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5941  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Alessandro Robecchi. Caro Michele, il nostro ‘no no no’ è costruttivo, il tuo... inserito:: Dicembre 12, 2016, 04:38:12 pm
Caro Michele, il nostro ‘no no no’ è costruttivo, il tuo ‘sì sì sì’ è una resa alla destra

Di Alessandro Robecchi

Caro Michele,
ho letto con attenzione il tuo aperto – direi conquistato, posso? – sostegno alla “proposta Pisapia” (oggi su Repubblica, lo trovate qui) con conseguente pippone (mi consenta) sulla sinistra che dice sempre no, no, no. Non un argomento nuovo, diciamo, visto che ci viene ripetuto da tre anni almeno: vuoi mangiare la merda? No. Uff, dici sempre no.

Ma prima due premesse. Giuliano Pisapia è stato il mio sindaco, uno dei migliori degli ultimi decenni (oddio, dopo Albertini e Moratti…), credo anche di essere stato tra i primi a firmare un appello per la sua candidatura a sindaco di Milano, altri tempi. Ricordo che il giorno del ballottaggio (suo contro la mamma di Batman) avevo una prima a teatro, e sarà stato il clima in città, la tensione della prima, l’aria di attesa di un’elezione che squillava come un 25 aprile, ma ricordo quei giorni come giorni di grande gioia. Di come poi quell’entusiasmo si sia un po’ smorzato nella pratica quotidiana e nella maldestra uscita di scena di Pisapia non è qui il caso di dire.

Seconda premessa: non ho tessere in tasca, a parte quella dell’Anpi (una volta avevo quella dell’Inter, altri tempi pure quelli), e faccio parte di quella sinistra-sinistra “mai con Renzi”, come la chiami, senza essere né un “blogger trentenne a corto di letteratura” né “solido quadro di partito”. Vivo (bene) del mio lavoro, ho una casa, una macchina, due figli che vanno alla buonascuola e tutti i comfort, anche quelli inutili, del presente. Insomma, non vivo su Saturno, né abito in una comune, né coltivo il culto del Grandi Padri del Socialismo buoni per le magliette. Mi trovo, nel grottesco tripolarismo italiano, nella felice posizione di equilontano.

Ma veniamo ai tuoi argomenti (in sostegno fiero e pugnace alla proposta Pisapia). Attribuisci alla “sinistra del no” una specie di pregiudizio insormontabile: non vuole Renzi segretario del Pd, lo considera un corpo estraneo alla storia di quel partito e della sinistra in generale (anche quella che ha detto troppi sì, a Napolitano, a Monti, alla Fornero…), lo schifa e lo irride come fosse un leader della destra.

Insomma, quei cattivoni della “sinistra del no” non praticano il principio di realtà, che il Pd oggi è Renzi, e quindi rifuggono alle sirene di un lavoro comune. Di più e peggio. Dici che il renzismo non è la causa di questa diffidenza, ma ne è invece l’effetto. In soldoni: Renzi sarebbe Renzi (arrogante, decisionista, sprezzante nei confronti del dibattito, insofferente ai distinguo e alle opinioni diverse), proprio per colpa loro.
Mah, io preferirei parlare di politica, la psicoanalisi dei leader mi interessa pochino.

E sia, allora: immaginiamo lo scenario. Una sinistra-sinistra guidata da Giuliano Pisapia va a sostenere Renzi e quel che resta del renzismo, in modo da cacciare il sor Verdini e la sua cricca, Alfano, parlandone da vivo, e compagnia cantante. Intanto, un problemino. Naturalmente non si può parlare di una vittoria al referendum della sinistra-sinistra (a meno che non si voglia intestarle il 60 per cento, sarebbe ridicolo tanto quanto Renzi che si intesta il 40), ma dire che aveva visto giusto (con l’Anpi, l’Arci, Zagrebelsky, la Cgil… mica pochi, eh!) sì, quello si può dire. E allo stesso modo si può dire che Pisapia, con il suo Sì al referendum si sia schierato, in una scelta di-qua-o-di-là, contro la parte che aveva ragione, e lui torto. E’ già un’incrinatura: uno sconfitto federa e unisce i vincitori per andare a sostenere un ipotetico governo del capo degli sconfitti. Non suona male? E anche i tempi suonano male: se Pisapia avesse lanciato il suo sasso prima del referendum, il suo “Che fare?” sarebbe stato più denso e credibile. Proposto così, il giorno dopo la sconfitta, sembra solo un piano b, una via d’uscita dal cul de sac. E’ come se i napoleonici chiedessero a inglesi e prussiani di fare pace con Napoleone non il giorno prima, ma il giorno dopo Waterloo, un po’ surreale. E ho il sospetto (sono rognoso e diffidente) che questa uscita dal cul de sac, sia anche un perfetto piano b per riportare in gioco i pentiti del Sì: commentatori, intellettuali, corsivisti, guru, bon vivants, vip, filosofi, psicologi leopoldi che si sono schierati con Renzi e ora non vogliono tramontare con lui. Scusa, retropensiero maligno, succede. Perdonami.

Ma poi: ammettiamo che una “sinistra-sinistra” che dice sempre no dicesse sì, e andasse a vedere le carte di questo mirabolante governo senza Verdini ma con Landini (semplifico), cosa porterebbe? Cosa chiederebbe?
Ok, programma di massima. Via la legge sul lavoro scritta da Confindustria. Via il pareggio di bilancio in Costituzione (strano: Renzi ha tuonato e tuonato contro quel vincolo, ma poi, volendorenzigettone cambiare 47 articoli della Costituzione, non l’ha messo nella sua riforma). Via la buonascuola e le sue stupide visioni aziendalistiche. Via riforme e riformette fatte per compiacere questo o quel potere o poterino (le concessioni per le trivelle, le banche degli amici, i bonus, le regalie, le nomine, l’occupazione della Rai, i bonifici una tantum al posto dei diritti…).

In pratica si andrebbe a governare con Renzi con il presupposto di cancellare ciò che ha fatto Renzi. Non credo sia un caso, Michele, che quando passi dalla teoria (il pippone contro i cattivoni del no no no) agli esempi (quel che di buono ha fatto Renzi) citi solo e soltanto la legge sui diritti civili. Bene, evviva, hurrà. Ma su tutto il resto glissi, silenzio. Davvero pensi che una sinistra-sinistra possa governare insieme a chi ha “vaucherizzato” (pardon) il mondo del lavoro? Davanti a chi non solo ha colpito (articolo 18) ma anche irriso i lavoratori dipendenti? Con chi ha usato il sarcasmo per descriverne la patetica antichità? Con chi ha detto “ciaone” e si è inventato la frase idiomatica “ce ne faremo una ragione” che – ammetterai – suona come un moderno “me ne frego?”. Con chi, per “disintermediare” e cioè per evitare mediazioni e politica, ha sputato in faccia ai corpi intermedi che rappresentano il lavoro flirtando invece con quelli che rappresentano il capitale, la finanza? (il tuo omonimo finanziere a Londra passato per ideologo di quella roba lì, il renzismo, è un caso di scuola).

Riassumo: si chiederebbe alla sinistra-sinistra di andare a sostenere una destra sbrigativa, decisionista e a-ideologica, che penalizza i bassi redditi, non difende i giovani né i ceti medi, che toglie l’Imu anche alle ville dei cumenda, che regala 500 euro ai figli diciottenni sia del notaio che del bracciante. Insomma, lo dico male, che in tre anni ha fatto di tutto – ma di tutto – per aumentare le diseguaglianze, e non per ridurle o attenuarle. In sostanza: è bella la cornice (le varie anime della sinistra che dimenticano il referendum e si ritrovano in pizzeria) ma fa schifo il quadro (una delle due sinistre non è di sinistra per niente e ha fatto molte delle cose che la destra ha sempre sognato di fare, più il tentativo di stravolgimento della Costituzione, che non è un dettaglio). In sostanza si sollecita (nobile intento) l’unità della sinistra con una forza molto forte (il Pd renzista) che di sinistra non è nemmeno lontanamente, ma nemmeno col binocolo.

Renziscuola E poi c’è un’altra cosa: insieme, Michele, abbiamo visto dalla scialuppa pirata di Cuore (e riso parecchio) il craxismo tronfio e grottesco, il berlusconismo delle furbate e delle scappatoie. Possibile che tu non veda nel renzismo (nel ciaone, nel “gettone del telefono” degli operai, nella celebrazione seppiata delle foto da agenzia Stefani di Nomfup, nelle strette di mano a Marchionne, nella retorica leopolda, potrei continuare per ore) una differenza che non è più nemmeno politica, ma antropologica? E non ti fa ridere? Quante volte in questi anni ho pensato: che titolo avremmo fatto a Cuore su un leader della sinistra che dicesse e facesse le cose che ha fatto Renzi? Avremmo riso molto, Michele, so che lo sai. Il titolo del primo numero di Cuore, Michele, parlava del Pci-Pds e diceva : “Siamo d’accordo su tutto purché non si parli di politica”. Mi sembra attualissimo, eravamo bravini.

Ma visto che parti dal principio di realtà (Renzi è segretario del Pd con ampia maggioranza), ti oppongo un altro principio di realtà: la fauna renzista dei fighetti milanesi, della schiatta toscana, dei Rondolini, della nostra gloriosa Unità trasformata in fanzine della rockstar di Rignano, dei portavoce che giocano a Leni Riefenstahl, mi è lontana come Dell’Utri, come la Meloni, come un finanziere-squalo che fa il grano a Londra e viene a darci lezioni di come tagliare le pensioni in Italia. E’ a questa roba qua che dico sempre no, no, no? Esatto, è a questa roba qua. E se Giuliano Pisapia, che stimo e ringrazio per quello che ha fatto nella mia città, mi chiede di costruire qualcosa con quelli lì io dico no. Telefonatemi quando il Pd sarà un’altra cosa, quando davanti a un paese in ginocchio, stanco, ferito, spaventato, non verrà a dirmi gufo, rosicone, disfattista, non mi presenterà una storiella di Italia potenza culturale con le scuole che cascano in testa agli studenti, non mi dirà #Italiariparte o stronzate consimili.

Aspetto. Per ora no, grazie.

