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Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Referendum, il Financial Times. "Matteo Renzi dovrebbe restare al governo ...
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inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:24:28 pm
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Referendum, il Financial Times. "Matteo Renzi dovrebbe restare al governo anche se vincesse il No" Financial Times Pubblicato: 02/12/2016 10:32 CET Aggiornato: 50 minuti fa Dopo il New York Times anche il Financial Times, con un editoriale pubblicato oggi, invita il premier a restare al suo posto anche in caso di successo del no al voto di domenica. Il premier - rileva l'Ft - "ha calcato troppo la mano" scegliendo "di trasformare il referendum di Domenica sul cambiamento costituzionale in una prova della sua popolarità personale".Per questo, c'è "una forte possibilità che gli elettori respingano le proposte". Uno scenario negativo per molti aspetti, secondo il quotidiano della City. Se da un lato le riforme promosse da Renzi aiuterebbero l'Italia un loro fallimento "innescherebbe un periodo di instabilità politica che l'Italia, e l'Europa, non può permettersi. Per l'Ft però Renzi ha qualcosa da offrire al suo paese e all'Europa" per far fronte a "tutti i suoi errori": restare al suo posto anche in caso di vittoria del No. I rischi evidenziati dal Financial Times sono da un lato l'ascesa del Movimento 5 Stelle e della Lega, da un lato l'esposizione ad ulteriori vulnerabilità per il nostro settore bancario. Il rischio maggiore, tuttavia, potrebbe essere il danno a lungo termine. Renzi è stato un riformatore imperfetto, ma ha provato a tracciare un nuovo corso, mostrando al mondo che l'Italia è pronta a cambiare. Il premier è anche l'ultimo leader europeo a parlare in modo inequivocabile di libero commercio. Se il No vincesse, altri politici potrebbero ritenere questo tipo di politiche sono elettoralmente suicide: e in pochi tenteranno di riproporle. L'Italia sarà lasciata al massimo con governi tecnocratici ma poco ambiziosi. Gli investimenti diminuiranno e il declino a fuoco lento continuerà. È per questo che Renzi dovrebbe rimanere al suo posto, anche se gli elettori diranno no alle riforme a cui ha legato il suo futuro. (..) L'alternativa potrebbe essere il tipo di vuoto politico visto all'indomani del voto del Regno Unito sulla Brexit. Uno scenario che non può essere nell'interesse dell'Italia. Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/02/referendum-financial-time_n_13364752.html?1480671141&utm_hp_ref=italy
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Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / ROSARIA AMATO Censis, l'Italia bloccata non investe più. Giovani più poveri dei
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inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:21:41 pm
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Censis, l'Italia bloccata non investe più. Giovani più poveri dei loro nonni Gli italiani tagliano su tutto ma non sulla comunicazione digitale Il cinquantesimo Rapporto Annuale parla di un Paese che siede su una montagna di risparmi, 114 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva accumulati negli anni della crisi, ma non li spende per paura. E' l'Italia rentier, dove i giovani sono sempre più poveri e intrappolati nel giro infernale dei lavoretti a basso costo e bassa produttività. Si taglia su tutto ma è boom degli acquisti di computer e soprattutto di smartphone Di ROSARIA AMATO 02 dicembre 2016 ROMA - Un'Italia involuta, ripiegata su se stessa, "rentier" la definisce il Censis nel Cinquantesimo Rapporto sulla situazione del Paese. Un Paese che più che vivere di rendita però sopravvive, sfruttando fino all'osso le ricchezze del passato, in particolare il patrimonio immobiliare, finalmente "messo a reddito", ma che non osa più scommettere sul futuro. Dal 2007 a oggi gli italiani hanno accumulato 114 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva, un gigantesco patrimonio che equivale al Pil dell'Ungheria e che rimane rigorosamente liquido, pronto a essere usato in una prospettiva futura di tempi ancora più bui, investito davvero in minima parte e sostanzialmente nelle mani degli anziani. Perché nel nostro Paese, ricorda il Censis, si è dato corso a "un inedito e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse che ha letteralmente messo k.o. i Millennials". La ricchezza ferma. Per cui gli anziani hanno il patrimonio immobiliare e i risparmi di una vita che nei tempi buoni si sono moltiplicati grazie ad investimenti azzeccati, i giovani non hanno pressoché nulla: le famiglie con persone di riferimento che hanno meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% rispetto alla media della popolazione e una ricchezza inferiore del 41,1%. Mentre la ricchezza degli anziani è superiore dell'84,7% rispetto ai livelli del '91. Ma non serve a rimettere in moto il Paese: l'incidenza degli investimenti sul Pil è scesa al 16,6% nel 2015, contro una media europea del 19,5% ma soprattutto il 21,5% della Francia e il 19,9% della Germania e anche il 19,7% della Spagna. La trappola dei "lavoretti". E' l'Italia del post-terziario, del sommerso. Non è più però il sommerso degli anni '70, che nascondeva aree di grande produttività, di sviluppo: questo è un sommerso "post terziario", del danaro messo da parte ma non investito, dei "lavoretti" a bassa produttività che incidono poco o pochissimo sulla crescita del Paese. A fronte di 431.000 lavoratori in più infatti tra il primo trimestre del 2015 e il secondo del 2016 il Pil è aumentato di 3,9 miliardi di euro, lo 0,9% in più. Se la produttività, già bassa, fosse rimasta costante, ragiona il Censis, la nuova occupazione si sarebbe dovuta tradurre in una crescita dell'1,8%. E' la condanna dei Millennials, imprigionati tra "l'area delle professioni non qualificate" e "il mercato dei lavoretti", nel complesso "il limbo del lavoro quasi regolare". La fine del lavoro e del ceto medio. Il problema non è solo dei giovani: in generale diminuiscono le "figure intermedie esecutive" e crescono le professioni non qualificate (più 9,6% tra il 2011 e il 2015) e gli addetti alle vendite e ai servizi personali (più 7,5%). Si riduce anche il numero di operai, artigiani, agricoltori, il lavoro costa meno ma questa riduzione non favorisce la domanda, anche per via della crisi del settore pubblico: la deflazione è figlia anche di questo sistema del massimo ribasso, che ha compresso e impoverito la classe media. Tagliare ancora le spese. La parola d'ordine dunque è spendere il meno possibile, ridurre ancora i consumi, e tenere i soldi a portata di mano: il 51,7% conta di tagliare ulteriormente le spese per la casa e l'alimentazione. In questo rapporto Censis che sembra non offrire neanche un minimo appiglio per guardare al futuro con un po' di fiducia, a differenza delle precedenti edizioni, emergono comunque ancora i dati di un'Italia che continua a produrre e a muoversi, in ordine sparso, senza alcuna coordinazione da parte di una guida politica magari forte, ma sempre più autoreferenziale. Scure anche sulla sanità, su cui pesa anche il ritiro del sistema pubblico: "Gli effetti socialmente regressivi delle manovre di contenimento del governo si traducono in un crescente numero di italiani (11 milioni circa) che nel 2016 hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche". Cosa tira ancora: il turismo e l'export. In primo luogo continuano ad andare benissimo le aziende che si sono ritagliate una fetta di mercato, piccola o grande, con le vendite all'estero. L'Italia resta al decimo posto nella graduatoria mondiale degli esportatori con una quota di mercato del 2,8%. Nel 2015 le aziende esportatrici italiane hanno superato il 5% dell'export mondiale in 28 categorie di attività economiche. Il saldo commerciale del made in Italy è stato di 98,6 miliardi di euro, superiore al fatturato del manifatturiero. La fama che accompagna i nostri prodotti di qualità è quella del "bello e ben fatto". Ed è probabilmente proprio questo a spingere i turisti stranieri di "alta gamma" a venire in Italia: tra il 2008 e il 2015 gli arrivi di visitatori stranieri in Italia sono aumentati del 31,2% e i giorni di permanenza sono aumentati del 18,8%. Gli arrivi negli hotel a 5 stelle sono cresciuti dal 2008 del 50,3% e in quelli a 4 stelle del 38,2%. Il crollo delle categorie inferiori è compensato da un forte aumento delle presenze negli alloggi in affitto, nei bed and breakfast e negli agriturismo. Per cosa si spende: i media digitali. Accanto a queste attività economiche che godono ancora di una forte spinta propulsiva, c'è un unico canale di consumi che sembra convogliare la passione per gli acquisti degli italiani: la comunicazione digitale. Mentre tra il 2007 e il 2015 i consumi in generale si riducevano del 5,7%, gli acquisti di smartphone aumentavano del 191,6% e quelli di computer del 41,4%. "Gli italiani hanno stretto i cordoni della borsa evitando di spendere su tutto - è la spiegazione del Censis - ma non sui media digitali connessi in rete, perché grazie ad essi hanno aumentato il loro potere individuale di disintermediazione". L'utenza del web in Italia nel 2016 è arrivata al 73,7%, mentre il 64,8% usa uno smartphone il 61,3% WhatsApp (la percentuale dei giovani sale all'89,4%). Sim web superano Sim voce. Per la prima volta, nel 2015 il numero di sim abilitate in Italia alla navigazione in Rete (50.2 milioni) ha superato quello delle sim utilizzate esclusivamente per i servizi voce (42,3 milioni). E i volumi di traffico dati sono aumentati nel 2015 del 45% rispetto all'anno precedente, mentre i ricavi degli operatori dei servizi crescevano del 6,2%. © Riproduzione riservata 02 dicembre 2016 Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/12/02/news/censis_l_italia_bloccata_che_non_investe_piu_torna_a_tuffarsi_nel_sommerso-153253818/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_02-12-2016
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Forum Pubblico / AUTORI - Firme scelte da Admin. / Bernardo Tarantino Cosa cambia per la politica estera dell’Italia se vince il Sì
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inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:20:17 pm
