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6151  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / FRANCESCA SCHIANCHI. Dalle parti di Renzi lo hanno notato: Agnese funziona. inserito:: Novembre 08, 2016, 11:21:34 am
Francesca Schianchi
Inviata a Firenze

Quando, venerdì sera, tutti i fotografi lo hanno ripreso in prima fila all’inizio della Leopolda, Matteo Renzi sedeva accanto alla moglie Agnese. Abito nero, un filo di trucco, ha elargito ai cronisti solo sorrisi. Come d’abitudine, mai una parola di troppo, una dichiarazione fuori posto, un lamento che sarebbe stato meglio evitare. Dalle parti di Renzi lo hanno notato: Agnese funziona. Funziona la sua aria da giovane donna normale, da insegnante per anni precaria mamma di tre bambini. Funziona la sua immagine: una come tante, una sorella, una figlia. Un’immagine pulita e «comune» che, hanno valutato nella war room del premier-segretario, può rivelarsi preziosa in campagna elettorale: non a caso – dalla Casa Bianca alla visita agli sfollati del terremoto - ha cominciato a comparire più spesso accanto a lui. 

Perché l’obiettivo, ora che restano meno di trenta giorni, è recuperare un po’ di normalità e solidità alla narrazione del governo. «Basta con l’illusione del magico mondo di Matteo», riassume la strategia chi di questo ha parlato direttamente con lui, «bisogna riposizionare la comunicazione: dire sinceramente che non è tutto perfetto, ma questa è la via, la strada da percorrere». Con una squadra che sappia trasmettere l’entusiasmo delle origini, quando essere renziani era un azzardo e le Leopolde non erano ripetitive kermesse con le guardie del corpo a circondare il tavolo di lavoro coordinato dal ministro dell’Economia, ma appuntamenti corsari e un po’ guasconi.

E così, l’obiettivo è di tornare a coinvolgere la vecchia guardia che in molti casi nel tempo è stata messa un po’ in disparte, come si è capito già ieri, aggirandosi per la grande navata della vecchia ex Stazione. Sul palco a condurre i lavori erano Matteo Richetti e Simona Bonafè, renziani di antico conio che negli ultimi tempi erano stati inesorabilmente esclusi dal cerchio magico: il premier-segretario-primattore dell’appuntamento fiorentino, in maniche di camicia, sale sul palco e dedica un abbraccio a uno, un bacio all’altra. Entrambi ricominceranno più spesso a comparire in tv. Al deputato modenese, addirittura, all’altro Matteo che un anno fa di questi tempi si lamentava della rottamazione mancata, ha fatto aprire la serata a più alto tasso simbolico, quella di venerdì, e ha voluto che la chiudesse il ministro Graziano Delrio, pure lui uno che si fece convincere dalla prima ora renziana, poi caduto un po’ in disgrazia.

Tra i coordinatori dei tavoli tematici, due vecchi collaboratori con cui alterno è stato il rapporto, come il suo ex assessore fiorentino Giuliano Da Empoli e l’attuale sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che ha dovuto unire due tavoli per accontentare tutti quelli che volevano parlare con lui (e oggi interverrà dal palco). E di là, nel retropalco, trova posto anche Luigi De Siervo, ex manager Rai con cui Renzi è stato grande amico, prima di un lungo periodo di freddo (tanto che alla Leopolda dell’anno scorso si aggirava come un ospite qualsiasi, dopo anni di aiuto nell’organizzazione): è stato Renzi in persona a chiamarlo, qualche giorno fa. Con la richiesta di tornare a esserci. 

 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/11/06/italia/politica/ora-matteo-riscopre-la-vecchia-guardia-e-si-affida-ad-agnese-Aon4THzW5nO6Z5GeiMPVVJ/pagina.html
6152  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / LUCA SERRANO' ... il corteo: "Vogliamo arrivare alla Leopolda". inserito:: Novembre 08, 2016, 11:11:32 am
Firenze, scontri e contusi al corteo anti Renzi: tre cariche e oltre dieci feriti
La questura ieri aveva vietato il corteo: "Vogliamo arrivare alla Leopolda".
Poi i manifestanti hanno raggiunto i viali lontano dalla kermesse.
Un ragazzo arrestato. Alfano: "Volevano fare danni"

Di LUCA SERRANO'
05 novembre 2016

Almeno dodici i feriti tra le forze dell'ordine, con prognosi fino a due settimane due manifestanti in ospedale e un altro finito in manette. Nel mezzo, lanci di bottiglie, lacrimogeni, bombe carta e tre cariche in serie. È il bilancio di un pomeriggio di guerriglia alla manifestazione organizzata contro il governo Renzi, il referendum e la Leopolda a Firenze. Mentre nell'ex stazione si svolgeva la convention renziana, all'angolo tra piazza San Marco e via Cavour è scoccata la scintilla che ha fatto partire la prima carica: il corteo ha tentato di muoversi in direzione centro storico e Leopolda nonostante il divieto della Questura, che ieri lo aveva proibito autorizzando solo un presidio in piazza Santissima Annunziata. "Vogliamo arrivare alla kermesse, non accettiamo divieti", hanno detto gli organizzatori, ritrovandosi in circa un migliaio in piazza San Marco.

Così alle 16 sono scoppiati gli scontri, le cariche e i lanci di oggetti. I manifestanti hanno divelto il cantiere in piazza San Marco e si sono asserragliati dietro le transenne. Nel parapiglia è volato di tutto: verdure, sanpietrini, fumogeni e petardi. Un agente della Digos è stato investito dallo scoppio di una bomba carta e ha riportato ferite guaribili in 14 giorni, altri sono rimasti contusi. Un manifestante è stato bloccato e portato in Questura, si tratta di un uomo di 31 anni originario di Venezia per il quale sono scattate le manette. Altri tafferugli in via della Pergola e in via della Mattonaia, dove sono anche state tracciate numerose scritte. "Renzi deve fare i conti con questa piazza", hanno urlato i manifestanti dopo aver accusato le forze dell'ordine di "complicità" con il governo nell'aver cercato di impedire la manifestazione di oggi.

Firenze, scontri e cariche alla protesta dei No Renzi: "Vogliamo arrivare alla Leopolda"
Il corteo, nonostante gli intenti di raggiungere la Leopolda ha preso poi la direzione opposta dirigendosi verso piazza D'Azeglio e si è fermato in piazza Beccaria, creando problemi al traffico verso i Lungarni. I manifestanti hanno chiesto la liberazione del giovane fermato e portato in Questura e dopo il comizio si sono sciolti. "Giù le mani dalla nostra città"-  ha commentato dal palco della Leopolda il sindaco di Firenze Dario Nardella - è un fatto inaccettabile e vergognoso".

La manifestazione era formata in larga parte da membri dei movimenti antagonisti e centri sociali provenienti anche da fuori regione, che hanno aderito alla protesta indetta dal "Comitato Firenze dice No". Secondo gli organizzatori, "il presidente del Consiglio continua con la sua idea folle verso questa città e verso il Paese che considera il cortile di casa sua". Alla manifestazione erano presenti anche rappresentanti arrivati da Venezia (il comitato No alle grandi navi), dalle Marche, dalla Campania: "Siamo qui per rappresentare una realtà sociale che alla Leopolda non è rappresentata, quella dei giovani che lavorano con i voucher, della persone sotto sfratto. La nostra è una piazza aperta", hanno concluso gli organizzatori della manifestazione.

"Coloro i quali hanno protestato" a Firenze in occasione dell'incontro alla Leopolda "non facevano riferimento all'articolo della Costituzione sulla libera manifestazione del pensiero: volevano e potevano fare dei danni alla città di Firenze e noi lo abbiamo impedito. Credo proprio che le nostre forze dell'ordine meritino un grande ringraziamento", ha detto il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Mentre il capo della polizia Franco Gabrielli ha spiegato: la gestione del servizio d'ordine "ha impedito che ristretti gruppi di facinorosi potessero ostacolare le legittime iniziative della vita democratica e civile del nostro Paese".

"Il questore di Firenze ha dimostrato oggi la sua inadeguatezza e ne deve trarre le conseguenze. Per 'salvaguardare' piazza Duomo e il quadrilatero turistico, tradizionalmente attraversati dalle manifestazioni, ha scelto prima di non autorizzare alcun corteo e poi
 di caricare e di sparare lacrimogeni dentro un corteo pacifico", dicono le parlamentari di Sinistra italiana, Alessia Petraglia e Marisa Nicchi, che hanno definito "ordinaria follia" quanto acceduto nel pomeriggio. "Altrettanto da irresponsabili le dichiarazioni rese da Renzi e Nardella alla Leopolda che hanno attaccato come 'ignobile' chi ha usato la violenza per manifestare il dissenso, nel tentativo di trasformare la propria incapacità in consenso".

© Riproduzione riservata 05 novembre 2016

Da - http://firenze.repubblica.it/cronaca/2016/11/05/news/firenze_corteo_dei_manifestanti_anti_renzi_non_accettiamo_il_divieto_vogliamo_arrivare_alla_leopolda_-151386993/?ref=HRER1-1
6153  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Marta Dassù - Hillary porterà la tenacia alla Casa Bianca inserito:: Novembre 08, 2016, 10:57:36 am
Hillary porterà la tenacia alla Casa Bianca

07/11/2016
Marta Dassù

Se Hillary Clinton diventerà Presidente degli Usa dovrà ringraziare Donald Trump. La sensazione netta, infatti, è che avrebbe perso contro un altro candidato. Un po’ perché il ciclo politico, dopo 8 anni di Obama, spinge in teoria verso i Repubblicani - se il loro partito continuasse ad esistere. 

Un po’ perché Clinton è poco amata dalla gente. Ma Trump ha sconvolto la normalità delle cose: coi toni estremi del suo appello populista e nativista alle classi medio/basse dell’America bianca e virile, si è tenuto stretto una parte molto rilevante dell’elettorato e al tempo stesso ne ha sacrificata un’altra, dai latinos alle donne. Queste ultime non guardano con particolare indulgenza a Hillary - lo si è visto nel 2008, quando hanno votato per Barack Obama. Tuttavia, di fronte al tasso di misoginia riemerso con Trump, hanno cominciato a spostarsi verso Hillary, inclusa una parte delle donne repubblicane. Qui, la candidata democratica deve ringraziare una seconda persona: Michelle Obama, che è riuscita a presentare una delle più brutte campagne elettorali della storia americana come una scelta di civiltà e dignità degli Stati Uniti, contro The Donald e nel nome delle donne. Attraverso le parole di Michelle, Hillary Clinton - la vecchia esponente della «casta», troppo amica della grande finanza e troppo poco trasparente - è tornata ad essere semplicemente una donna dedicata e competente: la guida giusta per un’America che possa ancora tenere in piedi la coalizione delle minoranze ereditata da Obama, liberandosi di troppi stereotipi, inclusi quelli sessisti. 

Hillary deve infine ringraziare se stessa. Solo una persona con una dose assolutamente straordinaria di «tenacia» (la sua prima dote è la resilienza dicono tutti quelli che l’hanno conosciuta in mezzo secolo di carriera politica) avrebbe retto alla sconfitta nelle primarie del 2008 e avrebbe poi usato quattro anni durissimi come Segretario di Stato per prepararsi di nuovo alla Casa Bianca. 

Ma se Hillary ce la facesse davvero, che Presidente sarà? Rispondere è meno semplice di quanto sembri. Hillary è un personaggio pubblico da una infinità di tempo ma ha sempre tenuto nascosti i suoi istinti. E per un Presidente l’istinto conta. Proviamo a fare qualche ipotesi, collegando scelte passate e sfide future.