(9 dicembre 2016)

Da - http://temi.repubblica.it/micromega-online/caro-michele-il-nostro-%e2%80%98no-no-no%e2%80%99-e-costruttivo-il-tuo-%e2%80%98si-si-si%e2%80%99-e-una-resa-alla-destra/
5942  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / CARMELO LOPAPA Gentiloni offre a Cuperlo l'Istruzione: "No grazie" inserito:: Dicembre 12, 2016, 04:20:53 pm
Gentiloni offre a Cuperlo l'Istruzione: "No grazie"
L'ex presidente Pd declina l'invito a entrare nel governo.
Decisione presa anche per evitare che potesse apparire come una 'contropartita', se non una ricompensa, per il suo schieramento con il 'Sì' al referendum

Di CARMELO LOPAPA
11 dicembre 2016

ROMA - Il "no grazie" di Gianni Cuperlo è solo l'ultimo colpo di scena di una giornata che dopo l'incarico a Paolo Gentiloni scorre a tappe forzate verso la formazione del nuovo governo. Pochi, chirurgici interventi dovrebbero consentire al neo premier di chiudere la partita entro domani, per ottenere entro mercoledì la fiducia delle due Camere e presentarsi così giovedì al Consiglio europeo nel pieno dei suoi poteri.
 
L'esigenza - che è sua ma forse ancor più del segretario Matteo Renzi - è quella adesso di 'coprire' l'esecutivo a sinistra. Allargare le maglie del consenso e recuperare lo strappo apertosi con la minoranza dem nella lunga campagna referendaria. Ma il primo tentativo in questa direzione è fallito. L'offerta più clamorosa è stata avanzata a uno dei leader della sinistra interna, quel Gianni Cuperlo che nelle ultime settimane che hanno preceduto il voto del 4 dicembre si era orientato per il Sì.
 
Ebbene, a lui è stato proposto l'ingresso nel governo Gentiloni con la delega alla Pubblica istruzione. A conferma del fatto che Stefania Giannini non sarà riconfermata al suo posto. Ma l'ex presidente pd ha detto no, non solo a quel dicastero, ma anche a un coinvolgimento diretto che potesse apparire come una "contropartita" se non una ricompensa per la scelta referendaria che invece "era solo politica".
 
La segreteria Renzi tuttavia non si fermerà qui. La trama a sinistra continuerà a essere tessuta in queste ore, si parla adesso con insistenza di un'analoga offerta alla minoranza per un altro ministero chiave, quello del Lavoro che Poletti potrebbe lasciare. Il cantiere resta aperto.

© Riproduzione riservata
11 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/11/news/cuperlo_dice_no_a_ingresso_in_governo_gentiloni-153889045/?ref=HREA-1
5943  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Beniamino Pagliaro Perché l’Italia si è spaccata e ... (per colpa di Bersani). inserito:: Dicembre 12, 2016, 04:17:04 pm
Perché l’Italia si è spaccata e Matteo Renzi potrebbe invitare a cena Pier Luigi Bersani
Dopo il referendum non si parla più di riforme costituzionali: ha vinto il «No» ma quanto è sostenibile il No al cambiamento?

Pubblicato il 12/12/2016
Beniamino Pagliaro

La netta vittoria del No al referendum sembra aver convinto tutti che le riforme alla Costituzione non siano più necessarie. La classe politica ha ora altri pensieri e si è doverosamente ritirata in buon ordine, perché il popolo ha parlato. E chi siamo noi per giudicare il popolo? Vince la maggioranza ed è giusto così. Ma non dovremmo confondere la maggioranza con la verità assoluta.

Il voto «contro» ha travolto tutto e le ragioni del Sì sono state un’arma debole contro la possibilità - offerta su un piatto d’argento - di cacciare il governante in carica. Non viene in mente un premier degli ultimi vent’anni che non sarebbe stato travolto in un Paese con la disoccupazione all’11,6% e dopo anni pesanti, se al popolo fosse stata data questa possibilità.

Ora che di Costituzione non si parlerà più per un po’, però, si può dire che la gran parte delle misure era una sacrosanta semplificazione, richiesta evergreen e bipartisan, a un sistema da tutti definito troppo complicato, in cui da anni ci si lamenta dei troppi decreti e di un Parlamento inadeguato. Si poteva fare meglio, si poteva scrivere meglio il testo, si poteva trovare una maggiore condivisione (la condivisione di molti in Parlamento c’era ed è stata poi ritirata) e la poca chiarezza sull’elezione dei senatori non ha aiutato. Ma non prendiamoci in giro sulla sostanza. Per colpe varie, in primis di Matteo Renzi, il voto non è stato sulla Costituzione. Parliamo del resto.

Sono giorni senza vincitori. Il No ha vinto ma i sostenitori non possono andare al voto, chi voleva la riforma si trova davanti un governo anomalo, allo stesso tempo simile e molto diverso da quelle precedente. C’è una parte del Paese profondamente delusa dall’esito del voto, che lunedì scorso pensava di vivere il remake italiano del risveglio dopo Brexit. Quello di giugno era stato uno shock. Questo è meno forte, perché riguarda più l’Italia che tutta l’Europa, perché troveremo un modo per uscirne pure questa volta, perché gli italiani sono fatti così.

La delusione ha qualcosa a che fare con l’effimera sensazione che negli ultimi tempi l’Italia si fosse mossa un po’. Non bisogna essere renziani e nemmeno del Pd per riconoscere alcuni fatti. L’amore di polemica e i tormentoni travolgono tutto e semplificano: per esempio tanti pensano davvero che Renzi sia come Berlusconi a causa dello stile personalistico della comunicazione. Ora, sarà vero che Renzi a volte esagera, ma non è Berlusconi, né nel bene né nel male. Nel male per esempio: Renzi non è Berlusconi per conflitti di interessi e inchieste giudiziarie. Eppure quel messaggio è passato.

I fatti: alcuni indicatori economici dicono che l’economia italiana è migliorata durante il governo Renzi. La crescita è debole e alcuni fondamentali potrebbero essere migliorati anche grazie al lavoro dei governi Monti e Letta. I conti pubblici non migliorano ma le famiglie italiane stanno meglio e la disoccupazione è calata, pur restando alta.

Chi non ha lavoro e ha perso le speranze ha ragioni da vendere per andare a votare «contro». Ciascuno dei No, e forse in particolare i No maturati da sofferenze economiche, meritano rispetto. Il problema è che la somma dei singoli No, e il No gridato al Sistema, non offre in risposta alcuna garanzia di uscire dal problema stesso. È come andare a un corteo la domenica mattina: è sacrosanto manifestare se si crede in qualcosa, ma poi ugualmente il pranzo non sarà gratis, offerto dai valori di un tempo.

L’Italia è in effetti spaccata. La parte di Paese che lavora e compete nel mondo, indipendentemente da aver votato Sì o No, sa benissimo che non ha alcun senso rifiutare il Sistema. Lo sa perché ne fa parte, paga fior di tasse, e lavora tanto, perdendo a volte il tempo con burocrazie ottocentesche. Questa parte sa che non c’è welfare che possa tenere se non c’è lavoro, sa che il lavoro non c’è se non ci sono gli investimenti. Questa parte di Paese, lunedì mattina, si è sentita un po’ presa in giro ma dopo tutto si è rimessa al lavoro: è abituata a fare le cose nonostante lo Stato.

Il dramma è di chi è senza lavoro e speranze: è un’altra parte di Paese, che conterebbe sull’aiuto dello Stato e ha votato No per dire che così non va. Il dramma è che la riforma, a volerci credere anche solo parzialmente, prometteva un cambiamento. Un governo più stabile è quello che qualunque investitore vorrebbe vedere. Senza governo gli investimenti possono rallentare e così il lavoro. Non è un ricatto, non è turbocapitalismo: è semplicemente capire le regole del gioco, se si vuol giocare.

È tutto parte di un problema più ampio, ovviamente, e ciò è maledettamente noioso e poco sexy e non cattura l’attenzione dell’elettorato, creando un bel problema. Proprio chi poteva tifare di più per un cambiamento ha votato No e rischia di pagarne le conseguenze.

Nel 2009 negli Stati Uniti l’amministrazione Obama ha deciso di spendere 787 miliardi di dollari per rilanciare l’economia dopo la crisi finanziaria iniziata nel 2007. I risultati si sono visti perché oggi la disoccupazione è scesa sotto al 5%. Si può dire che l’America abbia creato il lavoro. Pur essendo un sistema economico diverso e molto più competitivo, con ancora meno garanzie per i lavoratori, viene da chiedersi: perché Renzi non ha fatto altrettanto? Non aveva quei soldi, perché l’Italia presenta ogni anno il proprio bilancio alla Commissione europea, che con l’obiettivo politico di tenere insieme l’Unione economica bacchetta i Paesi che spendono troppo rispetto a quanto incassano.

La reazione immediata è «al diavolo l’Europa!», e in parte anche Renzi ha chiesto di cambiare questa visione sui conti in Europa. Ma non è affatto semplice, perché l’Italia si presenta con il suo grande debito pubblico e non riesce da sola a condizionare le decisioni. Secondo molti la linea dell’Europa non è saggia, ma anche in questo caso vince la maggioranza, è democrazia: sono i risultati delle elezioni europee, che eleggono il Parlamento, la cui maggioranza pesa poi nella nomina della Commissione europea. La reazione immediata-bis, «usciamo dall’Europa», presenta grandi rischi.

Sarebbe bello avere una risposta che stia in una sola frase, ma non l’abbiamo ancora trovata.

Come è potuto succedere, insomma, che proprio i più deboli non abbiano voluto votare per cambiare? Per fortuna a questo abbiamo una risposta: è colpa della politica. È colpa di Renzi, che non ha mantenuto la promessa fatta per venire incontro alle partite Iva e ai lavoratori giovani, liberalizzando alcuni settori, temendo di essere impopolare per esempio con i tassisti. Era una scommessa a metà. Un calcolo politico comprensibile, frutto di un compromesso perché la coperta è corta, che puntava a premiare alcune fasce del Paese, dai redditi bassi con gli 80 euro ai proprietari di casa con la cancellazione dell’Imu.

Perché gli italiani che detestano la politica non hanno voluto diminuire il numero dei senatori e tagliare alcuni costi? È colpa di Renzi, che ha messo al centro se stesso e non la riforma, anche se forse non aveva grandi alternative.

