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5386  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Stefano FOLLI. - Pd, l'incognita alleanze e il sogno maggioritario di Renzi. inserito:: Marzo 16, 2017, 04:59:39 pm
Pd, l'incognita alleanze e il sogno maggioritario di Renzi.
Il Lingotto conferma che si andrà alle elezioni solo dopo i provvedimenti economici del governo. Ma resta per i dem il nodo delle partnership, da Alfano a Pisapia: l'ex premier non ne parla. Forse perché prevede un Parlamento bloccato

Di STEFANO FOLLI
13 marzo 2017

È senz'altro una buona notizia che le giornate del Lingotto si siano chiuse con il netto sostegno del Pd al governo Gentiloni. Peraltro non è una notizia inaspettata: avendo finalmente riconosciuto la realtà, ossia che non esisteva lo spazio e nemmeno la convenienza per anticipare le elezioni, il supporto all’esecutivo era l’unica opzione rimasta al gruppo dirigente. S’intende che a questo punto alle parole dovranno seguire i fatti: sostenere Gentiloni e Padoan vuol dire per il partito di maggioranza farsi carico delle scelte che il governo dovrà compiere in politica economica di qui alla fine dell’anno, scelte che si prevedono impopolari, forse molto impopolari. Saranno discusse prima di ogni decisione, è ovvio, e il leader del Pd farà valere il suo peso. Ma difficilmente le misure potranno essere edulcorate o stravolte per ragioni elettorali.

Si andrà alle elezioni dopo il varo di questi provvedimenti e non prima, il che dovrebbe significare una campagna all'insegna del realismo, un'obbligata "operazione verità". Non è detto che gli italiani reagiscano male. Può darsi, al contrario, che reagiscano molto bene, come è accaduto altre volte nella storia recente del Paese. In fondo, meglio la verità che essere trattati come bambini immaturi.

C'è un secondo punto, meno chiaro e convincente del primo. Nessuno, tanto meno il segretario, ha spiegato se il nuovo Pd avrà una politica delle alleanze e in quale direzione. Si è solo capito, ma lo si sapeva già, che Franceschini avrebbe voluto, e forse vorrebbe ancora, collocare il partito al centro di intese comprendenti la sinistra, da un lato, e i moderati di Alfano e Casini, dall'altro. E viceversa che i Martina e gli Orfini privilegiano l'attenzione verso i progressisti di Pisapia. Ma nessuno sembra avere realmente a cuore il problema, salvo il ministro dei Beni Culturali a cui però manca la forza politica per imporre una soluzione - le alleanze aperte a sinistra e a destra - che il resto del Pd non vuole.

Quanto a Renzi, l'unico da cui ci si attendeva un'indicazione netta, ha preferito volare al di sopra delle questioni pratiche. Ma il suo tentativo tattico - che pure c'è stato - di allargare l'orizzonte del partito verso sinistra e di dargli un respiro nuovo, meno ripiegato sull'egocentrismo del leader, non può sottrarsi al tema delle alleanze. Si obietta: Renzi non parla di alleanze perché non ha perduto la sua "vocazione maggioritaria". Vale a dire che ragiona ancora come se avessimo una legge elettorale maggioritaria, l'Italicum. Al massimo lascia ai suoi collaboratori più vicini di lanciare una passerella verso Pisapia, l'ex sindaco di Milano con il quale i renziani sperano di sostituire gli scissionisti dalemian-bersaniani. Ma a questo punto la contraddizione si è già aggrovigliata oltre il punto di non-ritorno.

Non è un caso che i contendenti di Renzi, vale a dire Orlando ed Emiliano, si propongano ognuno a suo modo come coloro che metteranno fine alla guerra fra le varie sinistre, ricomponendo il tessuto lacerato. Hanno un progetto, certo discutibile, orientato in senso socialdemocratico. E accettano che il sistema sia tornato proporzionale, al punto da rendere indispensabili le intese. Prima e dopo le elezioni. A maggior ragione se il Parlamento non riuscirà, come sembra, a rimetter mano alle sentenze della Corte se non per aspetti marginali.

Invece Renzi, come si è detto, vive tuttora dentro l'illusione maggioritaria. Del resto, è consapevole che gli scissionisti ("quelli che volevano distruggere il Pd", secondo le sue parole) non farebbero mai accordi con lui. E forse prevede - come tanti, del resto - che il prossimo Parlamento sarà del tutto paralizzato, senza vinti né vincitori, e allora servirà rifare la legge elettorale prima di tornare di nuovo alle urne. In ogni caso, è pericoloso non vedere la realtà, magari perché si è convinti di raggiungere da soli la maggioranza, ossia la mitica soglia del 40 per cento. Così come è azzardato dare per scontata l'alleanza con Pisapia, il quale ha l'ambizione di federare un mondo disperso, quasi un altro Ulivo, e non gradisce essere descritto come la stampella di Renzi. Finora ha dimostrato di non esserlo affatto.

© Riproduzione riservata 13 marzo 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/03/13/news/pd_l_incognita_alleanze_e_il_sogno_maggioritario_di_renzi-160416095/?ref=RHPPRB-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1
5387  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Giulio Saturnini A cena col “paese reale”: appunti per disinnescare il ... inserito:: Marzo 16, 2017, 04:56:49 pm
Opinioni
Giulio Saturnini - @gsaturnini

· 15 marzo 2017

A cena col “paese reale”: appunti per disinnescare il partito della chiusura
Sono convinto che al vecchio asse destra-sinistra se ne sia ormai aggiunto un altro altrettanto nitido che contrappone chiusura ad apertura

Ci sono luoghi che hanno il potere evocare visioni e di rivelare angoli di realtà che prima erano sottratti alla visuale. A me è avvenuto in una pizzeria – pardon: ristopizzagrill – di Torino, lo scorso sabato sera. Un posto farcito di maxischermi con la partita e di gonfiabili dove far sudare i bambini, di camerieri coi capelli alla El Shaarawy e di pizze patatine-fritte-e-maionese. Un rifugio a buon mercato per far sfogare i marmocchi e mangiare un boccone coi vecchi amici del liceo e le rispettive famiglie. E chi se ne frega se il cibo fa schifo e il vino della casa sembra Red Bull sgasata, qui non è Masterchef: arrivare a fine mese è sempre dura e non basta imbroccare quel gratta e vinci ogni tanto per permettersi grandi lussi.

Dopo un’infruttuosa ricerca di un ristorante in grado di ospitarci tutti, è lì che noi fighetti appena usciti dal Lingotto pieni di entusiasmo e di speranze abbiamo visto in faccia il “paese reale” e la distanza siderale che ci separa da esso. Per un lungo secondo ci siamo sentiti tutti Piero Fassino, e abbiamo visto come in un brutto sogno premonitore il trionfo del Movimento 5 Stelle alle prossime elezioni politiche.

Svegliati dall’incubo e usciti dal locale, la domanda da farsi è: cosa possiamo fare evitarlo?
Prima di tutto, parlare con quelle persone. Col cameriere con la cresta che lavora a voucher e con lo stesso proprietario del ristorante, che non sarà un drago dell’imprenditoria ma che ha i margini ridotti al minimo dalla pressione fiscale. Col commesso incazzato perché vede i suoi amici d’infanzia condurre una vita più appagante, almeno a giudicare da ciò che postano su Facebook. Con la sua fidanzata, disoccupata, che con tanti sacrifici ha preso la triennale in Scienze della comunicazione e ora non vuole accontentarsi di un part-time alla cooperativa di pulizie, e con tutti gli altri cittadini che non riescono a tenere il passo di un mondo sta correndo un po’ troppo veloce. Come possiamo spiegare loro che la loro sconfitta è appunto solo una sconfitta, e che senza la globalizzazione avrebbero – avremmo – già perso la guerra da un pezzo? Dobbiamo tornare a parlare con loro e con tutti quei cittadini che si sono abituati ad associare il PD (quando va bene) alle faide tra dirigenti e alle infinite discussioni tra correnti. Mi correggo: dobbiamo iniziare – non tornare – a parlare con loro, perché quel mondo ci ha sempre serenamente evitato come la peste, tranne forse alle europee del 2014.

Io sono convinto che al vecchio asse destra-sinistra se ne sia ormai aggiunto un altro altrettanto nitido che contrappone chiusura ad apertura. Ebbene, se vogliamo risultare credibili nella nostra pretesa di incarnare il partito dell’apertura dobbiamo essere aperti non solo al nostro interno ma anche e soprattutto verso la società. Non dobbiamo aver paura di confrontarci con chi ci sembra diverso da noi. Sta proprio qui il nostro vantaggio nei confronti di chi invece, sui livelli più disparati, si limita a voler erigere muri. Dobbiamo trovare le chiavi giuste per farci ascoltare e dimostrarci quella grande e aperta comunità che aspiriamo a rappresentare. Lo vediamo già a partire dai piccoli comuni: i sindaci e gli amministratori più apprezzati non sono necessariamente quelli più competenti o quelli più visionari, sono spesso quelli che trovano il tempo per accoglierti nel proprio ufficio e che dimostrano di essere sempre lì per te.

