentati (soprattutto se si considera il combinato con la legge elettorale), che restringe il ruolo e lo spazio della sovranità popolare, che infine sbilancia il sistema decisionale a favore dei poteri delegati amministrativi, come appunto il governo. L’intero piano di riforma è concepito per rendere la presidenza del Consiglio più libera di operare. Il nuovo Senato può infatti ostacolare o rallentare l’attività legislativa della Camera, ma non ha alcuna incidenza sull’attività del governo, il quale inoltre può con la “clausola di supremazia” farsi rappresentativo dell’interesse nazionale e intervenire senza alcun limite in qualsiasi materia di competenza legislativa esclusiva delle Regioni “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.

A considerare l’intero pacchetto di articoli modificati, si vede che il solo organo che ne risulta rafforzato è il governo, ovvero il potere meno collettivo e più personale che opera nello Stato, ed anche quello delegato o quindi più distante dalla volontà popolare. Il presidente del Consiglio dei ministri – come il sindaco – assomiglia sempre più ad un amministratore delegato di una multinazionale che nomina il suo governo, impone alla Camera legislativa i tempi di lavoro, e subisce meno fermi e interferenze possibili da parte degli organi parlamentari.

Da - https://www.left.it/2016/09/04/referendum-costituzionale-no-nadia-urbinati/
6168  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Maria Teresa MELI LA SETTIMA «LEOPOLDA» inserito:: Novembre 05, 2016, 10:41:25 am
LA SETTIMA «LEOPOLDA»
La strategia del premier sull’Italicum una legge che piaccia ad alleati e FI
Renzi pensa già a una nuova kermesse dopo il voto. «Crescita del Sì nei sondaggi netta e implacabile. Ci saranno fuochi d’artificio»

Di Maria Teresa Meli

FIRENZE «Prima votiamo meglio è. Il rinvio non esiste, si va avanti tutta. Per noi sarebbe dannoso far slittare il referendum e infatti questa ipotesi per quanto mi riguarda non esiste». Matteo Renzi non ha dubbi. Nessun rinvio: «La exit strategy è da persone senza coraggio. E perciò non ho un piano B. La crescita dei Sì nei sondaggi è netta e implacabile e io me la gioco tutta». Il presidente del Consiglio non demorde e rilancia. Tant’è vero che in questa settima Leopolda pensa già all’ottava. «Che vinca il Sì, che vinca il No, ci ritroveremo qui a fare i fuochi d’artificio», si lascia sfuggire David Ermini. Un’altra Leopolda. Per sancire la vittoria, o per dare battaglia in caso di sconfitta. Perché anche in caso di insuccesso il premier ritiene che occorra andare avanti e «non mollare».

Nessuna «coercizione»
Il presidente del Consiglio è convinto della strada che deve intraprendere, quale che sia: «Faccio Renzi fino all’ultimo. Preferisco morire da Renzi che vivere da pecora», dice il premier ai collaboratori. Sarà quel che sarà ma il referendum si svolgerà secondo i tempi prestabiliti. E se perderà, se i No avranno la meglio, Renzi accetterà le conseguenze del caso. Non lo dice più palesemente, il premier, perché si è ripromesso di non parlare più del suo caso personale. Ma lo sa il presidente della Repubblica, come lo sanno i suoi alleati, che pure hanno cercato di fargli cambiare idea: se il referendum dovesse andare male Matteo Renzi si dimetterebbe. E anche la decisione di aprire un tavolo di trattativa sulla legge elettorale riguarda il referendum, anche se non è una contrattazione interna che riguarda solo il Partito democratico. È chiaro che il premier non vuole più subire l’accusa di aver fatto l’Italicum a sua immagine e somiglianza. Ed è per questa ragione che ha fatto istituire una commissione elettorale del Partito democratico. Per dimostrare che da parte sua non c’è nessun intento «coercitivo». Ma gli interlocutori sono al di fuori del Pd. L’unico problema del presidente del Consiglio non riguarda la minoranza del Pd. Quella la dava per persa da tempo. Tant’è vero che le trattative sulla riforma elettorale non sono mai state volte a convincere la sinistra del Pd: «Quelli pur di farmi perdere, preferiscono dare il Paese a Di Maio».

La ricerca di una «quadra»
Dunque, quelle trattative avevano l’unico scopo di dimostrare che Bersani e soci hanno già deciso di votare No al referendum, e in questo senso il Gianni Cuperlo che approva l’accordo interno serve a dimostrare questo assunto: se non si è contro Renzi per principio si riesce a trovare un compromesso onorevole all’interno del Pd. In realtà, il lavorìo sulla riforma dell’Italicum riguarda gli alleati di governo. Cioè il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano e Scelta civica, che fanno pur parte della maggioranza di governo. E poi, ovviamente, c’è Forza Italia con cui bisogna trattare. È a loro, a Ncd, a FI, a Sc, in realtà, che è rivolto questo sforzo per trovare una quadra sulla legge elettorale. E non a caso il presidente del Consiglio pronuncia parole quanto mai vaghe sulla revisione dell’Italicum. Dice che il ballottaggio non è più un tabù, ma non precisa i contorni di una possibile riforma della riforma, anche perché il secondo turno continua a non dispiacergli. Eppoi, come ha spiegato ai collaboratori, la materia è quanto mai complicata: «Alfano è contro il ballottaggio, Franceschini è a favore, Napolitano vuole il turno unico, Prodi ritiene che invece ci debba essere il secondo turno». E ancora: «Forza Italia ci ha chiesto di trattare solo dopo il referendum». Quindi è pensando alle «divisioni nel centrosinistra» e alle «posizioni attendiste» di Berlusconi che Matteo Renzi calibra i suoi interventi. Con un unico obiettivo: «Referendum avanti tutta».

5 novembre 2016 | 00:54
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/16_novembre_05/strategia-premier-sull-italicum-legge-che-piaccia-ad-alleati-fi-357b4706-a2e5-11e6-9bbc-76e0a0d7325e.shtml
 
6169  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / ILVO DIAMANTI - Urbino, cronache dalla periferia (universitaria) del terremoto inserito:: Novembre 05, 2016, 10:39:51 am
Urbino, cronache dalla periferia (universitaria) del terremoto

04 novembre 2016
Ilvo Diamanti

Urbino, cronache dalla periferia (universitaria) del terremoto Urbino è alla periferia del terremoto. Abbastanza lontana dagli epicentri da non aver subito danni rilevanti. Ma comunque dentro alla regione tellurica. L’area umbro-marchigiana. Città universitaria. Perché gli abitanti, gli urbinati, se ne sono usciti da tempo. E hanno ceduto, meglio, affittato le case e gli spazi pubblici agli studenti. E ai docenti. Un po’ quel che è avvenuto alle altre città universitarie dell’area. Penso a Macerata ma, soprattutto, a Camerino. Colpita in modo pesante dal terremoto.

Urbino, invece, è stata ripetutamente investita da scosse violente, ma senza conseguenze significative sulle abitazioni, i monumenti, le strutture universitarie. Eppure la sua immagine è rimasta impigliata nello sciame sismico degli ultimi mesi. Sono, infatti molti i colleghi e i conoscenti di altre città (e Paesi) che mi chiamano per sapere cosa sia successo qui. Io, d’altronde, ho ballato il 24 agosto, in piena notte. Quando ho visto saltare tutti gli oggetti appoggiati sulle mensole della mia casa. Mercoledì 26 ottobre, quando sono riprese le scosse, il tardo pomeriggio. Alla sera, dopo la seconda scossa, ho visto gli studenti scendere lungo le vie di Urbino con i loro trolley. E partire. Ad attenderli, sotto le mura, nella piazza del Mercatale, i genitori in auto. Per riportar(se)li a casa.

Ieri sera, giovedì, tradizionale festa (settimanale) di arrivederci degli studenti – e di altri giovani – Urbino era vuota e silenziosa. Anche a lezione, peraltro, gli studenti erano pochi. E non solo “per effetto” del ponte lungo di Ognissanti. Ma “per effetto” del terremoto. Le scosse ripetute, generate da epicentri fluidi e sempre più vicini, hanno invitato alla prudenza. Anche se non bisogna esagerare. Urbino, infatti, è un punto periferico, eppure esemplare, delle possibili conseguenze sociali del terremoto nelle città universitarie. Camerino, soprattutto, ma, in misura minore, anche Macerata. Colpite dalle scosse, minacciate dal terremoto: rischiano di venire svuotate di senso.

Perché, se per paura, gli studenti si allontanano, allora queste città perdono il loro significato. Diventano musei, silenziosi e malinconici. Mentre, fino ad oggi, sono stati - e ancora sono - luoghi centrali – anche geograficamente – della storia culturale del Paese. Per questo, anche per questo, non bisogna arrendersi. Alla paura. Per questo, anche per questo, io non me ne andrò.

Da Urbino.
© Riproduzione riservata 04 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/rubriche/bussole/2016/11/04/news/urbino_cronache_dalla_periferia_universitaria_del_terremoto-151316784/?ref=HRER2-3
6170  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / JACOPO IACOBONI. - L’abbraccio dei Cinquestelle con i due emissari di Putin inserito:: Novembre 05, 2016, 10:36:54 am
L’abbraccio dei Cinquestelle con i due emissari di Putin
Il ruolo di Zheleznyak e Klimov tra internet, Russia Today e mondo grillino
La foto mostra la manifestazione per il Sì al referendum di sabato 29 ottobre.
Il sito Russia Today aveva spacciato la folla come manifestazione a favore del No


05/11/2016
Jacopo Iacoboni
Roma

Due dei più stretti collaboratori di Vladimir Putin sono al centro di legami con il M5S che passano anche attraverso siti internet filorussi molto critici con il governo italiano. Per ricostruire la vicenda bisogna partire dal 17 ottobre quando Rt, Russia Today, il network in lingua inglese finanziato dal governo russo - un’utenza globale di almeno un miliardo di persone - si è visto chiudere «dopo attenta valutazione» il conto detenuto nel Regno Unito presso la Natwest Bank, costola della Royal Bank of Scotland. La caporedattrice di Rt, Margarita Simonyan, twittò sarcastica: «Lunga vita alla libertà di parola». Il network la raccontò come una decisione ispirata dal governo inglese. La Duma annunciò - attraverso il vicepresidente Sergei Zheleznyak, del partito di Vladimir Putin, Russia Unita - che avrebbe chiesto formalmente spiegazioni al governo inglese. Analoga misura su Rt era stata presa nel 2015 dalla banca che il network utilizzava in precedenza, Barclays. 

