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5836  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / JACOPO IACOBONI. - La “struttura delta” della Casaleggio. Ecco tutti i nomi e... inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:32:14 pm
La “struttura delta” della Casaleggio. Ecco tutti i nomi e come funziona   
Dal contratto imposto al M5S Roma fino alle webstar politiche: come l’azienda guadagna

Pubblicato il 11/02/2016
Ultima modifica il 11/02/2016 alle ore 07:54
Jacopo Iacoboni

Diciamo che è la struttura delta della Casaleggio, uno staff nello staff. Al punto 4a del «contratto» con il candidato sindaco del M5S a Roma, Gianroberto Casaleggio ha inserito una delle clausole più importanti, che possono passare inosservate: «Lo strumento per la divulgazione delle informazioni e la partecipazione dei cittadini è il sito beppegrillo.it/listeciviche/liste/roma». Tradotto, tutto il traffico - anche video e social - deve passare dal blog. Ma chi gestisce in concreto questa “struttura” alla Casaleggio associati? 

La Stampa è in grado di raccontarlo millimetricamente. Mentre Grillo parla di «Rai fascista», la Casaleggio guadagna dai video di Rai, La7 e Mediaset, con un sistema semplice e perfettamente legale. Prima cosa: ancor prima del boom del M5S, la Casaleggio ha costruito una quindicina di - chiamiamole così - webstar, da Di Battista a Fico, gente con un milione di iscritti su facebook, che è tenuta a concedere di pubblicare ogni proprio video sul sito di Grillo. Se Dibba fa una performance dalla Gruber, la deve mettere sul sito di Casaleggio. I video non vengono caricati su youtube (che non accetta caricamenti con monetizzazione di video protetti da copyright), ma su un altro servizio di cloud storage di video, che non ha evidentemente ancora stipulato accordi con le tv italiane e le società di produzione. A questo servizio la Casaleggio paga una quota per ricevere in cambio dei ritorni pubblicitari dagli spot che partono prima del video, e dai banner (attraverso Adwords o altre piattaforme di monetizzazione pubblicitaria). Per ogni video caricato e visto la Casaleggio incassa in percentuale una quota stimabile fino ai mille euro e oltre per ogni video visualizzato almeno centomila volte (dati variabili). Cosa che a suo tempo fece infuriare moltissimi parlamentari M5S, che però non hanno mai avuto la forza di stoppare questo meccanismo.

Alla Casaleggio tre persone hanno tenuto in mano operativamente la cosa, nel corso di questi anni in varie fasi: Pietro Dettori, che gestisce anche gli account twitter di Grillo, e molto spesso è autore materiale dei post (Grillo incredibilmente lascia fare anche quando poco o nulla sa di ciò che viene scritto, anche delle uscite più tremende), figlio di un imprenditore sardo legato in precedenza a Casaleggio. Biagio Simonetta, un giornalista, esperto di new media. Marcello Accanto, un social media manager. E, ultima entry, Cristina Belotti, che si occupa della tv La Cosa, una bella ragazza cresciuta curiosamente alla più pura scuola del centrodestra milanese, la scuola di Paolo Del Debbio - lavorava nella redazione del suo programma - e arrivata alla Casaleggio attraverso il network dei fratelli Pittarello; soprattutto Matteo, fratello di Filippo, storico braccio destro di Casaleggio, un passato anche da boy scout.
Belotti è diventata collaboratrice di Luca Eleuteri, uno dei soci della Casaleggio (l’altro è Mario Bucchich; da non molto si sono aggiunti il programmatore storico della Casaleggio, Marco Maiocchi, e un uomo di marketing che collaborava con Casaleggio già in Webegg, Maurizio Benzi).

I tre che gestiscono il blog e le pagine social della galassia Casaleggio controllano tutto il giorno il trend di viralità dei contenuti pubblicati, attraverso le analisi comparate dei dati (usano insights di facebook e Google analytics). Con l’incrocio semplicissimo di questi due strumenti, sanno in ogni momento quanto stanno guadagnando. Le webstar politiche fanno fare soldi all’azienda. Un berlusconismo 2.0.

C’è però un’altra cosa in cui i «ragazzi» eccellono, e Dettori è bravissimo, la profilazione. È un loro divertimento sapere: chi si collega a un video, da dove, con quale software, quale browser, qual è la sua età e i suoi interessi. Non è proprio The Circle di Dave Eggers - l’azienda è troppo piccola; quello è il sogno.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/02/11/italia/politica/la-struttura-delta-della-casaleggio-ecco-tutti-i-nomi-e-come-funziona-KjOs99jXDHs6JbhPBP5uAM/pagina.html
5837  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / UGO MAGRI Mattarella e il “Paese sfibrato” che deve ritrovare l’unità inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:30:10 pm
Mattarella e il “Paese sfibrato” che deve ritrovare l’unità
Domani il Capo dello Stato si rivolgerà ai cittadini e non ai politici. Sarà un appello a superare l’odio e a ritrovare un destino comune
Domani sera, Mattarella farà un discorso sobrio e preoccupato. Non dirà che tutto va bene. Ricorderà invece che siamo alle prese con drammi piuttosto seri, in qualche caso «epocali», a fronte dei quali l’Italia dovrebbe darsi la forza di reagire con totale unità di intenti.

Pubblicato il 30/12/2016
Ugo Magri
Roma

In tivù, domani sera, Mattarella farà un discorso sobrio e preoccupato. Non dirà che tutto va bene, dunque possiamo festeggiare sereni. Ricorderà invece che siamo alle prese con drammi piuttosto seri, in qualche caso «epocali», a fronte dei quali l’Italia dovrebbe darsi la forza di reagire con totale unità di intenti. Invece purtroppo (sarà questo il succo vero del messaggio in preparazione) stiamo rischiando di smarrire il senso del destino comune. Troppi risentimenti, troppi egoismi, troppe divisioni a ogni livello. Non che manchino le isole di solidarietà, i buoni esempi ai confini dell’eroismo: a sentire chi frequenta il Colle, il Presidente ne citerà parecchi in quanto, se siamo ancora in piedi nonostante tutto, è proprio grazie a chi ci crede e si mette quotidianamente in gioco. Ma in questo clima di frustrazione e talvolta di odio, certamente di rabbia e di divisione, risalire la china può diventare ancora più complicato. Di qui l’appello a fare pace con noi stessi. A ritrovarci insieme sulle cose davvero importanti. E un invito trasparente ai partiti: nella loro libera dialettica, che si annuncia vivace, si combattano pure sulla legge elettorale e sul resto, a patto di non trascurare i problemi veri. Quelli per cui la gente comune sta soffrendo. Perché a che cosa serve la politica, se non a farsene carico?

La lista dei problemi 
Inevitabilmente, le parole di Mattarella verranno scannerizzate per ricavarne indizi sul futuro della legislatura. E qualche utile indicazione senza dubbio ne verrà fuori. Tuttavia al Quirinale spengono in anticipo gli entusiasmi dietrologici, in quanto destinatari del messaggio saranno i «concittadini», la gente comune. E diversamente dagli auguri rivolti pochi giorni fa alle alte cariche dello Stato, quando non poteva che prendere spunto dalla crisi di governo appena risolta, stavolta il Presidente partirà dai problemi reali. Dal lavoro che manca per tanti giovani e non solo. Dal terrorismo che insanguina l’Europa. Dai risparmi e dal sistema bancario che urge mettere in sicurezza. Il suo discorso toccherà vecchie piaghe nazionali come la corruzione e nuove calamità come il terremoto. Né trascurerà i rifugiati, in fuga dalle guerre, con le tensioni che gli sbarchi e l’accoglienza si portano dietro. Insomma, Mattarella elencherà a una a una le piaghe di un paese «sfibrato», dove sta venendo meno la sicurezza del futuro. Un malessere di cui la politica non è stata la medicina, e probabilmente non lo sarà nemmeno nei prossimi mesi. Con i principali leader già proiettati al voto, e un governo dichiarato «provvisorio» dagli stessi partiti che lo dovrebbero sostenere. Insomma: questo equilibrio fragile non può durare. Perciò si illude chi pensa (o spera) che il Capo dello Stato farà di tutto per ritardare la resa dei conti elettorale. Una volta chiarito con quale legge voteremo, l’arbitro fischierà la fine di questa XVII legislatura. Il popolo sovrano potrà finalmente esprimersi. L’importante, insisterà domani sera Mattarella, è che la politica non si avviti su se stessa, perché di guai ne abbiamo già abbastanza.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/30/italia/politica/mattarella-e-il-paese-sfibrato-che-deve-ritrovare-lunit-ZXrzxsssQdPqo0D7qxyMNN/pagina.html
5838  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Massimo D'Alema: La sinistra recuperi il suo spazio e il suo ruolo, senza una... inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:28:43 pm
Massimo D'Alema: "La sinistra recuperi il suo spazio e il suo ruolo, senza una svolta politica sarà una deriva irrimediabile"

L'Huffington Post
Pubblicato: 30/12/2016 10:52 CET Aggiornato: 26 minuti fa

Si intitola "Fondamenti per un programma della sinistra in Europa" l'analisi che Massimo D'Alema fa della salute della sinistra nel contesto italiano ed europeo. L'editoriale, di cui HuffPost è in grado di anticipare ampi stralci, viene pubblicato il 31 dicembre sul nuovo numero della rivista Italianieuropei, fondazione presieduta dallo stesso D'Alema. L'autore mette sul tavolo le difficoltà di una sinistra divenuta "bersaglio principale" dell'antipolitica e dei populismi, analizza le cause dello sbandamento della socialdemocrazia e propone la via d'uscita per il socialismo europeo, una "svolta politica" che consenta di "tornare a parlare alle nuove generazioni e al mondo del lavoro". Una sterzata urgente e indifferibile, senza la quale si profila il rischio di una "deriva irrimediabile".