Dall’ascolto e dal dialogo nasce la comprensione dell’altro, anche quella del cittadino di fronte alla complessità dei problemi che vengono posti quotidianamente agli amministratori locali, regionali e nazionali. Da qui nasce la comprensione delle logiche della politica, che sono ben diverse dalle rappresentazioni semplificate proposte da Grillo, da Salvini e dagli altri demagoghi del partito della chiusura. È solo approfondendo e spiegando la complessità del mondo globale (e le sue ricadute sulla politica locale) che possiamo battere i populisti, provando a erodere le basi del rancore sociale su cui essi prosperano. Dobbiamo ascoltare e argomentare chiaramente le ragioni per cui l’apertura – accompagnata ad un quadro regolatorio snello e chiaro – è cosa buona e giusta, che si parli di immigrazione o di finanza internazionale, delle dinamiche del proprio Comune o di quelle tra gli Stati dell’Unione europea. Del resto se non ci apriamo ai cittadini che ci sembrano diversi da noi, a partire dai cosiddetti “sconfitti della globalizzazione”, come possiamo essere credibili quando ci proponiamo come paladini dell’apertura, della globalizzazione e dell’accoglienza?

Da - http://www.unita.tv/opinioni/a-cena-col-paese-reale-appunti-per-disinnescare-il-partito-della-chiusura/
5388  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Francesco Nicodemo. La riorganizzazione del Pd parta dalla base inserito:: Marzo 16, 2017, 12:46:37 pm
Opinioni
Francesco Nicodemo - @fnicodemo

· 12 marzo 2017

La riorganizzazione del Pd parta dalla base
La struttura tradizionale del partito non funziona più perché non riesce a coinvolgere

Essere di nuovo al Lingotto è emozionante. Insieme all’entusiasmo, circolano tante idee per ripartire insieme. Il punto ora è capire come fare tesoro di questa esperienza e continuare a coinvolgere tutti, dal momento che non può esistere formazione politica senza una partecipazione costante. Ho provato a dire la mia al seminario “Fare il Partito. Organizzazione, formazione, comunità” e ho riportato un dato di fatto.

La struttura tradizionale del partito non funziona più perché non riesce a coinvolgere, non fotografa il feedback dei territori e non sempre è al passo con le decisioni veloci che i tempi della politica impongono di prendere. Al suo posto propongo una struttura a rete in cui è centrale la figura del community organizer. Ne immagino uno per ogni zona corrispondente ai collegi elettorali in cui è suddiviso il nostro Paese e all’interno della quale ha compiti precisi:

– Operare una vera e propria analisi dei dati di carattere elettorale, anagrafico ed economico;

– Stilare l’elenco delle associazioni di categoria, delle associazioni laiche o religiose, degli ordini professionali, in generale delle formazioni sociali presenti sul territorio;

– Elencare quali sono i componenti del gruppo dirigente locale e quindi parlamentari, amministratori, consiglieri regionali, comunali, ecc.

– Favorire il dialogo su singoli temi, sui provvedimenti in fase di approvazione, sulle proposte presentate dal partito;

– Trasmettere umori e pareri che arrivano dal basso e tradurre le esigenze e i suggerimenti dei cittadini in piani per gli amministratori da attuare nel concreto;

– Organizzare la comunicazione stabilendo modi e tempi;

– Effettuare un’attività costante di fact-checking;

– Contrastare il linguaggio dell’odio in rete.

In questa rinnovata struttura di partito l’online e l’offline si integrano a vicenda. I community organizer infatti si avvalgono sul territorio di gruppi di volontari e non sono semplici influencer, sono molto di più: punti di riferimento e nodi che permettono sia il dialogo tra il gruppo dirigente (locale e nazionale) e la base, sia la circolazione di notizie e il confronto all’interno della base stessa. Grazie a loro le informazioni vengono trasmesse dall’alto verso il basso, cioè dal partito rappresentato da dirigenti e parlamentari, fino agli amministratori locali e agli elettori.

Ancora, è tramite loro che i feedback dai territori arrivano al centro del partito, permettendo a quest’ultimo di definire il programma e le successive azioni da intraprendere. In breve, migliora la qualità del dibattito pubblico reale. Ma non è tutto. Con una struttura organizzativa di questo tipo infatti, ciascuno si sente coinvolto e può diventare a sua volta il community organizer del proprio gruppo di riferimento reale o virtuale, di lavoro, di studio, di amici.

Al centro c’è il militante, al centro c’è ognuno di noi che diventiamo punto di riferimento per altri e questi ultimi per altri ancora e così via. Ciascuno è indispensabile, allo stesso modo ogni singolo individuo può creare la sua rete, “evangelizzare”, diffondere nozioni e fare in modo che altri grazie a lui siano in grado di fare lo stesso con altre persone. Gramsci sosteneva che non fosse possibile separare l’homo faber dall’homo sapiens. «Ogni uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un “filosofo”, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare».

Senza pretendere di forzare il senso ben più ampio e complesso delle profonde riflessioni gramsciane, il concetto riportato è dotato di una straordinaria modernità. Che ciascuno di noi infatti dia il proprio senso alla realtà che lo circonda, la filtri e ne offra una personale lettura è evidente ma non accade solo questo, dal momento che la comunica anche e quindi, inevitabilmente condiziona direttamente o meno gli altri. L’utente isolato, l’elettore spasso disorientato, se coinvolto in questa struttura, diventa un soggetto attivo, chiamato in causa a offrire il proprio contributo in base al tempo a disposizione, ai propri interessi e alle proprie competenze. La partecipazione non è limitata solo al momento elettorale, il quale eventualmente rappresenta solo l’ultimo passo di un percorso di coinvolgimento continuo e propositivo in cui la fiducia verso i propri rappresentanti viene costruita giorno dopo giorno.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-riorganizzazione-del-pd-parta-dalla-base/
5389  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Pd, EMILIANO: io posso vincere le elezioni, Renzi no inserito:: Marzo 16, 2017, 12:45:19 pm
LA CORSA ALLA SEGRETERIA
Pd, Emiliano: io posso vincere le elezioni, Renzi no

    14 marzo 2017

Perché votare Emiliano? «Io posso vincere le elezioni e Renzi no». Dopo aver illustrato le linee del suo programma Michele Emiliano in corsa per la leadership del Pd torna ad in tivvù attaccare l’ex premier-segretario. «Renzi si è inimicato il Paese intero e non vincerà mai le elezioni, io potrei vincerle, unificando il Paese e ricostruendo il centrosinistra. Noi possiamo vincere le elezioni perché abbiamo le idee chiare sulle cose che interessano la vita delle persone». Ieri l’accento era caduto sulla maggioranza interna colpevole di creare un brutto clima nella campagna congressuale. È convinzione del governatore pugliese che in ogni caso la sua candidatura «potrebbe consentire di riprendere i voti persi a favore del M5s, voti che io rispetto anche perché sono voti che erano di nostri elettori».

    L’Analisi
La differenza del Lingotto di Renzi tra proporzionale e maggioritario
Cesare Damiano lancia Sinistra Pd
«Alternativi a Renzi» e con Orlando, «perché crediamo che sia la persona che possa meglio incarnare gli ideali di una sinistra inclusiva e di una coalizione aperta». Cesare Damiano ha presentato Sinistra Pd, l'area che sostiene il ministro della Giustizia dem nella corsa per la segreteria. «Non ci opponiamo pregiudizialmente all'ex premier, abbiamo il difetto della lealtà. Ma non della fedeltà, non siamo dei signorsì. Non siamo usciti dal Pd perché il luogo del cambiamento è il partito e lì continueremo la nostra battaglia». Sinistra Pd domenica 19 marzo darà vita a una iniziativa su «Uguaglianza-lavoro-inclusione» con la presenza di Orlando.