Ma che facciamo ora? La sensazione di avere un premier tutto sommato normale è stata rimpiazzata dal timore di non avere più alternative. La frase «Renzi era l’ultima occasione» viene pronunciata spesso ed è probabilmente sbagliata. Ma è vero che Renzi ha fatto cose inedite in Italia, dalla riforma del lavoro, criticata ma considerata essenziale, alla legge sulle unioni civili.

La questione dell’ «ultima occasione» chiama in causa le alternative a Renzi, che fino a oggi sono state in grado di divenire molto popolari ma allo stesso tempo poco chiare. Dalla confusione personalistica del centrodestra ancora dipendente da Silvio Berlusconi e scosso dalla rincorsa della Lega, al Movimento 5 Stelle che a volte sembra impreparato, a volte ripete logiche poco trasparenti nelle sue decisioni politiche più importanti.

 
Forse Renzi, considerato da molti un abile politico, ha sottovalutato proprio la strategia politica. Forse è così che funziona quando una proposta nuova, come quella di Renzi nel Pd, deve confrontarsi con la fatica del governo. Ora molti guardano ancora a Renzi, convinti che saprà trovare una nuova via. Senza il peso del governo potrà occuparsi del partito e in primis ricomporre le fratture, anche se è faticoso ammettere di aver sbagliato.

Dopo il voto Pierluigi Bersani commentava in televisione il risultato del referendum e spiegava con la metafora della mucca nel corridoio l’esigenza di ascoltare il Paese che sta male, soprattutto perché non ha lavoro. È il Bersani delle liberalizzazioni ma anche quello della militanza orgogliosa. Pochi minuti prima di lui in tv c’era Graziano Delrio, che sembrava voler offrire una sintesi tra due mondi che non si parlano: difendeva Renzi per lo sguardo ottimista sul Paese così criticato dalla minoranza, senza però rinnegare la capacità di capire chi soffre.

Ora, se in gioco c’è il Paese sarebbe davvero incomprensibile che un leader che si è proposto come il nuovo e ha fatto già un pezzo importante di strada come Renzi non trovi il modo di chiudere questo solco, invitare a cena Bersani, parlare chiaro, mettere da parte le incomprensioni e i personalismi, i ricorsi storici della sinistra. Se così farà, che vinca o no il probabile congresso, Bersani o chi per lui non potrà tirarsi indietro. Soprattutto, se il Pd trovasse la forza di uscire da questa crisi obbligherebbe anche gli altri partiti a un cambio di passo: il centrodestra farebbe le primarie, il M5S presenterebbe un programma di governo. Così, infine, potremmo scegliere.

beniamino.pagliaro@lastampa.it  @bpagliaro 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/12/italia/politica/perch-litalia-si-spaccata-e-matteo-renzi-potrebbe-invitare-a-cena-pier-luigi-bersani-oyPbkoXIoSiQL8CLf4ihtK/pagina.html
5944  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Walter VELTRONI. - Riforma e governabilità Crisi di governo inserito:: Dicembre 12, 2016, 03:37:54 pm
   Opinioni
Walter Veltroni   @veltroniwalter

· 11 dicembre 2016
Riforma e governabilità
Crisi di governo   

Credo sarebbe ragionevole invece immaginare una struttura per collegi, con uno sbarramento significativo e un limitato premio di governabilità per la coalizione vincente

Quando questo giornale sarà nelle mani dei lettori probabilmente la crisi di governo apertasi dopo il referendum avrà avuto una soluzione. La saggezza del presidente della Repubblica Mattarella e il senso di responsabilità delle forze politiche, in primis il Pd, aiuteranno questa prospettiva. Almeno è quanto ci si deve augurare. Io oggi vorrei soffermarmi solo su due punti. È chiaro che questa travagliata legislatura volge al termine anticipato. Non mancheranno tempo e occasioni per una analisi lucida dei processi politici, intrecciati a quelli sociali, che hanno segnato questa fase concitata della vita pubblica italiana.

Oggi mi preme dire due cose: la prima è che il necessario iter di revisione della legge elettorale dovrebbe non attendere la sentenza della Corte ma avviarsi subito, in Parlamento. Il governo dovrebbe limitarsi ad un’azione di impulso ma credo sarebbe ragionevole che, da subito, i presidenti delle commissioni affari costituzionali attivassero un tavolo con tutte le forze parlamentari per trovare un’intesa lungo i principi che la Corte ha già delineato con la sentenza che intervenne sul Porcellum e che immagino ribadirà a gennaio.

La legge elettorale, specie nelle condizioni date, deve essere il prodotto di un ampio consenso e il lavoro per individuarla credo dovrebbe partire immediatamente. Il secondo tema di riflessione riguarda l’assetto di un sistema che rischia di impazzire, contribuendo alla palese e grave crisi della democrazia che sta, solo chi non vuole vedere può negarlo, mostrando limiti evidenti nel governo delle società veloci e complesse di questo inizio di secolo. Cominciare subito il lavoro significa evitare errori di improvvisazione, concessioni alla demagogia o furbizie di ogni risma. Quando ho visto sfilare al Quirinale, per le consultazioni, diciassette sigle diverse ho pensato che quello resterà come uno dei simboli del processo degenerativo delle nostre istituzioni. Davvero, in una democrazia moderna, ci sono venti e più radicate culture politiche, venti autentici riferimenti ideali tali da giustificare una simile frammentazione, ammantata da pompose e fantasiose autodefinizioni?

Non aver posto mano ai regolamenti parlamentari, come proponemmo di fare nel 2008, rende possibile che si costituiscano soggetti che riuniscono uno o due deputati o senatori. Ho letto di partiti che vorrebbero ora un sistema proporzionale con uno sbarramento inesistente, al due per cento. Torneremo ad avere quelle coalizioni elefantiache e contraddittorie pronte a cadere per una bizza o un posto da sottosegretario? Davvero questa è la soluzione agli immensi problemi di governabilità del nostro paese che, anche in questa legislatura, ha sperimentato più governi?

L’Italia può bellamente avviarsi verso il suo passato, quello fatto di frammentazione e instabilità? Se il nostro paese, al culmine della sua crisi democratica, scegliesse un sistema proporzionale puro, magari senza premi di governabilità o sbarramenti significativi, mostrerebbe di essere in balia degli eventi e degli egoismi. Si dice, giustamente, che l’assetto ormai tripolare del paese deve far riconsiderare l’Italicum e uscire da una concezione ideologica del maggioritario. Ma la stessa considerazione vale per la definizione di un sistema proporzionale puro. Cosa verrebbe fuori, con il tripolarismo, dopo le elezioni? Forse una situazione simile a quella delle passate consultazioni. Tre coalizioni di pari dimensione.

E allora? Facciamo due ipotesi. Che il Movimento cinque stelle abbia più voti degli altri ma non la maggioranza per governare. Cosa accadrebbe? Probabilmente gli altri due poli si alleerebbero per dare un governo al paese. Un governo contro, e un governo che escluderebbe chi avrebbe prevalso nel voto popolare. Facciamo un’altra ipotesi: che prevalga la destra o la sinistra ma, sempre, senza avere la maggioranza. L’unica possibilità sarebbe, di nuovo, un governo di larghe intese. Voglio dirlo chiaramente: un proporzionale senza correttivi forti lascia spazio ad una sola soluzione di governo: la colazione Pdl-Pd.

Davvero questa è la soluzione in grado di assicurare stabilità e capacità di affrontare con un segno chiaro la grave crisi sociale del paese? E qualcuno pensa che un governo dei due poli uniti, quelli che si sono naturalmente contrastati in questi anni, sia il modo migliore per curare il “pericolo” Cinque Stelle? Io non credo, pensando che un nuovo riformismo socialmente più radicale sia la giusta strada per la sinistra italiana.

Riassumo: legge proporzionale senza sbarramento, magari con le preferenze – strumento di condizionamento esterno pericolosissimo – , frammentazione consentita in decine di partiti e partitini assurdi, una sola soluzione per la governabilità, la grande coalizione, e magari una scissione del Pd per tornare ad un partito di centro e uno di sinistra. Benvenuti nel passato, benvenuti nel caos.

Credo sarebbe ragionevole invece immaginare una struttura per collegi, con uno sbarramento significativo e un limitato premio di governabilità per la coalizione vincente. Si può lavorare in questo senso a partire dal Mattarellum? Non è mio compito dirlo. Ma so che l’altra soluzione, che appaga gli appetiti di un sistema politico impazzito, porterebbe la democrazia italiana in un vicolo cieco. Si può assicurare governabilità e maggioranze coese anche con il proporzionale, ma senza coalizioni di legislatura e coesione dei governi l’Italia va a sbattere.

Intanto credo che il Pd, se questa è la strada, dovrebbe unirsi, smettendo lo spettacolo di odio e divisione messo in campo prima e dopo il voto, e dovrebbe lavorare ad una coalizione coesa programmaticamente ma forte, a cominciare dalla prospettiva indicata da Giuliano Pisapia. È così difficile, nel nostro paese emotivo, mantenere senso di responsabilità ed equilibrio. Così si rischia di passare dall’impianto maggioritario della fase post referendum Segni al ritorno ai bei tempi del dominio dei partiti, allora almeno pochi e veri, che facevano e disfacevano i governi come fosse cosa loro. Manca un teledrin, una canzone di Cristina d’Avena e poi festeggeremo il capodanno del 1990.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/riforma-e-governabilita/
5945  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Guido Gentili. La doppia eredità del premier uscente inserito:: Dicembre 12, 2016, 03:36:35 pm
La doppia eredità del premier uscente
    –di Guido Gentili 12 dicembre 2016

Non solo legge elettorale. Quale che sia il profilo del nuovo esecutivo Gentiloni che verrà, sul tavolo del prossimo capo del Governo s’addensano dossier che esigono un’attenzione politica e un livello di operatività fuori dall'ordinario. Basterebbe il caso Mps a indicare il primo, enorme problema che non è scritto nei manuali della teoria economica ma nella prova del fuoco dei mercati e nelle aspettative dei risparmiatori e della comunità finanziaria.