    "La sinistra sembra essere il bersaglio principale di quell’ondata di sentimento avverso alla politica, di quella diffusa protesta contro l’establishment che percorre gran parte dell’Europa. Non è difficile capire perché. In realtà, è persino naturale che sia proprio la sinistra a essere sul banco degli imputati, nel momento in cui la globalizzazione selvaggia provocata dal capitalismo finanziario e la sua successiva crisi hanno innanzitutto colpito protezioni e diritti sociali, aggravando diseguaglianze e povertà. In questo contesto, la sinistra appare una forza che, ben più dei partiti conservatori, è venuta meno alle sue ragioni costitutive e alla sua missione storica. Tutto questo ci potrà sembrare ingiusto, e in parte lo è. Ma non possiamo nasconderci il peso e il rilievo delle nostre responsabilità".

Il punto da cui ripartire per la sinistra deve essere quindi la presa d'atto dell'errore nella valutazione ottimistica degli effetti della globalizzazione sull'economia e sulla società e il recupero del suo ruolo fondamentale nella politica.

    "Ciò che sembra chiaro, anche alla luce delle recenti elezioni americane, è che la sinistra potrà fare argine al populismo soltanto se sarà in grado di tornare a svolgere il suo ruolo fondamentale: essere, cioè, la forza capace di ridurre le diseguaglianze, combattere la povertà, restituire dignità al lavoro. Altrimenti, paradossalmente, queste bandiere passeranno nelle mani delle destre e della demagogia populista, mentre noi appariremo sempre di più come i rappresentanti di un establishment lontano dai bisogni e dai sentimenti popolari. Non ha forse vinto, Trump, rivolgendosi – come egli ha detto – ai dimenticati della globalizzazione? Certo, poi il neopresidente sta procedendo a mettere ai vertici della sua Amministrazione i capi più feroci e antioperai delle grandi società multinazionali. Ma, proprio per questo, appare più doloroso il paradosso nel quale ci troviamo".

Secondo D'Alema non c'è dubbio che il movimento progressista debba ripartire dall'Europa. Dove la globalizzazione ha rafforzato le spinte antieuropeiste e la crisi economica e sociale ha alimentato il sentimento anti-establishment. Tendenze che hanno portato i partiti europeisti a un'innaturale coabitazione, quelle grandi coalizioni che hanno visto la luce in Germania, Spagna, Austria e per certi versi anche in Italia.
   
    "Il rischio, per i socialisti, è grave: diventare progressivamente junior partners delle forze conservatrici, appannando la propria identità e rafforzando così le ragioni di chi guarda all’establishment europeo come a un insieme sostanzialmente, politicamente e culturalmente omogeneo".

Una collaborazione che non si è rivelata proficua per le politiche europee, salvo l'introduzione del principio di flessibilità nei vincoli del patto di stabilità che alla prova dei fatti è stata però utilizzata per risolvere problemi a livello nazionale e non si è trasformata in una lotta per una sterzata delle politiche comunitarie.

    "Siamo ben lontani da quella profonda svolta nel senso di una politica tesa alla crescita economica, al rinnovamento e rilancio del welfare, alla lotta alla povertà e alle diseguaglianze, che sarebbe indispensabile per riguadagnare la fiducia dei cittadini nel processo europeo"

Non manca un passaggio critico sull'azione svolta dal Governo di Matteo Renzi in Europa e in Italia. A livello europeo perché la battaglia sulla flessibilità è stata condotta per reperire risorse da utilizzare "in chiave elettoralistica", a livello nazionale perché la riforma costituzionale appariva una diretta emanazione di un "riformismo neoconservatore".

    "Al di là del metodo con cui essa è stata varata e dell’impostazione irresponsabilmente plebiscitaria del referendum popolare, ciò che ha suscitato la risposta negativa dei cittadini è stata proprio una impronta culturale volta a ridurre gli spazi della partecipazione, del controllo parlamentare, dell’autonomia delle comunità locali, nel nome di una razionalizzazione semplificatrice all’insegna dell’accentramento e della governabilità. So bene quanto sia importante la stabilità dei governi, ma credo che sia pericolosa l’ideologia di una governabilità che non si fondi sul consenso e sulla partecipazione. Perché non c’è governo – soprattutto se per governo si intende la guida di un processo di trasformazione sociale – che possa prescindere dalla partecipazione consapevole della maggioranza dei cittadini e dal contributo attivo dei corpi intermedi della società. La riforma costituzionale andava in senso esattamente opposto ed è stata percepita come una ulteriore sottrazione di diritti, in particolare determinando una rivolta della stragrande maggioranza dei giovani, che già sperimentano la mancanza di un sistema di istruzione all’altezza dei tempi che stanno vivendo e la perdita del diritto a un lavoro dignitoso. Lungo questi percorsi, la sinistra smarrisce se stessa, si allontana dalle sue ragioni e dal suo popolo".

Il rischio è una sinistra ridimensionata e subalterna. E senza una sinistra capace di essere una vera alternativa alle politiche dominanti in Europa, il rischio vero è il diffondersi di "illusioni regressive", spiega D'Alema, come "la fuoriuscita dall'euro o la rinazionalizzazione delle politiche economiche"

    "Occorrono una svolta politica e il coraggio di rompere con il conformismo e l’eccesso di prudenza e gradualità che hanno finora caratterizzato l’azione del socialismo europeo, pena il rischio di una deriva irrimediabile, soprattutto se investirà paesi chiave come l’Italia e la Francia. Ciò che occorre è mettere in campo un programma effettivamente radicale di cambiamento delle politiche europee e, in prospettiva, degli stessi assetti istituzionali. Una visione europea che sia anche la guida per concrete politiche nazionali. Una spinta, in questo senso, viene ormai da tanta parte del pensiero economico, da Joseph Stiglitz a Paul Krugman, da Mariana Mazzucato a Thomas Piketty, al nostro Salvatore Biasco. Ma ancora non si traduce in un coerente e coraggioso programma politico".

Un programma della sinistra che riparta da alcuni pilastri chiari.
    "Innanzitutto la politica, cioè lo Stato e le istituzioni, devono riappropriarsi della sovranità fiscale e tributaria. La leva dell’imposizione non è in grado di funzionare come strumento di redistribuzione della ricchezza e di riduzione delle diseguaglianze. La rendita finanziaria ma anche i profitti delle grandi società multinazionali sono toccati solo marginalmente dalla fiscalità. Pagano esclusivamente il lavoro e le pmi". [...] "Serve, inoltre, un grande piano per la crescita in Europa, che comporta massicci investimenti, anche pubblici e anche finanziati in deficit. Ben oltre i confini dell’asfittico Piano Juncker" [...] "C’è poi bisogno di un grande progetto europeo per la formazione, la ricerca e l’innovazione. E, ancora, è necessario un patto sociale, nuovo, basato anche su un rapporto diverso tra Stato, società civile, privato sociale, imprese, per rinnovare il welfare mantenendo, però, la capacità di questo sistema di proteggere effettivamente le persone dalla povertà, dall’esclusione, dalle malattie, evitando il rischio di una americanizzazione selvaggia delle società europee. Occorre, infine, tornare a discutere delle possibili soluzioni per una forma di mutualizzazione del debito che, senza ovviamente scaricare di responsabilità i debitori, consenta di bloccare la speculazione e di avviare una politica di riduzione del servizio del debito"

L'America di Trump, conclude D'Alema, rende ancora più necessaria inoltre un'Europa unita e forte, obiettivo che può essere raggiunto se la sinistra saprà riprendersi il suo spazio e il suo ruolo.

    "Una sinistra europea che avesse il coraggio di mettere sul tavolo con chiarezza un programma così netto e coraggioso avrebbe almeno la possibilità – ne sono convinto – di tornare a parlare alle nuove generazioni e al mondo del lavoro".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/30/massimo-dalema-sinistra_n_13882578.html?1483091571&utm_hp_ref=italy
5839  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MASSIMO GIANNINI Mps, le risposte che mancano inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:26:55 pm
Mps, le risposte che mancano
L'inizio della fine comincia con Mussari, che compra Antonveneta e fa esplodere i conti. La cronaca di questi mesi ha zone d'ombra e il salvataggio della banca avrà costi enormi, ancora incalcolabili

Di MASSIMO GIANNINI
30 dicembre 2016

ABBIAMO messo in sicurezza il risparmio". Anche Paolo Gentiloni ricalca le orme di Matteo Renzi. Anche il nuovo premier, dopo aver varato il decreto salva-Mps, tira un sospiro di sollievo, come fece il vecchio premier il 22 novembre 2015, dopo aver varato il decreto salva-Etruria. Sollievo malriposto. Allora come oggi. Il salvataggio della banca più antica del mondo avrà costi enormi, ancora incalcolabili.
 
I20 MILIARDI stanziati sono nuovi debiti pubblici.
Dall'anno prossimo peseranno sulle tasche di tutti i contribuenti. È giusto sacrificarsi per Siena. Ma a patto che si faccia luce sull'infinita catena di errori commessi in questi anni (magari proprio con quella famosa commissione d'inchiesta che Renzi lanciò a sproposito il 23 dicembre 2015). E a patto che si fissi almeno un punto fermo: chi ha sbagliato, una volta tanto, tolga il disturbo. A pagare il conto finale non può essere sempre e solo Pantalone. Pantalone siamo noi. Vorremmo almeno sapere, con qualche domanda, chi dobbiamo "ringraziare".
 