Gruppo Mdp alla Camera sale a 38
Intanto tra i fuoriusciti intensa è l’attività per dare forza ai gruppi parlamentari. E, ottenuta l'adesione oggi di Michela Rostan, Roberto Speranza si dice sicuro nel giro di qualche giorno di arrivare a quota 40, alla Camera. Il bersaniano replica ai sondaggi che danno il Movimento assai basso nei sondaggi. Alcuni «ci danno anche al 10 per cento. A me non interessa fare una “ridotta” della sinistra, non vogliamo fare testimonianza siamo una forza di governo. Avremo nel Lazio cinque consiglieri regionali, tre li abbiamo in Puglia e siamo anche nel Consiglio regionale in Sardegna. Nel giro di qualche giorno spero che avremo un simbolo e da allora la nostra forza inizierà a crescere. Fuori c’è un popolo che chiede di stare nel centrosinistra ma non vuole votare Renzi, se lo teniamo fuori rischiamo che poi vota i grillini». E Andrea Orlando? «In questi anno non ho mai sentito una differenza» con la linea di Matteo Renzi, va giù duro Speranza. E «ha sempre votato la fiducia. Il congresso del Pd è un plebiscito per riconfermare il capo, un gioco delle figurine».

    Italia 09 marzo 2017

Renzi attacca Emiliano e rilancia il Mattarellum
Ricci: da Speranza parole irrispettose
«Speranza mostra scarso rispetto nei confronti degli iscritti, degli elettori del Pd e del suo stesso passato» è la replica del renziano Matteo Ricci, responsabile enti locali del Pd. «Chiedevano il congresso e quando è stato convocato hanno pensato bene di sottrarsi al confronto abbandonando il partito. Strana idea della democrazia e del rispetto reciproco. Rimane poi da capire perché dal fiscal compact in poi abbiano votato tutto ciò che ora condannano»

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-03-14/pd-emiliano-io-posso-vincere-elezioni-renzi-no-172403.shtml?uuid=AELghUm
5390  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / GIULIANO PISAPIA inserito:: Marzo 16, 2017, 12:43:50 pm
"Campo progressista", Giuliano Pisapia ha l'obiettivo di allargare il fronte del centrosinistra, con una spinta dal basso

L'Huffington Post | Di Nicola Corda
Pubblicato: 09/03/2017 10:41 CET Aggiornato: 09/03/2017 10:57 CET

GIULIANO PISAPIA
Allargare. La parola d’ordine della convention nazionale di “Campo progressista” dice molto del progetto di Giuliano Pisapia. Sabato al Teatro Brancaccio “La prima cosa bella” il lancio ambizioso e impegnativo, in una fase così faticosa per la politica e per i partiti di centrosinistra. Motivo in più per dare il palco della convention principalmente ad esponenti della società civile che si alterneranno nella mattinata romana. Poi, certamente, ci saranno anche quei pezzi del ceto politico che hanno già dichiarato il loro interesse per il progetto, dal nuovo Movimento Democratico e Progressista alle esperienze civiche delle amministratori locali che si sono riconosciute nella rivoluzione arancione sperimentata con successo dalla giunta milanese.

L’idea è quella di far emergere “quella spinta dal basso” che secondo Pisapia servirà a ridare l’ossigeno a una politica che ha perso legami e connessioni con la vita quotidiana e i problemi dei cittadini. Naturalmente ci saranno anche i personaggi noti della vita politica e istituzionale: da Laura Boldrini a Pierluigi Bersani, da Gad Lerner fino ai diversi esponenti di fede prodiana che vedono nel Campo progressista un’opportunità di rinascita di un nuovo Ulivo. Ma a parte il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti che darà il suo saluto, le presenze note faranno un passo di lato con il preciso intento di non schiacciare “l’operazione Pisapia” nell’ennesimo movimento nato in laboratorio o calato dall’alto.

Per ora le adesioni arrivate da tutta Italia sono tantissime e per ora tutte le tappe toccate hanno fatto il pieno di attivisti e curiosi. Roma sarà però l’occasione per lanciare ufficialmente le "Officine delle idee”, vero cuore pulsante del Campo progressista, i luoghi dove nascerà il programma per governare l’Italia nel 2018. Non satellite di qualcos’altro dunque, dato che “il federatore” non vuole chiudere a nessuno. “Pisapia vuole parlare a tutto il popolo del Pd prima ancora che al partito”, dicono coloro che lo stanno affiancando in questa pre-partenza. Obiettivo ambizioso in tempi di scissioni e se ci sarà una legge elettorale proporzionale, si lavorerà comunque a un listone unico a sinistra, anche per riportare al voto molti elettori delusi.

Ma il desiderio mai nascosto è quello di un maggioritario in cui il nuovo centrosinistra troverebbe il suo terreno preferito e in quel caso in una coalizione ampia e plurale, la carta della leadership di Giuliano Pisapia sarebbe quella più spendibile. La concorrenza mediatica questo fine settimana sarà forte, solo il Lingotto di Matteo Renzi può bastare per rendersi conto. Sarà anche questa una sfida: a Roma chi vuole ricostruire il centrosinistra, a Torino una corrente maggioritaria del Pd.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2017/03/09/campo-progressista-roma-pisapia_n_15257290.html
5391  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Maria Serena Natale. Lo scrittore Adriaan van Dis: politica incapace di ascolto inserito:: Marzo 16, 2017, 12:42:03 pm
INTERVISTA
«Scontro fra centri e periferie Ma dopo tutto quest’odio tornerà il pensiero razionale»
Lo scrittore Adriaan van Dis: politica incapace di ascolto

Di Maria Serena Natale

«È il pendolo della Storia in movimento. Abbiamo attraversato una fase di regressione e ripiegamento, come sempre dopo periodi di espansione. Al consolidamento dell’ordine liberale segue una richiesta di politiche securitarie. All’apertura dei confini, i muri. Tutta questa concentrazione di aggressività, però, chiama un ritorno al pensiero razionale. La posta in gioco non è mai stata tanto alta. La forte affluenza e i risultati del voto sono la prova che la società l’ha compreso». Adriaan van Dis dissemina le sue storie di tracce: del passato coloniale, di sentimenti sepolti, di parole inascoltate. Nel clima da scontro epocale di queste elezioni, il grande scrittore olandese legge i segni di una rottura che finora la politica non ha saputo ricomporre tra «progressisti e arrabbiati».
Stati emotivi che si traducono in una polarizzazione alla quale non è immune neanche il Grande Nord del Welfare e dei diritti. Cosa è mancato in Olanda?
«L’ascolto, la capacità di prendere sul serio la rabbia sociale che montava. La globalizzazione non è certo un fenomeno recente, ma c’è voluto del tempo perché i suoi effetti si trasformassero in combustibile politico. Oggi siamo a quel punto. L’estrema flessibilità del mercato del lavoro, la progressiva disconnessione tra centri produttivi e periferie con la conseguente sensazione di abbandono delle province olandesi, francesi, tedesche o italiane... tutto questo ha indebolito la coesione sociale e rafforzato la domanda di appartenenza e protezione».
Appartenenza e protezione che si definiscono sempre più nel senso dell’esclusione e della contrapposizione, anche violenta, al diverso...
«È un riflesso che scatta quando il diverso diventa improvvisamente visibile. Succede nelle aree rurali, dov'è più vulnerabile chi è rimasto indietro e non si è adattato alla rapidità del cambiamento. Lì fa breccia il messaggio che indica nella concorrenza dell’immigrato la vera causa dell’abbassamento dei salari. In assenza di argini culturali, chi parla di “tsunami” trova seguito malgrado gli immigrati costituiscano solo il 6% della popolazione».
E la divisione anche fisica tra i gruppi sociali amplifica questa «visibilità».
«Certo, abbiamo interi quartieri "neri", con scuole frequentate solo da figli di immigrati, una replica del modello apartheid. Dall’altro lato cresce il sentimento nazionalista, alimentato da un ritorno alla simbologia degli inni e delle bandiere. Il tutto condito con slogan twittati o urlati da nuovi “uomini forti” come Geert Wilders che incitano alla riconquista della patria in pericolo. D’altronde nella Storia uniformi e stivali hanno sempre riscosso facile successo».
Un Paese tradizionalmente disposto all'accoglienza dell’altro, all’esplorazione e al superamento di confini filosofici e geografici, ha forti anticorpi...
«L’elezione di Donald Trump negli Usa o la Brexit dimostrano che queste dinamiche sono ormai trasversali, abbiamo globalizzato paure e domande. Confido però nel nostro bisogno di tornare al primato della ragione e, nonostante tutto, nell'Europa».
Lo scontro con la Turchia risponde a logiche evidentemente elettorali. Riconosce anche echi di fratture storiche non sanate?
«Dalla Turchia all'India agli Stati africani in corsa c’è una voglia di rivalsa che dobbiamo imparare a decifrare, un messaggio che dice: ci siamo, e siamo grandi».

