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5926  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Lia Quartapelle - Aleppo non è Srebrenica inserito:: Dicembre 17, 2016, 01:54:54 pm
Opinioni
Lia Quartapelle   @liaquartapelle
· 16 dicembre 2016
Aleppo non è Srebrenica
MondoDem   

Aleppo è il simbolo di un’epoca di riconfigurazione degli equilibri globali

Le immagini e le notizie che ci arrivano dalla città ormai espugnata sono disperanti e vividissime. L’unica certezza è che non sarà possibile dimenticare Aleppo e che ci vergogneremo di quanto non stiamo facendo. Aleppo non è Srebrenica, e non è neanche il Rwanda del 1994. Le immagini e le notizie che ci arrivano dalla città ormai espugnata sono disperanti e vividissime.

L’unica certezza è che non sarà possibile dimenticare Aleppo e che ci vergogneremo di quanto non stiamo facendo, proprio come accadde tra l’aprile e il luglio del 1994 di fronte al genocidio rwandese o al massacro di tutti i maschi musulmani della città bosniaca, sotto gli occhi delle truppe olandesi delle Nazioni Unite, avvenuto l’11 luglio 1995. Tuttavia, Aleppo non è Srebrenica. E non è Kigali. È cambiata, infatti, la natura della guerra, e i conflitti di questa nostra era di disordine globale rendono ancora più difficile discernere chi siano i buoni e quali i cattivi.

A partire dal 19 luglio 2012, l’assedio di Aleppo è proseguito per più di quattro anni. Aleppo è infatti una delle città siriane che dall’inizio della timidissima primavera siriana, trasformatasi velocemente e con crudeltà nella guerra civile siriana, si sono ribellate al regime di Assad. La sua conquista ha assunto quindi da subito una valenza simbolica oltre che strategica, sia per i gruppi anti Assad, che per il regime siriano e i suoi alleati.

E se l’attaccamento al potere da parte di Bashar Assad ha trasformato in brevissimo tempo la guerra civile siriana in una guerra totale, nei luoghi in cui anche simbolicamente si è combattuta più intensamente essa è diventata subito un groviglio inestricabile di crudeltà, ferocia, ingiustizie e torti in competizione tra di loro. Lo scontro ha messo le armi in braccio a tutti. Come in tutti gli assedi prolungati, da Famagosta a Stalingrado, persino le donne e i bambini, per contribuire alla propria sopravvivenza, hanno fiancheggiato le milizie, diventando guerriglieri, sabotatori e parti attive di un conflitto dove le figure delle vittime si fondevano spesso con quelle dei carnefici.

Ecco perché nel conflitto siriano, e in particolare modo ad Aleppo, noi occidentali non siamo stati in grado di capire con chi fosse giusto stare. Tra le milizie che hanno tenuto il controllo di Aleppo est non ci sono milizie democratiche, laiche, ma molti affiliati a gruppi terroristi come il Fronte al-Nusra e il Fronte islamico e milizie che, abbandonate a se stesse, si sono andate via, via radicalizzando. Certo, nella confusione abbiamo guardato con sofferenza e sconcerto le immagini di una città che sotto le bombe e i colpi di mortaio perdeva l’anima, oltre che il suo antico splendore. Ci siamo fatti promotori di iniziative umanitarie, con l’appello di rendere “Aleppo città aperta”, ma senza trovare argomentazioni e motivazioni sufficientemente solide per condurre a una sentenza definitiva sui colpevoli e le loro responsabilità.

Confondere i piani non aiuta a identificare i problemi, e quindi a individuare strumenti per affrontarli. E Aleppo è il simbolo di un’epoca di riconfigurazione degli equilibri globali, sul quale, per tante ragioni, non siamo stati capaci di incidere o abbiamo deciso di non partecipare. Questo, tuttavia, non può rappresentare un alibi. Mentre la propaganda russa parla di cinquemila ribelli e le loro famiglie che aspettano di essere ordinatamente evacuate, il sindaco di Aleppo al Consiglio europeo a Bruxelles denuncia cinquantamila persone in attesa di uscire dalla città, e di più di mille morti nelle strade. Le nuove immagini che ci arrivano da Aleppo con un ulteriore carico di tragedia e impotenza, non devono farci dimenticare perché siamo arrivati fino a qui.

Anche se non sappiamo chi sono i buoni e i cattivi, anche se l’intervento in Iraq e Afghanistan ci hanno insegnato che non si possono facilitare le transizioni con la forza, anche se i civili stessi hanno combattuto la guerra, non possiamo lasciare che si verifichino vendette o rappresaglie su chi si arrende e sta lasciando la città. Di fronte a quelle immagini, a quelle storie, a quei bambini, spesso senza più i genitori, che in gruppetti provano a mettersi in salvo scappando dalla città rasa al suolo, non possiamo voltarci dall’altra parte.

Non dobbiamo dimenticare che la storia umana si è dotata di strumenti come il diritto di guerra e di reati come i crimini di guerra e contro l’umanità, con l’obiettivo di tutelare i valori universali, i diritti umani proprio nelle situazioni più atroci. Dobbiamo chiederne il rispetto. Occorre anche rivedere profondamente la dottrina della responsabilità di proteggere, quella dottrina inventata negli anni Novanta proprio per fare fronte a situazioni come quella che vediamo ad Aleppo. E forse è davvero giunto il momento di riconsiderare la nostra indisponibilità a farci coinvolgere in situazioni come la vicenda siriana, soprattutto quando vengono oltrepassate soglie, i crimini contro l’umanità, che dovremmo aver imparato a considerare insuperabili.

Si tratta di capire quando le molte ragioni per l’opportunità del non fare rischiano di trasformarsi in un alibi che travolge il comune senso di umanità, i valori che riteniamo universali e la fatica che abbiamo la responsabilità di caricarci per fare in modo che questi non siano svuotati.

Nel 2012 si era indicata come “linea rossa” per un possibile intervento armato in Siria l’utilizzo di armi chimiche, ma nell’agosto 2013, dopo l’attacco chimico di Ghuta da parte del regime di Assad, non ci furono reazioni se non quella di continuare a cercare la necessaria soluzione politica. Fu una delle tante volte che davanti al “casino siriano” abbiamo allargato le braccia. Oggi ci troviamo senza parole davanti ad Aleppo. L’auspicio è che il silenzio induca a una riflessione per immaginare iniziative chiare e determinate per denunciare il cinismo russo e iraniano, per condannare la ferocia senza vergogna di Assad, per superare lo stato confusionale occidentale e per salvare le persone in fuga. Per smettere di allargare le braccia.

Articolo tratto da MondoDem – Laboratorio di Politica Internazionale
Da - http://www.unita.tv/opinioni/aleppo-non-e-srebrenica/
5927  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Renziani allo sbando in parlamento, senza Matteo è dura inserito:: Dicembre 17, 2016, 01:53:42 pm
Renziani allo sbando in parlamento, senza Matteo è dura
Con l’ex premier in esilio a Pontassieve c’è il “rischio di sbandare”

Pubblicato il 16/12/2016
Ultima modifica il 16/12/2016 alle ore 22:35
Andrea Carugati
Roma

La necessità di incontrarsi, di serrare i ranghi, perché col Capo momentaneamente fuori gioco nel suo esilio a Pontassieve c’è “il rischio di sbandare”. Mercoledì mattina, palazzo Madama. I senatori renzianissimi si incontrano guidati da Andrea Marcucci in un auletta, poco prima della fiducia a Gentiloni. Sono una ventina, quelli dell’inizio. I fedelissimi. Ci sono Rosa Maria Di Giorgi, Roberto Cociancich, Mauro Del Barba, Stefano Collina, Laura Cantini. “Senza Matteo è dura”, il sospiro di molti. Fino al 4 dicembre la linea la dava lui, senza esitazioni. E ora? “Dobbiamo capire cosa vuol fare domenica all’assemblea”. Tra i senatori di stretta osservanza non ci sono molti dubbi. “Bisogna votare al più presto”, ripete Marcucci ai suoi. “Se si passa l’estate come la reggiamo la polemica dei 5 stelle sui vitalizi? Diamo l’idea di avere paura del voto”, rincara Cociancich che ha guidato il comitato per il Sì al referendum.

Le paure, i fantasmi, non solo legati solo al fuoco delle opposizioni. Ma anche agli equilibri dentro il Pd. I renziani temono la presa di Franceschini sui gruppi parlamentari. Di perdere il controllo mano a mano che la legislatura dovesse allungarsi. E vedono tutti gli ostacoli di qui al voto in primavera: a partire dalla legge elettorale. In Senato la commissione Affari costituzionali ha perso la guida ferma di Anna Finocchiaro. “E ci sono ben tre senatori della minoranza, tra cui Gotor e Migliavacca”, spiega Marcucci. Il rischio è che senza una guida sicura la commissione si trasformi in un pantano. La soluzione per la presidenza potrebbe essere Vannino Chiti, non renziano ma considerato leale. “E adesso c’è pure la vicenda Mediaset che potrebbe spingere Berlusconi a far durare il governo il più possibile”, avverte un senatore. 

Insomma, il Piano A, quello delle primarie a marzo per il candidato premier e delle urne “entro giugno” si è già messo in salita. E anche tra i diversamente renziani c’è chi ha iniziato a suggerire al leader che è meglio” una fase di decompressione”. Evitare quindi una corsa alle primarie e al voto. Lasciare che Gentiloni faccia qualche correzione per recuperare consensi. Tra questi “prudenti” si iscrivono calibri del peso di Lorenzo Guerini e Graziano Delrio. La partita quindi non è più solo coi bersaniani che premono per evitare le urne, o con Franceschini e i Giovani turchi di Orfini e Orlando. Il “che fare?”, dopo la botta del 4 dicembre, si sta facendo strada anche tra i renziani. Suscita domande. Rischia di far sbandare. “Per il G7 serve un nuovo governo fresco di elezioni”, insiste Cociancich. Che pure, a domanda sulla tenuta dei gruppi, ammette: “E’ possibile che non tutti, nella maggioranza che guida il partita, ci seguano su questa strada”.

Ma anche dentro la riunione c’è chi vede questa road map come impraticabile. “Ho molti dubbi che l’agenda ci consenta di votare un primavera”, mette in chiaro Rosa Di Giorgi. “Prima c’è da aspettare la Consulta il 24 gennaio, poi gli impegni internazionali. Ci sono da fare decreti attuativi per molte riforme che noi abbiamo portato avanti…”. “Bisogna riflettere con molta attenzione”, avverte. “Analizzare il risultato del referendum, pensare bene alle conseguenze delle nostre decisioni, senza fare danni al Paese. A me pare che serva un momento di riflessione”. D’accordo con lei anche Lepri e altri renziani cattodem. Sullo sfondo l’avvicinarsi della pausa natalizia, che potrebbe congelare i dubbi del Pd fino a metà gennaio. Soprattutto se Renzi, come qualcuno sussurra, domenica all’assemblea dovesse decidere di non convocare le primarie per marzo. “Il tempo gioca contro Matteo”, si sfoga un fedelissimo.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/16/italia/politica/renziani-allo-sbando-in-parlamento-senza-matteo-dura-x25kNDEHvdtPwXKaQdEn9H/pagina.html
5928  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FRANCESCO BEI. Renzi e Gentiloni, prima lite sul ruolo di Boschi e Lotti inserito:: Dicembre 17, 2016, 01:52:29 pm
Renzi e Gentiloni, prima lite sul ruolo di Boschi e Lotti
Il premier vorrebbe affidare la delega sul Cipe a De Vincenti per dare un senso al ministero per il Sud, ma il leader Pd: è di Luca

Pubblicato il 17/12/2016     Ultima modifica il 17/12/2016 alle ore 09:50
Francesco Bei
Roma

Non è ancora una crepa, ma certo nell’ingranaggio finora oliato dei rapporti fra Paolo Gentiloni e Matteo Renzi qualcosa non sta girando per il verso giusto. Stavolta non si tratta di sfumature lessicali, come quando il nuovo presidente del Consiglio, nel discorso sulla fiducia, ha messo in chiaro - senza tener conto delle impazienze di Renzi - che il suo governo non ha una scadenza, anzi andrà avanti «finché avrà la maggioranza».