Jonathan Eyal, condirettore del «Russian and European security studies» al Royal United Services Institute a Londra, ha dichiarato al New York Times: «Sono stati sollevati problemi riguardanti l’azienda e le sue fonti di finanziamento». Natwest, ha ipotizzato Eyal, «deve aver preferito la controversia legata alla chiusura dei conti piuttosto che avere un accordo con un business che potrebbe contenere denaro di incerta provenienza». Sputnik Italia, altro network dell’universo putiniano, raccontò la vicenda in modo completamente diverso mettendo l’accento sull’annuncio di Zheleznyak che la Duma avrebbe «aiutato il team legale di Rt a far valere i suoi diritti», invocando il Consiglio d’Europa e l’Onu.

In Italia la storia è passata inosservata, ma Zheleznyak è un personaggio ormai attivo sottotraccia anche nella nostra politica. Proveniente dalla pubblicità, sempre più influente (ha 46 anni) nel partito di Putin, inserito dall’amministrazione Obama in una blacklist che comprende politici e finanzieri che, per ricchezza o influenza, conducono attività pro Putin all’estero che gli Usa giudicano sospetta, Zheleznyak è uno dei due uomini - assieme al capo delle relazioni internazionali, Andrey Klimov, uomo di una generazione precedente - che sta facendo da sponda tra Russia e mondo-M5S.
I due hanno incontrato in più di un’occasione i deputati del M5S più addentro al dossier-Putin: Alessandro Di Battista e Manlio Di Stefano. Il viaggio di Di Stefano a fine giugno a Mosca è cosa nota. Ma almeno un incontro informale precedente era avvenuto a Roma. Lo racconta lo stesso Di Stefano. E un altro avvenne a marzo, durante una missione a Mosca descritta così da Di Battista: «Abbiamo avuto ottimi incontri», soprattutto su lotta alle sanzioni e terrorismo internazionale. Di Battista raccontò che «i russi hanno un ottimo apparato di intelligence, hanno esperienza e sono disposti a collaborare». Di Stefano, invece, notò tra l’altro quanto fosse cruciale la guerra mediatica: «Attraverso i media si alimenta una russofobia crescente per giustificare l’ingresso di nuovi Stati in Europa e nella Nato. Montenegro, Georgia e Ucraina ne sono un esempio». Particolare non trascurabile: Zheleznyak in passato è stato alto manager di News Outdoor Group, il più grande gruppo di raccolta pubblicitaria dell’Est Europa, con sedi a Mosca e Varsavia, un colosso che può far vivere o morire molti siti. Nel 2011 divenne capo della commissione della Duma per l’informazione, la comunicazione e la tecnologia. Nel 2013, allo scoppio dello scandalo della sorveglianza americana attraverso la Nsa, dichiarò al «Guardian» che la Russia doveva «accrescere la sua sovranità digitale indirizzando la crescita di Facebook e Twitter». Il «red web» (la rete internet filo Putin), e la propaganda negativa, ne sono logica conseguenza.

Il Movimento cinque stelle, affascinato dal mito dell’uomo forte, ma costruito sulla teoria delle reti, abbraccia quasi naturalmente Zheleznyak. Rt riserva grandi interviste ai cinque stelle (anche a Di Battista, servizio trionfale su Rt in lingua spagnola). Attacca Renzi esagerando la minima contestazione in Italia contro di lui, dipingendo il caos, o producendo autentiche bufale informative, fino a sollevare la recente protesta attraverso canali diplomatici italiani. Il network russo viene viralizzato spesso a partire da Tze Tze, il sito guida della galassia Casaleggio; ma spesso anche dalle propaggini più anonimizzate della macchina web filo M5S. In parallelo Sputnik Italia inanella, in pochi mesi, questa sequenza di servizi, impaginati come pura cronaca, tutti viralissimi nel web filogrillino: «Renzi, cameriere di Europa e Usa»; «Sanzioni, voce agli imprenditori messi in ginocchio da Renzi»; «Renzi china la testa agli Usa»; «Vertice di Ventotene, tutto fumo e niente arrosto?». Varianti su Sputnik francese: «Le déficit de l’économie italienne peut être le début de la fin de l’Ue”. Account chiave pro M5S (alcuni dei quali spingono la propaganda fino a ipotesi di diffamazione) ricambiano: «La vittoria di Trump porterebbe una ripresa del commercio con la Russia, un miglioramento dell’economia italiana e europea». Un concetto assai caro anche al sito chiave che dà al M5S i contenuti da esibire per piacere a Mosca, «lantidiplomatico.it», che si distingue per il suo sostegno a Putin, Assad e Trump.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/11/05/italia/politica/labbraccio-dei-cinquestelle-con-i-due-emissari-di-putin-l7G0E54oaCbpgn9gUqrjtN/pagina.html
6171  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / SERGIO ROMANO. DUELLO DI POTERI Brexit, il dilemma politico per Londra inserito:: Novembre 05, 2016, 10:35:05 am
DUELLO DI POTERI
Brexit, il dilemma politico per Londra
Se il governo di Theresa May non vincerà il ricorso, assisteremo a un dibattito parlamentare in cui verrà rimessa in discussione l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue
Di Sergio Romano

L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea (un problema che il governo di Londra credeva di potere affrontare con i considerevoli poteri di cui gode tradizionalmente l’esecutivo del Regno Unito) è improvvisamente diventata una imbrogliata crisi politica e costituzionale. Con una sentenza emessa ieri, l’Alta corte britannica non riconosce al governo di Sua Maestà il diritto di avviare il negoziato con la Commissione di Bruxelles senza avere prima consultato la Camera dei Comuni e forse anche quella dei Lord. I referendum britannici sono consultivi e la necessità di una verifica parlamentare sarebbe legalmente giustificata.

Ma il Primo ministro replica che la convocazione di un referendum e i suoi quesiti erano già stati approvati da un voto dei Comuni; non sarebbe necessario quindi interpellare nuovamente i membri del Parlamento. Ma l’Alta corte sembra sostenere che non è possibile modificare i diritti acquisiti dai cittadini britannici nell’ambito della Ue senza un dibattito parlamentare. Vi sarà un ricorso del governo e leggeremo di qui a qualche tempo, verosimilmente, un’altra sentenza. Ma il dramma di cui saremo spettatori nelle prossime settimane non sarà soltanto la prosecuzione di una vicenda ormai nota: se la Gran Bretagna voglia restare nell’Ue o uscirne. Sarà anche un duello fra politica e giustizia. Non sarà il primo nelle democrazie occidentali. Abbiamo assistito a parecchi interventi della Corte suprema americana contro le iniziative del presidente degli Stati Uniti.

Sappiamo che la elezione di George W. Bush alla Casa Bianca nel novembre del 2000 è stata decisa in Florida dall’ordinanza di un giudice della Corte suprema che aveva una evidente simpatia per il partito repubblicano. Sappiamo che il Tribunale costituzionale di Karlsruhe può bloccare per qualche mese la ratifica di un trattato della Repubblica federale nell’ambito dell’Unione europea. Sappiamo che la Corte costituzionale italiana può cancellare una legge elettorale. Ma il caso britannico è quello di un Paese che non ha una carta costituzionale ed è giustamente noto per avere sempre sottratto l’Esecutivo e il Legislativo a condizionamenti esterni. Forse l’errore del Primo ministro David Cameron, quando credette di potere ammansire con un referendum la fazione euroscettica del suo partito, fu di avere somministrato una dose di democrazia diretta a un Paese in cui la democrazia è sempre stata rigorosamente indiretta.

Non sarà facile riparare il guasto provocato dall’imprudenza di Cameron. Se il governo di Theresa May non vincerà il ricorso, assisteremo a un dibattito parlamentare in cui verrà rimessa in discussione l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue.
Secondo calcoli fatti prima del referendum, i partigiani del Remain (quelli che non volevano uscire dall’Unione) erano più numerosi di quelli che volevano uscirne. È possibile che i dubbi dei mercati finanziari sul futuro della City e alcune stime negative sulle esportazioni della Gran Bretagna verso il mercato unico abbiano rafforzato il primo gruppo. Ma non è escluso che molti parlamentari, se dovessero scegliere fra il primato della politica e quello dei giudici, sceglierebbero la politica. La Commissione di Bruxelles, per il momento, potrà soltanto aspettare. Quando verrà il momento dei negoziati, tuttavia, sarà bene evitare concessioni che permettano alla Gran Bretagna di restare nel mercato unico senza rispettare gli altri obblighi dei Trattati europei. Ciò che sta accadendo in queste ore conferma che sarà sempre un difficile compagno di viaggio.

3 novembre 2016 (modifica il 3 novembre 2016 | 21:31)
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Da - http://www.corriere.it/cultura/16_novembre_04/brexit-dilemma-8d97fe68-a1fd-11e6-9c60-ebb37c98c030.shtml
6172  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / DANIELE MANCA Mario Draghi La politica e l’argine dei banchieri inserito:: Novembre 03, 2016, 06:05:02 pm
Mario Draghi
La politica e l’argine dei banchieri

Di Daniele Manca

Secondo i due Nobel per l’economia George A. Akerlof e Robert J. Shiller, «nel corso di oltre un secolo gli psicologi, con una varietà di stili che va da Sigmund Freud a Daniel Kahneman, ci hanno insegnato che spesso le persone prendono decisioni non conformi al loro interesse». Ed è come se qualcosa del genere stesse avvenendo in maniera più diffusa anche tra le classi dirigenti e nella politica. È innegabile che, se la crisi economica deflagrata nel 2008 ha avuto effetti meno pesanti di quanto si potesse pensare nei giorni tremendi del fallimento della Lehman, molto sia dovuto ai banchieri centrali. Nel pieno delle turbolenze e della forte instabilità che si era determinata sui mercati hanno saputo tenere i nervi saldi e individuare soluzioni. Eppure proprio loro, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna passando per l’Europa, sono sembrati coagulare attorno a se stessi l’insoddisfazione di una politica abile a individuare i problemi, meno le soluzioni. L’Italia in questo è emblematica. Alle prime incertezze è stato immediato l’allargarsi dello spread. È successo dopo il referendum della Brexit con un balzo a quota 160. È accaduto ieri con un picco a 162 sull’onda del poco chiaro esito delle elezioni in America. Quando il mese scorso la premier inglese Theresa May, nel discorso alla conferenza del Partito conservatore, ha criticato gli stimoli all’economia (il Quantitative easing) della Banca d’Inghilterra, si è scatenata un’ondata di critiche verso il governatore Mark Carney.