15 marzo 2017 (modifica il 15 marzo 2017 | 22:56)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/17_marzo_16/olanda-elezioni-scontro-centri-periferie-adriaan-van-dis-scrittore-intervista-6cda6380-09c9-11e7-a31e-79311351b4fb.shtml
5392  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / LIANA MILELLA Le intercettazioni "private" resteranno secretate. inserito:: Marzo 16, 2017, 12:40:47 pm
Giustizia, prescrizione lunga e rischio bavaglio: dopo quasi mille giorni sì alla prima fiducia sulla riforma
Il Senato ha approvato la fiducia sulla legge che cambia il processo penale. Le intercettazioni "private" resteranno secretate.
Tetto di due anni alle indagini, poi il pm dovrà passare il fascicolo alla procura generale.  Orlando tra due fuochi: centristi e Anm   
        
Di LIANA MILELLA

15 marzo 2017

Giustizia, prescrizione lunga e rischio bavaglio: dopo quasi mille giorni sì alla prima fiducia sulla riforma Passa nell'Aula del Senato la riforma del processo penale con il voto di fiducia. I sì sono stati 156, i no 121, un astenuto. Il testo, già approvato alla Camera il 23 settembre 2015, essendo stato modificato, torna ora all'esame di Montecitorio. Il maxiemendamento prevede fra l'altro che il governo dovrà adottare su proposta del ministro della Giustizia i decreti legislativi per la riforma della disciplina delle intercettazioni "nel termine di tre mesi".

SONO TRASCORSI Novecentoventisei giorni dal primo sì in consiglio dei ministri - il 30 agosto 2014 - a oggi, alla approvazione della fiducia al Senato sul disegno di legge Orlando che riscrive pezzi dei codici penale e di procedura penale. Si potrebbe risalire indietro ancora di un paio di mesi, a quel 30 giugno dello stesso anno, quando Renzi premier annunciò la riforma della giustizia in 12 punti. Dentro ci sono la prescrizione più lunga, ma pure la stretta sull’uso e la divulgazione delle intercettazioni, l’Acqua Santa e il Diavolo, vedendola dalla parte dei magistrati. Il Guardasigilli Andrea Orlando, tempra di mediatore nato, ha lavorato allo stremo su due fronti: dentro la maggioranza per sopire il conservatorismo di Ncd che ancora adesso vagheggia future modifiche nell’ultimo passaggio alla Camera, e sul fronte della magistratura per disinnescare la mina delle intercettazioni, inciampando però nel principio dell’avocazione – il pm deve chiudere con le richieste, dopo due anni di indagini, sennò si vede sfilare il caso dalla procura generale – che offre miccia all’Anm.

Per un caso, la fiducia cade proprio nel giorno del caso Lotti al Senato, e questo inasprisce la “guerra” di M5S. Un coincidenza che certo non giova né a Orlando, né al suo processo penale. Destinata a enfatizzare la dietrologia. Soprattutto sulle intercettazioni, di certo il piatto forte del ddl assieme alla prescrizione. La delega, che Orlando si appresta a esercitare con rapidità e con la “complicità” dei procuratori, inevitabilmente cambierà anche la storia del giornalismo giudiziario. Perché – ma le circolari di molte procure della Repubblica lo hanno già anticipato – in futuro gli scartafacci sugli arresti non saranno più quelli di oggi. Tra i 40 articoli del ddl penale quello che fino a ieri, prima del maxi-emendamento del governo, portava il numero 35, riscrive le regole sull’uso delle intercettazioni, non solo da parte dei pubblici ministeri e dei gip, ma anche dei giornalisti. Orlando dice che non sarà un «bavaglio», procuratori come Pignatone, Spataro, Lo Voi, sono pronti a entrare nella sua commissione, ma l’odore della stretta c’è comunque. Quando la delega sarà legge vedremo più di un pm e di un gip porsi la domanda “ma questa intercettazione la metto o non la metto?”, “la chiudo in cassaforte per sempre oppure la uso?”, “è necessaria oppure è superflua?”. Di conseguenza, inevitabilmente, caleranno anche le notizie pubblicabili. Molto, ovviamente, dipenderà dalla magistratura chiamata a una sfida sulla trasparenza degli atti.

  Non potrà che far discutere, giusto oggi, anche la norma che esclude la possibilità di utilizzare i Trojan Horse, i nuovi software spia, anche per i reati di corruzione. Sì per il terrorismo e la mafia, no invece contro le mazzette. Un’incomprensibile esclusione, mentre la corruzione dilaga e il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone dice a Repubblica “via i politici da gare e appalti”. Tant’è, la politica avrebbe potuto dare un nuovo strumento, ma si è fermata prima.

Così come si blocca sulla prescrizione, dove il compromesso è sotto gli occhi di tutti. Ancora in queste ore il ministro della Famiglia Enrico Costa, alfaniano, una vera “ossessione” per la prescrizione più lunga, contesta il rischio che la conseguenza di una simile riforma sia solo quella di avere processi più lunghi degli attuali. In realtà parliamo solo di 36 mesi, tre anni. L’orologio si ferma solo temporaneamente dopo il primo grado, resta bloccato per 18 mesi in appello e 18 in Cassazione, ma poi inesorabilmente riprende a correre. Stupisce che l’Anm, proprio su questo, non abbia fatto una grande campagna. Tutte le toghe ne parlano da sempre, quelle più famose, Pier Camillo Davigo in testa, sostenendo che la prescrizione dovrebbe fermarsi definitivamente dopo il primo grado, ma alla fine la voce del sindacato dei magistrati si è fatta sentire di più sulla proroga dell’età pensionabile per 18 colleghi e sul rischio avocazione delle inchieste che non sulla prescrizione.

Intendiamoci, l’avocazione è un pericolo, soprattutto se messa in mani cattive. La norma stabilisce che dopo due anni di indagini preliminari il pm ha solo tre mesi di tempo per decidere che fare, se archiviare o andare avanti. Davigo vede procure generali inadeguate, inadatte, ingolfate, l’inizio di un nuovo caos. Ma tant’è, su questo Orlando è stato irremovibile.

Luci – pene minime più alte per furti, scippi e rapine – ma anche ombre oscure – il rito abbreviato avrebbe potuto essere vietato ed escluso per i reati gravi, mentre invece continuerà a essere concesso – fanno sospendere il giudizio sul ddl Orlando. Ci sono deleghe da scrivere, come quella sull’ordinamento penitenziario, e capitoli delicatissimi da affrontare come quello sulle Rems, le residenze che prenderanno il posto degli ospedali psichiatrici e le sezioni specializzate degli istituti penitenziari a seconda della gravità dei casi e delle condanne. Materia incandescente,

su cui la vigilanza rispetto a soggetti deboli e privi di tutela non potrà che essere massima. Ma il cammino del ddl penale, con oggi, non è ancora finito. E l’ulteriore passaggio alla Camera permetterà di guardare ancora le criticità.     

© Riproduzione riservata 15 marzo 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/03/15/news/prescrizione_lunga_e_rischio_bavaglio_dopo_quasi_mille_giorni_fiducia_sulla_riforma-160584462/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P7-S1.6-T1
5393  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Luca Lotti la sfiducia non passa. Al Senato processo alla "consorteria" toscana inserito:: Marzo 16, 2017, 12:39:14 pm
Luca Lotti, la sfiducia non passa.
Al Senato processo alla "consorteria" toscana

Pubblicato: 15/03/2017 20:41 CET Aggiornato: 15/03/2017 21:52 CET LOTTI

Firenze, fino a pochi mesi capitale dell'Italia renziana, diventa sinonimo di malaffare, la toscanità come consorteria, legami corti e "amici degli amici", con toni ironici, sprezzanti, come nell'istrionico intervento di Maurizio Gasparri: "Amici miei, che siete venuti a miracol mostrare, dovevate innovare e rottamare, invece ecco il padre, l'amico da piazzare, e invece quanta vecchia Italia, come nella canzone di Toto Cotugno, benvenuti in Italia".

Lotti è immobile, circondato dal governo quasi al gran completo, con la vistosa eccezioni della Boschi, per evitare il facile doppio bersaglio, Consip e Etruria, "figli di", la suggestione dell'assalto al cielo tra Laterina e Montelupo fiorentino poi l'inciampo. "Gogna mediatica", "gioco barbaro", dice nel suo primo intervento al Senato, breve, tutto letto, interrotto da un solo applauso, a sottolineare il silenzioso disagio anche tra i banchi del Pd. "Gogna mediatica" dice anche Marcucci, il fedelissimo, toscano pure lui, nel giorno in cui parola d'ordine e sindrome dell'assedio evocano più che il garantismo un classico del berlusconismo, con tanto di attacco ai giornali che emettono sentenze sul sentito dire, ma che in verità disturbano il manovratore.