 No, stavolta si parla di una questione molto più delicata, il ruolo di Luca Lotti e Maria Elena Boschi a Palazzo Chigi. 

Che Gentiloni abbia dovuto pagare un forte prezzo politico e d’immagine per far contento il leader dem e mantenere Boschi nella squadra, nonostante le promesse di lasciare la politica in caso di sconfitta al referendum, è noto. Quello che non è stato ancora raccontato è che fino all’ultimo il presidente incaricato ha provato a puntare i piedi, cercando di convincere il segretario del Pd “dell’errore politico” che stava commettendo. Una discussione che si è protratta a lungo nelle ore successive alle dimissioni di Renzi. A sentire gli habitué del Quirinale, anche sul Colle ha provocato un certo stupore e imbarazzo l’insistenza di Renzi, che avrebbe trattato per avere precise garanzie sul ruolo dell’ex ministra delle riforme, prima ancora di discutere il nome del nuovo presidente del Consiglio.

Giusta collocazione 
Incassata la Boschi, si trattava di trovare la giusta collocazione anche per Lotti, l’altro dioscuro del renzismo. La sua presenza al governo, al contrario di Boschi, non destava alcun problema in Gentiloni e nemmeno l’upgrade da sottosegretario a ministro dello Sport. Le complicazioni sono arrivate dopo e riguardano le deleghe da attribuire al neotitolare dello Sport. Perché Lotti, spalleggiato da Renzi, dà per scontato di mantenere almeno le competenze che aveva da sottosegretario su editoria e, soprattutto, sul Cipe, dopo che è sfumata la speranza di avere sotto di sé i Servizi segreti. Mentre Gentiloni sarebbe di tutt’altro avviso e avrebbe ingaggiato un braccio di ferro con l’ex presidente del Consiglio, adottando la tattica del muro di gomma, senza andare allo scontro aperto. Sta di fatto che, a tre giorni dal voto di fiducia, le deleghe a Lotti sono ancora un mistero.
Da Palazzo Chigi fanno sapere che il lavoro è in corso, i testi sono quasi pronti, ma di fatto è ancora stallo. Potrebbe sembrare una questione di lana caprina, un puntiglio. Se non fosse che dal Cipe, il comitato per la programmazione economica, e soprattutto dal Dipartimento Cipe presso la presidenza del Consiglio, passano tutte le decisione strategiche sulle infrastrutture da fare. E’ quello il luogo della pianificazione di tutti i grandi appalti italiani, mentre la parte operativa viene poi delegata ai ministeri competenti. Un posto di grande potere, com’è evidente. A cui Lotti, sostenuto da Renzi, non vuole assolutamente rinunciare. 

L’idea di Palazzo Chigi 
Qual è invece l’idea di Gentiloni? «Come si può giustificare - è il ragionamento del premier - che il ministro dello Sport abbia la delega sul Cipe, che senso ha? Meglio affidarla al titolare del Mezzogiorno». Il ministro della coesione territoriale e del Mezzogiorno, dicastero nuovo di zecca e fiore all’occhiello di Gentiloni (che vuole dimostrare di aver sentito la rabbia che è salita dal Sud il 4 dicembre), al momento infatti è una scatola vuota. C’è la targa sulla porta, mancano i poteri veri. Tanto che il povero Claudio De Vincenti è stato definito dagli avversari “il ministro dei convegni”. Perché oltre a quelli per il Mezzogiorno potrà fare poco. 

 Braccio armato 
La programmazione regionale è del ministro Enrico Costa, i fondi europei, che sarebbero di sua competenza, sono già tutti impegnati fino al 2020, della parte operativa dello sviluppo si occupa Invitalia, braccio armato del ministero di Carlo Calenda. L’unica strada per dare un senso al ministro del Meridione, per Gentiloni, è quindi metterlo a capo della cabina di regia del Cipe. Il precedente del ministro Fabrizio Barca, che cumulava le deleghe sul Cipe, sulle regioni e sui fondi europei, farebbe pendere la bilancia a favore di De Vincenti. Ma la resistenza di Lotti e Renzi è potente e Gentiloni rischia di finire stritolato tra due vasi di ferro. 

Il Giglio Magico 
Su una cosa tuttavia sono tutti d’accordo nel governo: le deleghe su Cipe ed Editoria, che di norma vanno al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, non possono finire a Boschi. Il primo a dolersene sarebbe proprio Lotti, da sempre rivale di “Meb” nel Giglio Magico.
 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/17/italia/politica/renzi-e-gentiloni-prima-lite-sul-ruolo-di-boschi-e-lotti-tS4U7SRL0RUxtxy8bbOq2H/pagina.html
5929  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Fabrizio BARCA. L’Elefante e il Cavaliere Promemoria sul Referendum Costituzione inserito:: Dicembre 17, 2016, 01:49:40 pm
L’Elefante e il Cavaliere: Promemoria sul Referendum Costituzionale
Pubblicato in: Il blog   il 29 settembre 2016 da Fabrizio Barca 35 commenti   
L’Elefante e il Cavaliere: Promemoria sul Referendum Costituzionale   
Due parole animano questo pro-memoria sul Referendum costituzionale. Sentimento e Ragione.

Il Sentimento. La decisione di noi italiani sul Referendum costituzionale sarà dettata, come sempre avviene – si pensi al recente Referendum britannico – dal Sentimento, ossia da un processo cognitivo istintivo, non da una ricerca approfondita delle “ragioni”: a guidarci sarà il convincimento emotivo circa le conseguenze per la nostra vita dell’uno o dell’altro esito. Qui a contare saranno due considerazioni assai diverse. Una riguarda le “conseguenze per gli anni a venire” di modificare (come proposto) o di non modificare la Costituzione. L’altra riguarda le “conseguenze del mattino dopo” sulla guida del paese, proprio mentre in Europa e nel mondo monta tempesta.

La Ragione. Comunque finisca, a Referendum celebrato la macchina della Repubblica deve marciare a spron battuto attuando la Costituzione imperfetta che si ritroverà fra le mani. Se avrà vinto il SI, si dovrà subito tentare di limitare con una legge la degenerazione della qualità dei senatori, si dovrà gestire un ambiguo riparto di competenze fra Regioni e Stato, si dovranno chiarire subito i tanti e oscuri percorsi legislativi Camera-Senato, e altro ancora. Se avrà vinto il NO, si dovrà evitare che la doppia fiducia di Camera e Senato continui a produrre governi senza anima, che il governo abusi dei decreti legge, che un quorum troppo elevato uccida il Referendum abrogativo, e altro ancora. Comunque finisca, insomma, noi tutti dovremo lottare per una “buona attuazione”, altrimenti, in entrambi i casi, non cambierà nulla, anzi monterà solo una grande delusione. E per lottare dobbiamo conoscere sin da ora, al meglio delle nostre possibilità, con la Ragione, di cosa stiamo parlando.

Sentimento e Ragione. Il primo è l’Elefante che con la sua potenza guida le nostre decisioni. La seconda è il Cavaliere che monta l’Elefante: sa guardare lungo e intravede rischi e opportunità e per questo si è guadagnato un ruolo (sussidiario), ma solo se riesce a comunicare con l’Elefante (Utilizzo la metafora dello psicologo morale Jonathan Haidt, permettendomi di declinare i termini Cavaliere ed Elefante in modo difforme dal gergo politico prevalente nell’ultimo venticinquennio). Ecco perché condivido pubblicamente questo pro-memoria personale. Non sono affatto un “esperto” della parte ordinamentale della Costituzione, ma nella vita mi sono trovato ad applicarla in tanti diversi ruoli. E per prendere ora una decisione ho cercato di costruirmi un ponte fra Ragione e Sentimento. Chiedendomi in che modo la riforma costituzionale impatta sui cinque pilastri del “buon governo” a cui tutti aspiriamo: Efficienza, Efficacia, Certezza, Partecipazione, Garanzie. Si tratta delle “conseguenze per gli anni a venire”, insomma dello sguardo lungo, che, affiancandosi alle preoccupazioni per il “mattino dopo”, potrà ispirare il Sentimento nella sua decisione finale.

Il mio ponte è artigianale, ma è fatto con corde intessute grazie a tanti contributi e letture, e ha retto a un primo test nel mio circolo @PDGiubbonari. Sono così arrivato a due conclusioni. Le riassumo brevemente, invitandovi poi alla lettura e augurandomi che il ponte sia usato da altri e che qualcuno magari mi convinca a cambiare idea.

La prima conclusione è un forte invito a non eccitare l’Elefante, né per il SI né per il NO al Referendum. Non ve n’è ragione, perché, sulla base del mio metodo di valutazione, le conseguenze della riforma sulla nostra vita per gli anni a venire non appaiono né positive, né negative. O meglio, come cerco di mostrare, la riforma sembra produrre molte conseguenze lievemente positive e molte lievemente negative, in un bilanciamento incommensurabile che ci spinge alla sostanziale indifferenza sull’esito. Se eccitiamo oggi l’Elefante, lo facciamo senza fondamenta. Quando scoprirà, chiunque vinca, che non ha raggiunto la terra promessa, sarà furibondo e non lo controlleremo più. Per quanto mi riguarda, dunque, mettendo per ora da parte ogni istinto sulle “conseguenze del mattino dopo” – con cui prima del 5 dicembre dovrò pur fare i conti – la soluzione è l’astensione, “astensione attiva”, come mi è stato suggerito, visto che non è segno di disinteresse, ma di un percorso che mira a essere utile per il “dopo voto”: recarsi alle urne e annullare la scheda ne sarebbe il segno più chiaro.

La seconda conclusione riguarda ciò di cui invece dovremmo parlare all’Elefante. Dobbiamo parlargli della “sacralità” del processo democratico che stiamo vivendo, rimediando, noi tutti cittadini italiani, al limite mostrato dal nostro Parlamento nel mancare il quorum dei 2/3. Della saggezza dei nostri Costituenti nel prevedere questo meccanismo rimediale. Della necessità, in questo passaggio drammatico della storia europea, che la nostra Repubblica sia coesa attorno ai Principi, intoccabili e intoccati, della I parte della Costituzione. Della necessità, qualunque sia l’esito referendario, che questi principi siano meglio attuati; e dunque che tutti assieme, dal mattino dopo e comunque finisca, evitando inni alla “vittoria” o alla “tragedia”, si lavori affinché i punti deboli della soluzione che ha vinto siano contrastati e circoscritti e i punti forti esaltati e attuati. Anche perché, grazie al Referendum, li avremo finalmente meglio compresi (se useremo bene le prossime settimane). Dobbiamo tornare a “fare politica”, ad animare di “cultura” il nostro confronto, a monitorare gli esiti, a rivitalizzare i partiti e la cittadinanza attiva perché le cose che sentiamo giuste avvengano davvero. Perché la parte ordinamentale della Costituzione, qualunque sia il risultato, venga applicata al meglio.

