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5176  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EUGENIO SCALFARI - Questa Pasqua anche per gli atei si chiama Francesco inserito:: Aprile 16, 2017, 06:06:40 pm
Questa Pasqua anche per gli atei si chiama Francesco
Il Papa ha creato una nuova definizione del Dio unico: il Dio Amore

Di EUGENIO SCALFARI
16 aprile 2017

LA PASQUA cristiana, anzi soprattutto cattolica, dovrebbe essere ricordata dai mezzi di informazione di tutti i Paesi nei quali quella religione è storicamente la principale. Se si considerano anche le varie sette più o meno scismatiche ma sempre nate tutte da un tronco comune, il solo tema che si impone su tutti gli altri è questo della Pasqua. Sempre che sia affrontato criticamente.

L’aspetto critico si esercita anzitutto sulla geografia religiosa poiché la religione cattolico- cristiana è nata in Palestina. Da lì si è variamente diffusa sulle coste mediterranee ma poi è Carlo Magno — e con lui tutte le grandi famiglie regnanti dell’epoca — che ha fatto di quella religione l’elemento unificante dell’Europa e dell’Occidente. In molte terre d’Oriente il cristianesimo non esisteva se non come un’eco remota; le religioni erano diverse, spesso erano dei “totem”, talvolta delle filosofie in vario modo mitizzate. Le linee d’incontro-scontro seguivano più o meno l’area dell’impero creato da Alessandro Magno alcuni secoli prima. Lì il cristianesimo era noto, lì il vecchio Padre di Mosè e del Sinai si scontrava con le mitiche divinità tribali, sulla linea di confine del Caspio e dell’Eufrate. L’uomo moderno prende corpo nella mitologia di Esiodo e poi nella grande famiglia degli Olimpici. Quella è la prima religione che la civiltà ellenica consegnò nei secoli a quella romana.

A partire da Costantino e poi sempre di più nacque la religione di Gesù Cristo e dei suoi apostoli. Secoli dopo sulle stesse terre sacre di Gerusalemme emerse Maometto il profeta che predicò Allah come Dio e Abramo come capostipite di una gente. Quella figura è il punto di storica congiunzione tra il popolo ebraico e quello cristiano.

Tre religioni sono a questo punto esplose e hanno non più famiglie di dèi ma ciascuna un proprio Dio che in realtà è l’unico delle tre religioni monoteistiche che papa Francesco vuole riunificare nella fratellanza. E unificare protestanti, anglicani, ortodossi, luterani, valdesi.

In questa geografia quanto mai dinamica si innesta un tema molto moderno; geograficamente riguarda soltanto l’Occidente, ma vedremo che in altre forme anche l’Oriente ne è percorso e turbato. Si chiama ateismo religioso e indifferenza e/o anticlericalismo.

È un fenomeno che coincide con l’epoca della modernità. Lo si può chiamare, come abbiamo già detto, in vari modi, ma la sua vera diversità sta nelle sue mitologie originarie. Questo è veramente il nodo del problema, mai così attuale come in questa domenica di Pasqua del 2017. Con papa Francesco all’opera, il Califfato islamico in guerra con l’Islam e con l’Occidente, cristiano o non cristiano che sia; la Turchia che conduce un triplo gioco; Donald Trump che ha (lucidamente o casualmente?) compiuto un giro di boa ed ora ha imboccato una strada in cui né noi né lui conosciamo i possibili sviluppi. E infine la Francia, la Germania e l’Italia che vivono nell’attesa di pochi giorni (Francia) e di pochi mesi (Germania, Italia) di campagne elettorali decisive.

Di questi aspetti della questione dobbiamo discutere, storicamente, filosoficamente, socialmente, politicamente. Dovrei aggiungere religiosamente, ma mi sembra inutile visto che uno degli attori di queste vicende è Francesco, Papa e Vescovo di Roma.

Ha dato al nostro giornale pochi giorni fa una lunga intervista al collega Rodari sul suo incontro con i carcerati. Ha ricevuto mercoledì il nostro editore Carlo De Benedetti con il nostro direttore Mario Calabresi che gli hanno offerto un’opera d’arte di raro pregio in segno di attenzione. Da parte mia mi onora da tre anni in qua della sua amicizia pur sapendo (ed anzi proprio per questo) che io non credo in Dio. Dunque è Francesco il protagonista di questa Pasqua che riguarda e coinvolge anche Lui.

***

L’Occidente, specialmente in Europa ma non soltanto, è fortemente lacerato. Non da pochi anni ma da un secolo, il ventesimo che non è stato affatto un secolo breve come molti pensatori hanno sentenziato, ma al contrario particolarmente lungo. Anzi: Ottocento e Novecento, dal punto di vista del pensiero e delle azioni che ne conseguono fanno tutt’uno. Il 1848 fu una seconda grande Rivoluzione, dopo la prima Rivoluzione moderna del 1789. La terza avvenne a Pietroburgo e in tutta l’immensa Russia nel 1917 e ripresentò il Manifesto di Marx e di Engels di settant’anni prima. Lenin, dopo il viaggio in treno dalla Francia alla Finlandia e di lì nella capitale dove il partito bolscevico prese la guida politica invadendo il “Palazzo d’Inverno”, imprigionò lo Zar e la sua famiglia, si ritirò dalla guerra fin lì combattuta contro la Germania.

Tre grandi Rivoluzioni politiche, ma anche ideologiche: visioni del mondo che col tempo vengono attuate. Queste tre Rivoluzioni hanno attuato la modernità, ma il seme che ha fruttificato diventando col tempo un albero e poi una foresta, fu gettato nella terra d’Europa molto prima. La storia che ha inizio nel mondo di allora è datata 1492 con la scoperta dell’America ma in realtà il seme fu gettato a terra affinché fruttificasse agli inizi del Rinascimento italiano con una rivoluzione che in quel caso non cominciò con un movimento politico e popolare ma con una profonda e graduale trasformazione artistica e religiosa.

La modernità nacque in Italia e in campo artistico Giotto fu il primo nella pittura mentre il grande maestro culturale, religioso e perfino politico fu Dante. Dopo di lui come poeta e politico venne Petrarca e poi Boccaccio. Pittura ed arti figurative culminarono con Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Mantegna. Ma il vero inizio della modernità in tutta Europa è segnato da Michel de Montaigne e nel campo religioso da Lutero e la sua Riforma con le 95 tesi affisse sulle porte delle chiese luterane. In quell’epoca stessa nacque l’Ordine dei Gesuiti, voluto da Ignazio di Loyola.

Questo nel pensiero, nella scienza, nel costume, nelle arti è il seme della modernità. Non avviene certo solo in Italia e anzi, politicamente parlando, perde ogni suo potere. Tuttavia il Rinascimento è totalmente italiano e segna la graduale uscita dal Medioevo. Questa è la modernità. Sarà forse un caso (la storia ne abbonda) ma il 23 aprile dello stesso anno morirono insieme, senza essersi mai conosciuti) Miguel de Cervantes e William Shakespeare. Anche qui due nomi sovrastano tutti gli altri: Don Chisciotte della Mancia e Amleto. Pochi nomi ai quali vanno aggiunti quello di Machiavelli, di Galileo e di Giambattista Vico. La modernità raggiunge il culmine ma non accade che il culmine sia presto abbandonato e ne cominci la decadenza. Al contrario il culmine dura a lungo: cominciò col Rinascimento del Quattrocento e durò fino all’Illuminismo del Settecento: tre secoli nei quali la trasformazione resta al suo massimo livello, soggetta tuttavia a lotte continue e guerre armate per la conquista del potere e del suo rafforzamento. Guerre continue, eserciti e bande mercenarie sulle terre e sui mari il cui centro non è più soltanto il Mediterraneo ma l’Atlantico, i galeoni spagnoli, le flotte inglesi e francesi, i corsari, i pirati, la conquista europea del continente americano, del Sud e del Nord.

Nel campo del pensiero comincia quel movimento che fu chiamato Illuminismo, con Diderot, Voltaire, Rousseau, d’Holbach e l’Encyclopédie in Francia, e Adam Smith, Hume, Ricardo in Inghilterra. Goethe fu al centro, portò avanti l’Illuminismo con Cartesio da un lato e Kant dall’altro. Poi a metà strada il Romanticismo che saldò il secolo illuminista con l’Ottocento.
Papa Francesco tutte queste storie le conosce, che io sappia fanno parte della sua cultura giovanile, del suo noviziato e poi della sua missione nell’ambito della Compagnia gesuita e infine come Vescovo in permanente missione. Un giorno ricordo d’avergli chiesto se aveva visto il film Mission. Mi sembra di ricordare che l’avesse visto e ne avesse tratto una serie di riflessioni che comunque collimano con la funzione del suo successivo pontificato.