Carney aveva avvertito dei possibili rischi legati all’uscita della Gran Bretagna dalla Ue e questo lo ha fatto finire paradossalmente nel mirino degli euroscettici e degli speculatori mentre la sua azione sta contribuendo a contenere gli effetti negativi di quella scelta. Dall’altra parte dell’Atlantico Donald Trump, durante questa poco entusiasmante campagna elettorale americana, non si è trattenuto dall’attaccare la presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, colpevole, secondo il candidato repubblicano, di aver favorito Hillary Clinton. E chissà come avrà preso la decisione ieri di non aumentare il costo del denaro ma facendo capire chiaramente che un rialzo dei tassi a dicembre può essere possibile. È chiaro che i banchieri centrali non possono e non devono essere al di sopra delle critiche. Ma è come se si continuasse a cercare di testare la loro indipendenza. Di queste incursioni l’Europa è sembrata maestra, anche in questi 5 anni di Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea. La sua calma nel rispondere agli attacchi è arrivata a essere proverbiale, come pure la sua capacità di evitare battaglie frontali non sfuggendo ma accettando il confronto anche duro purché basato su fatti. Ecco l’uso delle parole: il «Whatever it takes», quella promessa di fare qualsiasi cosa per salvare l’euro pronunciata il 26 luglio del 2012 ed entrata ormai nella storia. La sua strategia del Quantitative easing. E tutto questo sempre nel recinto delle regole come dimostrano i numerosi ricorsi presentati alle varie corti tedesche e respinti.

La Ue si trova ad affrontare temi che ne mettono a rischio l’integrità. L’uscita di un Paese come la Gran Bretagna; l’immigrazione; una crescita gracile e l’allargarsi di movimenti populisti che tendono con la loro politica del malumore a lacerare le comunità piuttosto che a rinsaldarne i legami. Eppure ancora una volta, e segnatamente, va detto, in Germania, il problema sembra essere il Quantitative easing della Bce che minaccerebbe la stabilità, come affermato ieri dal consiglio degli esperti economici del governo tedesco. Dimentichi della semplice controprova: cosa sarebbe oggi l’Europa se la Bce non avesse agito? L’accusa è che l’ombrello protettivo dell’acquisto di titoli di Stato avvantaggi i Paesi meno rigorosi, che li spinga all’inazione sul fronte del risanamento e del taglio dell’alto debito pubblico. Come l’Italia. Non è un mistero che dentro la Bce, non solo da parte tedesca, si voglia evitare che alla prossima riunione dell’8 dicembre si parli di un allungamento del Quantitative easing oltre il marzo 2017. L’Italia ha perso mesi, anni, senza che il tema del debito venisse affrontato in modo radicale. Che restasse la zavorra dello sviluppo (abbiamo pagato e paghiamo tra i 70 e gli 80 miliardi di interessi l’anno). Colpevolmente l’abbiamo dimenticato o peggio trattato alla stregua di un problema ordinario e non prioritario. I banchieri centrali possono molto. Ma non tutto.

2 novembre 2016 (modifica il 2 novembre 2016 | 22:41)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_novembre_03/politica-l-argine-banchieri-ad63db68-a144-11e6-9f94-044d5c37e157.shtml
6173  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Fabrizio BARCA. Sentimento e Ragione. inserito:: Novembre 03, 2016, 06:02:52 pm
Due parole animano questo pro-memoria sul Referendum costituzionale. Sentimento e Ragione.

Il Sentimento. La decisione di noi italiani sul Referendum costituzionale sarà dettata, come sempre avviene – si pensi al recente Referendum britannico – dal Sentimento, ossia da un processo cognitivo istintivo, non da una ricerca approfondita delle “ragioni”: a guidarci sarà il convincimento emotivo circa le conseguenze per la nostra vita dell’uno o dell’altro esito. Qui a contare saranno due considerazioni assai diverse. Una riguarda le “conseguenze per gli anni a venire” di modificare (come proposto) o di non modificare la Costituzione. L’altra riguarda le “conseguenze del mattino dopo” sulla guida del paese, proprio mentre in Europa e nel mondo monta tempesta.

La Ragione. Comunque finisca, a Referendum celebrato la macchina della Repubblica deve marciare a spron battuto attuando la Costituzione imperfetta che si ritroverà fra le mani. Se avrà vinto il SI, si dovrà subito tentare di limitare con una legge la degenerazione della qualità dei senatori, si dovrà gestire un ambiguo riparto di competenze fra Regioni e Stato, si dovranno chiarire subito i tanti e oscuri percorsi legislativi Camera-Senato, e altro ancora. Se avrà vinto il NO, si dovrà evitare che la doppia fiducia di Camera e Senato continui a produrre governi senza anima, che il governo abusi dei decreti legge, che un quorum troppo elevato uccida il Referendum abrogativo, e altro ancora. Comunque finisca, insomma, noi tutti dovremo lottare per una “buona attuazione”, altrimenti, in entrambi i casi, non cambierà nulla, anzi monterà solo una grande delusione. E per lottare dobbiamo conoscere sin da ora, al meglio delle nostre possibilità, con la Ragione, di cosa stiamo parlando.

Sentimento e Ragione.

Il primo è l’Elefante che con la sua potenza guida le nostre decisioni. La seconda è il Cavaliere che monta l’Elefante: sa guardare lungo e intravede rischi e opportunità e per questo si è guadagnato un ruolo (sussidiario), ma solo se riesce a comunicare con l’Elefante (Utilizzo la metafora dello psicologo morale Jonathan Haidt, permettendomi di declinare i termini Cavaliere ed Elefante in modo difforme dal gergo politico prevalente nell’ultimo venticinquennio). Ecco perché condivido pubblicamente questo pro-memoria personale. Non sono affatto un “esperto” della parte ordinamentale della Costituzione, ma nella vita mi sono trovato ad applicarla in tanti diversi ruoli. E per prendere ora una decisione ho cercato di costruirmi un ponte fra Ragione e Sentimento. Chiedendomi in che modo la riforma costituzionale impatta sui cinque pilastri del “buon governo” a cui tutti aspiriamo: Efficienza, Efficacia, Certezza, Partecipazione, Garanzie. Si tratta delle “conseguenze per gli anni a venire”, insomma dello sguardo lungo, che, affiancandosi alle preoccupazioni per il “mattino dopo”, potrà ispirare il Sentimento nella sua decisione finale.

Il mio ponte è artigianale, ma è fatto con corde intessute grazie a tanti contributi e letture, e ha retto a un primo test nel mio circolo @PDGiubbonari. Sono così arrivato a due conclusioni. Le riassumo brevemente, invitandovi poi alla lettura e augurandomi che il ponte sia usato da altri e che qualcuno magari mi convinca a cambiare idea.

La prima conclusione è un forte invito a non eccitare l’Elefante, né per il SI né per il NO al Referendum. Non ve n’è ragione, perché, sulla base del mio metodo di valutazione, le conseguenze della riforma sulla nostra vita per gli anni a venire non appaiono né positive, né negative. O meglio, come cerco di mostrare, la riforma sembra produrre molte conseguenze lievemente positive e molte lievemente negative, in un bilanciamento incommensurabile che ci spinge alla sostanziale indifferenza sull’esito. Se eccitiamo oggi l’Elefante, lo facciamo senza fondamenta. Quando scoprirà, chiunque vinca, che non ha raggiunto la terra promessa, sarà furibondo e non lo controlleremo più. Per quanto mi riguarda, dunque, mettendo per ora da parte ogni istinto sulle “conseguenze del mattino dopo” – con cui prima del 5 dicembre dovrò pur fare i conti – la soluzione è l’astensione, “astensione attiva”, come mi è stato suggerito, visto che non è segno di disinteresse, ma di un percorso che mira a essere utile per il “dopo voto”: recarsi alle urne e annullare la scheda ne sarebbe il segno più chiaro.
La seconda conclusione riguarda ciò di cui invece dovremmo parlare all’Elefante. Dobbiamo parlargli della “sacralità” del processo democratico che stiamo vivendo, rimediando, noi tutti cittadini italiani, al limite mostrato dal nostro Parlamento nel mancare il quorum dei 2/3. Della saggezza dei nostri Costituenti nel prevedere questo meccanismo rimediale. Della necessità, in questo passaggio drammatico della storia europea, che la nostra Repubblica sia coesa attorno ai Principi, intoccabili e intoccati, della I parte della Costituzione. Della necessità, qualunque sia l’esito referendario, che questi principi siano meglio attuati; e dunque che tutti assieme, dal mattino dopo e comunque finisca, evitando inni alla “vittoria” o alla “tragedia”, si lavori affinché i punti deboli della soluzione che ha vinto siano contrastati e circoscritti e i punti forti esaltati e attuati. Anche perché, grazie al Referendum, li avremo finalmente meglio compresi (se useremo bene le prossime settimane). Dobbiamo tornare a “fare politica”, ad animare di “cultura” il nostro confronto, a monitorare gli esiti, a rivitalizzare i partiti e la cittadinanza attiva perché le cose che sentiamo giuste avvengano davvero. Perché la parte ordinamentale della Costituzione, qualunque sia il risultato, venga applicata al meglio.