IL TESORO.
In una lunga intervista al Sole 24 Ore, il ministro Padoan ripercorre a modo suo il calvario di Mps. Nulla c'è ancora di chiaro, sulle modalità con le quali saranno "coperti" gli obbligazionisti della banca, e quali saranno, anche in questo caso, i sommersi e i salvati. Per il resto, il ministro dice: "Non sono affatto pentito di aver sostenuto, nel rispetto del ruolo di tutti, l'operazione di mercato". Ma non era forse già chiaro a luglio che la "strada privata" avrebbe portato a un vicolo cieco? Si può considerare il licenziamento di un amministratore delegato come Fabrizio Viola, deciso con una telefonata fatta "per conto" dell'allora premier Renzi il 7 settembre, una mossa "nel rispetto del ruolo di tutti"? O qui non c'è forse una clamorosa invasione di campo della politica, che invece di salvare la banca quando le condizioni lo consentivano si è avventurata in un'improbabile "operazione di mercato"? Padoan aggiunge: do il "pieno sostegno all'attuale management della banca", compreso l'ad Marco Morelli. Considerato che in questi anni Mps ha bruciato 17 miliardi di patrimonio, non è il momento di attuare anche in Italia il metodo Obama, che nel 2009 varò il "Tarp", un piano di intervento dello Stato nelle banche da 700 miliardi di dollari, che aveva come condizione l'azzeramento totale di tutti i vertici e la nomina di manager pro tempore scelti dallo Stato? Padoan si lamenta perché "nel nostro Paese non sono sanzionate abbastanza le responsabilità di singoli manager che hanno prodotto danni rilevanti a investitori, azionisti, risparmiatori". Giusto, ma allora perché non presenta una legge che introduce e inasprisce queste sanzioni? Lui è il governo: ha l'obbligo politico e morale di parlare e di agire come il ministro del Tesoro, non come un cittadino qualunque.
 
LA BCE.
La Banca centrale europea ha avuto un ruolo cruciale, fa il suo mestiere. Ma il suo "accanimento terapeutico" nei confronti di Siena merita qualche chiarimento. Dopo gli stress test del 23 giugno, la Vigilanza europea guidata dalla francese Danièle Nouy impone la ricapitalizzazione da 5 miliardi entro il 31 dicembre. In base a quale criterio, solo 4 giorni fa, la Bce chiede per lettera al Monte di aumentare la ricapitalizzazione a 8,8 miliardi? Cosa è cambiato, in questo frattempo? E in base a quale principio Francoforte impone a Mps la stessa copertura patrimoniale (il Cet1, fissato all'8%) che nel 2015 applicò alle banche greche, mentre nelle stesse ore riduce dal 10,7 al 9,5% l'analogo parametro richiesto alla Deutsche Bank (la banca europea con il portafoglio più "zavorrato" dal peso dei titoli tossici)? Mario Draghi, giustamente, ha fatto della cosiddetta "accountability" la sua religione. Ma la necessità di "rendere conto" del proprio operato, a Francoforte, deve valere per tutti.
 
LA BANCA D'ITALIA.
Via Nazionale ha avuto un ruolo importante. Non tanto per quello che ha fatto, quanto per quello che non ha fatto. Sul fronte "esterno": il governatore Visco siede nel board di Francoforte, e l'italiano Ignazio Angeloni siede in quello della Vigilanza europea. Perché sono mancate comunicazioni puntuali tra l'Eurotower e Palazzo Koch? Sul fronte interno: la direttiva sul bail in (che scarica i costi dei fallimenti bancari su azionisti, obbligazionisti e correntisti oltre i 100 mila euro) viene approvata dalla Ue nel 2014, e in Italia viene introdotta per la prima volta un anno dopo con il "decreto di risoluzione" su Banca Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti. Perché Bankitalia (che solo in seguito si dichiarerà contraria a quelle norme, applicate in modo retroattivo su tutti i risparmiatori) non fa una campagna per sensibilizzare l'opinione pubblica e convincere i governi a modificarla? E poi, più in particolare sull'affare Mps: perché il governatore ripete dal gennaio 2013 che la banca "non ha problemi di tenuta ", mentre nei due anni successivi Viola è costretto a chiedere aumenti di capitali per ben 8 miliardi? Perché in estate non si oppone alla cacciata dello stesso Viola, decisa da Renzi il 6 luglio dopo una colazione di lavoro a Palazzo Chigi con il presidente di Jp Morgan, Jamie Dimon? Perché in autunno non si oppone al rinvio dell'aumento da 5 miliardi, che Renzi decide di spostare a dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre, per evitare di dover mettere la faccia su un sicuro fallimento? Queste risposte sarebbero necessarie. Al contrario di quello che avviene per le ispezioni (sulle quali pure ci sarebbero tante domande da fare) non si viola nessun segreto d'ufficio.
 
LA CONSOB.
La commissione che vigila sulle società e la Borsa non può chiamarsi fuori dalle responsabilità. Stendiamo un velo pietoso sui derivati Alexandria e Santorini, che cinque anni fa nessuno vide e nessuno bloccò. Anche negli ultimi mesi su Mps sono accadute anomalie che una Vigilanza seria avrebbe potuto e dovuto intercettare. Almeno due delle emissioni obbligazionarie a rischio ("Lower Tier 2", a scadenza 2020) risultano vendute ai clienti al dettaglio della banca durante la gestione di Giuseppe Vegas. Se questo è vero, perché la Consob non le ha valutate e non le ha bloccate? E se invece non è vero, perché non smentisce e non chiarisce esattamente chi e quando ha autorizzato che cosa?
 
I VERTICI MPS.
Il "groviglio armonioso", a Siena, ha radici antiche. L'inizio della fine, com'è noto, comincia con Giuseppe Mussari, che compra Antonveneta dal Santander per oltre 9 miliardi, la cifra folle che fa esplodere i conti. Questa ormai è storia. La cronaca di questi ultimi mesi presenta zone d'ombra non meno inquietanti. Da settembre, dopo la famigerata "telefonata di licenziamento" di Padoan, ai vertici Mps siede Marco Morelli, già dirigente della banca ai tempi di Mussari. Insieme a Jp Morgan e Mediobanca (finora curiosamente rimasta "al riparo" da critiche) è proprio Morelli a farsi garante della cosiddetta operazione "di mercato", cioè del reperimento dei 5 miliardi di capitali privati. Ed è proprio Morelli a ventilare fino all'ultimo la possibilità che grandi fondi esteri intervengano nella ricapitalizzazione, nel ruolo di "anchor investor", convincendo il Tesoro a rinviare fino all'ultimo un intervento pubblico su Mps che si poteva e si doveva fare almeno sei mesi fa.
 
Dunque: quando e con chi ha parlato Morelli, tra i rappresentanti del fondo sovrano del Qatar? Quali sono stati i suoi interlocutori nel fondo gestito da George Soros? E quali offerte concrete aveva in mano, quando il 7 dicembre il cda della banca ha chiesto alla Bce una proroga al 20 gennaio 2017, per il closing dell'operazione? È il minimo che si possa chiedere a un manager che ha un compenso fisso di 1,4 milioni, superiore a quello del suo pari grado di Bnp Paribas. Per gestire la peggiore delle grandi banche europee, guadagna più di quello che guida la migliore. Come direbbero un Longanesi o un Flaiano: ah, les italiens...

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30 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/30/news/mps_giannini-155101167/?ref=HRER2-1
5840  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Aria di tempesta perfetta inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:25:11 pm
   Aria di tempesta perfetta
Se il 2016 non vi è piaciuto abbastanza è perché non avete ragionato su quanto nefasto può essere il 2017.
Eppure è almeno prematuro dichiararsi sconfitti.
Ecco qualche spunto di riflessione per chi non vuole arrendersi, o per chi vuole farlo con consapevolezza. E, in coda, gli auguri.

30/12/2016   

Se il 2016 vi è sembrato un anno preoccupante, magari è perché non avete ragionato a fondo su quanto ci aspetta nel 2017. Siamo nella stagione più instabile da anni, viviamo gli effetti del lungo e pesante sciame sismico che dal 2008 colpisce l’economia del continente, minandone la capacità politica e le potenzialità di sviluppo. 

 La crisi finanziaria (cominciata per la verità negli Stati Uniti) ha messo al tappeto le banche europee e a dura prova i debiti sovrani. Ha generato recessione e fiaccato la crescita. Ha fiaccato la fiducia e scatenato una tempesta perfetta da cui populismi e nazionalismi sono usciti drammaticamente rafforzati.

 La combinazione di tutto ciò ha spazzato via ogni vera leadership tradizionale, costringendo i governi a errori gravi, a partire dall’attacco alla Libia. La cattiva gestione delle crisi esterne, frutto della debolezza generalizzata, ha gonfiato il flusso dei migranti disperati che il solito conflitto siriano bastava a rendere allarmante e tragico. L’instabilità e l’insoddisfazione hanno favorito il diffondersi del terrorismo. Vista in prospettiva, se va male rischiamo di essere rovinati.

 Le cattive notizie si susseguono. I flussi dei rifugiati si sono fermati solo per mezzo di un pericoloso accordo a doppio taglio con l’alleato più scomodo fra quelli possibili per l’Europa, la Turchia. Il golpe antiErdogan, e la violenta reazione normalizzatrice del Sultano, hanno reso meno sicura la prospettiva che l’intesa continui a funzionare. Gli ammiccamenti con la Russia di Putin aggiungano dubbi al dubbio. I piani "migranti" approvati a Bruxelles non hanno avuto il loro naturale seguito nelle capitali, i leader hanno detto una cosa durante i vertici, e ne hanno fatta un’altra una volta tornati a casa.

Colpiti dal terrorismo, i Ventotto non hanno dato l’unica risposta che avrebbero dovuto, unirsi sino in fondo per la fare la forza. Il risultato è che i cittadini non si sentono protetti e, tantomeno, sicuri. E che premier e presidenti in carica si ritrovano sempre più sfiduciati. Nessun grande governo europeo, in questa fase, può dirsi sicuro di poter sopravvivere all’anno che arriva. Anche perché manca la crescita e ogni istituzione internazionale continua sistematicamente a tagliare le stime.