Qui, dopo tanti errori (l'ultimo, quello di legare di fatto la ricapitalizzazione di una grande banca in difficoltà all'esito di un referendum su materie costituzionali) non si può sbagliare una virgola. Ne va del destino di un istituto conosciuto in tutto il mondo, ma non solo. A maggior ragione in un Paese “bancocentrico” come il nostro, dove il credito bancario è ancora di gran lunga la principale leva a cui ricorrono le imprese, permettere che la crisi dell’Mps possa eventualmente scaricarsi con effetti a catena sul resto di un sistema già alla prese con sfide epocali (tassi rasoterra, cambio di passo tecnologico, nuovi modelli di business, quadro regolatorio stringente) sarebbe un errore fatale. Aggiungiamo che ci sono altri grandi istituti di primario rilievo internazionale – come Unicredit - impegnati ora sul mercato nel rafforzamento del capitale ed altre banche (Popolare Vicenza, Veneto Banca) che potrebbero richiedere nuovi interventi di sostegno. Il contesto esige chiarezza e fermezza dei propositi (anche nel prevenire e stroncare i casi di mala gestio), non soluzioni pasticciate. Se la legge elettorale omogenea per Senato e Camera è una logica necessità in vista delle elezioni, la tenuta del sistema bancario è una pre-condizione che attiene all’ordinato svolgersi della vita dell’intera comunità. Prima e dopo le elezioni.

C’è poi da gestire la doppia eredità del governo Renzi. La prima è quella delle cose fatte. La legge di bilancio è una manovra da 27 miliardi che punta a spingere sulla crescita con un ventaglio di interventi per riattivare investimenti pubblici e privati. Nel caso della proroga del super ammortamento al 140% o dell’arrivo dell’iper ammortamento al 250% per i beni tecnologici di Industria 4.0 questi sono per esempio subito operativi dal primo gennaio 2017. Ma in altri casi occorrono misure attuative: se ne calcolano una sessantina, come per i 5 miliardi da ripartire per le infrastrutture. È evidente che sulla messa a regime della manovra si gioca una partita quotidiana per battere burocrazia e lentocrazia. E qui il nuovo Governo non dovrà mollare la presa, consapevole che saranno anche forti le spinte per derubricarlo nella posizione di semplice traghettatore verso la meta di nuove elezioni.

In realtà, il calendario degli impegni dice anche altro. La doppia eredità del Governo Renzi squaderna, a marzo 2017, un esame europeo complesso di cui il ministro Pier Carlo Padoan, come è noto molto apprezzato a Bruxelles, conosce ogni piega e per il quale sa usare i toni giusti nei momenti giusti. Ma c’è da lavorare sodo, perché i fatti hanno la testa dura. Il mancato rispetto della regola del debito e la prospettata “deviazione significativa” dalle regole europee sul corso del deficit strutturale possono richiedere interventi aggiuntivi di correzione. Sotto la lente, per la copertura finanziaria, finirà anche l’impegno per il nuovo contratto del pubblico impiego che vale 5 miliardi nel triennio. Del resto, anche l’Ufficio parlamentare di Bilancio aveva messo l’accento sui rischi conseguenti gli impresi assunti dal lato delle spese correnti su pensioni e pubblico impiego. Per non dire, dopo il rinvio per il 2017, degli aumenti Iva da quasi 20 miliardi che si riproporranno dal 2018 e dei 23 già in lista per il 2019. In ogni caso un grande rebus politico per qualsivoglia governo che a ottobre 2017 dovrà misurarsi con questa sfida.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-12-11/la-doppia-eredita-premier-uscente-223514.shtml?uuid=ADRemvBC
5946  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Francesco Nicodemo Siamo di nuovo in cammino e la meta è sempre quella inserito:: Dicembre 12, 2016, 03:22:11 pm
Opinioni

Francesco Nicodemo   @fnicodemo
· 11 dicembre 2016

Siamo di nuovo in cammino e la meta è sempre quella
Non sposteremo di una virgola il nostro impegno per fare dell’Italia un posto migliore

Durante la settimana che si è appena conclusa ho ricevuto molti messaggi. Tante persone, più di quante potessi immaginare, hanno sentito il desiderio su messenger, WhatsApp e via mail di scrivermi. Ci penso, penso a tutto quello che è successo, istantanee di vita che scorrono veloci nella mia mente come un flashback continuo, poi ricordo questa frase: “Sentinella, quanto resta della notte? La sentinella risponde: viene il mattino, e poi anche la notte!” (Isaia, 21, 11). Rifletto, eppure non riesco ad essere triste.

Già, perché sono grato per quello che ho vissuto, per i posti che ho visitato, per le persone che ho conosciuto e per tutte le esperienze che ho maturato. Le conservo gelosamente e mi accompagneranno per molto tempo. Ovviamente mi dispiace per l’Italia perché sono ancora convinto che la riforma costituzionale avrebbe aperto le porte a un futuro migliore, tuttavia hanno ragione loro, quelli che l’hanno bocciata dal momento che la democrazia ha sempre ragione. Parafrasando le parole che un grande personaggio dei nostri tempi -Barack Obama – ha detto dal Rose Garden dopo il risultato delle elezioni presidenziali in Usa, tutti noi dobbiamo andare avanti presupponendo la buona fede dei nostri cittadini ed è così, rispettiamo la loro volontà prendendone atto.

Se non siamo stati in grado di spiegarci e di farci capire è solo colpa nostra. Anche questa è una lezione importantissima, almeno per me. Non è il tempo delle analisi, non ancora, chi le fa adesso vi prende in giro, nessuno poteva prevedere quello che sarebbe successo e infatti nessuno lo aveva previsto. Ci sarà il tempo di comprendere bene i nostri errori e di farne tesoro. Come sempre, il tema non è cadere, ma rialzarsi in fretta. Nelle prossime settimane quindi, voglio interrogarmi e provare a capire perché la mia generazione e il Sud hanno votato No, quali sono stati i nostri errori, cosa non ha funzionato nel rapporto tra racconto del cambiamento e percezione del cambiamento.

Lo voglio fare non solo perché senza il Sud e la mia generazione non si vincono le elezioni, ma soprattutto perché se non ricuciamo questo strappo la democrazia e le sue Istituzioni rischiano di subire un default di fiducia ancora più pesante. Diceva Zenone: «La ragione per cui abbiamo due orecchie ed una sola bocca è che dobbiamo ascoltare di più, parlare di meno». Ecco allora che voglio ascoltare chi ha votato Sì ma soprattutto chi ha votato No, perché ripartendo d a l l’ascolto forse saremo in grado di dare di nuovo risposte a chi è stato con noi e a chi è stato contro di noi. Perché continuo a pensare che siamo l’unica via possibile in questo Paese per una sano riformismo popolare che significa occuparsi di chi non ce la fa e non ostacolare chi si rimbocca le maniche.

E anche adesso, mentre tutto sembra così difficile, e quasi viene meno il coraggio, dopo tutto questo sentiero percorso insieme, fatto di cadute e di ripartenze, voglio dirvi con animo libero dal rancore e con sguardo sincero, che la meta è sempre quella, che non sposteremo di una virgola il nostro impegno per fare dell’Italia un posto migliore, che non dobbiamo avere paura di nulla, che siamo sempre quelli partiti 6 anni fa da una vecchia stazione con una valigia piena di idee e che non ci fermeremo certamente adesso, che siamo una comunità bella e allegra e continueremo a sostenerci l’un l’altro, che ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno. Noi andiamo avanti perché quando c’è una meta anche il deserto diventa strada come recita un proverbio tibetano e per noi vale esattamente così. Impareremo dai nostri errori, ci faremo guidare dai nostri principi, ritroveremo il nostro naturale entusiasmo e riprenderemo il cammino, anzi lo stiamo già facendo.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/siamo-di-nuovo-in-cammino-e-la-meta-e-sempre-quella/
5947  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Caro Renzi, nella convinzione di fare cose giuste inserito:: Dicembre 12, 2016, 03:20:08 pm
Caro Renzi, nella convinzione di fare cose giuste (o comode per i tuoi progetti istituzionali) che però gli elettori hanno la "percezione" siano "non giuste", porta a risultati deludenti o negativi (anche per il Paese).
"Il Sistema Rappresentazionale risponde al "principio di razionalità" ed è, quindi, un sistema di simboli, espressione e fondamento di conoscenza e di verità" (da Romeo Lucioni).
Sembra siano mancati nel caso specifico del Referendum (e non solo). O mi sbaglio? ciaooo
5948  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino ha scritto ... sul web inserito:: Dicembre 12, 2016, 03:18:22 pm
Di Rabbia e di Vento anche questo post (come il libro Sellerio dello stesso autore) che non ci serve, se non per l'ennesima conferma che una parte del nostro paese (la Sinistra-sinistra) è piena di rabbia e di vento. Ma da eterni incazzati nel loro paradiso crozziano di eterna ... opposizione, non hanno proposte percorribili per arrivare a far beneficiare il paese dei loro contributi di Sinistra-soltanto-incazzata. ciaooo

...

Di preghiere c'è bisogno e chi sa' pregare è utile, non soltanto a chi ha fede.
Anche di chi sa' manovrare c'è bisogno in una Italia dove capipopolo, disinteressati al bene comune, invitano a votare con la pancia (Grillo) e altri minacciano rivolte di piazza se non si fa' ciò che vogliono loro (Salvini).
Ben vengano Franceschini e Renzi che con il Presidente Mattarella ci aiutino a uscire da questo pericoloso "malinteso democratico". ciaooo

...

Caro Renzi, la faccia te la sei già giocata (in ogni senso con prevalenza dell'essertela giocata bene).
Hai un consenso che non ti permette di fuggire, devi riparare errori che hai commesso pur avendo ragione in ciò che sostenevi (sui modi non hai sensi di colpa c'è chi fa' scifo e ancora vuol fare politica).
Un re-incarico ci sta bene, ma solo se torni con un Programma deciso e preciso ... senza frenate o fughe in avanti (tipiche di colui di cui sto scrivendo).
Quindi grande rispetto e patti chiari con il Presidente Mattarella (e con Franceschini) e vieni a lavorare. Muoviti! ciaooo

...

Molti politici e alcuni giornalisti si vedono descritti da Francesco.
Dobbiamo essere grati al Papa che vuole rendere consapevoli chi fatica a discernere il bene dal "fango".
Anche l'assenza di veri leader richiede che chi ha il potere di voto sappia come regolarsi aggiornandosi su chi ha valori da condividere da altri che rubano la fiducia dei poco informati. ciaooo

...

