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5551  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / STEFANO LEPRI. Sui conti le scorciatoie sono finte inserito:: Febbraio 14, 2017, 05:36:05 pm
Sui conti le scorciatoie sono finte

Pubblicato il 14/02/2017
Ultima modifica il 14/02/2017 alle ore 06:57

Stefano Lepri

Tanto vale farla subito, la manovra aggiuntiva chiesta dalla Commissione europea. L’importo è modesto; gli effetti di freno sulla crescita saranno - secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio - limitatissimi. Se si eviteranno visibili aumenti di tasse, come chiede Matteo Renzi, tanto meglio.

All’ex presidente del Consiglio si può casomai rimproverare che una migliore legge di bilancio 2017, meno legata a entrate aleatorie, avrebbe risparmiato all’Italia la nuova controversia con gli uffici di Bruxelles. Ma il principio che la pressione fiscale va ridotta, anche da un punto di vista di sinistra, è bene che resti. 

Un problema serio nella gestione dell’area euro c’è; l’Italia non può risolverlo da sola. Nelle previsioni economiche della Commissione uscite ieri si legge appunto che nel loro insieme i 19 Paesi per condurre una politica di bilancio appropriata, tale da creare più posti di lavoro, nel 2017 dovrebbero investire in aggiunta o tassare di meno per circa 40 miliardi. Non lo faranno.

L’effetto combinato delle politiche nazionali, del Patto di stabilità e dei compromessi per aggiustarlo, dà un risultato (una «fiscal stance» nell’inglese dei tecnici) insoddisfacente, da cui molti disoccupati ricavano un danno duraturo. Non c’è qui un disegno malefico di qualche Paese contro qualcun altro; anche una analisi del Fmi mostra soltanto una complessiva irrazionalità.

Germania e Olanda, che potrebbero far di più per il bene comune, hanno bilanci in attivo che agli altri sono dannosi. Al contrario l’Italia è già fin troppo in deficit rispetto a quanto la sua montagna di debiti potrebbe permettere, come conferma il recente rialzo dello «spread»; se tentasse di sfuggire alle regole metterebbe in pericolo se stessa e anche gli altri.

Tutto questo andrà cambiato. Sarà una battaglia politica lunga, da condurre trovando alleati. Potrebbe diventare meno ardua se le elezioni francesi di primavera e quelle tedesche di autunno andassero come fanno supporre i sondaggi correnti: vittoria del centrista ed europeista Emmanuel Macron a Parigi, rafforzamento dei socialdemocratici nella inevitabile grande coalizione a Berlino.

Non ci sono scorciatoie. Fino all’anno scorso, le intemperanze italiane trovavano simpatia dall’altro lato dell’Atlantico, e ci proteggeva il sostegno monetario della Bce al massimo della forza. Ora il panorama è cambiato; la Germania diventa nel mondo il principale pilastro del libero commercio, vitale per difendere quell’attivo con l’estero che è una delle poche forze dell’Italia.

Oltretutto il confronto con il resto d’Europa ci conferma che i guai del nostro Paese sono prodotti soprattutto all’interno. Quando finalmente la ripresa sembra consolidarsi, da noi resta più debole. Il divario non è recente, era già comparso negli Anni 90, prima dell’euro. Più passa il tempo, più diventa duro sostenerlo.

Sul nostro 2017 pesa inoltre l’incertezza politica, come rileva la Commissione (che il «no» al referendum abbia avuto conseguenze a questo punto è difficile negarlo). Pesa - sull’afflusso di credito alle imprese - il cattivo stato delle banche italiane: i 20 miliardi che lo Stato vi investirà sono purtroppo necessari, ma senza un progetto per riassestarle rischiano di essere persi.

In qualsiasi momento si vada al voto, speriamo che i partiti sappiano andare oltre i fantasiosi scambi di accusa mediante «fake news», ovvero false notizie. Non è male che intanto la Francia si applichi a considerare i rischi tremendi di un’uscita dall’euro, di fronte ai quali le tre settimane di banche chiuse, contante razionato, divieto di portar soldi all’estero in Grecia nel 2015 parrebbero un’inezia.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/02/14/cultura/opinioni/editoriali/sui-conti-le-scorciatoie-sono-finte-ptwp6S8oHjkl8OILtaczeP/pagina.html
5552  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Pierangelo Sapegno. Il ragazzo nel Paese delle 75 mila leggi inserito:: Febbraio 14, 2017, 05:34:06 pm
Il ragazzo nel Paese delle 75 mila leggi

Pubblicato il 13/02/2017
Pierangelo Sapegno

Nel nostro incomprensibile Paese niente è più emblematico della storia dello studente di 17 anni dell’Itis Pininfarina di Moncalieri, punito perché vendeva i panini ai compagni di scuola nell’intervallo. Il preside prima l’ha sospeso per 15 giorni, poi gli ha dato 6 in condotta. 

I vigili adesso l’hanno pure multato: 5176 euro per aver violato le regole «con un’attività commerciale illegale». Il ragazzo ha detto di aver avuto l’idea guardando un abusivo che si faceva i suoi soldini fuori dall’istituto. Non sappiamo se l’abusivo sia stato multato. In compenso, quando la Fondazione Einaudi ha voluto premiare lo studente con una borsa di studio da 500 euro riconoscendone «la spiccata attitudine all’imprenditoria applicata», avendo lui cercato solo di vendere un prodotto più curato a prezzi più competitivi, i suoi compagni di scuola sono scesi in piazza per protestare: «Così si premia chi infrange le regole». E il preside Stefano Fava ha subito riconosciuto le loro ragioni: «Giusto. La scuola deve insegnare a rispettare le leggi. Questo è il nostro compito».

Già, ma quali leggi? Secondo la presidenza del Consiglio dei ministri, le leggi in Italia sarebbero in tutto 75 mila. Tanto per capirci, in Gran Bretagna sono 3000. In Germania, 5500. In Francia 7000. Winston Churchill sosteneva che «troppe leggi creano il non rispetto della legge». E Tacito avvertiva che solo un Paese molto corrotto ha bisogno di molte leggi, anticipando di qualche secolo l’incontrovertibile lettura storica della nostra società. Ma il vero problema è che questo guazzabuglio di norme e cavilli risponde troppe volte ai bisogni di un sistema retto sulle corporazioni e sui diritti delle lobbies. Ma non siamo passati solo dalla legge della giungla alla giungla delle leggi. La cosa più importante è che con l’eliminazione del medioevale diritto del più forte, da noi si è introdotto il diritto del più furbo. Perché se ha ragione il preside dell’Istituto di Moncalieri che «dobbiamo pensare anche alla salute dei ragazzi, e noi non sappiamo da dove provenissero quei panini, né se fossero mal conservati», il controsenso è che non è per questo che il ragazzo è stato punito - se fosse sempre così, non esisterebbero abusivi in Italia -, ma per il fatto molto più grave di aver infranto le regole, spezzando in questa maniera l’immobilità di un sistema, che si regge sugli intoccabili diritti acquisiti delle nostre corporazioni. Vale per tutti, dai tassisti ai farmacisti, dai giornalisti fino addirittura agli abusivi: guai a toccare qualsiasi interesse consacrato dalle abitudini superate dal tempo. E ha ragione Bruno Tinti, l’avvocato del ragazzo imprenditore, quando dice che «da noi Bill Gates sarebbe ancora nel suo garage».

Il fatto è che oltre alle 75 mila leggi vigenti, nel mare infinito di codici e codicilli, di norme e commi vari, alcune leggi che non sono scritte sono più precise di quelle scritte. Ecco cos’ha pagato il ragazzo dei panini, ecco qual è la sua colpa. Perché in questo strano Paese, a volte tutti noi riusciamo a diventare giudici incorruttibili. E nulla potrà indurci a fare giustizia. 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/02/13/cultura/opinioni/editoriali/il-ragazzo-nel-paese-delle-mila-leggi-bkGVeE7GNSJbK9acHLLbIK/pagina.html
5553  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. Patto con Franceschini, Renzi vince Congresso subito e voto ... inserito:: Febbraio 14, 2017, 05:32:35 pm

Patto con Franceschini, Renzi vince Congresso subito e voto dopo l’estate
Sfida in Direzione, passa la linea del segretario. L’accordo: niente elezioni a giugno
Un Matteo Renzi un po’ diverso dal solito, ieri alla direzione Pd: è riuscito ad ottenere ciò che più desiderava (Primarie entro due mesi), ma senza strappare in modo plateale con i suoi agguerriti avversari interni

Pubblicato il 14/02/2017
Fabio Martini
Roma

E alla fine dopo tanta attesa (mediatica), si è materializzato un Matteo Renzi un po’ diverso dal solito: l'ex premier è riuscito ad ottenere ciò che più desiderava (Primarie entro aprile), ma senza strappare in modo plateale con i suoi agguerriti avversari interni, per esempio evitando di stuzzicarli con nomignoli irrisori. Una piccola prova di stile che in realtà preannuncia un cruento duello dialettico sulla possibile scissione della minoranza. La Direzione del Pd era chiamata a decidere su due questioni: da una parte modalità e data del congresso del partito, dall’altra durata della legislatura e dunque del governo. Al termine di una riunione svolta in un clima teso ma senza cadute di stile da tutte le parti, Matteo Renzi è riuscito a far passare (con 107 voti a favore e 12 contrari) un documento che, attraverso vari passaggi vari statutari, apre la strada ad un congresso del Pd che culminerà nella sfida finale delle Primarie, quasi certamente il 30 aprile. Fa parte invece delle intese raggiunte dietro le quinte (col ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini), l’altra decisione strategica: quella di rinunciare all’ipotesi di elezioni anticipate a giugno. 