 

Qualcuno chiamerà in causa i gufi. Ma la verità è che c’è poco da ridere. Di qui a dodici mesi, salvo svolte serie, l’Ue si può ritrovare con le ossa un poco più rotte a ogni spoglio ultimato. Dopo il referendum britannico in cui si è affermata la volontà di John Bull di uscire dall’"Europa dei burocrati" - volontà che non verrà discussa ufficialmente prima di marzo e richiederà almeno due anni per essere chiarita - il calendario regala consultazioni popolari insidiose. 

Nel marzo 2017 si vota in Olanda, dove l’antislamico Wilders potrebbe conquistare la maggioranza relativa dei suffragi. Il primo passo dopo il trionfo (improbabile) sarebbe un referendum anti Europa.

Lo stesso discorso porta a maggio e alle presidenziale francesi. Anche qui la cittadina Le Pen vuole far esprimere il popolo su Bruxelles, come se Bruxelles fosse l’Europa, però la carta Fillon potrebbe ancora una volta tarparle le ali, anche se poi non è chiaro cosa succederà davvero nell’Esagono. 

In autunno, voto complesso in Germania, con Frau Merkel in pericolo per cose che non merita sino in fondo. I morti di Berlino non sono colpa sua, ma vallo a spiegare. Viviamo in un mondo in cui basta dire "mandiamoli a casa" per vincere le elezioni. Che poi non si dica "come" è tristemente marginale nei ragionamenti di una parte rumorosa dell’opinione pubblica.

Il negoziato per la Brexit e la gestione ordinaria delle cose interne in chiave elettorale costringerà la tribù dei governi deboli dell’Unione a guardare il dito delle cose interne e non la luna delle strategie sovranazionali. L’Europa potrebbe come conseguenza imboccare un lungo tunnel di paralisi decisionale, di attendismo. Nessuno a Bruxelles si aspetta grandi o piccole decisioni per paura degli effetti che si riverberebbe a livello locale. Posto che i problemi sono talmente grandi da non poter essere affrontati produttivamente da un paese solo, le soluzioni verrebbero a mancare, sull’occupazione come sulla sicurezza e il terrorismo. Il che alimenterebbe i populismi e indebolirebbe ulteriormente la capacità di reazione collettiva.

L’unica vera chance è quella di alzare la testa e guardare avanti. Spiegare come stanno davvero le cose, che l’Europa non è un vincolo, ma un’opportunità. Che non si fermano i migranti alzando un muro lungo il Brenta o sulla Sprea. La probabilità che abbiamo di uscire dai guai mostruosi in cui ci siamo infilati (spesso da soli) sta nell’andare avanti tutti insieme, rinunciando agli alibi e prendendo ognuno le sue responsabilità. Le grandi promesse di soluzioni istantanee hanno in genere le gambe corte e portano in nessun luogo. Occorre una strategia corale fatta di piccoli concreti passi. Sennò non ci si salva.

 

  Se l’anno prossimo vinceranno gli estremisti, i partiti che vogliono mettere la testa di struzzo nella terra della loro Patria o nazione, dovremmo concederci ancora a una ripresina, non creeremo posti di lavoro, non stabilizzeremo né noi, né quelli che ci stanno vicini. E’ questo il destino di chi impone il dialetto come punteggio extra nei conti pubblici e lo insegna a scuola in luogo delle lingue straniere che già si parlano poco. Questo il futuro di chi, invece che aggiustare le evidenti disfunzioni dell’Europa, vuole distruggerla del tutto. Come il meccanico che, davanti alla prospettiva di ingrassarsi le mani per aggiustare il motore, decidere di andare a Capo Nord a piedi. 
(Non è male andare a Capo Nord a piedi, ma ci vuole più tempo di quanto ne abbiano i più fra noi).

  Vale la pensa saperlo, riflettere sul fatto che potrebbe essere un annus horribilis, ma che la colpa o il merito delle cose è sempre di chi le fa, di chi le forma, di chi le decide. Non siamo condannati. Ma è meglio tenere presente che - se tutti non faranno il proprio dovere, dal primo all’ultimo dei cittadini, in città e oltreconfine - fra un anno potremmo anche rimpiangere questo tragico, sanguinoso e difficile Anno del Signore 2016.     

PS. Chiudo gli occhi e dal 2016 compare una telefonata alle 8 e pochi minuti da Zaventem, una a tarda sera da Torino, lo sguardo sprezzante di Robert Fico, quello umano di Jean-Claude Juncker, la notte rivoltosa degli inglesi e quella degli americani, la stretta di mano del Signor Rankin, il lampadario che trema a Roma per il terremoto di Amatrice, gli amici, gli addii e gli arrivederci, la rivoluzione personale, le altane e le ore veneziane, Walter Scott e il profilo rosso di Schiele, il Nuovo Mondo e il Vecchio Mondo. Un grande anno. Ma non come il prossimo, ovviamente, volendo. Auguri.

  Da - http://www.lastampa.it/2016/12/30/blogs/straneuropa/aria-di-tempesta-perfetta-79ZprtGuSctDfTvVQ96UBP/pagina.html
5841  Forum Pubblico / AMBIENTE & NATURA / LUCA MERCALLI. Il messaggio che arriva dai 20 gradi a Milano inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:22:57 pm

Il messaggio che arriva dai 20 gradi a Milano
Pubblicato il 28/12/2016  -  Ultima modifica il 28/12/2016 alle ore 07:41
Luca Mercalli

Venti gradi ieri a Milano, ma pure ad Aosta a Natale, complice il foehn, il vento di caduta dalle Alpi che comprimendosi scalda l’aria, insieme all’alta pressione atlantica già di per sé mite. Un episodio simile in Valpadana si verificò nel dicembre 1967, però a inizio mese - periodo di norma meno freddo - per cui l’anomalia dei giorni scorsi è più straordinaria. 

Come sempre quando si parla di clima un giorno fuori norma non significa granché, ma se la frequenza di queste anomalie aumenta anno dopo anno allora i sintomi del riscaldamento globale diventano inequivocabili. L’inverno più caldo in assoluto degli ultimi due secoli fu quello del 2007, quando in dicembre fiorivano le primule, il 19 gennaio si misuravano 25 °C sulla pianura piemontese e le Alpi erano brulle fino a tremila metri, ma uno scenario simile si verificava pure un anno fa. Finora, nei primi scorci di questo inverno, nebbie e inversioni termiche avevano un po’ mascherato gli eccessi di tepore in pianura, ma con l’impennata tiepida natalizia questo dicembre si avvia a chiudersi con almeno 1 °C sopra media sull’Italia settentrionale, collocando il 2016 tra i cinque anni più caldi degli ultimi due secoli. 

Peggio ancora a scala globale, dove l’anno diverrà il più caldo della storia meteorologica, stracciando il vicinissimo record del 2015. Nei prossimi giorni aria più fredda da Est investirà soprattutto l’Adriatico, portando un assaggio d’inverno, ma per la neve, che ancora manca su Alpi centro-orientali e Appennini, toccherà ancora aspettare. 

Dall’Artico alle Ande gli avvertimenti che ci lancia il clima sono sempre più espliciti e collimano con gli scenari che erano stati elaborati oltre vent’anni fa. Le riviste scientifiche internazionali pubblicano ogni giorno articoli che sottolineano la gravità del cambiamento climatico indotto dalle attività umane e l’urgenza di ridurre il nostro impatto sull’ambiente. Una grande quantità di conoscenza sottovalutata e sottoutilizzata: peccato, potrebbe rappresentare la nostra uscita d’emergenza dalla rotta verso il collasso, ma rischia di essere semplicemente il documento postumo della nostra stupidità.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/28/cultura/opinioni/editoriali/il-messaggio-che-arriva-dai-gradi-a-milano-Hg9pxSTdZR5mG43WyhSkGK/pagina.html
5842  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Pier Luigi Bersani: Superiamo il renzismo, tre campi d'azione per cambiare il PD inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:21:44 pm
Pier Luigi Bersani: "Superiamo il renzismo, tre campi d'azione per cambiare il Pd"

L'Huffington Post  |  Di Redazione
Pubblicato: 29/12/2016 15:42 CET Aggiornato: 5 ore fa

Per il Pd è arrivato il momento di cambiare, o si andrà dritti contro un muro. “Blairismo rimasticato”, “rottamazione” e “giovanilismo” hanno fallito, è tempo di cambiare rotta. È un duro attacco ai principi cardine del renzismo il lungo articolo a firma di Pier Luigi Bersani apparso oggi su Il Campo delle Idee, giornale online dell’Associazione Nuova Economia Nuova Società, centro studi fondato dallo stesso Bersani insieme a Vincenzo Visco.

    "Una fase si è chiusa”, scrive l’ex segretario. “L'esigenza urgente e drammatica è di non arroccarsi e di aprire una discussione vera. Perché sarebbe sbagliato pensare solo ad aggiustamenti millimetrici, o che basti mettere una scorza di sinistra nel cocktail degli ultimi tre anni. Non basta. Né il Pd potrà riproporre idee come la rottamazione, o quella forma di giovanilismo un po’ futurista che ha contraddistinto l'ultima fase. Per il centrosinistra si impone una nuova piattaforma politica: guardiamo avanti".

Secondo Bersani, “solo con proposte di una sinistra di governo la sinistra sarà di nuovo competitiva. Se invece il Pd e insieme al Pd tutto il campo progressista restano sul piano di un blairismo rimasticato, e ormai esausto, o se si mettono sulla strada di un populismo a bassa intensità, si va a sbattere contro un muro”.