Rispetto per Pisapia e per la sua idea ma ... prima occorre conoscere quale Sinistra e con chi, con quale Programma non ideologico e concreto, verso quale tipo di sviluppo certo.
Inoltre, accettare di rompere con tutti e dare le chiavi della porta chiusa a Bersani e compagni, sarebbe come impiccarsi per farli godere. Comunque parliamone ma a porte aperte. ciaooo

...

L'economia italiana è saldamente in mano alle famiglie, da evitare allarmismi e mosse errate.
La politica degli Stati conta poco, nel mondo, il potere globale è nelle mani dell'economia e della finanza.
E' quello che deve cambiare, ma deve decidere di modificarsi (il potere economico-finanziario) in proprio.
Nessun politico ha il potere di farlo evolvere verso gli ultimi o i penultimi.
Spendiamoci al meglio e spendiamo al meglio!
Possiamo usare uova diverse ma le frittate sono sempre frittate. ciaooo

...

Da vecchio ulivista che si batte per il CentroSinistra si può anche rischiare il donchisciottismo (di cui una conoscente, oggi in FB, si dice presa). Ma avendo coscienza del perchè ci si batte il rischio Don Chisciotte non si corre. I problemi IRRISOLTI ci danno la ragione del farlo con antico entusiasmo (non violento). ciaooo

...

La politica a suo tempo si nascose dietro il Governo tecnico di Monti, gli fece fare il lavoro "crudele". Poi tornò tranquilla sugli scranni, lieta di aver sbarcato il lunario.
Oggi il PD, dopo aver subito una indegna castrazione, su temi che molti considerano giusti provvedimenti, non deve nascondersi ne fuggire.
I numeri ci sono, si devono vedere confermati da "intese di lavoro a scopo determinato".
L'Italia ha impellente necessità di uscire dalla situazione creata da errori di Renzi, commessi per giusta causa e strumentalizzati per interessi personali e di parte.
Moltissimi Italiani non hanno paura di Renzi al governo, invece temono le pretese di chi ci propone la "democrazia deformata". ciaooo

...

Malati di tutte le età attenzione: ai medici adulti, depressi (e svogliati) di oggi, si aggiungeranno giovani medici depressi.
Scegliete, se potete, da chi farvi sopprimere ... (ma dai scherzo).
Ma il problema è molto serio, l'aspettativa di vita non cresce più e in molte regioni sta calando. ciaooo

...

Da Ulivista ero "non ancora renziano" prima e lo sono ancora, ma i sostenitori del NO hanno fatto un danno al paese che solo Renzi adesso può riparare.
Ma deve farlo modificando il suo modo di agire che ha favorito l'incoscienza (per non dire peggio) dei più sottomessi al populismo e non solo a quello. ciaooo

...

Chiamparino ha ragione, nel PD "...bisogna ricostruire un progetto politico...”. Io direi meglio (a mio parere) "costruire" un Progetto sintetico e credibile.
Penso che allo stato delle cose, rapidamente, lo possa fare solo Renzi, Margherita permettendo. ciaooo

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Campo Progressista che prima di nascere esclude, portandosi fuori dal PD, mi fa' sorgere due considerazioni:
1) finalmente una Sinistra non sinistra, non maramaldeggiante, non alla ricerca continua di un Nemico da battere, è una ottima idea, nel segno dell'onestà intelletuale e politica.
2) da ulivista antico, dico l'Ulivo è tutta-altra cosa! Ma spero riusciate nell'intento e auguriamoci di ... presto rivederci. ciaooo

...

5949  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EUGENIO SCALFARI. Per essere uno statista Renzi studi Garibaldi e Cavour inserito:: Dicembre 12, 2016, 03:15:33 pm
Per essere uno statista Renzi studi Garibaldi e Cavour Per essere uno statista Renzi studi Garibaldi e Cavour
"Caro Matteo non devi occuparti del tuo partito e delle elezioni che vorresti al più presto. Devi occuparti del bene del nostro Paese"

Di EUGENIO SCALFARI
11 dicembre 2016

CI SONO molte cose da decidere in Italia, come pure in Europa e nel mondo intero. Oggi però a noi interessa soprattutto il nostro Paese. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha chiuso ieri sera le sue consultazioni incontrando la delegazione del Pd e deciderà oggi. Designerà la persona scelta a guidare il governo. Fino a quando? Non si sa. Mattarella, se potesse, vorrebbe che la legislatura durasse fino al suo termine che scade nel 2018, ma questo non dipende da lui. Si aggiunga che quasi tutte le forze politiche vogliono dar seguito anticipato al rinnovo del Parlamento, alcune con la riforma della legge elettorale, ed altre con l'attuale estesa al Senato di nuovo pienamente in vita.

Questa è la situazione che il presidente Mattarella dovrà tener presente nella scelta del nome, in particolare quello desiderato e a lui indicato dal Pd che, con la sua coalizione, ancora detiene la maggioranza assoluta alla Camera e una quasi maggioranza assoluta anche al risorto Senato, requisito che sembra esistere sempreché il partito di Renzi sia compatto e raggruppato come di fatto non è. Attualmente è diviso in sette o otto correnti, diverse tra loro e da Renzi che in teoria dovrebbe capeggiare il Pd del quale è tuttora il leader.

Per compiere un'analisi obiettiva della situazione racconterò brevemente come mi sono comportato io, non da giornalista ma come semplice cittadino ed elettore; può servire a comprendere i voti incassati dal Pd.

In tutto tredici milioni (il famoso 40 per cento che ha votato Sì) e di riflesso i diciannove, cioè il 60 per cento che ha votato No.

Francamente non credo affatto che quel 40 per cento sia interamente renziano. Io per esempio ho deciso di votare Sì seguendo la decisione di Romano Prodi e le sue motivazioni: "Ho molte obiezioni nei confronti della legge sulla riforma costituzionale e altrettante in suo favore; alla fine un esame della situazione politica mi porta a votare Sì. Il nostro Paese deve rafforzare la propria stabilità per contribuire alla stabilità europea. Stabilità e governabilità in Italia e in Europa. Se vincesse il No nel nostro referendum non avremo né l'una né l'altra".

Così disse Prodi una settimana prima del voto e così decisi anch'io. Quello che è oggi sotto i nostri occhi ce lo conferma ed è proprio per questo che il presidente Mattarella dovrebbe cercare di convincere Renzi ad un reincarico per un governo nella pienezza delle sue funzioni.

***

Renzi pensa al suo interesse, è normale, pensiamo tutti al nostro. Ma un uomo politico e di governo dovrebbe pensare anche, ed anzi "in primis", al bene comune che non sempre coincide con il bene proprio, anzi quasi mai.

Renzi infatti desidera che Mattarella nomini l'attuale ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e/o il nostro ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, per un governo cosiddetto di scopo. Lo scopo sarebbe quello desiderato da Renzi, cioè dal "suo" partito, pronto ad affrontare la campagna elettorale con modalità scelte dal "suo" governo dopo le decisioni che saranno comunicate dalla Corte costituzionale.

(Mi permetto di aprire una parentesi a questo proposito. La Corte ha già preso le sue decisioni, tuttavia resteranno segrete al pubblico fino al 24 gennaio prossimo. La Corte è ben consapevole che operando in questo modo paralizza ancora per un mese e mezzo la vita politica del Paese e dei cittadini. Perché lo fa? Perché è la Corte il numero uno dell'Italia? A me non pare un comportamento corretto ma sbagliato. Il numero uno è il presidente della Repubblica, anche in materia costituzionale. La Corte è un contropotere, come lo è in tutte le occasioni il potere giudiziario. Se e quando il potere giudiziario si surroga alla presidenza compie un errore marchiano e già chiarito da Charles-Louis de Secondat, Baron de La Brède et de Montesquieu nel libro fondamentale intitolato l'Esprit des Lois, ai tempi dell'Illuminismo).

È probabile che Mattarella dopo aver tentato di convincere lo stesso Renzi a proseguire lui la legislatura, designi Gentiloni e/o Padoan per un governo renziano; probabile ma non sicuro. La visione del bene comune di Mattarella non sembra coincidere con quella di Renzi, ma in questo caso non tocca al premier decidere ma al Presidente. Renzi, se chiamato, accetterà il reincarico o lo rifiuterà?

Mi permetterò ora di dargli la mia opinione.

***

Papa Francesco, nella ricorrenza dell'Assunzione al cielo di Maria madre di Gesù, ha messo in rilievo che l'anno 2016 è stato "disastroso" per i diritti umani. "Non solo ne sono stati ricusati molti ma quelli esistenti sono stati in gran parte annullati. Nuovi genocidi si sono verificati e le diseguaglianze si sono terribilmente accresciute. Bisogna fare l'opposto ed è questo il bene del prossimo che deve impegnare ciascuno di noi".

Su un piano del tutto diverso è intervenuto Le Monde nel suo editoriale con la prima pagina intitolata così: Brexit, Trump, Renzi...pourquoi les Bourses continuent de grimper. Ed ecco il seguito: "Da alcune settimane gli investitori sono euforici. Dimenticano le loro paure del Brexit, di Trump e di un No al referendum di Renzi. Eppure ci sono numerosi rischi politici ed economici in Europa come negli Stati Uniti".

Non ci potevano essere due angolazioni più diverse di guardare la situazione attuale, ma entrambe coincidono nel misurare l'intensità dei mali che affliggono il mondo intero e in particolare l'Occidente e il Medio Oriente che ne è la proiezione.

Caro Matteo Renzi se vuoi dare una buona prova della tua personalità non devi occuparti del tuo partito e delle elezioni che vorresti avvenissero al più presto. Devi occuparti del bene del nostro Paese. Devi accentuare se non addirittura sostenere il tuo governo e condurlo fino alla fine della legislatura avendo come solidale punto di riferimento il presidente della Repubblica. Devi sviluppare la crescita economica e sociale, devi riconoscere nuovi diritti, l'hai già fatto meritatamente con le Unioni civili ma molti altri ce ne sono. Devi combattere le diseguaglianze, devi farti carico della ricostruzione antisismica delle zone più strutturalmente fragili della catena appenninica. Devi operare in Europa come e più di quanto hai già fatto per gli emigranti, per una sorta di Fbi europea. Devi mantenere ed accentuare il tuo ruolo europeo, con la Merkel e con Draghi come punti di riferimento.