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Opinioni Bernardo Tarantino - 28 novembre 2016 Cosa cambia per la politica estera dell’Italia se vince il Sì Dal laboratorio di politica internazionale, MondoDem, un’analisi approfondita sulle ricadute internazionali della riforma costituzionale L’assetto istituzionale di un sistema politico produce effetti di rilievo sulla proiezione internazionale di un Paese. Sotto questo profilo, la politica estera italiana ha da sempre sofferto la precarietà interna dei Governi causata dalla presenza di un sistema parlamentare composto da due Camere legislative con pari poteri di controllo e di indirizzo politico nei confronti dell’Esecutivo. La riforma del titolo V della Costituzione del 2001 ha reso il quadro istituzionale ancora più incerto, attribuendo alle Regioni competenze in materia di promozione dei territori e dei sistemi produttivi all’estero, a scapito delle competenze statali che garantivano l’unitarietà e la riconoscibilità del Made in Italy nei mercati internazionali. La crisi economico-finanziaria, la paralisi del processo d’integrazione europea, le sfide poste dalla globalizzazione e dal massiccio movimento internazionale degli individui, richiedono un approccio integrato, unitario e credibile da parte delle istituzioni italiane. La riforma costituzionale, che sarà sottoposta a referendum il prossimo 4 dicembre, è sicuramente un passo importante, se non decisivo, verso la definizione di un sistema politico che permetterà all’Italia di avere una proiezione all’estero all’altezza delle sue risorse umane, forza economica e posizione geopolitica. *** > Rinnovare le istituzioni per affrontare da protagonisti le sfide globali Le modifiche volte a porre fine al bicameralismo paritario e rendere più efficiente l’iter legislativo consentiranno all’Italia e alle istituzioni repubblicane di godere di una maggiore stabilità e una rinnovata capacità propositiva sia in Europa che nei fori multilaterali. Un Governo più stabile e un Parlamento con funzioni rinnovate permetteranno al nostro Paese di contribuire in modo incisivo al rilancio del progetto comune europeo e di valorizzare il suo ruolo di “ponte” tra Europa, Medio Oriente e Continente Africano. La riforma costituzionale include, inoltre, una rivisitazione organica della ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni che produrrà non pochi effetti sulla proiezione internazionale del nostro Paese. A riprova dell’intento di garantire una maggiore stabilità in politica estera, il testo della riforma costituzionale prevede che la competenza concorrente in materia di rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni venga meno tout court. Resta tuttavia intatta la possibilità delle Regioni di concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato. Nella stessa ottica, la riforma costituzionale produrrà un ridimensionamento della partecipazione delle Regioni alla formazione delle norme europee. Da un punto di vista quantitativo, l’eliminazione delle competenze concorrenti e il ri-accentramento di alcune di esse avranno come effetto quello di escludere le Regioni dalla formazione delle norme dell’Unione europea nei suddetti ambiti, garantendo maggiore unitarietà alla partecipazione italiana al processo normativo europeo sia nella fase ascendente che nella fase discendente. Sul piano qualitativo, invece, il nuovo art. 117 introduce la c.d. “clausola di supremazia” che consentirà alla legge dello Stato di intervenire in materie di competenza regionale a tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica. Il ridimensionamento della capacità delle Regioni di influire sulla formazione della normativa europea sarà controbilanciato dalle nuove funzioni del Senato delle autonomie territoriali. In particolare, il nuovo Senato svolgerà funzioni di raccordo tra lo Stato, le autonomie territoriali e l’Unione europea; parteciperà alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea (controllo preventivo sulla sussidiarietà e sulla proporzionalità); verificherà l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Funzioni queste che, se valorizzate dai provvedimenti attuativi della riforma, permetteranno di rappresentare adeguatamente le diverse istanze territoriali, garantendo, al tempo stesso, un processo d’integrazione più efficace e inclusivo. In seno alla nuova ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, assumono particolare rilievo la ri-attribuzione allo Stato della competenza esclusiva in materia di commercio con l’estero e di parte delle competenze generali in materia di turismo. Questa scelta favorirà l’emergere di una politica unitaria di promozione del Sistema Paese capace di accompagnare e sostenere il sistema produttivo italiano nelle sfide poste dai mercati globali e dalle economie emergenti. Sebbene poco discusso, questo punto della riforma sembra essere carico di conseguenze per il sistema produttivo italiano e per il necessario rilancio della crescita economica. Sembra opportuno pertanto approfondire le novità introdotte dalla riforma costituzionale in materia di commercio con l’estero, internazionalizzazione delle imprese, attrattività degli investimenti diretti esteri e promozione turistica. > Una politica unitaria per l’internazionalizzazione e l’attrattività L’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano rappresenta una delle principali sfide che la nostra economia deve affrontare nel quadro di un contesto economico globalizzato in cui stanno emergendo nuovi mercati orientati a modelli di consumo coerenti con la specializzazione produttiva del nostro Paese. Basta citare qualche dato per capire quanto l’internazionalizzazione sia importante per la nostra economia. L’export rappresenta circa il 30% del PIL italiano; su circa 5000 prodotti commerciati nel mondo l’Italia ha la leadership mondiale; l’interesse degli investitori stranieri per le aziende italiane è in continua crescita, come testimoniato dal balzo al 12° posto della prestigiosa classifica del Foreign Direct Investment Index del 2015. In contesto caratterizzato dalla crescente interazione con le economie emergenti, si rende necessario un rimodellamento dell’intervento pubblico volto a garantire una promozione unitaria del Sistema Paese all’estero e orientato al massimo sostegno a favore delle realtà imprenditoriali desiderose di sfruttare le opportunità offerte dai mercati internazionali. In quest’ottica, l’art. 117 modificato dalla riforma costituzionale riporta, al comma q, il commercio internazionale nell’alveo delle competenze esclusive dello Stato centrale, dando in tal modo una maggiore coerenza a tutte quelle politiche volte a rafforzare la proiezione dell’Italia all’estero. Se al referendum del 4 dicembre vincerà il “Sì”, lo Stato avrà competenza esclusiva nella definizione e attuazione di una politica promozionale unitaria del sistema economico italiano all’estero, evitando le frammentazioni e gli sprechi causati dalle iniziative di promozione portate avanti dalle singole Regioni negli ultimi 15 anni. Gli imprenditori italiani che operano all’estero, infatti, hanno sempre lamentato il carattere dispersivo delle misure a sostegno all’internazionalizzazione adottate dalle Regioni. Misure di finanziamento e accompagnamento, vaucher, agevolazioni fiscali, missioni promozionali all’estero, campagne di comunicazione, apertura di rappresentanze regionali all’estero, e via dicendo, hanno dato vita a 20 sistemi di promozione regionali differenti, creando confusione sia nei beneficiari diretti di queste iniziative sia nei potenziali partner internazionali abituati a rapportarsi con realtà ben più grandi e conosciute delle Regioni italiane. I vantaggi di una centralizzazione della competenza del commercio con l’estero saranno molteplici • Sarà possibile implementare misure chiare, leggibili e univoche a sostegno e a garanzia dell’internazionalizzazione delle imprese italiane; • Lo Stato potrà organizzare missioni di sistema in quei paesi emergenti in cui sarà valorizzato l’intero Sistema Paese e non solo limitate realtà regionali; • Sarà più facile attrarre investimenti esteri, garantendo una rappresentazione unitaria del Paese sui mercati; • Saranno eliminate le sovrapposizioni e gli sprechi prodotti dalla frammentazione della politica promozionale in 20 diverse politiche promozionali regionali. L’accentramento della competenza del commercio con l’estero va di pari passo con il rinnovato impegno del Governo a garantire il massimo sostegno al mondo imprenditoriale italiano nel difficile percorso dell’internazionalizzazione. Dopo anni di riduzione della spesa statale a favore della promozione del Sistema Paese, il Governo ha deciso di ritornare a investire nelle politiche di internazionalizzazione adottando un Piano straordinario per il Made in Italy di 273 milioni di euro. Il piano si inserisce nel progetto di ridefinizione di tutta la governance della promozione del Sistema Paese. Una ridefinizione volta ad eliminare gli sprechi e le inefficienze attraverso un accentramento dell’attuazione delle politiche di promozione dell’Italia all’estero in pochi organismi statali. La costituzione di una Cabina di regia per l’Italia internazionale, composta dai Ministeri e dagli enti coinvolti nella politica di promozione permetterà di coordinare in modo più efficace tutte le politiche volte a semplificare e sostenere l’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano. L’Istituto per il Commercio estero (ICE), che ha assorbito le attività di attrazione di investimenti esteri di Invitalia, è posto al centro dell’attuazione concreta di tutte le misure previste dal Piano Straordinario per il Made in Italy, assicurando una gestione centralizzata e organica delle iniziative volte all’internazionalizzazione e all’attrazione di Investimenti diretti esteri. Il decreto di riforma delle Camere di Commercio approvato dal Consiglio dei Ministri il 25 agosto prevede una razionalizzazione ed un efficientamento di questi enti. Oltre a ridurre il numero delle Camere di Commercio da 105 a 60, il decreto prevede una maggiore vigilanza del Ministero dello Sviluppo economico sulle attività delle Camere, le quali non potranno più fare autonomamente promozione all’estero, evitando in tal modo duplicazioni di responsabilità con altri enti pubblici. La fusione tra SACE e SIMEST in seno a Cassa depositi e prestiti è un passo importante verso la creazione di un’offerta chiara alle imprese per quanto riguarda tutti i prodotti assicurativo-finanziari volti a facilitare l’internazionalizzazione: “dall’assicurazione dei crediti, alla protezione degli investimenti esteri, dalle garanzie finanziarie per accedere ai finanziamenti bancari ai servizi di factoring, dalle cauzioni per vincere gare d’appalto alla protezione dai rischi della costruzione, dalla partecipazione al capitale delle imprese ai finanziamenti a tasso agevolato e all’export credit”.1‑ Come evidente, la riforma costituzionale e, in particolare la modifica dell’art. 117 (lett. q) che prevede la ri-attribuzione della competenze commercio con l’estero allo Stato, sembra essere il punto culminante di un percorso di completo rinnovamento della governance della politica di promozione del