Per Bersani è necessario evitare che il malessere “venga interpretato solo dalla demagogia”. "Dobbiamo fare in modo che il problema che c'è, il malessere, non venga interpretato solo dalla demagogia. Non lo chiamo neppure più populismo. Sono i cattivi pensieri di una nuova forma di destra nascente. E possono essere guai, se non interviene il Pd, lo schieramento progressista, che è già in ritardo. Come? Io vedo tre campi di azione".

    “Il primo: riprendere in mano i diritti del lavoro. C’è poco da fare: se non mettiamo meno insicurezza, meno incertezza e meno precarietà nel lavoro; se prosegue l’umiliazione del lavoro; se non mettiamo più dignità e sicurezza nel mondo del lavoro, se tutto questo non accade, i consumi e gli investimenti non riprenderanno mai. Dobbiamo dirlo chiaro e forte.

    Secondo, cercare di ridurre la forbice sociale. Sono due i pilastri per riuscire in questa impresa: fedeltà e progressività fiscale da un lato; e, dall’altro, welfare universalistico davanti a bisogni essenziali della vita delle persone, a cominciare dalla salute. Anche questo dobbiamo dirlo chiaro e forte.

    Terzo campo di azione: il ruolo del settore pubblico, diretto e indiretto, negli investimenti. Finché si va avanti con crescite dello zero virgola non possiamo pensare che non vi sia uno sciopero del capitale, come è avvenuto negli ultimi anni. Se non c’è un orizzonte che consente di sperare in una crescita dei consumi, l’imprenditore i soldi se li tiene ben stretti. Quindi ci vuole un nuovo ciclo di investimenti pubblici diretti e indiretti, se vogliamo dare lavoro. Investimenti ben selezionati, perché devono essere orientati al lavoro, alla modernizzazione e al potenziamento dell’apparato economico”.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/29/pier-luigi-bersani-superare-renzismo_n_13879958.html?utm_hp_ref=italy
5843  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Stefano Stefanini. La pericolosa diplomazia a triangolo inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:16:38 pm

La pericolosa diplomazia a triangolo
Pubblicato il 30/12/2016

Stefano Stefanini

Roma ringrazia il Tar e aspetta Capodanno per i botti. Fra Washington e Mosca sono già fuochi d’artificio. Ad accenderli sono Barack Obama e Vladimir Putin. Dal Cremlino, il Presidente russo chiama gioco, partita e incontro sulla Siria. Dalle Hawaii, Obama documenta l’Hacking elettorale russo e firma una raffica di sanzioni e di espulsioni mirate. I due giocano ormai a carte scoperte. 

Altrettanto fanno il 44° Presidente Usa uscente e il 45° entrante: fra i quali, più che un passaggio di consegne, è in corso una partita di ping-pong. Educata, ma senza risparmiare schiacciate. Il Cremlino non nasconde il tifo per Donald Trump. Non si era mai visto: né nelle relazioni russo-americane né nel collaudato rituale del cambio di presidenza.

Il Presidente russo taglia fuori gli americani dall’accordo che potrebbe mettere fine alla guerra civile in Siria; Obama risponde con vistosa durezza all’interferenza informatica russa nelle elezioni americane. L’uno e l’altro guardano al 20 gennaio quando Donald Trump entrerà alla Casa Bianca, come all’inizio di una nuova era nelle relazioni russo-americane.

Putin gli fa ponti d’oro; Obama cerca di condizionarlo. Il nuovo Presidente degli Stati Uniti trova così un leader russo che gli spiana la strada e un leader americano che gli pone «blocchi stradali» (così li ha chiamati Donald Trump). 

 Al centro del fuoco incrociato, il Medio Oriente. Non la crisi ucraina, non la Nato, maggiori pomi di discordia russo-americana. Stati Uniti e Russia hanno girato intorno alla crisi siriana senza chiudere un’intesa in chiave anti-Isis e anti-terrorismo; non avendo voluto raggiungerla con Obama, Putin la ventila ora a Trump – da una posizione di forza. Il Presidente russo ha messo a segno due colpi da maestro: un «piano di pace» concordato con Turchia e Iran; l’annuncio da Damasco di una tregua con i ribelli dalla mezzanotte di ieri. Vedremo se la seconda terrà: esclude Al Nusra e Isis e Putin stesso l’ha chiamata «fragile».

L’accordo ignora la Washington di Obama e Kerry, facendo della Turchia di Erdogan l’unico tenue filo che lo collega all’Occidente. Può darsi che Ankara, bontà sua, ne ragguaglierà gli alleati Nato; l’Alleanza serve anche a quello. Putin ha comunque già detto che la porta è aperta agli Usa – agli Usa di Trump.

Il giorno prima John Kerry aveva messo alle corde Netanyahu sugli insediamenti israeliani. La logica, impeccabile, del segretario di Stato uscente, sulla necessità di non ipotecare la soluzione dei “due Stati”, israeliano e palestinese, con un’occupazione di fatto, ha ricevuto una caustica risposta da Gerusalemme. Netanyahu può permettersi d’ignorare Washington. «Tieni duro, arrivo io» l’aveva rassicurato Donald Trump (per tweet – ricambiato – naturalmente).

Netanyahu e, più sottilmente, Putin chiamano il bluff di un’amministrazione uscente perché, grazie a Trump, sanno che avrà poca continuità. Le frecce all’arco mediorientale di Obama sono spuntate. Egli sconta l’ascesa di Mosca e il divario apertosi con Gerusalemme. Sarebbe ingeneroso ignorare il suo ruolo decisivo nel tenere insieme l’Iraq, nel demolire Isis, nel sostenere i curdi e nella lotta mirata al terrorismo, ma i rapporti di forza russo-americani nella regione si sono invertiti a favore di Mosca.

La bordata americana di ieri, con l’espulsione di 35 «operatori d’intelligence» russi e le altre misure di rappresaglia, è però un’arma ancora efficace. Mosca risponderà con un provvedimento analogo – il gioco delle parti è inesorabile. Non può permettersi di aspettare Trump. Sarà difficilissimo al nuovo Presidente americano revocare in tronco il provvedimento. La Russia è il nervo scoperto dei repubblicani; il Senato è tutto a favore di sanzioni per le interferenze elettorali. Sulla Russia è pronto a dar battaglia anche al nuovo Presidente. Donald Trump ha le mani parzialmente legate.

L’eredità russa di Obama a Trump è una relativa inferiorità in Medio Oriente e una tensione bilaterale senza precedenti dalla Guerra fredda. Fra le misure americane potrebbero anche rientrare non dichiarate offensive informatiche, entrando così in una dimensione di guerra «calda». Paradossalmente però, le barriere che il Presidente uscente cerca di erigere al successore potrebbero rivelarsi un viatico. Qualsiasi cosa Donald Trump farà nelle prime settimane e mesi di presidenza sarà accolta entusiasticamente in molte capitali, come Mosca, Gerusalemme, Manila, Ankara – perché «diverso da Obama». Poi anche per lui cominceranno le difficoltà.

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5844  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Renzi benedice lo schema Gentiloni: “Così si capisce che il Pd vuole votare” inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:14:40 pm

Renzi benedice lo schema Gentiloni: “Così si capisce che il Pd vuole votare”
Plauso dell’ex premier per la squadra di governo fotocopia, pressing sulla legge elettorale

Pubblicato il 30/12/2016
Carlo Bertini

Tanto per cominciare, il piano sui sottosegretari è stato rispettato alla lettera: varare una squadra fotocopia con scambi di poltrone che si contano sulle dita di una mano era la migliore soluzione per far capire che il Pd vuole elezioni subito. «E non era scontato farcela», raccontano gli uomini dell’ex premier. Dunque anche questa mossa è piaciuta al convitato di pietra di questa giornata campale, cioè Matteo Renzi. «Rivendico questa continuità sul piano politico», mette le cose in chiaro Gentiloni, come a dire idealmente che «io e Matteo siamo una cosa sola». E che sia proprio così lo dimostrano segnali vari, come il fatto che Filippo Sensi in questa fase faccia da portavoce a entrambi - premier ed ex premier - o come la scelta di Gentiloni di nominare capo del suo staff Antonio Funiciello, presidente del Comitato del Sì e spin doctor di Luca Lotti a Palazzo Chigi. 

Gli scambi whatsapp e le chiacchiere sui cellulari riportano dunque solo carezze per chi sta pedalando in tandem con Matteo nella stessa direzione di marcia, ovvero il voto anticipato. Nessun rilievo di sorta al neo premier. Il che, per una tribù sospettosa e abituata a pensar male come quella del «giglio magico» è fatto raro, specie se si tratta di commentare le azioni di chi ora mena le danze. Promosso alla prova del fuoco della conferenza di fine anno dal suo predecessore, che dalle Dolomiti ha seguito a distanza la condotta del suo prescelto. «Paolo va benissimo, è stato bravo, del resto Matteo sul voto e sulla legge elettorale non mette prescia a lui, ma al Parlamento», racconta il fiorentino David Ermini, amico di Renzi nonché responsabile giustizia del Pd. Che apprezza i toni e le professioni di lealtà dimostrate ad ogni piè sospinto. «Potete crederci o no, ma gliel’ho chiesto io alla Boschi», giura Gentiloni, caricandosi sulle spalle anche il fardello della riconferma della testimonial della riforma costituzionale, addossato finora solo al leader. Il quale ovviamente ha gradito questo gesto, così come non sono sfuggite le parole di «massima considerazione» nei riguardi di Lotti. 