Procedo dunque a riassumere in modo sintetico, nello spirito e con linguaggio di un promemoria personale (Manca ad esempio ogni riferimento al testo costituzionale attuale e modificato – che trovate ad esempio molto ben chiosato nelle preziose Appendici del volume di Salvatore Settis “Costituzione!”, Einaudi 2016), i principali effetti che l’insieme dei cambiamenti proposti dalla legge sottoposta a Referendum confermativo sembrano produrre sul funzionamento dell’Ordinamento della Repubblica, giudicato in base a cinque dimensioni:

    Efficienza, nel senso di tempestivo adattamento a un contesto volatile (Trascuro qualsiasi riferimento all’efficienza in termini di costi, dal momento che, pur significativi in assoluto, i costi di esercizio degli organi dell’Ordinamento sono statisticamente irrilevanti a fronte dei costi/benefici derivanti da un “cattivo/buon governo”).
    Efficacia, nel senso di qualità/impatto delle decisioni sulla nostra qualità di vita.
    Certezza, nel senso di stabilità del governo, delle leggi, della stessa Costituzione.
    Partecipazione, nel senso di capacità di acquisire direttamente e utilizzare conoscenza e preferenze dei cittadini e dei lavoratori.
    Garanzie, delle minoranze e in generale nel senso di auto-correzione sistemica di fronte a eventi/azioni imprevisti o estremi.

È difficile e soggettivo pesare queste dimensioni – quanto siamo pronti a cedere dell’una per avere un tot in più dell’altra? – ma certo se per alcune si osservasse un miglioramento senza che per le altre vi fosse un peggioramento, diremmo che è cresciuta la capacità dell’Ordinamento della Repubblica di realizzare i principi della prima parte della Costituzione, al servizio dei quali l’Ordinamento stesso è posto.

Prima di passare la riforma costituzionale a questo vaglio, servono due caveat su quello che non faccio qui e perché.

Primo, non giudico il processo legislativo con cui la riforma è stata elaborata. Non vi sono dubbi che si tratta di un cattivo processo, visto che non ha raggiunto quel largo consenso parlamentare che i Costituenti hanno cifrato in 2/3 del Parlamento (e che la riforma stessa riconosce valido, non avendo modificato questa previsione). E sul piano politico ha peso l’argomento che questo Parlamento, eletto con legge elettorale poi giudicata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, avrebbe dovuto avvertire doveri e limiti ancor più forti. E tuttavia, grazie alla saggezza dei Costituenti, noi siamo chiamati a porre rimedio a queste deficienze, trasformandoci in “costituenti”. Lo stesso atto referendario, comunque si voti, ri-democraticizza dunque il processo. Votare senza guardare il merito e giudicando il metodo mi appare dunque contraddittorio.

Secondo, non giudico la riforma “in connessione” con la legge elettorale, perché l’Ordinamento della Repubblica su cui siamo chiamati a esprimerci è scelto, come il precedente, per convivere con ogni legge elettorale, “per sé”. Dobbiamo giudicare se sia migliore/peggiore/uguale al precedente indipendentemente dalle leggi elettorali con cui potrà essere combinato. Si dice: “ma la legge elettorale approvata per la Camera è pessima e combinata con la riforma costituzionale …”. Attenzione: la legge elettorale è assai più che pessima, è terribile, perché impedisce una buona selezione di classe dirigente e stravolge la rappresentanza rispetto alle preferenze dei votanti; ma lo è in connessione con qualunque Ordinamento della Repubblica.

E veniamo al vaglio della riforma utilizzando le cinque dimensioni. Accanto a ogni dimensione o sub-dimensione indico con “=” una sostanziale invarianza, con “-“ un peggioramento, con “+” un miglioramento. I segni “=-“ e “=+” indicano effetti lievi.

Ovviamente, pur argomentando sinteticamente i giudizi e i segni che propongo, si tratta – è ben chiaro – di mere “ipotesi di effetto”, assolutamente non dimostrate e opinabili. Per questo uso espressioni come “promette di”, “dovrebbe”, “potrebbe”, “appare”. Queste ipotesi hanno il solo pregio di essere proposizioni trasparenti: chi volesse argomentare il contrario potrebbe e potrà portare quegli elementi di giudizio che io non ho colto o che ignoro. E che magari potrebbero modificare il giudizio finale di “sostanziale indifferenza”. E che con certezza possono accrescere la nostra conoscenza collettiva, utile il mattino dopo, comunque vada a finire.
1. Efficienza (=+)

Due modiche introdotte dalla riforma impattano sull’efficienza, in termini di tempestività: l’abolizione del bicameralismo perfetto, per cui solo una parte delle leggi dovrà ricevere il voto vincolante del Senato (“funzione legislativa esercitata collettivamente”), e l’inserimento di alcuni vincoli temporali nel processo legislativo. Queste modifiche promettono di ridurre i tempi di discussione e approvazione di molte leggi e dunque la capacità di reazione legislativa a fronte di un contesto economico e sociale volatile, che chiede decisioni urgenti. Questo miglioramento appare tuttavia di presumibile lieve portata alla luce delle seguenti considerazioni:

a) la lunghezza delle procedure legislative dipende in larga misura dalla volontà politica, b) nell’esperienza concreta il cosiddetto ping-pong Camera-Senato ha riguardato una parte minoritaria della legislazione, c) la difficoltà di decidere, legge per legge, se debba o non debba scattare il bicameralismo e il fatto che, in ogni caso, il Senato può decidere (“su richiesta di un terzo dei suoi componenti”) di esaminare ogni provvedimento e può “formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera”, possono introdurre ostacoli politici nuovi, e infine d) la reattività di un sistema ordinamentale moderno non si misura tanto con la tempestività di modifica delle sue leggi (come avvenuto ad esempio per le leggi del mercato del lavoro, dove ogni singolo articolo – è la stima di un paper della Banca d’Italia – è stato modificato nei successivi due anni una volta e mezzo), ma con la capacità di adattamento dell’azione amministrativa a normativa data.
2. Efficacia (=-)

Per quanto riguarda l’efficacia intesa come capacità di produrre “buone decisioni”, la riforma impatta su due piani distinti:

A. Efficacia del Parlamento (=-)

Qui considero due canali di influenza della riforma:

    Singolo passaggio alla Camera (=)
    Appare impossibile determinare il segno del cambiamento sulla base delle informazioni reperite. Infatti, da un lato, si può sostenere che la venuta meno del doppio passaggio riduce la possibilità di identificare errori o mancanze, peggiorando così la qualità delle leggi. Ma dall’altro, si può argomentare che nel ping-pong cresce il peso di gruppi di interesse e dunque un “mercato dei commi di legge” che distorce i provvedimenti. Temerario tirare una somma dei due effetti opposti
    Selezione e motivazione dei senatori (-)
    Qui l’effetto della riforma appare decisamente negativo. La difficile sostenibilità da parte di Consiglieri Regionali e Sindaci dell’incarico aggiuntivo e non remunerato di “senatore” e l’”immunità parlamentare” di cui si ritrovano a godere (per effetto dell’articolo 68 dell’attuale Costituzione) suggeriscono che si avrà una forte spinta a una “selezione avversa” dei nuovi senatori, che penalizzerà i migliori e più dedicati e retti fra i possibili candidati. Inoltre, essendo prevista una rappresentanza a titolo personale e non una rappresentanza collettiva regionale, i nuovi senatori di ogni Regione non saranno indotti a portare collegialmente in Senato un punto di vista mediato della classe dirigente politica della propria Regione; saranno viceversa indotti a negoziare il proprio voto in Senato (presumibilmente all’interno del proprio partito) per “concessioni” da esibire poi individualmente in sede locale. Non è chiaro se e come la legge che potrebbe intervenire a “regolare le modalità … di elezione dei membri del Senato tra i consiglieri e i sindaci” possa lenire queste criticità.

B. Efficacia del governo multilivello Regioni-Stato (=)

L’efficacia complessiva dell’ordinamento dipende anche dalla capacità di divisione del lavoro e di cooperazione cognitiva fra livelli di Governo. Qui considero tre cambiamenti relativi al livello Regioni (trascuro il tema Province dove la riforma sancisce una situazione già prodottasi):

    “Il Senato rappresenta le istituzioni territoriali” (=)
    La riforma così recita all’articolo 55. In realtà, come visto sopra, a sedere in Parlamento sono singole figure prive di un impegno di rappresentanza delle proprie Istituzioni. In particolare, il voto dei Consiglieri regionali / Senatori in nessun modo impegna il loro Consiglio e tantomeno il Governo regionale. Non si attiva quindi un canale nuovo di cooperazione fra i due livelli di Governo, e infatti rimarrà operativa la Conferenza Stato-Regioni. Nessun peggioramento, nessun miglioramento
    Riallocazione di funzioni dalle Regioni allo Stato (=)
    Come noto, la riforma abolisce formalmente la “concorrenza” di funzioni fra Stato e Regioni, prevedendo per i due livelli solo competenze “esclusive” (assegnando alle Regioni anche ciò che non è “espressamente riservato allo Stato”). Tuttavia, per materie fondamentali il nuovo testo, consapevole delle competenze ormai maturate presso le Regioni, suddivide la materia fra due esclusività, delle Regioni e dello Stato: ad esempio per la salute, lo Stato ha le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute”, le Regioni hanno ”la programmazione e organizzazione dei servizi sanitari”. Non sembra dunque prevedibile, nei fatti, un significativo cambiamento (ed è probabilmente un bene), sempre che non si aprano – per via del testo – nuovi contenziosi. D’altro canto, se in alcuni casi si dovesse avere un’effettiva ricentralizzazione di funzioni, nasce un dubbio: è lo Stato pronto (in termini di risorse umane e cultura) a riprendersi tali funzioni? (Si noti a riguardo che il mancato “indirizzo nazionale” successivo al decentramento massiccio del 2001 va attribuito più all’incapacità dello Stato di agire che a un impedimento costituzionale, come mostra il caso della sottoutilizzazione dei commi m e r dell’articolo 117 attualmente in vigore). Tirando le somme, un’invarianza è l’ipotesi più probabile.

Complessivamente, quindi, il presumibile forte effetto negativo su selezione e motivazione dei senatori fa pendere la bilancia dal lato del peggioramento, lieve per via degli altri non-peggioramenti.