Sistema Paese all’estero, nell’ottica di razionalizzare le misure a sostegno dell’internazionalizzazione e rafforzare la capacità diplomatica del nostro Paese ad attrarre investimenti diretti esteri. > Una riforma volta a rilanciare il turismo nel Belpaese Il turismo rappresenta uno degli asset più importanti dell’economia italiana, costituendo circa il 10% del PIL. Ogni anno circa 50 milioni di visitatori stranieri si recano in Italia creando un indotto di più di 35 miliardi di euro. Sono cifre sicuramente ragguardevoli che però non valorizzano a sufficienza il ricchissimo patrimonio artisticoculturale del Paese con più siti Unesco al mondo. Ciò ove si ponga mente sopratutto ai risultati dei nostri competitor (Francia e Spagna) che ci superano, e non di poco, in termini di visite e di indotto. Questa tendenza rappresenta un pericolo per l’industria del turismo, soprattutto se si tiene conto della flessibilità della domanda turistica internazionale, dell’allargamento dell’offerta da parte di nuove realtà turistiche differenti da quella italiana, nonché della necessaria digitalizzazione degli strumenti di promozione e vendita. Una delle principali cause del mancato rinnovamento del settore turistico italiano è l’assenza di una strategia unitaria. Molti osservatori fanno risalire le cause di questo mancato coordinamento al modello di governance regionale delle politiche a sostegno del turismo. Infatti, a seguito della riforma costituzionale del 2001 il turismo ricade nelle competenze esclusive delle Regioni, dando luogo a una frammentazione delle politiche e delle misure volte a sostenere l’attrattività turistica dei territori. Ogni Regione ha i suoi piani di promozione turistica, le proprie iniziative di marketing, il proprio piano trasporti. Delegazioni regionali si recano autonomamente all’estero per promuovere il territorio confrontandosi con partner molto più grandi di loro e che fanno riferimento ad un unico “Brand Italia” quando pensano alle nostre ricchezze artistiche e paesaggistiche, non conoscendo, invece, le variegate realtà regionali. Occorre, pertanto, delineare una strategia unitaria per rilanciare il turismo. Una strategia che permetta di procedere ad un rinnovamento delle infrastrutture preposte all’accoglienza dei turisti, di digitalizzare gli strumenti di distribuzione e di vendita, di formare gli agenti turistici che devono accogliere nuove tipologie di visitatori provenienti dai mercati emergenti. Ma soprattutto occorre attrarre maggiori investimenti sia nazionali che internazionali (nel 2014 gli investimenti sono stati pari a 12,2 miliardi di dollari in Italia, mentre in Francia 41,2 miliardi). Il ruolo delle Regioni resta nondimeno importante per la valorizzazione dei variegati territori italiani. Non bisogna dimenticare che il turismo regionale è un catalizzatore per il turismo di altre regioni d’Italia. Si pensi all’esperienza di Expo Milano 2015 quando i turisti cinesi, americani, giapponesi si recavano a Milano sull’onda dell’eco dell’Esposizione Universale per prolungare, in seguito, il loro soggiorno in altre zone d’Italia. Ciò a dimostrazione che l’attrattività di determinate Regioni più conosciute all’estero può creare un circolo virtuoso a favore di quelle regioni dalle potenzialità turistiche inesplorate, come nel caso del Mezzogiorno. La riforma costituzionale che sarà sottoposta a referendum il 4 dicembre prossimo, coglie la sfida posta dal necessario rilancio di un settore fondamentale per l’economia italiana. Nel nuovo assetto costituzionale le disposizioni generali e comuni sul turismo sono attribuite alla competenza esclusiva statale (comma s dell’art. 117), mentre spetta alle regioni la competenza in materia di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo. Se al referendum del 4 dicembre vincerà il “Sì” , lo Stato riacquisirà la competenza di adottare una strategia unitaria per il turismo definendone le disposizioni generali e comuni. Le Regioni manterranno la possibilità di definire la normativa di dettaglio volta valorizzare e organizzare il turismo regionale. A riprova della rinnovata centralità del turismo, il Governo italiano ha messo a punto un nuovo Piano strategico per il turismo per il periodo 2017-2022 che ha quattro obiettivi principali: innovare l’offerta turistica nazionale, accrescere la competitività, sviluppare il marketing e realizzare una governance delle politiche di settore. Il piano è attualmente all’esame del Parlamento. La riforma costituzionale e la ri-attribuzione di parte delle competenze in materia di turismo allo Stato permetteranno di valorizzare le ricadute positive di questo settore. E’ un passo in avanti importante per disegnare una strategia nazionale che possa rendere il nostro Paese competitivo con le altri grandi realtà turistiche globali. *** Il referendum del 4 dicembre sarà un momento importante per la vita del nostro Paese. Un momento in cui il popolo italiano avrà la possibilità di avviare una nuova fase politica con l’obiettivo di dotare l’Italia di un sistema istituzionale più efficiente, più stabile e che le consenta di “fare politica estera” all’altezza delle sue potenzialità. La fine del bicameralismo paritario, una maggiore stabilità dei Governi e una chiara ripartizione delle competenze statali e regionali rappresentano obiettivi da sempre condivisi e che permetteranno all’Italia di essere in prima in linea nei fori europei e globali. A riprova di ciò, la riforma costituzionale si ascrive in una logica di razionalizzazione dell’attribuzione delle competenze necessarie alla promozione unitaria, organica, efficiente del Sistema Paese all’estero. Accentrare la gestione delle politiche a sostegno di questi settori produttivi è di primaria importanza per innescare una processo virtuoso volto ridurre la frammentazione delle politiche di promozione del sistema Paese. Si tratta di offrire una cornice istituzionale chiara per valorizzare le politiche volte a internazionalizzare le attività produttive, attirare investimenti esteri, promuovere i flussi turistici stranieri e, in ultima analisi, creare sviluppo e occupazione. Solo così l’Italia potrà competere con i partner internazionali, dando il giusto valore alle sue risorse, alle sue capacità e al suo ruolo internazionale. * Questo articolo è apparso su MondoDem con il seguente titolo originale: “Una voce più forte nel mondo. La proiezione dell’Italia all’estero dopo la riforma costituzionale “ Da - http://www.unita.tv/opinioni/referendum-4-dicembre-effetti-internazionale/
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Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Adriana Comaschi - Pisapia: “Non si può fare nulla di sinistra senza il Pd”
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inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:17:50 pm
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Focus Adriana Comaschi · 30 novembre 2016 Pisapia: “Non si può fare nulla di sinistra senza il Pd” Cuperlo: “Dopo il referendum urgente un congresso tematico” Cosa succederà il 5 dicembre, nel day after del referendum, al centrosinistra italiano? Sinistra Dem ne ha discusso ieri a Milano con Gianni Cuperlo, l’ex sindaco Giuliano Pisapia, il senatore Pd Sergio Lo Giudice di ReteDem. Un interrogativo affrontato a partire dal primo paletto, posto con decisione da Pisapia: «Non sono del Pd, ma credo che abbiamo moltissimo in comune e che oggi in Italia non si possa fare nulla di sinistra senza il Pd, chiaramente con i cambiamenti che sono necessari». A cui Cuperlo fornisce il proprio contraltare: «Il vertice del Pd deve avere l’umiltà di capire che da soli oggi non ce la facciamo». Questo insegnano del resto le ultime amministrative, «a Milano vinci, perdi invece dove non abbiamo fatto un allargamento, verso una sinistra che può anche essere critica nei nostri confronti» ma che rimane un orizzonte ineludibile. Parte insomma non a caso sotto la Madonnina, emblema di una sinistra di governo capace di vincere nelle urne, la “caccia “alle basi di una rinnovata unità del centrosinistra, una volta superata una campagna che ha gettato lo scompiglio dentro e fuori il Pd. E se Papa Francesco ha da poco messo fine alla frattura con i luterani, le divisioni sulla riforma all’interno della sinistra possono ricomporsi allo stesso modo, «e certo non possiamo aspettare cinquecento anni» ammonisce Barbara Pollastrini, promotrice dell’incontro. Da dove ripartire, allora? Nessun “modello Milano” da esportare secondo Pisapia, «si tratta di fare buona politica e questa è già diffusa nei territori. Ma bisogna ragionare in un’ottica che non è elettorale: mi piacerebbe che tutti gli amministratori di centro-sinistra, o sinistra-centro, facessero partire dal basso un movimento che può accompagnarci verso un percorso unitario. Così da non rendere più indispensabile allearsi col Ncd per governare». Movimento dal basso che poi potrà anche rendersi riconoscibile alle urne delle prossime politiche: non lo esclude Pisapia, quando lo sollecitano su una possibile lista con lui e Zedda, a sinistra e a sostegno del Pd. «La sinistra non può permettersi il lusso di dividersi – riassume Cuperlo – quando lo ha fatto non si è svegliata più forte». Oggi poi deve affrontare la sfida inedita di una destra che vince, da Trump al fronte pro Brexit, «ben diversa da quella degli anni 90» e pronta a rappresentare bisogni sociali drammatici e inediti, quelli di una classe media e lavoratrice colpita dagli effetti del lato oscuro della globalizzazione. Il centrosinistra deve insomma ritrovare una sintonia con una società che non vi si riconosce più: un nodo reso ancora più stringente per il Pd ora che è al governo. E allora, avverte Lo Giudice, «dobbiamo essere quelli che guardano al futuro, riconosciamo a Renzi di avere messo al centro una radicale innovazione: ma cambiando rotta», per dare voce a nuovi disagi. Stando attenti a non inseguire i grillini sul terreno degli anti casta, ma sapendo che «oggi tanti giovani aderiscono a M5s sulla base di idee di sinistra come partecipazione, trasparenza, ambiente. Sul legalità e lotta alla corruzione, eppure proprio questa è la strada che può portarci fuori dalla crisi». Tutte sfide che Cuperlo vorrebbe far echeggiare anche al prossimo congresso Pd, anche prima della fine del 2017: «Dopo il referendum diventa urgente un congresso tematico, straordinario, per discutere di cosa è oggi un partito e sulle sue forme di partecipazione. Che non possono limitarsi a primarie indette ogni sei mesi». Da - http://www.unita.tv/focus/pisapia-non-si-puo-fare-nulla-di-sinistra-senza-il-pd/
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Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Roberto NAPOLETANO Il Professore, la “profezia” di Barbara Bush e la nuova...
