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5731  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Francesco NICODEMO La partecipazione è democrazia inserito:: Gennaio 17, 2017, 11:29:42 am
Opinioni
Francesco Nicodemo - @fnicodemo
· 15 gennaio 2017

La partecipazione è democrazia
L’ormai ex Presidente degli Stati Uniti ha constatato che tutte le volte che diamo per scontato il fatto di vivere in una democrazia la mettiamo in pericolo

Qualche giorno fa Ilvo Diamanti ha evidenziato che, come emerge dal Rapporto stilato da Demos su Italiani, Istituzioni e Politica, il 2016 è stato caratterizzato da una maggiore partecipazione dei cittadini. Quest’ultima si è manifestata sia attraverso forme tradizionali come manifestazioni politiche, dibattiti, incontri, non ultimo il voto di dicembre, sia grazie allo spazio offerto dalla rete.

Il maggiore coinvolgimento è un dato positivo ma colpisce che il 48% degli intervistati, quindi uno su due, ritiene che la democrazia possa funzionare anche senza partiti. Al contrario ritengo che sia indispensabile riflettere su come ridare valore a tutti quei soggetti che possono valorizzare ulteriormente la partecipazione per non disperderla e contribuire a rafforzare la demo crazia.

Democrazia, una parola che – come ha sottolineato YouTrend – è stata pronunciata venti volte, in media ogni due minuti e mezzo, da Barack Obama nel suo ultimo discorso il dieci gennaio a Chicago. L’ormai ex Presidente degli Stati Uniti ha constatato che tutte le volte che diamo per scontato il fatto di vivere in una democrazia la mettiamo in pericolo, dal momento che il suo corretto funzionamento dipende dalla responsabilità e dalla consapevolezza di essere cittadini, i quali a prescindere da chi si alterna alla guida, fanno delle scelte e danno linfa al potere.

“La democrazia ha bisogno di voi. Non solo quando c’è un’elezione, non solo quando avete un vostro interesse vicino in gioco, ma lungo tutto il corso della vita “ha detto Obama, aggiungendo che se si è stanchi di discutere con sconosciuti su Internet allora a maggior ragione si deve cercare di parlare nella vita reale. E, a proposito di rete, sempre più spesso troviamo comodo ritirarci nelle nostre “bollee, ovvero in spazi reali o virtuali dove siamo circondati da persone che condividono le nostre stesse prospettive politiche e le nostre stesse opinioni.

Più si permane in questa situazione però, più si iniziano ad accettare solo quelle informazioni che corrispondono alla nostra visione del mondo, azzerando la possibilità di metterla in discussione e di fare affidamento piuttosto all’ evidenza dei fatti. Obama ha ricordato che la politica stessa è una battaglia di idee differenti su come affrontare i problemi, si tratta di posizioni spesso antitetiche ma si deve uscire dalla propria bolla.

Come? Accettando che esistono delle basi comuni di fatti, che non si deve precludere la possibilità di accogliere nuove informazioni, che si deve ipotizzare che il nostro interlocutore può dire qualcosa di condivisibile. Soprattutto, non dobbiamo mai dimenticare che scienza e ragione contano. Se non facciamo tutto questo, parliamo inutilmente, la discussione politica rischia di diventare deprimente e in generale, ogni forma di dibattito risulta improduttivo. Queste parole più che un addio sono un monito e infatti, dopo aver risposto “non posso farlo” alla folla che ripeteva “altri quattro anni”, ha aggiunto che sebbene non più da Presidente egli continuerà da cittadino ad impegnarsi insieme agli altri, quelli a cui ha chiesto la stessa cosa che domandò otto anni fa, di crederci, di credere nella propria capacità di cambiare.

Obama da presidente ritorna ad essere un comune cittadino ma non prima di aver ricordato cosa vuol dire esserlo e agire come tale. Ancora una volta la sua leadership è stata esercitata non per rivendicare le cose fatte ma per mettere sotto i riflettori la comunità, perché “il cambiamento avviene solo quando le persone comuni vengono coinvolte, vengono impegnate e si uniscono insieme per richiederlo. “Esercitare concretamente il proprio status di cittadino vuol dire rinvigorire la democrazia e se a farlo è la comunità, il cambiamento può avvenire. Il leader indica una direzione, è fonte di ispirazione ma ciascuno deve fare la propria parte, ognuno deve contribuire a tracciare nel proprio piccolo parte di un percorso che è comune.

C’è tuttavia chi nel cammino personale di Obama ha occupato un ruolo di primo piano e si tratta di Michelle, moglie, madre delle loro figlie e migliore amica che a sua volta è diventata un modello per le nuove generazioni rendendolo orgoglioso. Ad introdurre il Farewell Address di Obama è stato Eddie Vedder, frontman dei Pearl Jam. Ha cantato Rise, che è stata la colonna sonora di Into the wild. Il testo parla di rialzarsi dalle cadute, di trasformare gli sbagli in oro. Obama nella sua premessa ha detto che si condivide lo stesso destino e ci si alza o si cade insieme, nonostante le differenze di ciascuno. E noi tutti dovremmo fare tesoro di queste parole.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-partecipazione-e-democrazia/
5732  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FEDERICO RAMPINI. Se Trump incita a uscire dall'Ue inserito:: Gennaio 17, 2017, 11:27:58 am
Se Trump incita a uscire dall'Ue

Dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
16 gennaio 2017

NEW YORK – Se qualcuno ancora s’illudeva che Donald Trump potesse moderarsi con la vicinanza del potere; oppure che la sua carica dirompente potesse rimanere relativamente circoscritta dentro gli Stati Uniti… questa intervista al Sunday Times e a Bild è un brutale richiamo alla realtà. Trump non vi dice nulla di veramente nuovo rispetto alla sue sparate di campagna elettorale, certo, però la tempistica e la virulenza impressionano.

A soli quattro giorni dall’Inauguration Day il presidente-eletto fa un intervento “a gamba tesa” negli affari europei. Inneggia a Brexit, vuole un rapporto privilegiato con Londra proprio in quanto secessionista, e prevede-auspica che altri Stati seguiranno il suo esempio. Rompe cioè con una tradizione bipartisan che risale a John Kennedy, una lunga sequenza di Amministrazioni americane decisamente favorevoli al progetto europeo.

Mai nessun altro presidente degli Stati Uniti, da quando nacque la Comunità europea, ne aveva augurato apertamente il fallimento e la disintegrazione. Non è davvero una novità da poco, avere a Washington un leader che esorta gli europei ad andarsene dalla loro casa comune. Tra l’altro questo è un magnifico regalo a Vladimir Putin: un’Europa spappolata è una preda ben più facile per chi intende ripristinare influenze egemoniche.

Il discorso filo-Brexit e anti-Ue si completa perfettamente con quel distacco dalla Nato, che l’intervista riconferma. A poco serve consolarsi sperando che i tanti generali di cui Trump si circonda lo convinceranno che il Patto Atlantico non è proprio un inutile ferrovecchio. In politica estera è il presidente ad avere l’ultima parola. Anche la prima, del resto. Certe parole pronunciate oggi possono già scatenare effetti incalcolabili, offrendo una sponda e una legittimità nuova a tutti i movimenti anti-europei.

© Riproduzione riservata
16 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2017/01/16/news/se_trump_incita_a_uscire_dall_ue-156109492/?ref=HREA-1
5733  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / MATTEO RENZI intervistato da EZIO MAURO inserito:: Gennaio 17, 2017, 11:25:59 am
Renzi: "Sinistra, governo e banche: così riparto dai miei errori. Il M5s è solo un algoritmo"
L'intervista. L'ex premier e il ritorno in campo: "Ho fatto tante riforme senza capire che serviva più cuore e meno slide".
"Brucia la sconfitta. Ora nel Pd facce nuove e valori forti. Non ho fretta di votare ma evitiamo un bis del 2013"

Di EZIO MAURO
15 gennaio 2017

Segretario Renzi, la sua prima intervista dopo il referendum si può incominciare solo così: che sventola! Quanto le brucia?
"E deve domandarmelo, non se lo immagina? Brucia, eccome se brucia. Tanto che il vero dubbio è stato se continuare o lasciare. Ma poi uno ritrova la voglia e riparte".

Davvero ha pensato di uscire dalla politica?
"Sì, nei primi giorni. Mi tentava: e devo dirle, un po' per curiosità, un po' per arroganza".

Poi?
"Poi ho pensato che solo il vigliacco scappa nei momenti di difficoltà. Ho ripensato alle migliaia di lettere ricevute, al desiderio di futuro espresso da milioni di persone. La nostra battaglia è appena incominciata".

Una rivincita o una vendetta?
"Nessuna delle due: sono parole che pensano al passato. Noi guardiamo avanti, non indietro".

Non è anche questo un modo per scappare dalla sconfitta?
"Se uno nasconde la testa sotto la sabbia e fa finita di niente, sì. Ma vorrei ricordarle che io mi sono dimesso, in un Paese dove di solito le dimissioni si annunciano".

Era difficile resistere dopo aver perso 41 a 59, lo ammette?
"Sarei andato via anche con il 49 per cento. In realtà mi sono dimesso tre volte".

Perché tre?
"La prima appena usciti risultati, domenica sera. La seconda davanti a Mattarella, lunedì. Poi il Presidente mi ha chiesto di portare a casa la legge di bilancio, l'abbiamo fatta in 48 ore. E con 173 voti a favore presi al Senato mi sono dimesso per la terza volta. Adesso c'è il presidente Gentiloni cui va tutto il nostro sostegno".

E lei cosa sta facendo?
"Rifletto, leggo, sto in famiglia. Vado al ricevimento professori dei genitori dei miei figli. Ho ripreso a usare la bici. Riorganizzo la struttura del partito. Uso gli occhi e le orecchie più che la bocca. C'era tempo solo per correre, prima. Adesso mi sono fermato: avrei preferito non farlo ma non è così male".

Ma non ha appena detto che le brucia?
"Umanamente è una grande lezione, come tutte le sconfitte. Sa cosa mi spiace soprattutto? Non essere riuscito a far capire quanto fosse importante per l'Italia questa riforma. Abbiamo perso un'occasione che per decenni non ricapiterà. Ma nessuno ci toglierà i mille giorni che abbiamo fatto, straordinari. E soprattutto nessuno può toglierci il futuro. Abbiamo il tempo, l'energia, la passione per imparare dalla sconfitta e ripartire ".

Improvvisamente lei parla al plurale dopo una vita politica vissuta al singolare. E' il momento di dire "noi", dopo troppi "io"?
"E' stato uno dei miei limiti. Ma l'Italia che abbiamo trovato nel 2014, con il pil al meno due per cento, aveva bisogno di una scossa. Dire io e metterci la faccia è stato necessario".

Insomma, "noi" non riesce a dirlo fino in fondo?
"Sto imparando, vorrei ci provassimo tutti. Vede, il Pd potrebbe vantarsi di un Jobs act votato dalla sinistra, di unioni civili votate dai cattolici, della legge sul caporalato e del miliardo e otto stanziato per la povertà, degli oltre 17 miliardi di recupero dalla lotta all'evasione, dell'abbassamento delle tasse. Invece i nostri votano in Parlamento, e tacciono nel Paese, anche sulle cose più positive".

Non starà qui a snocciolare la propaganda, visto che lo ha fatto ad ogni ora del giorno e della notte in tv e non le è servito, non le pare?
"Quella che lei chiama propaganda sono riforme che hanno aiutato un pezzo di Paese a vivere meglio. Non ci hanno fatto vincere? Ok, ma sono fiero di averle fatte e quei 13 milioni di voti raccolti al referendum sono un patrimonio di speranza per il futuro".