Il lungo pomeriggio a palazzo Madama segna il cambio dei tempi, impensabile fino a qualche settimana fa, con un processo al renzismo, anzi un processo triste e senza pathos, che pure indicherebbe una forma di stima verso un grande avversario. Battute, sfottò, chi cita Toto Cotugno, chi, come il professor Gotor, cita Banfield, lo studioso del "familismo amorale". "Siete venuti qui a dire che abolivate il Senato e invece il Senato è ancora qui e Renzi non più a palazzo Chigi" dice Gasparri, con un accento alla Alberto Sordi, che pare dire "morto un Papa se ne fa sempre un altro", con i vizi di quello prima. E magari di quello ancora prima.

Vota no la pattuglia di Denis Verdini, che compare nella famosa deposizione di Marroni rivelata dall'Espresso, quella in cui si parla delle presunte "pressioni" sue e di papà Renzi. Vincenzo D'Anna, prima di parlare, compulsa l'Iphone, perché è appena uscita la notizia che Nicola Cosentino è stato condannato a sette anni per estorsione e illecita concorrenza con l'aggravante mafiosa nel processo sui "carburanti". Poi si alza e difende Lotti con grande partecipazione: "Siamo abituati ai processi sui giornali, pescando qualche cencio sporco nel cestino della maldicenza". Vota no anche Manuela Repetti, in pieno processo di immedesimazione: "Mi viene in mente - dice appassionata - la mozione di sfiducia a un ministro della Cultura per il crollo del muro di Pompei (il ministro era Sandro Bondi, ndr)", "questa mozione è una vergogna", "siamo alla gogna mediatica con l'obiettivo di distruggere l'avversario politico". Si immedesima un po' anche Paolo Romani, che annuncia l'uscita dall'Aula degli azzurri, unico partito di opposizione al mondo che non vuole mandare a casa il governo: "La discussione di oggi - dice - è una nuova tappa di un processo che da un quarto di secolo avvelena la politica italiana. L'intreccio mediatico giudiziario che ha avuto per vittima Silvio Berlusconi decaduto dalla carica di senatore".

Aula con parecchi assenti, alla buvette i sussurri imbarazzati: "Il saldo politico di oggi - dicono in capannello di senatori Pd - è assai negativo, per Renzi e per il Pd, lo sputtanamento è notevole, la difesa è debole". Debole perché Lotti dice che non ha avvisato l'ad di Consip dell'indagine, annuncia che è pronto alle querele per tutelare il suo onore ma non querela Marroni che lo tira in ballo: "Lei - dice Augello nell'unico intervento davvero ascoltato dall'Aula - ci dice che Marroni l'ha calunniata ma non lo denuncia e il ministro Padoan difende i vertici di Consip. È una posizione di una fragilità disarmate. Si faccia venire qualche idea più brillante, visto che la chiamano lampadina".

I numeri salvano Lotti, la macchia resta. Gotor cita l'editoriale di Repubblica di Ezio Mauro. "Ci troviamo di fronte a un groviglio del potere cresciuto intorno a Renzi che lo ha coltivato o tollerato nell'illusione di proteggersi, fino a restarne imprigionato". Etruria fu fatale nel primo cambio di clima, Consip nell'accelerare la fine del ciclo toscano, almeno questa è sensazione alla fine del lungo pomeriggio a palazzo Madama.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2017/03/15/lotti-processo-consorteria-toscana_n_15389596.html
5394  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / A. CARUGATI. Una rilevazione Ixè: tra i giovani solo il 35% è per l’integrazione inserito:: Marzo 16, 2017, 12:37:47 pm
Varoufakis pronto a lanciare a Roma il primo partito transeuropeo
Con lui il cofondatore di Podemos Juan Carlos Monedero, il vicepresidente del parlamento spagnolo Marcelo Exposito, la verde tedesca Ska Keller.
Per l’Italia, in prima fila il sindaco di Napoli Luigi De Magistris


Pubblicato il 16/03/2017
ANDREA CARUGATI

Da Yanis Varoufakis, accompagnato dalla guest star Ken Loach, fino ai movimenti sovranisti dell’estrema destra, passando per gli ultraeuropeisti come Emma Bonino e Guy Verhofstadt. Il 24 e 25 marzo, in occasione del Consiglio europeo per i 60 anni dai Trattati, Roma sarà attraversata da cortei ed eventi che rappresentano tutte le sfumature politiche e sentimentali verso l’Ue.

L’ex ministro greco la sera del 25, al termine delle celebrazioni ufficiali, al teatro Italia lancerà il primo partito transeuropeo come evoluzione del movimento Diem25 da lui fondato un anno fa. Oltre al regista britannico, icona delle sinistre europee, ci saranno vari partner politici come il cofondatore di Podemos Juan Carlos Monedero, il vicepresidente del parlamento spagnolo Marcelo Exposito, la verde tedesca Ska Keller e (ancora in forse) il candidato socialista alle presidenziali francesi Benoit Hamon. Per l’Italia, in prima fila il sindaco di Napoli Luigi De Magistris e Anna Falcone, tra i portavoce del comitato per il No al referendum del 4 dicembre. Attesi anche Nicola Fratoianni, Stefano Fassina e Pippo Civati. 
 
«Abbiamo 60mila iscritti in Europa di cui 8mila in Italia, e non ci rivolgiamo solo alle forze di sinistra», spiega Lorenzo Marsili, tra i fondatori di Diem25. «Tra i sovranisti e chi difende lo status quo di questa Ue serve una terza via. Il nostro è un pensiero critico di chi non rinuncia all’Europa».
L’evento si terrà al termine del Consiglio europeo da cui uscirà rafforzata l’idea di una Ue a più velocità. «Non abbiamo bisogno di un’Europa a più velocità, ma con una differente direzione di marcia», spiega Varoufakis. Il suo gruppo lancerà 10 proposte per un New deal europeo. «Proposte subito realizzabili, senza bisogno di modificare i Trattati», spiega Marsili. Tra queste un piano di riconversione ecologica «in grado di produrre milioni di posti di lavoro a livello continentale», un piano anti-povertà «gestito dalla Bce» e uno di edilizia pubblica.
 
I seguaci di Varoufakis si uniranno il 25 marzo al corteo da Piazza Vittorio al Colosseo, organizzato da “La nostra Europa”, una rete di associazioni e reti italiane ed europee di cui fanno parte anche Arci, Cgil e Legambiente. L’obiettivo è combattere contro le «politiche di austerità che hanno prodotto diseguaglianze e insicurezza, mettendo a rischio un patrimonio comune di conquiste e democrazia». 
 
Al Colosseo arriverà anche la Marcia per l’Europa organizzata dai movimenti federalisti, che partirà alle 11 dalla Bocca della verità. Una marcia che mira a fare dell’anniversario dei Trattati di Roma del 1957 l’occasione «per andare oltre gli attuali Trattati, verso un’unione federale del popolo europeo». Con i federalisti ci sarà anche Emma Bonino, che ha lanciato con Benedetto della Vedova e la sigla “Forza Europa” un appello a tutti gli europeisti dal titolo “Un impegno per l’Europa”. “Bisogna far sentire la voce di chi crede nell’Europa contro il pensiero unico euroscettico”, spiegano. «Noi siamo per la Ue senza se e senza ma». La mattina del 25, in concomitanza col vertice Ue, i movimenti federalisti hanno organizzato un convegno al centro congressi Alibert di piazza di Spagna con Romano Prodi, Eugenio Scalfari, la Bonino e il leader dell’Alde Guy Verhofstadt.
 
Sabato caldissimo anche per gli antieuropeisti. Il loro corteo partirà alle 15 da Santa Maria Maggiore in direzione Colosseo. Per l’Italia i più attivi sono Francesco Storace e Gianni Alemanno. «Porteremo la nostra protesta contro il super-Stato burocratico e asservito alla Germania di quest’Europa che ha tradito gli ideali dei Trattati», spiega l’ex sindaco di Roma. Al corteo ci sarà anche una delegazione di “Noi con Salvini”.
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/16/esteri/varoufakis-pronto-a-lanciare-a-roma-il-primo-partito-transeuropeo-qM9WXmaJC6stYZ81oeygoL/pagina.html
5395  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / JACOPO IACOBONI. Lo Statuto M5S inchioda Grillo “titolare” e “gestore” del blog inserito:: Marzo 16, 2017, 12:35:43 pm
Lo Statuto M5S inchioda Grillo “titolare” e “gestore” del blog
Dopo la nuova denuncia per diffamazione, scaricabarile del fondatore con la Casaleggio e con chi gestisce manualmente i social e “gli account” (al plurale).
Il Pd chiede un milione di danni. La causa è in piedi, solo spostata da Genova a Roma
Beppe Grillo, per difendersi dalla querela per diffamazione e dalla richiesta di danni milionaria, fa scrivere ai suoi legali: «Orbene, il blog citato dall’attore (...) è gestito dalla Casaleggio Associati srl, e non da Giuseppe Grillo»

Pubblicato il 16/03/2017 - Ultima modifica il 16/03/2017 alle ore 10:10

JACOPO IACOBONI

È una vicenda che, assieme ad altre, può entrare nel cuore della cyberpropaganda pro M5S e diventare un caso di scuola. Nella memoria difensiva per una nuova querela per diffamazione arrivata a Beppe Grillo dal Pd (il blog e tweet diedero sostanzialmente dei corrotti a Renzi e Boschi per Tempa Rossa, i due non furono mai neanche indagati; ora il Pd chiede un milione di danni), gli avvocati del capo del M5S scrivono: Grillo «non è responsabile, quindi non è autore (suo sinonimo), né gestore, né moderatore, né direttore, né provider, né titolare del dominio, del blog, né degli account twitter (corsivi nostri), né dei tweet e facebook, non ha alcun potere di direzione né di controllo sul blog né sugli account twitter, né dei tweet o facebook, e tanto meno di, e su, ciò che ivi viene postato».