Procedo dunque a riassumere in modo sintetico, nello spirito e con linguaggio di un promemoria personale (Manca ad esempio ogni riferimento al testo costituzionale attuale e modificato – che trovate ad esempio molto ben chiosato nelle preziose Appendici del volume di Salvatore Settis “Costituzione!”, Einaudi 2016), i principali effetti che l’insieme dei cambiamenti proposti dalla legge sottoposta a Referendum confermativo sembrano produrre sul funzionamento dell’Ordinamento della Repubblica, giudicato in base a cinque dimensioni:
1.   Efficienza, nel senso di tempestivo adattamento a un contesto volatile (Trascuro qualsiasi riferimento all’efficienza in termini di costi, dal momento che, pur significativi in assoluto, i costi di esercizio degli organi dell’Ordinamento sono statisticamente irrilevanti a fronte dei costi/benefici derivanti da un “cattivo/buon governo”).
2.   Efficacia, nel senso di qualità/impatto delle decisioni sulla nostra qualità di vita.
3.   Certezza, nel senso di stabilità del governo, delle leggi, della stessa Costituzione.
4.   Partecipazione, nel senso di capacità di acquisire direttamente e utilizzare conoscenza e preferenze dei cittadini e dei lavoratori.
5.   Garanzie, delle minoranze e in generale nel senso di auto-correzione sistemica di fronte a eventi/azioni imprevisti o estremi.
È difficile e soggettivo pesare queste dimensioni – quanto siamo pronti a cedere dell’una per avere un tot in più dell’altra? – ma certo se per alcune si osservasse un miglioramento senza che per le altre vi fosse un peggioramento, diremmo che è cresciuta la capacità dell’Ordinamento della Repubblica di realizzare i principi della prima parte della Costituzione, al servizio dei quali l’Ordinamento stesso è posto.
Prima di passare la riforma costituzionale a questo vaglio, servono due caveat su quello che non faccio qui e perché.
Primo, non giudico il processo legislativo con cui la riforma è stata elaborata. Non vi sono dubbi che si tratta di un cattivo processo, visto che non ha raggiunto quel largo consenso parlamentare che i Costituenti hanno cifrato in 2/3 del Parlamento (e che la riforma stessa riconosce valido, non avendo modificato questa previsione). E sul piano politico ha peso l’argomento che questo Parlamento, eletto con legge elettorale poi giudicata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, avrebbe dovuto avvertire doveri e limiti ancor più forti. E tuttavia, grazie alla saggezza dei Costituenti, noi siamo chiamati a porre rimedio a queste deficienze, trasformandoci in “costituenti”. Lo stesso atto referendario, comunque si voti, ri-democraticizza dunque il processo. Votare senza guardare il merito e giudicando il metodo mi appare dunque contraddittorio.
Secondo, non giudico la riforma “in connessione” con la legge elettorale, perché l’Ordinamento della Repubblica su cui siamo chiamati a esprimerci è scelto, come il precedente, per convivere con ogni legge elettorale, “per sé”. Dobbiamo giudicare se sia migliore/peggiore/uguale al precedente indipendentemente dalle leggi elettorali con cui potrà essere combinato. Si dice: “ma la legge elettorale approvata per la Camera è pessima e combinata con la riforma costituzionale …”. Attenzione: la legge elettorale è assai più che pessima, è terribile, perché impedisce una buona selezione di classe dirigente e stravolge la rappresentanza rispetto alle preferenze dei votanti; ma lo è in connessione con qualunque Ordinamento della Repubblica.
E veniamo al vaglio della riforma utilizzando le cinque dimensioni. Accanto a ogni dimensione o sub-dimensione indico con “=” una sostanziale invarianza, con “-“ un peggioramento, con “+” un miglioramento. I segni “=-“ e “=+” indicano effetti lievi.
Ovviamente, pur argomentando sinteticamente i giudizi e i segni che propongo, si tratta – è ben chiaro – di mere “ipotesi di effetto”, assolutamente non dimostrate e opinabili. Per questo uso espressioni come “promette di”, “dovrebbe”, “potrebbe”, “appare”. Queste ipotesi hanno il solo pregio di essere proposizioni trasparenti: chi volesse argomentare il contrario potrebbe e potrà portare quegli elementi di giudizio che io non ho colto o che ignoro. E che magari potrebbero modificare il giudizio finale di “sostanziale indifferenza”. E che con certezza possono accrescere la nostra conoscenza collettiva, utile il mattino dopo, comunque vada a finire.
1. Efficienza (=+)
Due modiche introdotte dalla riforma impattano sull’efficienza, in termini di tempestività: l’abolizione del bicameralismo perfetto, per cui solo una parte delle leggi dovrà ricevere il voto vincolante del Senato (“funzione legislativa esercitata collettivamente”), e l’inserimento di alcuni vincoli temporali nel processo legislativo. Queste modifiche promettono di ridurre i tempi di discussione e approvazione di molte leggi e dunque la capacità di reazione legislativa a fronte di un contesto economico e sociale volatile, che chiede decisioni urgenti. Questo miglioramento appare tuttavia di presumibile lieve portata alla luce delle seguenti considerazioni:
a) la lunghezza delle procedure legislative dipende in larga misura dalla volontà politica, b) nell’esperienza concreta il cosiddetto ping-pong Camera-Senato ha riguardato una parte minoritaria della legislazione, c) la difficoltà di decidere, legge per legge, se debba o non debba scattare il bicameralismo e il fatto che, in ogni caso, il Senato può decidere (“su richiesta di un terzo dei suoi componenti”) di esaminare ogni provvedimento e può “formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera”, possono introdurre ostacoli politici nuovi, e infine d) la reattività di un sistema ordinamentale moderno non si misura tanto con la tempestività di modifica delle sue leggi (come avvenuto ad esempio per le leggi del mercato del lavoro, dove ogni singolo articolo – è la stima di un paper della Banca d’Italia – è stato modificato nei successivi due anni una volta e mezzo), ma con la capacità di adattamento dell’azione amministrativa a normativa data.
2. Efficacia (=-)
Per quanto riguarda l’efficacia intesa come capacità di produrre “buone decisioni”, la riforma impatta su due piani distinti:
A. Efficacia del Parlamento (=-)
Qui considero due canali di influenza della riforma:

•   Singolo passaggio alla Camera (=)
Appare impossibile determinare il segno del cambiamento sulla base delle informazioni reperite. Infatti, da un lato, si può sostenere che la venuta meno del doppio passaggio riduce la possibilità di identificare errori o mancanze, peggiorando così la qualità delle leggi. Ma dall’altro, si può argomentare che nel ping-pong cresce il peso di gruppi di interesse e dunque un “mercato dei commi di legge” che distorce i provvedimenti. Temerario tirare una somma dei due effetti opposti

•   Selezione e motivazione dei senatori (-)
Qui l’effetto della riforma appare decisamente negativo. La difficile sostenibilità da parte di Consiglieri Regionali e Sindaci dell’incarico aggiuntivo e non remunerato di “senatore” e l’”immunità parlamentare” di cui si ritrovano a godere (per effetto dell’articolo 68 dell’attuale Costituzione) suggeriscono che si avrà una forte spinta a una “selezione avversa” dei nuovi senatori, che penalizzerà i migliori e più dedicati e retti fra i possibili candidati. Inoltre, essendo prevista una rappresentanza a titolo personale e non una rappresentanza collettiva regionale, i nuovi senatori di ogni Regione non saranno indotti a portare collegialmente in Senato un punto di vista mediato della classe dirigente politica della propria Regione; saranno viceversa indotti a negoziare il proprio voto in Senato (presumibilmente all’interno del proprio partito) per “concessioni” da esibire poi individualmente in sede locale. Non è chiaro se e come la legge che potrebbe intervenire a “regolare le modalità … di elezione dei membri del Senato tra i consiglieri e i sindaci” possa lenire queste criticità.
B. Efficacia del governo multilivello Regioni-Stato (=)
L’efficacia complessiva dell’ordinamento dipende anche dalla capacità di divisione del lavoro e di cooperazione cognitiva fra livelli di Governo. Qui considero tre cambiamenti relativi al livello Regioni (trascuro il tema Province dove la riforma sancisce una situazione già prodottasi):

•   “Il Senato rappresenta le istituzioni territoriali” (=)
La riforma così recita all’articolo 55. In realtà, come visto sopra, a sedere in Parlamento sono singole figure prive di un impegno di rappresentanza delle proprie Istituzioni. In particolare, il voto dei Consiglieri regionali / Senatori in nessun modo impegna il loro Consiglio e tantomeno il Governo regionale. Non si attiva quindi un canale nuovo di cooperazione fra i due livelli di Governo, e infatti rimarrà operativa la Conferenza Stato-Regioni. Nessun peggioramento, nessun miglioramento

•   Riallocazione di funzioni dalle Regioni allo Stato (=)
Come noto, la riforma abolisce formalmente la “concorrenza” di funzioni fra Stato e Regioni, prevedendo per i due livelli solo competenze “esclusive” (assegnando alle Regioni anche ciò che non è “espressamente riservato allo Stato”). Tuttavia, per materie fondamentali il nuovo testo, consapevole delle competenze ormai maturate presso le Regioni, suddivide la materia fra due esclusività, delle Regioni e dello Stato: ad esempio per la salute, lo Stato ha le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute”, le Regioni hanno ”la programmazione e organizzazione dei servizi sanitari”. Non sembra dunque prevedibile, nei fatti, un significativo cambiamento (ed è probabilmente un bene), sempre che non si aprano – per via del testo – nuovi contenziosi. D’altro canto, se in alcuni casi si dovesse avere un’effettiva ricentralizzazione di funzioni, nasce un dubbio: è lo Stato pronto (in termini di risorse umane e cultura) a riprendersi tali funzioni? (Si noti a riguardo che il mancato “indirizzo nazionale” successivo al decentramento massiccio del 2001 va attribuito più all’incapacità dello Stato di agire che a un impedimento costituzionale, come mostra il caso della sottoutilizzazione dei commi m e r dell’articolo 117 attualmente in vigore). Tirando le somme, un’invarianza è l’ipotesi più probabile.
Complessivamente, quindi, il presumibile forte effetto negativo su selezione e motivazione dei senatori fa pendere la bilancia dal lato del peggioramento, lieve per via degli altri non-peggioramenti.
C. Certezza (=)
Per certezza si intende qui sia la probabilità che dopo un’elezione politica si possa formare un governo che non sia il collage precario di forze lontane, sia la certezza delle norme: quella dei cittadini, che una volta approvata una legge e adattati i propri comportamenti, se la vedono spesso cambiare per via di un ricorso alla Corte Costituzionale, o – peggio ancora – che una volta approvato/respinto un testo costituzionale rischiano vederselo rimettere in discussione con più facilità di un Regolamento condominiale. Rilevano allora quattro aspetti:

•   Stabilità di governo (+)
Con l’affidamento alla sola Camera della fiducia al Governo cresce certamente, rispetto al caso attuale di due distinti atti di fiducia, uno per ramo del Parlamento, la probabilità che sia data fiducia a un governo composto da forze politiche coese, “con un’anima” ho scritto prima. Non era il solo modo di ottenere questo esito, ma è certamente positivo.

•   Iter parlamentare (-)
Le molteplici possibilità previste in merito al coinvolgimento del Senato nel procedimento legislativo e la farraginosità del testo daranno presumibilmente luogo a incertezze nel Parlamento e fuori, foriere di tensioni politiche.