Alt, lei non può annettersi quel 41 per cento in automatico: non è un voto politico per Renzi, è un voto referendario. Diverso, no?
"Diverso quanto vuole. Ma non è che il 59 per cento è un voto politico e il 41 no. O siamo al paradosso per cui Renzi conta solo nei voti contrari e non in quelli a favore? Il 59 per cento è molto diviso al proprio interno, il 41 no. Temo che qualcuno faccia i conti senza l'oste".

Vediamo gli errori dell'oste, prima: qual è stato il più grave?
"Non aver colto il valore politico del referendum. Mi sono illuso che si votasse su province, Cnel, regioni. Errore clamoroso. In questo clima la parola riforma è suonata vuota, meccanica, artificiale. Nel 2014 il Paese sapeva di essere a rischio Grecia, l'efficienza aveva presa, funzionava perché serviva. Tre anni dopo avrei dovuto metterci più cuore, più valori, più ideali. Insomma, meno efficienza e più qualità".

Prima diceva che ha corso troppo, ora aggiunge addirittura che vuole più cuore. In questi tre anni abbiamo scritto tante volte che lei sostituiva il performer al politico, l'acrobata al leader. Non tutto è prassi, dunque?
"Un leader è sempre un po' acrobata, altrimenti vivacchia ma quelli che vivacchiano non sono leader. Poi talvolta cade, ma preferisco rischiare piuttosto che vivere nell'immobilismo. Ma se vuole andare più a fondo, ci sto: ho agito spesso senza riuscire a fare una teoria di quel che facevamo, senza "ideologizzare" la rotta del governo, senza raccontare la profondità culturale di quel che proponevamo al Paese. Abbiamo fatto la più grande redistribuzione di reddito della storia fiscale italiana - gli 80 euro - ma abbiamo accettato che fosse presentata come una mancia. Ma almeno noi lo abbiamo fatto, dopo anni di chiacchiere".

Più cultura, dunque, non solo politique d'abord?
"Se cerca uno slogan ne ho uno migliore: meno slide, più cuore".

E magari meno Giglio Magico, no? Non crede sia una mancanza di ambizione scegliere i più fedeli a Firenze invece che i più bravi in Italia?
"Dissento radicalmente: io ho sempre cercato di scegliere i più bravi. Ogni leader nel mondo ha un gruppo di collaboratori storici, anche del proprio territorio. E se lei si riferisce a Boschi e Lotti le dico che sono due persone straordinarie, professionisti eccellenti".

E la Manzione, capo dei vigili urbani a Firenze che diventa responsabile del dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi?
"Talmente brava che è stata confermata anche da Gentiloni. Tutto qui questo mitico Giglio Magico?".

E il suo amico Carrai candidato per settimane a guidare la cyber security?
"E poi non lo abbiamo nominato. Forse avrebbe fatto comodo la sua competenza, sa? ".

Ma ci sarà pure un ufficiale dei carabinieri laureato all'Mit che è altrettanto competente e in più ha giurato fedeltà alla Repubblica e non a lei, no?
"Adesso ascolti me: all'Eni dopo un lungo colloquio ho nominato De Scalzi, che non conoscevo, all'Enel Starace che non avevo mai visto, alle Ferrovie Mazzoncini che non è certo fiorentino, a Finmeccanica Moretti, alla Cdp Costamagna. Vogliamo parlare delle nomine nelle forze dell'ordine o ai servizi? Vogliamo discutere di Guerra e Piacentini che hanno accettato di rinunciare a stipendi milionari per lavorare con me? Vogliamo dire che col mio governo Fabiola Gianotti è arrivata a dirigere il CERN e Filippo Grandi l'Alto Commissariato per i rifugiati? Sono orgoglioso di queste scelte, altro che gigli e magie".

E alla Rai?
"Alla Rai cosa? Ho scelto un capo azienda del mestiere e l'ho lasciato lavorare".

Ma quel capo azienda lo ha scelto nel bouquet della Leopolda o sbaglio? E due nomi per lei scomodi come Berlinguer e Giannini non sono stati sostituiti?
"Non mi pare che partecipare a un convegno alla Leopolda sia un reato. L'amministratore delegato l'ho scelto per il mestiere, gli ho dato i poteri con la legge e i soldi con il canone in bolletta. Per il resto sfido chiunque a dire che ho messo bocca in una sola nomina. L'unica cosa che è veramente figlia di una mia proposta è stata la cancellazione della pubblicità dalla tv dei bambini. Sul resto io devo solo cercare il meglio per il futuro delle aziende. E lo farò anche per il Pd".

Cioè?
"Il Pd deve riflettere: a cosa serve un partito oggi? Come può la sinistra rispondere alla crisi? Come dobbiamo cambiare? Si guardi in giro: in Francia i socialisti non stanno benissimo. In Spagna per il Psoe abbiamo visto com'è finita, in Inghilterra con Corbyn il Labour non vince, in Germania la Merkel va al 42,9 per cento, superata solo da Adenauer, negli Usa Obama raccoglie risultati positivi nell'occupazione per 75 mesi e il Paese vota Trump. Non le dice niente?".

Sta pensando che la famiglia socialista appartiene al passato?
"Niente affatto, si ricordi che ho portato io il Pd nei socialisti europei, cosa che quelli di prima non erano riusciti a fare. Anni fa, quando qualcuno mi consigliava di fare un partito nuovo, ho sempre risposto che se fosse capitato un giorno di andare a palazzo Chigi un conto sarebbe stato andarci come capo della sinistra italiana, e tutt'altro conto come un passante che ha vinto alla lotteria. Io credo che la sinistra possa vincere e convincere. Ma deve entrare nel nuovo secolo, tenere insieme le tradizioni e il futuro ".

Come?
"Le nuove polarità sono esclusi e inclusi, innovazione e identità, paura e speranza. Gli esclusi sono la vera nuova faccia delle disuguaglianze, dobbiamo farli sentire rappresentati. L'identità è ciò che noi siamo, senza muri e barriere, e non dobbiamo lasciarla alla destra. Quanto all'innovazione, è indispensabile per non finire ai margini, ma ne ho parlato in termini troppo entusiastici, bisogna pensare anche ai posti di lavoro che fa saltare. Insomma, c'è un gran da fare per la sinistra".

E come può farcela un Pd diviso, negletto, ridotto ai minimi termini?
"Non so di quale Pd parli lei. Quello che conosco io ha preso il 40,8 per cento alle Europee, miglior risultato di un partito politico in Italia dalla Dc del 1959. Sono convinto che se il 4 dicembre si fosse votato per i partiti, saremmo risultati nettamente primi. Certo, adesso c'è da fare. Lanceremo una nuova classe dirigente, gireremo in lungo e largo l'Italia, scriveremo il programma dei prossimi cinque anni in modo originale. Siamo ammaccati dal referendum ma siamo una comunità piena di idee e di gente che va liberata dai vincoli delle correnti. Ci sarà da divertirsi nei prossimi mesi dalle parti del Nazareno".

Per questo vuole andare a votare subito senza far finire la legislatura?
"Mi è assolutamente indifferente. Io non ho fretta, decidiamo quel che serve all'Italia, senza ansie ma anche senza replicare il 2013 dove abbiamo pagato un tributo elettorale al senso di responsabilità del Pd. Forse alcuni parlamentari - specie dei nuovi partiti - sono terrorizzati dalle elezioni perché sanno che non avrebbero i voti neanche per un'assemblea di condominio. Ma noi no. Noi faremo ciò che serve al Paese ".

Ma lei è sicuro che le piaccia il mestiere di segretario del Pd ed è sicuro di saperlo fare?
"Vedremo se sarò capace, le rispondo tra qualche mese. Perché me lo chiede?".

Perché ha dato l'impressione spesso di usare il partito come un taxi per arrivare a palazzo Chigi.
"Io credo nel Pd, credo nell'intuizione veltroniana del partito maggioritario, credo possa essere la spina dorsale del sistema, soprattutto in un quadro bipolare come piace a me".

Quindi rimane favorevole al ballottaggio, anche con Grillo in campo?
"Sì, è il modo per evitare inciuci, governissimi, larghe intese tra noi e Forza Italia che non servono al Paese e aprono un'autostrada al grillini. Ballottaggio, o se no Mattarellum. Se poi dalla Corte verrà fuori un sistema diverso ci confronteremo con gli altri. Col maggioritario il Pd è il fulcro di un sistema simile alla democrazia americana. Con il proporzionale torniamo a un sistema più simile alla democrazia cristiana. Ma il Pd sarà decisivo comunque. Il futuro dell'Italia passa da noi, dai nostri sindaci, dalla comunità di valori della nostra gente. Che non ne può più di chi tutti i giorni spara contro il quartier generale ".

Scusi, anche a me non piacciono gli inciuci e le large intese, ma si ricorda che lei ha scelto di governare con Verdini?
"Scelto? Sono io che ricordo a lei che alle ultime elezioni politiche il Pd - non guidato da me - aveva preso il 25 per cento, non il 40. Senza Verdini lei oggi non avrebbe le unioni civili".

E se nel Pd si preparasse una scissione a sinistra?
"Non mi sembra l'aria. Una parte del gruppo dirigente ha votato "no" con Lega, Grillo e Berlusconi, ma il 91 per cento degli elettori del Pd ha votato sì. La scissione la farebbero i parlamentari, non gli iscritti. Nonostante le leggende nere, abbiamo perso a destra, non tra i compagni".

Dica ai compagni che non lascerà morire l'Unità: può dirlo?
"Faremo di tutto. Vedrò Staino e gli editori la settimana prossima. Ma se il giornale vende poco davvero pensiamo che la colpa sia del segretario del partito? Lavoreremo a una soluzione con umiltà e buon senso".

Da segretario lei è sembrato credere nell'Anno Zero, nel renzismo, accontentandosi di rappresentare solo metà partito, non tutto. E' così?
"Se ho dato questa impressione, ho sbagliato. Ma non c'è stato giorno senza che una parte della vecchia guardia mi abbia attaccato, anche in modo sgradevole a livello personale, quasi fosse stata lesa maestà sconfiggerli al congresso. Perché non dice che sono stato circondato nel Pd da un vero e proprio pregiudizio, secondo cui non ero degno di rappresentare la sinistra? ".

Lei sente di rappresentarla?
"Certo, secondo la sua storia e le mie convinzioni. Per me essere di sinistra è anche innovare: essere garantisti sulla giustizia, abbassare le tasse, non andare necessariamente a rimorchio del sindacato che contesta ideologicamente i voucher e poi li usa. Lo farò. L'ho fatto. La battaglia sull'accoglienza agli immigrati in Europa l'abbiamo fatta noi. E anche quella contro l'austerità come ideologia, non come necessità. Io ricordo benissimo il primo vertice europeo a Ypres nel giugno 2014, siamo finiti 2 contro 26 nel voto. Poi la nostra linea ha camminato. Troppo poco? Può darsi. Risultati parziali? Non c'è dubbio. Ma da dove eravamo partiti?"

Lo dica lei.
"Crede davvero che se non fossimo stati sul bordo della palude avrebbero dato la guida del governo a uno di 39 anni, senza quarti di nobiltà e senza padrini politici?".