L’idea e il programma che quell’idea comporta è quella da lui predicata ogni giorno e più volte al giorno e si concreta nei seguenti temi: Gesù e i suoi apostoli dopo la crocifissione e il Resurrexit si sono identificati con il sostegno dei poveri, degli esclusi, dei deboli. Interi popoli sono condizionati da queste situazioni. A Lui non importa chi abbia una fede religiosa oppure nessuna. Meritano comunque il sostegno fisico e spirituale della Chiesa Missionaria, la sola in cui ha riposto tutta la sua energia, il suo appoggio e la sua identificazione.

Recentemente ha addirittura creato una nuova definizione del Dio unico che è la “novella” di sua Santità: lo chiama Dio Amore. Non s’era mai sentita questa definizione; gli attributi consueti li conosciamo da tempo e descrivono soprattutto la potenza del Creatore: Onnisciente, Onnipotente, Onnipresente, Eterno. Ama tutto il creato e l’uomo in particolare, che fu creato a sua immagine e somiglianza. L’Amore è uno degli infiniti modi con i quali Dio si manifesta, ma non è il solo. L’amore è un flusso reciproco tra Dio e l’umanità.

Francesco introduce un mutamento apparentemente marginale ma in realtà estremamente profondo: il Dio Amore è un flusso di sentimenti tra il Creatore e le creature. È quella scintilla di Divino che c’è in tutte le anime; l’immanenza di una divinità trascendente che dovrebbe indurre Francesco a beatificare Spinoza e la sua descrizione che parlò dell’immanenza del trascendente. O beatificare Pascal che seguì lo Spinoza e anche Giansenio. Atti di questa importanza sarebbero un passo decisivo verso i laici, gli atei, gli indifferenti che abbondano ormai nella società e la alimentano verso il progresso del mondo moderno. Se Francesco vuole rafforzare la Chiesa Missionaria, credo sia questa la strada da perseguire. Il Dio Amore che altro può fare se non equiparare se stesso alle anime da lui create? Non è su questa strada che le religioni possano affratellarsi con conseguenze anche politiche, facendo vincere il binomio “Amore e Pace” su quello opposto e finora sempre vincente di “Potere e Guerra”?

La modernità è l’estremo confronto tra queste due soluzioni. In una società moderna e globale questi due binomi sono decisivi su come si atteggerà il mondo intero, quello dei ricchi e quello dei poveri, quello dei forti e quello dei deboli, che deve trasformarsi (questo è il nostro auspicio e quello di Francesco) in un potere benevolo e in un odio per il sopruso, la menzogna, la scelta consapevole del male.
Il male fa parte del libero arbitrio, della libertà insidiata e asservita al Demonio del quale spesso accarezziamo la coda.

Dunque, carissimo Francesco, il Creatore ha creato anche il Demonio, come è scritto nel libro sapienziale di Giobbe e in quello dell’Ecclesiaste. Gli atei hanno nella mente che il vero Creatore sia il Caos, nel quale l’energia liberata dalla morte affluisce e dal quale nascono incessantemente nuove forme che hanno in sé una scintilla di caos, cioè le contraddizioni che ogni creatura contiene e l’Io che porta dentro di sé. Se si spengono le contraddizioni c’è il regno dell’Amore, se non si vincono resta l’odio caotico che spegne la Vita.
© Riproduzione riservata 16 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/04/16/news/questa_pasqua_anche_per_gli_atei_si_chiama_francesco-163117335/?ref=RHPPLF-BL-I0-C8-P1-S2.2-T1
5177  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Illudersi che questo Parlamento possa farci uscire dall'attuale Pantano equivale inserito:: Aprile 16, 2017, 06:03:37 pm
Illudersi che questo Parlamento possa farci uscire dall'attuale Pantano equivale a propagandare le falsità dell'anti-politica.

Abbiamo bisogno di una "Dittatura Progettuale", intendendo con questo dare Potere ad un Progetto-Paese studiato e condiviso nel Polo Democratico, dai partiti di Centro e di Sinistra, che vi aderiscono restando autonomi e separati, pur sostenendo il Governo che dovrà attuarlo.

Da FB del 16 aprile 2017
5178  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / GIUSEPPE ALBERTO FALCI. Walter Verini (Pd): “E’ una dialettica fisiologica “ inserito:: Aprile 16, 2017, 06:01:31 pm
Walter Verini (Pd): “E’ una dialettica fisiologica “
Pubblicato il 15/04/2017

GIUSEPPE ALBERTO FALCI
ROMA

«Più che uno scontro vedo semplicemente una normale dialettica tra il governo e il Pd». Walter Verini, parlamentare renziano, dai toni dialoganti e riflessivi, non accetta la lettura che si dà in queste ore. E sulla battaglia che dietro le quinte si starebbe consumando fra i tecnici dell’esecutivo e il segretario uscente del Pd Renzi preferisce sorridere e affermare: «Mi sembra tutto una tempesta in un bicchier d’acqua» 

E allora onorevole Verini, di cosa si tratta? 
«Le ripeto, è una dialettica fisiologica tra soggetti che hanno ruoli diversi. Padoan tratta tutti i giorni con Bruxelles e il Pd ha un orizzonte diverso. E chiedere all’Europa di cambiare, di non essere solo vincolistica e ragionieristica non significa solo fare gli interessi dell’Italia ma anche dell’Europa stessa». 
 
Orfini ha detto chiaramente: «Grazie a noi il Def è migliorato, pensavano di decidere in tre». 
«Il governo era portato a tenere più in considerazione le esigenze dell’Europa. Mentre il gruppo del Pd ha puntato su una manovra che non deprimesse la ripresa. Distinzioni che poi sono diventate complementari».
 
Se Padoan ascolta il Pd, Calenda continua a prendere le distanze dal Pd e da Matteo Renzi. Al punto che il presidente dem Orfini lo ha definito un ottimo leader per il centrodestra. 
«Mi auguro che il centrodestra trovi una leadership moderata ed europeista, e non populista ed estremista. Quanto a Calenda, essendo stato ed essendo un ministro di governi presieduti dal Pd, e rimanendo il Pd un partito a vocazione maggioritaria, non regalerei i Calenda al centrodestra». 
 
Lei ritiene ancora possibile una ricucitura tra il Pd e il ministro Calenda? 
«Avere momenti di discussioni e diversità di opinione non vuol dire necessariamente scontrarsi». 

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Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/04/15/italia/politica/walter-verini-e-una-dialettica-fisiologica-AMayK3FU9KasvdlNPiRqaO/pagina.html
5179  Forum Pubblico / PERSONE che ci hanno lasciato VALORI POSITIVI / È morto a Camogli Piero Ottone, giornalista ex direttore del Corriere della Sera inserito:: Aprile 16, 2017, 05:58:50 pm
È morto Piero Ottone, maestro di giornalismo
Ex direttore del Corriere della Sera ed editorialista di Repubblica, aveva 92 anni

Pubblicato il 16/04/2017
Ultima modifica il 16/04/2017 alle ore 10:17

È morto a Camogli Piero Ottone, giornalista, ex direttore del Corriere della Sera e del Secolo XIX ed editorialista di Repubblica. Aveva 92 anni. Ne dà notizia il giornalista Ezio Mauro, ex direttore di Repubblica, in un tweet: «Ciao, Piero Ottone, lo stile nel giornalismo e nella vita». 

Nato a Genova nel 1924 inizia la sua carriera alla Gazzetta del Popolo, dove sarà corrispondente da Londra. Negli Anni Cinquanta passa al Corriere della Sera, prima come corrispondente da Mosca poi come redattore capo.
 
Dal 1968 e fino al 1972 è direttore del Secolo XIX

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati

Da - http://www.lastampa.it/2017/04/16/cultura/morto-piero-ottone-maestro-di-giornalismo-Gxkf91inbxCk7oMuGeqBOP/pagina.html
5180  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Claudio Cerasa. Cosa può fare la politica responsabile per mostrare la ... inserito:: Aprile 16, 2017, 05:57:02 pm
Memorandum anti peronisti (fate girare!)
Cosa può fare la politica responsabile per mostrare la cialtroneria delle forze anti sistema?
Scegliere 10 inderogabili priorità economiche e sottoscriverle prima delle elezioni.