C. Certezza (=)

Per certezza si intende qui sia la probabilità che dopo un’elezione politica si possa formare un governo che non sia il collage precario di forze lontane, sia la certezza delle norme: quella dei cittadini, che una volta approvata una legge e adattati i propri comportamenti, se la vedono spesso cambiare per via di un ricorso alla Corte Costituzionale, o – peggio ancora – che una volta approvato/respinto un testo costituzionale rischiano vederselo rimettere in discussione con più facilità di un Regolamento condominiale. Rilevano allora quattro aspetti:

    Stabilità di governo (+)
    Con l’affidamento alla sola Camera della fiducia al Governo cresce certamente, rispetto al caso attuale di due distinti atti di fiducia, uno per ramo del Parlamento, la probabilità che sia data fiducia a un governo composto da forze politiche coese, “con un’anima” ho scritto prima. Non era il solo modo di ottenere questo esito, ma è certamente positivo.
    Iter parlamentare (-)
    Le molteplici possibilità previste in merito al coinvolgimento del Senato nel procedimento legislativo e la farraginosità del testo daranno presumibilmente luogo a incertezze nel Parlamento e fuori, foriere di tensioni politiche.
    Impugnabilità da parte delle Regioni (=)
    Per il motivo già richiamato – il fatto che il voto dei Consiglieri Regionali / Senatori non impegna la volontà del legislativo, né dell’esecutivo delle proprie Regioni – nulla dovrebbe cambiare circa l’incertezza legata alle contestazioni di incostituzionalità.
    Stabilità costituzionale (-)
    Il processo con cui la riforma è stata approvata e il mancato conseguimento (come già in precedenti riforme, ma mai per così tanti articoli) del quorum dei 2/3, mentre non inficia in sé il testo che votiamo – come ho argomentato prima – introduce ulteriore incertezza nella stabilità nel tempo della parte ordinamentale della Costituzione. Forte sarà la convinzione, in caso di approvazione della riforma con un margine non eclatante di voti, che essa sarà presto nuovamente modificata.

È quasi impossibile pesare i due effetti opposti sulla stabilità costituzionale e dei governi. Me la cavo ipotizzando che l’insieme degli effetti produca sostanziale invarianza. Pronto a rivedere il giudizio di fronte a robusti argomenti.

D. Partecipazione (=+)

La riforma costituzionale propostaci non apre purtroppo (salvo un assai vago riferimento a “formazioni sociali” nel prevedere possibili “altre forme di consultazione”) alle nuove forme di partecipazione attiva e diretta alle pubbliche decisioni che, in forme variegate di cittadinanza attiva, rappresentano la novità più sfidante delle nostre democrazie. E neppure apre al tema delle nuove forme di collaborazione (attiva e autonoma, o viceversa passiva e subordinata) dei lavoratori nelle imprese, che segna una delle linee evolutive del capitalismo. Sono due fenomeni che assumono particolare rilievo anche in Italia e che, più di altri, domandavano un adeguamento dell’Ordinamento della Repubblica. Ma la riforma ritocca in modo significativo le forme tradizionali di partecipazione diretta dei cittadini alle pubbliche decisioni:

    Forme tradizionali di partecipazione diretta dei cittadini (=+)
    Viene ridato spazio al referendum abrogativo, prevedendo che, ove sia proposto da almeno 800mila cittadini (anziché le 500mila, cifra minima), il quorum del “50%+1” sia calcolato sul numero di votanti alle ultime elezioni politiche, anziché sul numero dei cittadini aventi diritto. Innalzando il numero di richiedenti da 50mila a 150mila, viene previsto che le leggi di iniziativa popolare debbano essere esaminate dalla Camera. Infine, affida a una legge la possibilità di introdurre “referendum popolari propositivi e d’indirizzo nonché … altre forme di consultazione”. A questi effetti positivi si contrappone la perdita da parte dei cittadini della possibilità di selezionare in modo diretto i membri del Senato.

Nessuna attenzione, invece, al lavoro. Alla opportuna abolizione del CNEL, che non ha conseguito la propria missione, non corrisponde alcuna soluzione per presidiare l’impegno di cui l’articolo 3 della Costituzione fa carico alla Repubblica: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono … l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Un’occasione persa dall’intero Parlamento. Il giudizio complessivo resta lievemente positivo.

E. Garanzie (=)

La prima e più importante cosa da notare in termini di garanzie, tema che era delicato nel 1948 e resta delicato, specie di fronte ai rischi involutivi di questa fase, è che la riforma costituzionale non accoglie in alcun modo il tentativo in corso da oltre venti anni (che pure ha avuto aperture in passato anche nel centro-sinistra) di stravolgere la nostra democrazia parlamentare in una democrazia presidenziale. In particolare, restano immutati i poteri del Presidente della Repubblica:

    Presidente della Repubblica (=)
    Il Presidente conserva il potere di nomina del Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, dei Ministri: passaggio decisivo per assicurare che il Presidente del Consiglio sia un primus inter pares, e che i Ministri, se ne hanno competenza e forza, diano vita in Consiglio a quel confronto acceso e informato che è decisivo per ben governare. Il Presidente conserva anche gli altri poteri e fra questi quello di indire le elezioni, sciogliere la Camera, chiedere alla Camera una nuova deliberazione prima di promulgare una legge. Per quanto riguarda la sua elezione (da parte congiunta di Camera e Senato), la nuova previsione per cui, “dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza di tre quinti dei votanti” (anziché la “maggioranza assoluta” ma “dell’assemblea”, come prima) potrebbe creare situazioni paradossali in presenza di elevata astensione.
    Corte Costituzionale (=)
    Conserva poteri e modalità di nomina ed è aggiuntivamente investita del potere di “giudizio preventivo di legittimità costituzionale [delle leggi elettorali di Camera e Senato] … su ricorso motivato presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera o da almeno un terzo dei componenti del Senato …”. Questa previsione serve a evitare il paradosso di “scoprire” che una legge elettorale è incostituzionale dopo averla già utilizzata, come avvenuto.

A fronte di questi presidi, si riduce, ovviamente, la funzione di garanzia implicita nel bicameralismo perfetto, ossia nel ruolo vincolante del Senato nell’approvazione di tutte le leggi. Tuttavia, il fatto che il Senato possa, come ricordato, “su richiesta di un terzo dei suoi componenti”, esaminare ogni disegno di legge e deliberare “proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva” e inoltre possa “svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera”, mentre riduce i miglioramenti di efficienza, crea un meccanismo di garanzia. Complessivamente appare emergere anche qui un giudizio di invarianza.

E siamo alla conclusione. È ora chiaro, mi auguro, perché mi sono convinto che l’insieme della riforma né peggiora, né migliora la capacità dell’Ordinamento della Repubblica di attuare i principi della Costituzione stessa, ossia di “farci vivere al meglio”. Certezza e Garanzie sembrano restare invariate. Per Efficienza e Partecipazione sembra esservi un lieve miglioramento. Ma l’Efficacia sembra peggiorare. Ecco che la Ragione (il Cavaliere), provando a guardare lontano, non ha alcuna ragione di eccitare il Sentimento (l’Elefante) né verso il SI, né verso il NO. Ma deve piuttosto spronare la sua potenza a emozionarsi per la “sacralità” dell’esercizio democratico che stiamo compiendo, e per l’impegno che, comunque finisca, ci attende dopo il voto per attuare la nostra Costituzione.

Da - http://www.fabriziobarca.it/
5930  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Enrico ROSSI Essere coerenti con la nostra storia inserito:: Dicembre 17, 2016, 01:47:47 pm
Opinioni
Enrico Rossi   @rossipresidente
· 16 dicembre 2016
Essere coerenti con la nostra storia

La replica del presidente della Regione Toscana a Fabrizio Barca. “Sono con te, uniamoci per cambiare il partito e le regole del gioco prima del Congresso”

Dalla chiusura delle urne del 4 dicembre, nonostante la direzione nazionale permanente, siamo ancora privi di un dibattito serio e profondo sul significato del voto per la vita, la natura e il destino del nostro Partito e del nostro Paese. Non è una novità. Anche dopo la bruciante sconfitta delle amministrative in città come Roma, Torino e Napoli, accadde la stessa cosa e fummo travolti da una nuova campagna elettorale, quella referendaria.

Eppure, a pochi giorni dal referendum, non erano mancate altre spie eloquenti, come quella di Monfalcone, area storica del nostro insediamento persa in modo eclatante. Ancora una volta, muti davanti a questa catena di sconfitte – referendum compreso – il lavacro di nuove elezioni sembra essere l’unica risposta possibile. È giunto però il momento di fermare i motori e i camper, altrimenti lo schianto sarà distruttivo.

Dopo il voto amministrativo scrissi, da queste colonne, che la causa della sconfitta elettorale andava cercata negli errori del governo e del premier-segretario Matteo Renzi, identificati come sostenitori di un assetto economico e sociale ostile alla nostra g ente. Invocavo allora politiche serie a favore dei vecchi e nuovi poveri, dei disoccupati e delle famiglie in sofferenza che sostengono anziani, malati e disabili, dei giovani senza lavoro, dei pensionati al minimo, delle partite iva e delle imprese più dinamiche, che sono in cerca di nuove relazioni territoriali e servizi più efficienti.

L’unica politica possibile e alternativa all’austerità può muovere da una legge contro la povertà assoluta, piani occupazionali mirati, investimenti pubblici e sostegno a quelli privati, dalla riduzione del cuneo fiscale. In assenza di un intervento massiccio saranno solo i lavoratori a pagare il conto. Ecco perché insisto col dire che portare in primo piano la questione sociale e l’emergenza lavoro, a partire dal Mezzogiorno e dai giovani, è l’unica azione prioritaria e urgente che tocca al nuovo governo, per evitare di restare fotocopia del precedente nella forma e nella sostanza.

Per il Partito invece, allora e ora, chiedo – come ha già fatto Fabrizio Barca – di dar vita a un organismo collegiale, che rappresenti al di là del loro peso tutte le aree del partito, le personalità e i territori. Solo così il pluralismo del Pd potrà esprimersi e confrontarsi nel merito, superando il deserto occupato dalle macerie della sconfitta e dall’ombra di un leader in solitudine lanciato di nuovo verso le urne. Affidiamo a un organismo ristretto, legittimato da un voto in assemblea e da un mandato preciso, il compito di preparare il congresso, riformare lo statuto e ripensare le “regole del gioco.”

Il voto è stata una fiammata di partecipazione popolare e democratica che ha visto in prima linea i giovani. Un’ondata che dobbiamo accogliere e riscoprire. Alle scelte politiche sbagliate, pagate nel voto a caro prezzo – l’attacco ai corpi intermedi, la detassazione indiscriminata, la pioggia di bonus, la stretta sugli enti locali, l’aumento del debito pubblico e l’assenza di un vero piano di investimenti per il lavoro e per il Mezzogiorno – si è aggiunta una campagna elettorale referendaria completamente sbagliata. Segnata dal distacco profondo tra propaganda e realtà.

Dalla violenza di uno scontro gratuito e non adeguato ai tempi. Una campagna condotta con argomenti non di sinistra, come l’attacco al parlamentarismo e la riduzione del numero dei politici. Chi ha concepito questi slogan e chi li ha seguiti con incoscienza ha pensato, sbagliando, che il veleno si contrasta col veleno e il populismo con il populismo. Il nostro elettorato si è diviso e ha espresso un moto di fastidio e rigetto.

Nel fuoco della sconfitta sono arsi anche i feticci di un’epoca probabilmente chiusa. Il leaderismo senza freni, il consenso come “plebiscito d’ogni giorno” e il peronismo mediatico, cascami di una rivoluzione linguistica e politica avviata da Berlusconi e riesumata da Renzi. In questa corsa continua verso gli “unti del signore” non abbiamo fatto i conti con una crisi economica senza precedenti, che ha smontato strutture sociali e corpi intermedi, rompendo il compromesso tra “democrazia” e “capitalismo” che ha sostanziato la vita italiana dal dopoguerra in poi.

