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5371  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FEDERICO GEREMICCA - Matteo combattivo e ottimista. La scommessa è convincere... inserito:: Marzo 16, 2017, 05:40:08 pm
Matteo combattivo e ottimista. La scommessa è convincere il Pd
Il ritorno dopo la sconfitta. Parole d’ordine: Europa diversa e sinistra unita. L’attacco ai fuoriusciti: “Vogliamo un partito di eredi, non di reduci”

Pubblicato il 11/03/2017 - Ultima modifica il 11/03/2017 alle ore 08:30

FEDERICO GEREMICCA
TORINO

Ripartire dal Lingotto, nell’anno di grazia 2017, è come decidere di scrivere un libro con la mitica «Lettera 22»: una Olivetti di mezzo secolo fa, e anche più. E farlo in una sala che di rosso ha solo il foulard di qualche signora e con un discorso che resterà alle cronache per la riscoperta (a sinistra!) della parola «patriottismo», rappresenta qualcosa che somiglia più a un azzardo che a una pericolosissima scommessa. Ma Matteo Renzi ha deciso di lanciare la sua corsa alla segreteria del Pd precisamente così: in perfetta adesione ad uno stile (disastrosamente sperimentato col referendum) che non conosce pause e - tanto meno - dietrofront. 
 
E gli aspetti scenografici e letterali sono il meno: perché l’ancor più difficile è nei compiti - e nei fronti di battaglia - che Renzi affida al partito di cui vuol tornare segretario: la lotta alla paura, che è la miglior benzina dei nuovi leader (da Trump alla Le Pen, fino a Grillo e Salvini); quella all’euroburocrazia, per difendere la migliore idea politica del secolo passato (l’Unione, appunto).
 
E l’impegno a rilanciare le eccellenze italiane: dal patrimonio culturale alle bellezze del Paese, fino a un’assistenza sanitaria che non ha uguali (meglio: non avrebbe uguali) nel resto del pianeta.
 
Se mettiamo in fila gli obiettivi che Renzi assegna al «suo» Pd, non può esserci dubbio: è il programma, praticamente, di un visionario. O di un leader fermo a dieci anni fa: Lingotto 2007, appunto, il tempo e il tempio della grande innovazione veltroniana. Ma sono passati due lustri, il mondo, la politica e l’Italia sono cambiati e ripartire semplicemente dal Lingotto - e con gli obiettivi che dicevamo - è come provare a fare il giro del mondo controvento in barca a vela: avventura che solo a pochissimi è riuscita.
 
Il giudizio su Matteo del popolo del Lingotto: “La sconfitta ha fatto bene”

 
A fronte delle ricette classicamente socialdemocratiche di Andrea Orlando e del «grillismo temperato» di Michele Emiliano, il Lingotto 2.0 di Renzi sembra - a prima vista - il ritorno ad un passato spazzato via dagli eventi di questi anni. Una operazione politica fuori tempo. Un decennio fa si veleggiava sulla spinta del maggioritario: oggi, al contrario, il ritorno al proporzionale sembra un Vangelo. Nel 2007 si fondevano partiti (a destra e a sinistra): dal dopo-referendum, invece, il panorama è fatto di scissioni e partitini che si moltiplicano. Ai tempi del Lingotto prima maniera, Beppe Grillo era un comico, le migrazioni un fenomeno che commuoveva e la paura (il senso di insicurezza) un sentimento ancora arginabile con la ragione.
 
Tutto incontestabilmente vero. Ma la domanda è: ci si può rassegnare al ritorno della Prima Repubblica (con i suoi storici guai, che si finge di non ricordare)? Si può dire a cuor leggero addio all’Europa, buttando alle ortiche decenni di progressi e di speranze? E infine: è giusto accettare che un sentimento di paura (irresponsabilmente alimentato) travolga modi di vivere e politica, rapporti personali e scelte di governo?
 
La risposta che Matteo Renzi propone al suo Pd è no: resta da vedere - ed è questa la partita delle primarie - se le ricette che l’ex premier propone siano quelle giuste. E se è ancora lui il leader adatto a realizzarle. Sapendo, naturalmente, che il «rottamatore» non è cambiato: nonostante la batosta subita al referendum. Dice «ci vuole più collegialità nel partito», ma è lecito dubitare che ci creda davvero; promette impegno per rilanciare e meglio strutturare il Pd, ma chissà se lo farà sul serio; e comunque - motivandola - non recede da una idea assai invisa a Orlando ed Emiliano: che il segretario sia anche premier in caso di vittoria alle elezioni, sommando ruoli, responsabilità, forza e potere.
 
E questo, insomma, è il Renzi che parte alla riconquista del Pd e del governo: energia da vendere, di nuovo in piedi, voglia di combattere e ottimismo alla vecchia maniera. I «numi tutelari», però, non sono con lui: Veltroni non c’è, e lo raccontano indeciso su quale candidato sostenere; Romano Prodi pare stia decidendo di schierarsi con Orlando; e D’Alema e Bersani sono già da un’altra parte, con i loro «reduci». «Ma noi vogliamo un partito di eredi, non di reduci», chiarisce Renzi: eredi di quel che di meglio ha prodotto il Pd. Con buona pace di chi ha dubbi, di chi è contrario e di chi già è andato via.
 
Si vedrà quanto convincente risulterà questo Renzi vecchio e nuovo assieme. E convincente non solo per il «popolo delle primarie» - che i sondaggi danno in maggioranza con lui - ma per gli italiani tutti, quando saranno chiamati finalmente a scegliere a chi affidare le sorti di questo Paese.
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/11/italia/politica/matteo-combattivo-e-ottimista-la-scommessa-convincere-il-pd-nIgLAqkdMgAIqEcrqNHYiL/pagina.html
5372  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. Il vero obiettivo di Pisapia: federare tutti i progressisti che.. inserito:: Marzo 16, 2017, 05:38:49 pm

Il vero obiettivo di Pisapia: federare tutti i progressisti che non stanno con Renzi
Prodi, Bersani e Cuperlo seguono con simpatia il battesimo del Movimento dell’ex sindaco, che si rivolge ai tanti elettori “senza casa”
Pubblicato il 10/03/2017 - Ultima modifica il 10/03/2017 alle ore 14:06

Fabio Martini

Nel Brancaccio, il grande teatro romano che dopo la caduta del fascismo ospitò i primi, memorabili comizi di Alcide De Gasperi, Pietro Nenni e Palmiro Togliatti, sabato 11 marzo prende il via un’operazione politica molto più ambiziosa di quanto finora sia apparso: l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia battezza il suo “Campo progressista”, un movimento che intende rivolgersi a quell’elettorato di centro-sinistra che nel passato ha seguito con speranza le vicende dell’Ulivo e del primo Pd, ma che ora si sente senza “casa”. L’obiettivo, non dichiarabile in modo esplicito, è quello di dar vita ad una “fusione” calda tra ambienti e tradizioni culturali che in gran parte si erano ritrovati nel progetto originario del Pd (e anche alla sua sinistra) e che in questa fase faticano a ritrovarsi sia in Matteo Renzi che negli scissionisti di Bersani.

A Pisapia guardano con simpatia, grazie a contatti informali, personaggi diversi ma non distanti tra loro come Romano Prodi, Pierlugi Bersani, Gianni Cuperlo, Susanna Camusso. Con una idea che potrebbe prendere corpo: fare di Pisapia il federatore di tutta l’area progressista che non si riconosce in Matteo Renzi. E infatti alla manifestazione del Brancaccio, Pisapia ha invitato personalità che appartengono ad aree diverse: prodiani (come Sandra Zampa e Franco Monaco), democratici del Pd (come il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti che parlerà), democratici-progressisti, come Roberto Speranza, mentre tra i consiglieri di Pisapia c’è Bruno Tabacci, già assessore della giunta milanese e già presidente della Regione Lombardia quando apparteneva alla sinistra Dc.