LEGGI ANCHE - Orlando: “Attento Matteo andando avanti così rischi l’incidente frontale” 

L’accordo dentro la maggioranza del Pd è che si andrà a votare comunque dopo l’estate: in autunno se sarà conveniente per il Pd o più probabilmente a scadenza naturale, nel febbraio del 2018. Renzi, come è naturale, ha tenuto coperto il patto con Franceschini e in direzione ha detto: «Se si voterà a giugno, a settembre o a febbraio non riguarda l’essenza del Pd». Ma quel che stava più a cuore a Renzi era riuscire a far partire l’iter per la convocazione di un congresso che, salvo colpi di scena, dovrebbe rieleggerlo leader del Pd per altri quattro anni, restituendogli il controllo pieno della “macchina del partito”. Ma proprio questo probabile ritorno di un Renzi con pieni poteri è destinato ad accelerare una decisione sulla permanenza del Pd da parte dei due personaggi che incarnano l’anima “post-comunista”, Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani. L’ex segretario, alla domanda se fosse probabile una scissione, ha risposto con un enigmatico: «Vedremo...». 

 LEGGI ANCHE - L’ultimo azzardo del leader 

Formalmente la decisione di convocare in tempi accelerati il congresso spetta a fine settimana all’Assemblea nazionale del Pd, davanti alla quale Matteo Renzi si presenterà dimissionario, altra questione pacifica sebbene si sia molto ricamato su questa opzione. Ma nella discussione dei prossimi giorni e mesi peserà molto il dibattito che si è svolto ieri nella direzione, che era stata convocata fuori sede. Matteo Renzi aveva aperto le danze, provando a volare alto: sia nella ribadita autocritica per il risultato negativo del 4 dicembre («parlano di rivincita ma il referendum era una finale secca e purtroppo l’ho persa») ma anche nell’impostare le sfide del partito: «Improvvisamente è scomparso il futuro dalla narrazione politica italiana, l’Italia sembra rannicchiata nella quotidianità». Più di maniera l’annuncio che «si chiude un ciclo alla guida del Pd», così come gli attacchi in codice a Massimo D’Alema, quando Renzi ha auspicato una Commissione d’inchiesta sulle banche: «Per mesi si è parlato solo di due o tre banchette toscane» e invece per il segretario del Pd più interessanti sono i casi delle banche pugliesi o di Antonveneta. Tutta in chiave congressuale la rivendicazione del consuntivo politico: «Ho preso un Pd che aveva il 25 per cento e nell’unica consultazione politica lo abbiamo portato al 40,8». 

LEGGI ANCHE - La direzione del Pd vota la linea di Renzi: “Congresso subito”. Scissione più vicina 

Ma ora per Renzi l’incognita sta nella capacità di tenere dentro il Pd l’ala “post-comunista”: perderla sarebbe uno smacco e per questo il segretario ha descritto in termini paradossali i recenti zig-zag della minoranza: «De Luca ha detto che siamo dei masochisti, io non posso essere sadico: va bene tutto ciò che serve per creare un clima per sentirsi a casa, ma quando si ha paura di confrontarsi con la propria gente, io credo che l’ennesimo passo indietro non sarebbe capito neanche dai nostri». Durante il dibattito si è candidato alla segreteria del Pd il governatore della Puglia Michele Emiliano, mentre quello della Toscana Enrico Rossi non ha ancora sciolto la “riserva”.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/02/14/italia/politica/patto-con-franceschini-renzi-vince-congresso-subito-e-voto-dopo-lestate-5ZAsCl0d08G3F0iEeM6iwJ/pagina.html
5554  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / ISemplici-Cittadini da FB - Dentro è peggio che fuori... inserito:: Febbraio 14, 2017, 05:30:31 pm
ISemplici Cittadini

Pubblicato da La Stampa · 5 minuti fa ·

Con qualunque legge elettorale in vigore, dopo le elezioni per governare sarà necessario fare coalizioni.
Se saranno intorno ad un Programma preciso e serio sarà un bene, se si faranno tanto per fare, si tornerà al "solito casino”.
Ho sempre pensato che la sinistraSinistra che ambisce al potere nel PD e non ci riesce, farebbe bene (a tutti) se uscisse e formasse un partito di sinistra radicale.
Avrebbe un 10% dei voti e sarebbe (se non altro) un oppositore onesto e visibile, oppure, meglio, un alleato in un Progetto di coalizione in cui potrà mettere del suo.

Da FB del 14/02/2017
5555  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Roberto D'Alimonte. Primarie Pd, una conta in due tempi. Ecco regole e variabili inserito:: Febbraio 14, 2017, 05:25:43 pm
DOPO LA DIREZIONE
Primarie Pd, una conta in due tempi. Ecco regole e variabili

Di Roberto D'Alimonte 14 febbraio 2017

Con la convocazione dell’assemblea nazionale e le dimissioni di Matteo Renzi si riapre la partita della leadership dentro il Pd. Una partita che si giocherà in due tempi, regolati da uno statuto complicato che pare non verrà cambiato, come qualcuno invece vorrebbe. La chiave saranno le primarie. Ma il primo tempo è dedicato alla scelta dei candidati che vi parteciperanno.

Questa è questione che riguarda esclusivamente gli iscritti del Pd. Chiunque raccolga il sostegno del 10% dell’attuale assemblea nazionale del partito o le firme di 1.500 iscritti potrà presentare la sua candidatura a segretario. Nelle prossime settimane si riuniranno i circoli del partito e gli iscritti voteranno. Tutti i candidati che avranno raccolto il 15% dei voti a livello nazionale saranno ammessi alle primarie. In ogni caso verranno ammessi tre candidati, a condizione che abbiano preso almeno il 5% dei voti. Per essere ancora più chiari: se due candidati raccogliessero singolarmente il 15% dei voti e il terzo più votato ne avesse il 5%, tutti e tre farebbero le primarie.

Pd, passa mozione Renzi. Assemblea sabato o domenica, poi Congresso
Se quattro candidati avessero raccolto ciascuno il 15% tutti e quattro sarebbero ammessi. Nel 2013, i candidati ammessi alle primarie furono tre: Renzi, Pippo Civati e Gianni Cuperlo. Renzi ottenne il 45%, Cuperlo il 39% e Civati il 9 per cento. Il voto nei circoli è il momento della conta. Ogni candidato avrà una o più liste che lo sosterranno. In teoria Renzi potrebbe presentarsi da solo, con una sua lista e basta. Il 15% dei voti degli iscritti è largamente alla sua portata. Ma non lo farà. La sua candidatura sarà sostenuta da più liste con l’obiettivo di essere lui il candidato più votato anche dentro il partito, come è già successo nel 2013. È in questo tempo della partita che le fazioni del Pd si conteranno. E così si saprà quanto effettivamente valgono tra gli iscritti i vari Andrea Orlando, Dario Franceschini, Maurizio Martina, Roberto Speranza, Enrico Rossi, Michele Emiliano ecc. Sarà una radiografia interessante.

Le mosse di Orlando, l’assemblea e il voto: i punti in sospeso della direzione
Il secondo tempo è rappresentato dalle primarie. Qui entrano in gioco gli elettori. Infatti, si tratta di primarie aperte cui possono partecipare tutti i cittadini italiani, i cittadini di paesi membri della Unione europea e residenti in Italia e i cittadini di altri paesi muniti di permesso di soggiorno. Basta dichiararsi sostenitori del Pd e versare una quota modesta a copertura delle spese organizzative. Con le primarie si eleggono il segretario e i mille membri dell’assemblea nazionale. La distribuzione dei seggi dell’assemblea viene fatta con sistema proporzionale sulla base di collegi plurinominali (4-9 seggi) sub-regionali. Una cosa importante di cui tener conto è che i seggi spettanti alle regioni sono parametrati non solo sulla popolazione, ma anche sui voti ottenuti dal partito nelle più recenti elezioni per la Camera dei deputati. Gli esiti possibili del voto sono due. Se uno dei candidati-segretario riesce a ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in assemblea con la sua lista o coalizione di liste è proclamato eletto senza passaggi ulteriori. Non è quindi una elezione diretta vera e propria.