Non avrà sangue blu, ma ha un'indubbia attrazione per il potere economico e imprenditoriale: non è eccessivo?
"Rivendico gli incontri con chi salva un pezzo di produzione industriale in questo Paese. Ma non è vero che cerco solo gli imprenditori. Vado a Torino vado alla Fiat, certo, dove riparte Mirafiori, ma vado anche al Cottolengo. Colpa mia se per voi Marchionne fa notizia e don Andrea no? Dove non mi troverà mai è nei salotti, soprattutto a Roma".

Nelle banche però vi hanno trovati, da Etruria a Mps: non crede che vi sia costato molto elettoralmente?
"Sì. Ma è una clamorosa menzogna. E non vedo l'ora che parta la commissione di inchiesta per fare chiarezza sulle vere responsabilità, dai politici ai manager ai controllori istituzionali".

Ma lei come ha fatto a dire che "Mps è un bell'affare, un brand su cui investire" mentre andava a rotoli?
"Ho detto in pubblico quel che ho ripetuto a tutti gli investitori stranieri. Avevamo creato le condizioni per un investimento estero importante - il fondo del Qatar - che ha detto no il giorno dopo il referendum per l'instabilità politica. Non ci sarebbe stata operazione pubblica da venti miliardi con la vittoria sulle riforme".

E perché ha voluto far fuori Viola per far posto a Morelli gradito a Jp Morgan?
"Sfido chiunque a dimostrare che ho preso posizione contro Viola o a favore di Morelli. Piuttosto, sulle banche abbiamo perso con Monti la vera occasione di fare la bad bank come la Merkel. Ci sono responsabilità politiche decennali. E sul Monte prima o poi qualcuno racconterà la vera storia, da Banca 121 a Antonveneta. A proposito, vediamo cosa dirà la commissione di inchiesta sulle popolari venete".

E Etruria quanto vi è costata, col padre della Boschi in Consiglio?
"Molto. Ma abbiamo fatto tutto quello che andava fatto. Abbiamo commissariato la banca, mandato a casa gli amministratori compreso il padre della Boschi, Etruria è l'unica banca sanzionata due volte, ci sono indagini della magistratura e ci saranno processi: vedremo chi sarà condannato e chi no. Ma noi siamo stati di una trasparenza cristallina. In tempi di post verità e di bufale virali posso sperare che ci sia ancora qualcuno che legge le carte e non i tweet preparati in modo scientifico dalla Casaleggio e associati? Mi colpisce molto che Arezzo e Siena siano tra le poche città in cui il Sì ha vinto: segno che chi sta sul territorio conosce la verità e non crede alle rappresentazioni di comodo ".

C'è ancora la Consip, i cui dirigenti sono stati avvertiti delle "cimici" disposte dalla Procura di Napoli e le hanno tolte prima che funzionassero. La soffiata, dice l'amministratore delegato, viene dal ministro Lotti, dal comandante dei Carabinieri Del Sette e dal comandante della Toscana Saltalamacchia. Non è grave? Non è giglio? Non è logico pensare che anche lei potesse sapere, visto che suo padre ha legami con l'imprenditore Romeo, indagato nell'inchiesta?
"La mia linea è sempre una sola: bene le indagini, si vada a sentenza. Noi chiediamo ai giudici di fare presto, sempre. Abbiamo visto polveroni su Tempa Rossa, Penati, Errani, Graziano e non c'è stata condanna. Notizie sparate in prima pagina per le richieste e nascoste per le assoluzioni. Aspetto di vedere la sentenza. Qualcuno ha violato la legge? Si dimostri con gli articoli del codice penale, non con gli articoli dei giornali. E chi ha sbagliato, se ha sbagliato, paghi".

C'è un fatto già certo: quelli le cimici le hanno tolte perché qualcuno li ha avvertiti, e i suoi uomini sono sospettati della soffiata. Non è già questo gravissimo?
"Mi interessano le sentenze, non i sospetti. Ovviamente non ho alcun dubbio sulla totale correttezza dei carabinieri e dei membri del governo in questa vicenda. Ma del resto basta aspettare per averne certezza".

Nel frattempo, mi scusi, non sarebbe bene che i vostri familiari si astenessero da affari che riguardano il settore pubblico, per il periodo temporaneo in cui avete l'onore di guidare la sinistra o il Paese?
"Condivido il principio e non mi risultano affari di mio padre con il pubblico. Si è preso un avviso di garanzia appena io sono andato a Palazzo Chigi. Quando è accaduto io sono andato in tv, da premier, e ho dato solidarietà, ma ai magistrati, non a mio padre. Alla fine è stato archiviato. Male non fare, paura non avere".

Non crede che il Pd abbia bisogno di aria fresca, troppi indagati, troppi notabili, troppe compromissioni come denunciava Saviano?
"Il mancato rinnovo della classe dirigente è stato un mio limite. Saviano lo ha detto con un tono discutibile, ma nel merito aveva ragione. Non si cambia il Sud poggiando solo sul notabilato. Idee nuove e amministratori vecchi? Sbagliato, non funziona. Togliere le ecoballe è importante, ci mancherebbe. Ma più ancora aprire il Pd a facce nuove. Voglio farlo".

Rimpiange di essere salito a palazzo Chigi dall'ascensore di servizio e non dallo scalone d'onore, con il voto?
"No. Per la mia immagine è stato un errore, ma serviva al Paese e l'Italia vale di più della mia immagine. Ma lei ricorda quei momenti? Eravamo bloccati e impauriti, la disoccupazione cresceva, il Pil crollava. Ora l'Italia ha qualche diritto in più e qualche tassa in meno. Ancora non andiamo bene, ma andiamo meglio di prima. Dobbiamo stringere i denti e fare di più".

Non sente oggi come suona male quella continua polemica coi gufi e i rosiconi?
"Bisognava dar l'idea della svolta. Forse non dovevo usare quelle parole, va bene: ma l'ottimismo fa parte della politica. Detto questo adesso posso confessarlo: a me i gufi stanno simpatici. Gli animali, intendo".

Grillo punta invece sul catastrofismo: conviene?
"Sì. Lui vince se denuncia il male. Non se prova a cambiare. Quei ragazzi sono già divisi, si odiano tra gruppi dirigenti, fanno carte e firme false per farsi la guerra. Ma sono un algoritmo, non un partito. Lui è il Capo di un sistema che ripete ai seguaci solo quello che vogliono sentirsi dire, raccogliendo la schiuma dell'onda del web. Dovremmo fare una colletta per liberare la Raggi e i parlamentari europei dalle orrende manette incostituzionali che multano l'infedeltà al partito, ogni ribellione o autonomia. Ma quelli che vedevano la deriva autoritaria nella riforma costituzionale, su questo tacciono. Se l'immagina una misura del genere nel Pd? Io non voglio una sinistra dell'algoritmo: la voglio libera, capace di pensare con la sua testa, coi suoi valori, la sua cultura, i suoi ideali".

Meglio tardi che mai, segretario, la strada è lunga. E se alla fine non dovesse portarla a palazzo Chigi, se non ci tornasse più?
"Chissà, vedremo. In ogni caso che male c'è? Ho lasciato il campanello a Paolo e ho visto i miei amici entrare in sala Consiglio mentre io me ne andavo. Penso che sia giusto così. Quando si perde deve pagare il capo, non un capro espiatorio a caso. Mentre camminavo sulla guida rossa, col drappello militare che rendeva gli onori al Capo del governo uscente, inchinandomi alla bandiera, ho pensato che in questi tre anni ho cercato di fare il mio dovere con disciplina e onore come dice la Costituzione. Se torneremo a Chigi, faremo tesoro degli errori e proveremo a fare ancora meglio. Se non ci torneremo, abbiamo servito il Paese più bello del mondo per mille giorni. Dica lei: che posso volere di più?".

© Riproduzione riservata
15 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/15/news/intervista_ezio_mauro_a_matteo_renzi_l_italia_il_governo_il_pd_la_sinistra-156041821/?ref=HREC1-1
5734  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / TONY BLAIR Così il «centro» può battere i populismi inserito:: Gennaio 17, 2017, 11:23:53 am
Così il «centro» può battere i populismi

    –di Tony Blair

Non ci sono dubbi sulle ondate di scontento e rabbia che si abbattono sulla politica occidentale. Il Regno Unito si è espresso a favore dell’uscita dall’Unione europea dopo quarant’anni di appartenenza, mettendo a repentaglio tutti i complessi e intricati rapporti commerciali e politici venutisi a creare durante una relazione così lunga. Contro tutte le previsioni dei sapientoni politici, Donald Trump ha vinto la corsa alla presidenza degli Stati Uniti, cosa che la classe politica riteneva realmente inconcepibile. In tutta Europa, nuovi partiti politici stanno facendo rapidi scatti in avanti e tutti hanno come presupposto variazioni di un medesimo tema: l’establishment politico ci ha ignorati e noi in segno di protesta lo sbatteremo fuori.

Una caratteristica peculiare di questo sollevamento è che l’impeto a favore del cambiamento è diventato più importante di qualsiasi considerazione su che cosa esso significhi in pratica. Le affermazioni dei leader che cavalcano quest’onda possono essere del tutto sfasate rispetto alle consuetudini e alle regole della politica, ma ciò non è rilevante. Quel che interessa è che la rivolta sia in atto, e che chiunque ha la fortuna di cavalcare l’onda giusta arrivi fino a riva.

Al contrario, i politici che espongono tesi a lungo ponderate, quelle convenzionali alle quali siamo abituati, irritano gli elettori ribelli, provocando abbandoni impulsivi, disprezzo e in qualche caso derisione.

Ci sono innumerevoli analisi sui fattori all’origine dell’impennata populista: i redditi stagnanti della classe operaia e del ceto medio; il sentimento di emarginazione avvertito dalla popolazione che riesce a stento a tirare avanti; le comunità che si disgregano a causa del cambiamento economico; e la resistenza alle forze apparentemente ininterrotte della globalizzazione: il commercio e l’immigrazione.

Anche i social media hanno un ruolo di primo piano in questa ondata: consentono ai movimenti di acquisire rapidamente una portata enorme, contribuiscono alla frammentazione dei media e creano un mondo nuovo dell’informazione nel quale non valgono più le regole dell’oggettività, e dove ogni teoria della cospirazione può esercitare pressioni e prevalere sui fatti – e le verifiche sui fatti – intralciando loro in modo fiacco la strada.

Circa 20 anni fa, quando per la prima volta ho partecipato alle elezioni da leader, in un Paese come la Gran Bretagna il più importante notiziario della sera alla Bbc aveva un seguito di circa dieci milioni di ascoltatori. Oggi il loro numero supera di poco i 2,5 milioni. Quello che un tempo era il dibattito pubblico ora si suddivide in molteplici rivoli, spesso tra persone che per altro condividono le medesime opinioni.

Il cambiamento subentrato nelle modalità di ricezione e di discussione delle informazioni è un fenomeno rivoluzionario già di suo. I media tradizionali, che potrebbero riaffermare il loro ruolo di vettori di notizie affidabili, hanno deciso che è molto più facile e più praticabile dal punto di vista commerciale rafforzare la fedeltà degli ascoltatori che non metterli alla prova.

Naturalmente, alcuni provano una sensazione di potere nel trasgredire alle convenzioni e scuotere l’ordine vigente. Ma non dovremmo farci troppe illusioni. Scuotere il sistema può effettivamente indurre il cambiamento necessario, ma altresì avere conseguenze non previste né inoffensive.

Stiamo entrando in un periodo politico molto pericoloso dal punto di vista politico. Da un recente sondaggio è emerso che una minoranza significativa di cittadini francesi non è più convinta che la democrazia sia il giusto sistema di governo per la Francia. E il sostegno a un modello di leadership autoritaria è in crescita un po’ ovunque.