 Hillary Clinton sarà - per vocazione - un Presidente domestico. Nel senso che la sua vera propensione sarà quella di lasciare il proprio segno sull’America, prima che sul sistema internazionale. Da questo punto di vista, avrà un peso decisivo la nomina del successore di Scalia alla Corte suprema. E conteranno le riforme interne. Dai tentativi di riforma sanitaria compiuti (e falliti) come First Lady negli Anni ’90 fino alle primarie contro Bernie Sanders, Hillary è consapevole che il tasso di disuguaglianza interna alla società americana sta superando limiti di guardia. Trump è il sintomo di una patologia. Che va curata per salvaguardare la democrazia. L’elenco degli impegni presi, anche per tenere a bordo i voti (giovanili) di Sanders, è lungo: dalla riforma fiscale, all’aumento del salario minimo, alla reintroduzione del Glass Steagall Act (la separazione fra banche di risparmio e di investimento), a fondi nelle infrastrutture, alla riforma dell’immigrazione. In breve, Hillary tenderà a distaccarsi almeno in parte dalla eredità economica di Bill: sarà meno clintoniana di quanto sia mai stata. Il problema di fondo è che, se i democratici non riusciranno a recuperare almeno il Senato, avrà ben poche leve per riuscire. L’America del dopo 2016 rischia di essere bloccata, oltre che drammaticamente polarizzata. 

Sul piano internazionale, il disimpegno parziale degli Stati Uniti è una tentazione potente. La realtà, tuttavia, è che i presidenti americani sono regolarmente risucchiati dalle crisi esterne. E Clinton, rispetto ad Obama, tenderà a non lasciare troppi vuoti. Nella sua famosa intervista a The Atlantic, Obama ha definito se stesso un «realista». Hillary, come formazione e come segretario di Stato, è considerata piuttosto una «wilsoniana», propensa all’interventismo. Si può prevedere che l’America cambi registro in Siria e che Hillary decida per un confronto più duro con Putin. Gli europei della Nato saranno messi sotto pressione. 

Tuttavia - questa la terza previsione possibile - la prima donna Presidente degli Stati Uniti guarderà verso il Pacifico, prima che verso l’Atlantico. L’errore che facciamo regolarmente, come europei, è di pensare che il «nostro» candidato sarà anche interessato a gestire le sorti del vecchio Continente. La tensione con la Russia costringerà l’America a non trascurare un’Europa che, vista da Washington, è poco vitale sul piano economico, sta perdendosi per strada Londra e non contribuisce abbastanza alla difesa comune. Ma Hillary è convinta della priorità del Pacifico. E dovrà decidere, come Presidente, se riportare in vita il Tpp (il trattato commerciale con i Paesi del Pacifico, concepito anche per contenere la Cina) o se confermare la linea di «nazionalismo economico» tenuta nella campagna elettorale. 

Questo sarà uno dei dilemmi principali per la presidenza Clinton. Paradossalmente Hillary si troverà a gestire, un paio di decenni dopo, i costi sociali e politici della globalizzazione economica promossa da Bill Clinton.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/11/07/cultura/opinioni/editoriali/con-hillary-la-tenacia-alla-casa-bianca-9IiEdsJkyi5ddkH1x8YJdN/pagina.html
6154  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / GIANNI RIOTTA - Hillary-Donald, i colpi bassi della battaglia più scorretta inserito:: Novembre 08, 2016, 10:55:23 am
Hillary-Donald, i colpi bassi della battaglia più scorretta
Dai dubbi sul malore della democratica, ai commenti sessisti del tycoon.
L’America oggi è spaccata. E il Presidente è visto solo il capo della gang rivale

Pubblicato il 08/11/2016
Ultima modifica il 08/11/2016 alle ore 07:39

GIANNI RIOTTA - NEW YORK
«La politica americana è spesso stata un’arena occupata da menti folli di rabbia. Lo chiamo stile paranoico perché evoca bene il senso diffuso di rovente esagerazione, sospetto e fantasia cospiratoria»: così, in un classico articolo del 1964 sulla rivista «Harper’s», lo studioso Richard Hofstadter condensa, con fortunato slogan, «Lo stile paranoico nella politica americana».
 
Hofstadter elenca le occasioni in cui la repubblica si lascia sedurre dal rauco grido dei demagoghi, la caccia alle streghe anticomunista del senatore McCarthy Anni 50, il Populist Party 1895 «l’Europa complotta con l’oro contro gli Usa!», mentre, nel 1855, i giornali in Texas sono certi «I monarchi europei e il Papa di Roma organizzano in segreto la rovina americana». Alla vigilia della Prima guerra mondiale gli elettori temono che Massoni, Chiesa cattolica, Gesuiti, Mormoni, siano curvi a tramare contro Washington. Per anni il Ku Klux Klan razzista brucia le sue croci minacciose mentre gli incappucciati a cavallo linciano neri. Più tardi la John Birch Society, gruppo di ultradestra che prendeva il nome da un missionario ucciso dai cinesi nel 1945, organizza cellule clandestine contro l’invasione russa. Lee Oswald, assassino del presidente Kennedy, già voleva uccidere uno dei leader della Birch Society. L’asso dell’aviazione Lindbergh e Joseph Kennedy, fondatore della dinastia, diffidano degli ebrei e ammirano Hitler. Il presidente Nixon era così paranoico da far spiare illegalmente i democratici nell’elezione 1972 che vinse a valanga, 49 stati a 1!
 
L’idea che la storia americana sia pervertita da agenti foschi è antica, ma le elezioni presidenziali 2016 hanno aperto un capitolo nuovo, inquietante, della saga. Alla radio del prete antisemita e anti F. D. Roosevelt padre Coughlin (1881-1979), succedono adesso hackers dalla Russia, lobby che vogliono bloccare Sanders, Trump o Hillary. L’Fbi, con il suo capo Comey, prima passa per lacchè dei democratici poi dei repubblicani, in un delirio di impotenza complottista, inchiesta su Clinton sì o no? che sporca il dibattito democratico e semina una zizzania di odio che non avvizzisce mai.
 
La piaga nell’anima americana è profonda, aperta, infetta, e dubito che il prossimo presidente possa lenirla. Il grido della Convenzione di Cleveland «Arrestate Hillary!», gli insulti di Trump al padre di un eroe caduto in guerra solo perché musulmano, Trump che irride un cronista malato, insulta i messicani, la sua voce dai nastri «le donne devi acchiapparle dalla …» pesano sulle coscienze. Ma non dimenticate l’effetto maligno che, sull’altra metà degli elettori, hanno silenzi e bugie di Clinton sulle email abusivamente diffuse da un server privato, i suoi cambi di idea opportunisti - sul libero commercio, ad esempio - per trovare voti a sinistra, la volgarità dell’ex deputato democratico Weiner che fa il bulletto con le teenager al cellulare, mentre la moglie Huma, braccio destro di Hillary, scarica sullo stesso telefonino, tra immagini porno, le mail riservate della candidata. Donna Brazile, pomposa e arrogante ex capo della campagna di Al Gore 2000 (fu lei a mandarlo allo sbaraglio, persuadendolo a fare il populista e escludere Bill Clinton dai comizi) che, pagata come commentatrice dalla rete tv Cnn, manda di nascosto le domande che faranno alla Hillary, per poi mendicare in cambio del servizietto una prebenda, che vergogna è?
 
Francis Scott Fitzgerald scriveva che a stroncare il romantico Grande Gatsby «fu la polvere sporca che fluttuava sulla scia dei suoi sogni»: ecco, in questi mesi una «polvere sporca» ha inquinato i «sogni» dell’intero Paese. Che Hillary Clinton non sia solo la rapace paladina di Goldman Sachs, o la claudicante anziana stroncata dalla polmonite, ma oggi possa essere eletta prima donna presidente degli Stati Uniti è conquista storica che il tanfo da talk show e la schiuma da web finiscono per oscurare. Una donna presidente, la sola dal 1776, dovrebbe comunque unire il Paese in celebrazione, invece i repubblicani già affilano i coltelli per l’impeachment e la sinistra sanderista sbuffa scontenta.
 
Non confondete, come fanno i falchi spiumati del presidente G.W. Bush, la crassa volgarità del Trimalcione Trump con le profonde radici di rabbia che spaccano il partito repubblicano e che, anche se sconfitte, lo agiteranno per anni. Nel 1965, nel Sud dell’America, bianchi e neri non potevano ancora usare gli stessi bagni. Nel 2008 l’America ha eletto un presidente afroamericano con il mondo ammirato dal progresso straordinario. Ma la Storia procede in fila indiana, quando Obama arriva alla Casa Bianca milioni di neri restano staccati indietro, e con loro altrettanti bianchi terrorizzati che il Paese diventi multietnico, transgender, diverso dal villaggio bonario da Happy Days che guardavano da bambini in tv. Queste retrovie dimenticate si vendicano nel 2016. Trump non è un fascista, come crede una destra colta ma narcisista, è un demagogo che offre alla rabbia reale di chi ha ceduto il posto a un robot, vede la pensione sfumare, teme per la fede religiosa, bersagli fittizi su cui sfogare frustrazioni, Messicani, Donne, Europei, Minoranze, Banche, Fisco.
 
Nel XVII secolo i Padri Fondatori concepirono la figura del Presidente come un Re Democratico, con sigillo e inno, un patriarca che unisse il Paese al di là della politica chiassosa. Quel sogno è scomparso. Nel XXI secolo il Presidente è il capo della gang rivale, da sgarrettare non appena abbassa la guardia.
 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/11/08/esteri/speciali/presidenziali-usa-2016/hillarydonald-i-colpi-bassi-della-battaglia-pi-scorretta-GJLxMkKp3eZw4ToUux0lXL/pagina.html
6155  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Leopolda, Farinetti: "Tornare simpatici ammettendo PAURA DI PERDERE" inserito:: Novembre 07, 2016, 04:58:03 pm
Leopolda, Renzi chiude la tre giorni.
Farinetti: "Tornare simpatici ammettendo paura di perdere"
L'intervento conclusivo del premier e segretario dem atteso per le ore 12.
Va in archivio la settima edizione della kermesse, segnata dalla firma di Gianni Cuperlo al documento per la modifica dell'Italicum e dagli scontri tra polizia e contestatori più che dalle ragioni del "sì" al referendum sulla riforma costituzionale

06 novembre 2016

FIRENZE -  Terza e ultima giornata della kermesse alla stazione Leopolda di Firenze. Il premier e segretario del Pd, Matteo Renzi, arrivato alla guida dell'auto di famiglia insieme alla moglie Agnese e ai figli, si appresta a chiudere la tre giorni di dibattiti e tavole rotonde con un intervento previsto intorno alle ore 12, ma scivolato a ridosso delle 12,30 per i tempi degli interventi precedenti. Nei giorni della Leopolda la novità, destinata ad animare il confronto interno alla minoranza dem, è la firma di Gianni Cuperlo all'accordo su un documento condiviso della commissione del Pd per la modifica dell'Italicum, siglato anche da Guerini, Orfini, Zanda e Rosato. Testo che verrà sottoposto all'assemblea e alla direzione del Pd e ai gruppi parlamentari.