Siamo sembrati anzi gli interpreti di una svolta fondata sulla riduzione e la privatizzazione della politica. A differenza di tanti pessimisti, nel voto del 4 dicembre ho letto però un grande e positivo investimento di speranza. La riscoperta della Costituzione come insieme dei valori comuni che correva il rischio di essere disperso. Pur nel disagio della sofferenza sociale, il tessuto che sta dietro la carta comune è tornato a parlarci di un “patriottismo costituzionale” che pareva introvabile. Questo nuovo senso di cittadinanza però senza un soggetto politico organizzato per ricucire le fratture tra centro e periferia, tra Nord e Sud, tra ceto politico e corpo sociale rischia di restare inascoltato e ritornare passivo.

Dopo una sconfitta di questa entità è certo necessario tornare al voto in tempi rapidi, dopo gli opportuni interventi n materia di legge elettorale. Ma la nuova fase che si apre non è più compatibile con la democrazia del leader. La ripartenza deve portare il segno del pluralismo e della dialettica, non quella dell’assolutismo e del plebiscito.

Il Pd deve tornare a essere coerente con la sua storia. Non registro, pur partecipando a molti confronti e dibattiti, alcun bisogno, da parte dei nostri amici e compagni, di sconfiggere la sinistra. Piuttosto sento l’urgenza di un congresso vero e ordinato. Non accetterò in alcun modo che chi assume posizioni di critica e dissenso sia emarginato o espulso. Sono per ragionamenti e confronti schietti, tra di noi e verso il Paese. Le travi che reggono la nostra casa si sono incurvate.

Una nuova torsione sulle regole, condotta da una parte contro un’altra, sarebbe un colpo fatale. Io mi candido per spostare a sinistra l’asse culturale e politico del partito, e sono pronto subito, ma è importante dedicare il tempo che serve all’elaborazione di regole comuni e condivise. Ha ragione Fabrizio Barca: bisogna snellire gli organismi. È intollerabile una direzione elefantiaca dove non si discute quasi mai e dove manca un ordine del giorno e bisogna accantonare lo streaming forzato, che rischia di trasformare le riunioni in conferenze stampa interminabili e in gare di retorica.

Anche le primarie non possono ridursi al solo scontro tra personalità. Devono diventare il punto di approdo di un confronto politico che coinvolge i circoli e i territori, che esprime concretamente le tendenze culturali e valoriali prevalenti tra la nostra base e il nostro elettorato. Per far questo è necessario mobilitare tutto il nostro capitale umano, riconquistando soprattutto chi non ha rinnovato la tessera e si è allontanato per disagio e senso di estraneità. Caro Fabrizio, io ci sono. Uniamoci e lavoriamo in comune per salvare la politica e il Partito. Mai come ora le due categorie sono tornate a coincidere.

(da Huffingtonpost.it)

Da - http://www.unita.tv/opinioni/essere-coerenti-con-la-nostra-storia/
5931  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / SPERANZA inserito:: Dicembre 17, 2016, 01:46:17 pm
   Focus    Unità.tv   @unitaonline
· 17 dicembre 2016
Speranza ufficializza la candidatura, io al congresso ci sarò
L’ex capogruppo: “Basta con l’uomo solo al comando”

L’ex capogruppo ha fatto l’annuncio concludendo il proprio intervento all’iniziativa “L’Italia prima di tutto”.

“Arriverà presto il congresso del Pd, io ci sarò. Con la mia storia, con umiltà e con coraggio. Con le mie idee”. “Chi mi conosce – ha aggiunto – sa bene che non sono una primadonna, ma credo che oggi il Pd debba cambiare profilo, non può essere un uomo solo al comando, deve ricostruire un collettivo e mettersi al servizio della riscrittura del centrosinistra. Voglio che il Pd cambi e torni in quei luoghi dove oggi sembra non riuscire più ad esserci: nelle periferie, nelle aree del disagio. È in questi luoghi che da subito partirò per un viaggio contro l’Italia”. Se sembra una sfida tipo “Davide contro Golia, accetto la sfida, e sono ottimista perché so di non essere solo”.

Speranza ha parlato anche del nuovo governo: “Ho apprezzato lo stile di Gentiloni nel suo discorso, il tentativo di superare un paese che urla. Nei toni ho trovato il tentativo di riaffermare il rispetto reciproco, non la gara di insulti a cui purtroppo spesso assistiamo e a cui molto spesso anche il Pd ha contribuito. Questa gara di insulti tra Pd e Cinque Stelle non credo ci porti molto lontano”.

E non risparmia una stoccata a Renzi: “Ci vuole una nuova stagione di umiltà. E l’umiltà è il contrario dell’arroganza. L’arroganza di chi oggi dice di avere in mano il 40 per cento. E’ una follia, è una illusione”.

Da - http://www.unita.tv/focus/roberto-speranza-ufficializza-la-propria-candidatura-alla-segreteria-pd/
5932  Forum Pubblico / Le tesi dell'Ulivo oggi solo una Corona Olimpica? / ARLECCHINO su FB - Pensavo ad un appello da parte mia inserito:: Dicembre 14, 2016, 08:37:49 pm
Pensavo ad un appello da parte mia (assetato di conoscenza) agli intellettuali che mi circondano qui su FB. Avete capacità di eloquio (scritto), scioltezza nell'esprimere argomenti personali (che diventano pubblici), riuscite convincenti per buona parte di noi. Restate liberi di esprimervi (e battibeccare tra voi) ma aiutate i meno sapienti a non confondere la base di questa nostra attuale Democrazia che vedo a rischio di deformazione. Aiutateci a non seguire pedissequamente chi portandosi fuori dalle Istituzioni ci espone a gravi rischi. Grazie. Ciaooo

….

Abbiamo un NUOVO governo! TUTTI siamo tenuti a rispettarlo!
SI alle critiche democratiche e civili. NO a chi ha interessi personali, oppure di Parte per urlare offese e falsità.
Tra i molti problemi che abbiamo di quelli creati degli invasati, a prezzo fisso, dobbiamo e possiamo liberarcene ignorandoli.

….

 
Arlecchino Batocio
11 dicembre alle ore 13:46 ·
Le due Sinistre incompatibili
Sono decenni che Sinistra post-marxista e Sinistra Socialdemocratica si attraggono (nell’illusione di gestire gli elettori caduti nel cesto) per subito dopo litigare con mille e un pretesto inconcludenti.
I Marxisti (o Comunisti) vogliono una società diversa da quella che vogliono i Socialdemocratici.
Questo fatto incontrovertibile crea una situazione in cui i Marxisti (o Comunisti) non sono capaci di esprimere Progetti di Sinistra perché nel mondo non ci sono più le condizioni per fare le rivoluzioni violente con morti e feriti da governare (dominare).
La Sinistra SocialDemocratica ha tentato una soluzione credibile e in teoria ha raggiunto una ragione d’essere attuale, nel mondo attuale che corre, si chiama CentroSinistra (Ulivo per meglio dire) ma le assurde pretese da un lato del Centro Cattolico (Margherita) che intendeva dominare dal Centro e dell'altro una Sinistra incapace di “liberarsi” dalla coabitazione con i Marxisti (o Comunisti), hanno sepolto prima l’Ulivo e oggi Renzi che ha imboccato la strada giusta, “sbagliando modo e mosse", sulla scacchiera sociale.
La soluzione base per le Sinistre e per l’Italia sta nella considerazione che, finalmente, la Sinistra Marxista (o Comunista) e la Sinistra non marxista debbono distinguersi nettamente e dividersi come partiti diversi tra loro. Potranno essere aperti a cooperare su temi singoli, dove tesi si concordano, ma nessun valido Progetto socio-politico comune potrà mai essere partorito nella loro unione fisica (partitica).
Nell’augurio che il Parlamento seguiti ad essere la casa della politica saranno “separati in casa”.
L’Italia dei loro “aborti” ne ha già sopportati troppi. Basta.
Ciaooo

….

Parte da Renzi e arriverà a Gentiloni!
Aiutiamolo a governare e non facciamoci distrarre da chi insulta la Democrazia (quella attuale ma Nostra) nel nome del popolo ignaro.
La Democrazia è nata in Grecia tra le differenze di Sparta e Atene. Facciamo un bel ripasso e non facciamoci sorprendere. Ciaooo

…..

Arlecchino Batocio
5 ore fa ·
Caro Calabresi, appenderci ai dettagli, per come siamo messi, è un lusso che in Italia non possiamo permetterci. I Media qualificati dovrebbero contribuire a far rispettare le Istituzioni (oggi in pericolo grave) non alimentare fuochi o fuocherelli che si prestano a cattive interpretazioni. Un conto sono i salotti (più o meno bene) altro conto è seguitare a seminare scontentezze nei Media (ci sono già gli specializzati per questo). ciaooo
14/12
5933  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / L'Ue ha detto (con garbo, sinora) che la manovra 2017 va rivista. inserito:: Dicembre 14, 2016, 05:03:14 pm
   E ora bisogna riscrivere il bilancio
L'Ue ha detto (con garbo, sinora) che la manovra 2017 va rivista.
Duello su spese extra e coperture dubbie. Poi ci sono le banche. Costo extra? Da due miliardi a venti e oltre, a seconda di come va

12/12/2016

Come prevedibile, il mondo non è finito col referendum, tanto meno con la crisi di governo. E’ cambiato il premier e, marginalmente, l’esecutivo. Non sono invece mutati gli impegni di condotta fiscale presi dall’Italia coi partner europei, e restano invariati il giudizio tecnico della Commissione e quello politico dei ministri dell’Eurogruppo, entrambi severi. Vuol dire che il Team Gentiloni dovrà valutare «misure aggiuntive per rispettare il Patto di Stabilità» e per evitare lo «scostamento significativo» rispetto agli obiettivi indicati per il 2017. Il valore della correzione necessaria è variabile quanto incerte sono le coperture della legge di bilancio. Un paio di miliardi nella migliore delle ipotesi; sino a 20, nella peggiore, almeno per ora.

 Non c’è ragione di essere sorpresi. L’Europa ha nelle ultime settimane deciso di astenersi da giudizi pesanti sull’Italia che avrebbero potuto viziare il dibattito in vista della consultazione del 4 dicembre. Sono in compenso arrivati segnali chiari sulle spese per la ricostruzione post sisma, come per l’emergenza migranti, con la promessa di concedere i margini di flessibilità richiesti dal governo. Si è sorvolato, temporaneamente, sulle mancanze e sulla catena di dubbi legata alla gestione dell’economia e dei conti pubblici. «Ora bisogna ripristinare la gestione dell’ordinario», commentava ieri sera una fonte europea. Ora Bruxelles deve riprendere in mano la sua pagella e il governo deve evitare stangate, dall’Ue e dai mercati.

  C’è tempo sino a marzo. La base della piramide negoziale è l’opinione diffusa dalla Commissione Ue il 26 novembre, documento carico di rilievi costosi. Si parte con la mancata riduzione del deficit strutturale in misure del 0,6 per cento del pil (è previsto in aumento dello 0,5%), scostamento che vale 1,4 punti di pil fra il 2016 e il 2017 (oltre 25 miliardi). Si continua con il target italiano del disavanzo, che Bruxelles vede al 2,4 per cento del pil rispetto all’impegno di aprile fissato all’1,8: fra due numeri c’è la flessibilità, che non copre l’intero conto. Se non bastasse, il debito pubblico aumenta invece di calare.