•   Impugnabilità da parte delle Regioni (=)
Per il motivo già richiamato – il fatto che il voto dei Consiglieri Regionali / Senatori non impegna la volontà del legislativo, né dell’esecutivo delle proprie Regioni – nulla dovrebbe cambiare circa l’incertezza legata alle contestazioni di incostituzionalità.

•   Stabilità costituzionale (-)
Il processo con cui la riforma è stata approvata e il mancato conseguimento (come già in precedenti riforme, ma mai per così tanti articoli) del quorum dei 2/3, mentre non inficia in sé il testo che votiamo – come ho argomentato prima – introduce ulteriore incertezza nella stabilità nel tempo della parte ordinamentale della Costituzione. Forte sarà la convinzione, in caso di approvazione della riforma con un margine non eclatante di voti, che essa sarà presto nuovamente modificata.
È quasi impossibile pesare i due effetti opposti sulla stabilità costituzionale e dei governi. Me la cavo ipotizzando che l’insieme degli effetti produca sostanziale invarianza. Pronto a rivedere il giudizio di fronte a robusti argomenti.

D. Partecipazione (=+)
La riforma costituzionale propostaci non apre purtroppo (salvo un assai vago riferimento a “formazioni sociali” nel prevedere possibili “altre forme di consultazione”) alle nuove forme di partecipazione attiva e diretta alle pubbliche decisioni che, in forme variegate di cittadinanza attiva, rappresentano la novità più sfidante delle nostre democrazie. E neppure apre al tema delle nuove forme di collaborazione (attiva e autonoma, o viceversa passiva e subordinata) dei lavoratori nelle imprese, che segna una delle linee evolutive del capitalismo. Sono due fenomeni che assumono particolare rilievo anche in Italia e che, più di altri, domandavano un adeguamento dell’Ordinamento della Repubblica. Ma la riforma ritocca in modo significativo le forme tradizionali di partecipazione diretta dei cittadini alle pubbliche decisioni:

•   Forme tradizionali di partecipazione diretta dei cittadini (=+)
Viene ridato spazio al referendum abrogativo, prevedendo che, ove sia proposto da almeno 800mila cittadini (anziché le 500mila, cifra minima), il quorum del “50%+1” sia calcolato sul numero di votanti alle ultime elezioni politiche, anziché sul numero dei cittadini aventi diritto. Innalzando il numero di richiedenti da 50mila a 150mila, viene previsto che le leggi di iniziativa popolare debbano essere esaminate dalla Camera. Infine, affida a una legge la possibilità di introdurre “referendum popolari propositivi e d’indirizzo nonché … altre forme di consultazione”. A questi effetti positivi si contrappone la perdita da parte dei cittadini della possibilità di selezionare in modo diretto i membri del Senato.
Nessuna attenzione, invece, al lavoro. Alla opportuna abolizione del CNEL, che non ha conseguito la propria missione, non corrisponde alcuna soluzione per presidiare l’impegno di cui l’articolo 3 della Costituzione fa carico alla Repubblica: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono … l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Un’occasione persa dall’intero Parlamento. Il giudizio complessivo resta lievemente positivo.

E. Garanzie (=)
La prima e più importante cosa da notare in termini di garanzie, tema che era delicato nel 1948 e resta delicato, specie di fronte ai rischi involutivi di questa fase, è che la riforma costituzionale non accoglie in alcun modo il tentativo in corso da oltre venti anni (che pure ha avuto aperture in passato anche nel centro-sinistra) di stravolgere la nostra democrazia parlamentare in una democrazia presidenziale. In particolare, restano immutati i poteri del Presidente della Repubblica:

•   Presidente della Repubblica (=)
Il Presidente conserva il potere di nomina del Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, dei Ministri: passaggio decisivo per assicurare che il Presidente del Consiglio sia un primus inter pares, e che i Ministri, se ne hanno competenza e forza, diano vita in Consiglio a quel confronto acceso e informato che è decisivo per ben governare. Il Presidente conserva anche gli altri poteri e fra questi quello di indire le elezioni, sciogliere la Camera, chiedere alla Camera una nuova deliberazione prima di promulgare una legge. Per quanto riguarda la sua elezione (da parte congiunta di Camera e Senato), la nuova previsione per cui, “dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza di tre quinti dei votanti” (anziché la “maggioranza assoluta” ma “dell’assemblea”, come prima) potrebbe creare situazioni paradossali in presenza di elevata astensione.

•   Corte Costituzionale (=)
Conserva poteri e modalità di nomina ed è aggiuntivamente investita del potere di “giudizio preventivo di legittimità costituzionale [delle leggi elettorali di Camera e Senato] … su ricorso motivato presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera o da almeno un terzo dei componenti del Senato …”. Questa previsione serve a evitare il paradosso di “scoprire” che una legge elettorale è incostituzionale dopo averla già utilizzata, come avvenuto.

A fronte di questi presidi, si riduce, ovviamente, la funzione di garanzia implicita nel bicameralismo perfetto, ossia nel ruolo vincolante del Senato nell’approvazione di tutte le leggi. Tuttavia, il fatto che il Senato possa, come ricordato, “su richiesta di un terzo dei suoi componenti”, esaminare ogni disegno di legge e deliberare “proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva” e inoltre possa “svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera”, mentre riduce i miglioramenti di efficienza, crea un meccanismo di garanzia. Complessivamente appare emergere anche qui un giudizio di invarianza.

E siamo alla conclusione. È ora chiaro, mi auguro, perché mi sono convinto che l’insieme della riforma né peggiora, né migliora la capacità dell’Ordinamento della Repubblica di attuare i principi della Costituzione stessa, ossia di “farci vivere al meglio”. Certezza e Garanzie sembrano restare invariate. Per Efficienza e Partecipazione sembra esservi un lieve miglioramento. Ma l’Efficacia sembra peggiorare. Ecco che la Ragione (il Cavaliere), provando a guardare lontano, non ha alcuna ragione di eccitare il Sentimento (l’Elefante) né verso il SI, né verso il NO. Ma deve piuttosto spronare la sua potenza a emozionarsi per la “sacralità” dell’esercizio democratico che stiamo compiendo, e per l’impegno che, comunque finisca, ci attende dopo il voto per attuare la nostra Costituzione.
Il post L’Elefante e il Cavaliere: Promemoria sul Referendum Costituzionale è online su Fabrizio Barca.

Da - https://mail.google.com/mail/u/0/?pc=it-ha-emea-it-bk&shva=1#inbox/1577a165c30cb4e4
6174  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / GOFFREDO DE MARCHIS. Rosy Bindi: "Anselmi, una vita straordinaria con una ... inserito:: Novembre 03, 2016, 12:14:37 pm
Rosy Bindi: "Anselmi, una vita straordinaria con una sola incompiuta: sarebbe stata un ottimo presidente della Repubblica"
La sua erede politica ricorda l'esponente della Dc: "Dalla Resistenza alla lotta alla P2, ha reso più forte la democrazia".
E commossa dice: "E' scomparsa proprio il giorno dei santi..."


Di GOFFREDO DE MARCHIS
01 novembre 2016

Rosy Bindi: "Anselmi, una vita straordinaria con una sola incompiuta: sarebbe stata un ottimo presidente della Repubblica"

ROMA - Rosy Bindi aveva 38 anni. "Cominciai a fare politica con la candidatura alle Europee in Veneto, nel 1989. Lo feci solo perchè Tina Anselmi, il mio principale punto di riferimento, aveva rinunciato al seggio e mi aveva promesso il suo appoggio. Io venivo dalla Toscana e non avrei mai vinto quell'elezione senza il suo aiuto". Donna, cattolica fino al midollo, esponente della sinistra democristiana, in prima linea nella battaglia per la moralizzazione della politica. Le storie di Bindi e Anselmi hanno molto in comune. La presidente della commissione Antimafia infatti è sempre stata considerata l'erede di Tina Anselmi. Con la voce spezzata dalla commozione ricorda oggi quella madre putativa. Con il rimpianto "di non aver più potuto ascoltare la sua voce da troppi anni. Una delle malattie del nostro secolo l'ha inchiodata al silenzio". Però anche nella morte Bindi vede un segno. "Dopo questa malattia infinita è scomparsa proprio il giorno dei santi...". Sta proponendo una canonizzazione? "Non ce n'è bisogno. Senza salire sugli altari ha servito il Paese seguendo gli indirizzi della sua confessione. E' stata quello che è stata anche perchè era una donna di fede". 

Nei ricordi di queste ore Tina Anselmi è per tutti una grande italiana. In che cosa?
"Ha costruito la Repubblica con la Resistenza. Ha reso forte la nostra democrazia come democratico cristiana, come donna delle istituzioni legando il suo nome a una grande riforma come quella della sanità. E' stata la prima donna ministro. Ha combattuto i poteri occulti presiedendo la commissione P2. Un percorso straordinario, direi".

Un percorso completo?
"Per tutti noi resta una pagina incompiuta. Tina Anselmi poteva essere un ottimo presidente della Repubblica. Sarebbe stata la prima donna e una donna che era d'esempio per tante italiane. Eppure questa incompiuta rende ancora più forte la sua testimonianza. E' sempre stata un punto riferimento del mondo cattolico. Non la sola, ma del suo livello erano in pochi".



Quale esperienza ricordava con più entusiasmo?
"La radice repubblicana e costituzionale della sua esperienza di staffetta partigiana, con il nome di battaglia Gabriella. Era una donna della Costituzione anche se non aveva partecipato alla Costituente. Non dimenticava mai le fondamenta e non soltanto per motivi evocativi, ma perchè da lì tutto nasce e cresce. Certo, anche la presidenza della commissione sulla loggia P2, che chiude il suo ciclo politico. L'inizio e la fine, della sua vita pubblica. Personalmente poi non posso dimenticare il sostegno per la moralizzazione della Democrazia cristiana durante la vicenda di Tangentopoli. Senza di lei, senza Maria Eletta Martini e Rosa Russo Jervolino per parlare solo delle donne, la battaglia avrebbe incontrato molti più ostacoli".

Come interpretava il rapporto con il potere?
"La sua storia parla da sé. Con la schiena dritta. Come tutti quelli che fanno politica, con il potere ci devi convivere. Ma lei lo ha fatto con quella libertà che bisogna avere verso gli interessi forti e i poteri occulti. Il suo è stato un comportamento integerrimo".