Sono i requisiti non solo di un leader politico ma di uno statista. Se lo capirai e tenterai di promuoverti a quel ruolo, ce la farai. Così io credo.

Questa è la scelta che ti aspetta nelle prossime ore se non vuoi che questo Paese, questa cultura, questo ruolo di primazia sia conquistato da Grillo e da Salvini ormai appaiati.

Nel 2018 la legislatura sarà terminata ma i compiti di uno statista no. Fammi sognare che tra alcuni giorni somiglierai in vesti moderne a quello che furono un secolo e mezzo fa Cavour e Garibaldi: la guida politica e lo spirito rivoluzionario.

Sono sogni, non è vero? Sogni miei e mi piace sperare che possano avverarsi. In fondo anche i No referendari volevano un cambiamento. Con Grillo e Salvini? Per l'Italia purtroppo è avvenuto, spesso ci scordiamo delle pessime esperienze vissute. La storia dovrebbe insegnarlo, soprattutto ai giovani: essi hanno votato il No in massa. Ora dovrebbero rileggersi alcuni classici della nostra storia politica e sociale fino in fondo. Il No vuole un vero cambiamento in avanti o all'indietro? Ricordatevi l'antica Internazionale: "Sulla libera bandiera /batte il Sol dell'Avvenir".

È assai singolare che sia un vegliardo come io sono a concepire l'Avvenire. Spetta a voi giovani costruire l'Avvenire. Il tempo corre, datevi da fare per l'Italia e per l'Europa, di entrambe siete cittadini e volete forse affidarvi a quelli che dall'Europa vogliono uscire? È questo l'Avvenire?

Cari giovani e caro Renzi, l'Avvenire è nelle vostre coscienze, non certo in quelle di Grillo e di Salvini. Siamo a un giro di boa. Spero che la Crociera la vinca il migliore.

© Riproduzione riservata 11 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/11/news/per_essere_uno_statista_renzi_studi_garibaldi_e_cavour-153864060/?ref=HRER2-1
5950  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Armando Massarenti È impressionante vedere ... inserito:: Dicembre 12, 2016, 03:09:15 pm
È impressionante vedere - nel testo pubblicato in copertina dalla Domenica di oggi (in uscita nella collana Quaderni della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli) - come esattamente un secolo fa il filosofo pragmatista e grande educatore John Dewey avesse le idee chiare su temi oggi di stretta attualità. Le grandi ondate migratorie dell'Europa di oggi pongono problemi, sociali e culturali, che Dewey affronta guardando allo sviluppo del sistema educativo come al fulcro di un processo di lungo periodo e individuando negli insegnanti, e non nei politici, dunque nella cultura, i soggetti più consapevoli dei processi in corso. Una cultura consapevole dei propri valori di fondo, come abbiamo ribadito più volte negli ultimi cinque anni dopo la pubblicazione del nostro Manifesto per la cultura, è il motore di ogni possibile sviluppo. Soprattutto se, come nel caso di Dewey, essa si nutre di uno spirito autenticamente democratico.
La democrazia alla Dewey ha peraltro molto a che vedere con il progetto culturale la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli inaugurerà il 13 dicembre con l'apertura della monumentale sede di via Pasubio, progettata da Jacques Herzog e Pierre de Meuron. «Una nuova sede iconica per una grande casa delle culture sociali», la definisce il presidente Carlo Feltrinelli; e il segretario generale Massimiliano Tarantino uno «Spazio di cittadinanza. Una piazza, contemporanea, meticcia, accessibile, utile» oltre che un luogo ospitale per i ricercatori che, in postazioni progettate per loro, vorranno mettere a frutto la straordinaria documentazione contenuta negli archivi.
Milano Porta Volta. Luogo dell'Utopia possibile è il titolo del volume che presenta il progetto. E chi se non proprio Dewey può guidarci con lucidità verso una Utopia concreta, a portata di chiunque, per realizzare una società di cittadini liberi ed eguali, secondo il sogno di Amartya Sen (ricordato da Salvatore Veca) di una libertà vera per tutti? Magari imparando anche dagli errori della storia e dalle Utopie sbagliate o mal realizzate, come la Rivoluzione russa, cui la fondazione dedicherà nel 2017 numerose iniziative per ricordarne il centenario. O meglio ancora dall'Illuminismo, pezzo forte degli archivi e degli studi promossi da sempre dalla fondazione. Ebbene, l'Utopia possibile di Dewey si identifica proprio nello stretto legame che egli istituisce tra democrazia e spazio pubblico. Come ha ricordato il francofortese Axel Honneth, in Dewey la sfera politica, o pubblica, «non è, come nella Arendt o, sebbene in forme attenuate, in Habermas, il luogo dell'esercizio comunicativo della libertà, bensì il medium cognitivo, mediante il quale la società tenta di determinare, elaborare e risolvere i problemi insorgenti nella coordinazione dell'agire sociale». Dewey ha come modello una comunità di ricercatori scientifici sinceramente impegnati a risolvere un problema. Egli osserva che, nella scienza, l'intelligenza e la qualità delle soluzioni dei problemi emergenti sono direttamente collegati alla democraticità della ricerca, cioè alla possibilità da parte di tutte le persone coinvolte di scambiarsi informazioni e avanzare critiche e considerazioni in modo libero e aperto. Gli fa eco l'architetto Herzog: «Resto convinto che investire nella cultura e nell'istruzione sia fondamentale per creare e mantenere in vita una società aperta».
   
Armando Massarenti - Responsabile il Sole24 Ore - Domenica
@massarenti24
5951  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Linda Laura Sabbadin. Con la crisi non basta più il lavoro di uno solo in famigl inserito:: Dicembre 12, 2016, 03:06:39 pm
Con la crisi non basta più il lavoro di uno solo in famiglia
Il modello del padre che mantiene moglie e figli non è sostenibile.
Dal 2005 al 2015 triplicata l’incidenza di povertà assoluta tra gli operai
Per molti lavoratori il fatto di avere un posto non garantisce un reddito sufficiente a mantenere la famiglia

Pubblicato il 12/12/2016
Ultima modifica il 12/12/2016 alle ore 09:39
Linda Laura Sabbadin

La crisi sociale è più lunga della crisi economica. Uscire dalla recessione non vuol dire che la crisi sia finita. Quanta disoccupazione è stata riassorbita? Quanto dell’aumento della povertà assoluta, dei più poveri tra i poveri, si è recuperata? Partiamo dalla disoccupazione. Dopo essere cresciuta ininterrottamente dal 2007, da circa 1 milione e mezzo, la disoccupazione ha raggiunto il picco nel quarto trimestre del 2014 di 3 milioni 267 mila persone, per poi diminuire. Siamo, comunque, a 2 milioni 987 mila nel terzo trimestre del 2016. La disoccupazione di lunga durata, da 12 mesi in su, pur essendo diminuita, coinvolge 1 milione 600 mila persone, più del 50% dei disoccupati. Elemento, questo, che va considerato con attenzione, perché più a lungo si protrae lo stato di disoccupazione, più è difficile uscirne e rimettersi in gioco sul mercato del lavoro. 

I disoccupati sono molti tra i giovani, ma non dobbiamo dimenticarci di quelli adulti o ultracinquantenni, che, seppure di meno, hanno maggiori difficoltà, a causa dell’età, a rientrare nel mercato del lavoro e che spesso vivono in famiglie in cui solo loro percepivano un reddito. Certo, gli occupati sono cresciuti di 570 mila unità dall’inizio del 2014, ma ancora non abbastanza per riassorbire una parte importante della disoccupazione, anche perché una parte della crescita è imputabile alla maggiore permanenza degli ultracinquantenni nel mondo del lavoro. E comunque la crescita dell’occupazione non è stata sufficiente in questi anni a far diminuire la povertà assoluta, o perché trattasi comunque di occupati a basso reddito in famiglie con bisogni più alti, o perché una parte dell’occupazione è cresciuta per persone che vivono in famiglie non povere, aumentando così la polarizzazione. 

Lento recupero 
Se il peggioramento delle condizioni di vita è stato intenso e veloce, il recupero comunque, è ancora lento rispetto alle necessità. D’altro canto non possiamo meravigliarci visto che già da prima della crisi il nostro Paese non aveva conosciuto ritmi di crescita rilevanti. La povertà assoluta, dopo essere raddoppiata non è ancora diminuita. Sono 1 milione 582 mila le famiglie in povertà assoluta e 4 milioni 598 mila le persone. La mancanza di lavoro continua a connotare la povertà, le famiglie con a capo un disoccupato sono quelle più in povertà assoluta delle altre e sono aumentate nel tempo. Tra queste erano povere assolute il 12,8% nel 2005, salite al 14,5%nel 2009 fino a raggiungere il 19,8% nel 2015. Pur essendo un valore alto è importante sottolineare la sua diminuzione rispetto al 2013. Ancora più che in passato la crisi ha evidenziato quanto il lavoro di una persona sola in famiglia non basti più a proteggere dalla povertà. Chiara Saraceno ci scrisse un libro, «Il lavoro non basta», era il titolo, ed è stato così.

Il modello breadwinner 
Ebbene quello che voglio sottolineare è che il modello del maschio «breadwinner», che lavora e mantiene la sua famiglia con figli, con la donna che si occupa della casa e della cura tanto decantato come modello negli anni ’50 e ancora ampiamente diffuso nel Sud, e al Nord tra le famiglie di immigrati marocchini e albanesi, non è più sostenibile socialmente, ha aumentato la vulnerabilità di queste famiglie, soprattutto quelle operaie, ma non solo.

Secondo la Banca d’Italia le famiglie operaie nel 45,9% dei casi hanno solo un percettore di reddito in famiglia e quasi la metà non ha una abitazione in proprietà. Il lavoro femminile è fondamentale come elemento di protezione dalla povertà, ma continua ad essere ancora su percentuali troppo basse. Sono in particolare le famiglie operaie a pagare il prezzo più alto. La povertà assoluta per loro aveva cominciato a crescere già prima della crisi. E poi è esplosa passando dal 4,4% del 2005 al 6,9% del 2009 fino a raggiungere l’11,8% nel 2013 e rimanendo tale nel 2015.

