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4276  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / UGO MAGRI. Cavalcata verso le urne. Al via il gioco dell’oca disseminato d’in inserito:: Ottobre 28, 2017, 11:39:19 pm
Cavalcata verso le urne. Al via il gioco dell’oca disseminato d’incognite

Pubblicato il 28/10/2017

UGO MAGRI
Alle ore 12 di giovedì scorso siamo entrati in campagna elettorale. C’è finalmente una legge per tornare alle urne, si è dunque realizzata la condizione posta da Sergio Mattarella, nulla più impedisce di dare la voce al popolo. Ma da qui ai primi di marzo, quando quasi certamente si terranno le prossime elezioni, mancano ancora quattro mesi. E sarà tutto un susseguirsi di eventi in grado di premiare (o punire) i protagonisti della politica.
 
Il primo appuntamento è fissato tra 8 giorni in Sicilia, dove si voterà per la Regione. Il secondo tra due settimane alla Commissione parlamentare sulle banche, quando testimonierà Ignazio Visco e si annuncia tempesta. Il terzo a Strasburgo il 22 novembre, con la sentenza della Corte europea su Silvio Berlusconi. Resteranno leggi da approvare prima che cali il sipario: la manovra economica, il testamento biologico, la riforma dei vitalizi, lo Ius soli... Una corsa a ostacoli, anzi un gioco dell’oca dove chi sbaglia mossa ritorna indietro.
 …
1. Legge elettorale, si aspetta l’ok di Mattarella (prossima settimana) 
Il macigno che per dieci mesi ha impedito di tornare alle urne verrà rimosso entro la prossima settimana. Non appena il testo arriverà sul Colle (si parla di lunedì), la legge elettorale verrà esaminata con la stessa puntualità che ieri ha indotto Sergio Mattarella a negare la promulgazione delle norme sulle mine. Nell’ottica presidenziale, il “Rosatellum” non è immune da critiche. Per fare un esempio: collegi più piccoli avrebbero permesso di rafforzare i legami col territorio degli eletti nel prossimo Parlamento. Tuttavia nessuno, al Quirinale, scorge quel “fumus” di incostituzionalità che giustificherebbe secondo M5S un rinvio alle Camere. Dunque appare pressoché certa la firma presidenziale in calce alla nuova legge che avrà la particolarità di entrare in vigore il giorno dopo, senza nemmeno attendere la pubblicazione in “Gazzetta Ufficiale”. A quel punto, la corsa al voto sarà virtualmente lanciata.
 
2. Le prove generali con il voto in Sicilia (5 novembre) 
Chi vincerà le prossime elezioni in Sicilia, domenica 5 novembre, si troverà sulla cresta dell’onda. Chi sarà sconfitto, viceversa, nuoterà in pessime acque perlomeno fino a marzo 2018, quando voteremo per il Parlamento nazionale. Le regionali saranno l’ultimo test (con i voti veri, non con i sondaggi) prima della competizione più attesa. Trasmettere un’immagine di successo conterà parecchio in un paese, come il nostro, dove è innata la tendenza a soccorrere il vincitore e a maramaldeggiare sul perdente. Anche perché la nuova legge elettorale si fonda sul “voto utile”, tenderà a concentrare i voti su chi potrà davvero farcela. La sfida si annuncia particolarmente dura per Matteo Renzi. Se il Pd arriverà terzo o addirittura quarto in Sicilia, i suoi nemici interni non perderanno l’occasione di affilare i coltelli. Anzi, hanno già incominciato.
 