Anche la lotta ai poteri deviati è un'incompiuta?
"Dal mio punto di osservazione, la commissione Antimafia, sì. E' complicato pensare alla lotta alle mafie senza fare i conti con i poteri che le sostengono, che interloquiscono con la criminalità organizzata. E tra questi c'è sicuramente la massoneria deviata".

Il suo ultimo ricordo?
"Siamo andate a trovarla, un gruppo di noi. E ci ha riconosciute, nonostante la malattia. Ci siamo abbracciate".

© Riproduzione riservata
01 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/11/01/news/_una_vita_straordinaria_con_una_sola_incompiuta_sarebbe_stata_un_ottimo_presidente_della_repubblica_-151072082/?ref=nrct-3
6175  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / ROSARIA AMATO. Equitalia, il Fatto-Male trova difensori interessati. - NOI NO! inserito:: Novembre 03, 2016, 12:12:36 pm
Decreto fiscale, Ruffini: "In 10 anni riscossi 70 miliardi"
Oggi le audizioni sul provvedimento collegato alla legge di Bilancio davanti alle commissioni Bilancio e Finanze della Camera dei Deputati.
L'amministratore delegato di Equitalia Ernesto Maria Ruffini contesta la selezione dei lavoratori per il passaggio alla nuova agenzia. Valuta però complessivamente la riforma.
No dei sindacati all'abolizione dell'aggio: "Così i costi della riscossione ricadono anche su chi paga regolarmente".
E no dei commercialisti a spesometro trimestrale

Di ROSARIA AMATO
02 novembre 2016

ROMA -  Una buona riforma, che "aiuterà l'intera filiera tributaria e fiscale a raggiungere unicità decisionale e una più efficace funzionalità organizzativa". L'amministratore delegato di Equitalia Ernesto Maria Ruffini, in audizione davanti alle commissioni Bilancio e Finanze della Camera, valuta positivamente il decreto fiscale, ma rivendica con forza l'operato di questi anni e contesta con altrettanta decisione la selezione per i dipendenti di Equitalia che, con lo scioglimento della società, passeranno alla futura Agenzia delle Entrate-Riscossione.  "Ho fatto per venti anni l'avvocato tributarista e sono stato molto spesso controparte di Equitalia. Non mi permetto di entrare nelle dinamiche politiche, né nel dibattito che da tempo vede la riscossione al centro di polemiche, anche aspre. Chiedo però che sia distinto il fine dallo strumento. I dipendenti vanno rispettati", dice Ruffini. Il no alle selezioni viene naturalmente ribadito anche dai sindacati, che in audizione esprimono "sconcerto" per la previsione di una "procedura di selezione" preliminare al passaggio al nuovo ente.

OPERATO POSITIVO. L'ad rivendica l'operato dell’Agenzia: “Nei suoi dieci anni di attività, il gruppo Equitalia ha riscosso complessivamente oltre 70 miliardi di euro destinati all'Agenzia delle Entrate, all'Inps e alle casse di migliaia di enti e di Comuni che si avvalgono dei nostri servizi di riscossione e con una diminuzione del costo per euro riscosso da 0,331 del 2005 a 0,12 del 2015".

ROTTAMAZIONE: EFFETTI NEL 2017. Con la rottamazione delle cartelle di Equitalia, prevista in massimo 4 rate, gli effetti si avranno soprattutto "nel corso del 2017" e il gettito vedrà un "sensibile incremento delle complessive riscossione da ruolo", spiega Ruffini. "Dal punto di vista del gettito, in considerazione della possibilità di dilazionare l'importo richiesto in 4 rate (di cui l'ultima - per un sesto dell'importo complessivo - con scadenza nel primo trimestre 2018), gli effetti degli incassi della definizione agevolata si avranno principalmente nel corso del 2017 che registrerà un sensibile incremento delle complessive riscossioni da ruolo", ha sottolineato l'ad di Equitalia. Le domande di chi vorrà aderire alla rottamazione dei ruoli di Equitalia dovranno essere presentate entro il 23 gennaio.  Ruffini ha anche detto che dovrebbe essere fatta chiarezza su cosa succederà alle rate del 2017. "Potrebbero essere precisati, per le dilazioni già in essere, gli effetti della dichiarazione di adesione alla definizione agevolata con riferimento alle scadenze di versamento, successive al 31 dicembre 2016".

L'AVVOCATURA DELLO STATO: L'OBIEZIONE. Anche se "la percentuale di impugnazione degli atti è dello 0,85 per cento", quindi relativamente bassa, Ruffini accoglie positivamente il riconoscimento alla nuova Agenzia delle entrate - Riscossione "ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato". Ma solleva un'obiezione: "L'Avvocatura dello Stato non potrebbe assumere il patrocinio del nuovo ente nei frequenti casi di conflitto di interesse tra lo stesso e le altre amministrazioni".

L'AGGIO. I sindacati si oppongono alla soppressione dell'aggio (la percentuale sulle somme riscosse per conto dello Stato e degli enti locali, che Equitalia trattiene a compenso del servizio.  "Le notizie circolate recentemente di ulteriori diminuzioni o addirittura di eliminazione dell'aggio avrebbero l'effetto di spostare sulla fiscalità generale il costo del servizio che ricadrebbe quindi su tutti i contribuenti, - dicono i sindacati in audizione - anche coloro i quali adempiendo con regolarità e tempestività ai propri obblighi tributari, non sono destinatari delle attività di riscossione". Equitalia, aggiungono i sindacati, ha "sempre continuato ad operare nella direzione di un costante miglioramento del livello di efficacia e di efficienza, e complessivamente fra il 2006 ed il 2015 il costo per euro riscosso è stato diminuito del 60%" e la remunerazione "è stata progressivamente ridotta" passando da un "aggio iniziale del 9% all'attuale 6% delle somme iscritte a ruolo riscosse (aggio che a seconda della tempestività del pagamento la legge pone in tutto o in parte a carico del debitore)".

NO ALLE SELEZIONI DEI DIPENDENTI.  "In questi 16 mesi - ha detto Ruffini - ho avviato riforme importanti e innovazioni per un nuovo servizio e per cambiare rapporto coi cittadini. Ora siamo alla vigilia di un cambio epocale, senza dubbio complesso ma che va governato con responsabilità. Si critichi Equitalia, e ancora di più l'operato dell'amministratore delegato ma gli 8mila dipendenti vanno rispettati e tutelati". Selezionarli è sbagliato anche perché, precisa Ruffini, "tale personale è stato già sottoposto a un articolato iter selettivo strutturato secondo i criteri richiamati dal D.L. n193/2016". E quindi una ulteriore procedura sarebbe quantomeno "ripetitiva" e "rischierebbe di essere addirittura incoerente rispetto alla ratio complessiva dell'intervento, che punta a garantire una piena continuità del servizio di riscossione attraverso le risorse attualmente dedicate a tal fine". Anzi, Ruffini chiede di trasferire al nuovo ente anche il personale a tempo determinato.

Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Ugl Credito e Uilca, i sindacati di settore (i dipendenti hanno un contratto di tipo bancario) chiedono la "piena" applicazione dell'articolo 2112 del codice civile che garantisce ai lavoratori di conservare interamente "la posizione giuridica ed economica maturata". I sindacati chiedono quindi che "tale grave e discriminatoria previsione venga eliminata dal testo del decreto e che nessun dipendente del Gruppo Equitalia sia chiamato a dover superare alcuna prova per continuare serenamente nel suo rapporto di lavoro".

«È una norma inaccettabile, ci batteremo contro la selezione, faremo uno sciopero unitario. - aveva dichiarato nei giorni precedenti Agostino Megale, segretario generale della Fisac Cgil - il governo non aveva bisogno di chiudere Equitalia per fare una sanatoria, ma dal momento che ha deciso di farlo non può anche, per la prima volta nella storia della Repubblica, imporre un procedimento di questo tipo, che lascia spazi a interventi unilaterali e discriminatori. I lavoratori e le lavoratrici vanno confermati e basta, senza alcun criterio selettivo perché è la loro storia professionale a parlare a loro sostegno».

GRECO: EQUITALIA RISCUOTE SOLO 4/5%.  In audizione stamane anche il procuratore di Milano Francesco Greco, che ha obiettato che "Il problema di fondo è che negli anni il recupero da parte di Equitalia si è attestato al 4-5%, non al 10%, perché bisogna distinguere tra i micro e i macro crediti, che rappresentano il 10% cartelle ma il 60% del non riscosso". Greco ha premesso di non volersi pronunciare sulla riforma dell'ente di riscossione ma sottolineando che "questo problema è stato segnalato più volte, anche dalla Corte dei Conti" ma "non si è mai intervenuti per ristrutturare Equitalia da questo punto di vista. Mi sarei aspettato una presa in carico di questi problemi prima di realizzare questa operazione".

COMMERCIALISTI: NO A SPESOMETRO TRIMESTRALE. “Condividiamo la necessità di contrastare il fenomeno dell’evasione e delle frodi nel settore dell’IVA, anche attraverso l’anticipazione dei controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate. Ma esprimiamo la nostra ferma e forte contrarietà all’introduzione dello spesometro trimestrale. Un obbligo del genere non è previsto in nessun Paese ad economia avanzata”. Gerardo Longobardi, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, nel corso dell’audizione sul decreto fiscale alla  Camera ha contestato con forza "la comunicazione analitica, ogni trimestre, dei dati di tutte le fatture emesse e ricevute che costituirebbe un obbligo oltremodo sovradimensionato rispetto alle pur legittime finalità di controllo e di contrasto all’evasione”.
 
© Riproduzione riservata 02 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/11/02/news/decreto_fiscale_no_dei_sindacati_alla_selezione_-151137705/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_02-11-2016
6176  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MATTIA FELTRI. Il dovere di ascoltare i loro cuori inserito:: Novembre 03, 2016, 12:07:40 pm
Il dovere di ascoltare i loro cuori

02/11/2016
Mattia Feltri

L’importante è che ascolti. C’è anche una sedia, per te, pure se sei un giornalista, oggi eccezionalmente non sei uno scocciatore: siedi e ascolta. «Ho bisogno di parlare», diceva due giorni fa Gabriela, che a 69 anni aveva scoperto il mare, lì al camping Holiday di Porto Sant’Elpidio, sua destinazione di sfollata. «Parlo e mi calmo un poco», aveva detto. Venga qui, ascolti, avevano detto gli abitanti di Pieve Torina, i pochi rimasti, mentre il loro sindaco discuteva su che fare col presidente della Marche, Luca Ceriscioli; avevano allargato il cerchio e aperto un posto per il cronista. 