Il populismo non è certo nuovo. Il cambiamento economico non è nuovo. L’ansia per l’immigrazione non è nuova. E neanche lo sfruttamento delle insoddisfazioni popolari è qualcosa di nuovo.

A essere nuovo è il contesto, e così pure l’incapacità del centro in politica di reagire in maniera efficace.

La verità è che le forze del centrosinistra e del centrodestra sono diventate compiacenti e non sono più in contatto. Noi (e uso il plurale di proposito, perché mi identifico appieno con una visione centrista e pragmatica della politica) siamo diventati amministratori passivi dello status quo, non catalizzatori del cambiamento.

In Europa la Ue arranca a far ripartire la crescita economica e si perseguono riforme mentre sullo sfondo si palesano le conseguenze spesso crudeli dell’austerità. Negli Stati Uniti è evidente che la classe lavoratrice bianca della Rust Belt nel Midwest si è sentita trascurata, e si è sentita indietro.

L’immigrazione influisce sulle comunità cambiandole, e anche se non vi sono dubbi che nel complesso e col tempo la fresca energia e il vigore degli immigrati apporterà benefici al paese, l’impatto immediato della stessa può essere travolgente e problematico. Del resto, non sussistono neanche più dubbi sul fatto che in linea generale più commercio genera più posti di lavoro, mentre le politiche protezionistiche ne creano meno. Sul breve periodo, tuttavia, i posti di lavoro che richiedono alte competenze e sono molto retribuiti spesso scompaiono. La tecnologia accentuerà questi cambiamenti.

Se a tutto ciò si aggiunge la crisi finanziaria del 2008 con le sue ripercussioni e l’estremismo – che dal 2001 è stato al primo posto tra le preoccupazioni legate alla sicurezza e ha alimentato le paure nei confronti del fenomeno dell’immigrazione – non possiamo certo stupirci della turbolenza della nostra attuale situazione politica. Anzi, potremmo affermare al contrario che essa sembra proprio inevitabile.

E così la sinistra si schiera contro il mondo degli affari, la destra contro l’immigrazione e il centro oscilla a disagio tra soddisfazione e inquietudine.

Non è così che in passato il centro ha vinto. Il centro – soprattutto il centro progressista – vince quando ha spirito di iniziativa, quando guida il dibattito, quando le soluzioni che prospetta sono radicali ma nel contempo anche razionali. Soltanto un centro forte e animato da nuovo vigore potrà sconfiggere l’impennata del populismo.

Questo oggi è il requisito più urgente da soddisfare. Non serve a nulla denigrare la rabbia degli elettori. Il centro deve rispondere politicamente. Dalla politica macroeconomica alla trasformazione del settore pubblico (incluse istruzione e assistenza sanitaria tramite la tecnologia), a politiche per la sicurezza e l’immigrazione in grado di dare risposta alle paure della gente comune difendendo i nostri valori, il centro deve riscoprire l’agenda politica del futuro, perché si basa su risposte, non sulla rabbia.

Se il centro riuscirà in questo intento, richiamerà di nuovo a sé gli elettori raziocinanti che si sono uniti alla rivoluzione perché insoddisfatti e frustrati, perché ignorati. Basta questo: il margine della sconfitta – nel referendum del Regno Unito sulla Brexit come nel successo di Trump – non è quello di una vittoria elettorale schiacciante.

La gente ha molto da perdere in situazioni di caos e instabilità, ed è propensione naturale di tutti evitare qualsiasi cosa le avvicini troppo. È importante che sappiano, però, che c’è qualcuno che li ascolta. Solo allora potremo cambiare la nostra attuale situazione politica indirizzandola verso un futuro migliore e più pieno di speranza.

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Da ilsole24ore.com       
5735  Forum Pubblico / AUTORI - Firme scelte da Admin. / Riccardo NOCENTINI ... inserito:: Gennaio 17, 2017, 11:21:31 am
Riccardo Nocentini

Nato il 27 agosto del 1975 a Figline Valdarno, dove è stato consigliere comunale, segretario del Democratici di Sinistra e, dal 2006 a fine 2013, sindaco. Si è dimesso a metà del secondo mandato per realizzare la prima esperienza di fusione dei comuni in Toscana, il comune di Figline e Incisa Valdarno. É stato responsabile per Anci Toscana delle unioni e fusioni dei comuni.
Ha scritto un libro, la seconda edizione è uscita nel 2016, pubblicato dalla Franco Angeli, dal titolo “Fare il sindaco, politica e management per l’amministrazione e la fusione dei comuni”.
Si è laureato in Scienze Politiche con una tesi su “il concetto di nazione” e ha fatto un master in gestione e sviluppo delle risorse umane all’Università di Firenze. Per passione ha preso una seconda laurea (triennale) in filosofia politica con una tesi su “Politica, etica e burocrazia in Max Weber” e ha frequentato (2015-2016), con borsa di studio, un master executive in Management pubblico presso la SDA Bocconi.
Sposato con Valentina e dal 1 gennaio 2014 é rientrato al lavoro in regione Toscana.

Da - http://www.pdtoscana.it/riccardo-nocentini/
5736  Forum Pubblico / AUTORI - Firme scelte da Admin. / Riccardo NOCENTINI Per selezionare la classe dirigente non basta la legge... inserito:: Gennaio 17, 2017, 11:20:11 am
Opinioni
Riccardo Nocentini - @nocentinir

· 16 gennaio 2017

Per selezionare la classe dirigente non basta la legge elettorale

Le classi dirigenti cadono quando si chiudono in se stesse, quando prevale quella negoziazione che degenera in clientelismo e corruzione, si formano invece quando forti ideali politici si organizzano e mobilitano la fiducia dei cittadini.

I cittadini oggi, con la televisione, la rete, Facebook, Twitter e tutti gli altri social, sono più informati ma meno consapevoli. Questo è il motivo per il quale la questione degli intellettuali dovrebbe essere ancora centrale per riformare la classe politica.
Secondo Gramsci gli intellettuali non devono essere degli eruditi, ma coloro che cercavano di dare organicità a un pensiero, con una comprensione partecipe, si occupano di concezioni globali, di direzione ideale all’interno di una lotta tra visioni contrapposte.

Oggi potremmo dire che sono coloro che aiutano a fare chiarezza nel caos illogico del bombardamento delle immagini e delle informazioni. Riportare la virtualità delle parole al confronto con i fatti. Un intellettuale si deve porre come scopo primario quello di rappresentare il rapporto tra pensiero e azione, che non è mai scontato e vive di una tensione vitale che richiede uno continuo riequilibrio. Gli intellettuali, cioè coloro che cercano di elaborare un pensiero collettivo da tradurre in azioni, sono il presupposto imprescindibile per formare una nuova classe dirigente.

Il PD non può pensare che per selezionare la classe dirigente basti la legge elettorale. Le classi dirigenti cadono quando si chiudono in se stesse, quando prevale quella negoziazione che degenera in clientelismo e corruzione, si formano invece quando forti ideali politici si organizzano e mobilitano la fiducia dei cittadini.

Benedetto Croce parlava di Classe dirigente come di una “classe non classe”, perché non è un ceto, ma una categoria spirituale che media tra gli interessi economici e porta a sintesi ideali superiori. La storia della letteratura rappresenta spesso la coscienza di un popolo che, nelle contraddizioni e rielaborazioni delle idee, trova la contestualizzazione dentro il proprio tempo. Questo è vero sicuramente per l’Italia e l’intellettuale che ne ha compreso e descritto lo sviluppo è Francesco De Sanctis.

Ci sono delle pagine magistrali nella “Storia della letteratura italiana” dove l’autore contrappone Machiavelli a Guicciardini. Machiavelli, importante anche per essere stato il primo a conferire valore letterario alla lingua come prosa anziché in versi, è l’uomo nuovo che, non curandosi delle questioni sopraterrene, rimette l’uomo con i piedi per terra, al centro della vita sociale e artefice del proprio destino, per lui la virtù è la forza e la coerenza nel raggiungere gli obiettivi. L’uomo di cui parla Machiavelli non è immorale, ma sa che le leggi che governano la politica hanno una loro “autonomia” rispetto alla morale ed è nostro compito cercare “la verità effettuale” e non le nostre immaginazioni. Insieme, però, Machiavelli coltiva una grande utopia, quella di una Patria, indipendente e libera alla quale abbiamo il compito di dedicare il meglio di noi stessi.

Dall’altra parte c’è Guicciardini, acuto storico e conoscitore dei costumi del popolo, che considera il pensiero di Machiavelli non così concreto, bensì velleitario, e consiglia sì di guardare all’interesse generale, ma solo fintanto che questo non contrasta con il nostro “particulare” che è ben più importante, a suo dire.

Pensiamo anche a quanto, ancor oggi, la distinzione tra “particulare” e virtù pubblica, sia presente nel popolo italiano e soprattutto in quella parte che avrebbe il compito di essere “classe dirigente”, cioè di elaborare, in ogni ambito, dall’impresa alla pubblica amministrazione, dall’opinione pubblica alle Istituzioni, le idee, gli indirizzi strategici per riposizionare la nostra comunità nel futuro. Forse oggi, più che di una “classe dirigente” , termine che strizza un po’ l’occhio anche a Guicciardini, un partito come il PD che vuole svolgere una funzione nazionale e riformatrice deve porsi l’obiettivo di far nascere una classe al servizio della comunità, quello che nei paesi anglosassoni, con parole più fortunate, viene chiamato “civil servant”. Una collettività di persone che sceglie il servizio del bene pubblico anziché il proprio “particulare”.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/per-selezionare-la-classe-dirigente-non-basta-la-legge-elettorale/
5737  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Marco Belpoliti. - Susan Sontag. Nel campo del desiderio inserito:: Gennaio 17, 2017, 11:17:09 am
Susan Sontag. Nel campo del desiderio

Marco Belpoliti   

Oggi Susan Sontag avrebbe compiuto ottantaquattro anni. E invece se n’è andata dodici anni fa, dopo una lunga malattia, un cancro, di cui ha anche scritto (Malattia come metafora, Einaudi): un altro capitolo della sua lotta contro il mondo, e prima di tutto contro se stessa, un altro esempio della sua moralità. Per la scrittrice, saggista e regista americana la “moralità” è stata prima di tutto un comportamento; meglio: “una forma di azione, non un particolare repertorio di scelte”. Ma Susan Sontag è stata attenta al tema dell’estetica: la forma. Ne ha fatto il centro della sua indagine. E per lei etica ed estetica sono sempre state collegate. Nove anni fa, quando è uscito postumo uno dei suoi libri più belli, Nello stesso tempo (Mondadori), avevo scritto che v’era antagonismo tra la forma di coscienza rivolta all’azione, che è poi la moralità, e “quel nutrimento della coscienza che è l’esperienza estetica”. Credo che sia proprio così.