Si badi bene: è la maggioranza dei seggi in assemblea che garantisce l’elezione e non i voti raccolti, anche se il sistema proporzionale con cui vengono eletti i delegati stabilisce un rapporto stretto tra voti e seggi. Nel 2013 in questa fase Renzi ottenne il 68% dei voti (e 657 delegati), Cuperlo il 18% (194), Civati il 14 % (149). Gli elettori furono circa 2,8 milioni. Se invece nessun candidato conquista la maggioranza assoluta si gioca un tempo supplementare. In questo caso la scelta del segretario viene fatta dalla assemblea attraverso un ballottaggio tra i due candidati più forti.

Bersani: «Se Renzi forza, finisce Pd e nasce nuovo Ulivo»
Questa assemblea non è più quella eletta con le primarie ma comprende, oltre i mille eletti con le primarie, 21 segretari regionali, trecento rappresentanti eletti nelle primarie regionali, cento rappresentanti eletti dai parlamentari nazionali ed europei del partito, 44 rappresentanti provenienti dalla circoscrizione estero e un numero variabile di rappresentanti delle candidature minori non ammesse alle primarie. Se non ci saranno modifiche regolamentari, si tratterà di una specie di convention all'americana, con delegati e superdelegati, dove riuscire a vincere il ballottaggio richiederà accordi trasversali e probabilmente costosi. Finora non è mai successo che un segretario del Pd sia stato eletto dalla assemblea. La partita si è sempre chiusa nei tempi regolari. Ma è chiaro che per fermare Renzi, i suoi avversari dovranno impedirgli di ottenere alle primarie la maggioranza assoluta dei seggi. In questo modo la sfida si sposterebbe dentro l’assemblea, su un terreno scivoloso per lui, e non si potrebbero escludere del tutto delle sorprese. Ma con o senza sorprese, un segretario eletto in assemblea non è la stessa cosa di un segretario scelto direttamente dai cittadini con le primarie. Renzi deve vincere il giorno delle primarie. Questa è la sua nuova sfida. E deve vincere portando a votare un numero importante di elettori. I sondaggi che circolano in questi giorni dicono che i probabili sfidanti di Renzi, e cioè Speranza, Emiliano e Rossi, non solo non sono competitivi singolarmente presi, ma non dovrebbero nemmeno riuscire a impedirgli di arrivare alla soglia del 50% alle primarie. Ma la partita è appena iniziata.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-02-14/primarie-dem-conta-due-tempi-072912.shtml?uuid=AEeDGMV

5556  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / BERSANI - Pd, Bersani: “La scissione è già avvenuta” inserito:: Febbraio 14, 2017, 05:23:40 pm
Pd, Bersani: “La scissione è già avvenuta”
«Da Renzi ho visto solo dita negli occhi»

Pubblicato il 14/02/2017
Ultima modifica il 14/02/2017 alle ore 16:42

«Qui non è questione di calendario» del congresso, «quella è una tecnica. Qui il problema è se siamo il Pd o il Pdr, il Partito di Renzi. Io da Renzi non mi aspetto nulla, ma chi ha buonsenso ce lo metta. Perché siamo a un bivio molto serio». Lo dice Pier Luigi Bersani, in transatlantico alla Camera all’indomani della direzione. «La scissione è già avvenuta tra la nostra gente. E io mi chiedo come possiamo recuperare quella gente lì. Ma ieri ho visto solo dita negli occhi», aggiunge. 

Bersani lancia un appello a «chi è vicino a Renzi»: «Noi, come ogni partito normale, ce l’abbiamo un canale per discutere a fondo ed eventualmente correggere la linea politica o no? Chi ha buonsenso ce lo metta perché la questione è seria», dice.

«Serve una riflessione politica. Da Renzi non me l’aspetto, dopo averlo sentito ieri, ma da quelli che stanno attorno a lui me l’aspetto», aggiunge. Per Bersani «il congresso si deve tenere a giugno». «Diamoci - dice - un percorso ordinario. Facciamo il Congresso nei tempi ordinari, da qui a giugno mettiamoci alle spalle la legge elettorale, facciamo le amministrative, poi prepariamo bene il Congresso», osserva.

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5557  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Giorgio Merlo Con la sinistra sociale torna la politica nel Pd? inserito:: Febbraio 13, 2017, 11:29:46 pm
Opinioni
Giorgio Merlo   - @giorgiomerlo
· 12 febbraio 2017

Con la sinistra sociale torna la politica nel Pd?
L’iniziativa organizzata sabato scorso a Roma da Gianni Cuperlo ha dato vita nel Pd ad un’area, la cosiddetta “sociale e culturale”, che può rappresentare un punto di svolta per l’intero partito

Uno dei tanti problemi che affliggono il Pd è come coltivare e praticare un autentico pluralismo politico e culturale al suo interno. O meglio, per dirlo con parole più comprensibili, come battere le cosiddette correnti di potere, o bande organizzate per essere ancora più precisi, con le correnti di pensiero. Un vecchio tema caro alla politica italiana. Del resto, anche nella prima repubblica già si parlava delle correnti di potere e di quelle di pensiero. Ma il degrado che attualmente caratterizza la politica italiana, soprattutto nei grandi partiti, è frutto anche della sostanziale assenza di ogni forma di confronto politico al suo interno. Un confronto che è sostituito solo da una sorda e spietata lotta per il potere dove le aggregazioni – o le tradizionali correnti – che si formano sono soltanto il prolungamento di potere di singoli esponenti e pure etichette inventate per la conquista del potere. Zero pensiero, per dirla con Mourinho.

Una sommatoria di tatticismi, di posizionamenti, di equilibri contingenti attenti prevalentemente, se non esclusivamente, alla ricerca e alla conquista di quote di potere. Di qui la progressiva scomparsa dell’elaborazione e della progettualità politica. E di qui, di conseguenza, il prevalere della cortigianeria, del servilismo, del gregariato e dell’esaltazione del “capo”. E’ persin scontato che, in un quadro del genere, la politica ne esce sconfitta e chi cerca di invertire la rotta viene bollato e visto quasi come un visionario se non come un personaggio che si rifugia nell’astrattismo o, nel migliore dei casi, nella sola testimonianza.

Ora, l’iniziativa organizzata sabato scorso a Roma da Gianni Cuperlo che ha dato vita nel Pd ad un’area, la cosiddetta “sociale e culturale”, può rappresentare un punto di svolta per l’intero partito. Un inizio politico che può introdurre, questo sì, una vera discontinuità. Ma non quelle discontinuità che vengono annunciate a giorni alterni e poi sono, di norma, nient’altro che il solito minestrone di potere già visto e sperimentato mille volte. E questo a prescindere dalle singole, e legittime, posizioni politiche all’interno del partito. Perché il vero problema, almeno per quanto riguarda il Pd che continua ad essere, piaccia o non piaccia, quasi l’unico partito che crede nel pluralismo politico e culturale al suo interno, è che quando decolla un vero confronto politico è l’intero partito ad uscirne vittorioso. E questo perché, quando prevale la politica e la sua progettualità, il tatticismo e la ricerca del mero potere sono destinati ad uscire di scena o comunque ad essere marginali. Sotto questo profilo il convegno di sabato scorso che si è tenuto al Nazareno è di buon auspicio. Non solo per la rinata “sinistra sociale e culturale” del Pd ma, si spera, per l’intero partito. E, per quel che conta, forse anche per la politica italiana.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/con-la-sinistra-sociale-torna-la-politica-nel-pd/
5558  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Stefano BORIONI Un Pd più moderno, una leadership legittimata inserito:: Febbraio 13, 2017, 11:27:30 pm
Opinioni
Stefano Borioni - @borionistef
· 13 febbraio 2017

Un Pd più moderno, una leadership legittimata
I nostalgici del Pci vogliono rimanere sempre lì

Durante le ultime amministrative, mentre con due amici distribuivo volantini elettorali, una sorridente signora di mezza età si è avvicinata alla nostra ottimista armata Brancaleone. Non intendeva sapere cosa avrei fatto per i cassonetti e non aveva neanche un nipote da sistemare, voleva solo farmi una domanda: “Visto che ti candidi vuoi dirmi che cos’è per te la politica”? Avrei potuto rispondere cento cose ma in quel momento dalla mia bocca è uscita la frase “fare la cosa giusta”.