Parallelamente ci sono i compiti non fatti. Rispetto ai programmi presentati da Palazzo Chigi, l’Ue sottolinea i magri progressi sugli interventi strutturali, quali la revisione dei valori catastali e la effettiva razionalizzazione della spesa pubblica. Non soddisfano le misure assunte per combattere l’evasione fiscale, né quelle timide o assenti sull’apertura di mercati e professioni. Preoccupa il mancato slittamento dell’imposizione dalle dirette (lavoro) alle indirette (Iva).


 Doveri e oneri. Certi, questi. Tuttavia a Bruxelles ci si arrovella su altri dossier, non meno complessi. Renzi ha chiesto di poter finanziare l’intera messa in sicurezza sismica del Paese, però fra i tecnici si sostiene che le regole «consentono di scorporare le spese di ricostruzione, non quelle per assicurarsi da una calamità che non c’è stata». Le spese che Roma dovrà sostenere col Piano Casa diventeranno dunque deficit e debito. Discorso che, specularmente, vale per le banche. Le salverà lo Stato? Con quali soldi? Quanti? E con esborsi diretti o garanzie? «Se il governo interviene, ci saranno conseguenze sul bilancio», chiosa una fonte europea. Da uno a 15 miliardi, si stima, ma nessun numero può essere esatto, in questa fase.

  La conferma di Padoan dovrebbe essere garanzia di continuità. Il ministro dell’Economia è stato il poliziotto buono della squadra di Renzi. Il metodo di trattativa è stato considerato costruttivo dalla Commissione e dal Consiglio. E’ una condizione necessaria, non sufficiente. «L’Italia deve correggere la rotta», dicono a Bruxelles, rimarcando che la partita comprende l’alea delle clausole di salvaguardia 2018-19: per disinnescare l’aumento dell’Iva al 25% e il rialzo delle accise serve una trentina di miliardi. «Siamo pronti a discutere una quadra», dice la fonte Ue. Ma, mentre pronuncia l’impegno, la voce vibra e lascia immaginare una goccia di sudore freddo che già gli cala sulla fronte.

Da - http://www.lastampa.it/2016/12/12/blogs/straneuropa/e-ora-bisogna-riscrivere-il-bilancio-vVsAvEfRfEK7WNMQBQJV9J/pagina.html
5934  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Laura Di Pillo Gentiloni: governo di stabilità e garanzia. Su banche pronti a... inserito:: Dicembre 14, 2016, 05:01:47 pm
Il discorso alla camera
Gentiloni: governo di stabilità e garanzia. Su banche pronti a intervenire

   –di Laura Di Pillo 13 dicembre 2016

È entrato alla Camera poco dopo le 11 per pronunciare il discorso con il quale il neo premier ha chiesto la fiducia al nuovo esecutivo. Un intervento durato meno di venti minuti, diciassette, per la precisione. Gentiloni è stato interrotto una sola volta dagli applausi dell'emiciclo: quando ha detto che il governo «si rivolge a tutti i cittadini, si basa sulla maggioranza, rispetta le opposizioni e chiede rispetto per le Istituzioni». Con un altro applauso i deputati hanno invece salutato la fine dell'intervento del premier. Alla Camera non erano presenti i deputati del Movimento 5 Stelle e quelli di Ala. Ampi spazi vuoti anche tra i banchi di Forza Italia, della Lega e di Fratelli d'Italia.

«Questo è un governo di responsabilità, garante della stabilità delle istituzioni che intende concentrare le energie sui problemi degli italiani», ha detto Gentiloni rivendicando il lavoro fatto dall’esecutivo Renzi, le energie dispiegate «che hanno rimesso in moto il Paese». Risultati che «fanno onore alla maggioranza che li ha portati avanti», ha sottolineato. “Il profilo politico di questo governo - ha ammesso - è iscritto nel quadro della maggioranza che ha sostenuto il governo precedente che non è venuta meno, per qualcuno è un limite, io lo rivendico».

Ma l’esecutivo ha sottolineato «nasce in un contesto nuovo dopo la bocciatura delle riforme e le dimissioni di Renzi». Una scelta quest’ultima, «non obbligata ma annunciata», un atto di coerenza di Renzi che va «salutata con rispetto». L’esecutivo Gentiloni durerà fino a quando avrà la fiducia del Parlamento, ha avvertito il neo premier: «Lascio alla dialettica tra le forze politiche il dibattito sulla durata, per quanto ci riguarda vale la Costituzione», ha chiarito Gentiloni. Che ha ringraziato il Capo dello Stato: il governo che si presenta oggi alle Camere, nasce dopo una crisi che è stata gestita «sotto la guida di Sergio Mattarella, che voglio ringraziare».

Prima priorità l’intervento nelle zone colpite dal terremoto. «Siamo ancora in emergenza» ha detto Gentiloni ribadendo che dalla qualità della ricostruzione dipenderà la ripresa e lo sviluppo dell’Italia centrale. Ma l’agenda di lavoro è molto fitta a cominciare dal terreno internazionale: dalla presidenza di turno del G7 all’ingresso nel Consiglio di sicurezza all’Onu. L'anniversario dei 60 anni dei Trattati di Roma ha rimarcato Gentiloni «non sarà solo una celebrazione ma una scommessa sul futuro».

Banche, governo pronto a intervenire
Sulle banche il premier ha ribadito che il sistema italiano è solido e contribuisce alla ripresa. Un dossier caldissimo per il Governo che ha al centro il salvataggio di Monte del Paschi di Siena. «Il Governo è pronto a intervenire per garantire la stabilità degli istituti e i risparmi dei cittadini», ha chiarito. «L'Italia ha una economia forte, non aperta a scorribande e che ha smentito chiaramente le prospettive di apocalisse» ipotizzate prima del referendum costituzionale. Un messaggio importante ai mercati e alla speculazione che colpisce buona parte degli istituti italiani. Ma l’azione di Governo riguarderà anche altri ambiti: “È nostra intenzione accompagnare e rafforzare la ripresa economica che finalmente e gradualmente, a nostro avviso molto lentamente, si sta manifestando anche nel nostro Paese», ha confermato il neo premier.

Inaccettabile Ue severa solo su austerity
Altro capitolo, urgente, la posizione dell’Italia in Europa. Nel consiglio Ue di giovedì prossimo, dove si affronterà il tema del rinnovo del regolamento di Dublino «avremo - ha annunciato Gentiloni - una posizione molto netta: non è accettabile che passi di fatto il principio di un'Ue troppo severa su alcuni aspetti dell'austerity e troppo tollerante verso paesi che non accettano di condividere responsabilità comuni» sui migranti.

A centro problemi classe media disagiata
«All'agenda vorrei aggiungere grandi questioni su cui finora a mio avviso non abbiamo dato risposte pienamente sufficiente. Innanzitutto i problemi che riguardano la parte più disagiata della nostra classe media, partite Iva e lavoro dipendente, che devono essere al centro dei nostri sforzi per far ripartire la nostra economia», ha detto Gentiloni alla Camera. «Proprio perché non vogliamo rinunciare a una società aperta e digitale vogliamo porre al centro coloro che da queste dinamiche si sentono sconfitti».

«Intendiamo - ha aggiunto - ridare slancio a tre grandi azioni di riforma che sono in corso e che necessitano di un impulso ulteriore: la riforma della pubblica amministrazione, la riforma del processo penale, il Libro bianco della difesa».

Il governo Gentiloni ha assicurato «l'impegno sul piano sociale, per completare la riforma del lavoro e completare le procedure sull'anticipo pensionistico» ha aggiunto. Anche sul piano dei diritti «molto è stato fatto ma altri passi avanti possono essere realizzati».

«Politica è luogo di confronto, non di odio e paura»
La politica e le istituzioni devono tornare ad essere «il luogo del confronto, non dell'odio» e della paura ha detto il presidente del Consiglio concludendo tra gli applausi il suo discorso programmatico. «Le consultazioni - ha fatto notare - hanno reso chiaro che era impossibile una convergenza di tutti, ne abbiamo preso atto procedendo nel quadro della maggioranza, anche se auspichiamo possano maturare convergenze più ampie sui singoli provvedimenti».
«Ma di una discontinuità nel confronto pubblico avremo bisogno e sarà mio impegno personale», ha assicurato Gentiloni. «Il governo non si rivolgerà a quelli del Sì contro quelli del No, si rivolgerà a tutti i cittadini italiani, si basa su una maggioranza, rispetta le opposizioni e chiede rispetto per le istituzioni», ha detto il premier guadagnandosi uno dei pochissimi applausi dell'emiciclo.
«Chi come me è sempre stato animato da passione politica non si ritrova nella degenerazione della passione per la politica» perché «la politica e il Parlamento sono il luogo del confronto dialettico, non dell'odio o della post-verità».
Per Gentiloni «chi rappresenta i cittadini deve diffondere sicurezza, non paura. Su questo è impegnato il governo e anche su questo chiediamo la fiducia».

Voto inizierà alle 18 e 45
La prima chiama dei deputati per il voto di fiducia al governo inizierà alle 18 e 45, voto che si concluderà intorno alle 20. Alle 12.30 inizierà la discussione generale, che andrà avanti per tre ore e mezza. Alle 16 la replica del premier e le dichiarazioni di voto, in diretta televisiva.

M5s e Lega hanno confermato che non parteciperanno al voto di fiducia. I deputati grillini non saranno presenti in aula durante la discussione generale, ma la capogruppo Giulia Grillo interverrà durante le dichiarazioni di voto.

Quanto al voto del Senato, il presidente Pietro Grasso ha comunicato in mattinata che Paolo Gentiloni consegnerà alle 12,30 il testo in Senato. Alle 15,30 si svolgerà la riunione dei Capigruppo per definire il voto di fiducia al nuovo Governo. Si prevede che si svolga domani mattina.

Il Consiglio dei ministri con la nomina dei viceministri e sottosegretari dovrebbe riunirsi venerdì, o all'inizio della prossima settimana.

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5935  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Gianni Trovati. Sull’economia emergenza risparmio inserito:: Dicembre 14, 2016, 04:59:53 pm
Sull’economia emergenza risparmio

Di Gianni Trovati 13 dicembre 2016

Nel capitolo cruciale dell’economia le prime parole pronunciate alla Camera da Paolo Gentiloni nelle vesti di neopresidente del Consiglio sono state obbligate ma chiare. Obbligate perché a dettarle è prima di tutto l'agenda di queste settimane; chiare perché la coincidenza della crisi di governo con le tappe finali della crisi di Monte dei Paschi ha impedito nei giorni scorsi prese di posizioni ufficiali da rivolgere ai risparmiatori in cerca di certezze.

Da questo punto di vista, allora, la frase più importante di Gentiloni è quella sul governo «pronto a intervenire per garantire la stabilità degli istituti di credito e il risparmio dei cittadini»: una posizione già emersa in questi giorni da varie fonti, ma che ora acquista ovviamente una forza maggiore se rilanciata nelle aule parlamentari da un presidente del consiglio nel discorso sulla fiducia.
Più in generale, si diceva, anche sull'economia il discorso di Gentiloni è sulla linea della continuità piena con il governo Renzi, come imposto dall'esigenza di dare gambe attuative agli ingredienti principali della manovra 2017, a partire dal rilancio degli investimenti privati e pubblici e dalle nuove regole sugli anticipi pensionistici.