Appunti per un Foglio di riforme non negoziabili

Di Claudio Cerasa - cerasa@ilfoglio.it
15 Aprile 2017 alle 06:00

La necessità di dare forma anche con una certa urgenza a un grande fronte anti grillino – tema che avete trovato declinato più volte negli ultimi giorni sulle pagine del nostro giornale – non è un invito a giocare genericamente con l’algebra o con le ammucchiate per stritolare in modo improprio i movimenti anti sistema ma è un tentativo semplice, sano e lineare, di alzare un muro politico e culturale capace di delimitare con esattezza quali sono i campi da gioco presenti in Italia, mettendo a nudo l’identità più profonda delle forze politiche e separando quelle responsabili da quelle non responsabili. Per separare le forze politiche responsabili da quelle irresponsabili sarebbe sufficiente mettere da una parte chi insegue e chi non insegue un movimento peronista che truffa l’Italia con la grande balla della democrazia diretta, nascondendo dietro il mito dell’uno vale uno una visione autoritaria, di puro sfascismo digitale, perfettamente sintetizzata dal profilo anti costituzionale (a morte la democrazia rappresentativa) scelto per tentare di arrivare al governo. Ma il piano politico, seppure sia ovviamente importante, non basta per capire qual è la vera partita che si gioca oggi. E così, per mettere a fuoco i confini dei due fronti politici che si confrontano in Italia, occorre fare un salto di qualità e passare su un altro piano, ancora più concreto, che non può che essere quello economico.

Il manifesto eversivo di Beppe Grillo
Con un post contro il Foglio (smack), Grillo ha messo a nudo la vera identità del 5 stelle. Cos’è il progetto anti democratico del M5s e perché centrodestra e centrosinistra hanno il dovere di lavorare a un fronte anti peronista

L’Italia, come ammette in privato anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, gode oggi di buoni fondamentali: ha una crescita inferiore a quella della media europea ma è comunque una crescita robusta che si sta consolidando; ha una disoccupazione giovanile quattro volte più grande rispetto a quella europea, ma ha un’occupazione che aumenta ormai da molti trimestri; ha una pressione fiscale sul lavoro ancora molto alta, dodici punti sopra la media Ocse, ma ha un tessuto industriale che cresce in modo significativo e che migliora di mese in mese. Sarà forse vero che la percezione che si ha dell’Italia in Europa è inferiore rispetto a quella che è la condizione effettiva del nostro paese. Ma per quanto si possa essere ottimisti sul futuro dell’Italia (e noi lo siamo) bisogna anche essere realisti e non chiudere gli occhi quando a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro arrivano tre giganti dell’informazione economico-finanziaria mondiale (Economist, Les Echos, Wall Street Journal) a segnalare che nonostante tutto il nostro paese è uno dei malati dell’Europa.

Tra essere malati e non essere in salute come gli altri c’è una differenza di fondo non banale, ma osservando da lontano lo stato politico del nostro paese, e incrociandolo con l’inerzia della politica, è comprensibile che pensando ai prossimi dodici mesi dell’Italia ci siano ragioni che portano a essere preoccupati: il sistema politico è traballante e non è detto (lo dice sempre Padoan) che sia questo governo a realizzare la prossima manovra; il sistema elettorale disegnato dalla Consulta dopo il No al referendum costituzionale non offre garanzie di governabilità; gli avversari dei peronisti sono mossi dalle migliori intenzioni ma non riescono a trovare un mix giusto tra populismo buono e riformismo costruttivo; i movimenti anti sistema vengono descritti come in costante ascesa (ma sarà vero?) e la sola ipotesi che a febbraio ci possa essere una forza politica che arriva al governo proponendo un referendum per uscire dall’euro è un elemento di per sé già destabilizzante.

In questo grande e generico contesto di instabilità ci sarebbe un modo concreto per separare le forze politiche responsabili da quelle irresponsabili, offrendo contestualmente agli elettori, agli investitori, agli osservatori internazionali, alla classe dirigente un quadro meno instabile rispetto al futuro del nostro paese: stabilire dieci concreti provvedimenti di politica economica necessari per dare una spinta al nostro paese (e intervenire in modo strutturale sui problemi dell’Italia) e firmarli prima delle elezioni in modo condiviso. Non è un invito all’inciucio ma è un tentativo di dire la verità sul fatto che per consolidare la sua crescita l’Italia ha bisogno che chiunque andrà a governare agisca con fermezza su alcuni punti chiari: un intervento progressivo per il taglio delle imposte e in particolare del cuneo fiscale; una piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali; un impegno ad alleggerire in modo progressivo il nostro debito pubblico senza misure choc; un impegno a non intaccare le riforme sul lavoro e sulle pensioni realizzate dagli ultimi governi; una proposta concreta per ridurre le ore impiegate in un anno da una piccola-media impresa per presentare le dichiarazioni fiscali; un impegno a ridurre i tempi del processo penale e non aumentare i tempi della prescrizione; una riforma delle intercettazioni finalizzata a tutelare la privacy degli indagati nel pieno rispetto dell’articolo 27 della Costituzione; un impegno a omogeneizzare le regole sul lavoro presenti nel settore privato con quelle del settore pubblico; un intervento più forte per riformare il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo, come già suggeriva sei anni fa la Banca centrale europea, “accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione”.

Più che un contratto con gli italiani, è un memorandum del buon senso. E mettendo insieme le priorità inderogabili dell’Italia sarà più semplice capire, per tutti, chi ha scelto di presidiare il campo della responsabilità e chi invece ha scelto di presidiare il campo dell’irresponsabile cialtroneria peronista. Ci sono princìpi non negoziabili, tra i quali le regole costituzionali della democrazia rappresentativa, lo stato di diritto, l’appartenenza all’Europa sui quali non bisogna fare i furbi. Rispettati quei principi, ci si può scontrare, dividere e contrastare. Ma non si può scherzare con chi fa della distruzione di questi princìpi il proprio programma fondativo. E’ una piccola idea che può diventare grande e la approfondiremo nei prossimi giorni sul nostro giornale. Scriveteci qui la vostra priorità: fogliodiriforme@ilfoglio.it. E buona Pasqua a tutti.

Da - http://www.ilfoglio.it/politica/2017/04/15/news/memorandum-anti-peronisti-fate-girare-130379/
5181  Forum Pubblico / PERSONE che ci hanno lasciato VALORI POSITIVI / È morto Piero Ottone, maestro di giornalismo che amava dire "sono sempre stato.. inserito:: Aprile 16, 2017, 05:54:37 pm
È morto Piero Ottone, maestro di giornalismo che amava dire "sono sempre stato me stesso“.
Ci ha lasciato all'età di 92 anni.
È stato direttore del Corriere della Sera ed editorialista di Repubblica.
Diceva: "Di me si ricorderà soltanto che ho fatto scrivere Pasolini in prima pagina e che ho licenziato Montanelli".
Ma non è così

Di PAOLO MAURI
16 aprile 2017

Piero Ottone, scomparso all'età di 92 anni, ha sempre pensato e ha sempre detto che la giusta posizione del giornalista di fronte a quel che accade intorno a lui e nel mondo è quella dello spettatore, in omaggio al mestiere imparziale ammirato da sempre nella stampa anglosassone e un po' anche in quella francese di Le Monde. Nato a Genova nel '24 comincia presto a frequentare i giornali, prima Il Corriere Ligure poi, nel '45, La Gazzetta del Popolo diretta da Massimo Caputo.

Gli dicono che Mignanego, il suo vero cognome, suona male e allora adotta quello della madre: Ottone, appunto. Per La Gazzetta farà in seguito il corrispondente da Londra e, negli anni Cinquanta, da Mosca per Il Corriere di cui è poi anche redattore capo. Nel '68 diventa direttore del Secolo XIX di Genova e quattro anni dopo Giulia Maria Crespi lo invita a dirigere il Corriere che ha bisogno di essere in maggiore sintonia con la borghesia lombarda progressista.
 
Ottone, ricordò una volta Scalfari, era stato scelto anche perché aveva capito che i comunisti non avevano la coda, o almeno non l'avevano più. Comunque Ottone subentrò a Spadolini che trovava simpatico come persona ma pessimo come direttore: perennemente impegnato in telefonate con i politici faceva aspettare i redattori fuori dalla porta, mentre una luce rossa segnalava che non si poteva entrare. Una volta Buzzati si portò una sedia per non aspettare in piedi. Ottone raccontava questi aneddoti schivando quelli che lo riguardavano più da vicino. Di me, amava dire, si ricorderà soltanto che ho fatto scrivere Pasolini in prima pagina e che ho licenziato Montanelli.