Ora, tra le tante declinazioni pratiche di questa definizione ritengo così importante l’onestà – anche e soprattutto quella intellettuale – che le numerose polemiche legate al titolo di “Libero” sulla Raggi mi danno l’occasione per fare un paio di considerazioni. Si dice che i pesci rossi non soffrano le scarse dimensioni della boccia in cui vivono perché, tempo di fare un giro, hanno già dimenticato quanto visto pochi secondi prima. Non so se è vero per i pesci ma, se sono in buona fede, di certo è un concetto che si applica perfettamente a molti elettori del Movimento 5 Stelle.

Capiamoci, la copertina del quotidiano di Feltri è sgradevole ma questa reazione da educande presuppone, da parte dei tanti dirigenti e militanti inorriditi, la rimozione di un aspetto da sempre basilare nella politica del Movimento 5 Stelle: l’offesa e la violenza verbale più becera.

Era d’altronde Grillo o un suo sosia che aizzava la peggiore rete chiedendo alla folla inferocita “cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina?”. Le risposte hanno prodotto un letamaio di sessismo, ma evidentemente in quei giorni gli adepti M5S avevano lo sdegno su “Off”. Probabilmente la stessa cosa era successa qualche anno prima quando Beppe definiva la senatrice a vita Montalcini, orgoglio nazionale e premio Nobel per la medicina, una “vecchia troia” (con gaudio ante litteram, immagino, per i tanti anti-vaccinisti che oggi organizzano manifestazioni oscurantiste e medievali). Potrei citare i tanti, tantissimi, attacchi a Maria Elena Boschi, le irrepetibili offese del pentastellato De Rosa ad Alessandra Moretti, quelle della Guzzanti a Mara Carfagna o ai tweet orrendamente omofobi all’indirizzo di Vendola (retwittati ovviamente dallo stesso Grillo).

Ma questi sono loro, parliamo di noi. In un Paese in cui violenza e dileggio on-line mietono quotidianamente vittime e chi ha il coraggio di raccontare la sua storia in tv viene pubblicamente attaccata perché indossa un vestito scollato (vista l’aria quando lo facciamo un bel dibattito sul ridimensionamento del diritto di voto alle donne o sull’abolizione del divorzio?) il Pd – così preso dal quotidiano attacco a Matteo Renzi – non ci pensa neanche a ricordare compatto che proprio al suo Governo dobbiamo una misura specifica per la prevenzione ed il contrasto del cyberbullismo.

Quando Crozza – durante una temeraria esibizione a distanza, dopo il concerto di fischi presa durante l’ultimo Festival di Sanremo a cui ha partecipato – non trova niente di meglio da fare che chiedersi quale sia il lascito del Governo, mi verrebbe da organizzare una colletta su change.org per proiettare sul suo palazzo la splendida risposta di Ivan Scalfarotto.

Forse prenderebbe atto di come la recente legge sulle unioni civili abbia consentito a questo Paese di fare quel balzo in avanti che aspettavamo da decenni. Si tratta di considerazioni così banali che vorrei saperle radicate e manifeste non solo per me ma per tutto il Pd in cui milito da anni.

Purtroppo però, come so di non essere il solo a fare queste riflessioni, so anche che trasformare questo partito in qualcosa di moderno (nel 2017 posso prenotare con internet un viaggio per New York, ma non tesserarmi al Pd), unito e partecipato non è un fine così universalmente condiviso.

Ci vuole un Congresso per definire democraticamente la leadership interna, va bene, ma a parte i deliri dissociativi a proposito di carte bollate e golpe, vorrei ricordarvi che il Segretario che ogni giorno trivellate di fuoco amico non è stato imposto con un putsch armato.

Nonostante infatti rappresenti la maggioranza del Pd (67,55%), proprio voi che nel Pci facevate del centralismo democratico il vostro faro, oggi – guarda caso – proponete un approccio molto più morbido.

Alle ultime elezioni non sono stato eletto mentre voi siete in Parlamento da prima che nascessi, sbaglierò ma un collegamento a quel famoso “fare la cosa giusta” io ce lo vedo, magari lo stesso principio che radica voi al potere, allontana gli elettori dal partito e noi dal Pd che vogliamo.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/un-pd-piu-moderno-una-leadership-legittimata/
5559  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Giuseppe Alberto FALCI. Pd, Renzi: si chiude un ciclo, sì al congresso prima ... inserito:: Febbraio 13, 2017, 11:23:36 pm
Pd, Renzi: si chiude un ciclo, sì al congresso prima del voto
«Chi perde dia una mano, non scappi con pallone»


Pubblicato il 13/02/2017
Ultima modifica il 13/02/2017 alle ore 21:56

Giuseppe Alberto Falci
Roma

La relazione del segretario Matteo Renzi supera la prova della direzione nazionale del Pd con 107 voti favorevoli. L’ex premier chiude «un ciclo» - iniziato il 15 dicembre del 2013 quando, ricorda, «presi il partito al 25%» e che nell’unica consultazione nazionale, le elezioni europee del maggio del 2014, il suo Pd ha superato il 40%. Al centro congressuale di via Alibert, a pochi metri dai palazzi della politica, si consuma il primo tempo fra le anime del Pd. Con un discorso di circa un’ora Matteo Renzi annuncia l’apertura della fase congressuale, condanna chi in queste settimana ha promosso «caminetti e riunioni di corrente», chiaro riferimento ai sommovimenti di Dario Franceschini e Andrea Orlando. E mostra poi lealtà a Paolo Gentiloni: «Non sono io a decidere la durata del governo, sarà una valutazione che dovrà essere fatta da chi ricopre ruoli istituzionali».  
 
Renzi: “Si chiude un ciclo”
La relazione che mette sul tavolo Renzi parte da lontano. In particolare l’ex premier si sofferma su quello che sarebbe successo dopo il 4 dicembre, ovvero all’indomani della sconfitta referendaria: «Ho già ammesso i miei errori, ma da quel giorno le lancette della politica sono tornate indietro». Il Parlamento, è l’accusa dell’ex sindaco di Firenze, «non è nemmeno riuscito ad eleggere il presidente della commissione affari costituzionali del Senato». Deputati e senatori in sala si guardano sbalorditi. Qualcuno della minoranza si lascia scappare: «Pensasse ai suoi di errori». Di certo c’è che da oggi inizia una nuova fase del renzismo. L’ex premier lo dice senza mezzi termini: «Io non dico `vattene´ dico `venite´. Discutiamo, vediamo chi ha più popolo con sé. Aiutateci a cambiare, portateci le vostre idee. Lo dico anche a chi sta fuori. Siamo una forza tranquilla, vi aspettiamo nel confronto democratico non nella battaglia del fango». Quelli che evocano la scissione sono avvisati: «Chi perde non deve scappare portandosi via il pallone». Ma in sala i mugugni e le facce storte hanno la meglio sugli applausi, la relazione del segretario almeno sottotraccia non trova riscontro. Pier Luigi Bersani, ex segretario e leader di un drappello di parlamentari, blinda l’esecutivo Gentiloni: «La prima cosa che dobbiamo dire al mondo è quando si vota. Non mi si dica Matteo che è roba da addetti ai lavori. Non mi si dica giugno, settembre... ma guarda che mettiamo l’Italia nei guai. Diciamo agli italiani che garantiremo la conclusione della legislatura. Non possiamo parlare come la sibilla lasciando sul governo la spada di Damocle che un giorno (il premier, dr) si dimette in streaming».

Bersani: “Pd garantisca voto 2018, guai se lasciamo dubbi”
La minoranza interna propone di votare un documento che chiede tempi lunghi per il dibattito e il voto per la leadership, non prima del 2017, ribadendo di «sostenere il governo fino al 2018». Ma il documento non viene messo ai voti dalla maggioranza renziana. E scatena l’ira di Miguel Gotor: «Non fanno votare un ordine del giorno che prevede di ribadire la fiducia della direzione al governo Gentiloni». Quando inizierà il congresso Michele Emiliano sarà della partita. Il governatore della Puglia interviene attorno alle 18. In camicia bianca e giacca - qualcuno lo irride sussurrando che «Michele si veste come i renziani» - Emiliano striglia l’ex premier: «Non so come si fa a fare il congresso senza sapere qual è la legge elettorale. Escludo che si possa farlo ad aprile, senza conoscere la legge elettorale, che roba è? È una di quelle cose che fa rischiare la scissione».  