Discontinuità, disagio classe media e green economy le parole chiave
In una prospettiva più lunga, poi, il presidente incaricato ha sottolineato l’esigenza di fare di più per rispondere alla parte debole del ceto medio, per evitare di far crescere ulteriormente le quotazioni della protesta e degli slanci protezionisti e anti-europei che già pesano parecchio nel quadro politico non solo italiano. È questo uno dei pochi passaggi in cui l’analisi di Gentiloni sembra allontanarsi dal racconto renziano: ma le sue declinazioni pratiche dipenderanno prima di tutto dell'orizzonte anche temporale che il governo riuscirà a darsi.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-12-13/sull-economia-emergenza-risparmio-120547.shtml?uuid=ADRza3CC
5936  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Emilia Patta. Faro della politica su nuove povertà e Sud inserito:: Dicembre 14, 2016, 04:57:17 pm
Faro della politica su nuove povertà e Sud

Di Emilia Patta 13 dicembre 2016

«Lascio alle forze politiche il dibattito sulla durata del governo. Io sto alla Costituzione: il governo dura finché c’è una maggioranza parlamentare che lo sostiene». Non poteva che dire questo, il neopremier Paolo Gentiloni. Perché nessun governo può nascere con la data di scadenza stampata addosso. E naturalmente neanche questo governo, vista la situazione confusa del sistema elettorale attuale, con il maggioritario Italicum in vigore solo per la Camera - su cui però incombe il giudizio della Corte costituzionale fissato per il 24 gennaio - e con il proporzionale Consultellum per il sopravvissuto Senato.

Ma l’orizzonte temporale è dato dallo stesso programma del premier: rafforzare la ripresa puntando sule grandi infrastrutture e su industria 4.0, mettere in sicurezza il sistema bancario non escludendo l’intervento del governo, attuare la parte che manca della riforma Madia della pubblica amministrazione, votare la riforma del processo penale bloccata in Senato prima del voto referendario con grande disappunto del riconfermato Guardasigilli Andrea Orlando, e affrontare gli impegni europei che attendono l’Italia con il doppio binario della condivisione del peso dei migranti e della lotta all'austerità per spingere la crescita.

Gentiloni: il governo dura finché ha la fiducia del Parlamento
Insomma, un programma minimo di continuazione e di attuazione del programma del governo Renzi, senza progetti nuovi. Ed è la conferma di un dato politico già evidente: Gentiloni sembra condividere l’orizzonte temporale che il leader del Pd Matteo Renzi ha fissato, ossia il ritorno alle urne entro giugno.

L’unica discontinuità rispetto a Renzi che si può notare nel discorso di insediamento di Gentiloni appartiene non tanto ai contenuti quanto alla "narrazione": laddove il premier mette l’accento sulla necessità di dare risposte alla «parte disagiata della classe media, dai dipendenti alle partite Iva», categorie fortemente colpite dalla crisi e a rischio nuova povertà. Il riconoscimento di un disagio forte, soprattutto al Sud, che forse finora non c’era stato. Quanto alla legge elettorale, si conferma l’intenzione di lasciare al Parlamento e al confronto tra le forze politiche, confronto che il governo si limiterà ad incoraggiare, la responsabilità di recepire nel miglior modo possibile le indicazioni che verranno dalla Consulta. Così da rendere più omogenei i sistemi delle due Camere. Tuttavia da qui a scommettere che questo accadrà ce ne passa, e basta ricordare la ferma intenzione di Renzi di non mettere la sua firma e quella del Pd su un proporzionale che «ci riporterà alla Prima Repubblica». Ma visto che si andrà probabilmente in quella direzione, resta il nodo non di poco conto del futuro di un partito come il Pd nato a vocazione maggioritaria in un sistema politico e istituzionale che maggioritario non sarà. Ma questa, evidentemente, è semmai materia del prossimo dibattito congressuale e non di un governo che nasce con un orizzonte temporale limitato.

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5937  Forum Pubblico / Le tesi dell'Ulivo oggi solo una Corona Olimpica? / Cristian Sesena. Se trionferanno i populismi non sarà colpa dell’accozzaglia inserito:: Dicembre 14, 2016, 04:55:29 pm
Se trionferanno i populismi non sarà colpa dell’accozzaglia

Cristian Sesena
13 dicembre 2016

Quando ci saranno le prossime elezioni politiche (quando?) che tutti paiono invocare con foga, il conto potrebbe essere salato e a pagarlo sarà la tenuta democratica del paese, cioè ogni singolo cittadino. Cioè noi. Una ipotetica vittoria dei populismi infatti (per populismi leggasi in ordine decrescente: Movimento 5 stelle, Salvini e Fratelli d’ Italia), provocherebbe   una torsione fortissima, con conseguenze davvero gravi nell’immediato e in prospettiva, innanzitutto sul piano sociale.
Di fronte ad uno scenario, tutt’altro che irrealistico, che potrebbe salutare un Di Maio alla presidenza del consiglio, un Di Battista all’Interno, un Toninelli agli Esteri, una Taverna all’Economia, il Partito Democratico sarebbe solerte nell’incolpare, anche a distanza di mesi, il fronte del No al Referendum, con particolare riferimento alla sotto-accozzaglia di “equidistanti” da tutti gli schieramenti a partire dal proprio rei, con il loro voto malpancista, di aver preordinato il disastro.
Un antico detto emiliano (che Bersani di certo conoscerà) recita: “La colpa è una bella donna ma nessuno la desidera”. E la colpa il Partito Democratico, anche nella sua versione più edulcorata di “responsabilità”, non se la vorrà prendere allora, come non vuole intestarsela ora.
Citando un fiero difensore della Costituzione, Oscar Luigi Scalfaro, chi ha votato NO sentendosi sideralmente lontano dal Grillismo di Sinistra (esiste?) e dal Renzismo di Destra (esiste), dovrebbe dichiarare subito il suo: “ a questo gioco al massacro io non ci sto”.
Le responsabilità del probabile venturo sfascio, infatti, saranno tutte in capo alla classe dirigente che ha governato il paese negli ultimi 1000 giorni e che continua a farlo beatamente inconsapevole e tristemente menefreghista di un voto netto di bocciatura al proprio operato.

Questo processo di autismo istituzionale è destinato fatalmente ad essere portato alle estreme conseguenze dal neonato esecutivo Gentiloni che sancisce un ulteriore infittimento delle nebbie fra “piazza” e “palazzo”.
L’operazione voluta da Renzi è a tal punto tatticamente suicida da apparire incredibile. O Forse no, se si pensa a come ormai la “visione tolemaica” del potere, rubando la perfetta metafora di Ferruccio De Bortoli, stia obnubilando la visuale di chi, fino a un paio di anni fa, studiava con profitto da “statista del futuro”.
Nell’ elegiaco post del “ritorno a Pontassieve” erano già presenti i sintomi chiari di questa confusione mentale, basti pensare alla sottolineatura dello status di disoccupazione senza paracadute, verso cui il segretario del PD si avviava mesto, data in pasto ad un popolo composto da un povero ogni quattro individui (uno ogni due in quel Sud ove il SI, il 4 dicembre, non ha praticamente visto palla).
La lista dei nomi sciorinati da Paolo Gentiloni ha definitivamente chiarito che quei sintomi rappresentavano l’avvisaglia di una patologia grave quanto difficilmente classificabile se non con la definizione semplificata di “progressiva perdita del senso di realtà”.
La sostituzione del Ministro Giannini appare come l’unica risposta molto epidermica al voto di protesta del referendum; epidermica e superficiale (la #buonascuola è parto del renzismo militante prima ancora che della ministra uscente), ma soprattutto poco convincente come atto concreto di autocritica.
Gli insegnanti in Italia sono circa 700 000 ed anche volendo credere che tutti, ma proprio tutti, abbiano bocciato la riforma costituzionale, non sarebbero certo risultati determinanti.
La sostituzione con Valeria Fedeli pare invece leggersi più semplicemente come un “premio fedeltà” ad una renziana dell’ultima ora che ha bazzicato Leopolde su Leopolde, pur di farsi notare a dispetto del dato anagrafico e del passato un filino imbarazzante di dirigente nazionale della detestata CGIL.
Giuliano Poletti resta saldamente al suo posto. Il padre putativo del fallimentare JobsAct ( i licenziamenti sono aumentati del 10% nel 2016 rispetto al 2015, le assunzioni, prive dell’effetto doping degli sgravi, languono, i voucher continuano la loro avanzata inesorabile) doveva e poteva essere sostituito.

Teresa Bellanova, seppur anch’essa fortemente “renziana”, sarebbe stato un segnale di discontinuità importante.
Anche al suo impegno si deve una delle poche leggi positive varate dall’esecutivo (quella contro il caporalato); al suo proattivismo vanno ascritte le soluzioni trovate, spesso sapientemente tessute, di diverse crisi aziendali ai tavoli del Ministero dello Sviluppo.
L’avvicendamento di Poletti, non con la reincarnazione di Di Vittorio si badi bene, ma con una profonda conoscitrice delle dinamiche del mercato del lavoro e della pratica delle relazioni industriali, avrebbe inviato un messaggio forte di attenzione (e non necessariamente di ripensamento rispetto a quanto fatto fino ad ora in materia di normative), che non sarebbe dispiaciuta ai tanti lavoratori precari, giovani e meno giovani, vittime incolpevoli e arrabbiate della mistificazione renziana.
Tralasciando le migrazioni imbarazzanti (Alfano) e le altrettanto imbarazzanti riconferme (Boschi e Lorenzin), la vera ciliegina sulla torta è stata la creazione del Ministero dello Sport da affidare ad un altro petalo portante del Giglio Magico, Luca Lotti.
Non si comprende l’utilità di un nuovo ministero (per giunta dello sport) in un governo che nasce col precipuo fine di produrre una nuova legge elettorale e che tutti vogliono a breve scadenza.

Ancor meno si comprende (e di certo non lo comprenderanno gli italiani) come si può condurre gran parte della campagna elettorale agitando il vessillo del taglio dei costi della politica e poi aggiungerne di nuovi (il ministero avrà una sua struttura, degli addetti, dei funzionari etc).
A Renzi abbiamo tutti bene o male dovuto riconoscere scaltrezza e fiuto in questi anni. Detestarlo era anche un po’ invidiarlo per le sue indubbie doti di vedere avanti e oltre il contingente. Era un Renzi diverso, un Renzi vissuto, anche per effetto di un colossale inganno percettivo, come vincente a prescindere.
Il Renzi sconfitto ci appare come il fantasista che palleggia in mezzo al campo attorniato da una squadra di brocchi senza schemi e senza gambe; forse proverà ancora a risolvere la partita con un guizzo, ma al massimo, segnerà il gol della bandiera. Nel momento in cui la parola d’ordine dovrebbe essere “responsabilità”, il tanfo di conservazione dello status quo che si respira ovunque, rischia di gettare benzina su un malcontento che anziché demonizzato o ignorato andrebbe semplicemente ascoltato. La paura del dissenso non è mai sinonimo di forza; ingannare il dissenso poi, farsene addirittura beffe, è un atto irresponsabile e pericoloso, in un clima generale ( e non solo nazionale)  in cui si ritiene follemente utile comprimere gli spazi democratici al solo fine di addomesticarne il libero esercizio.