Ma la parola d’ordine di Pisapia sarà «autonomia», un bene che l’ex sindaco ritiene prezioso, soprattutto nei confronti dei soggetti più strutturati che si collocano alla sinistra del Pd ma anche dentro al partito di Renzi. Alla manifestazione parlerà soltanto Pisapia, ben consapevole di potersi giocare tre carte: pur non essendo “nuovo”, l’ex sindaco di Milano è l’unico personaggio a sinistra non usurato; è personalmente inattaccabile. Ma soprattutto - e questo è il suo vero asso - il modello Milano si è rivelato l’unico concorrenziale rispetto alla predicazione dei Cinque Stelle, nella città meneghina confinati ad un 10% che li rende politicamente e culturalmente marginali.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/10/italia/politica/il-vero-obiettivo-di-pisapia-federare-tutti-i-progressisti-che-non-stanno-con-renzi-pzPkeskPSKiYjvqqVSWI0O/pagina.html
5373  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MASSIMO FRANCO IL FUTURO DEI DEMOCRATICI Il rischio di chiudersi e di dividersi inserito:: Marzo 16, 2017, 05:35:18 pm
IL FUTURO DEI DEMOCRATICI
Il rischio di chiudersi e di dividersi ancora

Il Lingotto di Torino ha rispecchiato lo sforzo di un Pd che tenta di aprirsi ai problemi dell’Italia ma sembra condannato a scaricare all’esterno le contraddizioni e i limiti della propria azione

Di Massimo Franco

Il Lingotto di Torino ieri è stato il palcoscenico della metamorfosi del Pd, prima ancora che del suo rilancio. Ha rispecchiato lo sforzo di un partito che tenta di aprirsi ai problemi dell’Italia ma sembra condannato a scaricare all’esterno le contraddizioni e i limiti della propria azione; e a far coincidere la propria identità e la propria strategia con quella di un leader colpito dalla sconfitta referendaria del 4 dicembre, eppure tuttora insostituibile e vincente: almeno all’interno dei giochi congressuali. Il risultato, almeno per quanto si sta vedendo, è quello di una cavalcata senza ripensamenti del segretario uscente. L’ambizione, lodevole, rimane quella di discutere di tutto, di <fare le pulci> agli ultimi tre anni, e di iniettare un po’ di collegialità nelle decisioni. Ma è difficile che sia soddisfatta pienamente.
Le parole dette ieri pomeriggio da Matteo Renzi tendono a riproporre la vittoria ormai lontana alle Europee del 2014 come biglietto da visita. Attaccano il Pd dei predecessori, da Walter Veltroni a Pierluigi Bersani, teorici del <partito leggero> e del <partito pesante>, opposto al renziano <partito pensante>. Il tentativo è di riscrivere la storia politica recente liquidando anche i predecessori a Palazzo Chigi come subalterni a un’Unione europea tratteggiata con severità: in parte una conseguenza dell’amarezza per il peggioramento dei rapporti con la Commissione negli ultimi mesi dell’ex premier al governo.
Ne viene fuori un’analisi molto orgogliosa e avara di spunti autocritici: forse perché altrimenti obbligherebbe a una disamina impietosa degli errori commessi. Ma è un approccio comprensibile: una nomenklatura sulla difensiva, proiettata sulle elezioni amministrative di primavera e su quelle politiche del 2018, non può concedere più di tanto agli avversari.
Dovrebbe rivoluzionare la propria strategia, mentre finora lo schema è stato quello della «linea giusta» guastata da qualche errore e dall’ostilità della minoranza. Per questo, è bene seguire la tre giorni torinese con occhi freddi; e capire che si inizia un’altra fase di passaggio, per il Pd. Bisogna dunque contemplare la possibilità di assistere a un dibattito calibrato sul «modello Leopolda»: su logiche di adesione quasi acritica alle indicazioni del leader. Non bastano i «tavoli di lavoro» sugli argomenti più disparati e suggestivi a cancellare questa sensazione di fedeltà a una politica che non consente deviazioni.
È possibile perfino un indurimento di fronte alle critiche, dal momento che secondo Renzi «chi spara contro il Pd indebolisce l’argine del sistema democratico». Che il partito di maggioranza lo sia è indubbio. Ma la scissione e la difficoltà a capire quanto è accaduto col referendum, e l’appoggio altalenante a Paolo Gentiloni e al suo governo, rischiano di infragilire questo argine: sebbene ieri l’appoggio al premier sia apparso più convinto e determinato del solito. Per il momento in cui cade la kermesse renziana, non si può chiedere molto di più.
La frattura tra i Dem, le inchieste della magistratura che lambiscono la cerchia dell’ex premier, l’asprezza della discussione con gli altri due candidati alla segreteria, non sono le premesse ottimali di un dibattito aperto. Quasi per forza di inerzia non può che prevalere il «serriamo le fila», e un attacco agli avversari comprensibile per la fase convulsa che il renzismo vive. Risultato: più che un’«Arca di Noè» inclusiva e aperta, si delinea un Pd incline a imitare la «testuggine romana». Si tratta di una formazione di fanti magari non troppo grande ma compatta e pronta alla mischia.
Rimane il dubbio che tutto questo possa ricostruire il ruolo del Pd di qui alle urne come perno politico del Paese. È come se il partito faticasse ancora a vedere quanto negli ultimi mesi gli sia diventato difficile espandersi e attirare elettori; e quanto, invece di unire, rischi di chiudersi a riccio e di dividersi ancora, anche al proprio interno. C’è da sperare in un cambio di passo tale da non farlo diventare terreno di caccia dei movimenti populisti, e serbatoio dell’astensionismo.
Al di là delle parole d’ordine ufficiali, dal Lingotto potrebbe riemergere un Pd che non segue una logica maggioritaria e aggregante. Diventa invece il campione involontario del ritorno al sistema proporzionale, che pure critica. Eppure, Renzi e i suoi non hanno rinunciato all’idea di una vittoria sul Movimento 5 Stelle. Né si può pensare che si preparino solo a arrivare in Parlamento con una forza omogenea e fedele, decisa a trattare e a far pesare i suoi deputati e senatori, tanti o pochi che siano.
Sarebbe ingiusto imputare questo minimalismo a un Renzi tuttora corazzato di certezze. Molti lo hanno assecondato e continuano a seguirlo perché non riescono a vedere un’alternativa, e ritengono che sia l’unico segretario in grado di garantire loro la sopravvivenza, se non nuove vittorie. Il virus della divisione, tuttavia, è insidioso. Sarebbe un dramma se da Torino arrivasse la vulgata che l’unico Pd è quello ubbidiente a Renzi. Significherebbe incubare, presto o tardi, altre fratture; e ridurre la «testuggine romana» a un guscio sottile: in termini di contenuti, prima che di voti. Sicuramente, non è l’obiettivo che il gruppo dirigente si prefigge.

10 marzo 2017 (modifica il 10 marzo 2017 | 21:59)
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Da - http://www.corriere.it/cultura/17_marzo_11/massimo-franco-9e7d34fc-05ce-11e7-882a-48a6b14b49a6.shtml
5374  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi riparte dal Lingotto: “Basta paura, è l’arma... inserito:: Marzo 16, 2017, 05:32:42 pm
Renzi riparte dal Lingotto: “Basta paura, è l’arma elettorale degli altri”
Il favorito alla segreteria del Pd conferma il sostegno a Gentiloni: «Dobbiamo ripartire e rilanciare sugli ideali e i contenuti e restituire una speranza al Paese»

Pubblicato il 10/03/2017 - Ultima modifica il 10/03/2017 alle ore 22:39

FRANCESCA SCHIANCHI
TORINO

“Io ci sono con la forza e l’energia che conoscete, ci sono anche con le mie ferite. Ma ci sono perché ci siete voi”. Esplode la sala in un lungo applauso, sale sul palco il vicesegretario designato Maurizio Martina che non smette di ripetergli “bravo, bravo”: sorride e saluta Matteo Renzi, alla fine del suo discorso di un’ora, ufficialmente ricandidato alla guida del Partito democratico. 

Lo fa dal Lingotto, luogo simbolo per i dem, perché da lì dieci anni fa Walter Veltroni si candidò primo segretario della neonata formazione: e viene spesso citata quell’occasione, ma per dire che “siamo il partito degli eredi, non dei reduci”. Un partito che non abbia “l’atteggiamento di chi sa solo fare polemica e distruggere l’avversario”, che sappia dare “un progetto politico per i prossimi dieci anni” unendolo alla “speranza” e non alla paura, perché “se la paura diventa il collante dell’altra parte dello schieramento noi siamo finiti”, è la “loro arma elettorale”. E sì, anche un partito più collegiale - riconosce una critica che gli è spesso stata fatta, di eccessivo accentramento - a partire dal ticket col ministro di “sinistra” Martina. 
 