SCHEDA. RIFORMA ITALICUM: IL TESTO INTEGRALE
Ma la settima Leopolda, testimone anno dopo anno dell'ascesa di Renzi dal ruolo di "giovane" simbolo del dissenso interno al Pd rispetto alla leadership della storica vecchia guardia della sinistra a quello di segretario e premier, è segnata anche dai violenti scontri verificatisi ieri all'esterno della stazione tra forze dell'ordine e i contestatori di Matteo e della sua linea di governo. Mentre all'interno della struttura si succedevano sul palco gli interventi dei professori chiamati a "smontare le bufale sulla riforma costituzionale" diffuse dal multiforme fronte del "no", all'esterno volavano pugni e manganelli, sassi e lacrimogeni. Bilancio: dodici agenti contusi e un manifestante fermato. I contestatori non sono riusciti a raggiungere la Leopolda, ma hanno disseminato il percorso compiuto di scritte contro il governo e contro Renzi. Una devastazione che il sindaco Dario Nardella ha condannato come "inqualificabile violenza".

Questo accadeva ieri. Il giorno dopo, Matteo Richetti, che dirige i lavori dal palco, prova a dare un colpo di spugna alle immagini delle violenze rimbalzate su tutti i tg: "Questa mattina parliamo di futuro". Ad aprire la giornata è Giorgio Gori, sindaco di Bergamo e 'leopoldino' col pedigree, che ricorda come la riforma costituzionale fosse fin dalla prima edizione tra le proposte chiave della kermesse renziana.

Oscar Farinetti, l'imprenditore famoso nel mondo per Eataly, invece, introduce il tema della simpatia, che alla Leopolda sarebbe andata persa, rivolgendo alla platea un appello accorato: "Ve lo dico con il cuore: dobbiamo tornare a essere simpatici. Questo è un tema. A volte ho la sensazione che siamo diventati antipatici. E diventiamo simpatici se tiriamo fuori i nostri sentimenti: la paura. Io ho una fifa pazzesca di perdere. E poi io ho paura quando sento certi modi di parlare del M5s. Mi fanno paura e non dobbiamo vergognarci di dire che ci fanno paura".

Applausi per lo psicanalista Massimo Recalcati, che in un passaggio evidenzia il rischio che i giovani "cadano prigionieri" del populismo e dell'antipolitica mentre proprio Renzi, all'inizio del suo percorso, li aveva "radunati intorno alla politica come sogno. Per questo bisogna sfuggire a chi oggi vuole cucire addosso a Renzi il vestito grigio che identifica il sistema e la burocrazia. Questo per chi governa è un problema. Icaro deve tornare a volare".
Andrea Occhipinti, fondatore della società di produzione e distribuzione cinematografica Lucky Red, elogia la riforma del cinema, approvata questa settimana: "Siamo veramente contenti che dopo 50 anni sia arrivata questa legge per rendere competitiva l'industria del cinema italiano: una legge di sistema completa e moderna. Uniti possiamo fare il cinema italiano di nuovo grande".

A margine, il deputato del Pd e vicepresidente della Camera Roberto Giachetti detta ai giornalisti il suo giudizio sulle modifiche all'Italicum: "Per quanto mi riguarda, peggiorano le cose. Però penso che l'Italicum sia comunque una legge che è un passo avanti rispetto al Porcellum e altre leggi che abbiamo avuto. Se la maggioranza della Direzione e dei gruppi decideranno che quella è la linea, io mi adeguerò. Comunque togliere il ballottaggio non è un'idea geniale". Quanto al referendum, "io penso che in questo mese avremo da lavorare tanto per convincere coloro che sono indecisi a votare per il sì - spiega Giachetti - e sono convinto che chi è indeciso o non ancora schierato, se conosce la riforma sarà molto facile che voterà per il sì. Io sono ottimista".

© Riproduzione riservata
06 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/11/06/news/pd_leopolda_renzi_chiude_la_tre_giorni-151432824/?ref=HRER1-1
6156  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / GIUSEPPE TURANI - SCALFARI: GRILLO È IL NEMICO inserito:: Novembre 07, 2016, 04:52:18 pm
SCALFARI: GRILLO È IL NEMICO

Renzi deve e può fermare i grillini, il vero pericolo

Di GIUSEPPE TURANI | 06/11/2016

 “Il vero e terribile avversario di Renzi e della sua politica in Italia e in Europa è il Movimento 5 Stelle. Con la legge elettorale attuale i grillini (che non amano sentirsi chiamati così) avrebbero la quasi certezza di vincere al ballottaggio ed anche di essere decisivi per la vittoria del No referendario. Il Movimento 5 Stelle non ha certo la forza esplosiva di un Donald Trump, soprattutto perché l'Italia non è l'America. Ma un grillino alla guida dell'Italia possiamo immaginare come si comporterebbe nel nostro Paese, in Europa e in tutti i Paesi extraeuropei, cioè nel mondo intero?

A due mesi dalle elezioni a sindaca di Roma abbiamo visto che cosa ha fatto la Raggi: nulla, non ha fatto nulla salvo aver disdetto le olimpiadi ed avere anche sospeso la costruzione di un settore essenziale della metropolitana. Forse quelle sospensioni avevano qualche giustificazione ma la vera ragione è che se avesse accettato le olimpiadi la Raggi non era in grado di iniziare da subito le opere preliminari e di programmare poi gli impianti necessari ai vari sport olimpici.

Questo è accaduto alla sindaca di Roma con il sostegno di tutti i cinquestellati. Rispetto a questo esempio su scala nazionale e internazionale è immaginabile quale sarebbe la fine dell'Italia."

Dopo il suo confronto televisivo con Di Battista dei Cinque stelle sui social network molti lo avevano trattato da vecchio rimbambito, senza apprezzare che invece era stato uno dei primi personaggi importanti a spiegare chiaramente che roba era, e è, il movimento di Grillo: un partito comico posseduto da un comico che fa una politica comica.

Nell’editoriale di oggi su “Repubblica” fa un ulteriore passo in avanti. Soddisfatto perché il Pd si appresta a cambiare la legge elettorale (suo vecchio pallino), non esita a indicare Renzi come il possibile, e auspicabile, salvatore dell’Italia da una possibile sciagura a Cinque stelle.

E spiega chiaramente come oggi il pericolo in Italia sia non la fantomatica “deriva autoritaria” renziana quanto l’esistenza di un movimento come quello di Grillo, una raccolta di insoddisfatti con il solo progetto di distruggere tutto. Ma anche incapaci di tutto.

Tutto ciò è molto interessante. Si pensi, ad esempio, che Bersani, non pago della figuraccia fatta a suo tempo con i Cinque stelle in diretta streaming, è ancora lì che sogna e indica un possibile futuro di governo con i grillini.

Fra i grandi vecchi della vita pubblica italiana, questa è la verità, Scalfari si rivela ancora come il più sveglio e il più attento.

Grande. Alla faccia di quelli che lo volevano a casa con il plaid sulle ginocchia.

Da - http://www.uominiebusiness.it/default.aspx?c=635&a=24710&tag=06-11-2016-ScalfariGrillo%C3%A8ilnemico#.WB7506JwjFQ.facebook


6157  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / ODIFREDDI. intervista Huffpost: "Il 90 per cento degli italiani è stupido" inserito:: Novembre 07, 2016, 04:47:19 pm
Piergiorgio Odifreddi, intervista Huffpost: "Il 90 per cento degli italiani è stupido"

l'Huffington post | Di   Nicola Mirenzi

Pubblicato: 25/09/2016 16:09 CEST Aggiornato: 25/09/2016 19:14 CEST ODIFREDDI

Beppe Grillo: "È un minus habens". I grillini: "Peggio di lui". In generale: "Il novanta per cento delle persone è stupido. In un paese di 60 milioni di abitanti come l'Italia, saranno all'incirca 54 milioni: non possono essere andati tutti alla festa nazionale dei 5 stelle a Palermo". Piergiorgio Odifreddi – matematico, divulgatore scientifico, saggista – ha scritto un Dizionario della stupidità (Rizzoli, 378 pagine, 18 euro) per proteggersi dalle "scemenze della vita quotidiana". Laico fervente, ha studiato prima dalle suore, poi dai preti: "Non erano niente male". Se deve immaginare uno scenario politico peggiore di quello odierno, torna con la memoria alla stagione della Democrazia cristiana: "Anche se Giulio Andreotti – racconta – mi salvò da un pericoloso fermo in Unione Sovietica". Con l'Huffington Post, parla di banchieri da "mandare all'infermo", di politicamente corretto e Islam, della "superiorità" di Benedetto XVI sulla "banalità" di Papà Francesco, e di politica.

Odifreddi, nel suo dizionario c'è anche la voce: Matteo Renzi. Perché?
Se vogliono conquistare voti, i politici devono dire alle persone ciò che si vogliono sentir dire. Tendenzialmente, delle stupidaggini. E Matteo Renzi è l'erede perfetto di Berlusconi: il Cavaliere ha imparato a farlo cantando sulle navi, lui esordendo alla Ruota della fortuna.

Ma politicamente?
Renzi ha realizzato il programma berlusconiano, andando addirittura oltre con il Jobs act, che ha dissolto le tutele dello statuto dei lavoratori.

Dedica un lemma anche a Grillo.
Grillo ha iniziato a dire scemenze prima di cominciare a fare politica. Per dire: sosteneva che l'AIDS era una bufala, che l'OGM ammazza, che le radiazioni dei cellulari cuociono le uova. Ma lui ci crede. È questa la grande differenza tra Grillo e un politico di professione: che il politico deve dire delle cretinate per racimolare voti, lui le dice per convinzione.

Eppure ha un gran consenso.
Non voglio dire che il suo pubblico sia fatto di deficienti. È una parola brutta. Dico: ingenui. Ma rimane il fatto che sono persone che credono alle scie chimiche e fanno battaglie contro i detersivi. È la parte della società con meno mezzi culturali per giudicare.

Possibile che siano tutti così?
Bertrand Russell diceva che i politici hanno nei confronti degli elettori un vantaggio: che gli elettori sono più stupidi di loro. E giudicare Grillo, per me, è troppo difficile: mi è così distante che lo considero un minus habens. Quando lo sento, mi viene la pelle d'oca. Dicono che i suoi siano argomenti di pancia. Io fatico a considerarli proprio argomenti.

A Palermo, però, molte persone sono andate per ascoltarlo alla Festa nazionale dei 5 stelle.
Il novanta per cento delle persone è stupido. Quindi, considerato che siamo 60 milioni, in Italia ci sono almeno 54 milioni di stupidi: non credo ve ne siano di più a quella festa.

E gli altri dove vanno?
Vanno anche alle feste dell'Unità. Come si fa a pensare che dopo due anni di governo Renzi quella festa abbia un senso? Almeno, per decenza, cambiassero nome.

Non le sembra di sottovalutare? Il partito democratico governa il Paese, i Cinque stelle hanno conquistato due grandi città alle ultime elezioni.
C'è una differenza enorme tra le due città: a Torino, Chiara Appendino è il prodotto di ciò che i 5 stelle stessi chiamano poteri forti; a Roma, invece i poteri forti li hanno contro.

Può essere più esplicito?
Dietro Appendino c'è la Fiat. Appena aletta, John Elkan è subito corso a incontrarla. Viceversa, Virginia Raggi è dovuta recarsi in visita dal Papa.

C'è solo questa differenza tra le due?
No, Appendino ha le qualità per governare, Raggi le ha solo per vincere le elezioni.

Scrive: "E' venuto il momento di tornare a considerare i banchieri paria della società e reietti da Dio".
Nel Medio Evo, era considerato usuraio chiunque prestasse denaro, a qualsiasi tasso. Oggi il fastidio per i banchieri è tornato a essere forte. Quando la gente vede i posti di lavoro che evaporano, le tutele che si dissolvono, e dall'altra gli aiuti di stato per tenere in vita istituti che hanno fallito, s'incazza.