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inserito:: Novembre 30, 2016, 09:00:02 pm
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Il Professore, la “profezia” di Barbara Bush e la nuova Bretton Woods –di Roberto Napoletano 27 novembre 2016 In questi giorni di sbornia americana post-trumpiana mi viene in mente una battuta di Romano Prodi di qualche tempo fa a Bologna, a tavola, dopo una mattinata passata a discutere di manifattura made in Italy, di filiere e territori, i primati della meccanica strumentale e di precisione, packaging di qualità e abiti sartoriali dell’industria italiana globalizzata. Ricordo la faccia del Professore, prima ancora delle parole, quando qualcuno dei commensali gli chiede insistentemente se la Clinton riuscirà ad arginare la pressione populista e l’insofferenza dell’anima profonda americana coagulatesi intorno a Trump. Ricordo quel sorriso divertito, fintamente bonario, che balena tra gli occhiali e il naso, e la “sua” sentenza di forte apprezzamento ma dura come un sasso: «Hillary è persona di altissimo livello intellettuale e di grande carattere, ma, nel linguaggio emiliano, l’abbiamo definita anni fa una donna di classe e una chioccia fredda che non ha il calore sufficiente per trasformare le uova in pulcini. Concludevamo, quindi, che poteva essere una grande presidente, ma avrebbe avuto difficoltà altrettanto grandi nella campagna elettorale». E così il Professore a modo suo, senza pronunciarsi, anticipava in “linguaggio emiliano”, come dice lui, e in tempi non sospetti, l’esito delle elezioni americane: entrava dentro quell’anima profonda in subbuglio tra storie personali mai rinnegate di clan politici e familiari, dove tutto e il contrario di tutto è possibile proprio per la straordinaria unicità del sogno americano diventato realtà pur tra mille contraddizioni di ieri e battute d’arresto di oggi. Il solco aperto tra politica e società dal carico crescente delle diseguaglianze, il conto fatto pagare al mondo da una finanza malata e il primato globale dei mercati e delle sue regole, la cultura della severità per chi le viola e una genuina “religione” della concorrenza, il senso profondo di una scuola dove stanno insieme il gioco di squadra e la sana, gioiosa competizione sportiva, quella fatta di valori e di merito. Prodi ha voglia di scavare nei ricordi, e butta lì: «Per capire che cosa è davvero la società americana e come si muove la politica, anche se molte cose stanno cambiando, ho sempre davanti agli occhi un viaggio in macchina a fine ’98 con Bush padre e la moglie Barbara e, soprattutto, la scena di lei che siede dietro con Flavia e dice a voce alta: “io ho due figli appassionati di politica e non so ancora quale dei due diventerà presidente degli Stati Uniti”. Quando scendiamo dalla macchina, Flavia mi dà un colpetto e domanda: “Romano, ho capito bene? Non vorrei che non avessi afferrato l’inglese perché corre troppo con le parole”. No, Flavia, hai capito proprio bene. Ha detto esattamente così, non sa ancora quale dei due farà il presidente degli Stati Uniti». Il bello, poi, è che la profezia in macchina si è pure avverata. Misteri della democrazia americana. Chiedo al Professore di Trump, e mi risponde con un’altra battuta, questa volta fulminante: «Ascoltando le sue parole, salvo le americanate, è un perfetto leader populista europeo». Sottinteso: è un figlio della rivoluzione francese dei nostri giorni, globale e diffusa, dove facciamo i conti quotidianamente con lo scontro tra i “sans-culottes” e le élite che cambiano di Paese in Paese, una protesta viscerale contro tutto ciò che è diverso, tutto ciò che è percepito a torto o a ragione come élite. È amico di Putin, Trump, che cosa vuol dire? Anche qui Prodi ha la risposta pronta: «Mi disse Gorbaciov, all’inizio della sua ascesa, che quest’uomo, Vladimir Putin, nonostante il suo curriculum, era l’unico in grado di tenere la Russia unita e legata all’Europa, poi le cose sono andate diversamente per gli errori di entrambe le parti. Resta il fatto che questa divisione è un danno certo per loro e per noi». Poi, però, alza lo sguardo al cielo il Professore, e diventa terribilmente serio: «Stiamo morendo tutti di iniqua distribuzione del reddito, i giovani dei Sud del mondo non hanno lavoro e vivono abbandonati senza speranza come cani randagi, il flusso della paura non si interrompe, ti accorgi che soprattutto in Europa non hai strumenti per distribuire il reddito, non capisci perché la politica non batta un colpo». Appunto, la politica, quella che non si nutre di sondaggi, ma sa ascoltare la coscienza e la pancia degli elettori, per rispondere ai bisogni e guidare il cambiamento, non per assecondare la deriva. Quella politica che avrebbe dovuto scrivere da tempo una nuova Bretton Woods perché le ragioni del governo del mondo e dell’economia tornino a incontrarsi in nome della cooperazione e, in casa, avrebbe dovuto riscrivere da tempo le regole di ingaggio del patto europeo. Questa politica non si è vista, latitano le leadership, ma guai a perdere la speranza che torni a battere un colpo. Vorrebbe dire che la deriva non è più arginabile. © Riproduzione riservata Da - http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-11-27/il-professore-profezia-barbara-bush-e-nuova-bretton-woods-110310.shtml?uuid=AD2lsi2B
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Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Enrico MARRO - Cinque passaggi per cancellare ogni traccia di te su internet
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inserito:: Novembre 30, 2016, 08:57:28 pm
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Identità digitali Cinque passaggi per cancellare ogni traccia di te su internet Di Enrico Marro 30 novembre 2016 A fronte dei miliardi di esseri umani che vogliono essere presenti su internet, e dei milioni che vorrebbero “correggere” la loro immagine digitale, non è raro trovare qualcuno che dal world wide web vuole semplicemente scomparire. Per varie ragioni, più o meno nobili. Non è un caso che si stiano affermando piattaforme digitali, studi legali e agenzie di comunicazione che sono specializzate proprio in questo: la cancellazione di ogni traccia del cliente in Rete. Senza più profili social, immagini, video, pubblicazioni, citazioni, caselle e-mail. Nulla. Qualche mese fa furono i Radiohead a provare l’ebbrezza di scomparire dal web. Proprio alla vigilia del lancio dell’atteso nono album della band britannica, all’improvviso l’account ufficiale Twitter diventò muto, seguito a ruota da quello Facebook (con i suoi 12 milioni di “like” caduti nel nulla), e dal sito radiohead.com, diventato a sua volta una pagina vuota. Per la prima volta nella storia del web, una grande rock band aveva provato a “suicidarsi” su internet. Ma è davvero possibile scomparire dal web? «In teoria sì - spiega uno studio legale specializzato di Londra - ma non è qualcosa che si riesce a fare in fretta, soprattutto nel caso dei personaggi pubblici». Possono essere necessari mesi di duro lavoro e tenaci negoziazioni per cancellare migliaia di immagini, facendo leva ora sul copyright, ora sulla privacy, ora sul diritto all’oblio. «In alcuni casi abbiamo lavorato anche un anno per cancellare singoli clienti dal web». È facile sparire dal web per chi non è stato un personaggio pubblico? Diciamo che è meno difficile, ma comunque arduo, in particolare se si desidera una cancellazione il più possibile completa. I passaggi principali sono cinque. Vediamoli uno alla volta. Facebook sospende la condivisione di dati con WhatsApp. Ecco che cosa cambia per gli utenti 1. Cancellarsi dai social network. Il primo passo è abbastanza semplice: basta seguire le istruzioni dei diversi social per cancellarsi (Facebook, Twitter, Linkedin, G+ e così via). Attenzione alla differenza che c’è - per esempio su Facebook - tra “disattivare” ed “eliminare” un account, poiché nel primo caso il diario scompare ma solo perché “congelato”, ed è riattivabile in ogni momento. Quando viene eliminato l’account, l’azzeramento di tutti i contenuti pubblicati - come foto, aggiornamenti di stato o altri dati memorizzati sui sistemi di backup - richiede fino a 90 giorni di tempo. Nell’eliminazione dell’account G+, attenzione a non cancellare l’eventuale casella Gmail (la posta elettronica è infatti l’ultima da eliminare nel processo di addio al web). 2. Cancellarsi da tutto il resto. Dopo i social, bisogna procedere all’eliminazione del proprio profilo da tutti gli altri “contenitori” dov’è finito: forum, Paypal, Amazon, eBay, Skype, YouTube, eventuali siti di dating, gambling, e-commerce e così via. Può non essere così semplice, perché i dati personali sono un asset che vale denaro per le società che operano su internet. 3. Individuare foto, video e citazioni. Qui il lavoro diventa più difficile. Bisogna infatti fare una ricerca approfondita su tutti i motori di ricerca conosciuti (non solo Google) di ogni informazione su di voi, provando diverse stringhe: non solo nome e cognome, ma anche luoghi di nascita e di residenza, aziende in cui avete lavorato e così via. Bisogna poi prendere nota di tutto in vista del quarto, difficilissimo passo. Caccia ai pirati digitali che hanno attaccato Twitter, eBay e Netflix. L'ombra di Wikileaks 4. Chiedere l’eliminazione dei dati. Ora viene il difficile: bisogna contattare ogni singola società, webmaster, ente o blogger chiedendo la rimozione di tutti i dati su di voi. Molti di loro ignoreranno la vostra richiesta, rendendo necessaria l’adozione di vie legali, particolarmente complesse perché spesso ricadono sotto giurisdizioni di altri Paesi. In casi estremi, si può chiedere di intervenire direttamente sui server. Poi bisogna farsi cancellare dalle banche dati che raccolgono informazioni personali per rivenderle a scopo di marketing, in questo caso magari con l’aiuto - a pagamento - di società specializzate (per esempio DeleteMe). Per i più pignoli, c’è anche la complicata richiesta di cancellazione da Wayback Machine, il colossale archivio di internet, che raccoglie trilioni di pagine web. 5. Il tocco finale è l’addio alla mail. Se siete arrivati fino a questo punto, siete stati molto bravi e soprattutto tenaci. Manca solo un passo per scomparire dal mondo digitale: la cancellazione della casella e-mail. Praticamente una passeggiata, rispetto al lavoro fatto. Il premio finale è il perfetto anonimato in Rete, e la cancellazione della propria identità digitale (almeno quella vecchia). A questo punto potete fare due cose: o costruirvi un’identità internet nuova di zecca, oppure spegnere il computer. E andare a fare una lunga passeggiata fuori. © Riproduzione riservata Da - http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2016-11-29/cinque-passaggi-cancellare-ogni-traccia-te-internet-183516.shtml?uuid=ADV7vC4B