Perché questo conflitto? Perché Susan Sontag è stata non solo una scrittrice ma prima di tutto una intellettuale nell’epoca in cui veniva decretata la scomparsa di questa figura. Lo è stata come Pasolini. Lo stile, da lei perseguito con costanza, è la sintesi di etica ed estetica. In Sullo stile, il titolo di uno dei suoi saggi più noti, scrive che l’arte è morale in quanto riavvicinamento alla nostra sensibilità e della nostra coscienza. Leggendo Nello stesso tempo mi ero reso conto ancora una volta che Susan Sontag è stata una scrittrice e saggista pratica. Nel saggio che dà il titolo a quella raccolta di testi, scrive una cosa che mi fa sempre pensare: “I narratori seri pensano ai problemi morali in termini pratici”. Che significa: raccontano sempre storie in cui possiamo identificarci, anche quando le vite narrate sono molto lontane dalle nostre; stimolano così la nostra immaginazione e “educano la nostra capacità di giudizio morale”. Educare: un verbo che non è molto usato dagli scrittori, o almeno non in questo significato. Quando sento quel verbo – educare – mi viene sempre in mente il finale de I sommersi e i salvati di Primo Levi, là dove parla dei nazisti e dice che non erano dei mostri – neppure Eichmann probabilmente lo era –, ma che erano stati educati male. Per educare, ed educarci, ci vuole sia l’etica che l’estetica. E la bellezza, che le unisce. Anche se Susan Sontag ne diffida, ma non può fare a meno di evocarla, di cercarla, la bellezza dello scrivere, prima di tutto. Le belle frasi, che non significa frasi eleganti (uno scrittore non scrive bene, semplicemente scrive: questo esattamente è lo stile). Frasi efficaci, come dice Susan Sontag, e perciò morali. Senza dubbio è stata una formidabile scrittrice di frasi. Il suo modo di scrivere e raccontare procede per cerchi concentrici: si avvicina progressivamente al centro di quello che vuol dire, ma non lo raggiunge mai; in quel procedere aggiunge però qualcosa d’indispensabile: ci aiuta a comprendere il mondo che è complesso, inafferrabile; eppure è sempre lì, davanti a noi. Le sue frasi, spesso quasi degli aforismi, ce lo mostrano, ce lo fanno vedere. Per questo Susan Sontag ha sempre tenuto in sospetto la fotografia, su cui ha scritto uno dei libri più importanti degli ultimi cinquant’anni: Sulla fotografia (Einaudi), libro inimitabile. Le fotografie – parla spesso di fotografie al plurale – ci aiutano a vedere il mondo e al tempo stesso lo ottundono, “identificano gli eventi” e nel contempo li anestetizzano. Banalizzano tutto. Lo dice in Fotografia: una breve summa, compresa in Nello stesso tempo. Eppure lei stessa ha raccontato che è stato proprio vedendo delle fotografie negli anni Quaranta, subito dopo la guerra, in una libreria in California, che ha avuto il primo shock della sua vita, da adolescente. Erano le foto dei Lager nazisti, dei sopravvissuti allo sterminio ritratti dai reporter americani al seguito delle truppe vincitrici: mucchi di cadaveri accatastati. Un rapporto complesso quello con la fotografia, lo stesso che ha avuto John Berger, anche lui autore inimitabile, suo amico e complice in questa sintesi pratica di moralità ed estetica. Amare la fotografia e al tempo stesso diffidarne. Bisognerebbe fare così con tutto? Anche con la letteratura?

Susan Sontag non ha una risposta unica o semplice, per questo è affascinate. Non ci lascia tranquilli. Problematizza tutto, perché la prima problematica è lei stessa. Ripete con forza: scrivere è necessario, perché è una forma di resistenza al mondo delle immagini. Una lezione. Ama le immagini ma ne diffida, le esalta, ma si difende dalla sua stessa esaltazione. Questa è la sua moralità, questa è la sua estetica. Ma qual è in definitiva il fondamento della sua opera e anche della sua persona? Qui cade una questione fondamentale. Non facile da capire, non facile da dire. Ci aiuta un libro apparso qualche mese fa: Odio sentirmi una vittima (il Saggiatore). Si tratta di una lunga intervista con Jonathan Cott, un collaboratore del New York Times e del New Yorker, giornalista scrittore. Di lui si ricordano due altri libri: le conversazioni con John Lennon e Yoko Ono, e quella con Glenn Gould. Nel 1978 Cott ha pubblicato sulla rivista Rolling Stone una lunga intervista con Susan Sontag. Non era apparsa completa, solo una riduzione dei nastri registrati tra Parigi e New York in anni precedenti. Tre anni fa la versione integrale è stata finalmente pubblicata in America, ora tradotta in italiano. Sulla copertina figura un’immagine di Susan Sontag. Una bellissima immagine, perché Susan è sdraiata. Ha le mani dietro la testa, sembra sorridere, ma non lo fa davvero. L’hanno scattata il momento prima che lo faccia, o che non lo faccia. Le ridono gli occhi, non le labbra che sono grandi e carnose: serrate. L’ha scattata nel 1975 Peter Hujar. È stata presa negli anni della malattia.

Tra il 1974 e il 1977 Susan Sontag si era sottoposta a un’operazione chirurgica e alla chemioterapia: tumore al seno. In questa foto conserva ancora qualcosa della ragazza. Ha poco più di quarant’anni, ed è bella. Proprio in questa intervista da cui emerge sin dalla copertina nella sua fisicità, Susan Sontag affronta una delle questioni che sottendono il suo scrivere: il rapporto tra pensiero e sentimento. Qui sta la chiave di volta, l’arco che congiunge etica ed estetica. Lei sta dalla parte di entrambe, come spiega, “nello stesso tempo”. C’è, dice, nel pensiero occidentale una concezione anti-intellettualistica: “cuore e testa, pensare e sentire, immaginazione e giudizio…”. Lei non crede che queste contrapposizioni siano vere. Continua: “Abbiamo più o meno gli stessi corpi, ma i nostri pensieri sono molto diversi”. Sta parlando degli uomini e delle donne. Ma dice anche una cosa che va ben al di là del genere. Trascrivo le frasi: “Credo che per pensare ci serviamo molto più degli strumenti forniti dalla cultura che di quelli offerti dal corpo, e nasce qui la grandissima varietà che esiste al mondo. Ho l’impressione che pensare sia una forma di sentimento e sentire una forma di pensiero”. Una bellissima frase, che fa riflettere. Il pensiero non solo nasce dal sentimento, ma ne è una forma. Sentire è pensiero; meglio, una “forma”. La forma è il problema di chi scrive, e si scrive perché si sente: sentimento. Per non lasciare dubbio alcuno, fa un affondo al riguardo. Quello che lei fa – scrivere o girare un film –, spiega, sono “trascrizioni di qualcosa”. Quando ho letto questa frase ho pensato a Pasolini. Anche lui non ha fatto altro: trascrivere. Poi il discorso scivola verso una zona fondamentale per la scrittrice americana, quella che riguarda l’amore. Cosa c’entra l’amore con il pensare? Susan Sontag prova a spiegarlo. Quello che faccio, dice ancora, non è il risultato di un processo puramente intellettuale. Amare qualcuno, specifica, presuppone la comprensione e “amare qualcuno implica pensieri e giudizi di ogni sorta”. Qui cade la frase chiave di Susan Sontag, quella che ci spiega in cosa consiste il suo pensare e il suo scrivere: “esiste una struttura intellettuale del desiderio fisico, sessuale”. Per comprendere la sua opera, i saggi che ha scritto, come i romanzi, i film girati come gli allestimenti teatrali, bisogna considerare la natura sessuale del suo intelletto, e anche la struttura intellettuale del suo desiderio fisico. Senza questo non ci sarebbe alcun vigore, alcuna “forma”. Questa frase, l’intero passo, è illuminante. Perché non pone questioni riguardanti il genere: non separa pensiero-maschile da sentimento-femminile. Scambia le due cose. Crea un chiasmo. Le due cose sono intrecciate. Leggendo le sue pagine, libri come Contro l’interpretazione o Sotto il segno di Saturno, o ancora Stili di volontà radicale, si è colpiti dalla “struttura intellettuale” delle sue argomentazioni e insieme si capisce che sono pieni di desiderio.

Scrive usando il desidero, pur mantenendolo in stretta connessione con quella struttura di pensiero. Di più: la struttura intellettuale è solo l’impalcatura su cui si arrampica il desidero, prende forma. Il desiderio fisico. Chiunque li legga non può non accorgersi di questa forza. La moralità e l’estetica sono tenute unite da quel desiderio fisico, che è desiderio sessuale. Può sembrare un paradosso, dal momento che siamo abituati a pensare la moralità come desessualizzata e l’estetica erotizzata. Susan Sontag fa ruotare di 180 gradi le due cose: sessualizza la moralità e desessualizza l’estetica. Le riesce proprio perché non abbandona mai il campo del desiderio, ma lo istituisce dentro una struttura intellettuale. Una griglia. In un passaggio della intervista con Cott, la scrittrice ricorda un dettaglio della sua infanzia: da bambina era molto irrequieta. Un’irrequietezza che trovava origine dal fastidio di essere ancora una bambina. Questa irrequietezza la comunicano ancora ai suoi scritti. Irrequietezza dell’Eros che attraversa tutta la sua opera; è alimentata dal desiderio fisico, e lo alimenta anche in chi legge. L’irrequietezza fa parte delle manifestazioni senza oggetto – come l’angoscia, che è legata al sesso, oltre che alla morte: alla morte perché lo è al sesso. Non si sa mai perché si è irrequieti. Nessuno conosce la ragione della propria irrequietezza. Susan Sontag ci fa capire che il desiderio è la sua fonte primaria. Con quel desiderio ha alimentato la sua struttura mentale. E la nostra. Non possiamo che dirle: grazie!
       
Susan Sontag
16 Gennaio 2017
       
Da - http://www.doppiozero.com/rubriche/3/201701/susan-sontag-nel-campo-del-desiderio
5738  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. Gentiloni ha deciso: “Non ci sarà nessuna manovra correttiva” inserito:: Gennaio 17, 2017, 11:11:49 am

Gentiloni ha deciso: “Non ci sarà nessuna manovra correttiva”
Bruxelles prepara la lettera per il debito eccessivo. Disappunto a Palazzo Chigi per l’iniziativa Ue
Il premier Paolo Gentiloni risponde duramente all’Ue che invierà lettere all’Italia su deficit e debito eccessivo

Pubblicato il 17/01/2017
Fabio Martini
Roma

La prima, grossa grana della sua vita da capo del governo, Paolo Gentiloni ha deciso di affrontarla, stando ben attento a non abbassare la guardia. Per il momento nessuna dichiarazione ufficiale davanti alla lettera di «richiamo» in arrivo dalla Commissione europea che, senza invocarla esplicitamente, alluderebbe ad una manovra correttiva della Legge di stabilità di 3 miliardi e 400 milioni di euro. 

Ma la prima reazione del presidente del Consiglio è stata di «disappunto», di forte sorpresa per la tempistica dell’iniziativa europea. Gentiloni ritiene al limite del surreale l’approccio rivendicativo col quale Bruxelles guarda all’Italia, in settimane nelle quali sta cambiando radicalmente il quadro internazionale. 

LEGGI ANCHE - Padoan: un freno al debito, ma ora pensiamo a crescita e occupazione 

Con un presidente degli Stati Uniti come Donald Trump che sembra prepararsi a guardare all’Europa con un approccio potenzialmente dissolutorio, con la premier inglese Theresa May che oggi finalmente spiegherà come intende pilotare la Brexit, con la Francia a rischio-Le Pen, in sostanza con un contesto così movimentato, il nuovo presidente del Consiglio ritiene miope la richiesta della Commissione all’Italia di ridurre dello 0,2% il proprio deficit. Con una battuta del tutto informale, Gentiloni ha paragonato un atteggiamento di questo tipo a quello del pianista che continua a suonare nel saloon mentre attorno a lui imperversa una rissa.