Però è difficile vivere in un mondo senza banche.
Certo che si può vivere in un mondo senza banche. Per metà del secolo scorso, l'Unione Sovietica ne ha fatto a meno.

Non è andata benissimo, però.
Non per quel motivo. Mi domando perché non si possano nazionalizzare le banche che vengono salvate. Perché è diventata una bestemmia?

In Europa, nazionalizzare è contrario alle regole dell'Unione.
È per questo che l'UE suscita l'astio dei suoi cittadini: perché è solo un'unione economica.

Nel suo libro, mostra di preferire Ratzinger a Papa Francesco. Perché?
Da ateo, con Benedetto XVI ho avuto un dialogo. Mi è interessato leggere le cose che scriveva, Ratzinger aveva una profondità di pensiero. La statura intellettuale Papa Francesco lascia perplessi. Quando parla, mi cadono le braccia. La misericordia, il vogliamoci bene, l'amore: sono cose talmente banali. Chi può essere contrario?

È facile criticare l'Islam allo stesso modo in cui lei, ora, ha fatto con il Cattolicesimo?
Penso che, in realtà, sia molto più facile criticare l'islam che il Cristianesimo. Farlo, è politicamente corretto. Ci sono partiti politici che fanno propaganda sull'equazione musulmano uguale terrorista. E l'opinione pubblica è sempre sul chi va là.

Dimentica quello che è successo in Francia per le vignette di Charlie Hebdo su Maometto?
La diversità è che i cristiani non vengono sotto casa ad aspettarti se li prendi di mira con la satira. Ma ricorda la parodia di Ratzinger fatta da Crozza? A un certo punto ha dovuto smettere di farla. E potrei fare altri esempi. Nei risultati, non è molto diverso da quello che accade con l'Islam.

Lei è stato compagno di classe di Flavio Briatore. Ha letto della polemica sul turismo al sud, secondo lui poco sensibile ai bisogni dei ricchi?
Non saprei dire se è così. So che con Briatore studiavo al geometra. Lui fu bocciato al secondo anno, poi lasciò e fece una scuola privata per recuperare tutti gli anni in uno. Credo sia la dimostrazione che il detto popolare – "ultimi a scuola, primi nella vita" – è vero.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/09/25/odifreddi-dizionario-stupidita_n_12180056.html
6158  Forum Pubblico / PERSONE che ci hanno lasciato VALORI POSITIVI / LAZZARETTI, David. - Di Franco Pitocco inserito:: Novembre 07, 2016, 09:40:53 am
LAZZARETTI, David
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 64 (2005)

Di Franco Pitocco

LAZZARETTI (Lazzeretti), David. - Nacque il 6 nov. 1834 ad Arcidosso, sulle pendici del monte Amiata, da Giuseppe e da Faustina Biagioli.
Stando alla tradizione, la nascita di colui che sarebbe stato soprannominato il "Messia dell'Amiata" avrebbe avuto tratti non comuni, tali da far presagire da subito una vita straordinaria per il neonato. Sarebbe infatti nato fornito di "doppia lingua" e "doppi occhi", a indicare il suo futuro destino di profeta e di veggente.
Di là dalla leggenda, comunque, egli costruì quel destino gradatamente e con costanza, riplasmando la sua vita reale nel tempo, lungo tutto l'arco dell'esistenza, attraverso un continuo lavorio di selezione e dilatazione del significato di innumerevoli esperienze di Sogni e visioni (tale era il titolo di una sua pubblicazione edita a Prato nel 1871). E fu il risultato di un lento processo psicologico e culturale, frutto del clima sociale e religioso in cui viveva. Ma anche progetto di vita attivo, ricercato e adattato, volta a volta, nelle diverse situazioni.
Il suo stesso nome mostra, in parte, ma in modo esemplare, la trama di questo processo. A un certo momento, il nome anagrafico originario Lazzeretti, che compariva nelle sue prime pubblicazioni, fu mutato in Lazzaretti. E tale fu poi sempre, dopo un importantissimo viaggio in Francia nel 1873. In questa lieve modifica vanno letti, probabilmente, un'allusione al Lazzaro del Nuovo Testamento e certo l'influsso della lettura di un romanzo di G. Rovani, Manfredo Pallavicino (I-IV, Milano 1845-46), allora molto popolare, in cui il L. trovò un Lazzaro Pallavicino (cui nel romanzo si attribuiva una parentela con i re di Francia) nel quale credette di poter individuare un antico antenato. Una discendenza, questa, attraverso la quale egli si sentì erede del "sangue di Pipino" e, ricollegandosi all'immaginario leggendario dei reali di Francia, poté fondare e legittimare le sue aspirazioni messianiche.
Ma la costruzione della sua vita messianica era iniziata già nell'adolescenza, come mostra il primo episodio di Sogni e visioni, di cui resti diretta testimonianza.
Aveva solo 14 anni, quando, nella primavera del 1848, dovette affiancare il padre nel lavoro in Maremma. In località Macchia Peschi rimase solo, con il compito, assai gravoso, di caricare legna su due giumenti. Si trattava di un luogo isolato dal mondo abitato, "deserto", e quel 25 aprile era uno di quei giorni nebbiosi capaci di accentuare un forte senso di solitudine e di smarrimento. Fu allora che dal folto del bosco il L. vide uscire un vecchio frate, destinato a ripresentarsi più volte nella sua vita (e a rivelarsi finalmente per s. Pietro), con un annuncio sorprendente per lui: "la tua vita è un mistero".
Il L. rimase a lungo scosso da quella visione e ne conservò sempre un vivo ricordo, anche se per anni dovette sembrargli solo un sogno, senza particolari conseguenze nella vita reale. La sua vita, in effetti, continuò a svolgersi secondo le linee tradizionali della vita di un giovane montanaro: con un lavoro da eseguire (faceva il barrocciaio, dedito, soprattutto, a trasportare terra di Siena, anche verso luoghi lontani da Arcidosso, fino a Siena e a Roma), con una famiglia da costruire (nel 1856 sposò una donna che gli diede cinque figli), ma anche con il bisogno di vivere le passioni civili e politiche del tempo (nel 1859 entrò nella cavalleria di E. Cialdini e nel 1860 combatté contro le truppe pontificie).
Tuttavia, il 25 apr. 1868, esattamente vent'anni più tardi, il vecchio frate gli apparve ancora, all'interno di un sogno corrusco e drammatico, denso di movimenti e di figure tratte dal bestiario medievale e apocalittico.
Di nuovo gli annunciò cose "misteriose" e lo incitò a recarsi dal papa per "esporgli la sua missione"; quindi a "ritirarsi in un convento della provincia di Roma, presso Montorio Romano". Là avrebbe incontrato un "religioso" al quale avrebbe dovuto annunciare: "Io sono il mandato di Colui che regna in tutti i luoghi".
In effetti, alla fine di quell'anno, dopo un deludente viaggio a Roma con l'intenzione di incontrare il papa, il L. iniziò una lunga quaresima da eremita in Sabina, rinchiuso in un convento abbandonato, detto la "grotta di S. Angelo".
È questo il momento decisivo della sua carriera di "uomo del mistero". Recluso in un ambiente murato all'esterno, con solo un pertugio da cui ricevere un tozzo di pane dal religioso (un vecchio eremita tedesco) che vi risiedeva, egli scoprì le ossa di quell'"avo" romanzesco che gli consentì di richiamarsi al "sangue di Pipino". Ebbe nuove visioni e "conferenze" con personaggi misteriosi, "divini", e qui, ancora, tornò a lui il "santo vecchio" per imprimergli sulla fronte il segno della sua missione messianica: quel "marchio" delle due C rovesciate con la croce nel mezzo (a significare "Cristo in prima e seconda venuta"), destinato a diventare il simbolo della sua futura Chiesa giurisdavidica.
Quando, dopo un altro soggiorno eremitico nell'isola di Montecristo, tornò tra le popolazioni della montagna con il suo nuovo ruolo di "uomo santo", il L. godeva ormai di un ampio e profondo prestigio sociale. Numerosi fedeli si raccolsero intorno a lui, per ascoltare la sua predicazione e seguire i suoi consigli. Si aprì allora un periodo fecondo di vita religiosa, sostenuto anche dalla Chiesa che vedeva in lui lo strumento per una resistenza culturale, popolare, al nuovo Stato italiano. Furono quelli gli anni in cui il L. creò il suo movimento, espansione sociale della sua "missione" religiosa, fondando tra il 1870 e il 1872 i tre istituti che costituiscono i principali riferimenti organizzativi di carattere religioso, sociale ed economico della comunità lazzarettista.
La Santa Lega o Fratellanza cristiana, istituita nel 1870, aveva finalità essenzialmente di carattere sociale e umanitario. Il Pio Istituto degli eremiti penitenzieri e penitenti si proponeva come una sorta di "nova religio". La sua organizzazione e le sue finalità furono illustrate per la prima volta dal L. alla vigilia della sua partenza per il ritiro nell'isola di Montecristo, il 14 genn. 1870. Le regole furono stampate nel 1871 a Montefiascone, con il permesso delle autorità ecclesiastiche. La Società delle famiglie cristiane, attiva dall'inizio del 1872, costituì, per i suoi contenuti sociali ed economici, l'esperienza più importante e clamorosa del movimento. Somigliava a una delle tante società di mutuo soccorso del tempo, ma era essenzialmente ispirata al "comunismo" della Chiesa primitiva, con la sua messa in comune dei beni, l'organizzazione sociale del lavoro, la ripartizione dei proventi.
Alcuni tratti di questo insieme organizzativo hanno fatto pensare spesso, ma vanamente, a contatti diretti del L. con il mondo socialista. In realtà i tre istituti fanno tutti riferimento a un sostrato teologico assai lontano dall'esperienza politica del socialismo. Non a caso si ripromettevano, ciascuno, di realizzare una specifica "virtù cristiana": il Pio Istituto era collocato sotto il simbolo della fede, la Santa Lega sotto il simbolo della carità, la Società delle famiglie cristiane sotto il simbolo della speranza.
Nella loro ispirazione gli istituti vivevano dei tratti di un messianismo antico, impastato di Vecchio e Nuovo Testamento, e soprattutto dell'eredità gioachimita. Probabilmente, in effetti, il L. trasse figure e personaggi per l'ultima fase del suo progetto escatologico proprio da un testo di tardo ambiente gioachimita, dalle apocrife Lettere di s. Francesco di Paola, di cui egli stesso procurò una ristampa (Napoli 1873). Di là provengono figure come il grande monarca e le milizie crocifere, intorno alle quali egli costruì il ruolo finale per sé e per i suoi fedeli, nell'annuncio del futuro regno dello Spirito Santo. Gli istituti erano, insomma, un tentativo di anticipare aspetti di un'ampia visione escatologica, che si apriva sotto la pressante attesa di un "secondo diluvio", predisposto da Dio a punizione dei peccati degli uomini e dell'infedeltà della Chiesa. Ma anche a premessa di un'età nuova.
L'elaborazione di questa visione, nelle sue varie articolazioni, mise in allarme le autorità ecclesiastiche e civili. Nel novembre 1877 la S. Sede rifiutò l'approvazione delle Regole dell'Ordine crocifero dello Spirito Santo e all'inizio del 1878 il S. Uffizio condannò le dottrine del L. come eretiche; le sue opere furono poste all'Indice. Da parte sua il ministero dell'Interno, preoccupato per l'ordine pubblico, dava disposizione agli organi di polizia di sorvegliare il L. e i suoi seguaci.
Intanto il L. operava una riplasmazione della società e dello spazio in cui agiva. Il monte Labbro, chiamato a ospitare gli edifici dei tre istituti, venne ribattezzato monte Labaro. Sulla sua cima fu edificata una chiesa, e, a secco, senza calce, una torre tortile, simbolo della nuova Chiesa.
Nel 1877, ne La mia lotta con Dio ossia Il libro dei Sette Sigilli (Arcidosso), si era aperta l'immagine finale dell'operazione escatologica del L.: il monte Labaro si trasfigurò nel "magnifico, forte e maestoso monte", o "Città della nuova beata Sionne e Turrisdavidica, il Santuario dei santuari, la Rocca Santa di Dio, la Città Celeste". Qui sarebbe sorta la prima fra le sette "città eternali" destinate a realizzare il Regno messianico, PiamiatangelicA, "ossia Città del Sole".
La torre che ancora oggi, sbocconcellata, resiste sulla cima del monte, acquista qui, all'interno di PiamiatangelicA, tutto il suo splendore ideale: "basata in grande e colossale edifizio", sta "la prodigiosa e meravigliosa piramide", "il più sacro e misterioso monumento della terra", "depositario del segno vivo di Dio e di altre preziose reliquie in una settima parte dei Martiri delle Milizie Crocifere". Essa è l'arca della Nuova Alleanza, "nella quale si dovea salvare la famiglia eletta da Dio dalla inondazione di un secondo diluvio di fuoco e di sangue", in cui "erano racchiusi tutti i tesori della terra" e "tutte le leggi sante della vera giustizia".
Da questo fantastico monte, il 18 ag. 1878, il L. e tutta la sua gente, vestita negli abiti delle sue figure escatologiche, scesero processionalmente ad annunciare al mondo l'avvento del regno dello Spirito Santo. A valle uno sparuto gruppo di militi guidati da un delegato di polizia pose fine al sogno del L. colpendolo alla fronte con una palla di fucile.
Da più di un secolo il L. gode di una ricca bibliografia, mai esausta, e sempre pronta a ripetere le sue prove. E di varia natura: dalla storiografia alla psichiatria, alla sociologia, al romanzo. Da C. Lombroso ad A. Gramsci, a E.J. Hobsbawm si è cercato di codificare i nessi che in lui si stabiliscono tra esperienza psicologica individuale, società, politica e religione. Ma quasi sempre nel vano tentativo di ridurli a una gerarchia causale: a guidare quella complessa struttura culturale è stata chiamata ora la "follia", ora l'"eresia", ora la "rivoluzione". Per questa via, in buona sostanza, la storia del L. è rimasta prigioniera delle prime interpretazioni che ne furono date, negli stessi giorni in cui si diffuse la notizia della morte del "Messia".
In realtà una lettura sociologica era già stata avanzata, nel suo nucleo essenziale, dall'Illustrazione italiana del 1° sett. 1878, che aveva definito il L. "un avanzo del passato smarrito là in un lembo di terra che è della gentile Toscana, ma che per maremme e per monti rimane quasi diviso dalla grande corrente della nuova vita italiana". Così come il nesso tra eresia e politica era stato abbozzato dai giornali cattolici, come L'Unità cattolica del 22 ag. 1878, la quale aveva scritto che "la storia di David Lazzaretti è quella di tutti gli eretici, che furono e sono rivoluzionari ad un tempo: non vogliono solo riformare la Chiesa, ma anche rovinare il Governo".
Non diversamente il legame tra esperienza religiosa e inconsapevole azione di protesta sociale (o, addirittura, rivoluzionaria) che ha caratterizzato tanta parte della storiografia del dopoguerra, fortemente segnata dal marxismo, era già implicito nello stesso processo del 1879. I 23 lazzarettisti, che, arrestati dopo la morte del L., giunsero il 24 ott. 1879 innanzi ai giudici della corte d'assise di Siena (qualcuno era morto durante il durissimo anno di prigionia), si erano infatti sentiti recitare questo pesante atto di accusa: "Attentato contro la sicurezza interna dello Stato, per aver commessi atti esecutivi diretti a rovesciare il Governo ed a mutarne la forma, non che a muovere la guerra civile ed a portare la devastazione ed il saccheggio in un Comune dello Stato".
Dal "monomaniaco" di Lombroso, al "rivoluzionario primitivo" di Hobsbawm, sempre è andato perduto esattamente ciò che fa lo specifico del fenomeno: la circolarità e la "totalità" delle varie esperienze del L. e del movimento. Talché accade ancor oggi che lo studioso che si avvicina a questa storia sia quasi inevitabilmente condannato a restar prigioniero delle motivazioni che portarono alla morte del "Messia" e delle interpretazioni offerte dai primi giornali che si occuparono dei fatti di Arcidosso, tutte segnate dal "primato della politica". Eppure già a un anno da quei fatti, il pubblico ministero si era convinto della insostenibilità delle tre accuse. Egli riconobbe che gli imputati non avevano voluto "rovesciare il governo e mutarne la forma", pur conservando l'accusa relativa al progetto di scatenare "guerra civile", "devastazione e saccheggio", e l'altra della resistenza alla forza pubblica. E a conclusione del dibattimento la giuria emise un verdetto che assolveva interamente gli accusati. Negò anche che gli imputati avessero agito "nello stato di chi non ha coscienza dei propri atti o libertà di coscienza", l'attenuante richiesta nel caso di riconosciuta colpevolezza.