In realtà doveva a Gaspare Barbiellini Amidei l'acquisto di Pasolini come collaboratore e ricordò sempre di non aver neanche voluto leggere il primo articolo, lasciando appunto che Barbiellini, di cui si fidava assolutamente, lo mandasse in tipografia. Con lo scrittore ebbe in realtà pochissimi contatti diretti: una volta gli telefonò per dirgli che preferiva non pubblicare un articolo che poteva dar luogo a problemi legali e Pasolini lo ritirò tranquillamente.

Il caso Montanelli fu in qualche modo più spinoso, perché si trattava di un giornalista principe del Corriere che non sopportando il nuovo corso si preparava a fondare un nuovo quotidiano, Il Giornale. Non è vero che se ne andò sbattendo la porta: Ottone lo licenziò in tronco nell'ottobre del '73 e non fu una vicenda indolore perché alcune firme seguirono poi Montanelli in quella che fu una vera secessione.

Molti anni dopo Ottone disse che forse era stato un errore, ma sono convinto che se fosse tornato indietro avrebbe fatto la stessa cosa. Nel '77, quando Montanelli fu gambizzato dalla Brigate Rosse, Il Corriere non riportò il suo nome in prima pagina. Intanto Il Corriere era diventato proprietà della Rizzoli che confermò a Ottone la direzione. Poco dopo però lui stesso si dimise volontariamente: fu il mio angelo custode a darmi un buon consiglio, raccontò molti anni dopo. Sul Corriere incombeva di lì a poco la P2. Per quanto poi abbia ricoperto incarichi importanti, Ottone, nella memoria di tutti, resta il direttore del Corriere in quella ormai lontana stagione e sebbene fosse un professionista eccellente lo si ricorda più per la sua direzione che per i suoi articoli.

Passò alla Mondadori con importanti incarichi di consulenza per i periodici e per la tv nell'epoca in cui la casa editrice di Segrate era governata da Mario Formenton. Di lì a poco ci sarebbe stata l'avanzata di Berlusconi e Segrate sarebbe diventato terreno di guerra.

Ottone divenne poi editorialista di Repubblica e tenne fino a poche settimane fa una rubrica sul Venerdì intitolata Vizi & Virtù: un colloquio con i lettori in cui commentava eventi salienti con il disincanto di chi il mondo lo conosce bene. Gli piaceva ripetere, con Oswald Spengler, che l'Occidente è ormai al tramonto e non credeva neppure che l'Unione Europea potesse risollevarne le sorti più di tanto.

Piero Ottone ha scritto molti libri: biografie di uomini politici (Fanfani e De Gasperi), reportage sulla Russia, inchieste sull'industria italiana (Saremo colonia?). Suo anche un ritratto di Gianni Agnelli Visto da vicino (2003). "Aveva - commentò - soprattutto il terrore di annoiarsi". Nel 2005 scrisse anche un libro di memorie, le Memorie di un vecchio felice, perfettamente in linea con l'understatement con cui aveva sempre vissuto.

In una intervista ad Antonio Gnoli in occasione dei novant'anni aveva confessato di aver trascurato di leggere quei classici che tutti fingono di aver letto (per esempio Proust) e di poter dire con piacere: sono stato sempre me stesso. Intendeva anche rivendicare il suo essere genovese: un genovese lontano dalla retorica e soprattutto buon comandante. Era innamorato della vela e la barca era sempre stato il suo vero paradiso. Quella volta in cui fece naufragio, lo fece (e lo raccontò) con la classe di sempre.   

© Riproduzione riservata 16 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/cultura/2017/04/16/news/piero_ottone-163125032/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1
5182  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / UGO MAGRI Preoccupazione al Colle: senza una legge elettorale l’Italia sarà ... inserito:: Aprile 16, 2017, 05:53:12 pm
Preoccupazione al Colle: senza una legge elettorale l’Italia sarà ingovernabile
L’attuale sistema non garantisce vincitori, ma il Parlamento non si muove
Se il sistema di voto resterà come adesso, dopo le prossime elezioni sarà impossibile formare governi stabili

Pubblicato il 16/04/2017 - Ultima modifica il 16/04/2017 alle ore 08:04

UGO MAGRI
ROMA

L’Italia si sta mettendo nei guai. Rischia di non avere una guida proprio mentre il pianeta diventa sempre meno ospitale. È praticamente certo che, se il sistema di voto resterà come adesso, dopo le prossime elezioni sarà impossibile formare governi degni del nome. Ben che ci vada, avremo soluzioni ambigue perché la legge elettorale non permette di più. Nelle sfere istituzionali tutti lo sanno, e sono in allarme. Ma nei partiti nessuno ci mette la testa. E i sistemi di cui si discute («Legalicum», «Mattarellum», premio di coalizione) vengono tirati fuori per guadagnare tempo; in attesa di che, non si sa.

Il «pasticcio perfetto» 
All’origine c’è la sentenza della Consulta datata 13 gennaio 2014. I giudici stabilirono che il premio di maggioranza è lecito, purché non sia eccessivo. In nome di questo principio, rintracciato tra le pieghe della Costituzione, venne bocciato il «Porcellum» e poi l’«Italicum». Ma poi la Corte stessa si è spaventata e, invece di completare l’opera, ha rinviato alle Camere il compito di «armonizzare» il sistema. Ha sbagliato prima e fatto bene dopo? Sia come sia, ora convivono due «Consultelli» che non sono carne né pesce. Non esiste più un impianto davvero maggioritario perché il premio scatta al 40 per cento, irraggiungibile dagli schieramenti attuali. Nella media dei sondaggi (vedi termometropolitico.it), nessuno supera quota 30, troppo poco per vincere. Oltretutto, la speranza di ottenere il premio riguarda solo la Camera e non il Senato, dove il «bonus» è stato abolito. Quindi abbiamo un sistema sostanzialmente proporzionale, che tuttavia non ha il coraggio di fare «outing», si vergogna di dichiararsi per quello che è. E ciò succede in quanto quel poco di maggioritario sopravvissuto alla Corte costringe i partiti a proseguire la pantomima (ipocrita) di quelli che puntano alla vittoria. E si atteggiano come se davvero potessero farcela da soli. Dunque sfoderano tutto l’armamentario dei candidati premier, delle primarie per sceglierli e delle promesse di non venire mai a patti con il «nemico», come quando l’Italia era divisa tra destra e sinistra, e il M5S non esisteva ancora. Mentre è chiaro agli stessi leader che l’unica possibilità di mettere in piedi una maggioranza sarà legata a qualche forma di intesa post-elettorale.
 


Piano inclinato 
 Infatti, sottovoce già si parla di scenari per il «dopo». E si fanno i conti col pallottoliere per capire se, per esempio, la somma di Pd, Forza Italia e centristi potrà dar vita a una maggioranza. O tra grillini e Lega più Fratelli d’Italia: dipenderà dai numeri, ammesso che ci siano. Ma dopo aver giurato che mai si faranno «inciuci», qualunque soluzione di compromesso (che è la base dei sistemi proporzionali) verrà vissuta come un tradimento della parola, uno scadimento ulteriore della moralità. Il nuovo governo nascerà nel discredito, favorendo gli anti-sistema. Oppure non nascerà affatto, condannando il Paese a una spirale dagli sbocchi imprevedibili. Mattarella, al quale toccherà l’onere di trovare soluzioni, ha più volte chiesto ai partiti di concentrarsi sulla questione. Finora, senza ottenere risposta.

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/04/16/italia/cronache/preoccupazione-al-colle-senza-una-legge-elettorale-litalia-sar-ingovernabile-46JyI6ta02tGuvEnpn49ZM/pagina.html
5183  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Illudersi che questo Parlamento possa farci uscire dall'attuale Pantano, inserito:: Aprile 16, 2017, 05:51:59 pm
Illudersi che questo Parlamento possa farci uscire dall'attuale Pantano, equivale a propagandare le falsità dell'anti-politica.
Soltanto il raggrupparsi in POLI BEN DISTINTI TRA LORO potrà farci riemergere nell'attualità di questo Mondo, che si sta rigirando su se stesso.

ciaooo
5184  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / ORLANDO: inserito:: Aprile 16, 2017, 05:50:08 pm
Interviste
Vladimiro Frulletti - @vladfrulletti
· 16 aprile 2017

Orlando: “Come cambierò il Pd”
Primarie Pd   
Il ministro della Giustizia e candidato alle segreteria: “Se non cambiamo a fondo il partito perderemo le elezioni”

C’è una cosa di cui il ministro Orlando pare sinceramente preoccupato: che la forza del Pd possa sgretolarsi da qui al giorno in cui ci saranno le elezioni politiche. Una specie di indebolimento progressivo figlio sì della scissione ( «Mdp ha fatto un errore gravissimo») ma anche della sottovalutazione dei mali che da tempo affliggono questo partito. Il problema, è il ragionamento del ministro in questa intervista, è che se il Pd perderà le prossime elezioni per l’Italia e più precisamente per chi in Italia ha già pagato a caro prezzo i costi della crisi, non sarà affatto l’inizio di un futuro migliore.