Da - http://www.glistatigenerali.com/governo/se-a-perdere-sara-il-paese-la-colpa-sara-di-renzi-e-non-dellaccozzaglia/
5938  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Davide Giacalone. Gentiloni vs Renzi, alla faccia delle fotocopie la differenza inserito:: Dicembre 14, 2016, 04:53:26 pm
Gentiloni vs Renzi, alla faccia delle fotocopie la differenza c’è

Davide Giacalone
13 dicembre 2016

Tutti hanno notato le uguaglianze, ma il gioco consiste nel vedere e capire le differenze. Nel passaggio fra il governo Renzi e il governo Gentiloni la principale differenza consiste nel fatto che prima il Partito democratico e il governo erano la stessa cosa, ora sono potenzialmente cose opposte. Dopo la sconfitta referendaria, come è noto, Renzi ha evitato di tenere fede alla promessa di ritiro, ma ha rilanciato, chiedendo subito le elezioni politiche. Questo è il punto: Grillo, Renzi e Salvini chiedono le elezioni, mentre Gentiloni, il Quirinale e il Pd che s’è accorto della sconfitta referendaria, no. Grillo e Salvini, del resto, sanno che non si va a votare subito, tanto che i loro gruppi hanno già presentato proposte per la riforma del sistema elettorale. Neanche Forza Italia ha alcuna voglia di fare a cazzotti con la logica istituzionale, così come, forse, di mettere subito mano alle liste. Rimane solo Renzi, con i suoi, a reclamare le urne. Lui sarà il solo avversario del governo. Il solo che considererà sprecato ogni giorno della sua esistenza. Alla faccia delle fotocopie, la differenza c’è.

Qui, però, finisce quella che a me sembra una così solare evidenza da passare inosservata a chi ama le proprie opinioni e considera i fatti fastidiosi contrattempi. Il resto è buio. Così come è politicismo parolaio il sostenere che “la gente vuole le urne”, perché dubito vi siano masse in preda ad orgasmo elettorale, altrettanto è vaniloquio il supporre che la continuazione del nulla sia commestibile. Il problemi che abbiamo non consistono nel come e quando si vota, quelli sono problemi dei partiti, ma come e quando si riprende la via dello sviluppo, posto che il poco e niente fin qui avuto, dopo la recessione, è indotto da fattori esterni. Di altri mesi passati a dire scempiaggini sui successi o i disastri di questa o quella legge, non si sente alcun bisogno. Al contrario, invece, sarebbe urgente sapere dove si va a parare prima che si chiuda l’ombrello della Banca centrale europea. Per problemi seri e pesanti, come il nostro debito pubblico, la fine del 2017 è già domani mattina.

Giustamente il governo accompagnerà, ma non entrerà nel merito della nuova, e necessaria, legge elettorale. Tutto dipenderà da cosa sarà capace di fare nel frattempo. Molti ministri hanno già dimostrato d’essere non propriamente dei generatori di idee e azioni, sicché la cosa dipenderà dal presidente del Consiglio. Se non sarà capace di prendere direttamente in mano i temi economici e sociali, la sua sorte si ridurrà a qualche passerella internazionale, a coprire la spartizione delle nomine primaverili e a capitolare velocemente, per lasciare spazio a chi nelle urne vede il programma della propria vita, nonché la possibilità di continuare a guadagnarsi da vivere. Sarebbe un mesto epilogo. Ragionevole supporre che dal Colle e da Palazzo Chigi si daranno da fare, per evitarlo.

@DavideGiac

www.davidegiacalone.it

da - http://www.glistatigenerali.com/governo/fotocopie-ingannevoli/
5939  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / ILVO DIAMANTI - La solitudine dei giovani elettori: ecco perché hanno votato No inserito:: Dicembre 14, 2016, 04:51:54 pm
La solitudine dei giovani elettori: ecco perché hanno votato No al referendum costituzionale
Il 70% tra 25 e 34 anni secondo un sondaggio Demos-Coop, ha dato un segnale di rifiuto a Renzi. Dal governo non ha ottenuto la svolta che era stata promessa

Di ILVO DIAMANTI
12 dicembre 2016

IL POST-referendum procede rapido. Dopo le dimissioni di Matteo Renzi, il premier incaricato, Paolo Gentiloni, ha già iniziato le consultazioni. E presto presenterà il programma e la compagine del nuovo esecutivo. Tuttavia, conviene valutare bene il voto referendario, prima di riprendere a governare. E a fare opposizione. Insomma, a "far politica". Perché il risultato ha, sicuramente, "punito" Renzi, che, per primo, aveva "personalizzato" questo voto. Ma è difficile individuare il vincitore. Meglio "un" vincitore. Visto che i partiti del No sono diversi. Anzi, diversissimi… per storia, progetto, identità.

Per questo, è impossibile, sulla base di questo voto, individuare una nuova e diversa maggioranza "elettorale". Conviene, invece, ragionare ancora – e di più - sul significato di questo voto. Da dove origina, che destinazione e che bersagli abbia. Oltre a Renzi. L'analisi del risultato ha già offerto alcune indicazioni chiare ed evidenti. Riguardo al "retroterra" – letteralmente – del No.

Le radici territoriali del rifiuto, infatti, affondano anzitutto e soprattutto nel Mezzogiorno. Nel Sud il No ha, infatti, superato il 70%, nelle Isole. E vi si è avvicinato altrove. In Campania e in Calabria, in particolare. Più del sentimento contrario al Pd e anti-renziano, in alcuni casi (come in Campania) difficile da sostenere, hanno pesato altre ragioni di ri-sentimento. Collegate al malessere sociale che pervade quelle aree. Sul piano economico e occupazionale. Si tratta di un'indicazione utile a valutare un'altra "frattura", che ha caratterizzato il voto referendario in modo evidente. Quella generazionale. Com'è già stato osservato, il No è stato espresso, in misura largamente superiore alla media, soprattutto dai giovani.

L'indagine dell'Osservatorio di Demos-Coop, condotta giusto alla vigilia della consultazione, lo conferma. Ma fornisce alcune ulteriori precisazioni. Importanti. In particolare, sottolinea come il dissenso verso la riforma e verso il Pd di Renzi sia meno ampio presso i giovanissimi, che hanno fra 18 e 24 anni. Mentre ha raggiunto il livello più elevato (7 su 10 No) tra i "fratelli maggiori", fra 25 e 34 anni. I "giovani adulti", come vengono spesso definiti. Per sottolineare la "difficoltà" di affrancarsi dai vincoli della giovinezza. In particolare, dalla dipendenza dalla famiglia. Sotto il profilo economico, ma anche "domestico".

Due su tre, fra loro, vivono (meglio: risiedono) ancora con i genitori. Il doppio rispetto ai coetanei francesi e tedeschi. Ricordo ancora quando, dieci anni fa, a Parigi, chiesi ai miei studenti i motivi della protesta giovanile – allora dilagante - contro la riforma sul Contrat première embauche (primo impiego), che agevolava alle aziende la possibilità di licenziare i giovani senza giustificazione, nei primi due anni. Gli studenti mi risposero, senza imbarazzo: «Non siamo italiani come lei. Quando andiamo a lavorare, poi non rientriamo. A casa e in famiglia. Andiamo a vivere – e ci manteniamo - da soli».

In realtà, anche in Italia i giovani vorrebbero diventare autonomi. Dalla famiglia. Come i coetanei di altri Paesi europei. Ma non se lo possono permettere. Perché la legislazione in materia non li aiuta. Mentre i tassi di disoccupazione giovanile non hanno pari, in Europa. Così, quando finiscono gli studi, spesso defluiscono nel mondo dei Neet. Quelli che non studiano e non lavorano. Non perché non vogliano, ma perché non trovano occupazione. Si muovono, invece, nella selva oscura dei lavori intermittenti e precari. Dove riescono a sopravvivere grazie all'appiglio familiare. Al quale ricorrono in caso di emergenza.

Cioè, spesso. Così si spiega la ragione per cui fra i giovani-adulti si osservino i picchi di incertezza nel futuro (62%), ma anche la convinzione generalizzata della necessità di "emigrare" all'estero, per fare carriera (73%). Mentre la maggioranza di essi (63%) è consapevole che difficilmente riuscirà a raggiungere – non dico a superare - la posizione sociale dei genitori. D'altronde, solo il 21% di loro pensa che esistano opportunità e possibilità adeguate.

Così, nonostante l'età, circa il 40% dei "giovani adulti" ammette di sentirsi spesso "solo". Molto più, rispetto ai genitori e ai nonni. Ma anche rispetto ai fratelli minori, che hanno meno di 25 anni. Sono "le pene del giovane adulto". Che, perlopiù, ha concluso gli studi, oppure li prosegue, per non sentirsi "disoccupato". Magari intermittente o precario. Come, inevitabilmente, avverrà. I giovani nati negli anni Ottanta. Sono divenuti "invisibili". Mimetici. In continua fuga. Alla ricerca di un lavoro. Un futuro.

Così, non è difficile comprendere le ragioni del No al giovane Renzi. Proprio perché "giovane". Perché aveva "promesso" di rottamare i vecchi e di dare più spazio ai più giovani. Ma i "giovani adulti" vivono sospesi. Non più giovani e non ancora adulti. Confusi. Perché nella nostra società, tutti, o quasi, si dicono giovani. E all'improvviso diventano vecchi. Senza mai conquistare l'età adulta. La maturità. Così "giovani adulti" si sentono vicini al M5s. E hanno votato No perché non hanno speranza. Non vedono il futuro. Ma senza speranza e senza futuro anche la famiglia diventa una prigione. Anche l'Italia. E a loro non resta che la speranza di "fuggire" dal Paese. E dalla solitudine che incombe. Tanto più quando vivono in mezzo ad altri giovani. In-sofferenti come loro. Ma senza dare loro risposta neppure l'Italia può avere un futuro. È destinata a restare un Paese "giovane adulto".

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12 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/12/news/titolo_non_esportato_da_hermes_-_id_articolo_5455560-153921732/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_12-12-2016
5940  Forum Pubblico / Le tesi dell'Ulivo oggi solo una Corona Olimpica? / Re: Le due Sinistre incompatibili. - (Da Arlecchino Batocio in FB del 11/12/2016) inserito:: Dicembre 14, 2016, 04:50:42 pm
Arlecchino Batocio | 11 dicembre alle 11:58
Caro Renzi, nella convinzione di fare cose giuste (o comode per i tuoi progetti istituzionali) che però gli elettori hanno la "percezione" siano "non giuste", porta a risultati deludenti o negativi (anche per il Paese).

"Il Sistema Rappresentazionale risponde al "principio di razionalità" ed è, quindi, un sistema di simboli, espressione e fondamento di conoscenza e di verità" (cito da Romeo Lucioni).
Sembra siano mancati nel caso specifico del Referendum (e non solo). O mi sbaglio? gg
Dal sole240re.it



FB del 14 dicembre 2016

La volontà "popolare" da 2500 anni è manipolata e condizionata da diversi "poteri". Che si infrangano le istituzioni, oggi, senza un Progetto serio di revisione del concetto di Democrazia è una pericolosa deriva che comprende intrusioni di poteri espansionisti esteri. La nostra migliore azione possibile oggi è difendere questa Democrazia da chi stando fuori dalle istituzioni si riconosce antidemocratico. Pensiamoci! Ciaooo

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