Renzi viene menzionato dal premier per dare plastica rappresentazione di una lealtà formale e sostanziale, con toni perfino protettivi in vari passaggi: riproducendo un copione di sintonia umana e politica che arriva fino al paradosso di non nutrire istinti difensivi verso la propria poltrona di premier. Perché quando Gentiloni dice che «non si può vedere il voto come una minaccia», non fa che ammettere la sua disponibilità a lasciare Palazzo Chigi quando glielo chiederanno: cioè quando Renzi farà capire a Mattarella che il Pd non vorrà andare oltre, una volta ottenuta l’armonizzazione dei sistemi elettorali tra le due Camere.

«Con Renzi ho un rapporto di stima e collaborazione e penso che questo sia un vantaggio per il Pd e il governo», dice Gentiloni, facendo capire quale sia la vera polizza per la stabilità. Un rapporto che consente ai legionari del renzismo di battere da giorni su ordine del leader le truppe nemiche, «Nessuna melina sulla legge elettorale, i partiti si muovano, questo famoso 60% del No era una bufala, perché quando dal No si passa a dover dire un Sì tutti scappano», è lo sfogo del leader con i suoi interlocutori.

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5845  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Gianfrancesco Turano. Avevano fatto le pentole senza i coperchi ... inserito:: Dicembre 30, 2016, 12:53:13 pm
La vera storia dell’ultima guerra di Silvio Berlusconi
La scalata di Vivendi a Mediaset si sta rivelando la partita della vita per il Cavaliere.
Non è in gioco solo il controllo del colosso televisivo, ma anche il futuro degli eredi.
Che come manager operativi presentano finora un bilancio negativo

Di Gianfrancesco Turano       
26 dicembre 2016

Sul palcoscenico di questo “Natale in casa Berlusconi” il presepio è un campo di battaglia. I Re Magi venuti da paesi lontani, il bretone Vincent Bolloré di Vivendi, il mediatore tunisino Tarak ben Ammar e l’australiano Rupert Murdoch di Sky, portano doni di dubbio gusto alla grotta di Arcore. E Silvio si trova sotto assedio proprio quando iniziava a rivedere un raggio di luce in fondo alla galleria dell’emarginazione politica e dei problemi di salute.

Gli amici per resistere al raid dei francesi di Vivendi, che li si conti o li si pesi, si sono rarefatti. Fra questi, c’è il neopremier Paolo Gentiloni, che già da ministro delle Comunicazioni con Romano Prodi (2006-2008) firmò una riforma del settore tv non troppo dura con le reti Fininvest. C’è l’Agcom, tradizionale vaso di coccio deciso a sostenere la strategicità dell’asset Barbara D’Urso nel quadro dell’imprenditoria nazionale. Ci sarà la Consob a chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. E contro Bolloré è stato chiamato in soccorso il Maligno in persona, la Procura di Milano. Forse non basterà.

La tempra dell’uomo non si discute. Ma è messa a dura prova in due delle sue caratteristiche principali, entrambe irrazionali: il sentimento di essere immortale e la paura di finire in povertà. Gli attacchi esterni esaltano questi poli in contraddizione come non accadeva da oltre vent’anni. Per trovare un momento altrettanto critico nella vicenda del Cavaliere bisogna risalire al 1993, con la Fininvest oppressa da 4 mila miliardi di lire di debiti e la magistratura alle porte. Berlusconi uscì dall’impasse con la doppia mossa della fondazione di Forza Italia e della realizzazione del progetto Wave, la quotazione di Mediaset. Quasi un quarto di secolo dopo, il pericolo arriva proprio dalle tv. Le scelte di questi giorni festivi segneranno il futuro del gruppo del Biscione e degli eredi di un impero creato dal nulla.

La caduta di Piersilvio
Riunioni su riunioni hanno scandito la settimana prenatalizia nei tre poli di via Paleocapa a Milano, la sede storica di Fininvest, negli uffici di Mediaset a Cologno Monzese e ad Arcore, dove il patriarca riunisce i figli.

La scalata di Bolloré ha portato in luce il problema del passaggio di mano dal fondatore ai cinque eredi. Voci interessate riportano di conflitti fra i due tronconi rappresentati da Marina e Piersilvio, da una parte, e dai figli del matrimonio con Veronica Lario, Barbara, Eleonora e Luigi, dall’altra.

La realtà è che decide solo il capo, quel signore che ha tuttora il 61 per cento della holding Fininvest. I ragazzi si allineano. Il dissenso non è previsto ed è comunque ininfluente. È vero che i tre figli minori si interessano poco o nulla a Mediaset e che i due figli maggiori vorrebbero disfarsi quanto prima del Milan, attribuito a Barbara.
Ma il problema vero, che nessuno in famiglia confesserebbe, è la caduta di Piersilvio. A differenza di Marina, che presiede Mondadori-Rizzoli ma ha affidato la gestione a un manager esterno, Ernesto Mauri, il secondogenito di Silvio è vicepresidente e amministratore delegato delle reti tv.

Le scelte strategiche portano la sua firma. È stato lui a partire per una guerra che non poteva vincere contro Sky a colpi di dumping tariffario su un mercato di abbonati pay irremovibile a quota 5 milioni complessivi. È stato lui che ha cacciato Mediaset nel pasticcio dei diritti della serie A, sancito da una multa dell’Antitrust da 51 milioni di euro annullata dal Tar prima di Natale con ricorso in appello dell'authority al Consiglio di Stato.
È stato lui a buttare via 700 milioni di euro per strappare a Murdoch la Uefa Champions League con risultati che hanno dissestato i conti e con una politica di programmazione fallimentare fra chiaro e criptato. Né è stato troppo aiutato da un altro esponente della seconda generazione, il direttore dei contenuti di Premium Yves Confalonieri, figlio di Fedele, presidente di Mediaset, melomane, francofilo e sostenitore della linea dura nello scontro con il raider venuto dalla Bretagna. A Confalonieri senior, amico di gioventù di Silvio, non è sfuggita la perfidia con la quale Arnaud de Puyfontaine, braccio destro di Bolloré in Vivendi, ha dichiarato al Corriere della Sera di avere sempre piacere a incontrare Piersilvio.

Anche se va di moda la tesi che Mediaset è un’azienda in declino, le cifre di bilancio dicono che, al netto della catastrofe Premium, le tv del Biscione non vanno poi così male, pur se incassano meno rispetto ai tempi d’oro.
Il fallimento di Piersilvio si aggiunge a quello di Barbara, l’altro rampollo che ha chiesto e ottenuto dal padre un ruolo operativo in un’azienda di casa, l’Ac Milan. La cogestione con Adriano Galliani è stata quanto meno problematica e i 200 milioni di euro arrivati dai fantomatici acquirenti cinesi non hanno neppure sfiorato le casse del club rossonero e, per ora, nemmeno quelle della holding. In compenso, una cifra almeno pari alle due rate bonificate dalla Cina è stata investita per tamponare con acquisti sul mercato la scalata a Mediaset.



La scalata in tre scenari
Appena i francesi hanno dichiarato il raid, anche se il rastrellamento è iniziato mesi fa, commentatori e insider hanno prodotto vari scenari interpretativi.

Il dato di cronaca è che Fininvest ha tenuto dal primo momento una posizione molto chiara. Secondo la capogruppo berlusconiana, Vivendi ha disatteso un contratto valido per l’acquisto di Premium firmato la scorsa primavera. Il venditore Mediaset continua a ritenere l’accordo in vigore e ha continuato a notificare a Vivendi ogni suo atto di gestione come se la partnership fosse andata a buon fine. Quando ha annunciato l’intenzione di non finalizzare l’acquisto di Premium («un McDonald, non un ristorante a tre stelle», secondo de Puyfontaine), il finanziere bretone ha fatto crollare il corso borsistico di Mediaset per comprare a prezzi di saldo e in particolare ha violato l’impegno scritto a non rastrellare titoli Mediaset oltre il 5 per cento nel biennio. Una clausola, sia detto en passant, che dimostra le cautele berlusconiane verso il modus operandi di Bolloré.

L’ipotesi più fantasiosa è che Berlusconi abbia concertato col supposto nemico la scalata che gli sta rivalutando il titolo. Ma le sue plusvalenze sono virtuali. Sono invece reali i soldi spesi per contrastare Bolloré comprando sul mercato ed è reale l’esposto per turbativa di mercato presentato da Niccolò Ghedini alla Procura di Milano dopo la causa civile per il mancato adempimento dell’acquisto di Premium.

La seconda ipotesi, più attendibile, è che ci sia un gioco al massacro con Berlusconi preso in mezzo fra Bolloré e gli arcirivali di Sky, unici possibili acquirenti di Premium purché a un costo vicino allo zero. Questa opzione mira all’espulsione definitiva dell’inventore di Canale 5 dal mondo che gli ha consegnato il successo. Negli scorsi anni, la cessione di tutta Mediaset a Sky è emersa più e più volte ma più come strumento per creare attenzione mediatica che come negoziato reale. Impegnati dall’incorporazione della Fox per 14 miliardi, gli uomini di Murdoch non perdono di vista il campo di battaglia, pronti a intervenire.

La terza ipotesi, accreditata in via informale anche da fonti del Biscione, è che il muro contro muro annunciato da Confalonieri e ribadito dall’aggressività di Bolloré sul mercato sia il passo d’inizio di un’inevitabile trattativa a 360 gradi per risolvere con una transazione la grana Premium senza che una delle due parti in causa perda la faccia. In fondo, molti fra Cologno, Milano e Arcore confidano o sperano in un armistizio. Ma, si è detto, solo uno decide.
L’epilogo pacifico ha una controindicazione molto seria che va al di là del gioco Opa-contro Opa. Ormai su Mediaset indaga la magistratura penale. A differenza della causa civile per danni contro Vivendi, in questo caso Fininvest non può più dire, ammesso che lo voglia, “abbiamo scherzato”. Né si può dimenticare che la Procura milanese non è proprio nella lista dei migliori amici del Biscione. L’ultima richiesta di rinvio a giudizio contro Silvio Berlusconi è datata 15 dicembre, due giorni dopo che Ghedini ha denunciato l’aggiotaggio su Mediaset, e riguarda la presunta corruzione dei testimoni che va sotto il nome di processo Ruby ter.