Il giudizio su Matteo del popolo del Lingotto: “La sconfitta ha fatto bene”
Un partito “non liquido, non pesante, ma pensante”, capace di tenere aperti i circoli ma anche di muoversi nella rete: per questo lancia una nuova piattaforma che si chiamerà Bob, da Kennedy. Ma anche quelle che lui stesso ribattezza le “Frattocchie 2.0”, una scuola di politica per 200 giovani a partire dall’anno prossimo. Un partito che non ha paura di sdoganare parole considerate tradizionalmente di destra come “identità e patria”, e capace di affezionarsi di nuovo all’Europa. Se “premier tecnici animati da sentimento antipatriottico e anti italiano” - fa un attacco durissimo a Monti, senza nominarlo - “andavano in Europa con la giustificazione, come a scuola”, dando vita a una fase “che ha forse migliorato i conti pubblici, ma disintegrato l’idea di Europa”, ora è tempo di cambiare la Ue, per volerle ancora bene: la sua prima proposta è l’impegno per ottenere l’elezione diretta del presidente della Commissione, e predestinare il candidato socialista attraverso primarie transnazionali. 
 
Saluta gli ex sindaci Chiamparino e Fassino seduti in prima fila e chiama un applauso per la prima cittadina in carica Appendino, ringrazia l’organizzatore Tommaso Nannicini. E chiede un battimani anche per gli sfidanti, Emiliano e Orlando, con cui evita polemiche. “Gli iscritti al Pd sono 420mila, ci sono stati alcuni problemi”, ammette i casi di polemica nel tesseramento, “ma c’è un popolo indomito, appassionato, che non lascia il futuro dei propri figli a chi sa solo lamentarsi”. La platea si scalda, pronta a partire. La sfida del congresso è lanciata.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/10/italia/politica/renzi-riparte-dal-lingotto-basta-paura-larma-elettorale-degli-altri-ZHrrmIC7pkgk7ncbiYHxxL/pagina.html
5375  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Fratoianni: "Voucher da eliminare o limitare. Sinistra metta a centro le persone inserito:: Marzo 16, 2017, 05:31:24 pm
Fratoianni: "Voucher da eliminare o limitare. Sinistra metta a centro le persone"
Il segretario di Sinistra italiana, ospite del videoforum di RepubblicaTv: "Per Lotti votiamo sfiducia perché la vicenda Consip ha riaperto un squarcio sulla questione morale"

15 marzo 2017

ROMA - Diventato segretario di Sinistra italiana da meno di un mese, Nicola Fratoianni, ospite del videoforum di RepubblicaTv, affronta subito la questione delle scissioni, ma soprattutto del problema della Sinistra, che "deve tornare a mettere al centro della politica la vita delle persone".

Sinistra italiana, spiega, è nata da Sel e dai fuoriusciti del Pd "e bisogna avere chiaro da che parte si sta e con chi si sta", chiarisce. E bisogna sapere cosa si fa. "Noi pensiamo di essere un partito, un polo di aggregazione. Proviamo a dire 'voglio stare con chi pensa che il jobs act è una schifezza. Voglio stare con chi pensa che il decreto Minniti è un passo indietro. Se ci aggreghiamo così, la dinamica è più comprensibile anche a chi ci ascolta"

Mozione sfiducia Lotti. Tra le questioni affrontate durante il videoforum, condotto da Massimo Giannini e Laura Pertici, non è mancata la discussione sull'inchiesta Consip e sulla mozione di sfiducia per il ministro dello Sport, Luca Lotti, in esame al Senato: "Votiamo a favore perché pensiamo che la vicenda Consip abbia riaperto la questione morale. L'inchiesta farà il suo corso, ma ci sono due figure di nomina governativa che si contraddicono (Lotti e Marroni, ndr) e il governo non può appoggiarle entrambe". Per quanto riguarda Tiziano Renzi e il 'giglio magico', Fratoianni ritiene che "nella sua stagione Renzi abbia promosso un circuito troppo stretto delle relazioni amicali e territoriali". L'idea di una città, Firenze, che si trasferiva a Roma, è il segno che a un certo punto un pezzo di potere si sposta e occupa un altro pezzo di potere. Quando si è troppo chiusi in una posizione omogenea, non si guardano le sfaccettature", ha detto. "Questa mozione non passerà, ma la politica non deve per forza stare ferma. Separare in modo più netto interessi particolari da quello generale è il modo migliore di fare politica".

In merito alla mozione presentata da Mdp per il ritiro delle delega al ministro dello Sport da parte di Gentiloni, Fratoianni pensa che sia "un equilibrismo: naturalmente la voteremo quando arriverà in Aula, ma mi sembra voler dire: 'vorrei votare l'altra, ma non posso'.  Ecco, quel gruppo è nato per criticare la stagione del renzismo, ma poi difende un governo".

Voucher. Per Fratoianni, i voucher sono diventati "uno strumento di pesante inquinamento e di legalizzazione di rapporti di sfruttamento e schiavitù. Ci misureremo con la proposta del governo, ma fare un decreto solo per disinnescare il referendum, per evitare un altro schiaffo, mi preoccupa. La penso come Camusso: o il governo cancella i voucher, oppure li restringe effettivamente soltanto ad usi iper-ristretti, ad esempio le famiglie". Le prestazioni 'leggere', dice il segretario di Sinistra Italiana, non lo sono affatto: "A volte sono lavori a tutti gli effetti, compresi straordinari, che vengono pagati con un metodo che non è un contratto di lavoro". E non è convincente l'obiezione di chi sostiene che, eliminando i voucher, comunque non aumenterebbero le assunzioni.

Art.18. Sarebbe 'indispensabile', per Fratoianni, reinserire l'articolo 18. "La vicenda va ripresa con forza: il tema della tutela del lavoratore deve per forza essere affrontata di nuovo".

32 ore e paga oraria minima. È una discussione che non nasce ora quella sull'orario di lavoro, il cui dibattito c'è "già stato, ma c'era qualcosa di più. Oggi c'è una piccola porzione di popolazione che lavora sempre di più e un'ampia fascia che non lavora. Penso che bisogna ripensare la ridistribuzione del lavoro per migliorare non solo il profitto, ma anche la qualità della vita che ora è considerato un aspetto marginale", spiega il segretario di Sinistra italiana.

Election day. Fratoianni insiste poi sull'election day: "Accorpare referendum e amministrative si può fare. Risparmiamo 300 milioni di euro. E se pensiamo che uno degli ultimi atti del governo è un taglio di oltre 200 milioni al fondo sociale, possiamo destinare quei 300 milioni risparmiati al fondo sociale?".

Governo Gentiloni. "Il governo Gentiloni è all'interno di una situazione di lungo immobilismo, anche se sta riprendendo alcune attività, ma nella direzione sbagliata. L'Italia è un Paese in cui la disuguaglianza economica aumenta sempre di più. Che fa il governo? La redistribuisce, ma al contrario, con la deflatax. Gli italiani super ricchi tornano e pagano una piccola percentuale, mentre gli operai pagano fino all'ultimo centesimo. È una direzione errata", ha detto.

Convergenze. "A Pisapia dico: 'Non c'è bisogno di aspettare le primarie del Pd, se vince Orlando o no: incontriamoci prima e discutiamo del merito", ha detto Fratoianni, parlando della possibilità di convergenze con altri gruppi. "Chiederò a lui e Speranza di incontrarci e di discutere nel merito, poi si vedrà".

Lega e Salvini. L'ultima domanda ha riguardato gli scontri a Napoli contro la Lega: "Solidarietà a De Magistris, al centro di un attacco concentrico. Quello che è successo alla fine è stato un errore. Quello che fa la Lega Nord e Salvini da troppo tempo ha a che fare con la violenza, il veleno che ogni giorno viene sparso contro chi è 'l'altro', il diverso, è un pericolo per il Paese. Salvini è un razzista e chi continua a propagandare l'idea che è bene sparare non solo per difendere la vita, ma anche perché bisogna difendere anche la merce è un problema". Su questo fronte la Lega è la forza politica peggiore da cui guardarsi, ha proseguito il leader di Sinistra italiana.
 
© Riproduzione riservata 15 marzo 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/03/15/news/videoforum_fratoianni-160611522/
5376  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Il Sistema Sanitario fonte di corruzione e di sprechi assurdi, va messo sotto... inserito:: Marzo 16, 2017, 05:29:22 pm
Il Sistema Sanitario fonte di corruzione e di sprechi assurdi, va messo sotto inchiesta.

Ci si cura male, anche perchè si è stata snaturata la responsabilità del medico di base, che non è più il punto di riferimento per diagnosi certe.