L’ex sindaco di Bari evoca il congresso fra settembre e ottobre e il ritorno alle urne a scadenza naturale della legislatura. Ma l’intervento che lascia il segno, perché registra un cambio di sentiment nella galassia renziana, è quello di Andrea Orlando. Il ministro della Giustizia replica a Renzi: «I caminetti sono iniziati perché manca una proposta politica. Le cose che hai detto oggi ci avrebbero aiutato se le avessi dette all’assemblea». Orlando non condivide la linea del segretario anche perché, spiega, «le regole del nostro congresso sono state pensate per un sistema maggioritario per legittimare il leader. Il rischio che vedo è che il Pd diventi l’epicentro dell’instabilità del sistema politica. Le primarie finiranno così per essere una sagra dell’antipolitica, il tutto consumato dentro la campagna elettorale delle amministrative».  

Poi l’ex diessino invoca una «conferenza programmatica» prima dell’apertura del congresso. Ma il vero segnale da parte di Orlando arriva quando i membri della direzione sono chiamati a votare. Il ministro non partecipa al voto, segno che qualcosa all’interno degli equilibri del Nazareno stia cambiando. Presente anche Dario Franceschini. Il leader degli ex Dc dentro il Pd non interviene. Resta silente. Salvo poi cinguettare: «Quando in un partito ci sono linee diverse, la strada giusta è un Congresso. E un confronto vero può essere anzi il modo per evitare scissioni». Per sabato e domenica prossima è convocata l’assemblea nazionale. E lì si scopriranno tempi e modi del congresso.  

Bersani: “Non facciamo cose cotte e mangiate”

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5560  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Carlo BERTINI. inserito:: Febbraio 13, 2017, 01:02:19 pm
Rinviata la riunione del gruppo Pd: la rabbia dei parlamentari snobbati

Pubblicato il 07/02/2017 - Ultima modifica il 07/02/2017 alle ore 21:47

Carlo Bertini
ROMA

Il malumore tra i deputati Pd, anche renziani, per il rinvio della riunione del gruppo prevista domani sera per discutere di legge elettorale è palpabile e diffuso, «perché una cosa è sapere che Renzi non sarebbe venuto a confrontarsi con noi, altra cosa è che la riunione viene rinviata». Un malumore smorzato da un caveat usato apposta per prevenire la rivolta: l’invito a partecipare in massa alla riunione della Direzione di lunedì prossimo. Ma la voce che si sparge come un fulmine dopo pranzo che l’assemblea slitterà fa sollevare più di un sopracciglio. Il capogruppo Ettore Rosato invia questo sms ai suoi 300 colleghi: «Considerato lo slittamento in commissione e per garantire una discussione che tenga conto delle motivazioni della sentenza della Consulta e del dibattito nel partito sulla legge elettorale (Direzione allargata ai parlamentari del 13 febbraio), l’Assemblea del gruppo è rinviata a mercoledì 15 al termine dei lavori d’aula». Nell’area politica vicina al segretario Renzi, alcuni sono preoccupati del fatto che questa decisione venga letta come un’altro sgarbo al gruppo parlamentare, già ferito dalla vicenda del tweet renziano sui vitalizi. Non fa piacere a peones e graduati sapere che il leader non verrà a confrontarsi con nessuno degli eletti, demandando tutto alla più solenne riunione della Direzione dove l’oggetto del contendere sarà più largo. Ma a dare voce ai maldipancia sono anche i parlamentari della minoranza vicina a Renzi, quella della corrente del ministro Martina. «Sarebbe stata una riunione calda, dove sarebbe venuto fuori un vaso di Pandora e quindi l’hanno rinviata», nota il presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano, sostenendo che la questione delle motivazioni della Consulta è la spiegazione «ufficiale», mentre quella vera è che si sarebbe aperta una discussione difficile da gestire per il segretario, visto l’alto grado di tensione nel Pd. Del resto già ieri sera, quando la voce di uno slittamento della riunione era cominciata a circolare alla Camera, un’altra parlamentare vicina al segretario, la responsabile Scuola Simona Malpezzi, prevedeva che sarebbe emerso un diffuso malcontento. E così è puntualmente stato. Anche se tutte le perplessità dei suoi colleghi nel pomeriggio sono rimaste sotto traccia, per non far esplodere altre polemiche.

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5561  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / FRANCESCA SCHIANCHI. Bersani: “Un verdiniano alla Commissione sulle banche? ... inserito:: Febbraio 13, 2017, 01:00:42 pm
Bersani: “Un verdiniano alla Commissione sulle banche? Siamo al dadaismo puro”
Anche Sel e M5S contro l’ipotesi della presidenza a Enrico Zanetti
Pubblicato il 07/02/2017 - Ultima modifica il 07/02/2017 alle ore 21:56

Francesca Schianchi
Roma

«Siamo al dadaismo puro». Ride l’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani, a chiedergli della richiesta che Denis Verdini ha avanzato ai democratici: la presidenza della Commissione d’inchiesta sulle banche. Non per se stesso, ma per l’ex viceministro dell’Economia del governo Renzi, Enrico Zanetti. Ma il fatto che Verdini, coinvolto in un processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino, possa interessarsi a una Commissione che dovrà occuparsi – se mai riuscirà a nascere – di indagare su guai e difficoltà del sistema creditizio, fa sorridere amaro molti in Parlamento. Nella minoranza Pd e non solo.

In tarda mattinata, nella sala lettura di Montecitorio, Zanetti studia una serie di emendamenti dietro al portatile acceso. «Io presidente? Non ne parlo finché non vedo costituire la Commissione – sbotta – sono stato il primo un anno fa a dire che è fondamentale crearla, lo dissi anche a Renzi: per noi che siamo sulla scena politica nazionale dal 2013, è importante dimostrare che, se problemi nelle banche ci sono stati, è perché raccogliamo il cerino di scelte fatte da altri. Ma quando lo dicevo, al Ministero dell’economia non erano entusiasti… Ora, capisco che forze politiche che non hanno fatto della responsabilità il proprio marchio di fabbrica potrebbero usarla come palcoscenico della campagna elettorale, ma davvero è necessario istituirla». La sua disponibilità a presiederla, raccontano compagni di gruppo parlamentare, c’è. Ma non gli piace essere derubricato a «verdiniano», come fa il capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta quando mette in chiaro che «Monte dei Paschi vuol dire Pci-Pds-Ds-Pd e quindi, semmai si varerà, natura democratica vorrebbe che la presidenza andasse a un esponente dell’opposizione». «Zanetti è segretario di Scelta civica e non fa parte della maggioranza», interviene subito il collega Rabino a tenere viva la candidatura.

Il fatto però che l’ex viceministro condivida il gruppo parlamentare con Verdini e i suoi è quello su cui si concentrano tutti. «Se fossi in Zanetti non sarei molto soddisfatto di avere la sponsorizzazione di Verdini», sospira il senatore della minoranza Pd Federico Fornaro, «e penso che se Verdini della Commissione sulle banche non se ne occupasse sarebbero più contenti anche i suoi avvocati…». Dal M5S sono i senatori Alberto Airola e Laura Bottici a schierarsi contro l’ipotesi Zanetti, «ideale testa di ponte per garantire al governo Gentiloni i voti sempre più necessari di Ala: la commissione d’inchiesta sulle banche è troppo importante per essere merce di scambio di un Governo traballante. Affidarla ad un uomo di Denis Verdini sarebbe vergognoso. Vigileremo perché non accada». 

Da Sinistra italiana è Nicola Fratoianni a intervenire sul filo dell’ironia: «Cari amici del Pd, vabbé che Verdini di banche e bancarotte se ne intende, però è davvero troppo affidargli la presidenza della Commissione d’inchiesta parlamentare». Interpretando le stesse perplessità di molti nel Pd, che ne discutono in qualche capannello del Transatlantico tra occhi al cielo e risatine imbarazzate. O lo dicono chiaramente, come fa il bersaniano Miguel Gotor: «A sentire i verdiniani che rivendicano la presidenza della Commissione, non so più se ridere o piangere». 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/02/07/italia/politica/bersani-un-verdiniano-alla-commissione-sulle-banche-siamo-al-dadaismo-puro-LoAxcsJaBC7bPy4uAAuvHP/pagina.html
5562  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / UGO MAGRI Votare con lo spread: un rischio che neanche Renzi può permettersi inserito:: Febbraio 13, 2017, 12:59:05 pm

Votare con lo spread: un rischio che neanche Renzi può permettersi
La nevrosi dei mercati finanziari sta toccando lo zenit, e pensare di andare al voto in questa congiuntura rischia di rivelarsi molto pericoloso
Spread Btp a 200 punti, è la prima volta da febbraio 2014

Pubblicato il 07/02/2017 - Ultima modifica il 07/02/2017 alle ore 16:11

Ugo Magri

La narrazione politica renziana suggerisce il seguente scambio: va bene anche una legge elettorale con l’aborrito premio di coalizione, a patto però che si voti in giugno. Niente voto? Allora niente coalizione... Non è l’unico «do ut des» che viene suggerito in queste ore. Altri riguardano primarie e congresso Pd, in base a calcoli di convenienza che ai comuni mortali sfuggono e, probabilmente, nemmeno interessano. Sullo sfondo, tuttavia, c’è sempre l’ipotesi di rinviare al 2018 la resa dei conti elettorali che a parole si voleva presto, anzi prestissimo, praticamente subito ma adesso verrebbe posticipata per effetto appunto di qualche patteggiamento.