L’indagine penale andrà avanti comunque. Certo non sarà breve. Potrebbe chiudersi con i giochi societari già decisi e comunque in un nulla di fatto. Bolloré è tutto fuorché un pivellino e la Consob o la Guardia di finanza faticheranno a districarsi fra opzioni put/call, derivati, futures e portage di investitori amici che forse già garantiscono al raider bretone una quota ben superiore al 30 per cento.

Tre ruoli in commedia per Tarak
Sky, Mediaset e Vivendi hanno, o hanno avuto per molti anni, un consulente in comune. Si chiama Tarak ben Ammar, storico consigliere di Mediaset all’indomani della quotazione per conto del principe al Walid bin Talal al Saud. Il suo ruolo fra le tre sponde si è sempre più spostato verso la Francia, dove il produttore cinetelevisivo ha la sua residenza principale. Rispetto a Sky, dove sostengono di non avere più a che fare con Ben Ammar da almeno sei anni, e a una Fininvest declinante, Bolloré ha un profilo molto più promettente per Ben Ammar. Si è visto a novembre 2015 nella vicenda della conversione delle azioni di risparmio Telecom, proposta dall’ad del tempo Marco Patuano. Vivendi, rappresentata in consiglio di amministrazione proprio da Ben Ammar, ha lasciato trapelare di essere favorevole a un’operazione che pure avrebbe diluito la partecipazione dei francesi nel gruppo delle tlc. Il via libera sulla conversione è stato però subordinato all’allargamento del cda a vantaggio degli uomini di Vivendi, azionista di riferimento con il 23,9 per cento. Approvato l’ampliamento a 16, con l’inserimento fra gli altri di de Puyfontaine alla vicepresidenza, i francesi hanno fatto dietrofront e hanno bocciato la conversione (dicembre 2015).

Sostituito Patuano con Flavio Cattaneo, Vivendi si è dedicata alla pratica Premium revocando il contratto il 25 luglio, quaranta giorni dopo l’operazione a cuore aperto di Berlusconi. Ad Arcore non hanno gradito la scelta di campo di Ben Ammar, che ha negato fino alla fine la discordia con Fininvest pur di tenersi il ruolo di mediatore al quale tiene molto. Ma i fatti sono eloquenti e Berlusconi non ha gradito il voltafaccia del suo consulente che, come imprenditore, ha qualche difficoltà. La holding di Ben Ammar Holland coordinator è in rosso per circa 9 milioni all’anno nel 2014 e nel 2015. A fronte di un’attività a rilento, il produttore punta molto sulla moral suasion che va dai consigli di amministrazione di Mediobanca e Telecom alle redazioni dei giornali, dove svolge da sempre un ruolo di media relator, o spin doctor. Sapere per conto di chi chiarirebbe i profili di una manovra che coinvolge a cascata tutto il mondo degli investimenti targati Bolloré, dalle Assicurazioni Generali, salite del 30 per cento in Borsa negli ultimi tre mesi, alla stessa Mediobanca dove nel 2003 proprio Ben Ammar guidò lo sbarco di Bolloré.

In quel caso, intervennero a difesa dell’italianità Mps e Capitalia. Alla fine, si arrivò a un accordo garantito da un nuovo patto di sindacato e dall’uscita dell’ad Vincenzo Maranghi.

Anche in questo caso, l’assedio non sarà indolore. Il lupo bretone è in casa. Fin da adesso Vivendi ha il potere di bloccare le operazioni straordinarie di Mediaset, di intervenire sulla gestione, di chiedere spazi in cda, di mettere naso e bocca in tutti i contratti mentre Fininvest può rafforzarsi secondo scadenze di legge acquistando un 5 per cento di azioni entro l’aprile 2017 e un altro 5 per cento entro l’aprile 2018. In quanto ai pareri dell’Agcom contro Bolloré, i francesi contano sulla catena dei ricorsi amministrativi. Tutte dilazioni di cui Berlusconi è sempre stato maestro e che ora giocano contro di lui in un durissimo finale di partita a eliminazione diretta.
   
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26 dicembre 2016

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5846  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / LUCA PAGNI. Cassazione: licenziamento legittimo se l'azienda vuole aumentare ... inserito:: Dicembre 30, 2016, 12:50:32 pm
Cassazione: licenziamento legittimo se l'azienda vuole aumentare i profitti   
La Corte ribalta il giudizio di appello dove il licenziamento era stato bocciato perché "motivato soltanto dalla riduzione dei costi e quindi dal mero incremento" dei guadagni, mentre è legittimo anche nel caso di una "più efficiente organizzazione aziendale"

Di LUCA PAGNI
29 dicembre 2016

MILANO - Il datore di lavoro può licenziare un dipendente non solo in caso di difficoltà economiche e in situazioni di ristrutturazioni aziendali dettate da una congiuntura negativa, ma anche per "una migliore efficienza gestionale" e per determinare "un incremento della redditività". In altre parole: per cercare di aumentare i profitti.

La Corte di Cassazione, con una sentenza depositata il 7 dicembre scorso (segnalata dal quotidiano ItaliaOggi), scrive una nuova pagina nel campo del diritto del lavoro. Destinata a fare giurisprudenza e quindi a essere presa come riferimento anche dai tribunali di primo e secondo grado, chiamati a decidere sulle controversie tra imprenditori e dipendenti.

La Cassazione è intervenuta sul caso di un dipendente messo alla porta dall'azienda dove lavorava, dopo due sentenze tra di loro in contrasto. Il giudice di primo grado aveva stabilito che il licenziamento era legittimo in quanto "effettivamente motivato dall'esigenza tecnica di rendere più snella la catena di comando e quindi la gestione aziendale". Giudizio ribaltato in appello , dove il giudice ha ritenuto illegittimo il provvedimento in quanto non era stato motivato dalla necessità economica e dalla presenza di eventi sfavorevoli, ma essendo stato "motivato soltanto dalla riduzione dei costi e quindi dal mero incremento del profitto".

Appellandosi anche all'articolo 41 della Costituzione che prevede la libera iniziativa economica dei privati, citando le direttive comunitarie sul tema, ma anche riferendosi a decisioni del passato, la Cassazione ha ritenuto che non sia necessario essere in presenza necessariamente di una crisi aziendale, una calo di fatturato o bilanci in rosso per procedere a un licenziamento. Il provvedimento può essere così giustificato anche per migliorare l'efficienza di impresa o per la soppressione di una posizione o anche per adeguarsi alle nuove tecnologie. In poche parole, se l'attività dei privata è libera, deve esserlo anche la possibilità di organizzarla al meglio.  Rimane, ovviamente, potestà del giudice verificare l'effettiva ragione presentata dall'azienda per giustificare il licenziamento per riorganizzazione e il nesso di casualità tra i due eventi (così come lo è in caso di licenziamento per motivi economici).

Il passaggio destinato a fare giurisprudenza - nonché a far discutere - è il seguente: "Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo - si legge nel dispositivo - l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell'impresa, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa; ove però il licenziamento sia stato motivato richiamando l'esigenza di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale adottata dall'imprenditore".   

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29 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/12/29/news/cassazione_licenziamento_legittimo_se_l_azienda_vuole_aumentare_i_profitti-155054627/
5847  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / BERSANI Il centrosinistra deve dare vita a una nuova piattaforma politica. (sic) inserito:: Dicembre 29, 2016, 07:13:03 pm
Carissimi,
da oggi potete leggere su Il campo delle idee, giornale online del Nens, il centro studi fondato da Vincenzo Visco e Pier Luigi Bersani, tra gli altri articoli, i dossier, le analisi e le statistiche economiche e sociali prodotti da istituti nazionali e internazionali, i seguenti titoli:
   
Il centrosinistra deve dare vita a una nuova piattaforma politica. La via seguita finora è sbagliata.

Ci siamo raccontati e accontentati di un racconto secondo il quale abbiamo fatto piccoli passi, ma sulla strada giusta. Non è così. La verità è che dobbiamo discutere e capire come fare passi in avanti su una strada diversa, un’altra strada, perché quella che abbiamo imboccato e continuiamo a seguire è sbagliata. Se il Pd e il campo progressista restano sul piano di un blairismo nato in altre fasi, rimasticato e ormai esausto, o se ci si mette sulla strada di un populismo a bassa intensità, si va a sbattere contro un muro. Le scorie lasciate dal ripiegamento della globalizzazione, la disunione europea, i problemi strutturali italiani impongono un ripensamento complessivo. Dobbiamo proporre protezione, ma con i valori della sinistra: riprendere in mano i diritti del lavoro; se non mettiamo più dignità e sicurezza nel mondo del lavoro, i consumi e gli investimenti non riprenderanno mai. Dobbiamo ridurre la forbice sociale, basandoci su due pilastri: fedeltà e progressività fiscale da un lato e welfare universalistico davanti ai bisogni essenziali. E un nuovo ciclo di investimenti pubblici per dare lavoro, in particolare sull'innovazione industriale e per la manutenzione straordinaria del Paese. Nella speranza di incontrare il vostro interesse, vi invitiamo a continuare a seguirci, a leggere i nostri articoli e i numerosi documenti, statistiche, analisi delle diverse istituzioni nazionali e internazionali.

Nell’invitarvi a continuare a seguirci e a sostenerci, vi ricordiamo che, altre agli articoli a lettura libera, ogni giorno il giornale online del Nens pubblica documenti, analisi, studi, statistiche e interventi di organismi nazionali e internazionali.