Il suo "spedire" il malato da uno specialista all'altro è inconcludente, è fonte di errori e di sprechi. 


ciaooo
5377  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Mario LAVIA. Lo squadrone della sinistra in questo lungo weekend inserito:: Marzo 16, 2017, 05:27:20 pm
Focus

Mario Lavia - @mariolavia
· 12 marzo 2017

Lo squadrone della sinistra in questo lungo weekend
La svolta del Lingotto: il Pd si riconnette ai cento fiori d Veltroni

Si scherza. Ma non poi tanto. Perché si è capito – anche con una certa sorpresa – che il Pd “largo” non è più il Pd di Matteo Renzi e basta. Matteo Renzi ha scelto (per necessità? Per tardiva convinzione?) di virare: verso il partito-comunità – dizione di matrice cattolica – o se si vuole verso il partito plurale – dizione più laica. Solo giornalisti frettolosi possono scrivere che “non c’è la notizia” e non vedere che siamo entrati nel post-4 dicembre. È più preoccupante che non lo colga Michele Emiliano, che in questo nuovo quadro rischia di apparire come un solitario giustiziere della notte.

Ci si riavvicina dunque al Pd dei cento fiori di ispirazione veltroniana, meno caserma e più aperto alla società; ed è un gran risarcimento morale e politico per Walter Veltroni il teorizzare oggi quello che lui teorizzò dieci anni fa. (E sarebbe l’ora di chiamarlo, Veltroni, non a cariche burocratiche o onorarie, ma per chiedergli semplicemente di fare quello che lui vorrebbe e saprebbe fare. Esempio: perché non dargli carta bianca per costruire un nuovo rapporto con la cultura, con gli intellettuali che finalmente al Lingotto sono apparsi in carne e ossa – Magatti, Fabbrini, Vacca, Recalcati?).

Già, perché ci si è accorti che bisogna rifare i conti con l’egemonia, perché, come ha ammonito Panebianco e come sappiamo tutti per esperienza di vita, è proprio questo il terreno su cui stanno vincendo le due destre, grillini e sovranisti. E non basterà la piattaforma Bob e la Frattocchie 2.0 (così come non bastava la Frattocchie 1.0). Eppure il ritorno di una “questione degli intellettuali” chiamati non a suonare il piffero della rivoluzione ma a farsi carico della salvezza della democrazia è una buona notizia, specie se seguiranno i fatti.

Renzi dunque non è più il capo del Giglio magico ma si candida a leader di un partito complesso. Un partito che nel suo gruppo dirigente reale è già cambiato: Maurizio Martina ne è l’emblema. Incarna il renzismo dal volto umano – se si passa un po’ d’ironia – consapevole delle radici ma da quelle radici ormai lontano. Vengono avanti “esperti” come Tommaso Nannicini, il regista del Lingotto, o grandi figure “sociali” come Teresa Bellanova; viene fuori l’enorme popolarità di Paolo Gentiloni, la stima per Marco Minniti, l’energia di Matteo Richetti. E di tanti altri.

Ora, se – come insegnava Paolo Spriano – la storia di un partito è la storia dei suoi gruppi dirigenti, c’è da concluderne che il Lingotto 17 stata una po’ una svolta proprio perché c’è in campo una nuova tensione unitaria nel nuovo gruppo dirigente, che si innesta e non scalza il vecchio: quello che si sintetizza con la frase che si è passati dall’io al noi.

Si è spostato a sinistra, il Pd del Lingotto? Sì, ma è anche un’illusione ottica. Nel senso che il Pd del Lingotto di Veltroni era molto di sinistra, malgrado una certa vulgata gruppettara e radical chic dicesse il contrario: come se rifarsi a Palme e a Bobbio fosse un cedimento e non un inveramento dei grandi valori di progresso e del liberalismo democratico. Guarda alla sua sinistra, Renzi? E certo, dove dovrebbe guardare? È lì che si agita un pensiero, è lì che s lavora alle idee. Non certo da Casini e nemmeno da Alfano. Il Campo progressista di Giuliano Pisapia in questo senso è un laboratorio interessante, soprattutto perché trae linfa da concrete esperienze di governo (Milano, Cagliari, Bologna, il Lazio) e non per caratterizzarsi come una ridotta minoritaria e malmostosa, come purtroppo appare il partitino degli scissionisti e quello che resta di Sel.

Ascoltando Nicola Zingaretti e Andrea Orlando all’Eliseo di Roma non si percepivano francamente grandissime distanze da quello che contemporaneamente si stava dicendo a Torino. E non è solo per la mitezza di Orlando e per il suo ragionare serio e pacato: è che l’Eliseo e il Lingotto non sono due luoghi della politica alternativi, e neppure complementari. Possono benissimo andare insieme, una volta corretto quello che Renzi sta già correggendo.

C’è una sola vera differenza strategica fra Renzi e Orlando. Renzi non si rassegna alla logica proporzionale che soffia sull’Italia, Orlando sì. Per cui, il primo ragiona dentro la cornice della vocazione maggioritaria, l’altro è già nell’idea del cartello elettorale di sinistra. Ma i due convergono su un punto, che bisogna sempre più pensare a un campo largo, se si vuole arginare la rabbia che gonfia le vele delle due destre, il M5S e la destra sovranista, e riprendere il discorso delle grandi riforme, che in fondo sono l’unica ragione per cui la parola “sinistra” oggi ha un senso forte.

Da - http://www.unita.tv/focus/lo-squadrone-della-sinistra-in-questo-lungo-weekend/
5378  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Pd, Emiliano: "Io unica alternativa al nulla lucente di Renzi. Bastano due euro inserito:: Marzo 16, 2017, 05:22:18 pm
Pd, Emiliano: "Io unica alternativa al nulla lucente di Renzi. Bastano due euro per cambiare"
Il presidente della Regione Puglia al videoforum di RepubblicaTv condotto da Massimo Giannini e Laura Pertici: "Devo dimostrare che il renzismo ha alternative nel Pd". Andando a votare alle primarie, "i cittadini potranno chiudere questa parentesi non positiva per l'Italia"

13 marzo 2017

ROMA - Il programma per le primarie del Pd. Quello per il Paese. Le alleanze, i rapporti con la sinistra ormai uscita dal partito e quelli con gli elettori delle altre forze politiche. Nel videoforum di RepubblicaTv Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia e candidato al Congresso dem, parte dalla scissione, incrocia le battute di Renzi, disegna il perimetro di alleanze che vorrebbe per il suo Pd.

"Innanzitutto non c'è scritto da nessuna parte che non possiamo fare una legge elettorale decente per governare questo Paese. La confusione mentale nel quale il nulla lucente del renzismo è caduto arriva a non capire questo nesso".
Primarie Pd, Emiliano: ''C'entro poco con questa maggioranza, non ho il culto del capo''

"Forse lei col Pd c'entra poco", osserva Massimo Giannini che conduce l'intervista insieme a Laura Pertici. "C'entro poco con questa maggioranza che ha il culto del capo, che è una cosa estranea al centrosinistra. Partecipai tanti anni fa ai funerali di Berlinguer, era un leader ma non c'era culto della personalità, ora si sottrarrebbe a questa pratica. E lo stesso farebbe Aldo Moro", risponde il governatore della Regione Puglia. Che cambia strada e sottolinea: "Molti si daranno da fare per darmi una mano al congresso ma non lo potranno dire", continua, riferendosi al clima intimidatorio che solitamente descrive.

"C'è un gioco di opinioni, di aree, di incastri locali nei quali il Pd si è andato a ficcare che determina timore verso posizioni alternative. Molti hanno la sensazione che si debba andare oltre il renzismo, ma dicono 'io tengo famiglia', insomma c'è la paura di perdere la carriera politica. Molti si daranno da fare per darmi una mano ma non lo diranno". Il governatore pugliese spiega ancora che si riferiva alle intimidazioni proprie della politica: 'se sostieni Emiliano rischi la tua carriera politica'. Vorrei liberare il Paese da questo 'conformismo'".
Emiliano: ''Io come la Xylella per Renzi? Paragone fuori luogo di un leader superficiale''

Renzi è renzismo. Ormai una definizione più che un ex segretario, ed ex è presidente del Consiglio. Lui che "scherza, gioca su tutto", per svilire però, non per far ridere e così "la battuta sulla Xylella mi sembra una cosa fuori luogo, ci sono agricoltori che stanno soffrendo per questa malattia degli ulivi", aggiunge in merito alla battuta fatta ieri da Renzi al Lingotto: "La Regione Puglia sta combattendo da sola contro la Xylella". "Renzi al Lingotto non l'ho visto, avevo iniziative per il congresso, non ho avuto occasione di vederlo, ho letto qualche agenzia: poteva avere un impatto maggiore, non è stata una svolta", incalza, "è stato un po' come succede con i capilista: ha compattato tutti quelli che dovrebbero sostenerlo per essere sicuro del loro sostegno. Come De Luca quando disse 'mi raccomando dobbiamo votare tutti sì".