 Grillo scarica addosso ad altri eventuali denari da pagare, separandosi da ciò che avviene in suo nome nello spazio cibernetico. Ma addosso a chi? Alla Casaleggio? Al dipendente che gestisce i suoi social? A uomini della comunicazione ufficiale, o dell’Associazione Rousseau? E «gli account», quali sono esattamente? Gli avvocati non usano il singolare (eppure l’account in causa qui è solo quello di Grillo). Usano il plurale.
 
La memoria è firmata da tre legali, Enrico Grillo, Guido Torre, Michele Camboni. Il primo è il nipote di Beppe e, soprattutto, è tra i firmatari (assieme al comico e Enrico Maria Nadasi) di un atto storico, il cosiddetto statuto di cui il M5S si dovette dotare (nel dicembre 2012 a Cogoleto, vicino a Genova) per evitare, disse il fondatore M5S, di correre il rischio di non potersi presentare alle elezioni. Oggi Grillo dice: «Rispondo solo dei post firmati». Tuttavia in quell’atto fondativo, all’articolo 4, è scritto il contrario: «Giuseppe Grillo, in qualità di titolare effettivo del blog raggiungibile all’indirizzo www.beppegrillo.it (...), mette a disposizione dell’Associazione Movimento cinque stelle la pagina del blog». La conclusione: «Spettano quindi al signor Giuseppe Grillo (...) titolarità e gestione della pagina del blog». Peraltro, nella memoria difensiva attuale Enrico Grillo è difensore di Beppe Grillo; nello «statuto» del M5S è, circostanza mai smentita, vicepresidente M5S. Nella pagina del blog, invece, sta scritto che Grillo è titolare per la privacy, e la Casaleggio è titolare del trattamento dei dati. L’intestatario formale è (cosa nota) tale Emanuele Bottaro.
 
È un sistema che rende difficile, ma non impossibile, accertare responsabilità di testi, e favorisce le anonimizzazioni; facebook e account su twitter pongono più problemi di individuazione. Oggi gli avvocati di Grillo scrivono anche (al punto D): «Orbene, il blog citato dall’attore (...) è gestito dalla Casaleggio Associati srl, e non da Giuseppe Grillo». Grillo ci sta dicendo, insomma: prendetevela con ciò che avviene in Casaleggio? Sarebbe la rottura di un vecchio patto che aveva; ma con Gianroberto; non con Davide.
 
Marco Canestrari, ex di quell'azienda, spiega: «ll blog è il centro di un progetto di cui Grillo non è ideatore né amministratore, ma testimonial. Per un po’ Grillo è stato tenuto al corrente delle iniziative della Casaleggio. Poi si è solo fidato. Ora non lo riguardano. O così vorrebbe. In diverse circostanze, il ruolo di chi si offre di accollarsi determinati oneri è detto “prestanome”».
 
Gianroberto Casaleggio - al Fatto che gli chiedeva «quanti post del blog sono suoi e quanti di Grillo?» - rispose: «Sono tutti nostri. Ci sentiamo sei-sette volte al giorno per concordarli, poi io o un mio collaboratore li scriviamo, lui li rilegge. E vanno in rete». Scomparso lui, cosa è successo? Mesi dopo la sua morte, con lo spettro di dover pagare tanti risarcimenti danni, Grillo si sta separando dall’azienda, e dalla cyberpropaganda pro M5S?
 
La causa, contrariamente agli alternative facts esposti ieri sul blog, è in piedi. È stata solo riassunta da Genova a Roma, da qui a tre mesi.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/16/italia/politica/lo-statuto-ms-inchioda-grillo-titolare-e-gestore-del-blog-qsxMd8e28cDQpU1a9E0vtJ/pagina.html
5396  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. Dall’Olanda alla Francia, dalla Grecia alla Spagna, il carisma... inserito:: Marzo 16, 2017, 12:33:51 pm
Dall’Olanda alla Francia, dalla Grecia alla Spagna, il carisma perduto della sinistra europea
Nel risultato delle elezioni olandesi c’è un dato che interpella la sinistra europea e la sua crescente difficoltà a interpretare le istanze progressiste e anti-populiste.
Come mai?


Pubblicato il 16/03/2017 - Ultima modifica il 16/03/2017 alle ore 10:35

FABIO MARTINI
Nel risultato delle elezioni olandesi c’è un dato che interpella la sinistra europea e la sua crescente difficoltà ad interpretare le istanze progressiste e anti-populiste. Una delle sorprese del voto olandese si chiama Jesse Klaver: 30 anni, padre di origine marocchina, madre metà olandese e metà indonesiana. Europeista, Klaver quadruplica i voti dei suoi Verdi, che diventano la prima forza progressista in Olanda, grazie allo slogan «Voglio indietro la mia Olanda». Quindi un’Olanda più tollerante, ma anche attenta ai valori sociali, un tempo salvaguardati, lì e altrove, dai socialisti. 

Anche in altri grandi Paesi europei i socialisti arrancano. In Francia quasi certamente non arriveranno al ballottaggio alle Presidenziali in programma a cavallo tra aprile e maggio; in Spagna il vecchio e glorioso Psoe, reduce da ripetuti ridimensionamenti elettorali, è costretto a far da stampella esterna al governo di Mariano Rajoy; in Italia il Pd, che era alle ultime elezioni europee del 2014, il primo partito dell’Unione, si è frantumato; in Grecia, oramai da anni il Pasok dei Papandreu è stato spazzato via dall’effetto-Tsipras; nel Regno Unito la leadership radicale di Jeremy Corbin resiste ma senza prospettive a breve di riscatto; in Austria l’alternativa ai populisti è stata incarnata, non dai socialisti (anche lì eredi di una solida tradizione) ma da un presidente Verde. 
 
L’unico Paese nel quale la tradizione socialdemocratica fa segnare un risveglio è la Germania dove l’apparizione sulla scena di Martin Schulz ha riportato la Spd su livelli competitivi rispetto alla Cdu di Angela Merkel. Un’eccezione spiegata da un mix – la “novità” in Germania della figura di Schulz e il richiamo a valori più tradizionali del partito – che al tempo stesso indica l’importanza di leadership credibili. Da questo punto di vista è eloquente l’abisso di carisma che separa i leader forti del socialismo europeo degli anni Ottanta-Novanta (Brandt, Mitterrand, Gonzalez, Soares, Palme, Craxi, Blair, Papandreu, fino a Gerard Schroeder) e quelli attuali. Ma la vicenda olandese fa capire che l’interclassismo popolare del socialismo tradizionale non basta più e altre forze, almeno per ora, sono più attrezzate nell’intercettare valori immateriali da contrapporre a quelli delle forze populiste.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/16/esteri/dallolanda-alla-francia-dalla-grecia-alla-spagna-il-carisma-perduto-della-sinistra-europea-TT263BeE0EiH7vgfqjIphI/pagina.html
5397  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / FILIPPO FEMIA. Olanda, i populisti non sfondano. Rutte sbarra la strada a Wilder inserito:: Marzo 16, 2017, 12:30:22 pm
Olanda, i populisti non sfondano. Rutte sbarra la strada a Wilders
Vittoria dei liberali, delusione per gli xenofobi. Bene i Verdi, intercettano la protesta. Il leader: “La gente ci ha dato fiducia”. Il rivale: “Non ti sei ancora liberato di me”

Pubblicato il 16/03/2017

FILIPPO FEMIA

Il temuto tsunami populista non c’è stato e l’Europa può tirare un sospiro di sollievo. I liberali di Rutte (Vvd) si avviano a vincere le elezioni olandesi con un largo vantaggio e allontanano l’incubo Wilders. «Gli elettori ci hanno dato ancora fiducia», hanno esultato dallo staff del premier che cercava il terzo mandato di fila. 