Ministro, a meno di due settimane dal 30 aprile, dalla domenica delle primarie democratiche, che clima sta trovando nei suoi incontri con gli iscritti e gli elettori del Pd?

Un misto di preoccupazione e speranza.

Sembrerebbero due stati d’animo che difficilmente possano coabitare?
E invece in giro sento fra le persone una forte preoccupazione sul destino del Pd, su quale futuro avrà il nostro partito e quindi il Paese. Un timore che si allarga guardando al possibile esito delle prossime elezioni politiche perché è evidente che se non si cambia si perde. Tuttavia percepisco anche un credito verso la mia candidatura, trovo sempre più elettori democratici, persone di sinistra, che avevano deciso di rimanere a guardare per un giudizio molto critico sullo stato del Pd e che adesso, invece, hanno deciso di provarci, di scommettere che possiamo, insieme, cambiare il partito.

Voi siete rimasti uno dei pochi, se non l’unico partito che fa decidere i propri iscritti e elettori. Eppure non mancano nei vostri confronti le critiche anche di fronte ad altri partiti che decidono con un click, sempre che al Capo stia bene l’esito, o in cui le scelte sono fatte a Arcore. C’è chi parla di nomenclatura a proposito degli oltre 260mila tesserati che hanno votato nei vostri circoli. Non vi vede dietro un pre-giudizio svilente nei confronti del Pd?

Parlare di nomenclatura a proposito dei nostri iscritti è sicuramente sbagliato. Tuttavia non possiamo neppure nascondere i problemi che ci sono. La differenza che c’è fra chi ha partecipato al dibattito nei circoli e il numero, assai più alto, di chi poi ha votato appena è terminato il dibattito fra le mozioni, non va sottovalutata altrimenti corriamo anche noi il rischio di diventare un giorno il partito dei click o del capo. Dobbiamo cioè porci per davvero il problema di come far pesare non una volta ogni tanto, ma sempre quel nostro mondo fatto di passioni, competenze, intelligenze e capacità.

Quindi?
Quindi è bene vedere i mali che stanno anche dentro di noi, diagnosticarli e curarli per tempo.

Anche per questo lei dice che se diventerà segretario non farà il candidato premier? Cioè si occuperà solo del partito? Eppure nei vostri alleati europei, ultima la Spd, c’è coincidenza fra leader di partito e premiership.

Non ovunque e non sempre è accaduto così, neppure nella Spd. Se divento segretario farò il segretario per due motivi. Prima di tutto perché il partito va ricostruito e rinnovato. Se guardo alle liste che al sud appoggiano Renzi vedo ad esempio che la rottamazione non c’è più. Però io penso che c’è da promuovere una nuova classe dirigente senza guardare troppo alla fedeltà perché altrimenti faremo appassire le nostre migliori energie. L’altro motivo è che rispetto a quando è nato il Pd il quadro politico è oggettivamente cambiato.

Dal bipolarismo tendente al bipartitismo che come fondamento aveva il maggioritario, o di qua o di la, siamo passati a un sostanziale tripolarismo e a una oggettiva spinta per un ritorno a un sistema parlamentare fondato sul proporzionale. Ma è inevitabile questo ritorno al passato? Si ha l’impressione che lo stallo sulla nuova legge elettorale sia figlio proprio della volontà di molti partiti di avere domani un sistema in cui nessuno abbia la forza di governare.

Che ci sia questa voglia è indubbio, ma è anche indubbio che il Pd fin qui non ha fatto molto per smontarla. Non è una proposta dire “o Mattarellum o Italicum o scegliete voi che poi valuto”. L’errore è pensare a modelli invece che fissare criteri chiari. Per me i paletti sono due: rappresentanza e governabilità. Se invece c’è chi pensa che il problema sia tenersi i capilista bloccati, faccio notare che per eleggere qualcuno, anche bloccato, servono i voti. E non penso che se andremo avanti così ne prenderemo tanti. Anzi.

Perché?
Perché senza una legge elettorale che garantisca rappresentanza e governabilità sarà chiaro che spingeremmo la prossima legislatura o verso un nuovo governo di larghe intese, e quindi ci bombarderanno con l’accusa di voler fare il governo con Berlusconi, o verso l’impossibilità di fare alcun governo e quindi verso la prospettiva di nuove elezioni. Un circolo vizioso da cui il Pd deve essere sottratto.

Siamo al cane che si morde la coda: l’antipolitica populista che attacca la politica e la politica che non decide, si impantana e così alimenta la critica populista?

Rischiamo il cortocircuito democratico e non ne usciremo affidando la scelta sulla legge elettorale di volta in volta a Grillo, Salvini e Berlusconi o a tutti e tre assieme.

Nel suo editoriale su l’Unità Veltroni lancia un avviso alla sinistra: svegliati, inizia una battaglia politica e culturale veramente riformista perché quelli colpiti dalla crisi non stanno più guardando a te ma ai populismi e ai loro slogan con possibili pericolose conseguenze.

Questa è la ragione per cui mi sono candidato perché ho visto chiaro che se il Pd non cambiava rotta era destinato alla sconfitta. E non possiamo permettercelo proprio perché abbiamo forze che ritengono normale avere come riferimento Putin cioè un modello che poco a che fare con la democrazia occidentale. Ma questa era una battaglia da fare da tempo, da quando la sinistra s’è dimostrata subalterna a una certa idea di globalizzazione che vedeva, come la terza via di Blair, il ruolo della politica limitato ad accompagnare, assecondandolo, lo sviluppo dell’economia.

Però se davvero siamo in una situazione così rischiosa allora la scelta di chi s’è diviso dal Pd è ancora più grave: si può sbagliare per tattica, ma questa sembra un errore strategico, di lettura della realtà. Non per voler esagerare ma sembra quasi che ogni volta che la sinistra si trova di fronte a esami fondamentali la prima reazione è la divisione e quindi l’indebolimento del proprio fronte.

Si, chi ha scelto di andarsene ha commesso un tragico errore, ma ha sbagliato anche chi ha salutato la divisione con un certo sollievo. L’altro errore che potremmo commettere, e in cui a volte siamo caduti, è pensare di fare concorrenza ai populisti sul loro stesso terreno: fra originale e copia l’elettore sceglie sempre l’originale.

Mdp nasce contro la volontà, più o meno presunta, del Pd e di Renzi di andare presto al voto. Tuttavia per una strana eterogenesi dei fini potrebbero essere proprio i no di Mdp al governo a far cadere Gentiloni?
Ribadisco quello che ho sempre detto: le scissioni si sa come iniziano ma non si sa come vanno a finire. Certo che la conflittualità, che questo clima da “fratelli coltelli” per citare Gramsci, non aiutano. Così come non aiuta la tenuta del governo neppure chi nel Pd, e ce ne sono, alimenta la fibrillazione soprattutto verso certe scelte economiche. In questo giorni leggendo alcune dichiarazioni m’è venuta alla mente quella frase pronunciata da un dirigente dei Ds a proposito di un governo di centrosinistra con la quale prometteva che i Ds non sarebbero stati gli “uscieri di Palazzo Chigi”, non andò bene. Meglio recuperare un po’ di calma e pensare che non possiamo permetterci di andare al voto in ordine sparso spingendo allo sbandamento il nostro popolo.

Domenica di Pasqua, i radicali assieme a tanti altri sono in piazza per l’amnistia. Che ne pensa?
Che l’amnistia non è più un obiettivo perseguibile dato che oggi servono i 273 dei voti in Parlamento e non ci sono le condizioni politiche per una maggioranza di tale ampiezza. Inoltre, ammesso che quella sua la via giusta, è molto più utile che sia approvata dalla Camera la riforma dell’ordinamento penitenziario che concretamente risolverà molti problemi di sovraffollamento e esecuzione della pena.