Renzismo. "Noi perdiamo consensi perché il Pd è il partito dei banchieri e dei petrolieri, perché Renzi si è preoccupato più delle banche che delle persone senza lavoro, più delle grandi imprese che delle piccole e medie imprese", incalza. "Renzi non parla mai di lotta alla mafia né di sicurezza nel nostro territorio. Perché il mondo finisce a Roma, nella bolla mediatica del nulla rilucente. Come il Lingotto", aggiunge, "devo dimostrare che il nulla lucente, il renzismo, ha alternative nel Pd". "Gli italiani, come hanno fatto diventare Renzi presidente del Consiglio ora, andando a votare alle primarie, possono chiudere questa parentesi, non positiva per l'Italia. Bastano due euro a persona per cambiare la politica italiana". E ora "Orlando ha un pentimento tardivo, dopo aver condiviso tutto del governo Renzi. L'unica alternativa al renzismo in questo momento è la mia mozione", afferma Emiliano che partecipa
Lingotto, Emiliano: "Una bella convention per dire di votare Renzi"

Referendum. "Io vorrei riportare ad avere fiducia nelle istituzioni, gli italiani sono convinti che la politica non serve a nulla", dice Emiliano. "Mi piacerebbe per esempio rivedere completamente le regole sul lavoro, senza avvisarmi hanno cambiato l'articolo 18. Io ho firmato il referendum della Cgil e andrò a votare sì".

Scissione. "Non si fa una scissione sulla base di un'arrabbiatura, non si strappa tutto e si va via. Restare nel partito è stata una dimostrazione di stabilita del carattere e delle opinioni", afferma il presidente della Regione Puglia. Nessuna premeditazione. "Noi avevamo tre mozioni diverse con Speranza e Rossi; io ne avevo una completamente diversa e avevamo in comune il fatto che non ci avevano dato il tempo di fare il congresso. In quel frangente di fronte a una negazione di questi diritti, avevamo ipotizzato una scissione, ma non abbiamo mai ipotizzato la formazione di un partito nuovo" continua, "al teatro Vittoria, nel mio discorso, era chiaro che avevo molti dubbi sulla scissione".

Coalizione ulivista e apertura a M5s. Emiliano spiega di lavorare a una "coalizione di stile ulivista": "Lo posso dire perché non ero in Parlamento a impiombare Prodi come presidente della Repubblica, e in Puglia ho in coalizione con chi si ispira a Pisapia. Naturalmente dobbiamo essere chiari". Rispetto alle aperture verso il M5s chiarisce che "nei confronti del Movimento non ho prevenzioni. In Puglia ho nominato tre assessori donna del M5s e sarei stato felice di accettare l'idea di una loro presenza anche solo come servizio tecnico. Il popolo del M5s, in particolare i molti delusi dal Pd, in parte mi assomiglia, hanno l'idea della cittadinanza attiva". Mentre ora da parte di alcuni nel Pd "in Parlamento c'è un odio antropologico verso i 5 Stelle, sentimento che ha anche provocato le scissioni. Spesso purtroppo la categoria amico-nemico viene usata per chi sta nello stesso Parlamento, che è un po' la stessa squadra Italia. M5s spesso sbaglia temi e termini, ma non c'è da parte mia nessuna prevenzione. Il M5s non va demonizzato e va aperto il campo del centrosinistra. Renzi non ci riuscirà mai e Orlando è ministro del governo Renzi, rappresenta un pentimento tardivo di tutti gli errori".

"O segretario o premier". "È possibile fare il segretario del partito, che è un lavoraccio, insieme con quello di presidente del Consiglio, altro lavoro duro? Non è che chi vince le primarie poi comanda su quelli che perdono, un partito è una comunità" continua il candidato Pd, "se poi da segretario il mio partito mi chiedesse di fare anche il presidente del Consiglio, mi dimetterei da segretario". Certo è che la magistrato "non mi dimetto neanche morto, non c'è ragione per consegnarmi al ricatto di chi mi vuole trasformare in un professionista della politica" continua rispondendo a chi gli chiede se abbia valutato di lasciare la magistratura dopo essersi candidato alla segreteria del Pd. "Non c'è nessuna ragione per cui uno debba dimettersi dal suo lavoro per candidarsi, è pazzesco che un magistrato sia incompatibile con la politica, questa è la teoria di Davigo che è terrorizzato considera la politica una suburra in cui c'è il rischio di contaminarsi", aggiunge.

© Riproduzione riservata 13 marzo 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/03/13/news/emiliano_pd_video_forum-160453111/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P9-S1.6-T2
5379  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Gentiloni: “Non mi rassegno a tirare a campare” inserito:: Marzo 16, 2017, 05:18:46 pm
Gentiloni: “Non mi rassegno a tirare a campare”
Il premier, a tre mesi dalla nascita del suo governo, incontra per la prima volta i deputati del Pd riuniti in assemblea a Montecitorio

Pubblicato il 14/03/2017 - Ultima modifica il 14/03/2017 alle ore 22:19

«Non mi rassegno a un governo e una maggioranza che tirano a campare. Non è così e non lo sarà». Paolo Gentiloni, a tre mesi dalla nascita del suo governo, incontra per la prima volta i deputati del Pd riuniti in assemblea a Montecitorio. «Mai avrei pensato di essere qui da premier...», si schernisce tra i sorrisi dei colleghi. E tiene un discorso programmatico che prima ancora dei contenuti, con la tanta carne al fuoco del governo, mira a segnare un punto politico: da qui a fine legislatura si sente investito, spiega, di una «personale missione compiuta» che è «preparare una nuova stagione» positiva per il Pd portandolo alle elezioni «nelle migliori condizioni possibili». Gli applausi dei deputati lo interrompono diverse volte e alla fine nessuno interviene in replica, anche gli esponenti delle mozioni congressuali non renziane che avevano preventivato di farlo.

 Gentiloni arriva alla Camera poco dopo le 20, al termine di una giornata aperta da un Cdm che ha fissato la data del referendum sul Jobs act per il 28 maggio. Si lavorerà per evitare quel passaggio «correggendo» le norme sui voucher, conferma ai deputati. Ma non dice di più, perché il lavoro dovrà essere condiviso: «Ne discuteremo nel gruppo», afferma. E il suo ruolo di `servizio´, lo sottolinea in diversi passaggi del suo intervento. Fino al 2018 o comunque finché ci saranno «le condizioni» per portare avanti la legislatura, il governo non si «limiterà a tenere a galla la barca» e provare a «concludere dignitosamente una stagione» ma si darà «obiettivi ambiziosi che vanno oltre l’attuazione del programma di riforme». E in questo ha bisogno dell’apporto del Pd, «architrave della maggioranza».
 
In mattinata, alla presentazione di iniziative del Fai, il premier cita Gaber: «Libertà è partecipazione». In serata al gruppo Dem cita con un sorriso Cocciante: «Io non posso stare fermo...». Ettore Rosato, che apre la riunione, ricorda che in Parlamento le cose si sono fatte più complicate dopo la scissione del Pd, anche alla Camera dove i numeri sono ampi. E Gentiloni lo dice in modo ancor più chiaro: «Il quadro politico - sarebbe miope non riconoscerlo - è più frammentato di quanto non fosse a novembre. Gli italiani vogliono essere rassicurati», sottolinea. «Ho le mie idee e molti di voi sanno come la penso da molti anni ma lo sforzo di questi mesi sarà tenere il governo per quanto possibile al riparo dalle tensioni politiche».
 
Quanto all’agenda delle cose da fare, cita il terremoto (al Salone di Milano saranno presentati i primi progetti di Casa Italia), l’immigrazione, i diritti civili come il biotestamento e il Sud (a Matera ad aprile ci sarà un «grande evento» sul tema), la povertà («Sono quasi pronti i decreti attuativi». E poi la battaglia in Europa, dove nel 2018 potrebbe esserci «un’implosione» dell’Ue, ma anche l’avvio di un periodo di «grande cambiamento» se Macron vincerà in Francia e Schulz in Germania.
 