La Direzione del Nens

Da – il campo delle idee.
5848  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Giordano Stabile. Siria, a mezzanotte scatta il cessate il fuoco generale inserito:: Dicembre 29, 2016, 07:10:15 pm
Siria, a mezzanotte scatta il cessate il fuoco generale
Il Cremlino conferma l’accordo Russia-Turchia per arrivare alla pace

Pubblicato il 29/12/2016
Ultima modifica il 29/12/2016 alle ore 16:15

Giordano Stabile

Come anticipato ieri a mezzanotte scatterà “il cessate il fuoco totale in tutti i territori della Repubblica Araba Siriana”. L’annuncio arriva dal Comando della Forze armate di Damasco. La principale alleanza di opposizione, il Consiglio Nazionale Siriano, con sede a Istanbul, ha espresso il suo “sostegno per l’accordo, ed esorta tutte le parti a rispettarlo”, come ha proclamato il portavoce Ahmed Ramadan. Altri cartelli dell’opposizione, però, come quello che fa riferimento all’Arabia saudita, non si sono ancora espressi.

Parziale ritiro russo 
La conferma dell’accordo è arrivata questa mattina dal presidente russo Vladimir Putin. Il leader del Cremlino ha detto che sono stati firmati tre accordi: cessate-il-fuoco, misure “di monitoraggio” della tregua, inizio dei negoziati per una pace generale. Putin anche accennato a una possibile “riduzione” delle forze russe presenti in Siria, stimate in 8-10 mila uomini. Una prima riduzione era stata annunciata lo scorso marzo, ma era seguita una nuova escalation che aveva portato alla battaglia decisiva di Aleppo.

Terroristi e no 
Al Consiglio fanno riferimento i gruppi combattenti dell’Esercito libero siriano, o Jaysh al-Khour, conosciuto con l’acronimo inglese di Fsa. L’Fsa è schierato con la Turchia nel Nord della Siria, contro l’Isis ma anche i guerriglieri curdi dello Ypg. Ankara ha imposto che venissero esclusi dalla tregua. L’accordo prevede che oltre all’Isis anche “Jabhat al-Nusra e i gruppi a essa legati” vengano esclusi dal cessate-il-fuoco. Si tratta di formazioni jihadiste vicine ad Al-Qaeda, una miriade di gruppuscoli che hanno fatto di Idlib, nel Nord-Ovest, la loro roccaforte. Qui si concentrerà la prossima offensiva del regime.

Egitto “garante” dell’accordo 
Il piano del Cremlino, secondo media vicini a Damasco come Al-Masdar, è di sostituire le truppe russe - e parte delle milizie sciiti libanesi, irachene, afghane che appoggiano il presidente siriano Bashar al-Assad - con un contingente arabo-sunnita formato da militari egiziani e alleati con funzioni di peace-keeping nelle aree a stragrande maggioranza sunnita. Il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha invitato stamane l’Egitto ai colloqui di pace di Astana “come garante”.
Licenza Creative Commons
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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/29/esteri/siria-a-mezzanotte-scatta-il-cessateilfuoco-generale-Z56yVMpeDIU8KlxXXbWg5O/pagina.html
5849  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Rudy Francesco CALVO. - Il lungo giovedì di Gentiloni inserito:: Dicembre 29, 2016, 07:05:33 pm
   Focus   

Rudy Francesco Calvo   
· 27 dicembre 2016

Il lungo giovedì di Gentiloni

Dalla prima conferenza stampa di fine anno alla nomina dei sottosegretari: il premier si prepara a una giornata complicata

Sono giornate di lavoro per il presidente del Consiglio. Paolo Gentiloni non ha programmato uscite pubbliche, dopo la visita della Vigilia ai territori colpiti dal terremoto, ma la sua attenzione è rivolta su diversi fronti. In particolare, quella di giovedì prossimo si preannuncia come una giornata importante per capire l’impronta che il premier vuole dare al suo Governo, sulla scia di quanto già illustrato nei discorsi programmatici alle Camere.

Alle 11 del 29 dicembre, infatti, Gentiloni affronterà la sua prima conferenza stampa di fine anno nelle vesti di capo del Governo. Sarà l’occasione per ribadire le sue priorità (ricostruzione post-terremoto, Sud, lavoro), ma anche per fare il punto sulle prime questioni spinose che hanno colpito l’esecutivo. I ‘casi’ Fedeli, Poletti e Lotti hanno suscitato clamore, ma non sembrerebbero destinati a conseguenze di un certo rilievo. La mozione di sfiducia nei confronti del ministro del Lavoro non ha aperto crepe nella maggioranza e la solidità dell’indagine a carico del titolare dello Sport è ancora tutta da dimostrare. Lotti potrebbe essere sentito dai magistrati di Roma, ai quali è passata l’inchiesta, proprio in questi giorni.

Più preoccupante per il premier rimane invece la questione Montepaschi. L’intervento previsto dal Governo non sembra bastare alla Bce, che ieri attraverso il proprio organismo di vigilanza ha chiesto a Siena un intervento di 8,8 miliardi per salvare la banca. Di questi, 6,5 dovrebbero giungere proprio da mano pubblica, mentre tra palazzo Chigi e via Venti Settembre si sperava in qualcosa di meno, nonostante la rete di salvataggio fosse stata comunque approntata.

Dopo il confronto in diretta tv con i giornalisti, Gentiloni si sposterà a palazzo Chigi, dove si terrà una riunione del Consiglio dei ministri. Sono tre gli argomenti principali che dovrebbero essere affrontati. Innanzitutto, il classico decreto ‘Milleproroghe’ di fine anno, con diverse misure importanti a cominciare dalla proroga dei contratti co.co.co. e a tempo determinato della Pubblica amministrazione.

Oltre a un altro decreto ‘Omnibus’, sul tavolo del Governo dovrebbe arrivare anche il completamento della squadra con la nomina dei sottosegretari. Gli interventi, come già nel caso dei ministri, dovrebbero essere pochi e mirati rispetto alla composizione dell’esecutivo precedente. Un modo per dare continuità all’azione intrapresa da Renzi, ma anche per confermare il carattere ’emergenziale’ del Governo, che dovrà accompagnare il Paese alle urne. Restano in ballo soprattutto l’eventuale ingresso di rappresentanti di Ala e l’attribuzione della delega ai servizi segreti, al momento trattenuta dal premier. Sulla prima questione, la trattativa va avanti ma Gentiloni non ha offerto alcuna garanzia al gruppo di Verdini. Sulla seconda, l’ipotesi più accreditata sui giornali rimane quella dell’ingresso al Viminale di Emanuele Fiano, che vanta l’esperienza e le conoscenze adeguate per ricoprire la delicata casella.

Da - http://www.unita.tv/focus/gentiloni-conferenza-fine-anno-sottosegretari/
5850  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Creiamo cooperative per rafforzare i circoli Pd inserito:: Dicembre 29, 2016, 12:09:11 am
Creiamo cooperative per rafforzare i circoli Pd
Community   

Una proposta per rafforzare sul piano economico e organizzativo le strutture di base del partito e allargare la partecipazione anche ai non iscritti

Dopo la pesante sconfitta al referendum del 4 dicembre è necessaria una riflessione interna al Partito democratico su come aiutare la struttura fondamentale per l’attività politica, ovvero i circoli locali.

Scrivevo già a marzo dell’importanza di aiutarli indicando anche i comitati “Basta un Sì” come possibile apertura, così non è stato. Quindi quali possono essere le azioni e gli strumenti per aiutare davvero i circoli? Ecco alcune proposte sicuramente ambiziose ma, secondo me, necessarie per una strategia di medio/lungo periodo.

Occorre partire dalle realtà che non hanno più una sede fisica e quelle in difficoltà economica, per permettere a tutta la struttura di crescere in modo uniforme, per far crescere tutta la comunità dem, che va oltre gli iscritti al partito. Strategie di fundraising che vadano ad attivare tutte le persone che appartengono alla comunità dem, unite alla costruzione di una struttura che possa dare solidità economica per costruire sedi che diventino case di dibattito e approfondimento. Potrebbe essere un’idea quella di creare cooperative che abbiano lo scopo di aiutare le zone dove i circoli hanno più bisogno, ma anche quello rendere più solidi economicamente e sul piano organizzativo tutti gli altri circoli.

Accanto a questo, si potrebbe progettare una formazione costante all’uso di strumenti web, ma anche aiutare tutti, soprattutto chi vuole avere ruoli dirigenziali, a creare comunità attorno al luogo fisico, dove ogni militante con il suo bagaglio culturale possa sentirsi a casa.

Circoli che quindi diventerebbero luoghi ibridi. Ci sono già dei casi interessanti da approfondire dove i circoli diventano spazi studio e vengono vissuti costantemente, per rispondere anche ai nuovi modi di militanza soprattutto giovanile, una fascia d’età dalla quale ci divide un muro di incapacità d’interlocuzione.

Luoghi che siano, attraverso l’elaborazione politica, acceleratori di cambiamento concreto per le proprie comunità locali. Elaborazione politica partecipata grazie all’uso anche di strumenti web da definire.

Circoli che sappiano, grazie al coordinamento dei livelli superiori, mettere a fattor comune le buone pratiche anche per la sostenibilità economica, fondamentale per fare politica (qui uno dei ruoli delle cooperative tra circoli) e aumentare la partecipazione della comunità dem al di là degli iscritti.

Un percorso di questo tipo richiede che vengano, almeno su questi temi, superate le divisioni correntizie, se si vuole realmente costruire qualcosa che duri nel lungo periodo. I circoli sono la forza prioritaria del Partito democratico, gli hanno permesso di esistere fino ad ora: facilitare il loro lavoro, aiutarli a crescere e nel lavoro quotidiano è di vitale importanza per tutti e anche per il Paese.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/creiamo-cooperative-per-rafforzare-i-circoli-pd/
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