Altri scritti del L.: Il risveglio dei popoli: preghiere, profezie, sentenze, s.l. 1870 (trad. fr., Lyon 1873); Avviso profetico alle nazioni e ai monarchi d'Europa, Prato 1871; Le livre de fleurs célestes, Lyon 1876 (trad. it., Grosseto 1950); Manifeste de D. L. aux peuples et aux princes chrétiens, Arcidosso 1876; Rivelazioni, Milano 1881; Ultimi scritti: i 29 editti, Follonica 1921.

Fonti e Bibl.: La documentazione archivistica relativa alla storia del movimento del L. è amplissima. Il materiale più ricco è conservato negli Archivi di Stato di Siena e di Grosseto (Atti del processo e carte relative all'inchiesta), Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Fondo Santo Officio, Stanza storica: Processo contro D. L. e fautori (1878), e soprattutto presso l'Archivio Giurisdavidico della Comunità lazzarettista di Arcidosso e il Centro studi David Lazzaretti del Comune di Arcidosso. Importanti anche gli "oggetti" conservati presso il Museo di arti e tradizioni popolari di Roma.

Quanto alla bibliografia storica (si veda pur sempre L. Graziani, Studio bibliografico su D. L., profeta dell'Amiata, con saggi critici di F. Sapori e P. Misciattelli, Roma 1964), ci si limita qui a sottolineare il valore esemplare di qualche studio: A. Verga, D. L. e la pazzia sensoria, Milano 1880; P. Nocito - C. Lombroso, D. L., in Arch. di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali, I (1881 [1880]), 1-2; G. Barzellotti, D. L., Milano 1885 (poi, con il titolo Monte Amiata e il suo profeta, ibid. 1910); E. Rasmussen, Ein Christus aus unseren Tagen, Leipzig 1909 (ed. originale danese del 1904); E. Lazzareschi, D. L.: il messia dell'Amiata, Bergamo 1945; A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, I-IV, Torino 1975, ad ind.; E.J. Hobsbawm, Primitive rebels. Studies in archaic forms of social movement…, Manchester 1959, ad ind.; G. Fatini, D. L., Siena 1963; A. Moscato - M.N. Pierini, Rivolta religiosa nelle campagne: il movimento millenarista di D. L., Roma 1965; A. Petacco, Il Cristo dell'Amiata. La storia di D. L., Milano 1978; D. L. e il monte Amiata: protesta sociale e rinnovamento religioso. Atti del Convegno, Siena- Arcidosso… 1979, a cura di C. Pazzagli, Firenze 1981; E. Tedeschi, Per una sociologia del millennio. D. L.: carisma e movimento sociale, Venezia 1989; G. Filoramo, Metamorfosi del tempo apocalittico nel movimento di D. L., in Millenarismo e New Age. Apocalisse e religiosità alternativa, Bari 1999, pp. 133-154; H. Multon, Les marges du christianisme au XIXe siècle: l'exemple de D. L., prophète du monte Amiata (1834-1878), in Mélanges de l'École française de Rome, Italie et Méditerranée (MEFRIM), 2001, vol. 113, 1, pp. 369-423; Id., Prophétesses et prophéties dans la seconde moitié du pontificat de Pie IX (1859-1878). Entre défense du pouvoir temporel et Apocalypse hétérodoxe, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 2003, n. 1, pp. 132, 146 s., 158 s.

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Da - http://www.treccani.it/enciclopedia/david-lazzaretti_(Dizionario-Biografico)/
6159  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / PAOLO G. BRERA. Terremoto: chiude il ristorante preferito dai gourmet inserito:: Novembre 05, 2016, 04:06:25 pm
Terremoto: chiude il ristorante preferito dai gourmet
Il Tiglio a Montemonaco era al primo posto della classifica di Tripadvisor, aveva ottenuto due forchette del Gambero rosso, un cappello dell'Espresso
Ora crepe hanno squarciato la sala, l'edificio è stato dichiarato inagibile dai vigili de fuoco. "Servono troppi soldi per la ristrutturazione"

Di PAOLO G. BRERA
04 novembre 2016

MONTEMONACO -  Glielo dicevano tutti: “Ehi, chef, ma cosa ci fate lassù sui monti, perché non venite sul mare ad aprire un ristorante?”. E invece no, “sono nato qui, che ci vuoi fare?”, rispondeva Enrico Mazzaroni raccogliendo gli ortaggi in campo, o scherzando con la vacca al pascolo prima di dirigere la brigata di otto persone tra sala e cucina. Ci vuole coraggio, ci vuole passione per diventare grandi a Montemonaco, a tre quarti d’ora di curve estenuanti dalla costa, sui monti Sibillini che d’autunno spumano bruma e d’inverno ghiacciano e s’imbiancano. Eppure, prima che il sisma lo mettesse a terra “Il Tiglio” era salito al primo posto nella classifica di TripAdvisor per i ristoranti delle Marche, due forchette per la guida del Gambero Rosso e un cappello per quella dell’Espresso, eccellenza pura in odore di stella Michelin. E adesso addio, “chiuso”.

Crepe maligne e profonde disegnano parte del salone e un intero angolo dell’edificio rurale che ospita il ristorante. Enrico è l’ombra dell’uomo entusiasta che al termine del servizio salutava i clienti arrivati da mezza Italia per assaggiare la sua cucina raffinata, elegantissima e ricercata. “Basta, sono stanco, mi sono rotto”, dice con lo sguardo perso sui sogni svaniti. Suo cugino Gian Luigi Silvestri, l’altra anima del Tiglio che accoglieva i clienti e suggeriva piatti e abbinamenti di una cantina ricca e selezionata, impreca e scuote la testa: “Non l’ho mai visto così a terra, sono preoccupato. Ma se riuscissimo a ripartire...”.