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Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Morya Longo. Dietro le quinte dello spread: ecco chi specula contro l’Italia
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inserito:: Novembre 30, 2016, 08:54:26 pm
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Dietro le quinte dello spread: ecco chi specula contro l’Italia Di Morya Longo 30 novembre 2016 Un misto di speculazione internazionale e di indifferenza italiana. Di hedge fund ribassisti e di investitori nazionali ormai meno nazionalisti. C’è un po’ di tutto dietro la turbolenza dello spread. Il Sole 24 Ore, incrociando testimonianze e dati, è in grado di rivelare i retroscena dell’attacco all’Italia. Il referendum è solo il pretesto: nella realtà lo spread si è allargato fino a quota 190 (e ieri bruscamente ristretto) per una concomitanza di motivi. La Bce, con i suoi acquisti di BTp, è riuscita solo a mitigare la speculazione. Ma - per la prima volta da quando Draghi ha avviato il quantitative easing - non ad annullarla. Ecco, numeri e testimonianze alla mano, perché. Italia 30 novembre 2016 Acquisti sui bond, il BTp torna sotto il 2% Hedge fund ribassisti A pesare sui BTp è innanzitutto la speculazione internazionale, ad opera principalmente degli hedge fund. I gestori di questi fondi hanno infatti individuato nel debito pubblico italiano (e nelle banche) la gallina dalle uova d’oro con cui fare un po’ di utili in vista del referendum: basta puntare sul ribasso dei prezzi e sul rialzo dei rendimenti sfruttando l’incertezza generale. E così, soprattutto attraverso i futures, il tiro a segno sui BTp è diventato di moda almeno da ottobre. Secondo Alok Modi, capo della sala di trading di bond governativi di Morgan Stanley, su una scala da uno a 10 gli hedge fund sono ribassisti sui BTp ad un livello di nove. O meglio: questa era la loro posizione fino a settimana scorsa. Ieri è verosimile - come ipotizza Mattia Nocera che segue i fondi di fondi del gruppo Banca del Ceresio - che siano scattate un po’ di ricoperture: per questo il mercato è rimbalzato così velocemente. Ma il trend resta quello ribassista: come si vede nel grafico a fianco, è da ottobre che gli hedge fund montano posizioni «corte» (cioè ribassiste) sui BTp. Alla speculazione opportunistica del momento, poi, si è associato un tono prudente degli altri investitori internazionali. Anche quelli non speculativi: banche, assicurazioni, fondi di lungo termine. Nell’incertezza pre-referendaria (incertezza, non attesa di catastrofi), in tanti hanno ridotto o limato l’esposizione sull’Italia. «In fondo il mondo è grande, non abbiano alcun motivo per esporci sui titoli di Stato italiani in un momento così delicato...» confessa il responsabile mercati di una grande banca internazionale. Morale: dall’estero tanti speculano contro i BTp e tanti altri si tengono alla finestra. Il saldo finale è quindi negativo per i nostri titoli di Stato. La giornata dei mercati 29 novembre 2016 Milano (+2,1%) si riscatta con le banche. Rimbalza Mps, cala la tensione sullo spread Manca il sostegno domestico Nelle passate crisi dello spread, a partire da quella del 2011, a fronte di una forte speculazione internazionale aveva fatto da contrappeso una altrettanto forte risposta da parte del sistema finanziario italiano. Tutti, cioè banche, assicurazioni e risparmiatori, avevano comprato BTp a quei tempi. Dal novembre 2011 (quando scoppiò la crisi dello spread) all’ottobre 2012 le banche italiane hanno per esempio acquistato titoli di Stato italiani per un ammontare di circa 140 miliardi di euro. E un comportamento analogo l’avevano avuto le assicurazioni. Ora, invece, le banche italiane non sono più così interventiste. Anzi: gli ultimi dati di Bankitalia (aggiornati solo a settembre) dimostrano che stanno lievemente vendendo: se a giugno 2016 avevano in bilancio titoli di Stato italiani per 414 miliardi, a settembre la posizione era stata ridimensionata a 394 miliardi. Secondo le testimonianze che arrivano dal mercato, anche le assicurazioni italiane sono oggi meno disposte a sostenere i BTp. Per molteplici motivi. E un discorso analogo si può fare per i piccoli risparmiatori, ormai - a causa di tassi d’interesse bassi - disaffezionati ai titoli di Stato. Le loro scelte si stanno dirottando più sui fondi, che investono sempre più su mercati esteri. Bene inteso: gli investitori italiani restano “stabilizzatori” fondamentali per i BTp. Ma sono meno interventisti di un tempo. E questo pesa. A confermarlo è Target 2, cioè il grande “registratore di cassa” che monitora i movimenti di capitali tra un Paese e l’altro dell’area euro. L’Italia ha infatti su Target 2 un passivo record di 354 miliardi di euro. Il motivo principale è tecnico, perché legato alle modalità di esecuzione del «quantitative easing». Ma secondo molti esperti, dietro il tecnicismo c’è anche una reale uscita di capitali dall’Italia ad opera principalmente di investitori italiani: «I soldi stampati da Draghi con il Qe sono stati usati dagli italiani per comprare soprattutto titoli all’estero», spiega Fabio Balboni, economista di Hsbc, osservando Target 2. Morale: la speculazione internazionale è arrivata in un momento in cui gli investitori italiani - per vari motivi - non sostengono più i titoli di Stato della Penisola come facevano un tempo. Il possibile rimbalzo Gli acquisti della Bce hanno ovviamente mitigato la speculazione. Infatti lo spread è ben lontano dai livelli del 2011 e del 2012. Eppure, per la prima volta da quando esiste il quantitative easing, Draghi non è riuscito ad annullarla del tutto. Questo deve far riflettere. E, forse, anche far bene sperare: perché la speculazione ribassista non può durare in eterno, soprattutto - come accaduto ieri - se la Bce fa sentire la voce più forte. Molti addetti ai lavori non sarebbero infatti sorpresi se dopo il referendum, anche in caso di vittoria del «no», dopo un’iniziale turbolenza il mercato dei BTp rimbalzasse: perché, seguendo il motto «buy on rumor sell on news», molti hedge fund potrebbero chiudere o ridimensionare le loro posizioni ribassiste. Ieri già c’è stato un assaggio di rimbalzo. Certo, il «day after» dipenderà molto dall’aumento del Montepaschi e da cosa farà la Bce l’8 dicembre. Ma Brexit e Trump una cosa l’hanno insegnata: la speculazione è mutevole. © Riproduzione riservata Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-11-29/dietro-quinte-spread-ecco-chi-specula-contro-l-italia-223955.shtml?uuid=ADK4363B
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Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FEDERICO RAMPINI. Attacco campus Ohio, polizia: "Non escludiamo pista terrorismo
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inserito:: Novembre 30, 2016, 08:53:18 pm
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Attacco campus Ohio, polizia: "Non escludiamo pista terrorismo" L'assalitore ha colpito con modalità che ricordano assalti avvenuti in Paesi europei: vittime investite con l'auto, altre accoltellate. I network tv ora intitolano i notiziari sulla pista jihadista, una sorta di "benvenuto" al presidente-eletto Donald Trump, che del pericolo fece un cavallo di battaglia in campagna elettorale Dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI 28 novembre 2016 NEW YORK - "Gli dava la caccia con la sua auto, investendo pedoni sui marciapiedi, poi li aggrediva con un coltello da macellaio". È la descrizione dei primi testimoni, come la riferisce alla Cnn il presidente dell'Ohio State University, Michael Drake, sull'attacco che ha sconvolto stamattina quel campus universitario: il bilancio è di dieci feriti, tra cui uno in gravi condizioni. L'assalitore è morto, ucciso dalle forze dell'ordine, e "il campus ora è sicuro", secondo le autorità locali. "Se non avete un'arma da fuoco usate un coltello, o un'automobile". Quelle "istruzioni" dell'Isis ai jihadisti su come colpire l'Occidente, vengono rievocate ora dalla polizia dell'Ohio. "Le indagini non escludono la pista terrorista", dice la portavoce della polizia. L'aggressore viene descritto dalla stessa polizia come un giovane di origini somale: secondo fonti anonime raccolte da Nbc avrebbe avuto regolare permesso di soggiorno, ma a suo tempo accolto come rifugiato. Ha colpito con modalità che ricordano alcuni attacchi avvenuti in Paesi europei: alcune vittime le ha investite con la sua auto, altre accoltellate. La città di Columbus ospita una vasta comunità di rifugiati dalla Somalia. Tra i primi testimoni, studenti che hanno visto da vicino la scena dell'attacco, nessuno però ha sentito l'aggressore rivendicare o spiegare il suo gesto. Uno di questi studenti, Jacob Bower, ha detto alla Cnn: "Era silenzioso, ma aveva uno sguardo da folle. Il poliziotto che lo ha abbattuto ha dovuto sparare tre volte per fermarlo". Tutti i network tv ora intitolano i notiziari sulla pista terrorista e di colpo l'attacco può apparire come una sorta di "benvenuto" al presidente-eletto Donald Trump, che del pericolo del terrorismo islamista fece un cavallo di battaglia in campagna elettorale. Dall'inizio delle primarie fino al voto, l'America subì due attacchi terroristici a San Bernardino (California) e Orlando (Florida), e fu anche sconvolta dall'eco delle stragi di Parigi e Bruxelles. Trump attaccò Barack Obama e Hillary Clinton per la loro reticenza a usare il termine di "terrorismo islamico". © Riproduzione riservata 28 novembre 2016 Da - http://www.repubblica.it/esteri/2016/11/28/news/ohio_rampini-153040500/?ref=HREA-1
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Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / DOMENICO QUIRICO - Carolina Invernizio, dissepolta e viva
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inserito:: Novembre 30, 2016, 08:52:13 pm