La verità è più banale e prosaica: semplicemente si sta prendendo atto che votare in queste condizioni non è possibile. Per una somma di motivi solo in parte legati al cosiddetto teatrino politico. Il primo, e più noto, dipende dalla legge elettorale. Entro venerdì la Consulta farà sapere se (e fino a che punto) il Parlamento dovrà correggere i sistemi di Camera e Senato, in modo da renderli un filo più omogenei. Sul modo concreto di intervenire, le opinioni divergono; si registra invece una convergenza di opinioni sulla tempistica: che tutti giudicano molto stretta per votare entro giugno, come vorrebbe Matteo. Basta un minimo intoppo, e se ne riparla dopo l’estate. Ma non finisce lì.

Per effetto delle elezioni che si terranno in Francia il 23 aprile, con il ballottaggio finale il 7 maggio, la nevrosi dei mercati finanziari sta toccando lo zenit. E’ la conseguenza ovvia della dissoluzione europea che sarebbe assai probabile qualora dovesse vincere Marine Le Pen (ha promesso di lasciare Nato e Ue). Già ora lo spread viaggia sui 200 punti percentuali, possibilmente destinati a salire. La ricaduta italiana è che, per votare a giugno, il governo Gentiloni dovrebbe dimettersi proprio nei giorni più caldi della campagna elettorale francese. E Sergio Mattarella dovrebbe sciogliere le Camere in un quadro politico confuso, senza la certezza che dalle urne verrà fuori una maggioranza, anzi con l’alta probabilità di ricominciare con i governi tecnici, balneari o del Presidente. Quanto basterebbe, cioè, per scatenare contro di noi l’ira dei mercati e la forza della speculazione.

Davanti alla prospettiva di un salto nel buio, è possibile che lo stesso Renzi ci stia riflettendo. E che le negoziazioni politiche di queste ore siano un modo per mascherare il gap sempre più incolmabile tra i desideri e la dura realtà. 

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5563  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Achille OCCHETTO È l’ora dell’unità politica dell’Europa Le forze di sinistra... inserito:: Febbraio 13, 2017, 12:53:01 pm
   Opinioni
Achille OCCHETTO   
· 10 febbraio 2017

È l’ora dell’unità politica dell’Europa. Le forze di sinistra ripartano da qui

C’è bisogno di un nuovo riformismo sovranazionale che si contrapponga all’«America first» di Trump, ponendo al centro l’umanità tutta. Nessuna nazione può affrontare da sola le grandi sfide globali, ma l’architettura dell’Ue va ripensata

Il 27 marzo si celebreranno in Campidoglio i 50 anni dei Trattati di Roma. Sarà per l’Europa un importante momento di riflessione sulla sua crisi nel contesto di una più generale visione del mondo e della politica. Dovrebbe essere, a mio avviso, una buona occasione per prendere le mosse dalla consapevolezza che ci troviamo dinnanzi ad un tornante di proporzioni incalcolabili nella storia del mondo e dell’Europa, che avrà un indubbio riflesso planetario.

In realtà la politica europea –e il centro sinistra, in Italia – sembrano essere del tutto impreparati all’immane scontro contro le tendenze centrifughe e disgregatrici che si stanno parando davanti a noi. Per avere qualche possibilità di successo, nello sforzo volto ad arginare lo tsunami nazionalista, occorrerebbero, a mio parere, due condizioni preliminari. La prima è quella di non presentarsi come i difensori acritici delle attuali istituzioni politico-finanziarie internazionali; la seconda è quella di prendere decisamente nelle proprie mani la critica alla perversa globalizzazione delle politiche neoliberiste e di austerità. Se non si strappa dalle mani dei movimenti nazionalisti questa critica, la partita è persa.

C’è bisogno di un nuovo riformismo sovranazionale – oserei dire cosmopolita –che si contrapponga all’America first di Trump o alla Francia, alla Germania, al Veneto first, ponendo al centro l’umanità tutta. L’Umanità First. Non si tratta solo dell’antico ideale internazionalista. Si tratta di una emergenza politica concretissima. Non esiste oggi nessun tema di politica nazionale che non sia condizionato dalle nuove sfide globali. Che sono fondamentalmente tre: la spaventosa voragine della diseguaglianza planetaria, foriera di immigrazioni bibliche e di guerre; la terrificante crescita demografica, e il cambiamento climatico. Non c’è nessuna nazione che possa isolatamente affrontare uno solo di questi temi.

Da questa inconfutabile considerazione derivano due conseguenze. La prima è che tali sfide possono essere affrontate solo a livello planetario, attraverso l’intervento solidale e coordinato di tutto il pianeta; la seconda, è che va radicalmente superata l’angusta visione della competizione liberista dentro i vecchi steccati dello Stato nazione. La parola competizione va sostituita con la parola cooperazione. In questo contesto, da parte loro, la sinistra e il centro sinistra dovrebbero acquisire la forza ideale e politica di cambiare il terreno dello scontro, anche attraverso una nuova predicazione di massa, come avvenne agli albori del movimento socialista. Questa ispirazione generale ha oggi il suo immediato banco di prova nella visione che ciascuna forza politica ha dell’Europa.

Questa è la posta in gioco nelle prossime celebrazioni dei Trattati di Roma. Oltre ai balli, ai fuochi di artificio, ai banchetti e alle cerimonie saranno necessarie anche le idee. Per ora se ne vedono poche e limitate. È inutile girarci attorno: l’alternativa che sta dinnanzi a noi è tra uscire dall’Europa o riformarla . L’unica via che non si può seguire è quella di lasciare le cose come stanno, sia pure attraverso palliativi o mezze misure che lasciano il tempo che trovano.

E ciò avviene se ci si ostina a non guardare in faccia alla realtà, a nascondere la causa fondamentale di tutti i nostri mali, a non confessare apertamente che la risposta dell’Europa alla crisi iniziata nel 2008 è stata una risposta sbagliata, e, in molti casi, catastrofica. Tutte le misure neo-liberiste hanno ampiamente fallito l’intento di rilanciare la crescita e l’occupazione, aprendo così una lunga fase di stagnazione.

L’aumento della disoccupazione e la crescita dell’indigenza, accompagnate dalla contrazione della spesa pubblica, hanno reso il quadro ancora più fosco. Il crescente rischio di povertà ha minato i fondamenti stessi della giustizia sociale. In questo contesto sarebbe davvero da incoscienti non vedere come l’ondata nazionalista o, più semplicemente, euroscettica, che sta investendo il vecchio continente, sia alimentata proprio da tale fallimento. Mi sembra che manchi ancora la consapevolezza che, come è già avvenuto in altri momenti tragici della storia europea, o si procede in avanti, attraverso un rafforzamento della partecipazione democratica e delle riforme strutturali, oppure si soccombe sotto la valanga di critiche giustificate, che tuttavia prendono una direzione a prospettive catastrofiche.

I movimenti euroscettici ravvisano, come ha fatto da ultima la Le Pen, in un deficit di sovranità economica, finanziaria e politica il male del momento. In questo hanno ragione. Ma su cosa hanno torto? Hanno torto nel ricollocare la sovranità nell’ambito delle vetuste frontiere nazionali. Il vero problema è quello di chiedersi: dove sta la sovranità? Nel passaggio dal livello nazionale a quello sovranazionale sembra essersi volatilizzata. È diventata un oggetto misterioso. Questo è il motivo principale della crisi strutturale della democrazia su scala mondiale.

Ma se le cose stanno così, il vero problema non è quello di ricollocare la sovranità esclusivamente dove stava prima, ma è quello di darle una nuova dimora sovranazionale, rispettosa di tutte le diversità e forme coordinate di partecipazione e controllo nazionale e lo cale. Lo sappiamo: il peccato originale dell’euro è stato quello di deprivare gli Stati membri della loro autonomia fiscale senza trasferire il loro potere di spesa ad una autorità più alta. I fatti hanno ampiamente dimostrato che non si può avere una moneta senza uno stato. Un nuovo riformismo transnazionale non può esimersi dal porre, in avanti, tale tema, se non si vuole essere travolti dalle risposte retrive agli attuali limiti di tutta l’architettura istituzionale europea.