Per due volte il ristorante nato nel 1994 aveva fatto spallucce al sisma, tirando dritto senza un graffio o quasi. La prima nel 1997, la seconda il 24 agosto nel terremoto devastante di Amatrice e Accumoli. “Qui neanche un graffio - racconta Gian Luigi - e a pranzo, quel giorno, era venuto lo chef Moreno Cedroni della Madonnina del Pescatore, insieme alla direttrice di sala di Casa Perbellini”, entrambi due stelle Michelin. Per un paio di settimane i clienti erano spariti, traumatizzati dal sisma; poi avevano iniziato a riaffollare le sale. “Il 23 ottobre eravamo al completo fino al 6 novembre”, ma la storia del Tiglio stava per inciampare.

Il 26 ottobre, quando l’epicentro a Castelsangelo sul Nera e Visso si era avvicinato, erano spuntate crepe sottili sul muro esterno e nel salone. Ma la botta micidiale è arrivata domenica mattina, quando i muri del ristorante non hanno retto alla scossa da 6,5 Richter e le crepe si sono squarciate rischiando di far crollare mezza sala. E ora? Enrico è “troppo avvilito” anche solo per ragionare sul da farsi. I vigili del fuoco sono già venuti a decretare l’inagibilità. Nei prossimi giorni arriveranno i tecnici accreditati per compilare le schede Aedes, quelle che verificheranno se l’immobile deve essere demolito o è salvabile. Serve molto denaro, e dopo la ristrutturazione di febbraio le casse non possono permettersi di anticiparlo. Così, in attesa di capire se sia possibile ristrutturarlo e quanto sia semplice e rapido ottenere i contributi pubblici, a Enrico e Gian Luigi non è restato che congedare la brigata e restar lì a osservare quel che resta del Tiglio e del suo mito, il ristorante gourmet fiorito su una roccia come una stella alpina prima di essere spazzato via dal terremoto.
 
 © Riproduzione riservata 04 novembre 2016

DA - http://www.repubblica.it/cronaca/2016/11/04/news/terremoto_chiude_il_ristorante_gourmet-151283060/?ref=HREC1-21
6160  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Federico FUBINI. Brexit: DOPO IL VERDETTO DELL’ALTA CORTE inserito:: Novembre 05, 2016, 11:06:42 am
DOPO IL VERDETTO DELL’ALTA CORTE
Brexit: Ivo, Gina e il team di avvocati che ha sfidato il Parlamento inglese
Ma i nomi dei «registi» sono segreti
Chi sono i legali che hanno impostato la sfida legale affinché sia il Parlamento a votare l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue

  Di Federico Fubini

Ivo Ilic Gabara ha capito che lui e i suoi potevano vincere quando davanti all’Alta Corte, di colpo, la questione è diventata personale. A inizio ottobre il Procuratore generale dell’Inghilterra e del Galles Jeremy Wright ha aggredito verbalmente Gina Miller, invece di rifarsi alla legge: secondo l’avvocato del governo di Londra, questa manager della finanza etica nata in Guyana stava cercando di sovvertire la volontà del popolo espressa nel referendum sul divorzio dall’Unione europea.
Gli attacchi personali al posto degli argomenti giuridici sono sempre una spia che questi ultimi scarseggiano. Sono tic tipici più di un regime autoritario, che delle battaglie davanti alle parrucche bianche dell’Alta Corte dei Lord. Ivo Gabara, 56 anni, italiano trasferitosi a Londra nel 2008, non li aveva messi in conto quando all’inizio dell’estate con un piccolo gruppo di alleati ha gettato il seme della svolta di ieri. Era il mercoledì dopo il referendum sulla Brexit, 29 giugno. In una saletta di Mishcon de Reya, uno dei grandi studi di avvocati d’affari della City, Miller, Gabara e pochi altri si ritrovano per impostare la sfida legale che ieri avrebbe segnato una prima vittoria.

«Non abbiamo mai cercato di rovesciare l’esito del referendum né di impedire la Brexit», dice Gabara, presidente e proprietario di una società di comunicazione con clienti come i governi del Bangladesh e delle Mauritius o grandi gruppi, da Exxon Mobil a Telia Sonera. «Volevamo ristabilire il principio che nel Regno Unito il Parlamento è la sede della sovranità e non lo si può accantonare in un corto circuito fra un referendum consultivo e l’azione incontrastata del governo. Sarebbe stato uno stravolgimento della Costituzione formatasi in secoli di common law, quasi un colpo di Stato».
Rapidamente Miller, Gabara e una decina di altri, in buona parte soci di Mishcon de Reya, hanno formato un «comitato d’indirizzo» che avrebbe portato al duello di questo autunno nei tribunali. Lo studio legale fondato dallo scomparso Victor Mishcon, figlio di un rabbino polacco che aveva trovato la salvezza a Londra, presto avrebbe pagato per la sua scelta di esporsi: in luglio davanti alle sue finestre hanno iniziato a formarsi proteste e picchetti di fautori più radicali della Brexit. Da allora molti dei nomi dei registi del ricorso sono rimasti gelosamente custoditi nei computer dello studio. Per rappresentare Miller all’Alta Corte Mishcon de Reya ha ingaggiato Lord (David) Pannick, un «Queen’s Council», ossia uno degli avvocati da dibattimento più celebri della nazione. A Gabara tocca il compito di parlare a nome del gruppo e gestire la comunicazione di Miller. Quanto agli altri sostenitori della causa, si sa solo che fra di essi si trovano figure di punta del mondo degli affari e dell’industria. «Non solo soci di Mishcon de Reya — si limita a dire Gabara —.
Ci sono anche clienti dello studio, come la stessa Miller. Non posso aggiungere altro per non dare adito a inesistenti teorie del complotto», aggiunge l’italiano. «Se tirassimo fuori i nomi, saremmo tacciati di essere l’élite di Londra che vuole rovesciare la volontà del popolo».

Questa cortina di segreto rischia di alimentare i sospetti dei fautori della Brexit. A Gabara preme sottolineare il coraggio della donna che ha messo il suo nome sulla battaglia legale: «Nel clima di aggressione seguito al referendum non si è mai tirata indietro». Fare di lei il volto della sfida nelle Corti è stata una decisione presa a fine luglio, dopo il primo dibattimento: allora divenne chiaro che sarebbe bastato avere un unico ricorrente ufficiale. Gabara però sa bene che la vittoria non è ancora assicurata. Da tempo la Corte Suprema aveva riservato il 7 e 8 dicembre per l’appello che sarebbe sicuramente seguito. Ma un primo segnale c’è già, nota l’italiano: «Abbiamo dimostrato che il Regno Unito resta la patria dello Stato di diritto. Non si possono privare milioni di britannici della possibilità di vivere gli anni della pensione in Spagna o di aprire un conto in Germania, senza prima ascoltare il Parlamento». L’Alta Corte in realtà non precisa se la Camera dei Comuni dovrà votare un mandato preciso al governo per i negoziati di secessione dalla Ue, oppure alla premier Theresa May basterà una rapida consultazione. In ogni caso il Parlamento non oserà esprimersi contro la Brexit. «Ma il referendum non ha mai decretato che dovrà esserci la rottura radicale che il governo persegue. Non ha mai dato mandato al premier di portare il Paese fuori dal mercato unico, danneggiando l’industria dell’auto, della farmaceutica e della finanza — nota Gabara —. Ora grazie a noi i moderati tornano in gioco».

3 novembre 2016 (modifica il 3 novembre 2016 | 22:42)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/16_novembre_04/01-esteri-dxcorriere-web-sezioni-aeb8508e-a207-11e6-9c60-ebb37c98c030.shtml
 
6161  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Da Manzoni a Facebook c’è sempre chi alimenta l’odio delle folle (Oggi i 5Stelle inserito:: Novembre 05, 2016, 11:05:01 am
Da Manzoni a Facebook c’è sempre chi alimenta l’odio delle folle
Community   
Promessi-sposi-cap-12   
Già i Promessi Sposi ci vaccinano contro quegli addetti al livore, alla disinformazione e all’odio

“Ne’ tumulti popolari c’è sempre un certo numero d’uomini che, o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose al peggio; propongono o promovono i più spietati consigli, soffian nel fuoco ogni volta che principia a illanguidire: non è mai troppo per costoro; non vorrebbero che il tumulto avesse né fine né misura”.

Lo descrive in modo terribilmente odierno, nel suo capitolo XII de “I Promessi sposi” – dedicato all’assalto ai forni, durante il quale una folla inferocita arriva quasi a linciare il Vicario di provvisione di Milano (chi doveva assicurare pane e prezzo del pane), salvato all’ultimo dalla famosa carrozza di Ferrer (“adelante, Pedro, con juicio”) – ciò che è accaduto nei momenti immediatamente successivi alle scosse di terremoto che hanno colpito il centro-Italia in questi giorni. Manzoni lo ha scritto nel 1825, e già questo dovrebbe far riflettere sul costume italico di alcuni.

Il passo manzoniano ci vaccina contro il post allucinante della senatrice del movimento cinque stelle Enza Blundo – che evito di riprendere per pietà – e contro quegli addetti al livore, alla disinformazione e all’odio che, non per vera e magari condivisibile indignazione, ma con una tattica cinica infestano i nostri social network.

I provocatori di professione, dunque, si dirà, sembra ce l’abbiano fatta ancora: la schiuma tossica che straparla di magnitudo, sciami sismici, si impanca a geologo provetto e si sostituisce agli esperti della Protezione civile sghignazza soddisfatta. Oppure no? Questa volta credo di no. Credo, stavolta, che tali fondamentalisti dell’onestà abbiano davvero gettato la maschera. Questi fondamentalisti hanno dimostrato di non essere in grado di generare davvero un mondo diverso; possono solo chiamarsi fuori dalle responsabilità che scaricano integralmente sull’Altro, ribadendo una fantomatica innocenza incontaminata. Ma di dare vita a un autentico cambiamento ce ne passa.

La folla, quella in piazza sporca di farina come nel capolavoro manzoniano, o quella davanti ai computer che vomita bile, è poi sempre quella. Lo psicoanalista sa che la folla che si ritiene pura non ha tolleranza verso la diversità (e verso la verità). La purga staliniana era la metafora fisiologica radicale di questa intolleranza. Ci aiuta ancora una volta Manzoni a capire meglio: questi addetti al livore “fanno a chi saprà sparger le voci più atte a eccitar le passioni, a dirigere i movimenti a favore dell’uno o dell’altro intento; a chi saprà più a proposito trovare le nuove che riaccendano gli sdegni, o gli affievoliscano, risveglino le speranze o i terrori; a chi saprà trovare il grido, che ripetuto dai più e più forte, esprima, attesti e crei nello stesso tempo il voto della pluralità, per l’una o per l’altra parte”. “Chi saprà trovare il grido che esprima o crei il voto”; Manzoni le parole non le usa mai a caso.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/da-manzoni-a-facebook-ce-sempre-chi-alimenta-lodio-delle-folle/
6162  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MARCO DAMILANO Referendum, la grande assenza del M5S inserito:: Novembre 05, 2016, 11:00:42 am
ANALISI

Referendum, la grande assenza del M5S
I pentastellati si battono ma senza troppo clamore: niente piazze, niente dibattiti in tv, niente contaminazioni con gli altri oppositori.
E a un mese dal voto sono il grande assente dalla campagna sulla modifica della Costituzione

DI MARCO DAMILANO   
02 novembre 2016

C’è un buco vistoso nella campagna referendaria del No, un’assenza che pesa perché non riguarda un partitino dello schieramento politico o un’associazione che rappresenta solo se stessa. Il Movimento 5 Stelle è dato dai sondaggi testa a testa con il Partito democratico, vincente in un ipotetico ballottaggio con la legge elettorale Italicum, è considerato il punto di riferimento naturale di tutti gli oppositori del governo guidato da Matteo Renzi.