Gli ultimi exit poll di ieri sera davano il Vvd in testa con un largo margine (31 seggi). Il Partito della Libertà (Pvv) del leader xenofobo e anti Ue si è invece fermato al secondo posto insieme ai cristiano democratici (Cda) e ai progressisti di Democraten 66, tutti e tre a 19 seggi. Wilders ha comunque provato a mostrare il bicchiere mezzo pieno: «Abbiamo guadagnato quattro seggi, il primo obiettivo è raggiunto. E Rutte non mi ha fatto fuori». 
 
Boom dei verdi di GroenLinks, che ottengono 16 seggi (12 in più rispetto a cinque anni fa) mentre il vero sconfitto è il Labour (PvdA), che governava in coalizione con Rutte forte di 38 seggi: il partito del presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem è crollato a 9. In tutto la compagine di governo ha lasciato sul terreno 38 deputati, la stragrande maggioranza proprio laburisti. Il sistema proporzionale puro olandese senza sbarramento - basta lo 0,67% per ottenere un seggio - impone ora un governo di coalizione di quattro o cinque partiti. Ma tutti, alla vigilia, avevano già escluso alleanze con Wilders.
 
Altissima l’affluenza (82%), di sette punti più alta del 2012 e vicina al record assoluto del 1977 (88%). In tutto il Paese c’erano novemila seggi, alcuni ospitati in location singolari: come il drive-in di Zuidplas (nord di Rotterdam) o l’isola disabitata sul lago Markermeer. Fin dalla mattinata di ieri i seggi sono stati presi d’assalto, con centinaia di persone in coda nelle principali città: donne con il velo, giovani studenti e sostenitori di Wilders con la scritta «Nexit» sulla maglietta arancione, a evocare il divorzio dall’Ue, che ora è scongiurato. Ma ieri il leader anti Islam aveva comunque avvisato Olanda ed Europa davanti a taccuini e cameramen di mezzo mondo: «Qualunque sarà il risultato, il genio non tornerà nella lampada. Questa rivoluzione patriottica non si fermerà». 
 
Per esprimere il voto sulla «scheda-lenzuolo» - 28 partiti in corsa per un totale di 1116 candidati - è stata usata una matita rossa. Le schede elettroniche e il conteggio digitale sono state accantonate per dribblare il rischio hacker. Si è andati avanti con la conta manuale fino a tarda serata, ma già il primo exit poll aveva indicato una tendenza netta ribadita poi dalla rilevazioni delle 22. 
 
Il primo round sulla tenuta dell’Europa mette insomma un argine ai populisti che puntano a picconare l’Ue. Il premier Rutte aveva paragonato il voto olandese a un quarto di finale degli Europei, un mese prima delle semifinali in Francia (si vota il 23 aprile) e della finale in Germania (elezioni il 24 settembre). Ora bisogna attendere le altre «partite».
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/16/esteri/olanda-i-populisti-non-sfondano-rutte-sbarra-la-strada-a-wilders-6Ava6u0cTpisa0bGrADO7M/pagina.html
5398  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / UGO MAGRI Il “giallo” della legge elettorale che sembra scomparsa nel nulla inserito:: Marzo 16, 2017, 12:28:47 pm
Il “giallo” della legge elettorale che sembra scomparsa nel nulla
Le opposizioni accusano: «È il Pd che adesso vuole rinviare»

Pubblicato il 16/03/2017 - Ultima modifica il 16/03/2017 alle ore 10:08

UGO MAGRI
ROMA

Sembrava una questione di giorni, anzi di ore: illustri personalità di governo sostenevano che rifare la legge elettorale (bocciata a gennaio dalla Consulta) sarebbe stato un gioco da ragazzi, e saremmo tornati alle urne al massimo entro maggio. Era stato perfino annunciato un ruolino di marcia parecchio stringente, con l'esame in commissione alla Camera concentrato in febbraio e l'esame dell'aula ai primi giorni di marzo. Chi osava sollevare dubbi, veniva tacciato di scarsa fede nella determinazione di Renzi, al quale premeva tornare alle urne, unita a quella di Salvini e di Grillo. Metà marzo però è già passata, e della nuova legge elettorale ancora non si vede traccia. L'approdo in aula è stato prudentemente rinviato al giorno 27, ma tutti i segnali portano a credere che nemmeno tra 10 giorni la «deadline» verrà rispettata. Che cosa sta succedendo?
 
L'ordine di frenare 
La spiegazione più banale punta l'indice contro le lungaggini del Parlamento, in particolare della commissione Affari costituzionali dove le proposte di modifica si sono moltiplicate, siamo ben oltre la ventina. Esaminarle a una a una richiede il suo tempo. Tra l'altro, fa notare il presidente Andrea Mazziotti, non è che i commissari stiano lì a girarsi i pollici: devono dare la precedenza a una folla di decreti legge che altrimenti andrebbero a scadenza, con ricadute negative. E poi, ecco il vero nodo, nessuno più spinge per fare di corsa. Semmai, il rovescio. Fonti assolutamente credibili fanno sapere che l'ordine di frenare è partito proprio dal quartier generale renziano. Il messaggio è stato recapitato alle principali opposizioni. Forza Italia, che sarebbe stata disponibile a trovare un compromesso anche subito, purché su base proporzionale, si è messa il cuore in pace: «Non è ancora il momento», sussurra agli amici il capogruppo al Senato, Paolo Romani. E Danilo Toninelli, che segue la pratica per conto dei Cinquestelle, la mette così: «Renzi vuole vedere anzitutto come vanno le sue primarie, convocate il 30 aprile. E poi si regolerà sulla legge elettorale, a seconda del risultato».
 
Normativa confusa 
Nell'attesa del chiarimento Pd, si moltiplicano i dubbi circa la possibilità di tornare alle urne con la legge che c'è. Proprio ieri il ministro dell'Interno Domenico Minniti, con l'aria di chi vorrebbe spianare la strada alle elezioni, ha infilato una ulteriore zeppa nel meccanismo spiegano durante il «question time» che «in via interpretativa, e pur con la necessità di fare ulteriori approfondimenti, si può dire che sussista la possibilità di presentare coalizioni al Senato su base regionale». Occhio alle mani avanti del ministro: «in via interpretativa», «con ulteriori approfondimenti», «si può dire» ... Significa che la normativa attuale è confusa, non offre alcuna vera certezza, e senza una nuova legge fatta per bene sarebbe un azzardo andare a votare.

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5399  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / UGO MAGRI Lotti si salva grazie anche a Verdini Bocciata la mozione ... inserito:: Marzo 16, 2017, 12:27:40 pm
Lotti si salva grazie anche a Verdini
Bocciata la mozione presentata dai Cinque Stelle.
Ma il voto di Ala imbarazza il Pd.
Il ministro interviene in aula e contrattacca: “Si vuole colpire una stagione politica”

Pubblicato il 16/03/2017

UGO MAGRI
ROMA

La mozione grillina contro Luca Lotti non ha travolto il ministro, come era facile scommettere. Il braccio destro di Renzi ha raccolto al Senato perfino più fiducia di quanta ne potesse desiderare: 161 voti, oltre la maggioranza assoluta, solo 52 sì. Se fossero stati 14 sostenitori in meno non gli sarebbe dispiaciuto. Il Pd infatti ha tentato di convincere i verdiniani che del loro apporto non ci sarebbe stato bisogno, dunque meglio avrebbero fatto a scomparire per ragioni estetiche (Verdini si è ritagliato un ruolo pure nella vicenda Consip). Ma è stato tutto inutile: invece di uscire dall’aula, come ha fatto Forza Italia nel nome del garantismo, il gruppo di Ala ha manifestato aperto sostegno al titolare dello Sport, che si è difeso nel suo discorso con passione, respingendo l’accusa di avere messo sul chi vive gli indagati. Porterà in Tribunale chi lo ha calunniato, promette. Proprio ieri suo figlio ha compiuto 4 anni, e difendersi in Senato (ha voluto far intendere) non è stato il modo migliore per festeggiare.