Devi ascoltare anche se non puoi fare niente. «Avrei bisogno di soldi», aveva detto una signora, una vecchia curva con lampi d’intelligenza, seduta nel cortile dell’hotel Velus di Civitanova Marche: era scappata di casa con cinquanta euro in tasca perché pensava di tornare presto, e poi i cinquanta euro sono finiti alla svelta.

«Le posso dare qualcosa, signora? E’ solo un prestito». «No, ma che dice? No, ho bisogno di soldi ma non da lei, non mi dia niente, quando la rivedo? Ascolti, mi ascolti un po’: ho bisogno che mi facciano tornare in casa perché i miei soldi sono lì: ascolti bene, e scriva». 

Ascolta: uno ha bisogno di biancheria intima, uno ha bisogno di sapere se la scuola dei figli sarà organizzata in campeggio o al paese, uno ha bisogno di un’auto per tornare dalle sue pecore, uno ha bisogno di salire al paese perché ha due prosciutti e vuole portarli in albergo per offrire l’antipasto, uno ha bisogno di andare a Rieti dove vivono i figli che per la paura dormono in macchina, uno ha bisogno di cibo per il cane, uno ha bisogno di sistemare le bollette perché sono in scadenza e non le ha pagate, uno ha bisogno di un supermercato per comprare il dentifricio, uno ha bisogno che qualcuno parli con la madre e la tranquillizzi un po’, uno ha bisogno di stringere una mano e di dire grazie, «grazie di essersi fermato un po’ con noi».

C’è anche chi non ha bisogno di niente, di essere lasciato in pace. Poi non c’è soltanto il bisogno, c’è anche il desiderio. Per fortuna gli italiani lo sanno quanto è fondamentale il superfluo. Arrivano i giocattoli per i bambini, i fumetti, le carte da gioco, le saponette, i profumi, le donne in macchina ad accompagnare questa gente dove deve essere accompagnata. A Civitanova, in una settimana, gli sfollati sono stati ospitati in tre ristoranti diversi, per un pescetto alla griglia, una pizza, qui tutti insieme, quel che si può. Certo, all’inizio è facile, c’è tutto lo slancio del cuore, e poi alla lunga ci si distrae e si dimentica.
Ma ecco che cosa serve: esserci, ascoltare, portare i pasticcini, le parole incrociate, i figli perché giochino coi figli degli altri. Oggi, e poi domani, e sarà necessario soprattutto la settimana prossima e il prossimo mese e finché durerà. Questa è gente che è stata costretta ad abbandonare tutto, e adesso ha paura di essere abbandonata. Basta sedersi e ascoltare, è già più di un po’. 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/11/02/cultura/opinioni/editoriali/il-dovere-di-ascoltare-i-loro-cuori-IDy88oBxpCVBCSYFlvThfI/pagina.html
6177  Forum Pubblico / L'ITALIA, FATTI e FETENTI dei nostri PANTANI, dei TUGURI e delle CLOACHE / Enrico FERRO. Le mani della 'ndrangheta su Padova inserito:: Novembre 03, 2016, 12:05:37 pm
La lettera dimenticata sugli amici del boss di Cosa Nostra
Un'informativa sulla rete di fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro mai consegnata all'autorità giudiziaria. I personaggi di spicco del trapanese che aiutavano la latitanza dell'ultimo grande capo mafia latitante

Di FRANCESCO VIVIANO
02 novembre 2016

PALERMO -  Due primari ospedalieri, un commercialista, tre imprenditori, un gioielliere, personaggi potenti ed insospettabili del trapanese, costituirebbero la rete segreta di protezione del capo mafia Matteo Messina Denaro, latitante da 23 anni. Con alcuni di loro, sarebbe andato a cenare abitualmente in un ristorante di Santa Ninfa, sempre armato assieme a tre suoi fidatissimi guardiaspalle perché non voleva farsi catturare vivo. Nomi e cognomi, indirizzi, età e professioni dei favoreggiatori dell'ultimo grande boss di Cosa Nostra sono contenuti in una informativa dei carabinieri da dieci anni, una informativa incredibilmente mai trasmessa all' autorità giudiziaria, rimasta chissà in quale cassetto, e soltanto da poche settimane riapparsa e consegnata alla procuratrice aggiunta Teresa Principato (che coordina il gruppo interforze di carabinieri, polizia e 007 dell' Aisi che danno la caccia a Matteo Messina Denaro) e al sostituto procuratore Nino Di Matteo, pm del processo per la presunta "trattativa" Stato-mafia.

Dopo avere fatto terra bruciata attorno al boss, arrestando decine di familiari e di fiancheggiatori delle cosche del trapanese senza però essere riusciti a stanarlo, gli inquirenti puntano ora agli anelli più alti di quella catena che continua a garantire la latitanza di Messina Denaro. E l'informativa, venuta fuori ora, suggerisce nomi di personaggi finora mai finiti nel mirino degli investigatori. Alcuni di loro si sarebbero anche prestati a fare da "postini" che farebbero la spola tra Castelvetrano (il paese del latitante) ed altri centri della Sicilia per fare arrivare o ricevere i "pizzini" con gli "ordini" e le "raccomandazioni" di Matteo Messina Denaro ad altri boss siciliani. Tra i "postini" più attivi due insospettabili, una donna e un pensionato delle ferrovie dello stato.

Informazioni fornite da una fonte ritenuta "attendibilissima" - si legge nell' informativa- che suggeriva ai carabinieri di non coinvolgere nelle indagini le forze dell’ordine che allora operavano nella provincia di Trapani per evitare fughe di notizie ed informazioni che sarebbero potute arrivare proprio al boss Matteo Messina Denaro che probabilmente disponeva di qualche "talpa" tra gli investigatori trapanesi. La scottante informativa dei carabinieri che Repubblica ha potuto leggere ha provocato sconcerto e stupore nella Procura di Palermo, che ha avviato una indagine e una serie di accertamenti anche per ricostruire come e perché quell'informativa così importante sia rimasta nascosta per tanto tempo.

Le due pagine dell'informativa sono state consegnate nelle settimane scorse alla Procura di Palermo dal generale in pensione dei carabinieri Nicolò Gebbia, che fu tra l'altro comandante della compagnia dei carabinieri di Marsala (che indagava anche su Matteo Messina Denaro) e poi comandante provinciale dei carabinieri di Palermo. Interrogato nei giorni scorsi dal pubblico ministero Nino Di Matteo il generale ha svelato di avere avuto quell'informativa poco prima di lasciare il comando provinciale di Palermo per assumere quello di Venezia e di averla consegnata - ha dichiarato a verbale -  al generale Gennaro Niglio allora comandante della Regione Carabinieri Sicilia, morto in un incidente stradale assieme al suo autista, il 9 maggio del 2004 mentre tornava a Palermo da Caltanissetta. Ma da allora di questa informativa nessuno ha saputo più niente.

Nell'informativa si fa riferimento a un altro dei misteri siciliani, il sequestro dell'esattore Luigi Corleo, suocero di Nino Salvo, rapito il 17 luglio 1975 dai corleonesi e il cui corpo non è stato mai ritrovato. Il documento inedito svela ora che il suo cadavere sarebbe sepolto in una campagna di proprietà di uno dei favoreggiatori della latitanza di Matteo Messina Denaro. Un sequestro che provocò uno scontro tra i corleonesi e i boss Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti (amici dei cugini Salvo) che reagirono uccidendo 17 mafiosi alleati dei corleonesi che avevano partecipato al sequestro di Corleo.  Il generale Gebbia ha anche rivelato di avere appreso che pochi giorni dopo il sequestro di Corleo Nino Salvo telefonò a Giulio Andreotti, a quel tempo Presidente del

Consiglio, "ordinandogli" di dare un permesso al boss Gaetano Badalamenti che si trovava al confino nel nord Italia, per rientrare per qualche mese in Sicilia per aiutarlo a liberare il suocero. Il permesso non fu concesso ed i Salvo "si adirarono molto" con Giulio Andreotti.

© Riproduzione riservata 02 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/cronaca/2016/11/02/news/la_lettera_dimenticata_sugli_amici_di_matteo_messina_denaro-151132107/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_02-11-2016
6178  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FEDERICO RAMPINI. Obama si schiera contro l'Fbi inserito:: Novembre 03, 2016, 12:03:30 pm
Obama si schiera contro l'Fbi
Il presidente Usa sconfessa l'operato di Comey: "C'è una regola per cui quando ci sono delle indagini, non operiamo per allusioni, non operiamo sulla base di informazioni incomplete"

Dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
02 novembre 2016

NEW YORK -   Scende in campo perfino Barack Obama, con una stoccata all'Fbi.
"C'è una regola - dice il presidente in un'intervista - per cui quando ci sono delle indagini, non operiamo per allusioni, non operiamo sulla base di informazioni incomplete". E' una sconfessione pacata ma dura, nei confronti dell'operato di James Comey. L'ultima che ha combinato il capo dell'Fbi? Ieri sera ha tirato fuori carte inedite perfino da uno scandalo di 15 anni fa, relativo a Bill Clinton. Che tempismo. L'Fbi è diventata un attore ingombrante di questa campagna elettorale. Il New York Times in prima pagina sottolinea la contraddizione stridente fra la decisione presa a luglio - quando l'Fbi decise di accantonare due inchieste, una su Hillary l'altra sui legami Trump-Russia (più precisamente fra il direttore della campagna elettorale di Trump e il partito filo-russo in Ucraina) - proprio per non influenzare la campagna; e l'improvvisa riapertura di una sola indagine, quella su Hillary, proprio a ridosso del voto. Il Washington Post sottolinea con sconcerto l'altro gesto inspiegabile, la pubblicazione di 129 pagine di documenti interni sull'inchiesta relativa al perdono presidenziale che Bill Clinton concesse al suo finanziatore Marc Rich, una storia vecchia di 15 anni fa. Rich era un finanziere lestofante, costretto a fuggire all'estero. Fu molto discusso all'epoca il gesto di Bill che lo perdonò, in ringraziamento delle donazioni ricevute. E' rimasta come una delle tante macchie nella reputazione di Bill. Però perché riesumarla proprio adesso? A sei giorni dal voto?