E dunque dovrebbe essere scontata la leadership grillina del fronte che vuole sconfiggere il premier il 4 dicembre. E invece no. È come se questo scontro M5S non lo sentisse suo. Il Movimento lotta, si batte, ma senza troppo clamore. Resta in un ruolo laterale, se non marginale. Sorprendente, per un soggetto politico ormai abituato in tre anni di vita a occupare il centro del ring.

Sul sito beppegrillo.it negli ultimi giorni l’unico voto che davvero ha occupato i pensieri dei capi del Movimento Beppe Grillo e Davide Casaleggio è stato quello per il regolamento e per il "non statuto" di M5S, per cui era previsto un quorum di votanti elevatissimo, il 75 per cento degli aventi diritto su 130mila iscritti. E poi la proposta parlamentare per dimezzare l’indennità dei deputati, portata dai dal gruppo M5S nell’aula di Montecitorio e rispedita in commissione fino a data da destinarsi. Per assistere allo spettacolo, martedì 25 ottobre, si è scomodato Beppe Grillo, in tribuna sopra i seggi del Pd, meno di trenta minuti per assistere a schermaglie regolamentari, fischi, applausi e infine il rinvio scontato.

Il Comico lì, incuriosito, divertito, le mani giunte, composto, docile alle severe regole che imbrigliano gli invitati ad assistere alle sedute della Camera, se n’è andato in punta di piedi, senza nessuna concessione alla piazza, anche perché la folla dei militanti convocata per l’occasione era ridotta a pochi intimi.

L’immagine di un Movimento non più extra-parlamentare, quasi istituzionale, con Grillo in tribuna e Luigi Di Maio a presiedere l’aula. Anche in questo caso, il riferimento al No referendario è stato ridotto al minimo sindacale. Più preoccupati i deputati del Pd, che temevano la trappola. Inseguire i grillini sulla strada dei tagli allo stipendio dei parlamentari? Oppure schierarsi contro, con il rischio però di indebolire l’argomento più forte con cui Renzi sta girando l’Italia per chiedere un voto favorevole al referendum: il taglio delle poltrone e la cancellazione dell’indennità per i futuri senatori-consiglieri regionali?

Tutto rinviato al dopo 4 dicembre. Fino a quella data l’agenda di Renzi e del Pd è piena. Quella di Grillo e di M5S è vuota. Al momento non è in programma nessuna grande manifestazione di M5S a favore del No referendario, o almeno qualcosa di paragonabile allo Tsunami Tour di Grillo che nel 2013 cambiò il corso delle cose, trascinando il Movimento al risultato di otto milioni di voti alle elezioni politiche (da zero). L’unica iniziativa resta finora il giro in moto coast-to-coast, tra spiagge, stabilimenti, bagnini e ombrelloni del deputato romano Alessandro Di Battista, modello Che Guevara: ma appartiene a una stagione finita, un’altra canzone, «un’estate fa». Nella versione autunnale, il Movimento ha abbandonato le strade e i mercati, ha dovuto affrontare le spine del governo, lo psicodramma di Roma con Virginia Raggi, l’addio di Federico Pizzarotti a Parma, il misto di ammirazione e sospetto che nel Movimento circonda la sindaca di Torino Chiara Appendino. E rifiuta di farsi trascinare troppo nella battaglia referendaria. Anche nei match in tv sul referendum finora gli esponenti del Movimento spiccano per assenza. Al punto che Renzi ha provato a sfidare Grillo al duello nel salotto di Bruno Vespa a "Porta a Porta". Un invito speculare a quello arrivato dal fronte opposto, dal capo leghista Matteo Salvini, che ha provato a coinvolgere i grillini in una giornata del No, con tutti i leader in campo senza distinzione di partito o di schieramento. Nessuna risposta.

Nei prossimi giorni il silenzio finirà. E anche M5S si mobiliterà massicciamente per il No: nessun dubbio. La prospettiva di far perdere Renzi vale l’impegno di qualche comizio e di qualche uscita televisiva. Ma l’assenza di questi mesi racconta qualcosa di significativo sull’identità attuale del Movimento. E sulla sua sotterranea ma visibile conversione alle tattiche e alle strategie di Palazzo, il calcolo delle convenienze di parte, l’odiato politichese.

Nella vittoria del No c’è qualcosa che conviene al M5S e qualcosa che non conviene. Conviene, naturalmente, la sconfitta di Renzi. Le cancellerie europee temono il rovescio del premier e del Sì al referendum non tanto per il blocco del cammino delle riforme, con le attuali istituzioni l’Italia è rimasta nel club delle maggiori potenze per decenni, ma perché la considerano l’anticamera di un possibile governo grillino. Dentro M5S, però, sono molto più prudenti. Di Battista l’ha già detto in pubblico: se i Sì dovessero perdere, dovrebbe nascere un governo di scopo per fare una nuova legge elettorale che potrebbe contare sulla benevolenza del Movimento.

Di Maio, il vice-presidente della Camera, dato fino a pochi mesi fa come il sicuro candidato premier dei grillini alle prossime elezioni, è altrettanto circospetto. Nessuno, per ora, ha chiesto la fine anticipata della legislatura e nuove elezioni. Conviene non identificarsi totalmente con la campagna del No perché in ogni discussione di merito l’elettorato e la base di M5S tendono a dividersi: così è stato sulle unioni civili o sull’immigrazione, così potrebbe essere anche sulla riforma della Costituzione, come dimostrano i sondaggi che danno una parte di elettori grillini tentati dal voto favorevole. Non conviene partecipare alla campagna referendaria mescolandosi agli altri leader del No: Salvini, Renato Brunetta e Massimo D’Alema. Per fedeltà al dogma del Movimento, mai fare alleanze con altri partiti, e perché non si partecipa a un fronte così trasversale e variegato se la vittoria non è poi così sicura. Si sa, meglio vincere da soli che perdere insieme ad altri.

Combattere l’avversario negando la sua dignità. È una china italiana e mondiale. Che uccide la democrazia
Conviene, infine, ma nessun grillino lo confermerà mai, tenere in vita la legge elettorale Italicum, piuttosto che assistere a una modifica che avrebbe l’obiettivo di rendere impossibile una vittoria elettorale di M5S, anzi, di consegnarlo all’irrilevanza parlamentare. A differenza di Renzi, che è condannato a vincere pena la catastrofe politica, il Movimento ha due risultati a disposizione: vincere, ovviamente, ma anche arrivare secondo, egemonizzando però tutto ciò che sta all’opposizione del premier.

Il successo del Sì spingerebbe Renzi a blindare l’attuale sistema: legge elettorale a doppio turno, premio di seggi al partito che arriva primo, un largo numero di eletti per chi arriva secondo, le elezioni che si trasformano in un duello tra due listoni nazionali. In questo momento ne esistono solo due: il partito di Renzi e i Cinque Stelle. Per questo, l’atteggiamento di M5S in questa campagna referendaria sembra ripercorrere quello tenuto da Renzi durante le elezioni amministrative. Il premier si fece vedere in campagna elettorale, a Roma e a Torino, per lo spazio di una serata: per non mettere la faccia su un risultato che prevedeva negativo per lui e per il suo partito, certo, ma soprattutto perché riteneva di giocarsi la partita decisiva sul referendum.

Allo stesso modo i grillini si sono spesi allo stremo in primavera sulle elezioni amministrative e appaiono molto meno appassionati ora che si vota sulla riforma della Costituzione. Il Movimento che dice no è riluttante ad assumersi la leadership del No, ancora vacante. Il Movimento che è nato nelle piazze e sulla Rete sposta le sue battaglie nelle aule parlamentari e attende il 4 dicembre con apparente noncuranza. Il Movimento che disprezzava le alchimie della politica si muove con un occhio al No e uno al Sì, per tenere unito il suo elettorato e preparare lo scontro finale, alle elezioni politiche. In altri tempi, si sarebbe definita posizione agnostica. M5S gioca di attesa. E il fronte del No, privato dell’onda d’urto grillina, teme di scoprirsi più debole.

© Riproduzione riservata 02 novembre 2016

Da - http://espresso.repubblica.it/palazzo/2016/11/01/news/referendum-la-grande-assenza-del-m5s-1.287021?ref=fbpr
6163  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / ADRIANO SOFRI - Mosul, l’altra riva del fiume inserito:: Novembre 05, 2016, 10:56:34 am
Mosul, l’altra riva del fiume

Mondo   
Il racconto di guerra di Adriano Sofri

Ieri gli scontri sono continuati nel sobborgo di Gobjali, più rarefatti, e la «Brigata d’Oro» irachena si è dedicata soprattutto alla ripulitura degli spazi conquistati.

I fiumi sono fatti per distinguere e unire le due metà delle città. Per dare una fisionomia diversa a ciascuna metà –trastevere, l’oltrarno, la rive gauche- e però congiungerle come una cerniera, come il bordo fra due pagine.

Mosul ha la sua riva sinistra e la sua riva destra, fortissimamente caratterizzate e fittamente cucite insieme dai ponti e da un viavai di imbarcazioni. La riva sinistra, che era stata già la splendida Ninive, fu poi la parte povera, una città di ripiego che guardava con soggezione alla Mosul della ricchezza e dei pascià.

Ora si combatte ancora sulla riva sinistra, ma presto la battaglia si sposterà sul fiume, ridiventato una spaccatura fra due città. Di là c’è quel milione e oltre di persone il cui destino è appeso ai fili di una violenza imprevedibile. Più che mai, con la distanza bruciata, ci si chiede che cosa proverebbe quella gente di fronte alla disinvolta lungimiranza con cui altrove ci si intrattiene sul dopo Mosul.

Lunedì il consigliere del segretario generale Onu per la Prevenzione del Genocidio, il senegalese Adama Dieng, ha pubblicato una dichiarazione su Mosul. Il suo allarme ha il merito di cominciare dalla condanna ribadita «dell’assoluto disprezzo per i diritti umani e il diritto internazionale da parte dell’Isis, appena confermato dai sequestri e dalle uccisioni di massa di civili e dal loro uso come scudi umani, dal ricorso a armi chimiche e da rappresaglie indiscriminate».

Il giorno prima l’Isis aveva tentato di deportare da Hammam al-Alil 25 mila persone da ammassare in una base militare già adibita a mattatoio umano. Formulato questo allarme, e raccomandata la documentazione dei crimini per cui un giorno i responsabili dell’Isis dovranno comparire davanti a un Tribunale Internazionale, Dieng ricorda al governo iracheno l’obbligo di perseguire immediatamente qualunque rappresaglia da parte delle sue forze regolari o delle forze loro associate –leggi le milizie sciite. Esprimendo la preoccupazione di violenze settarie sciite contro i sunniti Dieng aiuta a ricordare come l’esistenza stessa di forze armate sul fondamento di un’appartenenza religiosa sia inconcepibile, almeno quando la religione di quelle forze è al potere, come nel caso dell’Iraq –anzi, è doppiamente al potere, a Bagdad e a Teheran.

«Bagdad non ha un amico migliore di Ankara»
Ieri, le milizie sciite hanno dichiarato ulteriori avanzate nella direzione di Tal Afar, che avrebbe messo sotto il loro controllo le principali vie di comunicazione fra l’Isis di Mosul e quella di Raqqa. Ancora ieri la febbre fra turchi e iracheni sembra essersi repentinamente abbassata.