E con questo spirito, confidato nei contatti informali di queste ore, Gentiloni ha deciso la linea per i prossimi giorni: come sempre in questi casi con Bruxelles si apre una trattativa, «l’Italia non ha alcuna intenzione di aprire guerre con nessuno», infrangere le regole o di lanciarsi nel burrone dell’extra-deficit. Ma al tempo stesso non ha alcuna intenzione - ecco il punto dirimente - di ipotizzare manovre, manovrine o aggiustamenti. 
LEGGI ANCHE - Crescita e sviluppo: vince il Nord Europa, il rapporto di Davos boccia l’Italia, posto 27 su 30 

Al termine di una trattativa che si intende condurre senza rigidità, si rifaranno i conti e, nel caso, si ritoccheranno i numeri del Documento di economia e finanza, ma al momento nulla cambia. Anche perché, ma su questo a palazzo Chigi sono attentissimi ad evitare polemiche, la Commissione è parsa avere un approccio benevolo nei confronti di alcuni Paesi (Spagna e Portogallo e non solo) che hanno sfondato i parametri.

Certo, la posizione di Palazzo Chigi per il momento è espressa in modo informale e dunque è prematuro rilevare un discostamento da quanto dichiarato dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: «Vedremo se sarà il caso di prendere misure ulteriori per sostenere i conti pubblici ma come ho sempre detto la via maestra per abbattere il debito è la crescita». Prematuro capire se sia la riproposizione della dialettica -sempre civile - tra Renzi e Padoan o se invece il ministro abbia volutamente esposto una posizione più negoziale. 

Certo, Gentiloni intende presentarsi domani a Berlino per il bilaterale con Angela Merkel con il suo stile, così diverso da quello di Matteo Renzi, ma anche con un messaggio chiaro: l’Italia è quella di prima. Rispetto alla stagione di Renzi, non si fa un passo indietro. Un Paese fondatore che continua a considerarsi in credito e non in debito rispetto a Bruxelles, anche alla luce del dossier immigrazione: è vero che su questo fronte la stagione invernale non fa testo, ma nei primi giorni del nuovo anno gli arrivi in Italia sono triplicati rispetto al periodo corrispondente dello scorso anno. 

D’altra parte il preannuncio dell’invio della lettera da parte della Commissione europea fa parte degli eventi messi nel conto. A novembre l’esecutivo Ue aveva pubblicato un’opinione attendista sulla manovra per il 2017 rilevando che il bilancio italiano era a rischio rispetto alle regole del Patto di stabilità. Nelle prossime settimane la Commissione pubblicherà il rapporto sul debito pubblico: un altro fronte sul quale l’Italia rischia grosso.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/17/economia/gentiloni-ha-deciso-non-ci-sar-nessuna-manovra-correttiva-V5sq6LrWws6ryUCWHeCAGL/pagina.html?wtrk=nl.direttore.20170117.
5739  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Sergio STAINO “Renzi, mi hai deluso” inserito:: Gennaio 14, 2017, 06:43:50 pm
Focus
Sergio Staino. - @SergioStaino
· 12 gennaio 2017

“Renzi, mi hai deluso”

Altri venti giorni sono passati dall’invio di questa lettera, venti giorni di silenzio totale. Questo mi costringe a renderla pubblica per vedere se riesci a degnarmi di una qualche risposta
L’assemblea dei giornalisti de l’Unità si è vista costretta a decretare un’altra giornata di sciopero e per questo non siamo in edicola neanche oggi. Mi preme però far conoscere quello che sarebbe stato il mio editoriale di oggi nell’ipotesi che fossimo usciti. L’editoriale in realtà è una mail che ho inviato al Segretario del Partito Matteo Renzi in data 23 dicembre che, mi sembra rileggendola adesso, mantenga tutta la sua attualità. Due giorni fa la situazione di agitazione al mio giornale è esplosa per una comunicazione a ciel sereno da parte dell’Amministratore Delegato in cui si annunciava la fine delle trattative su una revisione nei ruoli dei giornalisti e dei rispettivi emolumenti, passando di fatto a una riduzione di personale non specificando né in che numero né in che modo. Questa notizia, di per sé molto spiacevole, è stata però superata ieri 12 gennaio, dalla Assemblea dei soci proprietari de l’Unità che ha di fatto rinviato al primo febbraio la dichiarazione di liquidazione della stessa società. In particolare il socio di minoranza, cioè il PD, ha proposto una ricapitalizzazione dell’azienda di 5 milioni di euro, 1 milione il PD e 4 milioni la Pessina, socio di maggioranza. Quest’ultimo ha dichiarato la propria disponibilità a ricapitalizzare a patto che il PD cedesse la golden share de l’Unità che appartiene totalmente al socio di minoranza, alla stessa Pessina. Tutto questo perché la Pessina imputa al PD una gestione deleteria dello stesso giornale causata soprattutto da uno straordinario assenteismo nei confronti della presenza del giornale nel partito, nella società e nel territorio. In effetti, come ben sappiamo, anche se storicamente il padrone è sempre e comunque una carogna e quindi anche in questo caso la Pessina non può dichiarare la sua totale innocenza nella crisi gestionale ed economica de l’Unità, è ben vero che il problema principale rimane un problema politico. La lettera che qui riproduco evidenzia in modo molto chiaro quali sono le problematiche più gravi di questa gestione.
………
Caro Matteo,
ti scrivo perché credo di essere ormai giunto alla fine delle mie forze. Dopo tre mesi di esperienza alla direzione de l’Unità puoi bene immaginare dove sia finito tutto l’entusiasmo che avevo messo nel fare questo lavoro. Ero abbastanza impaurito perché immaginavo la quantità di problemi in cui mi sarei ritrovato anche se, devo dirti con sincerità, che mai immaginavo che la quantità fosse così enorme e pesante.
Difficoltà umane: parlare e trattare con il tesoriere del PD Bonifazi e con l’Amministratore Delegato Stefanelli, ti assicuro è esperienza che non augurerei a peggior nemico. Meglio assai con Massimo Pessina e Chicco Testa che sono persone se non altro trasparenti e razionali. Non parliamo dell’aspetto economico che mi immaginavo grave ma non tale da bloccare ogni pur minima iniziativa di rilancio del giornale. E poi il personale umano e l’isolamento del giornale. Questo è l’aspetto che mi addolora di più: mi sono reso conto che non c’è nessuno nel partito che sia interessato a questo foglio. Ho un bel rapporto con i compagni di base più vecchi, ho un buon rapporto con un po’ di giovani che si sono avvicinati, ho un buon rapporto con quel che resta dei “Giovani Turchi” e ho un buon rapporto di confronto con alcuni compagni a te non troppo vicini, da Macaluso a Reichlin, a Cancrini, a Cuperlo, Veltroni, Fassino e tanti altri, che lo seguono, lo commentano, mi aiutano. Ma tu e i tuoi? Zero.
Credo che anche tu sia fra quelli che neanche scorre la prima pagina del giornale eppure, quando mi hai congedato a Palazzo Chigi, hai urlato allegramente: “Voglio un giornale bello, di tante pagine e non preoccuparti per i soldi… quelli ci sono!” Chissà se te lo ricordi. Dirti quindi che sono profondamente deluso, e in prima fila deluso da te, è dir poco. Pensavo che il giornale ti servisse per ravvivare quella base che nel territorio si sta disperdendo nell’astensionismo o, peggio ancora, nel grillismo. Pensavo ti servisse uno strumento per ricucire queste forze, per rimetterle in circolo, per far sì che dalla base ti arrivasse quell’ondata di rinnovamento che caratterizzò la tua prima uscita, quella del rottamatore, e che ti avrebbe aiutato a riporre il partito alla centralità del nostro lavoro politico. Per questo ero pronto a fare molti sacrifici, ero pronto a fare un bellissimo giornale mantenendo il livello di spesa dell’attuale o addirittura riducendolo, riducendo il personale (che è un sacrificio politico terribile), riducendo il formato e puntando su un giornale piccolo, brutto e cattivo ma pieno di grande intelligenza e di cose che non si trovano negli altri giornali. Di cose che sono strumenti, conoscenza, elementi di lavoro per chi giorno per giorno nei territori e nelle amministrazioni e nelle aggregazioni culturali e sociali porta avanti il lavoro del partito. Purtroppo non è così. In nessun momento il partito ha dato un segnale nei confronti miei e del giornale. Speravo che tu mi avresti fatto parlare in piazza del Popolo, almeno due minuti per presentare il rilancio del giornale e dire che il giornale era al tuo fianco ed era lì in piazza a testimoniare la voglia di rinascita. Speravo che tu mi avresti presentato alla Leopolda come nuovo direttore da ascoltare e soprattutto aiutare in questo grosso lavoro. Al contrario, ai diffusori del nostro giornale non è stata neanche data l’autorizzazione per entrare alla Leopolda (nonostante fuori piovesse a diluvio). All'ultima assemblea nessuno ha accennato alla presenza del giornale e a un suo possibile ruolo nel rilancio del partito, al contrario, l’unica volta che è stata nominata l’Unità è stato perché un rappresentante della minoranza ci ha accusati di averli riempiti di vituperi ed offese. E poi adesso. La necessità di un incontro per sapere dove andiamo a finire rinviata di settimana in settimana, sempre cose più importanti de l’Unità, sempre cose più urgenti. E’ naturale che mi venga una gran voglia di togliere il disturbo. L’occasione è pronta: il 12 gennaio ci sarà un Consiglio di Amministrazione in cui si sanzionerà l’ennesimo fallimento e l’ennesima chiusura. Cosa ne guadagni questo lo sa solo Dio. Cosa ne guadagni tu, cosa ne guadagna il partito, cosa ne guadagna la sinistra e l’intera società.
Sergio
Altri venti giorni sono passati dall’invio di questa lettera, venti giorni di silenzio totale. Questo mi costringe a renderla pubblica per vedere se riesci a degnarmi di una qualche risposta. Io ti ho sempre apprezzato per quel tuo continuo ripetere “ci metto la faccia”, è possibile che questo non valga per l’Unità?

Da - http://www.unita.tv/focus/staino-scrive-a-renzi/
5740  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / VITO LOPS. Ecco perché la decisione di Dbrs sul rating è così importante inserito:: Gennaio 14, 2017, 06:41:25 pm
ATTESA PER LA DECISIONE
Ecco perché la decisione di Dbrs sul rating è così importante

    –di Vito Lops 13 gennaio 2017

Gli scaramantici possono aggiungere ai market mover del giorno - la pronuncia da parte dell’agenzia canadese Dbrs sul rating dell’Italia - il fatto che questa decisione sia arrivata di “venerdì 13”. Ma più della numerologia conta la sostanza dei fatti. Si tratta di una decisione non da poco perché da essa dipende quanto “costerà”, in termini di garanzie, alle banche chiedere in prestito liquidità alla Bce. Cerchiamo di capire perché.

    L’Analisi
Il voto Dbrs e le vere incognite sulle banche

Il primo punto da capire è che quando una banca commerciale europea chiede un prestito di liquidità alla banca delle banche, la Banca centrale europea, lo fa dando in pegno un collaterale. Una garanzia. Un po’ come quando una famiglia chiede un mutuo e dietro quel prestito la banca chiede in garanzia l’ipoteca sulla casa. I titoli di Stato italiani sono una delle garanzie che le banche possono dare alla Bce per chiedere la liquidità. Sono accettati dalla Bce e, in più, alle banche italiane può far comodo dato che in portafoglio ne detengono un controvalore superiore ai 400 miliardi di euro.