Che idea s’è fatto sull’inchiesta Consip?
A me hanno colpito molto le parole di una persona seria come Luciano Violante che ha detto che un ufficiale giudiziario non può agire da solo nella manipolazione delle prove.

Le ripeto solo ciò che ho già detto, e cioè che si tratta di una vicenda inquietante su cui c’è da fare piena luce. Ma per il mio ruolo non esprimo alcuna valutazione.

Nella scuola ci sono migliaia di giovani che abbandonano gli studi e a un calo delle iscrizioni alle università. Si tratta troppo spesso di figli di famiglie con meno possibilità economiche e culturali. Non è questa una delle principali sconfitte della sinistra?
Per anni ci hanno ripetuto il mantra del merito-merito-merito, ma il merito senza parità opportunità di partenza diventa un imbroglio. La scuola è stata a lungo un ascensore sociale che oggi sì è bloccato, anche perché in tanti che studiano, ottengono un titolo, poi sono frustrati da un mondo del lavoro che o li respinge o li costringe al precariato. C’è un enorme problema di uguaglianza sociale, che la crisi concentrando nelle mani di pochi la ricchezza, ha accentuato. È ovvio che se il 64% della ricchezza italiana è controllata dal 20% della popolazione avremo una società ingiustizia i cui riflessi si riversano anche nelle nostre scuole producendo un danno, perché più intelligenze ci sono, più un Paese è ricco.

Dopo l’89 e la fine della contrapposizione fra i due blocchi, lei avrebbe mai pensato di trovarsi di fronte a un mondo in cui potrebbe scoppiare una guerra atomica?

No, ma purtroppo i crescenti nazionalismo ci stanno facendo correre anche questo rischio. Quando dico America first è ovvio che tutti gli altri devono stare sotto, al secondo, terzo, quarto posto e così via. Viene cioè amplificata la crisi degli organismi multilaterali. Ed è qui che si sente la mancanza dell’Europa, c’è bisogno di un nostro nuovo protagonismo europeo per impedire che le varie spinte nazionaliste inneschino un effetto domino il cui esito è incerto.

Da - http://www.unita.tv/interviste/orlando-come-cambiero-il-pd/
5185  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Gian Antonio Stella «Solo in Italia ai giovani chirurghi non è permesso di ... inserito:: Aprile 16, 2017, 05:44:45 pm

L’intervista

«Solo in Italia ai giovani chirurghi non è permesso di esercitarsi»
L’appello dello specialista D’Imporzano, coordinatore scientifico dell’ortopedia all’Istituto Auxologico Italiano: perché introdurrei i «cadaver lab»

Di Gian Antonio Stella

Norberto Confalonieri, il primario di ortopedia che faceva lo spiritosone su una paziente anziana alla quale aveva spaccato un femore («L’ho rotto, è andato... Per allenarmi su quella che dovevo fare privatamente») è in-di-fen-di-bi-le. Il putiferio che ne è nato, però, potrebbe essere utile. E accelerare la legge sull’utilizzo post mortem del corpo umano per fini scientifici. Per salvare altre vite. Legge impantanata in Senato.

Esercizio
«Una vergogna. Siamo tra i pochi Paesi al mondo a non avere la possibilità di usare i “cadaver lab”. Che senso ha che i giovani chirurghi facciano esercizio operando i vivi?», accusa Marco D’Imporzano, coordinatore scientifico dell’ortopedia all’Istituto Auxologico Italiano, già Primario al Gaetano Pini, già Presidente del Collegio Italiano dei Chirurghi e della Società Italiana di Ortopedia. Celebre per la perizia operatoria non meno che per la franchezza. «Partiamo da Confalonieri. È un buon chirurgo come tanti che si è ritrovato, grazie all’accorpamento col Cto, primario in un luogo di eccellenza internazionale come il Gaetano Pini. Detto questo le parole usate su quella anziana paziente, se sono a verbale, sono esecrabili. D’accordo. Quanto ai maneggi di cui è accusato non voglio entrarci: ci pensino i giudici. Detto questo, però, qui è scoppiato solo un bubbone scandalistico senza che si affrontasse il nodo più importante».

Cioè?
«Capita a volte, mettendo una protesi, di fissurare, cioè lesionare, un femore. La protesi si appoggia e poi si picchia dentro contro l’osso. A martellate. È come metter dentro un cuneo nel legno. Quando si tocca un femore di una persona anziana può capitare di sentire un “cric”. Allora si mettono dei cerchiaggi, ci si lavora, si aspettano venti giorni prima di far camminare il paziente e alla fine va tutto a posto. Ma capita».

Pare che lui l’abbia quasi fatto apposta...
«Lo escludo. La battuta “sull’allenamento” è brutta ma escludo la volontarietà. Capita. Diverso sarebbe il caso se avesse provato una tecnica nuova (nuova per lui perché la “via bikini”, che lascia cicatrici meno vistose e favorisce un recupero migliore e più veloce, si fa da tempo) solo per esercitarsi. Ci sono ottantenni con le ossa di un trentenne ma forse... Il punto è che comunque l’apprendimento clinico e operativo andrebbe fatto sui cadaveri. In Francia, probabilmente, lui non avrebbe provato e riprovato su gente viva. Avrebbe provato e riprovato su preparati anatomici. Ecco il problema: in Italia non si può fare».

I medici più anziani ricordano di averlo fatto...
«Di straforo, forse. Gli istituti di anatomia patologica avevano sempre cadaveri a disposizione per le diagnosi e le autopsie e i professori facevano far pratica ai giovani così. Di straforo, però... Erano altri tempi. Me li ricordo gli anni in cui andavamo in giro di notte per gli obitori... Ma ciò di cui parlo io, la possibilità di studiare e fare esperienza su un preparato anatomico, un’anca, un ginocchio, da noi non c’è mai stata».

Vietato.
«Vietato. Beatrice Lorenzin è brava ed è riuscita a portare in porto una buona legge sul rischio clinico ma manca ancora, del tutto, una legge sui “cadaver lab”. Lì si dovrebbero fare le esercitazioni. Sui preparati anatomici cadaverici».

Eufemismo per non parlare di corpi di persone morte?
«Lo so, il tema può essere spigoloso. Ma i laboratori che offrono queste opportunità esistono in tutto il mondo. Dalla Francia alla Svizzera all’Austria, per citare i Paesi più vicini. Quelli chiusi sono non più di due o tre Stati. In tutto il mondo occidentale».

Come funziona?
«Chi “non” vuole dare il cadavere della persona defunta perché aiuti a salvare altre persone vive deve scriverlo prima. Sennò il processo è automatico. E la salma appartiene allo Stato. Da noi è il contrario. A Tours, in Francia, l’ultima volta che sono andato c’era una miriade di preparati, teste comprese. Senza scandalo. Per fare le esercitazioni maxillo facciali».

Detta così ricorda un po’ il Museo di Antropologia Criminale di Cesare Lombroso...
«Ho capito, ma se lei andasse a sbattere e si rompesse la parete orbitale e non ci vedesse più vorrebbe essere operato da un chirurgo che ha fatto esperienza su una vera testa o solo su manichini? Tutto il mondo lo capisce, il problema. Tutto. Meno noi».

Ma...
«Scusi: c’è molta diversità tra utilizzare (nel senso di rendere utile) un corpo senza più vita e metterlo in un forno per le cremazioni? Che differenza c’è?».

Argomento spinosissimo...
«Lo so. Ma è così. Questa è la realtà. E va detta, ad alta voce. I nostri specializzandi, per legge, devono (devono!) fare un certo numero di interventi l’anno. Li fanno? Sì, col chirurgo maggiore che gli tiene la mano e loro che si esercitano via via su cristiani. Vogliamo dirlo o ci chiudiamo in una stanza insonorizzata perché non vogliamo sentire, vedere, sapere? Meglio l’ipocrisia?».

Alternative?
«Non ci sono. Se tutto il mondo usa i “cadaver lab” mi spiega perché noi no? La stessa Nicola’s Foundation di Arezzo voluta da Giuliano Cerulli, una dei più grandi “cadaver lab” europei, deve importare i “preparati anatomici” dall’estero. Che senso ha?».

Che fine fanno, poi, questi «preparati anatomici»?
«Abbia pazienza, ma nessuno fa le stesse domande sui corpi cremati. Io sono cattolico ma mi premono di più le persone vive. Senza le sale anatomiche la chirurgia sarebbe ferma al Medioevo. Legga cosa dice il disegno di legge 1534 fermo al Senato. “Norme in materia di disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio e di ricerca scientifica”. Non è un progetto eversivo. È buon senso. Ma non passa».