Non ignora, il premier, che il tema più atteso è quello economico, con il Def e la `manovrina´ da varare ad aprile. Ma rinvia a un altro momento: «I conti, di cui certamente parleremo, non sono tutto. Abbiamo grandi priorità che vanno al di là delle leggi di bilancio dei prossimi 7-8 mesi», sottolinea. E aggiunge che tanto è stato fatto, anche se non è emerso a causa della «dieta mediatica che mi sono imposto e penso fosse utile dopo mesi di campagna» referendaria.
 
Gli applausi più forti sono per il passaggio dedicato, senza mai citarli, ai Cinque stelle: «La denigrazione delle istituzioni è una delle malattie del nostro Paese e una delle cause della crisi italiana. Ho il privilegio di non partecipare al talk show ma la campagna continua di denigrazione della politica e del Parlamento non la dobbiamo subire, la dobbiamo contrastare con la forza della politica come fanno Renzi e gli altri leader candidati alla guida del Pd».

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/14/italia/politica/gentiloni-non-mi-rassegno-a-tirare-a-campare-eKtQHxbp7IeLD4Tepq7gJJ/pagina.html
5380  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / EPIGRAFI di Arlecchino (sia mie sia prese qua e la') inserito:: Marzo 16, 2017, 05:16:09 pm
Spes ultima dea est: speremus igitur semper

La speranza è l'ultima dea: speriamo sempre, dunque.

ciaooo
5381  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. L’allarme di Gentiloni: il vertice di Roma può diventare un flop inserito:: Marzo 16, 2017, 05:11:57 pm
L’allarme di Gentiloni: il vertice di Roma può diventare un flop
Il premier italiano avverte la Commissione: “A giudicare la politica si crea dissenso”

Pubblicato il 11/03/2017 - Ultima modifica il 11/03/2017 alle ore 07:19

Fabio Martini
Inviato a Bruxelles

A Bruxelles, con Paolo Gentiloni, è arrivata un’altra Italia rispetto a quella di Matteo Renzi. Un fatto di stile, e da queste parti, certe cose contano. Due giorni fa, durante la discussione preliminare tra i 28 capi di Stato e di governo, il presidente del Consiglio italiano si è rivolto indirettamente a Jean-Claude Juncker, lamentandosi di quanto la Commissione europea aveva scritto nel suo ultimo report circa i «rischi politici» che correrebbe l’Italia in questo frangente: «Sono questioni che vanno affrontate con una certa sensibilità», ha detto Gentiloni e in ogni caso «le elezioni non sono sinonimo di instabilità, ma di democrazia». Comunque, attenzione, perché certi report di Bruxelles, se non ben calibrati, «hanno un impatto sull’opinione pubblica». Di queste parole, certo garbate ma proprio per questo più penetranti in un consesso come quello europeo, nulla è trapelato, nulla è stato fatto filtrare da Palazzo Chigi, mentre nel passato le sortite di Renzi durante questi summit avevano un impatto esterno in «diretta» e almeno pari al fuoco polemico realmente espresso.

I timori 
Ma il Consiglio europeo si è chiuso con qualche pensiero per il capo del governo italiano in vista delle celebrazioni per il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma del 1957. Un vertice che si può raccontare partendo dall’ultima «istantanea». Nel gran salone del Consiglio, la signora Beata Szydlo, primo ministro della Polonia, si avvicina a Paolo Gentiloni e si congeda con un sorriso: «Ci vediamo a Roma...». 

Certo, i polacchi sono affezionati alla capitale del cattolicesimo e d’altra parte, la Szdylo non ha del tutto tirato giù la saracinesca, nel corso della discussione tra i 27 capi di governo, sul (controverso) Documento col quale, il 25 marzo, l’Italia intende suggellare le celebrazioni per i Trattati di Roma. Una sorpresa l’atteggiamento non ostruzionistico della Szdylo, soprattutto dopo quel che era accaduto nelle 24 ore precedenti e che sembrava potesse compromettere in modo rovinoso il Vertice celebrativo di Roma. 

Un esito infelice che peraltro non si può del tutto escludere dopo quanto accaduto nella prima giornata di questo Consiglio. Nel pomeriggio del 9, si era consumata la brusca rottura tra tutta l’Unione e i polacchi che, da soli, hanno votato contro la rielezione del loro connazionale Donald Tusk come presidente del Consiglio europeo. 

Proprio perché così irritati i polacchi - e con loro gli altri Paesi di Visegrad - saranno un osso durissimo per Paolo Gentiloni. Il presidente del Consiglio, in perfetta continuità con Matteo Renzi, ha deciso di trasformare la celebrazione in un evento diverso dalla consueta passerella che va in scena di queste occasioni. L’ambizione del governo italiano è quella di dare un senso, un’impronta all’evento. 

L’obiettivo 
Un obiettivo che il presidente del Consiglio intende raggiungere attraverso due passaggi: inserire nella Dichiarazione finale alcuni concetti qualificanti, in particolare sulle «due velocità» e al tempo stesso ottenere la firma di tutti e 27 i capi governo in calce al documento e non limitarsi ad una generica adesione da parte dei rappresentanti delle istituzioni europee. Ma il muro dell’Est rischia di inficiare l’ambizione di Roma. E dunque, l’appuntamento del 25 marzo in Campidoglio, quello che un anno fa Matteo Renzi aveva immaginato come un «arco di trionfo» per la propria immagine e per la propria leadership, rischia di trasformarsi nel primo passaggio critico per Paolo Gentiloni, che è arrivato alla vigilia dei suoi primi 100 giorni con un invidiabile score: nessun incidente politico.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/11/italia/politica/lallarme-di-gentiloni-il-vertice-di-roma-pu-diventare-un-flop-JVCFip8Hk5FbMqVYgjJzGK/pagina.html
5382  Forum Pubblico / PROTAGONISTI (news varie su loro). / Giorgio NAPOLITANO. Per l’Europa la prova del coraggio inserito:: Marzo 16, 2017, 05:10:00 pm
Per l’Europa la prova del coraggio

Pubblicato il 11/03/2017 - Ultima modifica il 11/03/2017 alle ore 07:26

Giorgio Napolitano

Le voci che si sono levate dai maggiori leader europei negli incontri di Malta e ancor più di Versailles, dovrebbero farci ritenere che all’interno dell’Unione europea si stia in qualche modo arrivando al dunque. 

Ma quando Capi di Stato e di governo come la Cancelliera tedesca e il Presidente francese gettano l’allarme per i rischi estremi che corre la costruzione europea, l’Unione, se continua a restar ferma, non si può poi sottoscrivere una solenne Dichiarazione comune di tono idilliaco. 

E’ un fatto anche comprensibile che alla scelta di rottura prevalsa in Inghilterra si sia voluto opporre un’immagine di unità di tutti gli altri Stati membri dell’Unione. Ma è egualmente un fatto che si sia accettato di non prendere decisioni urgenti e mature su temi essenziali per l’Europa, come quello delle migrazioni, o di vederle ignorate, violate, contraddette radicalmente da una parte dei governi dell’Unione. E’ proprio ciò quel che è accaduto, anche in termini di sfida e di negazione brutale di valori costitutivi del progetto europeo come la solidarietà.

Ma è giunto il momento che quanti ne sentano l’imperiosa necessità, dichiarino con coraggio la volontà di procedere ai necessari sviluppi del processo di integrazione, anche in assenza di un consenso unanime. Ciò significa seguire il metodo di una differenziazione che è stato già largamente operante nella storia della costruzione europea. Si può, anzi si deve discutere con grande ponderazione quali problemi susciti la formula di un’Europa a più velocità o a due velocità. Ma la sostanza è che non si può subire il condizionamento paralizzante di membri, per lo più di recente data, dell’Unione europea che probabilmente non hanno incorporato nella loro visione l’idea stessa di una sovranità europea condivisa il cui esercizio è affidato alle istituzioni dell’Unione. 

Stupisce che ci siano reazioni anche pesanti al proposito espresso in queste settimane da Paesi fondatori dell’Europa unita di realizzare impegni già elaborati in termini di obiettivi e tabella di marcia da parte dei Presidenti delle cinque istituzioni europee. Non si vuole discriminare o escludere nessuno, ma solo prendere atto delle indisponibilità di governi soprattutto dell’Europa centrale e orientale a condividere l’attuazione di quegli impegni. Governi o Paesi che hanno goduto dei benefici dell’ingresso nell’Unione europea e adesso resistono al chiarimento che noi ci auguriamo avvenga a Roma per il 60° anniversario dei Trattati in queste sofferte settimane di marzo.