Ma quanto valgono i titoli di Stato italiani per la Bce? Quanta liquidità può prestare alle banche in cambio di un BoT o BTp? Il punto è questo. Perché dal valore attribuito dalla Bce dipende anche la trattenuta sul prestito, tecnicamente chiamata nelle stanze di Francoforte haircut. Il valore attribuito dalla Bce dipende a sua volta dal rating che il Paese che emette quel titolo governativo può esibire. Sebbene vi siano numerose agenzie di rating al mondo, la Bce prende in considerazione il giudizio di quattro agenzie: le americane S&Poor’s e Moody’s, la francese Fitch e la canadese Dbrs. Per la Bce non è importante che tutte e quattro le agenzie abbiano un giudizio “A” per applicare le condizioni di miglior favore, ovvero il minor taglio possibile sul prestito. È sufficiente una “A” tra le quattro agenzie.

Ecco perché il giudizio di Dbrs - il downgrade era prevedibile perché ad agosto l’agenzia aveva aperto una procedura di revisione del rating con outlook negativo - era molto atteso. Dbrs era rimasta l’unica agenzia (delle quattro monitorate dalla Bce) ad avere un giudizio mite sull’Italia: “A-low”. Bastava un notch, un solo gradino in giù, e anche Dbrs si sarebbe unita al giudizio delle altre tre sorelle del rating che da diverso tempo hanno fatto scendere l’Italia dal livello “A” in “Serie B”. E così è stato.

Questa bocciatura, quindi, aumenterà la trattenuta che la Bce chiederà sui titoli di Stato italiani dati in pegno dalle banche quando chiedono liquidità.

Se sei al piano “A” e dai un BoT come garanzia la Bce ne trattiene solo lo 0,5%. Ma se retrocedi in serie “B” la Bce ne trattiene il 6%. Così, se dai in garanzia un BTp nel primo caso la trattenuta è al 6%, mentre nel secondo più che raddoppia al 13%.

Ovviamente la decisione non riguarda teoricamente solo le banche italiane ma tutte quelle che hanno in portafoglio titoli governativi italiani e che intendono darli in garanzia per ottenere finanziamenti dalla Bce.

Secondo i calcoli di Rabobank- che risalgono allo scorso agosto - le banche italiane attualmente hanno prestiti presso la Bce per 142 miliardi di euro. Il downgrade da parte di Dbrs dovrebbe aumentare le garanzie necessarie per sostenere questo prestito di circa 10 miliardi.

    L’ANALISI 6 gennaio 2017
Primi esami per il BTp ma il vero test sarà «politico»
Gli esperti, comunque, sono divisi sull’impatto di un eventuale downgrade. Perché, come ci raccontiamo da tempo, le difficoltà che stanno affrontando le banche europee non sono legate a una mancanza di liquidità. Di questa ce n’è fin troppa. Ad esempio, come ricorda Bankitalia, il collaterale depositato in Bce dalle banche italiane eccede del 40% quanto necessario a ottenere i prestiti Bce.

Va poi detto che i titoli di Stato italiani sono solo una fetta di un’enorme lista di titoli eligible, quelli accettati in garanzia dalla Bce.

E allora dove sta il problema? Potrebbe essere più politico che tecnico. Un downgrade non fa piacere a nessuno. Lo scorso agosto, quando aveva appreso dell’apertura della procedura di revisione da parte di Dbrs, il Tesoro in una nota non aveva nascosto la sua irritazione: «La nostra opinione è che ci sia una violazione delle regole e stiamo valutando se ci sono le condizioni per contestare la decisione di rivedere il rating al di fuori del normale calendario di pre-annunciato».

Un downgrade non fa piacere a nessuno. Tanto meno all’Italia, che nonostante negli ultimi 10 anni di crisi sia stata “costretta” a generare record di avanzi primari (mentre la maggior parte degli altri Paesi reagiva alla crisi ampliando il deficit fiscale), resta ancora la terza economia dell’Eurozona.

twitter.com/vitolops
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5741  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Francesca Schianchi. Renzi riparte dalle origini. E chiama a raccolta i sindaci inserito:: Gennaio 14, 2017, 06:20:58 pm
Renzi riparte dalle origini. E chiama a raccolta i sindaci Pd
Appuntamento a Rimini il 27 e 28 gennaio

Pubblicato il 13/01/2017
Ultima modifica il 13/01/2017 alle ore 14:19

Francesca Schianchi
Roma   
   
Matteo Renzi riparte dalle origini. Dal territorio, dai sindaci, dalle buone pratiche che vengono dai comuni. Il segretario del Pd, che tanto ha insistito sulla sua esperienza amministrativa da ex primo cittadino di Firenze come punto di forza all’inizio dell’avventura nazionale, vuole incontrare sindaci, consiglieri comunali, presidenti di Regione del Pd. Impegnato a riorganizzare il partito, a rivedere la squadra di segreteria e a rimotivare una comunità messa a dura prova dalle spaccature della campagna elettorale e dalla sconfitta del referendum, ha messo in agenda per il 27 e 28 gennaio prossimi, a Rimini, un’Assemblea nazionale degli amministratori Pd.

L’aveva annunciata ai segretari regionali e provinciali incontrati alla sede del Nazareno prima delle vacanze: ora sono partiti gli inviti, in cui si spiega che l’appuntamento è pensato per «valorizzare le nostre tante esperienze di buon governo, riprendere il ragionamento sui punti programmatici essenziali e riuscire a dare una nuova visione generale al Paese partendo dalle realtà locali».

«Vogliamo far diventare il buon governo Pd a livello locale un pezzo della nostra proposta nazionale», spiega Matteo Ricci, che nella segreteria nazionale è responsabile Enti locali ed è pure sindaco di Pesaro. «Parleremo di cultura, accoglienza dei migranti, investimenti, urbanistica…». Invitati tutti gli amministratori d’area: dal sindaco di Milano Sala a quello di Bergamo Gori, dal fiorentino Nardella ai giovani Falcomatà di Reggio Calabria e Palazzi di Mantova, che potrebbero anche entrare a breve in segreteria nazionale accanto a Renzi. Ma saranno i benvenuti anche ministri e parlamentari.

Una due giorni per rimettere al centro il territorio. In una location non casuale: Rimini è stata scelta perché, alle ultime amministrative, mentre Roma e Torino franavano sotto l’assalto dei Cinque stelle, nella città romagnola il dem Andrea Gnassi vinceva al primo turno con il 57 per cento. Una performance da prendere a esempio, in un anno in cui, come si ricorda nell’invito, «alle prossime elezioni amministrative si vedranno coinvolti più di mille comuni».

La manifestazione sarà chiusa dal discorso di Renzi. «Sto facendo il segretario a tempo pieno», ripete a chi gli chiede di queste sue giornate tra Roma e Pontassieve. Sabato 21 ha annunciato una mobilitazione dei circoli Pd, e un appuntamento programmatico il 4 febbraio prossimo.
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DA - http://www.lastampa.it/2017/01/13/italia/politica/renzi-riparte-dalle-origini-e-chiama-a-raccolta-i-sindaci-pd-xYqTFugmYXyIvhlmvtag4N/pagina.html
   
5742  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / BAUMAN. Questi partiti non ci servono - Gaspare Polizzi inserito:: Gennaio 12, 2017, 11:41:12 pm
   Opinioni
Gaspare Polizzi   
· 11 gennaio 2017

Questi partiti non ci servono
Bauman ha descritto l’orizzonte di incertezze e di paure che segna il mondo occidentale, dopo la fine delle «grandi narrazioni»


Da anni si parla della crisi dei partiti. Un recente sondaggio ci dice che metà degli italiani gradirebbe una democrazia senza partiti, come se si potesse in una società complessa fare a meno della rappresentanza e della mediazione. Quando Adriano Olivetti scrisse nel 1949 Democrazia senza partiti intendeva restituire alla politica una dimensione collettiva e umana: «non chiedete nulla, ma unicamente che la libertà che lo Stato e i partiti vi riconoscono a parole – quella di scegliervi i vostri rappresentanti – non sia una mistificazione. Il mandato politico, nella sua vera essenza, è soltanto un atto di fiducia degli uomini in un uomo».

Quella di Olivetti era «una difesa appassionata di una dignità che la politica non può abbandonare, e che trova il suo alimento in grandi idealità, in passioni profonde, in opportunità concrete perché la persona riesca a esprimersi pienamente come cittadino».

Oggi le grandi idealità e le passioni profonde si sono perdute, perché si vive in una «società liquida», frutto del declino della modernità. Zygmunt Bauman ci ha fatto conoscere questa «società liquido-moderna di consumatori», evitando di esaltarne i vuoti simulacri e mantenendo quella consistenza del dubbio che emana da un genuino sguardo filosofico.

Bauman ha descritto l’orizzonte di incertezze e di paure che segna il mondo occidentale, dopo la fine delle «grandi narrazioni», della fede in una salvezza ultraterrena o in un riscatto rivoluzionario. E ci ha fatto capire che le paure generano indignazione, risentimento, odio, un individualismo sfrenato che dissolve la comunità sociale. Ma, come ha ricordato Umberto Eco il 29 maggio 2015 in una delle sue “bustine”, non basta citare Bauman per comprendere i fenomeni del nostro tempo: «c’è un modo per sopravvivere alla liquidità»?

C’è, ed è rendersi appunto conto che si vive in una società liquida che richiede, per essere capita e forse superata, nuovi strumenti. Ma il guaio è che la politica e in gran parte l’intellighenzia non hanno ancora compreso la portata del fenomeno. Bauman rimane per ora una “vox clamantis in deserto”». Da questo deserto dobbiamo tentare di uscire. Magari facendo tesoro di tutte le forme di associazionismo che vivono nella «società liquida».

Sostituendo l’idea rigida di partito a quella di una rete nella quale convivano autonomia e pluralismo, accordi funzionali a un programma, che abbia pochi e chiari punti fermi, e accordi flessibili per far convergere le più diverse posizioni sociali e costruire quell’egemonia culturale così ben descritta da Antonio Gramsci, e da Bauman, che di Gramsci fu un ammiratore. Senza dimenticare che la definizione di progetti collettivi richiede sempre un gesto morale. Perché, come ricorda Bauman, l’atto morale ci permette di incontrare l’altro non come una maschera, ma come un volto, nella sua vera identità e non nel ruolo che ricopre. E soltanto «un atto di fiducia degli uomini in un uomo» può far rinascere una democrazia che viva nella dignità delle relazioni sociali. E di riconoscere una missione e un orizzonte verso il quale incamminarsi, insieme.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/questi-partiti-non-ci-servono/
5743  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Samuele Marco Degradi. La partecipazione al Pd crescerà solo aiutando i circoli inserito:: Gennaio 12, 2017, 05:39:24 pm
La partecipazione al Pd crescerà solo aiutando i circoli
Samuele Marco Degradi
   
Investire nei territori e nelle forme di confronto e adesione on line è fondamentale per aprire maggiormente il partito al contributo di tutti i soggetti progressisti

Torna nel dibattito interno al Partito democratico la questione di quanto il partito debba essere aperto e delle modalità di questa eventuale apertura.

Esiste già una comunità dem più ampia del partito e con cui il partito ha già iniziato da tempo un confronto, comunità fatta di persone e organizzazioni vicine ai valori progressisti e riformisti, che portano avanti cercando di migliorare il Paese nei diversi ambiti in cui operano, dalla scuola al welfare, dall’ambiente ai diritti. L’apertura, l’essere un soggetto progressista che mette in campo strumenti e modalità organizzative che vanno a dialogare, coinvolgere e puntano a far aderire anche al partito chi fa parte di questa comunità ampia, deve essere secondo me uno degli obiettivi di un partito aperto, moderno, scalabile e democratico.