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Carolina Invernizio, dissepolta e viva Autrice di 130 romanzi, bollata da Gramsci come “onesta gallina della letteratura popolare”, a cent’anni dalla morte rivela una sorprendente modernità nel metterci in guardia dalle insidie della bontà e dell’ottimismo Carolina Invernizio (Voghera 1851 - Cuneo 1916) Pubblicato il 28/11/2016 - Ultima modifica il 28/11/2016 alle ore 01:30 Domenico Quirico È ormai matura l’ora di rileggere (anche) Carolina Invernizio? Me ne danno spunto alcune foto della alluvionale romanziera dell’Italietta fin de siècle, della autrice preferita da servette e casalinghe tra Crispi e monarchia borghese; e pazienza se Gramsci la fulminava come «onesta gallina della letteratura popolare». Come poteva sapere, l’incauto, cosa sarebbe seguito, di ben più letterariamente disonesto, nelle rastrelliere di supermercati autogrill e aeroporti? Me le mostrano, le foto un po’ virate dal tempo, nell’anniversario dei cent’anni dalla morte, le gentilissime signore della biblioteca del Castello di Govone, residenza sabauda che l’analfabetismo culturale delle amministrazioni locali ha rassegnato a sconcio villaggio di Babbo Natale, tra casupole finta Lapponia e oggetti di un consumismo accattone. Nei saloni dove Carlo Felice meditava su fragili Restaurazioni e Carlo Alberto su ancor più contorti Risorgimenti, torme di marmocchi dilagano come innocenti coribanti di un sabba natalizio del Kitsch. È l’umiliante trasposizione di una moda imbecille che vuole l’opera d’arte, le pietre del Passato piegate alla necessità di giustificare la sopravvivenza con il rendere palanche, al prostituirsi per fare denaro… Chissà che trama avrebbe inventato in questo sfondo infernale e di cattivo gusto che le era congenialissimo la «Madamin» che proprio nel nobile paesello del marito cavalier Quinterno mitigava la canicola all’ombra di alberi oraziani, tessendo con furore da catena di montaggio, dumasiano, una letteratura-monstre fitta di sepolte vive, incesti e malmaritate! Le foto la mostrano in grande uniforme di signora borghese, insieme a lobbie maschili e femminei cappelli a larghe falde, davanti alla scalinata d’onore del Castello. Tra Voghera e Govone Govone delle vacanze, la nativa Voghera, Cuneo dove riceveva in un delocalizzato ma dicono apprezzato salotto letterario… Che strane, intriganti periferie per una odissea letteraria! Prendo nella biblioteca che custodisce le sue prime edizioni un testo verrebbe da dire «classico»: La sepolta viva. Comincio a leggerne le prose con una sorta di devozionale raccapriccio. Non oso dire che scrive male, tenendo conto dei lustri passati e anche della media nazionale contemporanea, ma tuttavia… Il suo marchio di fabbrica è facilmente riconoscibile, lo stesso da cui nasce la discontinua potenza del linguaggio popolare: l’iperbole. In questa arcaica figura retorica la fantasia plebea del suo pubblico celebrava una sua libertà estetica. Tutto qui? È dunque la Invernizio animale tra i più bizzarri e riluttanti ai recuperi e alle resurrezioni, parola perfetta vista una delle sue trame-ossessione, della nostra letteratura recente? Chissà: i giochi non son fatti. Forse nella sua storia questo è un momento delicato e difficile. E se nei suoi 130 romanzi, 130!, ci fosse qualcosa che accanto al respingerci cominciasse ad affascinarci? Ci troviamo forse ad assister, un po’ renitenti, alla commovente metamorfosi di uno scrittore in moderno o addirittura in contemporaneo, a un subitaneo scatto nella macchina del tempo? Suvvia! Basterebbe, visti i tempi, la spintarella di una serie televisiva, o un intrigante e nobilitante accostamento biografico, che so: sapete che Tarantino la leggeva estasiato schiacciando i brufoli dell’adolescenza? Se non è vero, viste le comuni perverse sticomitie, gli eventi esemplarmente rovinosi, le scoperte di fatali e vergognosi segreti, è verosimile. E il gioco sarebbe fatto! Trame zeppe di cadaveri Mi viene l’idea che ci siano altri modi di leggerla che la attenzione alla trama, spesso così fitta di cadaveri che una apposita parente-contabile provvedeva a tenere il conto dei trapassati evitando resurrezioni non volute dalla distratta e impietosa inventrice. Sublime! Ad esempio: Perché nessuno ha pensato alla qualità epifanica dei titoli della Invernizio, che equivale alla valenza poetica del catalogo delle navi di Omero e delle genealogie bibliche? lo diceva lei stessa: un bel titolo equivale alla metà del successo di un romanzo popolare. È la fede innaturale, innaturale quanto è innaturale l’intera letteratura, nel valore esorcistico, magico, cerimoniale delle parole. Proviamo dunque a recitare il catalogo infinito: La bastarda, La maledetta, Anime di fango, I misteri delle soffitte, L’impiccato delle cascine, Odio di donna, Il bacio di una morta, Satanella, Amori maledetti, La figlia del mendicante, Il treno della morte, La peccatrice, La vendetta di una pazza… e giù giù fino a Odio di araba, che negli anni del giolittiano «Tripoli bel suol d’amore» vaticinava già erotici addentellati del problema islamico. Attenzione! Non vi suona a indizio la coesistenza della «madre e moglie esemplare» con la menade che si ritira nello studio e comincia a disegnare debosce e ingorghi di scuri irriferibili orrori, impuberi viziose e vendicativi carnefici? Pedigree letterariamente assai moderno, altro che Belle Epoque! Ma sento le proteste di chi ancora rilutta, di chi ha ancora l’orecchio aduggiato dai dialoghi insieme languidi e presuntuosi, armature fittizie di orrori e travisamenti, sardanapalesche eroticità, un linguaggio che più repulsivo non potrebbe essere, tanto da far pensare, perché no?, a una operazione volontaria. Inventrice di inferni Eppure quando la trama prende fiato e comincia smaniare in riconoscimenti incesti materne ferocie, ecco: la macchina da romanzo, professata con accanita devozione, è esperta a destare disonesti e immaginosi terrori, è una fantastica inventrice di inferni, al centro dei quali ha collocato la solitaria femmina brutalizzata. C’è chi vi ha visto una fiancheggiatrice delle contemporanee suffragette, lei che teneva anche progressistici sermoni alle operaie della nascente questione sociale… mah! Forse è troppo. Delibando immondezze, indugiando retoricamente su ogni sorta di liquame sessuale e non, con una lingua monodica torbida e sordida, più semplicemente la scrittrice di Voghera leva una efficiente difesa contro ogni insidia dell’ottimismo e della bontà. E questo, purtroppo, è davvero moderno. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/11/28/cultura/carolina-invernizio-dissepolta-e-viva-OG8YpPWbHMuKNJu6LprOUM/pagina.html
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Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Giuseppe Salvaggiulo. Gustavo Zagrebelsky: “Costituzione indifesa come a Weimar
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inserito:: Novembre 30, 2016, 08:50:50 pm
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Gustavo Zagrebelsky: “Costituzione indifesa come a Weimar. Fermiamo gli apprendisti stregoni” «Parlamento illegittimo, non poteva cambiare la Carta. Ma i garanti tacciono Mourinho direbbe: riforma zero tituli. Col proporzionale torna la politica» Gustavo Zagrebelsky Presidente emerito della Corte Costituzionale, è presidente onorario dell’associazione Libertà e Giustizia Pubblicato il 29/11/2016 Giuseppe Salvaggiulo Torino Il professorone che non t’aspetti. Nel pieno di una campagna incarognita, Gustavo Zagrebelsky sfoggia autoironia. Ride della «sublime imitazione di Crozza» e fa ammenda degli eccessi accademici in tv. Ma cala anche un argomento pesante contro la riforma: la violazione del primo pilastro della Costituzione, la sovranità popolare. Tra Platone e Mourinho, Weimar e De Gregori. Che cos’è in gioco, la Costituzione più bella del mondo? «Questa è un’espressione sciocca che non ho mai usato. Le Costituzioni non si giudicano dall’estetica, ma dai valori che esprimono e dal contesto che li può far vivere». Cosa intende per contesto? «Tra il ‘46 e il ‘48 c’erano i postumi d’una guerra civile, ma la Costituzione fu lo strumento della concordia nazionale. Oggi, al contrario, la riforma divide. Siamo in balia di apprendisti stregoni che ignorano quanto la materia sia incandescente. A chi vuol metterci mano, può prendere la mano. Non si sa dove si va a finire. Questa riforma, con annesso referendum, rischia il disastro. Chiunque vinca, perderemo tutti». La riforma non tocca i principi, la prima parte della Carta. «Davvero si tratta solo di efficienza dell’esecutivo e non anche di partecipazione di coloro che a quei principi sono interessati? A proposito: a me pare che sia stato violato proprio l’articolo 1». In che modo? «La riforma è stata approvata da un Parlamento eletto con una legge incostituzionale. Fatto senza precedenti». Però la sentenza della Consulta sul Porcellum dice che il Parlamento resta in carica. «La prima parte della sentenza dice che la legge è incostituzionale perché ha rotto il rapporto di rappresentanza democratica tra elettori ed eletti. La seconda che, per il principio di continuità dello Stato, il Parlamento non decade automaticamente. Bisognava superare il più presto possibile la contraddizione. Invece il famigerato Porcellum, che tutti aborrono a parole, non è affatto estinto: vive e combatte insieme a noi perché il Parlamento che abbiamo è ancora quello lì. La riforma costituzionale è stata approvata con i voti determinanti degli eletti col premio di maggioranza dichiarato incostituzionale. Ma i garanti della Costituzione fanno finta di niente e tacciono». Chi sono i garanti? «Dal presidente della Repubblica ai singoli cittadini. La Repubblica di Weimar, nella Germania degli Anni 30, implose anche per l’assenza di un “partito della Costituzione” che la difendesse oltre gli interessi contingenti dei partiti. Oggi accade lo stesso». Perché è violato l’articolo 1? «L’articolo 1 dice che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Ebbene, questo Parlamento non è stato eletto secondo le forme ammesse dalla Costituzione. C’è stata un’usurpazione della sovranità popolare. La riforma è viziata ex defectu tituli». Professore, così diamo nuovo materiale a Crozza. «Allora citiamo Mourinho: è una riforma “zero tituli”». Ora, però, decide il popolo. «Pensare che il referendum sia una lavatrice democratica che toglie ogni macchia è puro populismo. Anche perché è stato trasformato in un Sì o No a Renzi, e la povera Costituzione è diventata pretesto per una consacrazione personale plebiscitaria. Qualcuno s’è fatto prendere la mano». Che cosa imputa a Renzi? «Nulla. Però non c’è saggezza nel legare la sorte d’un governo al cambio di Costituzione. Non appartiene alla cultura