IL PERSONAGGIO. CHI È JAMES COMEY
Molti ormai tracciano dei paralleli non proprio lusinghieri fra l'attuale capo dell'Fbi James Comey e il suo leggendario (famigerato) predecessore Edgar Hoover negli anni Cinquanta-Sessanta, celebre per le sue persecuzioni contro sospetti simpatizzanti del comunismo o militanti dei diritti civili come Martin Luther King. Ecco un profilo di Comey, repubblicano nominato da Obama, che sta diventando un "convitato di pietra" in questa campagna. O forse no, il "convitato di pietra" nel Don Giovanni viene indicato come una "muta presenza inquietante e minacciosa", ma Comey è insolitamente loquace...
 
© Riproduzione riservata
02 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2016/11/02/news/fbi_clinton_comey-151167542/?ref=HREA-1
6179  Forum Pubblico / I.C.R. Immaginare Conoscere Realizzare. "Le TERRE DI RANGO" e "Le TERRE DI FANGO". / Terremoto, i borghi da salvare: Ussita, sci e tartufi, la montagna che piace... inserito:: Novembre 01, 2016, 05:38:00 pm
Terremoto, i borghi da salvare: Ussita, sci e tartufi, la montagna che piace ai turisti

A partire da oggi, Repubblica racconterà i centri danneggiati dal sisma.
Per non dimenticare la loro storia e aiutarli a tornare alla vita


Dal nostro inviato CORRADO ZUNINO
01 novembre 2016

USSITA (MACERATA). Il sindaco, alla fine, li ha mandati tutti sull'Adriatico. A Ussita, l'epicentro della scossa più forte, la 5,9, il piazzale si era alzato a ondate "come fosse un mare di catrame". Mercoledì scorso. Con il sisma di Norcia di domenica mattina - il devastante 6,5 - si è messa la parola "fine" anche qui. Sono crollate altre pietre da Santa Maria dell'Assunta, chiesa romanica, si è venata ancor più la caserma dei carabinieri e così il comprensorio a fianco, tirato su da un costruttore locale che ha pubblicizzato le sue costruzioni con questo cartello: "Villini antisismici". Già. La Protezione civile ha insistito molto con Carlo Rinaldi, primo cittadino, gentiluomo affranto: "Ogni borgo di Ussita deve essere zona rossa, inaccessibile".

E così, basta a ogni discussione su dove andranno a scuola i venti bambini e ragazzini del paese, via tutti dai due campeggi poco sopra il Palaghiaccio, che pure avevano casette in legno e roulotte che alle scosse resistono. "Ho chiesto ai miei concittadini di scendere per qualche giorno a Porto Recanati. C'è chi, arrivato al campeggio, mi ha scritto: "Grazie, è la prima sera da settanta giorni che dormiamo senza ballare". Li sto raggiungendo". Sono 250 gli sfollati di Ussita, ora in fila per la cena, quasi tutti alloggiati in appartamenti in legno. I vicini del borgo sono vicini di bungalow. Il parco giochi è diventata la piazza. Si sono arresi anche i più duri, gli allevatori di mucche e cavalli, di pecore ussitane, razza protetta. Tutti a Porto Recanati. In paese sono rimaste dieci persone, necessarie per qualsiasi emergenza: due sono funzionari del Comune che hanno dato la reperibilità nelle loro automobili. E poi ci sono i soliti settanta tra vigili del fuoco, volontari di protezione civile, forze armate.

Al 30 giugno scorso i residenti di Ussita, ex guaita di Visso, erano 446. Prima di ogni terremoto, quindi. Duecento sono andati via da soli, altri duecentocinquanta sono stati allontanati dalla Protezione civile. I vigili del fuoco hanno comunicato che il 95 per cento delle case è lesionato, almeno la metà è da abbattere. Il sisma ha distrutto il cimitero di Castel Fantellino, tutte le dodici chiese del territorio hanno subito danni, in particolare quelle di Casali e Vallestretta. E così il Santuario della Madonna di Macereto, sull'altopiano, ancora Comune di Visso.

Con il triplo terremoto tra il 24 agosto e il 30 ottobre a Ussita e le sue undici frazioni le attività economiche si sono congelate, a partire da quella più importante, il turismo. Uno dei dodici paesi è Frontignano, la montagna dei marchigiani, all'interno del Parco nazionale dei Monti sibillini. Sci d'inverno, nordic walking e mountain bike d'estate. Non c'è neve sul Monte Bove, ma non servirebbe: tutto è fermo, la seggiovia quadriposto del Belvedere, la biposto di Monte Prata. Sull'intero territorio ci sono 2.500 seconde case e, si è capito, sono impraticabili così come sono fuori uso alberghi (il Crystal), bed and breakfast, residence.

Le vasche per le trote, ventinove, al confine con Visso, non hanno avuto danni. Si è fermata, invece, la produzione dell'acqua minerale Roana, nella frazione di Capovallazza. Il titolare ha fatto fare le analisi chimiche e dice che le acque non presentano tracce di inquinamento e presto riaprirà lo stabilimento. Con l'allontanamento degli allevatori, la chiusura delle fattorie sociali e delle botteghe si è fermata anche la produzione di formaggi e salumi, la raccolta di tartufi, cereali, legumi.

Il sindaco Rinaldi lo ha compreso: la gente di Ussita inizierà a tornare qui la prossima primavera. Si stanno identificando le aree dove sistemare i container e riportare tra i moduli tutto quello che c'era prima: il municipio che ospitava la società elettrica, la scuola dell'infanzia, la caserma, la posta, la farmacia, il Bar Fabbrì e il Mare e Monti, la macelleria Fratelli Alesi, l'agenzia immobiliare, la casa di riposo Sant'Antonio, la stazione del Corpo forestale e la struttura chiamata teatro che era anche cinema, sala riunioni e pure ambulatorio.

© Riproduzione riservata
01 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/cronaca/2016/11/01/news/dallo_sci_alla_raccolta_di_tartufi_la_montagna_dei_marchigiani_che_piace_anche_ai_turisti-151048583/?ref=HRER1-1
6180  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Luciano Violante. Verso il referendum La proposta del Sì è concreta inserito:: Novembre 01, 2016, 05:30:08 pm
Verso il referendum
La proposta del Sì è concreta
Il No fa solo critiche
Il precedente di questa consultazione è il voto su Monarchia o Repubblica del 1946Serve un dibattito più responsabile per rendere tutti più consapevoli

Di Luciano Violante

I sostenitori della riforma costituzionale hanno una visione realistica: non è perfetta ma fa funzionare meglio il Paese. Gli avversari criticano le soluzioni adottate ma non propongono un progetto alternativo. Nessuno di loro difende l’esistente; d’altra parte molte importanti personalità del No hanno costituito, composto o presieduto comitati e commissioni per la riforma costituzionale. Non possono difendere oggi ciò che ieri hanno tentato di cambiare. La differenza tra il Sì e il No è netta: il Sì ha una concreta proposta di riforma e ha raccolto le firme per permettere ai cittadini di pronunciarsi. Il No, al di là delle critiche, a volte fondate, a singole regole, non ha una proposta alternativa e non ha neanche raccolto le firme per permettere ai cittadini di pronunciarsi. Forse il No è ingessato dalla eterogeneità delle componenti e delle personalità, che oscillano tra il superpresidenzialismo e l’assemblearismo parlamentare. È tuttavia difficile che personalità così autorevoli non abbiano una idea concreta dell’Italia del prossimo futuro. Né sarebbe sufficiente sostenere che la riforma peggiorerebbe le cose rispetto alla situazione attuale; si tratterebbe di un argomento stupidamente propagandistico.

Il referendum del 4 dicembre non riguarda solo alcune regole giuridiche. Riguarda il parlamento, il governo, le regioni, il riconoscimento di alcuni nuovi diritti dei cittadini e delle minoranze parlamentari. Riguarda la società e le istituzioni, quindi l’intero Paese. Per queste ragioni non è assimilabile ad alcun altro referendum recente. Neanche a quello che si tenne nel 2006 sulla riforma approvata dal centrodestra guidato da Silvio Berlusconi. Quella riforma, pur toccando diversi aspetti della Seconda parte della Costituzione, era incentrata attorno al federalismo e su questo terreno venne sconfitta perché al Nord se ne temevano i costi e al Sud si temeva l’abbandono da parte dello Stato nazionale. Il prossimo referendum ricorda piuttosto quello del 1946 sull’alternativa tra Monarchia e Repubblica. Anche lì si decideva l’Italia del futuro e fu grande il coraggio degli italiani che votarono per la Repubblica, una forma di Stato che non avevano mai conosciuto e che tuttavia faceva presagire un’Italia migliore. Decideremo sull’Italia di domani, cosa dev’essere, come e quando costruirla. Se quella disegnata dalla riforma non va bene, ci si dica quale è un’alternativa che abbia almeno la stessa incisività e tempi analoghi di attuazione.

Se ci sono singole regole da correggere, e ce ne sono, lo si potrà fare subito dopo, come accadde per la Costituzione del 1948, recependo le osservazioni dei contrari alla riforma. Occorre la consapevolezza di un drammatico problema politico: siamo instabili e lenti nelle decisioni, perdiamo competitività, non garantiamo il futuro dei giovani. I cittadini e le imprese non devono affogare per le nostre schermaglie giuridiche o per le nostre avversioni personali. Gli italiani non possono restare nella palude in attesa dell’ottimo che verrà chissà quando. Abbiamo il dovere di impegnarci per un dibattito realistico, in positivo, sull’Italia da costruire e sui tempi di questa costruzione. La perfezione delle singole soluzioni tecniche è importante; ma è più importante il Paese che lasceremo a chi verrà dopo di noi. Confrontarsi con concretezza e rispetto reciproco favorirebbe un voto responsabile e la civiltà dei rapporti politici. Abbiamo bisogno di disegni utili realizzabili in tempi brevi. Altrimenti, di fronte alle critiche che vengono mosse alla riforma, verrebbe alla mente una riflessione di Keynes sul capitalismo: «…non è bello, non è intelligente, non è virtuoso… Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto restiamo estremamente perplessi».

31 ottobre 2016 (modifica il 31 ottobre 2016 | 19:43)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_novembre_01/proposta-si-concreta-no-fa-solo-critiche-4bed06b8-9f99-11e6-9daf-5530d930d472.shtml
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