Il partito da un lato deve sviluppare idee di policy e formare la propria classe dirigente: Classe democratica, la scuola di formazione del Pd e anche #GenerazioneSì dei FutureDem, associazione di giovani iscritti e no al Pd, di cui faccio parte, sono l’esempio di questa direzione. Dall’altro lato, deve poter essere un incubatore di idee, esperienze territoriali e comunitarie che però hanno anche la capacità di mettersi in rete, dove ogni soggetto o persona della comunità dem possa sentirsi coinvolto nel dare il proprio contributo alla visione che ci accomuna.

Per continuare a fare questo in modo strutturato, le sezioni locali assumono un ruolo centrale. Un investimento, anche di aiuto economico nei territori dove le sezioni fanno più fatica è, secondo me, utile allo sviluppo di tale progettualità e all’ulteriore apertura del partito. Si possono poi pensare strumenti che facilitano la partecipazione sia online che offline, formare all’uso degli strumenti, alle tecniche di facilitazione, far diventare le sezioni locali degli incubatori della comunità dem.

I comitati per il Sì al referendum costituzionale possono rappresentare uno dei momenti più importanti di prosecuzione di questo percorso di medio/lungo periodo. Parlando di un tema importante come la riforma dell’assetto istituzionale dello Stato, la comunità dem può saldarsi ulteriormente e molte persone potranno iscriversi anche al partito.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-partecipazione-al-pd-crescera-solo-aiutando-i-circoli/
5744  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / È morto il sociologo Zygmunt Bauman È stato il teorico della «società liquida» inserito:: Gennaio 12, 2017, 05:37:16 pm
È morto il sociologo Zygmunt Bauman
È stato il teorico della «società liquida»

Pubblicato il 09/01/2017
Ultima modifica il 09/01/2017 alle ore 18:37

Il sociologo polacco di origini ebraiche Zygmunt Bauman è morto oggi a Leeds all’età di 91 anni. Lo scrive Wyborcza online. 

Bauman è stato il teorico della «società liquida», le sue analisi sul modo di vivere dell’uomo moderno e sulla sua percezione della realtà lo avevano reso celebre tra gli intellettuali. 

Secondo Bauman, la trasformazione della società aveva privato l’uomo moderno di qualunque riferimento “solido”, lasciandolo privo di strumenti per orientarsi. 

Bauman era nato a Poznan, in Polonia, il 19 novembre 1925 da una famiglia di origini ebree. In seguito all’invasione del suo Paese da parte delle truppe naziste all’inizio della seconda guerra mondiale, Bauman fugge, adolescente, con i genitori in Unione Sovietica e si arruola in un corpo di volontari per combattere contro i nazisti. Finita la guerra, torna nel suo Paese e inizia a studiare sociologia all’Università di Varsavia dove si laurea in pochi anni. Nel 1968, è costretto di nuovo a emigrare in seguito a un’epurazione antisemita messa in atto dal governo polacco e si rifugia prima in Israele, dove ha insegnato all’Università di Tel Aviv, poi in Gran Bretagna dove, dal 1971 al 1990, è stato professore di sociologia all’Università di Leeds, di cui ora era emerito. 

Bauman spiega cos’è la felicità
Era professore emerito di sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia. Considerato il teorico della postmodernità, Bauman è autore di moltissimi libri, famosi anche in Italia, nei quali si è occupato di temi rilevanti per la società e la cultura contemporanea: dall’analisi della modernità e postmodernità, al ruolo degli intellettuali, fino ai più recenti studi sulle trasformazioni della sfera politica e sociale indotti dalla globalizzazione. 

Quasi tutti i suoi libri sono stati pubblicati da Laterza: «Vita liquida», «Consumo dunque sono» e «L’arte della vita», «Il demone della paura», «Modernità liquida», «Amore liquido», «Capitalismo parassitario», «L’etica in un mondo di consumatori», «Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone», «Danni collaterali. Diseguaglianze sociali nell’età globale», «Paura liquida», «La società sotto assedio», «Sesto potere», «Stranieri alle porte». 
LEGGI ANCHE Bauman: “Se cediamo alla paura morirà la democrazia” 
LEGGI ANCHE Bauman: “La paura e l’odio si nutrono dello stesso cibo” 

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DA - http://www.lastampa.it/2017/01/09/cultura/morto-il-sociologo-zygmunt-bauman-qtUG2XHarjFrdb4PcauR8J/pagina.html?message2=signup_error#form2
5745  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Perché l’America Latina dovrebbe essere una delle priorità dell’Ue nel 2017 inserito:: Gennaio 12, 2017, 05:32:17 pm
Perché l’America Latina dovrebbe essere una delle priorità dell’Ue nel 2017

Pubblicato il 09/01/2017
Ultima modifica il 09/01/2017 alle ore 13:02

Luis de Grandes*, Antonio Tajani **

Camminando tra le strade di Buenos Aires ci si sente come in una qualsiasi capitale europea. Dopo la prima guerra mondiale, più di un milione di italiani hanno iniziato a vivere in Argentina. Non c´è da stupirsi che alcuni sostengono che qui la pasta é buona come in Italia!

Un numero più o meno uguale di persone é emigrato nello stesso periodo verso gli USA. Micaela e Lucas sono tra i nomi più popolari in Argentina e questo rispecchia i 4 milioni di cittadini di lingua tedesca nel Paese. É anche presente una comunità polacca molto forte, la quarta più grande dopo gli italiani, spagnoli e tedeschi. Non é la globalizzazione che ha portato ristoranti belgi a Buenos Aires, le migliori focacce inglesi con il té o che ti dà l´opportunità di prendere parte ad una festa svizzera a base di fonduta di formaggio. Forti comunità europee hanno iniziato a stabilirsi quì alla fine del diciannovesimo secolo.

Per quale motivo l´ Unione europea non ha fatto abbastanza per dare all´America Latina l´attenzione che merita? Perché ora é il miglior momento per farlo?

Il continente sta vivendo un momento chiave nella sua storia politica. I governi populisti di sinistra che hanno governato nell´ultimo decennio con livelli di democrazia discutibili e caratterizzati da politiche economiche insostenibili, sono ora contestati. I risultati delle elezioni parlamentari in Venezuela, la vittoria di Mauricio Macri in Argentina e di Pedro Pablo Kuczinsky in Perù, mostrano che il populismo può essere sconfitto. Mostrano che la gente in America Latina vuole un governo democratico e affidabile e una crescita economica sostenibile.

 Questi cambiamenti spianano la strada all’Unione europea per rafforzare le sue relazioni con l’America Latina per un partenariato alla pari. Questo non solo implicherebbe una cooperazione politica più intensa ma sfrutterebbe anche l´ enorme potenziale economico dell´ integrazione regionale portando un vantaggio reciproco. L’Unione europea è ora il principale investitore straniero in America latina e nei Caraibi, pari a un terzo dell’investimento complessivo. Molto di più degli investimenti che l’UE ha in Russia, India e Cina insieme.

Abbiamo già diversi casi di successo che non solo hanno contribuito positivamente alla crescita di entrambe le sponde dell’Atlantico, ma hanno anche rafforzato la cooperazione regionale nella zona. L’UE ha accordi di libero scambio bilaterali con tutti i paesi che sono membri dell’alleanza economica di maggior successo nella regione - l´Alleanza Pacifica - formata da Cile, Colombia, Messico e Perù. Il mese scorso, l’Ecuador è stato l’ultimo paese a firmare un accordo di questo tipo con l’UE.

La maggior parte dei partenariati commerciali e di investimento dell’UE arrivano con un accordo di associazione. É stato dimostrato che gli accordi contribuiscono a migliorare la crescita economica, la creazione di posti di lavoro, lo sviluppo sociale e la cooperazione, con la conseguente creazione di un quadro giuridico stabile che garantisce il massimo livello di protezione dei consumatori e di tutela dell´ambiente.

Nonostante questi successi, c’è ancora qualche margine di miglioramento. Una parte di lavoro incompiuto è il completamento di un accordo di associazione globale con il Mercato Comune del Sud, i cosiddetti paesi del Mercosur. Condividiamo simili valori democratici, preoccupazioni e interessi. Così naturalmente, un accordo di questo tipo andrà al di là di un accordo di libero scambio, includendo dialogo politico e cooperazione. Il potenziale economico del contratto è evidente. La creazione di un mercato di circa 750 milioni di consumatori con un PIL vicino ad un quarto dell´intero PIL mondiale, creerà enormi benefici e ancora maggiori opportunità. La nostra cooperazione può essere rafforzata per quanto riguarda le piccole-medie imprese (PMI), i servizi, la sicurezza, la lotta contro la povertà e la disuguaglianza sociale, il cambiamento climatico e l’innovazione.

Siamo consapevoli delle sensibilità che esistono da entrambe le parti, ma riteniamo che sia giunto il momento di proseguire verso la conclusione dell’accordo. In alcune zone potrebbero essere richiesti meccanismi per compensare gli effetti del libero scambio. Questo comporterà ancora importanti concessioni reciproche e soprattutto la volontà politica di superare il protezionismo da entrambe le parti.

L’Europa non può permettersi di chiudersi di fronte alla globalizzazione, ma al contrario dovrebbe plasmarla. Inoltre, dato l’indebolimento delle nostre economie, dobbiamo elaborare nuove idee per aprirci a nuove opportunità. Nel 2030, il 60% del PIL mondiale sarà generato nei Paesi emergenti e in via di sviluppo. Nonostante ciò, solo il 13% delle nostre piccole e medie imprese stanno facendo affari oltre i confini dell’UE. Parlando con una sola voce, diventa quindi essenziale salvaguardare gli interessi della nostra industria. Ecco perché oltre a una forte diplomazia in politica estera, l’UE ha bisogno di una diplomazia economica. Il recente ampliamento del Canale di Panama, realizzato da un consorzio di aziende europee (italiane, spagnole e belghe) ne è un buon esempio.

Il mese scorso, il presidente cinese Xi Jinping ha fatto la sua terza visita in America Latina da quando è arrivato al potere tre anni fa. Ha visitato l’Ecuador, il Perù e il Cile per firmare accordi di cooperazione culturale ed economica in settori come quello dell’energia, minerario o delle infrastrutture. Ha anche inaugurato la centrale idroelettrica “Coca Codo Sinclair” in Ecuador, finanziata con denaro cinese, affiancato dal presidente Correa.

Ci sarebbe dovuto essere un Presidente europeo lì e non il Presidente cinese!

Non possiamo lasciare l’America Latina e i Caraibi ai cinesi e ai nord americani. Dobbiamo essere presenti nella regione. Dobbiamo sfruttare le opportunità offerte dai cambiamenti della parte nord del continente! I paesi dell´ UE, dell’America Latina e dei Caraibi sono alleati naturali legati da forti legami storici, culturali ed economici e collaborano strettamente a livello internazionale. È giunto il momento di rafforzare questo rapporto e di intensificare le nostre relazioni politiche, commerciali e di cooperazione.

 
Come dice un proverbio uruguaiano: meglio sposare un vicino piuttosto che un estraneo! Intendiamo dire che è meglio lavorare con coloro i quali condividiamo cultura, lingua, religione, valori e aspirazioni comuni. La nostra cultura, storia comune e il nostro forte impegno per l’integrazione regionale, contribuisce a fare dell’UE e del Mercosur due partners naturali. Il 2017 offre quindi nuove opportunità per pensare in grande su ciò che vogliamo realmente nel lungo periodo.

*Presidente Delegazione per le relazioni con i Paesi della Comunità andina 
**Primo Vice Presidente del Parlamento europeo 

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