liberale e democratica. La Costituzione non deve dipendere dal governo né viceversa. Sono su piani diversi, il governo sotto». Qual è la concezione che Renzi ha del governo, del potere democratico? Perché lo contesta? «In un dialogo del suo periodo tardo, “Il Politico”, Platone distingue il governante “pastore di uomini”, che conduce il popolo come un gregge, dal governante tessitore. Un sistema in cui il popolo, come si dice con enfasi, la notte stessa delle elezioni va a letto sapendo chi è il Capo nelle cui mani s’è messo, appartiene alla prima concezione. La democrazia è cosa molto più complicata». Però questa riforma nasce dallo stallo politico del 2013, dalla rielezione di Napolitano. Renzi è venuto dopo. «Il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale. Nel suo discorso d’insediamento al momento della rielezione, davanti a tanti parlamentari commossi e grati a chi li definiva incapaci, inconcludenti, nominati, corrotti e pure ipocriti (da riascoltare quelle parole!), riprese in mano il tema della riforma, trattandolo come un terreno di unità. Ma la storia ha dimostrato che non lo era affatto». Ha ripensato al confronto in televisione con Renzi? «Non mi sono mai sentito tanto a disagio. Sono cascato, per leggerezza, dal mio mondo in un altro. Non è stato un vero confronto. La comunicazione contro il tentativo di argomentare, surclassato dal diluvio verbale. Si è parlato, non dialogato. L’indomani mi ha telefonato un amico assennato, dicendomi “sei stato te stesso”. Cos’altro avrei dovuto essere?». Lo rifarebbe? «Mah! Cercherei comunque di non essere professorale: peccato gravissimo! D’altra parte, è difficile prevedere i colpi bassi e gli argomenti a effetto lanciati nell’etere senza alcuna verosimiglianza, anzi con molto cinismo. Come quello sui malati di cancro avvantaggiati dal Sì, che ricorda analoghe promesse berlusconiane». Preparerebbe carte a sorpresa? «Certo che no. I foglietti sottobanco sono stati la cosa peggiore, una meschinità che non mi sarei aspettata da un uomo delle istituzioni. Un’abitudine da talk show della peggior specie, dove ciò che conta non è chiarire, ma colpire». C’è rimasto male per l’imitazione di Crozza? «Tutt’altro! Quando l’ho vista la seconda volta, ho riso più della prima. Gli occhiali, la stilografica, i libri, il fazzoletto, il dittongo, il munus: davvero eccellente. Gli ho telefonato per farci altre quattro risate». Che succede se vince il Sì? «Non si apre la strada a una dittatura, ma alla riduzione della democrazia e all’accentramento del potere in poche mani. Non possiamo tuttavia sapere, oggi, quali saranno le poche mani di domani». E se vince il No? «Si potrà ricominciare a “fare politica”. La responsabilità sarà dei partiti e dei movimenti. Altrimenti, si correrà il rischio dell’affacciarsi dei cosiddetti governi tecnici o istituzionali. E il salto nel vuoto evocato da Renzi? E i timori dei mercati? «Agitare queste paure può essere controproducente: il sistema finanziario che adombra sciagure non è visto come benefattore dei popoli. Il referendum è lo strumento per scuotersi dal giogo della finanza. Decidano i cittadini e, come canta De Gregori, viva l’Italia che non ha paura». Bisognerà riscrivere la legge elettorale. «Molte ragioni militano per il ritorno al sistema proporzionale, quello che meno dispiace a tutti e mi pare più conforme all’attuale sistema multipartitico. Da lì si potrà, se si saprà, ricominciare a parlare di riforme anche costituzionali». Che cosa farà il 5 dicembre? «Questa campagna è stata estenuante. Non vedo l’ora che finisca. Mi sveglierò tranquillo perché il sole sorgerà ancora, comunque vada». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/11/29/italia/politica/gustavo-zagrebelsky-costituzione-indifesa-come-a-weimar-fermiamo-gli-apprendisti-stregoni-QmYOxUHupZCaNFAlbY5rYI/pagina.html
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Forum Pubblico / AUTORI - Firme scelte da Admin. / Chicco Testa Quando crescono? Ma l’ossessione di Travaglio e del M5S è ...
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inserito:: Novembre 30, 2016, 08:48:24 pm
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Opinioni Chicco Testa - @chiccotesta · 30 novembre 2016 Quando crescono? Ma l’ossessione di Travaglio e del M5S è un’altra Fare i conti con trasparenza e coerenza sembra essere per i pentastellati un’impresa difficileMarco Travaglio nel suo quotidiano editoriale partiva ieri con una domanda che faceva ben sperare: «Ma i 5 Stelle quando vogliono diventare grandi? Vogliono crescere davvero oppure invecchiare senza diventare adulti?». Una domanda che ci facciamo in tanti perché, come nota Travaglio, i 5 Stelle sono diventati per dimensione e peso una cosa seria e potrebbero trovarsi al governo del Paese. Anzi già vi si trovano, visto che amministrano città come Roma e Torino. Purtroppo però lo svolgimento è deludente. Mi sarei aspettato che Travaglio chiedesse ai 5 Stelle di chiarire alcuni punti fondamentali per la loro ipotetica agenda. Per esempio con chi pensano di allearsi, che cosa vogliono veramente fare dell’euro e dell’Europa e come, quale è la loro soluzione per le banche italiane in difficoltà, se intendono proporre un’altra riforma costituzionale, quali sono le prime misure di politica economica che prenderebbero, quale è la loro soluzione ai problemi dell’immigrazione. . . Insomma una lunga lista di argomenti su cui i 5 Stelle non dicono nulla o dicono tutto e il contrario di tutto. Invece l’unico problema sembra essere per Travaglio quello degli esponenti grillini che, a proposito delle firme false della Sicilia, hanno scelto di non rispondere ai magistrati. Atteggiamento che Travaglio stigmatizza, perché non coerente con la ricerca della verità. E possiamo anche essere d’accordo, aggiungendo che fare i conti con trasparenza e coerenza sembra essere per i pentastellati un’impresa difficile. Ma ho i miei dubbi che sia questo il punto che li farebbe entrare nella maggiore età. Piuttosto sembra un’ossessione adolescenziale. Dei 5 Stelle e di Travaglio Da - http://www.unita.tv/opinioni/ossessione-travaglio-m5s-adulti/
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Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Carlo Bertini. Rimpasto di governo con l’orizzonte al 2018.
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inserito:: Novembre 30, 2016, 08:45:56 pm
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Rimpasto di governo con l’orizzonte al 2018. La strategia se vince il Sì Renzi chiederà subito un voto alle Camere per il veto UePubblicato il 30/11/2016 Ultima modifica il 30/11/2016 alle ore 12:32 Carlo Bertini Roma Se è vero come si sente dire nelle stanze del potere, che «il Sì è in ripresa, anche se sempre sotto», non sorprende l’interrogativo che circola nei Palazzi con più frequenza di qualche giorno fa: cosa farebbe Renzi in caso di vittoria? Consultando i suoi collaboratori emergono una serie di passaggi ben cadenzati, su tre fronti: governo, partito ed Europa. Sul fronte interno, rilancio e rimpasto, con un orizzonte al 2018, più lungo di quanto credano i più. Tanto per cominciare, se dovesse vincere, Renzi andrà al consiglio europeo del 15 dicembre con il vento in poppa: prima di partire ha già deciso che chiederà al Parlamento di poter mettere il veto al bilancio europeo se non si risolve la questione immigrazione. Ma la partita con Bruxelles è un tassello di una lunga campagna elettorale che nelle intenzioni del premier dovrà culminare a fine 2017 con il taglio dell’Irpef, cui il premier tiene più di ogni altra cosa. Una campagna che non si fermerà dunque a marzo dell’anno prossimo: anche perché gli interlocutori che hanno più dimestichezza con gli umori del Colle, ripetono in coro che se pure Renzi volesse capitalizzare il successo referendario per andare al voto nella primavera 2017, troverebbe forti resistenze al Quirinale. Che non vedrebbe ragioni per mandare il paese a votare, se il governo passasse indenne la prova sulle riforme costituzionali. Battere tutti i record «Matteo ci tiene molto al record di durata, il suo governo è quarto e lui vuole andare avanti a tutti i costi nella classifica», spiega poi chi lo conosce bene. E dunque pensa di più ad un rilancio del suo esecutivo attuale, al classico nuovo inizio. Un governo rinnovato per affrontare l’ultimo anno di legislatura e soprattutto le elezioni 2018. Una volontà, quella del rimpasto, fatta circolare dal premier in questi giorni, allo scopo di smuovere tutti alla pugna, sia gli aspiranti ministri, sia i titolari, per aumentare l’impegno in campagna elettorale. Se si domanda quali siano i nomi emergenti con speranze ministeriali, spuntano sia evergreen come Anna Finocchiaro, sia giovani leve come Anna Ascani; e vengono ipotizzate promozioni per big come Tommaso Nannicini. Ma se la maggioranza sarà la stessa con Verdini dentro, è da escludere che il capo di Ala possa far entrare qualcuno dei suoi al governo. Inoltre, fanno notare i più avveduti, per evitare un Renzi bis che faccia ripartire da zero il pallottoliere, il premier non può lanciarsi in un rimpasto corposo ma deve limitare i cambi di poltrona. Ossatura di un nuovo Pd Renzi potrebbe poi voler mettere mano al partito. E a sentire i suoi, l’esperienza della campagna per il Sì consegna l’ossatura di «un partito più contemporaneo». Tradotto, tutte le energie messe in campo in questi mesi non saranno buttate via, tanto più che a Renzi e ai suoi colonnelli sono sembrate più efficaci le reti esterne al Pd nel mobilitare categorie e professioni, che quelle interne. In ogni caso, che vinca il Sì o il No, sarà convocato il congresso subito: e il timing potrebbe essere quello dei congressi regionali da tenere a febbraio, per fare quello nazionale ad aprile-maggio. Con Renzi in quel caso candidato forte appoggiato da una vasta maggioranza. In caso contrario, è tutto da vedere. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/11/30/italia/speciali/referendum-2016/rimpasto-di-governo-con-lorizzonte-al-la-strategia-se-vince-il-s-FowPV5JHxSFQ76QzMBX1uJ/pagina.html
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Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / LUCIA ANNUNZIATA - La rivoluzione rimasta incompiuta
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inserito:: Novembre 28, 2016, 08:50:21 pm