Ora il Primo ministro polacco, a nome di un gruppo V4 che a quanto pare si esprime separatamente, pone condizioni e annuncia divisioni e ritorsioni in nome di quell’unità di facciata tra i 27 di cui si fa paladina e che ha tenuto bloccata per lunghi mesi l’Unione.

La Comunità europea non si lasciò intimidire dalla politica della «sedia vuota» del Generale De Gaulle, né dalle pretese della Signora Thatcher, proseguì tra alti e bassi nel cammino dell’integrazione fino a giungere all’adozione della moneta unica. All’Unione non resta che rinnovare quegli esempi di coerenza e di fermezza.

Intanto, dal Consiglio europeo di giovedì giungono le parole del paragrafo dedicato, nelle conclusioni, al tema «migrazione»: «Per quanto riguarda la dimensione interna, l’effettiva applicazione dei principi di responsabilità e di solidarietà resta un obiettivo condiviso». Si insiste dunque nella tendenza a dare una rappresentazione a dir poco ipocrita della cruda realtà che l’Unione sta vivendo a questo proposito. Sembra che nessuno abbia sentito e visto qualche giorno fa un nuovo discorso di ossessione xenofoba del Primo ministro ungherese e le immagini di una rassegna del corpo speciale di guardie in uniforme che è stato istituito in quel Paese, già solcato da barriere e da filo spinato, per dare la caccia agli immigrati. La verità è che, di fronte a un’ondata tumultuosa e massiccia di richiedenti asilo e di migranti economici, si sono manifestate tra i 27 le contrapposizioni più gravi. Anziché tendere responsabilmente a una sintesi unitaria per quanto difficile, tra esigenze e concezioni della sicurezza, valori europei, diritti universali, imperio della legge e sensibilità umana e morale verso i tanti (anche tanti bambini) trattati barbaramente e in troppi casi portati alla morte da trafficanti criminali, non pochi governi hanno rifiutato ogni corresponsabilità e hanno obbedito a impulsi e calcoli nazionalistici senza sbocco.

Conforta certo che proprio per iniziativa e con l’apporto dell’Italia l’Europa faccia passi avanti per quel che riguarda la «dimensione esterna» del fenomeno migrazione come fenomeno di lungo periodo e ci si muova per affrontarlo in una prospettiva di cooperazione euro-mediterranea, come la Germania ci propone di fare stabilendo un gruppo di contatto tra Europa ed Africa settentrionale. Ma alla questione nel suo insieme si potranno dare le giuste risposte solo se i più consapevoli membri dell’Unione rifiuteranno le finzioni e si risolveranno ad andare avanti comunque su questo come su tutti gli altri temi essenziali.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/11/cultura/opinioni/editoriali/per-leuropa-la-prova-del-coraggio-P4YMwNonnocsPmmByrxklK/pagina.html
5383  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Giuseppe Alberto Falci. Orlando lancia la sfida: “La politica è parlare, spiegar inserito:: Marzo 16, 2017, 05:06:07 pm
Orlando lancia la sfida: “La politica è parlare, spiegare, ascoltare”
«Non possiamo non dire niente per due mesi sulla legge elettorale

Pubblicato il 12/03/2017
Ultima modifica il 12/03/2017 alle ore 17:54

Giuseppe Alberto Falci
Roma

Al teatro Eliseo, alle dieci del mattino, lo aspettano come fosse il salvatore. Perché Andrea Orlando, per dirla con la signora Emma - mai iscritta al Pd, ma da sempre elettrice del centrosinistra nelle sue varie forme - «il ministro è la pacatezza, lo spessore, il garbo profondo che risponde alla sfacciataggine del bullo di Firenze». In due parole, Orlando è l’anti Renzi. 

Qui Verdini e Alfano vengono considerati «compari di Berlusconi», e sia solo un caso figlio dell’emergenza e della instabilità se ieri con Letta e Renzi, e oggi con Gentiloni, siano al governo con il Pd. Tutto ciò non si verificherà nella prossima legislatura, annota il barbuto Sergio, perché «con Andrea non ci saranno larghe intese. Quelle le vuole solo Renzi che ha già un accordo con Berlusconi». 

Minuto dopo minuto il teatro di via Nazionale si riempie del popolo di un centrosinistra alternativo all’ex sindaco di Firenze e distante diverse miglia dalla kermesse del Lingotto. Minuto dopo minuto cresce l’attesa per l’arrivo del guardasigilli Orlando, candidato alle primarie del 30 aprile che milita a sinistra da quando aveva i calzoni corti: «Chiesi di iscrivermi al Pci all’età di tredici anni». 

Nicola Zingaretti, padrone di casa della kermesse a sostegno di Orlando, viene accolto da mille strette di mano e pacche sulla spalla. «Ah Nicola, te ricordi quanno te sostenni per le provinciali?». In camicia celeste, giacca blu e jeans, Zingaretti non si sbottona con cronisti e spiffera che «Andrea sta arrivando». Intanto sfilano Cesare Damiano, la sottosegretaria Sesa Amici, l’ex renziana Gea Schirò Planeta, Elisa Simoni e Aurelio Mancuso.

Tutti accomodati nelle prime due file. Pochi metri più dietro si scorge Franca Chiaromonte, figlia d’arte, che tiene a far sapere che «Andrea è il miglior ministro della giustizia». Alle 10 e 40 ecco Orlando con il codazzo di telecamere e cronisti che provano a scippargli una dichiarazione. Lui non si scompone e tira dritto, saluta Zingaretti e si accomoda in prima fila. La regia lancia “Born to run” di Bruce Springsteen, «una canzone - dice Zingaretti - che incita tutti a cambiare l’esistente». E se il governatore del Lazio apre le danze spiegando le ragioni del suo sostegno ad Orlando («servono leader che uniscono non capi che impongono»), per sentire il guardasigilli bisogna attendere le 11 e 35.

La platea eterogenea in cui si alternano capelli grigi e clarks a più giovani al primo giro di boa nel Pd, non rivolge sguardi al telefono e si concentra ad ascoltare «Andrea». L’ex Ds inforca gli occhiali, osserva il pubblico e inizia con una battuta: «Cari compagni, adesso si può dire, no?». Risate e applausi. 

Simonetta, democratica in tutte le stagioni, si lascia andare con l’amica Anna: «Meglio di così non poteva iniziare». 

Parte da lontano il ministro che iniziò a frequentare il «partito» dall’età di tredici anni da quando conobbe Guelfo Delrio, «un saldatore di una azienda di La Spezia che ogni giorni mi chiamava per dirmi cosa pensava la signora della porta accanto o il ristoratore sul partito». Ecco, sottolinea Orlando, «la politica è parlare, spiegare, ascoltare». Sottotitolo non rivelato, non si fa colpi a tweet e di prese di posizioni che lasciano ferite e causano le scissioni. 

Il discorso di Orlando è una critica spietata a Renzi e al renzismo. «Ho visto che si dice che ci sarebbe un complotto dell’establishment contro il Pd. Sarebbe il primo auto-complotto della storia». E ancora: «Non possiamo non dire niente per due mesi sulla legge elettorale. Se la legge elettorale non cambia o si torna a votare entro sei mesi o si fanno le larghe intese e io non voglio né l’uno né l’altro». 