Tutto ci dice che la costruzione dell’unione fiscale non può prescindere dalla costruzione dell’unità politica. Infatti è contraddittorio mantenere una unione monetaria, con una politica monetaria centralizzata, in mancanza di una comune politica finanziaria ed economica capace di raddrizzare gli sbilanciamenti macroeconomici tra i diversi paesi membri. Non solo è contraddittorio, ma rischia di far rientrare dalla finestra i confitti e i contrapposti interessi nazionali fatti uscire dalla porta.

Per questo una effettiva unione fiscale richiederebbe una capacità impositiva a livello dell’unione monetaria che garantisca un graduale trasferimento di risorse dai paesi più ricchi a quelli più poveri, una autorità federale capace di un impegno concordato sul “deficit spending”, accompagnato da un decisivo trasferimento di legittimità e partecipazione democratica dal livello nazionale a quello sovranazionale. Dobbiamo farcene una ragione: nulla potrà essere salvato dell’attuale architettura europea se non si imbocca con decisione la strada del superamento delle politiche di austerità. Questo vorrei sentirmi dire, prima ancora di sentir parlare di astratti schemi di gioco.

Eminenti economisti come Stiglitz, Jean-Paul Fitoussi, Peter Bofinger, Stephany GriffithJones e molti altri, hanno da tempo dimostrato, con i loro circostanziati studi, che le devastanti politiche di austerità ben lungi dal capovolgere il corso della crisi hanno peggiorato la situazione. Sono in molti, tra loro, a invocare un approccio orientato alla crescita sia sul terreno delle politiche fiscali, degli investimenti sociali e delle infrastrutture, sia nella ristrutturazione del debito. Ma si tratta di invocazioni in gran parte inascoltate.

Un effettivo rilancio degli investimenti pubblici e privati richiede una visione unitaria, di portata federale, del rilancio dell’economia che determini un circolo virtuoso tra i necessari stimoli fiscali, il sostegno della domanda e l’alleviamento dell’eccessivo peso del debito, attraverso attente valutazioni sulla sostenibilità del debito stesso. Tutto il contrario dell’atteggia – mento assunto verso la Grecia o verso l’immigrazione in Italia. Se non si considera, come è avvenuto in alcuni casi negli Usa, che le difficoltà di uno Stato membro sono un problema di tutta l’Unione, non avremo mai una autentica Europa politica. Dinnanzi allo spettro nazionalista e reazionario che sta investendo il nostro continente sarebbe un errore fatale chiudersi nella mera difesa delle attuali istituzioni politiche. Altrettanto insufficiente sarebbe nascondersi dietro alcuni palliativi. La stessa ipotesi di una Europa a due velocità non dice nulla di preciso se prima di decidere la velocità non si chiarisce la direzione verso la quale si intende muoversi. Solo quando sarà chiaro verso quale Europa ci si muove ciascuno Stato potrà decidere con quale velocità è in grado di correre verso l’identico obbiettivo. Il punto di partenza dovrebbe essere la ridefinizione dell’insieme dell’architettura europea.

La risposta alla crisi non è meno Europa ma più Europa, non è meno democrazia ma più democrazia. La prospettiva, indicata dai padri fondatori, che andava nella direzione degli Stati Uniti d’Europa, potrà diventare realtà viva solo se ci si muove contemporaneamente sia nella direzione di una democratica federazione di cittadini che abbia il suo fulcro nel rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo e l’elezione diretta del presidente della Commissione europea e sia muovendo oltre il paradigma neoliberale che ha sottoposto la politica alle decisioni, democraticamente incontrollate, del potere finanziario. Non ci sarà riforma istituzionale capace di superare l’attuale gap tra società civile e istituzioni europee se non si ridà alla politica il posto di comando.

Il rafforzamento delle decisioni democratiche va di pari passo con la riduzione del potere delle istituzioni finanziarie e tecnocratiche per muovere decisamente contro le politiche macroeconomiche fondate sull’austerità. L’Europa dovrebbe essere guidata dall’orgoglio di diventare un banco di prova per passare dalla globalizzazione della finanza alla globalizzazione democratica, per superare l’attuale mancanza di governo democratico dei processi, per affrontare più agevolmente le sfide globali che stanno dinnanzi al pianeta.

È, a mio avviso, molto preoccupante vedere come la critica alla globalizzazione da parte di forze conservatrici venga subita passivamente dai mass media e da una parte dello stesso pensiero di sinistra. Si è perso il gusto della battaglia delle idee. Si è smarrita la nozione gramsciana della lotta per l’egemonia culturale, resa oggi quanto mai necessaria per sottrarre grandi masse, mosse da giusti motivi di protesta, alla guida di forze retrive. Ciò richiederebbe una più decisiva battaglia culturale nei confronti delle generiche denunce contro la globalizzazione, volte a far girare all’indietro la ruota della storia.

La crisi della globalizzazione finanziaria è la crisi del paradigma neoliberista: l’indifferenziata critica alla globalizzazione in generale è una forma mistificata di apologia dell’attuale modello di sviluppo. Se il riformismo transnazionale non prende, invece di giocare di rimessa, decisamente in mano la critica all’attuale Europa, nessuno potrà arginare l’ondata populista e nazionalista in corso. Molte denunce che vengono da quella parte sono giuste; sono le risposte ad essere sbagliate. Cerchiamo tutti assieme, tutte le sinistre che attualmente si stanno azzannando sul nulla, le risposte giuste.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/e-lora-dellunita-politica-delleuropa-le-forze-di-sinistra-ripartano-da-qui/
5564  Forum Pubblico / MOVIMENTO 5STELLE: Valori e Disvalori / Attacco alla stampa: Di Maio contro i cronisti del caso nomine, ma su Marra e... inserito:: Febbraio 13, 2017, 12:51:01 pm

Attacco alla stampa: Di Maio contro i cronisti del caso nomine, ma su Marra e polizze non dà risposte
La denuncia del vicepresidente della Camera all'Ordine dei giornalisti: "Ricostruzioni indegne, gettano discredito sul M5S". Ma restano i dubbi sul suo ruolo nella vicenda del Campidoglio

Di CARLO BONINI
08 febbraio 2017

AVVENTURANDOSI su un terreno a lui non congeniale, i fatti, se non addirittura ostile, non fosse altro per il deficit di memoria che lo affligge ogni qual volta è chiamato a ricostruire circostanze e rispondere a domande che interpellano la sindaca Virginia Raggi e il suo fu "cerchio magico" (Raffaele Marra, Salvatore Romeo, Daniele Frongia), Luigi Di Maio accusa di mistificazione chi ha firmato le cronache di Repubblica sulla vicenda e ne chiede l'esemplare punizione disciplinare all'Ordine dei Giornalisti sulla base di quattro capi di incolpazione.

Repubblica avrebbe scientemente omesso:
1) Che la Raggi non ha preso un soldo nella storia delle polizze sulla vita che Salvatore Romeo le aveva intestato "a sua insaputa".
2) La precisazione della Procura secondo cui nella vicenda delle polizze non si ipotizza alcun reato.

E ancora: Repubblica avrebbe falsamente dato conto:
3) Che le polizze assicurative, accese con fondi di origine non chiara, fossero una possibile contropartita per sigillare un patto politico.
4) Di illazioni diffamatorie relative a un incontro di Raffaele Marra e Luigi Di Maio che accredita il vicepresidente della Camera quale "garante politico" dell'allora vicecapo di gabinetto oggi detenuto a Regina Coeli per corruzione.

L'EDITORIALE -  Calabresi: I nuovi potenti e l'informazione
Le prime due circostanze sono semplicemente non vere. Per il semplice motivo che Repubblica non ha mai né affermato, né lasciato intendere che Virginia Raggi abbia "preso soldi". Né ha omesso di riferire, quando ne ha avuto contezza, che l'origine del denaro utilizzato per accendere le polizze fosse stata accertata come lecita.