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La rivoluzione rimasta incompiuta Pubblicato il 28/11/2016 Lucia Annunziata Hasta la Victoria, Fidel. Peccato che non sia mai davvero stata raggiunta. E’ un po’ amaro da dire per chi ci ha creduto, ma è certamente il più realistico omaggio che si possa fare a Castro. La Cuba di oggi ci racconta che la più irresistibile e trasversale narrazione della rivoluzione del secolo appena passato, è stata un bel mito, un fatto culturale di estremo impatto - ma se per rivoluzione intendiamo la creazione di un mondo di uguali, come ci veniva detto, a Cuba non è mai arrivata. Fa impressione sentire oggi i toni di celebrazione quasi sentimentali che i governi di tutto il mondo, incluso il Papa latinoamericano Bergoglio, dedicano a Castro. Fa impressione perché in questi decenni il fallimento dell’Isola caraibica era evidente: la povertà annidata nei bassi di L’Avana, il patetico sforzo di rammendo per far durare i pochi beni materiali rimasti, sogni di libertà finiti in galera, prostituzione dilagante, fughe per il mare di migliaia di persone sulle precarie balzas, nella speranza di essere raccolti dalle vedette costiere Usa prima del cattivo tempo. Nel frattempo Fidel faceva innamorare il mondo con il sogno della salvezza mondiale per la prima generazione globale dell’Occidente, il ’68, spendendo risorse per medici in Africa, e spedizioni rivoluzionarie nel Terzo mondo. Una grande macchina narrativa del neoromanticismo delle colpe dell’Occidente, servita però soprattutto - vista col poi - a rinnovare anche il ruolo di una Unione Sovietica macchiata durante la Guerra Fredda dalle stragi, dai gulag, dalla fame. All’epoca si faceva distinzione netta fra la concezione castrista e quella stalinista del potere. Ma in realtà le due erano necessaria all’altra, e non solo in termini ideali. La bella narrazione di Castro era possibile grazie ai soldi, al petrolio, e agli aiuti militari di Mosca, senza i quali l’isola non sarebbe durata. E infatti la sua epoca eroica finisce, come in tutti i Paesi sovietici, nel 1990, insieme al Muro. In questo senso, ai fini della storia, si può dire che Castro sia morto in quell’anno, perché da allora comincia la costruzione della Cuba di oggi. Il pendolo del potere si sposta all’Avana, dal 1990, a favore dei militari e dei servizi, guidati da Raul Castro, fratello di Fidel. Raúl, ministro della Difesa, invia ufficiali di alto rango in giro per il mondo per negoziare nuovi aiuti economici (telefonia, operazioni in aree free- tax, forniture di petrolio, in cui il Venezuela di Chavez avrà un ruolo fondamentale) e per formarsi essi stessi come manager. Raccoglie dentro il dipartimento delle industrie militari un numero maggiore di business, dal consorzio commerciale, a hotel, ristoranti, proprietà immobiliari, e naturalmente zucchero e i sigari. Il genero di Raúl, il generale Luis Alberto Rodriguez, è a capo di queste attività; il figlio di Raúl, Alejandro Castro Espin, viene preparato per un ruolo politico futuro. Nasce un nuovo regime, di natura oligarchia, fondato sull’intreccio fra appartenenza politica e denaro, controllato dai militari e da un pugno di famiglie di cui i Castro sono la principale. Nessuna novità: tutto questo è già successo in Russia, in Cina, nei Paesi del blocco socialista, prima del Muro, ma anche dopo il Muro. E’ questa oligarchia che apre al dialogo con Obama e con la Chiesa, frutto migliore della necessità della Rivoluzione di sopravvivere. Eccetto che la Rivoluzione a Cuba non è mai esistita. Il mistero, tra i tanti, che Fidel porta con sé nella tomba, è se il Líder Máximo nei suoi ultimi anni abbia capito questo stato di cose. Il suo destino personale infatti è quello di essere in qualche modo sopravvissuto a se stesso, di aver vissuto troppo a lungo per non avere qualche dubbio sulla sua Gloria. Direttore Huffington Post, Italia Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2016/11/28/cultura/opinioni/editoriali/la-rivoluzione-rimasta-incompiuta-Osh3eiDZaQ0ugejGnF4XAO/pagina.html
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Forum Pubblico / PARTITO DEMOCRATICO: PRIMA DI TUTTO FATE UN PROGETTO DI GOVERNO A CUI ALTRI POTRANNO ADERIRE. / Paolo Legrenzi Cinquanta sfumature di né vero né falso
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inserito:: Novembre 28, 2016, 08:47:42 pm
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Cinquanta sfumature di né vero né falso –di Paolo Legrenzi 26 novembre 2016 L’Oxford Dictionary si arricchisce ogni anno di una nuova parola. Nel 2016 ha scelto «post-truth», un termine che descrive il nuovo mondo del «dopo-verità». Il termine non allude alle panzane dei politici. Da sempre, in occasione di uno scontro acceso, volano molte frottole. Stefano Pivato ha ricostruito nel saggio Quando i comunisti mangiavano i bambini la storia di quella che probabilmente è l’invenzione più riuscita della propaganda anti-comunista nelle elezioni del 1948. Nel manifesto un bimbo indifeso si rivolge al padre: Papà salvami! La post-verità è altra cosa. Abbiamo a che fare con la creazione di un fatto preciso che si presume accaduto e documentabile. Ma è post-vero, nel senso che è solo verosimile. A nessuno importa controllare se è falso. In questo senso il post-vero è inattaccabile perché è anche post-falso. Un caso recente mostra come funzionano le cose. La storia inizia a Austin, in Texas, quando Eric Tucker, alle 8 di sera del 9 novembre, mette su Twitter la foto di un autobus e commenta: «Le proteste anti-Trump non sono così spontanee come sembra. Ecco l’arrivo dei partecipanti». In quel momento solo 40 persone seguono i messaggi di Tucker. Sapendo della protesta nella sua città, e trovata una foto su Google, Tucker suppone (in buona fede, dice lui) che l’autobus sia quello usato dai dimostranti (in realtà si tratta di partecipanti a una conferenza). Il giorno dopo, alle 12.49, l’immagine compare sul sito di Trump. In poco tempo la notizia rimbalza 16mila volte su Twitter e 350mila volte su Facebook. La compagnia degli autobus smentisce. Eric Tucker, interpellato dai giornalisti, spiega: «Ero rimasto colpito dall’immagine degli autobus e sapevo delle proteste». Ammette però: «Non ho visto le persone con i miei occhi». Trump commenta: “Molto scorretto. I professionisti della protesta incitati dai media”. A quel punto Tucker toglie la notizia dal suo sito. Troppo tardi. La valanga procede. A mezzanotte Tucker rimette sul sito la foto con la scritta: FALSO. Riceve solo 29 risposte. Nessuno gli bada più. Dopo una settimana i suoi seguaci sono diventati 980 e Tucker, ingenuo, confessa: «Cercherò in futuro di fare affermazioni meglio documentate «. Tucker non conosce le regole con cui funziona l’attenzione, selezionata dall’evoluzione naturale per essere risucchiata da aspettative e schemi già predisposti. In questa storia si manifesta tutta la nuova potenza della rete, ma ci sono anche tracce d’antico. Gaetano Kanizsa, il fondatore dell’istituto di psicologia di Trieste, nel 1952 presenta a 23 studenti di una scuola di assistenti sociali un test che consiste nel tracciare uno scarabocchio senza mai staccare la matita dal foglio. Si dice che la forma dello scarabocchio permette una diagnosi di personalità. In realtà Kanizsa presenta la stessa descrizione di personalità a tutti i partecipanti. È uguale, ma è fatta bene, in modo apparentemente circostanziato: la maggioranza dei partecipanti vi si ritrova. Paolo Zordan, nel 2000, ripete l’esperimento con 28 studenti del quinto anno di una facoltà di psicologia. Tutti gli studenti, tranne uno, credono che la diagnosi sia aderente, non inventata. Credono perché desiderano credere. E desiderano credere perché vogliono diventare psicologi clinici. Questo meccanismo di auto-inganno, per lo più inconsapevole, oggi riesce a nutrirsi delle miriadi d’informazioni presenti in rete. Una persona sceglie quelle che le danno ragione e può capitarle di innescare gruppi di seguaci. La quintessenza dell’incapacità di pensiero critico, la totale mancanza di buona logica. Chiamato in causa, il co-fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, risponde: «Non siamo arbitri della verità!» (come fare con 1.8 miliardi di utilizzatori?). © Riproduzione riservata Da - http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-11-25/cinquanta-sfumature-ne-vero-ne-falso--182703.shtml?uuid=ADPxzd0B&cmpid=nl_domenica
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Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MAURIZIO MOLINARI Cercando la nuova ricetta per le sfide del Mediterraneo
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inserito:: Novembre 28, 2016, 08:45:15 pm
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Cercando la nuova ricetta per le sfide del Mediterraneo Pubblicato il 28/11/2016 Maurizio Molinari Il convergere su Roma di alti rappresentanti di 55 Paesi per affrontare le sfide del Mediterraneo suggerisce la possibilità dell’Italia di trasformarsi in un laboratorio dei drammatici cambiamenti regionali in atto. Se Mosca e Washington, Baghdad e Teheran, Doha e Tunisi individuano nei «Dialoghi del Mediterraneo» che si aprono venerdì un’occasione di incontro ed interazione è perché nel mondo che accelera si percepisce la necessità di affrontare con pragmatismo e responsabilità un’agenda di eventi che sfida le previsioni degli analisti come l’immaginazione collettiva. L’orrenda ecatombe di civili in Siria e l’impellenza di debellare lo Stato Islamico del Califfo jihadista Abu Bakr al Baghdadi celano la necessità di scongiurare l’implosione di altri Stati arabo-musulmani così come l’incontenibile marea di migranti, che da Asia ed Africa si riversa sulle coste europee di Italia e Grecia, evidenzia l’urgenza di una innovativa ricetta di sviluppo che accomuni l’intera regione del Mediterraneo. Se la realpolitik diventa un’opzione per affrontare tale temibile orizzonte è perché l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump, è una scossa che apre la possibilità ad un riassetto di equilibri e responsabilità coinvolgendo Russia, Unione Europea e partner mediterranei. Sebbene la nuova amministrazione Usa si insedierà solo il 20 gennaio, quanto uscirà dai «Dialoghi del Mediterraneo» può gettare le basi per una nuova stagione di realpolitik sul maggiore scenario di crisi ed opportunità del Pianeta. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2016/11/28/cultura/opinioni/editoriali/cercando-la-nuova-ricetta-per-le-sfide-del-mediterraneo-261tgSmINhAxleQZf7BwNP/pagina.html
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