Operai più poveri 
Dal 2005 al 2015 l’incidenza di povertà assoluta tra le famiglie operaie è triplicata. D’altro canto non possiamo meravigliarci, visto che la crisi ha colpito in primo luogo l’industria e le costruzioni. Anche i lavoratori in proprio hanno subito una crescita della povertà’ assoluta, ma questa li ha raggiunti più tardi degli operai e si è subito ridotta attestandosi al 5,5%. Inoltre il collettivo degli indipendenti si è ridimensionato nel tempo ed ha conosciuto un processo di ricomposizione interna, perché coloro che sono stati fortemente colpiti dalla crisi, soprattutto nel caso di piccole imprese si sono trasformati in disoccupati o sono usciti dal mercato del lavoro e quindi, non fanno più parte di famiglie di lavoratori indipendenti. Il disagio raggiunge gli operai con più figli, ma non risparmia anche quelli senza figli e che vivono soli a causa dei redditi bassi. Insomma, la crisi ha provocato un incremento sia delle famiglie povere assolute con a capo un disoccupato, sia delle famiglie di lavoratori poveri specie operai, siano essi lavoratori a basso salario o poveri perché con reddito non sufficiente ai bisogni familiari. Avere un lavoro non permette necessariamente di proteggersi dalla povertà o di uscirne. Non è cosa solo di oggi, ma bisogna ricordarselo per le politiche, soprattutto in questa fase. Servono politiche di vario tipo per affrontare questa emergenza, politiche attive del lavoro, di conciliazione dei tempi di vita per sviluppare occupazione femminile, di sostegno al costo dei figli e strumenti specifici di lotta alla povertà. Una serie di politiche miranti alla redistribuzione del reddito. Non possiamo rassegnarci a stabilizzare livelli di povertà assoluta così alti. La prima sfida di qualsiasi governo dovrà essere ridurre consistentemente le disuguaglianze, ed evitare che la persistenza della povertà cresca e si consolidi.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/12/economia/con-la-crisi-non-basta-pi-il-lavoro-di-uno-solo-in-famiglia-IcsFnFissrMfZ7lvupjEGL/pagina.html
5952  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / GENTILONI da oggi 12/12/2016 Presidente del Consiglio. inserito:: Dicembre 12, 2016, 03:05:15 pm
Chi è Paolo Gentiloni, prossimo presidente del Consiglio

Crisi di governo   

Storia di quel ragazzo che attraversò gli anni ’70 senza indossare l’Eskimo, la divisa dei giovani del movimento, ma un serissimo loden, una scoppola e una sciarpa

Il ’68 non fu solo Eskimo e il Loden non l’ha sdoganato Mario Monti. Ma che c’entra tutto ciò con il designato presidente del consiglio, Paolo Gentiloni Silverj, discendente dei Conti di Filottrano, di Cingoli e di Macerata? Aspettate un attimo e lo capirete.

Invece che partire dai gradi di nobiltà o dalle tappe della sua importante carriera politica in età matura, io vorrei partire da quel ragazzo che attraversò gli anni ’70 senza indossare l’Eskimo, la divisa dei giovani del movimento, ma un serissimo loden, una scoppola e una sciarpa. Era infatti questa la tenuta dei militanti romani del Movimento Studentesco di Mario Capanna, noti a Milano come i Katanga per i modi diciamo un po’ bruschi con i quali risolvevamo le diatribe interne al movimento, ma che a Roma, un po’ forse per diversa attitudine un po’ perché erano una esigua minoranza, erano molto meno brutali. Anzi non lo erano affatto, piuttosto dovevano subire le angherie dei gruppo dominanti nel movimento romano come Lotta Continua e poi Autonomia Operaia. Di quello sparuto drappello ricordo il gruppo di giovani del famosissimo Tasso, roccaforte romana del Movimento di Capanna: Andrea Ferri, Giovanni Luciani e, appunto, Paolo Gentiloni con Silvio Capponi a far loro da chioccia. Alle manifestazioni li riconoscevi perché erano elegantissimi, stretti, appunto, nei loro loden con la scoppola calata sugli occhi e la sciarpa attorno al collo. Erano ideologici, ma molto meno che a Milano, anche perché a Roma il carisma di Mario Capanna non faceva presa.

Moderato, pur se il termine a quei tempi aveva un senso del tutto diverso da oggi e per quanto ci si potesse definire tali nei movimenti degli anni ’70, Gentiloni lo era fin da allora. Capisco che se risentissimo oggi i nostri discorsi di allora faremmo fatica a definirli moderati, ma è così: Paolo, come me, che militavo nel Manifesto e frequentavo il mitico liceo Archimede, apparteneva a quella parte del movimento che a un certo punto comprese che era in corso una deriva estremista che sarebbe degenerata nella violenza armata e vi si oppose. Se necessario, bisognava allearsi anche con i figicciotti, contro i quali fino ad allora ci scagliavamo ritendendoli dei pavidi riformisti.
L’alleanza, era il 1973, fu sigillata in occasione della morte di Roberto Franceschi, militante del Movimento Studentesco ucciso nel gennaio di quell’anno dalla polizia che sparò contro i giovani che partecipavano a una protesta alla Statale di Milano. Ci separammo dagli altri gruppi extraparlamentari che cercavano lo scontro di piazza e indicemmo una manifestazione che con nostra grande sorpresa si rivelò oceanica e pacifica e si concluse davanti al ministero della Pubblica Istruzione con un comizio di un leader carismatico come Mario Capanna e di due giovanissimi liceali come Walter Veltroni e…il sottoscritto.

Nel 1970 Paolo scappa di casa per partecipare alle occupazioni studentesche a Milano e lì si lega al gruppo di Mario Capanna che era il leader della contestazione studentesca e aveva fondato un suo Movimento. Un atto radicale di rottura con una famiglia il cui nome è scritto nella storia del cattolicesimo italiano. L’esponente più noto della famiglia, Vincenzo Gentiloni, diede infatti il nome al patto stipulato in chiave antisocialista tra cattolici e liberali che segnò l’ingresso ufficiale dei cattolici nella vita politica italiana. Tuttavia, pochi ricordano che il Conte Domenico Silverj (il quale, rimasto senza eredi maschi stabilì che il marito della figlia, conte Aristide Gentiloni assumesse anche il cognome Silverj dando così il via alla nascita del casato Gentiloni Silverj) fu invece un fiero sostenitore della Repubblica Romana del 1848 e per questo subì un processo e fu espulso dalla Guardia Nobile. Possiamo immaginare che il giovane Gentiloni s’immaginasse emulo di quell’avo.

A Gentiloni, dunque, il termine moderato certo si addice se ci si riferisce al carattere mite nei modi anche quando militava nella sinistra più estrema, ma la sua storia non è politicamente quella di un moderato, bensì di un uomo che si è formato nella sinistra e che di sinistra è rimasto, pur con una forte evoluzione. Dopo gli anni del movimento entra a far parte della rivista Pace e Guerra diretta da Luciana Castellina e Michelangelo Notarianni, due dei fondatori del Manifesto, una sorta di think-thank del pacifismo degli anni ’80. Il primo vero cambiamento politico, una rottura con un certo ideologismo delle sue precedenti esperienze, avviene quando abbraccia la causa ambientalista e diventa direttore di Nuova Ecologia, emanazione della Lega Ambiente di Chicco Testa e Ermete Realacci. Negli anni ’80 l’ecologismo fu una vera e propria rivoluzione culturale a sinistra perché rompeva con l’industrialismo che, in un modo o nell’altro, accomunava la nuova sinistra e quella tradizionale. Così come il femminismo impone un cambiamento di paradigma nel modo stesso di pensare la società, l’ecologismo lo fa nel modo di pensare lo sviluppo. È in quel mondo e in quel momento che Gentiloni incontra il leader politico che sarà decisivo per la sua formazione e la sua ascesa politica: Francesco Rutelli. Il futuro sindaco di Roma, formatosi alla scuola di Marco Pannella, nei primi anni ’90 è il leader dei Verdi cui imprime una forte discontinuità, allontanandoli da quel marchio di estrema sinistra che, a differenza che in Germania e nel resto d’Europa, in Italia ne riduceva il campo di azione.
Così quando Francesco Rutelli diventa sindaco di Roma, Gentiloni lo segue e diventa una delle persone più influenti del suo staff, dapprima come responsabile della comunicazione nel cui ambito muove i primi passi un giovane che avrà un certo futuro: si chiama Filippo Sensi, in arte nomfup, futuro portavoce di Matteo Renzi. Poi diventa assessore al Turismo e al Giubileo, portando a compimento il Giubileo del 2000, considerato forse il più grande successo dell’era Rutelli. Di quegli anni ricordo un Gentiloni onnipresente e lavoratore stakanovista, ma quasi nell’ombra. Al fianco del leader, ma un passo indietro.

Il legame tra i due è saldissimo: sono coetanei, entrambi rampolli della buona società romana, sono di sinistra ma non provengono dalla tradizione comunista. Nel laboratorio romano sperimentano qualcosa che assomiglia molto al futuro Partito Democratico, ma i tempi non sono ancora maturi e così, dopo la cocente delusione del 2001, quando Rutelli tenta la scalata a Palazzo Chigi ma viene sconfitto da Berlusconi, lo segue prima nei Democratici di Romano Prodi e poi nella fondazione della Margherita, insieme ai Popolari. In verità non fu proprio un’esperienza indimenticabile, poiché più che gli elementi di innovazione ulivista sembrarono a tratti prevalere elementi di continuità post-democristiana. È in quegli anni però che incontra l’altro leader importante per la sua ascesa politica: Matteo Renzi, allora presidente della provincia di Firenze.

Diventa ministro delle comunicazioni nel 2006 con il governo di Romano Prodi. Quando nasce il Pd Gentiloni è tra i fondatori e non segue il suo antico mentore, Francesco Rutelli quando questi abbandona i dem. Nel 2013 corre nelle primarie per il Sindaco di Roma risultando terzo, dopo Ignazio Marino e Davide Sassoli. La delusione fu cocente, e molti ritengono che sarebbe stato un ottimo sindaco, forse il migliore possibile. Con il senno del poi, quella sconfitta è stata un formidabile colpo di fortuna, visto come sono andate le cose. È da allora che, partendo dalla condizione di alieno (tali erano allora i renziani a Roma) diventa uno dei punti fermi della galassia renziana: fuori dal giglio magico ma con una sua influenza sulle decisioni del leader, uomo di esperienza ma anche aperto al cambiamento. E infatti del governo Renzi occupa una casella prestigiosa, quella di ministro degli esteri. Di lui si potrà dire che è un po’ grigio, forse un po’ troppo low-profile, che il suo eloquio (fin dagli anni ’70 a dire il vero) non è proprio trascinante. Che non ha mai avuto una forte base di consenso personale.