Lo scontro con Gotor
Chi s’immagina un duello vibrante, gonfio di pathos e dai toni elevati, sbaglia di grosso. Gentiloni non c’era perché impegnato a Pistoia «Capitale della cultura». Idem la Boschi. Padoan si è affacciato all’inizio ma poi, evidentemente, aveva altro da fare. Emiciclo pieno, molti sguardi per la ministra Lorenzin con spolverino giallo, per la Cirinnà tutta in rossa, per la Pelino borchiata d’oro. Proteste e ironie dai banchi Pd quando la grillina Taverna ha tirato in ballo le indennità che i senatori perderebbero se cadesse il governo. I Cinquestelle hanno messo a segno alcuni colpi facili, ma pure loro ne hanno incassati per via della Raggi, del loro codice etico e delle disgrazie penali di Grillo, che Lotti si è spinto a bollare come «un pregiudicato» (sui banchi M5S qualcuno faceva gestacci del tipo «dopo vengo e ti sistemo io»). Si è celebrato il trionfo dell’ipocrisia, Pd e M5S impegnati a rinfacciarsi la doppia morale del giustizialismo nei confronti degli avversari, e del garantismo peloso quando i pm indagano gli amici. Per cui a conti fatti non è semplice stabilire chi le abbia buscate di più. Idem per quanto riguarda l’altro duello pieno di rancore tra il Pd e quelli che se ne sono appena andati.
Tra Pacciani e Cutugno
Come se mai fossero stati insieme nello stesso partito, il bersaniano Gotor ha consigliato a Lotti di dimettersi, o perlomeno di restituire le deleghe in campo economico. L’attacco è stato condito con velenosi riferimenti al «familismo amorale» renziano, al «groviglio di potere» cresciuto a Rignano sull’Arno, al «giro tosco-fiorentino degli “amici miei” in salsa governativa» (i leghisti, meno raffinati, hanno evocato addirittura il Mostro di Firenze). Mentre Gotor parlava, dai banchi del governo partivano sguardi carichi di odio verso l’esponente di Mdp. Ha provveduto più tardi Marcucci a bastonarlo, denunciandone «lo spirito vendicativo, provocatorio, insoddisfatto e minaccioso». Ma tanto è bastato per scatenare l’ironia di Gasparri, berlusconiano. «Eravate venuti da Firenze a miracol mostrare», si è rivolto ai renziani, «ma non avete innovato un bel tubo. Benvenuti nell’Italia di Toto Cutugno». 

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5400  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / CARMELO LOPAPA - Bufera su Grillo: "Io rispondo solo dei miei post". inserito:: Marzo 16, 2017, 12:25:58 pm
Bufera su Grillo: "Io rispondo solo dei miei post".
L'esperto: "Sistema nasconde la titolarità del blog"
La titolarità distinta dalla responsabilità, uno sconosciuto modenese effettivo proprietario, il ruolo della Casaleggio Associati e dell'Associazione Rousseau.
Il gioco di "schermi" visto dall'esperto di diritto delle nuove tecnologie Guido Scorza


Di CARMELO LOPAPA
15 marzo 2017

ROMA – Beppe Grillo gioca a nascondino. E non da ora. Almeno dal 2012 tutte le denunce per calunnia e le querele per diffamazione rimbalzano contro un sistema di scatole cinesi destinate a creare confusione, nella migliore delle ipotesi. A schermare l’effettiva titolarità del Blog, a voler pensare male. Sta di fatto che individuare la reale titolarità della pagina web tra le più cliccate e politicamente attive d’Italia è un po’ come «andare alla ricerca del Sacro Graal», per dirla con l’avvocato Guido Scorza, uno dei massimi esperti di diritto delle nuove tecnologie, sulla scia della vicenda portata alla luce dal tesoriere Pd Francesco Bonifazi con la querela seguita alle pesanti accuse rivolte al partito per la vicenda petrolio e ministro Guidi di un anno fa. Col conseguente muro opposto dal capo dei Cinque Stelle e dai suoi avvocati che hanno "contestato la riconducibilità ad esso del blog", come si legge nella loro difesa.

Grillo, attraverso la stessa pagina, in queste ore si difende: "Il Blog beppegrillo.it è una comunità online di lettori, scrittori e attivisti a cui io ho dato vita e che ospita sia i miei interventi sia quelli di altre persone che gratuitamente offrono contributi. Il pezzo oggetto della querela del Pd - scrive - era un post non firmato, perciò non direttamente riconducibile al sottoscritto. I post di cui io sono direttamente responsabile sono quelli, come questo, che riportano la mia firma in calce". Dunque per il leader "nessuno scandalo, nessuna novità. Se non il rosicamento del Pd per aver per il momento perso la causa, cosa che Bonifazi ha scordato di dire. Nessuna diffamazione. Nessun insulto. Semplice informazione libera in rete. Maalox?" Da sinistra a destra lo prendono di mira. "Quindi chi decide? Ridicoli e inquietanti", attacca il presidente Pd Matteo Orfini su Twitter, "vigliacco e bugiardo", rincara Bonifazi. "Beppe Grillo non esiste, verrebbe da dire, ormai siamo al trash", dice Stefano Maullu di Fi.


Il blog come fosse una community, dunque, in cui lui il capo dirige soltanto il traffico. Ma è realmente così? La vicenda è solo l’ultima. E quella che a differenza di altre è emersa dall’anonimato. Primo indizio. Il registro nazionale dei nomi a dominio ("Whois") dice che il dominio non fa capo in effetti al comico. «E' almeno dal 2012 che la contraddizione è esplosa», racconta l’avvocato Scorza. «Cinque anni fa, un analogo processo si è tenuto a Modena perché è emerso che il sito è intestato allo sconosciuto signor Emanuele Bottaro, residente a Modena, almeno stando a whois.net». In quell’occasione, guarda caso, a difendere davanti ai giudici il signor Bottaro è stato l’avvocato del foro di Genova Enrico Grillo, cugino del più noto Giuseppe.
 
Il secondo indizio porta al titolare dei diritti d’autore della pagina “Beppegrillo.it”. Ebbene il soggetto che imputa a sé quei diritti è la Casaleggio Associati. «Una eventuale azione risarcitoria non investe necessariamente il titolare di quei diritti, ovvero dei credits, come si dice in gergo – spiega Scorza – Ma a è pur vero che il titolare dei credits sta al blog come l’editore a un giornale". Ecco il secondo passaggio. Non è detto che il gestore dei diritti d'autore debba rispondere di tutti i contenuti pubblicati on line sul sito.
 
Terza scatola. Quella che porta alla policy privacy. Basta cliccare sull’omonimo link della pagina del leader Cinque Stelle per scoprire chi sia il “titolare del trattamento” del blog, il deus ex machina, diremmo: è lui. Ma quella titolarità Grillo la delega in qualche modo, anche qui, a Davide e alla società ereditata dal padre. "Titolare del trattamento ai sensi della normativa vigente è Beppe Grillo - si legge sul blog - mentre il responsabile del trattamento dei dati è Casaleggio Associati srl, con sede in Milano, Via Morone n.6". Come se non bastasse, entra in gioco un terzo soggetto: l’Associazione Rousseau. Chiamata in causa con una contorsione anche grammaticalmente complicata, forse non a caso. «I dati acquisiti – si legge infatti - verranno condivisi con il "Blog delle Stelle" e, dunque, comunicati alla Associazione Rousseau, con sede in Milano, Via G. Morone n.6 che ne è titolare e ne cura i contenuti la quale, in persona del suo Presidente pro-tempore, assume la veste di titolare del trattamento per quanto concerne l'impiego dei dati stessi".
 
Un labirinto, insomma, all’interno del quale anche i più esperti fanno fatica a districarsi. "Questo della policy privacy è un altro elemento che non fa chiarezza ma aggiunge confusione perché in genere il titolare del trattamento dei dati personali è anche il gestore del sito internet", spiega l’avvocato Scorza. "Per altro quest’ultimo passaggio supporta la tesi secondo cui in un modo o in un altro il gestore del sito internet sia proprio Beppe Grillo. Più che di scatole cinesi, una dentro l’altra, in questo caso sembra piuttosto che le scatole siano state poste una accanto all’altra quasi a creare un labirinto, appunto».
 
Non appena è esploso il caso, il deputato renziano del Pd Ernesto Carbone ha pubblicato via Twitter uno stralcio del documento con cui Beppe Grillo, dopo fughe, strappi e polemiche interne aveva rivendicato la sua esclusiva potestà del sito, pur concedendo una pagina interna al Movimento. «Giuseppe Grillo, in qualità di titolare effettivo del blog raggiungibile dall’indirizzo www.beppegrillo.it, nonché di titolare esclusivo del contrassegno di cui sopra, mette a disposizione della costituita Associazione la pagina del blog www.beppegrillo.it/movimento5stelle. Spettano dunque al Signor Giuseppe Grillo titolarità, gestione e tutela del contrassegno, titolarità e gestione della pagina de blog».
 
Sembrerebbe la rivendicazione autografata dal diretto interessato. I suoi avvocati, di fronte all’ennesima querela però, dicono ora che non è. Sarà un giudice – una volta per tutte - a scoprire e rivelare chi si nasconda realmente dietro le scatole. 

© Riproduzione riservata 15 marzo 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/03/15/news/quel_sistema_di_scatole_cinesi_che_nasconde_la_titolarita_del_blog_di_grillo_sembra_costruito_per_proteggerlo_in_giudizio_-160594877/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P4-S1.8-T1
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