Secondo Orlando, dopo la debacle del 4 dicembre l’autocritica non è stata sufficiente. «In alcune realtà del mezzogiorno il risultato è stato 90 a 10 per il No, ci rendiamo conto?». Eppoi c’è un elemento che ha determinato la crisi attuale del Nazareno: il risultato delle europee del 2014, il 40,8% «c’ha dato alla testa» allontanando il Nazareno dalla realtà. L’obiettivo resta sempre Matteo Renzi. «Un partito - insiste - non è credibile se non lo è nella Capitale d’Italia. Se dovessi diventare segretario non starei lontano dalle vicende di Roma». Quando pronuncia queste parole si raggiunge il picco di applausi. Poi la chiosa: «Gli uomini nascono liberi ed uguali». Fra i partecipanti in tanti si accorgono che Orlando, da diversamente renziano, oggi si pone come l’unica alternativa credibile a Matteo Renzi. E alla domanda perché abbia preso le distanze dall’ex premier «Andrea» non si scompone e rilancia: «È una conseguenza di questi anni di governo». 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/12/italia/politica/orlando-la-politica-parlare-spiegare-ascoltare-kIGj6rOVMGfP14UnfrN8EP/pagina.html
5384  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Walter VELTRONI. - Arcobaleno contro il nero inserito:: Marzo 16, 2017, 05:02:46 pm
Opinioni
Walter Veltroni - @veltroniwalter

· 12 marzo 2017

Arcobaleno contro il nero
Ormai le mete non si vedono più, nel gran polverone di questo tempo frettoloso e caotico

E se il Pd proponesse alle forze democratiche e di sinistra di promuovere, tutti insieme, una grande manifestazione sul tema dell’accoglienza? Qualcosa di simile alla bellissima iniziativa di Barcellona che è stata, nella cupezza di questo tempo, un raggio di sole? Credo che l’appello del Pd dovrebbe, senza protagonismi, essere rivolto, direi in primo luogo, a quel fantastico e diffuso mondo di associazioni, organizzazioni, enti locali, persone che si muovono nel mondo del volontariato, dei diritti, della battaglia culturale e civile sui temi dell’integrazione. Una manifestazione su uno dei valori fondamentali dell’esistenza umana. Come era quando cattolici e sinistra si trovavano insieme per la pace. Forse non erano d’accordo sulle strade per raggiungerla, ma erano d’accordo sulla meta. Ormai le mete non si vedono più, nel gran polverone di questo tempo frettoloso e caotico.

Io credo invece che una società aperta, multiculturale e capace di garantire, insieme, diritti e sicurezza, sia una meta. Una meta essenziale se non vorremo essere travolti da intolleranza e, alla fine, violenza. La sinistra deve stare rannicchiata e silente di fronte all’imperversare del sovranismo, di fronte ai nuovi fondamentalismi, alle nuove discriminazioni? La sinistra deve accettare passivamente che si affermi l’idea che una persona diversa per religione o colore della pelle sia un nemico? La sinistra può tacere di fronte ai bandi di Trump o di fronte al silenzio disumano con il quale si guardano le macerie fisiche e umane di Aleppo e si ritiene i poveri umani che fuggono da quel disastro come un pericolo? La sinistra può lasciare l’esigenza della sicurezza dei cittadini in mano a chi la usa strumentalmente, facendo credere che più armi in circolazione siano garanzia di maggiore tranquillità per le famiglie? Si è sicuri solo se si è capaci di integrare, questa è la verità. E se si chiama ciascuno a rispettare le leggi del paese in cui si è accolti. La vita di ciascuno di noi, nella sua dimensione individuale e collettiva, si dipana lungo due irrinunciabili direttrici: l’identità e l’apertura.

Se queste due condizioni di armonia della condizione e delle relazioni tra gli uomini si separano, fino a farsi avversarie, il rischio di conflitti devastanti si fa drammaticamente reale. Non si vive senza identità, che è valore irrinunciabile. Non si vive insieme senza una società aperta, capace di metterci sempre in condizione di convivere con l’altro da noi. Ma questa armonia oggi è fortemente minacciata. Ci rendiamo conto dei veleni che circolano : le battute della Le Pen sugli ebrei, il tweet di un leader italiano che inneggia a chi chiude in un container due nomadi, le posizioni xenofobe del candidato della destra olandese per il quale si prevede un grande successo? Non ci si deve meravigliare se cresce il consenso per queste posizioni, foriere di pericoli immensi per il futuro. Se non le si combatte a viso aperto, se non si fa vedere e sentire la forza di un’altra cultura, resteranno in campo solo i valori del “sovranismo”, antieuropeo e intollerante. Potremo non essere d’accordo, tutti, sulle strade. Ma siamo uniti sulla meta. Condividere un valore non è poco. È molto. I valori, nella politica, sono importanti. Si è vinto il razzismo e l’apartheid con una battaglia di valori. Facciamola oggi con la stessa energia, a viso aperto. Facciamola con coraggio e orgoglio. Con allegria. Facciamola unendoci tutti in nome di un valore che è intrecciato alla democrazia e alla libertà. Manifestiamo, diversi e uniti, perché il mondo non precipiti indietro.

Portiamo di nuovo in piazza le bandiere arcobaleno. Se vogliamo evitare che torni un mondo di un colore solo. Il nero.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/arcobaleno-contro-il-nero/
5385  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FEDERICO GEREMICCA - Non c’è più un uomo solo al comando inserito:: Marzo 16, 2017, 05:01:05 pm
Non c’è più un uomo solo al comando
Pubblicato il 13/03/2017 - Ultima modifica il 13/03/2017 alle ore 06:55

FEDERICO GEREMICCA

«L’uomo che sogna a occhi aperti» (definizione di un applauditissimo Marco Minniti) esce dalla tre giorni del Lingotto più forte di come ci era entrato: e già questo è un risultato non scontato, se si ripensa a certi fuorionda e a certe tensioni serpeggiate nelle settimane scorse nello stesso campo renziano. Nessuno dei problemi che il Pd si ritrova di fronte, naturalmente, può esser considerato risolto: ma gli interventi con i quali l’ex segretario ha aperto e chiuso l’happening torinese per il lancio della sua ricandidatura, possono rappresentare - se non traditi dai fatti - un incoraggiante punto di partenza.
 
Matteo Renzi, infatti, ha tratteggiato il profilo di un partito che non intende mettere nelle vele il vento del populismo e della paura (ma su questo, sull’immigrazione in particolare, è già sfidato da Andrea Orlando); che non rinuncia a difendere il «sogno europeo»; che si promette più inclusivo, anche rispetto ad un recente passato; e che, infine, annuncia di voler sostituire una leadership assai personale - il famoso «io» - con una direzione più collegiale (lo sconosciuto «noi»).
 
Certo: più che un vero e proprio programma - per il quale bisognerà attendere la mozione congressuale – si tratta di una sorta di dichiarazione d’intenti; intenti che però appaiono, nell’enunciazione, in larga misura condivisibili.
 
Una convention, dunque, non inutile: né per gli osservatori di processi politici e nemmeno per Matteo Renzi (pur solitamente refrattario a riti e liturgie). Anzi. Al Lingotto, infatti, è andata in scena una notevolissima prova di forza dell’ex premier nei confronti non solo di chi ha deciso di sfidarlo alle primarie (Orlando ed Emiliano) ma della sua stessa area di riferimento. Con Paolo Gentiloni in prima fila ad ascoltarlo, mezzo governo alla tribuna e una copertura mediatica ancora da segretario-premier, l’happening torinese è servito - se non altro - a mettere in chiaro ad amici e avversari quanto potere rimanga intatto nelle mani dell’ex rottamatore.
 
E veniamo appunto a lui, Renzi, «l’uomo che sogna ad occhi aperti» o anche il Maradona del Pd (citazione dal solitamente sobrio Delrio). Vinse le sue prime importanti primarie - a Firenze - nel febbraio di 8 anni fa e poi - nel dicembre 2013 - quelle che lo hanno portato alla guida del Pd. È stato per quasi tre anni, contemporaneamente, presidente del Consiglio e segretario dei democratici: il dominus assoluto, insomma. Ricordiamo queste date solo per annotare come la semplice idea - ammesso che esista - di riproporre in queste primarie o alle prossime elezioni politiche stile, toni e argomenti dell’era della “rottamazione” non potrebbe che rivelarsi perdente (oltre che difficilmente comprensibile).
 
La sensazione è che Matteo Renzi lo sappia perfettamente, ma fatichi a trovare un’altra cifra, un’altra via. È una difficoltà comprensibile, e da affrontare - per di più - in uno scenario del tutto trasformato dalla sconfitta nel referendum del 4 dicembre: cambiate le regole del gioco (dal maggioritario al proporzionale); cambiati e aumentati i giocatori in campo (dall’Mpd a un M5S ingigantito rispetto a cinque anni fa); cambiato, inevitabilmente, il suo stesso appeal.
 
Di fronte all’ex rottamatore, insomma, ci sono due sfide (primarie e poi elezioni) che non potrà affrontare con le innovazioni, le battute e le promesse con le quali è arrivato fino a palazzo Chigi. Nella storia repubblicana, solo due uomini – Berlusconi e Craxi – hanno governato più a lungo di lui. A volerla dire tutta, si tratta di una circostanza che sarebbe meglio valorizzare, piuttosto che tentare di occultare dietro toni che, a volte, ancora lambiscono il populismo. Un Renzi “di governo”, un Renzi “in doppiopetto” potrebbe, forse, non funzionare. Ma la tre giorni del Lingotto, però, dice che in fondo ci si può almeno provare… 
 
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