I nostri articoli 'sotto accusa' Segreti e ricatti / Cade pedina

La terza circostanza merita qualche fatto e argomento in più e si tira dietro qualche domanda a cui - Repubblica ne è certa - Di Maio vorrà rispondere pubblicamente con la stessa solenne enfasi e dovizia di particolari spesi per la sua denuncia. Che la vicenda delle polizze - come abbiamo raccontato - fosse e resti tutt'ora circostanza di interesse "penale" nell'inchiesta per abuso a carico di Virginia Raggi e che avesse, quando è emersa, due sole plausibili spiegazioni (fosse cioè l'evidenza di un "rapporto privatissimo" ma dalla ricaduta e dai costi pubblici tra la Raggi e Romeo o, al contrario, di una traccia che portava a una costituency elettorale della sindaca non dichiarata) è dimostrata da due circostanze. La prima: le polizze sono state oggetto di una contestazione alla sindaca durante il suo interrogatorio di giovedì scorso. La seconda: sono oggetto della nuova contestazione di abuso di ufficio a carico di Salvatore Romeo e della stessa Raggi perché resta da capire se possano essere state o meno il presupposto della nomina dello stesso Romeo a capo della segreteria della sindaca.

La vicenda pone dunque ancora delle domande alla cui risposta Di Maio vorrà certamente portare il suo contributo:
a)   Come mai Salvatore Romeo non è stato in grado di spiegare per quale ragione avesse indicato quali beneficiari delle sue polizze vita la Raggi e altri militanti Cinque Stelle? A quel che se ne sa, in una delle due polizze intestate alla Raggi, secondo indiscrezioni di Procura, mai smentite, figurerebbe quale causale per l'indicazione della Raggi l'annotazione "relazione sentimentale". "Perché la stimavo", ha corretto Romeo, intervistato in tv.

b)   Se è vero che la Raggi venne indicata come beneficiaria delle polizze "a sua insaputa", per quale motivo, una volta nominato dalla stessa Raggi capo della sua segreteria, Romeo non sentì l'urgenza di avvisarla, posto l'evidente conflitto di interesse?

c) Chi dei "quattro amici al bar", tra luglio e dicembre 2016 (il 16 viene arrestato Marra), decideva le nomine in Campidoglio? Marra "a insaputa " di Raggi, Romeo e Frongia? Marra e Romeo a insaputa di Raggi e Frongia? O, come documentano le chat estratte dal cellulare di Raffaele Marra dopo il suo arresto, almeno tre dei quattro amici - Raggi, Marra e Romeo tutti appassionatamente insieme? È un fatto che per le nomine di Renato Marra (fratello di Raffaele) e per quella di Salvatore Romeo, la Procura ipotizza l'abuso di ufficio della sindaca (in un caso in concorso con Raffaele Marra, nell'altro con lo stesso Romeo).

E veniamo quindi alla quarta e ultima incolpazione mossa da Di Maio. Il vicepresidente della Camera ci accusa di "illazioni diffamatorie" perché ricordiamo il suo incontro, nell'estate scorsa, con Raffaele Marra indicandolo come il momento in cui si fece "garante politico" della permanenza in Campidoglio dell'allora neonominato vicecapo di gabinetto investito dalle prime ricostruzioni di stampa che ne illuminavano il passato di destra. Ebbene, a Di Maio dovrà evidentemente essere sfuggita (ma non è la prima volta che confonde ciò che legge. Non comprese i messaggi Whatsapp con cui veniva avvisato dell'iscrizione di Paola Muraro, allora assessore all'ambiente, nel registro degli indagati per reati ambientali. E tenne per sé la notizia per oltre un mese) la minuta ricostruzione che, il 9 settembre 2016, il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio e la cronista Valeria Pacelli dedicano alla figura di Raffaele Marra e a quell'incontro. Una ricostruzione, converrà Di Maio, che per la fonte giornalisticamente "cristallina" può essere considerata "autentica", "ex cathedra", diciamo pure.

Vediamo: "6 luglio (2016 ndr.). Marra chiede di parlare con Luigi Di Maio, che lo riceve nel suo ufficio alla Camera. L'ex finanziere gli porta il solito valigione di documenti con tutte le sue denunce e per un'ora e mezza gli illustra la sua esperienza nell'amministrazione regionale e capitolina. "Se non l'avrò convinta - aggiunge - ho qui pronta la lettera di dimissioni". Poi, mostra anche a Raggi e Frongia una dichiarazione della Procura secondo cui non ha procedimenti penali in corso, diversamente da altri 7 dirigenti comunali (indagati o imputati, eppure ai loro posti senza alcuna polemica)".

Dunque, il vicepresidente della Camera, il 6 luglio 2016, blocca le dimissioni di Marra e ne legittima il ruolo soprattutto agli occhi di quella parte del Movimento (stretta intorno alla Lombardi) che ne chiede l'allontanamento per il suo passato di "destra". Ma, del resto, a documentare la stima di Di Maio nei confronti di Marra, è anche una dichiarazione dello stesso vicepresidente della Camera del 1 luglio 2016 all'agenzia di stampa Ansa. Si legge: "Alla richiesta di un commento sulla nomina di Raffaele Marra a vice-capo di gabinetto, Di Maio risponde: "Chi ha distrutto questa città non fa parte della nostra squadra; chi in questi anni ha dimostrato buona volontà, competenze e storia personale, all'interno della macchina amministrativa, ci venga a dare una mano. L'ho detto in tempi non sospetti, la squadra non sarà legata al M5S ma sarà composta soprattutto da persone competenti che possono realizzare il programma del M5S"".

Dunque
e infine: vuole, può, spiegare il vicepresidente Di Maio quale ruolo politico ha avuto e ha nelle scelte politiche e amministrative della Raggi? In particolare nella scelta di quegli "amici al bar", a cominciare da Raffaele Marra, oggi scaricati come infidi sabotatori?

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08 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/08/news/attacco_alla_stampa_di_maio_contro_i_cronisti_del_caso_nomine_ma_su_marra_e_polizze_non_da_risposte-157815536/?ref=HRER2-1
5565  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Beatrice RUTILONI Fibrillazioni, voci, smentite. Verso la Direzione di lunedì inserito:: Febbraio 13, 2017, 12:49:20 pm
Focus
Beatrice Rutiloni - @bearuti
· 8 febbraio 2017

Fibrillazioni, voci, smentite. Verso la Direzione di lunedì

Oggi prevale la road map elezioni nel 2018 e Congresso anticipato

A quattro giorni dalla direzione di San Valentino al Nazareno le acque nel Pd restano agitate e non è semplice decrittare i vari segnali.

E se, come diceva Agatha Christie, un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova, allora possiamo ben concludere che i segnali che si susseguono in queste ore tra i corridoi della Camera sono la conferma di una linea che sta cercando di imporsi con sempre più decisione, quella che fa capo al partito del voto 2018. “Andrà a finire che invece del premier voteremo il candidato del Pd a giugno”, sussurra un parlamentare. Uno dei tanti.

Il primo indizio arriva ieri pomeriggio: è sconvocata l’assemblea dei parlamentari a Montecitorio, in cambio ci sono due riunioni di corrente, quella di ieri in Senato dei franceschiniani e degli orlandiani, mentre i bersaniani che si sono dati appuntamento alla Camera domani alle 14,30.

Il secondo indizio è un Bersani che in tarda mattina passeggiando sul tappeto rosso del Transatlantico detta ai cronisti la sua road map: congresso a giugno e voto nel 2018.

Il terzo indizio arriva a metà pomeriggio: un documento firmato da 40 senatori di sostegno al governo Gentiloni. Dentro c’è un po’ di tutto: una spruzzata di franceschiniani, un tot di turchi, qualche bersaniano. Per dire: da Cirinnà a Chiti, passando per Manconi, Puppato e Fabbri. “Vogliamo rappresentare plasticamente la capacità di riunirsi del Pd, siamo la trasversalità che allontana la scissione”, la spiega così Vannino Chiti, tra i firmatari dell’appello.

Tre indizi fanno una prova? Non è dato saperlo ma molto sembra far credere che il voto a giugno si allontani, al netto delle dichiarazioni della renziana Anna Ascani che ribadisce la necessità di tornare alle urne in primavera dopo aver armonizzato la legge elettorale.

Eppure tra le voci che si rincorrono in serata ce n’è una che sovrasta le altre e che vede tra le mosse possibili di Renzi anche quella delle dimissioni, per aprire la fase congressuale, contarsi e solo dopo, tornare al voto. Voci però seccamente smentite dagli uomini del segretario.

Non è l’unica smentita della giornata: Orlando ha sgombrato il campo dall’ipotesi di volersi candidare al congresso e Martina ha negato incontri carbonari sul futuro del Pd.

Ed è il capogruppo Rosato a dare la cifra della direzione di lunedì: “Primo punto, tutti si devono sentire a casa, secondo punto: lavoriamo a un confronto sulla legge elettorale che può essere fatto in un mese e mezzo al massimo, se c’è la volontà”. La linea del segretario dunque resta questa, al di là delle cospirazioni e dei retroscena.

Da - http://www.unita.tv/focus/fibrillazioni-voci-smentite-verso-la-direzione-di-lunedi/
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