Insomma: proprio chi ama la vita e rispetta la morte...
«Lascio parlare la legge: “L’utilizzo del corpo umano e dei tessuti post mortem è informato ai principi etici e di solidarietà, nonché a quelli dettati dall’ordinamento giuridico dello Stato, ed è disciplinato secondo modalità tali da assicurare il rispetto del corpo umano”. Rileggo: “rispetto del corpo umano”. Più chiaro di così!».

14 aprile 2017 (modifica il 15 aprile 2017 | 08:34)
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Da - http://www.corriere.it/cronache/17_aprile_15/solo-italia-giovani-chirurghi-medicina-916d8688-2147-11e7-80c8-c640cceeac84.shtml
5186  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / L'Analfabetismo di Ritorno nella capacità di votare secondo una intelligente ... inserito:: Aprile 16, 2017, 05:41:52 pm
L'Analfabetismo di Ritorno nella capacità di votare secondo una intelligente partecipazione, ci impone di attuare misure che impediscano la forte tentazione di manipolare il suffragio universale o addirittura di eliminarlo.

Il Polo Democratico se ben strutturato e correttamente sostenuto, potrà eliminare il rischio di perdita della democrazia.

Gli elettori saranno chiamati a esprimere un voto favorevole ad un preciso Progetto-Paese, imponendo ai Partiti che formano il POLO DEMOCRATICO l'impegno a realizzarlo nel corso della legislatura.

5187  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / Basta chiacchiere da botteguccia. inserito:: Aprile 16, 2017, 05:39:45 pm
Il solo Partito non garantisce la qualità nell'utilizzo del voto popolare.

Il Polo Democratico sostenuto dai diversi Partiti di Centro e di Sinistra, che si impegneranno nella realizzazione del loro Progetto-Paese offrirà maggiore chiarezza d'intenti e concretezza d'impegno positivo.

Basta chiacchiere da botteguccia.   

Da FB del 15 aprile 2017
5188  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Arturo LORENZONI, Coalizione civica, vanta 1700 iscritti contro i 700 del Pd. inserito:: Aprile 13, 2017, 06:22:13 pm
Il prof di Padova che sfida Lega e dem: "Così dai cittadini riparte la sinistra"
Nella città del Santo il movimento di Arturo Lorenzoni, Coalizione civica, vanta 1700 iscritti contro i 700 del Pd.
L'onda lunga di un fenomeno nuovo che va da Belluno a Verona


Dal nostro inviato GIAMPAOLO VISETTI
12 aprile 2017

PADOVA - Massimo Bitonci vanta un album fotografico da sceriffo doc. Un'immagine immortala l'ex sindaco leghista di Padova, impallinato e ricandidato dal centrodestra unito alle amministrative di giugno, mentre punta il dito contro il campanello di una famiglia, colpevole di aver offerto ospitalità a un profugo. Un altro scatto ricorda il giorno in cui, sgomberati i chioschi del kebab, si è presentato con i cani nelle cucine per i poveri, aperte da suor Lia vicino alla stazione dei treni.

Arturo Lorenzoni incarna invece la faccia opposta del neo-trumpismo in salsa veneta. Il suo primo atto politico, dopo una vita accademica da docente di economia dell'energia, è stato sedersi a mangiare una minestra con i barboni e gli immigrati della "madre Teresa" padovana. Niente fotografi per il candidato di Coalizione civica, il movimento popolare che scuote il centrosinistra, puntando a trasformare il Veneto nel modello nazionale di un nuovo "riformismo partecipato", lontano dai partiti. E riflettori spenti anche sulla stretta di mano di ieri con Giuliano Pisapia, che a Milano lavora a un'aggregazione simile, capace di riunire progressisti, cattolici e ambientalisti che non si riconoscono né nel Pd di Renzi, né nel Mdp di Bersani. Profilo basso, ma relazioni larghe e numeri già imbarazzanti. Per incoraggiare Lorenzoni, nella città del Santo è arrivata Ada Colao, che spinta da una coalizione civica è clamorosamente riuscita a diventare prima cittadina di Barcellona.

Alle cifre non servono commenti. A Padova il nuovo centrosinistra di Coalizione civica conta 1700 tesserati: il Pd supera di poco i 700. Alle Comunarie i 5 Stelle di Grillo hanno messo in corsa Simone Borile con 108 web-preferenze, anche qui contestate dallo sconfitto. Le urne saranno l'ingresso di un altro pianeta, che annuncia il testa a testa tra Bitonci e Sergio Giordani, candidato di un Pd che si è rifiutato di fare le primarie.

Ma a due mesi dal voto il fenomeno delle coalizioni civiche di sinistra, che mobilitano associazioni, volontariato, giovani, start-up, operai e intellettuali, è già un terremoto politico. A Verona per fermare il "tosismo ereditario", che minaccia di candidare a sindaco la promessa sposa del primo cittadino cacciato da Salvini, con Michele Bertucco monta il medesimo fenomeno di base. A Belluno il sindaco progressista Jacopo Massaro, con il suo Pd all'opposizione, si ripresenta con il pool di liste civiche che hanno lanciato la città delle Alpi tra le capitali del benessere. A Venezia, Treviso e Vicenza non si vota, ma l'unica opposizione all'autoritarismo della destra e al populismo di Grillo sono già i comitati di cittadini di centrosinistra decisi ad arginare con la solidarietà la tentazione globale dell'"uomo solo al comando". "Esperienze come quelle della Coalizione civica di Padova e di altre realtà venete - dice il filosofo Umberto Curi - sono il primo e più coerente tentativo di uscire dalla crisi di sistema e dal fallimento dei tentativi fatti per reagire ad essa".

L'idea, nell'Italia post-referendum, è "rifondare la democrazia inclusiva che Pd e Mdp non riescono a intercettare", consegnando il Paese all'asse culturale Salvini-Grillo. La novità è che a muoversi non sono gli apparati delusi, ma gruppi trasversali sempre più, esordienti della politica uniti dalla voglia di "partecipare alla pari e in modo trasparente alle decisioni" di quartieri, paesi e città. "L'orizzonte è l'Europa - dice Arturo Lorenzoni - ma oggi noi pensiamo solo a Padova, che merita una svolta e di uscire dalla vergogna". La tentazione è ridimensionare il caso-Padova all'antico dibattito sulla polverizzazione della sinistra nel Nordest. Da una parte la destra unita, al centro i 5 Stelle decisivi nei ballottaggi, dall'altra la sinistra implosa che si auto-condanna a un'opposizione marginale. "Il punto invece - dice il politologo Paolo Feltrin - è che il Veneto sintetizza la crisi istituzionale del Paese. Sono saltate le banche, le aziende, le parrocchie e i partiti. I riferimenti tradizionali del potere sono scomparsi. È chiaro che i cittadini si uniscono per ricostruire una società in cui sentono di contare. Il doppio turno elettorale garantisce i partiti storici: ma il percorso è al capolinea, se non lo diranno i ballottaggi di giugno lo sanciranno le politiche". A Padova si semplifica così: "Basta con i lobbisti locali dei mandarini nazionali".

Massimo Bitonci, mal sopportato dal governatore leghista Luca Zaia, è figlio del patto Ghedini-Salvini. Sergio Giordani, presidente dell'Interporto e imposto da Renzi, vanta l'appoggio dell'ex sindaca berlusconiana Giustina Destro, dei consiglieri cacciati da Forza Italia e di esponenti di An, ma pure del sindaco "rosso" ed europarlamentare Flavio Zanonato. "Le coalizioni civiche - dice Piero Ruzzante, leader ulivista veneto uscito dal Pd - sono la risposta ai partiti da salotto che vendono l'anima per un pugno di voti che poi non prendono. Il Veneto ancora una volta può essere un laboratorio. La prima missione resta fermare il populismo alimentato dalla paura: ma l'impresa epocale è riconsegnare il riformismo alla gente, offrendo alla democrazia un'alternativa ai partiti spiazzati dalla rapidità iniqua del capitalismo hi-tech". Il professor Lorenzoni e la sua Coalizione civica ieri sera hanno cominciato da una cena-bio a base di erbette, offerta da una volontaria per raccogliere fondi. Lo slogan c'è: "Padova merita", pronto a diventare "l'Italia merita". Mancano solo i soldi per stampare i manifesti.