Dopo che il primo ministro Abadi aveva avvertito i turchi che avrebbero «pagato caro» la decisione di far guerra all’Iraq, il governo turco ha rimpiazzato la voce del ministro della difesa con quella del ministro degli esteri, che ha soavemente dichiarato che «Bagdad non ha alcun amico che le sia più amico di Ankara». E una così intima amicizia non sarà guastata dalle mene di «altri paesi» –cenno sobrio all’Iran. Ieri ancora la truppa sunnita arabo-turcmena addestrata dai turchi nel campo del distretto di Bashiqa, rinominata «I Guardiani di Niniveh», ha vantato la liberazione dall’Isis della zona di Abassiyah, fino a «meno di 3 km a sudovest di Mosul». (Non lontano cioè dall’area in cui operano le milizie sciite).

Il momento di Hawijia
A sera di ieri si è avuta notizia di raid aerei americani e alleati su Hawijia e Riaz, che fanno pensare che sia arrivato il momento tante volte rinviato della liberazione di Hawijia, l’irriducibile roccaforte dell’Isis a sud di Kirkuk. Là l’azione sul terreno spetterà ai peshmerga del PUK, che non hanno rivendicazioni su Hawijia ma ne subiscono gli attentati su Kirkuk. A Suleimaniah però si ritiene che l’azione militare inaugurata dai raid aerei non abbia di mira direttamente Hawijia, nemmeno questa volta, ma l’allargamento del suo territorio liberato così che la marcia irachena da sud a nord non debba trovarsi in una strettoia. Anche qui un grosso problema è posto dalla pretesa di Hashd al-Shaabi sciita di intervenire, respinta da curdi e americani. Io non scrivo dal fronte di Mosul, mi muovo altrove, come potete leggere qui oltre.

Leggo e guardo anch’io, col vantaggio della vicinanza, le testimonianze di chi vi si trova: i servizi televisivi di Lucia Goracci, fra quelli che riesco a vedere. Voglio citare un video pubblicato dalla curda (di Erbil) agenzia Rudaw, breve quasi come un batter d’occhi. Più esattamente, breve come il gesto di liberare la testa e il viso da un velo nero. È una giovane donna, dev’essere appena scappata, e fa quel gesto prima ancora di fermare la propria corsa. In tempo per tornare a essere se stessa.

Da - http://www.unita.tv/focus/mosul-laltra-riva-del-fiume/
6164  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / UGO MAGRI Rinvio del referendum: le condizioni del Cav Ma Renzi non ci sta inserito:: Novembre 05, 2016, 10:54:53 am
Rinvio del referendum: le condizioni del Cav
Ma Renzi non ci sta
Ieri mattina contatti tra emissari di Berlusconi e del premier
Il capo di Forza Italia: modifiche a riforma Boschi e Italicum

04/11/2016
UGO MAGRI
ROMA

Con orgoglio e sprezzo del pericolo, Renzi ha respinto quella che dalle sue parti considerano una «proposta indecente»: rimangiarsi la riforma costituzionale appena approvata, in cambio del via libera berlusconiano a un rinvio del referendum fissato tra un mese esatto. Autorevoli fonti garantiscono che la profferta (o provocazione, dipende dai punti di vista) è stata riservatamente sottoposta ieri mattina al premier. 
 
Dopo un lungo conciliabolo a Palazzo Grazioli tra Berlusconi, Gianni Letta e Niccolò Ghedini, braccio destro e braccio sinistro del Cav. Non risultano contatti diretti, tipo telefonata di Silvio a Matteo, e nemmeno mediazioni condotte dal solito Verdini. A fare da ambasciatore si è prestato un personaggio di governo che preferisce restare lontano dai riflettori. Anche perché il primo «round» è andato male, d’accordo, ma ce ne potrebbe essere un secondo, e in questi casi non si sa mai. 

Appello al buon senso
È convinzione berlusconiana che il referendum sia tutto sbagliato, perché spacca l’Italia proprio mentre la politica dovrebbe unirsi per soccorrere gli sfollati. Dei veri statisti (questo il messaggio recapitato a Palazzo Chigi) stopperebbero il referendum, darebbero ai terremotati i 300 milioni risparmiati grazie al rinvio del voto, si metterebbero tutti insieme intorno a un tavolo, rifarebbero da cima a fondo l’«Italicum» cancellando il ballottaggio, e aggiusterebbero la stessa riforma costituzionale che rappresenta il motivo dello scandalo. 
 
Per questo a Renzi è stato chiesto di impegnarsi solennemente, con una dichiarazione pubblica, a emendare la riforma su almeno tre punti precisi: elezione diretta dei futuri senatori, maggiori poteri alle Regioni, quorum più alto per eleggere il capo dello Stato e le alte magistrature. Temi condivisi con grillini e sinistra Pd. A quel punto verrebbe meno un motivo essenziale di scontro e sarebbe logico fermare le lancette dell’orologio, posticipando il voto.
Condizioni capestro
La risposta di Renzi è pervenuta quasi in tempo reale, ancora prima che il Cav ricevesse a pranzo Brunetta, leader indiscusso dei berlusconiani duri e puri. Ha fatto sapere, il premier, che della riforma costituzionale non cambierà un bel nulla, perché toccare una sola virgola sarebbe un’umiliazione troppo grande per chi, come lui, ci ha messo la faccia. Perderla sul Senato sarebbe perfino peggio che una sconfitta alle urne. E poi, ragionano i renziani, «chi l’ha detto che perderemo?». I 6 principali istituti di sondaggi segnalano come, a trenta giorni dal voto, la percentuale di indecisi rimanga altissima, c’è tempo per convincere una parte della minoranza Pd, quella che fa capo a Cuperlo, col quale si stanno discutendo modifiche della legge elettorale. Insomma, per Renzi la partita è ancora aperta, anzi apertissima.
Falchi e colombe
«Che peccato, una grande occasione persa», si lamentano le «colombe» berlusconiane che vedono chiudersi la finestra del buon senso (gli italiani all’estero cominceranno a votare tra una settimana, e a quel punto sarà troppo tardi per il rinvio). I «falchi» invece applaudono la «faccia tosta» di Renzi e notano soddisfatti come il Cav, dopo la rispostaccia del premier, si sia messo a registrare con più lena una raffica di appelli televisivi a sostegno del NO. Ma non è detto che, nel luna park della politica italiana, tutti i giochi siano davvero conclusi. La certezza di votare ce l’avremo solo il giorno che andremo in cabina.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/11/04/italia/politica/rinvio-del-referendum-le-condizioni-del-cav-ma-renzi-non-ci-sta-VSCZBcKuuVO6i7m28kAy2J/pagina.html
6165  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / JACOPO IACOBONI. - Andrea Guerra: “Ora Matteo trovi il coraggio di fare un ... inserito:: Novembre 05, 2016, 10:50:42 am
Andrea Guerra: “Ora Matteo trovi il coraggio di fare un nuovo governo”
L’ex consigliere: “Il referendum può essere l’anno zero. Vincerà il Sì”
Da oggi fino al 6 novembre si svolgerà la settima edizione della Leopolda


04/11/2016
JACOPO IACOBONI
ROMA

«Il referendum e la legge di stabilità possono rappresentare l’anno zero di Matteo Renzi». Andrea Guerra è il manager che portò Luxottica a diventare la prima azienda esportatrice italiana. È stato un anno a Palazzo Chigi, consigliere economico di Matteo Renzi, ma Guerra è un atipico, oggi presidente esecutivo di Eataly, ma anche uno che alla Leopolda di quattro anni fa fece un discorso filosofico sulla «risonanza» che dobbiamo sentire dentro, citando il poeta Rilke, per creare qualcosa. Raramente interviene nel dibattito, ha accettato di farlo con La Stampa. 
 
Perché dice che se vincesse il No sarebbe un danno per l’economia? Qual è il nesso? 
«Intanto, basta vedere una lotta serrata nei sondaggi per osservare parallelamente aumentare il costo del denaro, gli spread, e quindi anche la non attrattività di investimenti italiani per gli stranieri. Il sì alla fine vincerà. Qui servirà la scossa, fino a immaginare una salita di Renzi al Quirinale e la creazione di una squadra nuova, meritocratica, agile e aperta al mondo. Alibi zero: diciotto mesi di lavoro intenso nella progettazione ed esecuzione di una Italia nuova più semplice, più forte e più giusta».
 
Come imprenditore come giudica questi anni di governo? 
«Renzi ha fatto cose ottime per gli imprenditori, adesso toccherebbe a loro raccogliere la sfida. Decontribuzioni, ammortamenti di ogni genere, il Jobs Act… non hanno più alibi. Adesso se l’Italia si ferma e non ci sono investimenti sufficienti, la responsabilità è di una classe imprenditoriale non pronta, che non si apre al mondo, non ama rischiare o investire».
 
Detto da lei fa impressione. Li conosce. 
«Le racconto il caso della mia scelta di unirmi al gruppo di Eataly. Ho scelto una società italiana con vocazione globale, una società imprenditoriale aperta e curiosa, con un marchio già riconosciuto e rispettato in tutti gli angoli del mondo. Una risposta al “non si può”. Ho sempre scelto questo tipo di sfide perché più dell’Italia amo il mondo. M’invitano tantissime imprese italiane a parlare ai loro dirigenti. Ascoltano questa mia idea affascinati, poi il capo mi dice: “Guerra, lei ha detto delle cose bellissime, ma non le faremo mai”».
 
Dov’è che Renzi ha sbagliato, in questi due anni? 
«Lo guardo in prospettiva: serve meno solitudine e più diversità, nelle scelta delle persone che avrà intorno. Renzi vive, non per colpa sua ma per difendersi da Roma, chiuso a Palazzo Chigi. Anche in questo tocca buttare giù i muri: aprirsi a più persone, più mondo esterno anche dentro i palazzi. Deve rottamarci definitivamente, tutti noi, e avere a che fare con la sua generazione, senza subire il fascino degli anziani dei media, dell’impresa, dei presunti salotti buoni della finanza».
 
Come mai per il No votano soprattutto i giovani? Renzi non dovrebbe chiedersi soprattutto questo? 
«Il Pd, come del resto tutti i partiti consolidati, ha perso la capacità di parlare ai ragazzi sotto i 25 anni. È un partito che si è anche allontanato da tutto quel mondo di terzo settore - penso a Emergency del mio maestro Gino, a Slow Food del geniale Carlin Petrini, a Libera - che inizialmente era suo, e adesso magari interloquisce di più con il M5S. Ho l’impressione che in tanti giovani italiani prevalga un atteggiamento di sfiducia, anche aggressiva, a volte. Sono totalmente “anti”. È su questo che dobbiamo scavare. Sicuramente il ventennio berlusconiano, da un punto di vista culturale e di rispetto delle istituzioni, lo pagheremo ancora a lungo».
 
I Cinque stelle questo atteggiamento l’hanno alimentato senza innocenza, non trova? 
«Il M5S, gliene va dato atto, ha capito per primo i canali attraverso cui parlare a questa fetta di giovani, e a questa rabbia: i social e quel tipo di viralità. Ha saputo trovare delle persone: per esempio, perché una Chiara Appendino non è finita nel Pd? Ma andrebbe denunciata con più forza la deriva di bugie e anche di istigazione all’odio con cui la loro macchina web sta facendo propaganda; e in maniera non casuale, costruita a tavolino. Non penso sia irreversibile. Renzi ha ancora un fortissimo appeal su molti. E per la prima volta, accanto all’elettore di sinistra deluso che conosco da anni, compresi tanti miei amici, si sta creando anche quella dell’elettore cinque stelle deluso».
 
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