Quel che non si può dire è che nelle sue scelte non ci sia coerenza, avendo dedicato tutta la sua vita politica da adulto alla costruzione di un soggetto politico riformista disincagliato dalla tradizione post-comunista. Ciò non gli attira certo le simpatie di quel mondo ma lo posiziona in un ruolo centrale nel Pd di oggi dove la componente egemone è proprio quella che non proviene dalla tradizione post-comunista. La sua scelta come successore di Matteo Renzi non può stupire: serve un politico leale, ma con una sua personalità. Leale con Renzi, dunque, in buoni rapporti con il Quirinale e circondato da un generale rispetto, ma consapevole dei limiti del suo mandato.

Starà ora a lui, come a Matteo Renzi, dimostrare di aver inteso la necessità di un cambio di passo dopo il voto referendario: una indispensabile attenzione al disagio sociale e alla sofferenza dei ceti esclusi dalla globalizzazione senza perdere il contatto con quel blocco innovatore e riformista che è il nerbo del Pd di oggi. Non è una sfida che possa essere giocata nei pochi mesi in cui Gentiloni guiderà l’esecutivo, ma certo potrà dare segnali in quella direzione. Diciamo che dovrà riuscire a mantenere la moderazione del carattere ma ispirandosi anche agli ideali della nostra gioventù e all’avo rivoluzionario che si schierò con la Repubblica Romana.

Da - http://www.unita.tv/focus/biografia-paolo-gentiloni-presidente-del-consiglio/
5953  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Commenti di Arlecchino sul web ... inserito:: Dicembre 12, 2016, 03:01:47 pm
M. M. Signor M... (in internet ci si da' del tu) ...fare cose utili a tutti gli Italiani cominciando dagli ultimi ... secondo me significa fare cose ecc ecc. Elencarle per evitare di essere generici, non significa farne strumento di opposizione (super quella della Sinistra-sinistra). Non servono elenchi se si intende far agire il governo e soprattutto pretendere da chi governa che "faccia cose utili" senza limitarsi a confliggere con l'opposizione o poco più. Infine io non ho fatto l'elogio di come si è mosso Renzi, mi sono limitato (come faccio da anni e da uomo di Sinistra) a criticare l'inutilità delle posizioni della Sinistra-sinistra nel suo essere contro il nemico di turno (da un secolo) e in questo penso di essere stato preciso qui sopra. Concludo segnalandole che di Sinistre ne abbiamo due in Italia e il mio auspicio è che finalmente i "professori del marxismo applicato al nulla, rinuncino a cercare di rubare spazio in un CentroSinistra che non spetta loro e che loro hanno massacrato. Si stacchino da quello che oggi si chiama PD e se ne creino (se riescono) uno chiaramente visibile come marxista (o comunista che dir si voglia). Ne saremmo grati e riconoscenti per i molti maramaldi in meno che sarebbero meno presenti sulla scena dell'intero arco costituzionale.
ciaooo
5954  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino. a S. S. inserito:: Dicembre 12, 2016, 02:59:03 pm
Arlecchino risponde o commenta sul web.


A S. Serse Tutto si supera se si vuole, a cominciare dall'essere onesti verso gli elettori e ammettere finalmente che in Italia ci sono due Sinistre, quella marxista e l'altra Socialdemocratica e progressista.

ciaooo




5955  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / JACOPO IACOBONI. Ieri in tv il premier dimissionario Matteo Renzi ha rivendicato inserito:: Dicembre 11, 2016, 05:39:10 pm

Lo sfogo di Renzi: ho perso la fiducia dei giovani. Lavorerò su di loro e sul web
La conversazione con Gramellini: “Non mi faccio incastrare. Mi ricandido alla segreteria sfidando D’Alema o chi metterà lui”
La poltrona
Ieri in tv il premier dimissionario Matteo Renzi ha rivendicato di aver lasciato la poltrona con stile, pur disponendo ancora della maggioranza in Parlamento

Pubblicato il 11/12/2016
Ultima modifica il 11/12/2016 alle ore 08:42

Jacopo Iacoboni
Roma

Una delle riflessioni che sta facendo Matteo Renzi in queste ore dopo la vittoria del No al referendum, e le sue dimissioni da premier, è semplice e difficilmente confutabile dati alla mano: ho perso perché ho perso la fiducia del voto dei giovani.

Ed è su questo terreno - ragiona - che m'impegnerò da oggi in avanti, fino alle elezioni, in qualunque momento ci saranno. Ricostruire comunità, riconquistare i giovani. Puntando anche molto sul web, come spiegheremo meglio più avanti.

Proprio lui, l’ex rottamatore, che comparve sulla scena scompaginando un apparato Pd stantio, ha poi totalmente perso freschezza, la guasconeria che l’aveva fatto sembrare così esterno al Palazzo, e così in grado di sintonizzarsi con una generazione nuova di italiani, s’è presto mutata nella percezione in arroganza. È stata una nemesi impressionante che Renzi finisse con l’essere identificato, a torto o a ragione (o, come spesso accade nella vita, in un mix di entrambe le cose), col simbolo di quella Casta che doveva combattere. Ma è andata così, è un fatto.

La riflessione renziana sui giovani l’ha raccontata ieri in tv Massimo Gramellini durante “Le parole della settimana”, riferendo di uno scambio al telefono, non un’intervista, semmai più un flusso di pensieri, con il presidente del Consiglio dimissionario. Seduto su uno sgabellino con accanto Serena Dandini e Fabio Volo, Gramellini ha raccontato alcune valutazioni interessanti, che vale la pena di riferire.

Innanzitutto Renzi rivendica di avere lasciato la poltrona con stile, pur avendo ancora in Parlamento una maggioranza, e di esserci rimasto male nel vedere politici ed editorialisti che maramaldeggiano in tv, invitarlo a tornarsene a casa. Uno spettacolo, possiamo aggiungere, del
tutto italiano, che colpisce sempre il potente in difficoltà, e tanto più quanto più il potente è (stato) forte (corollario: i primi ad accoltellare sono di solito personaggi dal potente beneficiati).

Contrariamente a quanto uno potrebbe credere, Renzi non è pentito di essersi lanciato nell’avventura del referendum - cosa che s’è rivelata fatale anche per la sua promessa di lasciare in caso di sconfitta. Negli ultimi giorni prima del voto l’allora premier aveva più volte ammesso l’errore di aver personalizzato la consultazione sulla riforma costituzionale, ma è anche vero che ogni volta che l’ammetteva gli tornavano a chiedere cosa avrebbe fatto in caso di sconfitta: insomma, s’è impiccato a una sua stessa frase. 

Eppure, è il ragionamento di Renzi, il mio errore più grosso è stata la riforma della scuola: non è riuscita come avrebbe voluto. Mentre il referendum a suo dire è stata una battaglia giusta perché le riforme erano necessarie, e lo dimostra la vicenda del Monte dei Paschi; Renzi di questo è totalmente convinto (la Bce proprio ieri l’altro ha negato qualsiasi proroga per la ricapitalizzazione, e dunque i 5 miliardi andranno trovati, probabilmente con l’aiuto dello Stato).

Sostiene il segretario del Pd che ci si è trovati, con la vittoria del No, in una situazione kafkiana: i senatori hanno votato la propria abolizione e sono stati rimessi in sella dai cittadini che li detestano. Scherzando, ha aggiunto: quando torno al governo, la prima cosa che faccio sarà nominare il Cnel, quello che non mi hanno fatto abolire. Scherzando ma chissà fino a che punto, si potrebbe chiosare: il «rimettersi in cammino» allude chiaramente a una rivincita, che però va costruita un po’ da lontano, e con un Pd non esattamente suo complice. Almeno, non tutto.

Renzi ha consegnato a Gramellini alcune riflessioni anche sugli aspetti più formali della crisi di governo che in queste ore il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dovuto dipanare, sul ruolo del Pd, ma anche su quello del suo leader. Molti suoi nemici hanno ipotizzato che il passo indietro fosse solo di facciata, o che Renzi si fosse dimesso nella speranza di restare lui dimissionario fino al voto, oppure con l’idea di accettare una plausibile ipotesi di reincarico. Gramellini ha raccontato invece di un premier uscente determinato: non mi faccio incastrare, gli ha detto. Do la campanella con un sorriso al mio successore, sia Gentiloni, Padoan, Godzilla o Jack lo Squartatore. Poi me ne torno cittadino tra i cittadini, senza stipendio né vitalizio. E mentre il nuovo governo Renzi senza Renzi governa, lui si ricandida alla segreteria del Pd, dove sfiderà D’Alema o l’uomo che lui gli metterà contro. Vinco e sparisco da Roma, ha spiegato Renzi, girando l’Italia fino alle elezioni politiche e allargando la squadra, come tutti mi avete chiesto. 

Renzi è convinto di avere con sé circa un terzo degli italiani: che non sarebbe poco - anche se non è esattamente il 40 per cento dei voti per il Sì che alcuni renziani, troppo ottimisticamente, s'intestano, ma è una base su cui impostare una rivincita. Nello scambio telefonico riportato ieri su Raitre, il discorso è andato a cadere inevitabilmente sui giovani, anzi, sull’accoppiata giovani più Internet (e social network). Renzi ha detto a Gramellini di avere perso il voto giovanile perché il Pd è assente dal web, e dunque lui nei prossimi mesi dedicherà tutte le sue energie a ricostruire una comunità digitale. 
Non sarà facile, si può aggiungere, senza mettere a fuoco anche cosa si vuole dire; e quanta cattiveria si è disposti a sprigionare nello spazio cyber, che non è più solo terra di promesse.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/11/italia/politica/lo-sfogo-di-renzi-ho-perso-la-fiducia-dei-giovani-lavorer-su-di-loro-e-sul-web-nf1I71Lwn1r9YdUfY8VsvJ/pagina.html
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