© Riproduzione riservata 12 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/04/12/news/il_prof_di_padova_che_sfida_lega_e_dem_cosi_dai_cittadini_riparte_la_sinistra_-162778522/
5189  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Gino Pagliuca. Casa, nuova o da ristrutturare? Prezzi e fisco, cosa conviene ... inserito:: Aprile 13, 2017, 06:19:34 pm
IMMOBILIARE

Casa, nuova o da ristrutturare? Prezzi e fisco, cosa conviene di più
Su «L’Economia» una guida per chi vuole acquistare un immobile


Di Gino Pagliuca

Gli ultimi dati dell’Istat sui prezzi delle case dicono che dal 2010 al 2016 i valori delle abitazioni nuove hanno registrato solo una minima discesa (-2,6%) mentre quelli degli immobili usati sono diminuiti di quasi il 20%. Il fenomeno si spiega certo con il fatto che chi costruisce deve fare i conti con una struttura rigida di costo e non può abbassare i listini se non di qualche punto percentuale; ma c’è anche una maggiore consapevolezza che le case costruite oggi hanno caratteristiche tecnologiche impensabili solo qualche anno fa e che quindi presentino un valore aggiunto per cui può essere opportuno spendere di più subito per ridurre poi i costi di esercizio e ottenere una maggiore rivalutazione (o una minore svalutazione) dell’investimento. Basti pensare alle prestazioni energetiche: la maggior parte delle abitazioni nuove si trova nelle tre classi migliori (A+, A e B) e questo in una città con clima continentale come quelli della Pianura Padana significa risparmiare per una casa di 100 metri quadrati un migliaio di euro e passa all’anno rispetto a una casa edificata solo venti anni fa.

Nel supplemento L’Economia del Corriere della Sera in edicola domani senza sovrapprezzo con il quotidiano forniamo alcuni elementi per valutare se per chi sta cercando casa sia più conveniente puntare su un immobile di nuova edificazione o scegliere piuttosto una casa in buono stato perlomeno nelle parti comuni e affrontare i costi di una ristrutturazione. Il Fisco per tutto il 2017 agevola entrambe queste scelte: per chi compra il nuovo, purché ne sia certificata l’appartenenza alle tre classi energetiche di cui dicevamo, c’è la possibilità di portare in detrazione Irpef il 50% dell’Iva versata al costruttore, con un bonus spalmato in dieci anni. Meccanismo analogo per chi ristruttura: l’agevolazione è sempre del 50% calcolato su un tetto massimo di 96 mila euro. Teniamo conto di entrambe queste agevolazioni nel calcolo di convenienza, va però aggiunto che il fattore prezzo non è l’unico per decidere. Il nuovo, oltre a costare comunque di più, ha anche controindicazioni non indifferenti, come ad esempio la mancanza di una certezza effettiva sui tempi di consegna. Nelle pagine ci occupiamo anche di un’altra agevolazione fiscale per chi cerca casa. Si tratta dei vantaggi sempre in termini di Irpef presentati dal leasing abitativo, un’alternativa al mutuo che nel primo anno di vita è rimasta un po’ un sordina ma che ora probabilmente si diffonderà di più grazie all’arrivo sul mercato di nuove proposte. Il meccanismo del bonus è tale da favorire soprattutto l’acquisizione dell’immobile da parte degli under 35 ma il leasing ha caratteristiche di flessibilità che possono renderlo consigliabile anche a potenziali acquirenti più maturi.

8 aprile 2017 (modifica il 8 aprile 2017 | 22:31)
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5190  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / JACOPO IACOBONI. - La difesa di Grillo evoca i contratti e-commerce. inserito:: Aprile 13, 2017, 06:16:37 pm
La difesa di Grillo evoca i contratti e-commerce.
Cassimatis sospesa dal “gestore” senza nome
La strategia degli avvocati: chi si candida accetta con il clic un testo “mutuato” da quelli con le aziende web, che dà ai due capi poteri assoluti
Marika Cassimatis. Vincitrice delle votazioni online del 14 marzo per scegliere il candidato sindaco del Movimento a Genova

Pubblicato il 13/04/2017 - Ultima modifica il 13/04/2017 alle ore 07:18

JACOPO IACOBONI

Un groviglio di articoli e commi, regolamento, statuto e codice etico, codicilli nei quali alla fine è certamente arduo orientarsi, anche dal punto di vista giuridico.

A Genova gli avvocati di Grillo - che si riservano ora un reclamo, e in extremis il ritiro del simbolo - contro la Cassimatis le hanno tentate tutte: a partire dall’assenza di «interesse soggettivo ad agire» da parte della ricorrente. Il 17 marzo Grillo «scomunicò» la candidata vincitrice delle votazioni online del 14 marzo. Lei fece ricorso al tribunale civile. Solo dopo - il 6 aprile, la causa era già in piedi - il Collegio dei Probiviri M5S (tre parlamentari di nome Riccardo Fraccaro, Nunzia Catalfo, Paola Carinelli, nessuno dei quali noto alle cronache per distinguo con la linea della Casaleggio) ha sospeso Cassimatis. 
 
L’atto è stato usato dalla difesa di Grillo per sostenere che lei, in quanto sospesa, non è più nel Movimento, e non è quindi titolata ad agire. Era andata bene con Venerando Monello e il suo ricorso contro il contratto della Raggi a Roma, ma non è andata bene stavolta: il giudice non ha minimamente accolto questa parte della strategia della Casaleggio.
 
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Nella difesa vi è qui una prima falla: gli avvocati citano il Collegio dei probiviri grillini, che tuttavia, nel provvedimento di sospensione della Cassimatis, scrisse - grossolanamente - «vista la comunicazione del gestore del sito del Movimento 5 stelle, a questo collegio pervenuta, sospendiamo...». Chi è il gestore del sito ufficiale del M5S, www.movimento5stelle.it? Trasparenza, zero. Il sito cita però nei credits della pagina il blog www.beppegrillo.it, e spiega «i contenuti di questo sito sono rilasciati sotto licenza (creative commons)». In sostanza, i probiviri scrivono che una sospensione viene varata «vista la comunicazione del gestore». Il titolare dei dati del blog di Grillo è la Casaleggio associati; il gestore è, principalmente, un suo dipendente, oggi all’Associazione Rousseau. I legali di Grillo stanno dicendo - in maniera politicamente rilevante - che, su punti chiave, non decide neanche Grillo, ma «il gestore»? E chi è?
 
Il secondo elemento difensivo è che il capo M5S ha invalidato la votazione che scelse Cassimatis perché, dice, arrivata senza il preavviso di 24 ore (stesso argomento usato dalla Cassimatis per far invalidare il successivo voto, che «elesse», si fa per dire, il rivale Pirondini). I giudici l’hanno ritenuto irrilevante.
 
Il terzo punto è importantissimo: la Casaleggio sa di avere un pesante baco nei testi grillini (sparsi in tre luoghi: regolamento, statuto, codice etico), esattamente nelle ultime due righe dell’articolo 2 del regolamento M5S: «Le decisioni assunte dall’assemblea nella scelta dei candidati sono vincolanti per il capo politico». È un principio assembleare vero: dunque pericolosissimo. È in base a questo, nella sostanza, che Cassimatis vince il ricorso. Sennonché, la vittoria riconosce anche quel regolamento; che invece era stato definito «nullo giuridicamente» a Napoli. È un aspetto notevole, di questa guerra. La Casaleggio, nella causa persa, incassa insomma un riconoscimento (da un tribunale) del contestato testo che è alla base delle espulsioni. Perde sul garante, e su votazioni già avvenute, ma da oggi in poi si potrebbe organizzare prima del voto.
 
La figura del garante, attenzione, esiste: è stata aggiunta, ma solo nel Codice etico grillino. Nel codice, però, il garante può escludere dei candidati solo per motivi di pendenze penali in corso; non per astratte valutazioni sulla loro moralità. Solo che poi Grillo e la Casaleggio fanno votare ai candidati anche una form (un modulo) su Internet in cui è scritto che il garante «può escludere dalla candidatura in ogni momento e fino alla presentazione della lista presso gli uffici del Comune». Sostengono gli avvocati di Grillo, «mutuando la normativa dei contratti conclusi online» (quelli dell’e-commerce, in cui «il clic vale come consenso»). È questa la statuizione formale più alta, finora, dell’applicazione di regole del diritto commerciale alla politica in Italia.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/04/13/italia/politica/la-difesa-di-grillo-evoca-i-contratti-ecommerce-cassimatis-sospesa-dal-gestore-senza-nome-Xb5oQV4b6REaAgbMHltuUN/pagina.html

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