3. L’audizione di Visco (6-7 novembre) 
A terremoto delle elezioni in Sicilia seguirà un ulteriore “Dies Irae”: l’audizione Ignazio Visco presso la Commissione parlamentare di indagine sui crac delle banche. Le ultime da Palazzo San Macuto ipotizzano che l’ora della verità possa scoccare il 6 o il 7 novembre. Centrodestra e grillini cercherano di indurre il governatore, fresco di riconferma, a vuotare il sacco su Banca Etruria e dintorni. Le domande saranno numerose e Visco non potrà mostrarsi reticente. A loro volta i renziani si difenderanno contrattaccando. Tenteranno di mettere sotto tiro l’attività di vigilanza facente capo a Via Nazionale (ma non solo). Lo scontro si annuncia feroce, a meno che nei prossimi giorni le parti in conflitto decidano sotto banco una sorta di disarmo bilanciato e controllato. Per ora non se ne vedono i presupposti. Anziché smorzare i toni anti-Visco, Matteo Renzi è il primo a dare battaglia, in un clima da lascia o raddoppia.
 
4. La sentenza europea su Berlusconi (22 novembre) 
Sono in due ad attendere con particolare apprensione la sentenza della Corte di Strasburgo, che il 22 novembre deciderà se fu giusto dichiarare Silvio Berlusconi ineleggibile dopo la condanna per frode fiscale. Il primo, ovviamente, è il diretto interessato. Se i giudici europei gli daranno ragione, il Cav potrà tornare in pista alle prossime elezioni. Ma soprattutto avrebbe un appiglio per dichiararsi vittima dell’ingiustizia e indossare i panni della vittima. I suoi avvocati, Niccolò Ghedini in testa, incrociano le dita perché le sentenze della Corte vengono pubblicate di regola dopo sei mesi, ma in alcuni casi eccezionali il succo viene anticipato subito, tramite comunicato. L’altro in trepidante attesa della sentenza di nome fa Matteo, ma di cognome non è Renzi. Se l’incandidabilità di Silvio venisse confermata, il sorpasso della Lega su Forza Italia sarebbe praticamente cosa fatta. E lo scettro del centrodestra passerebbe a Salvini.
 
5. La manovra del 2018 
Doveva già essere in Parlamento da almeno una settimana; invece il testo definitivo della legge di Stabilità (che definisce i conti dello Stato per il 2018) arriva al Quirinale solo in queste ore. Il Capo dello Stato di metterà di corsa la firma e da lunedì il Senato inizierà l’esame. Ma con un punto di domanda grosso così: chi sosterrà la manovra? Da quando Mdp non fa più parte della maggioranza, mancano sulla carta i numeri per far passare la legge. Per cui le soluzioni possibili sono tre: 1) Bersani ci ripensa e dà una mano; 2) il soccorso arriva dal vituperato Verdini; 3) nelle votazioni cruciali un tot di berlusconiani si assentano dall’aula con le scuse più diverse in modo che il Pd sbrighi in fretta questa pratica. Salvo sorprese, la manovra passerà alla Camera a fine novembre e tornerà a Palazzo Madama entro Natale per il timbro finale, che si annuncia come indispensabile adempimento agli occhi dell’Europa e dei mercati.
 
6. Ius soli, biotestamento e vitalizi: le tre leggi ferme in Parlamento 
Prima che staccare la spina, governo e Parlamento dovranno decidere la sorte di tre riforme rimaste in sospeso: ius soli, biotestamento e vitalizi. Le speranze di successo sono alte nel primo caso, modeste nel secondo, scarsine nel terzo. Matteo Renzi vuole fare una cosa di sinistra per mettere in un angolo Mdp, e il centrodestra finge di protestare ma non vede l’ora che il Pd imponga la cittadinanza per chi nasce in Italia, magari attraverso il voto di fiducia, in modo da poter gridare che così rischiamo un’invasione. Sul testamento biologico la fiducia non si può mettere per via della libertà di coscienza, col risultato che la legge (osteggiata dagli alfaniani) passerebbe soltanto grazie al sostegno determinante del solito Verdini. Quanto alla riforma dei vitalizi, il Senato modificherà il testo della Camera, la Camera modificherà le modifiche del Senato e via così fino al suono del gong.
 
7. Definire i 231 collegi elettorali 
Il “Rosatellum” è legge, ma per renderlo operativo ci sarà bisogno di un ulteriore passaggio. Tempo 30 giorni, il governo dovrà disegnare i 231 collegi uninominali sparsi nelle 28 circoscrizioni elettorali in cui è suddivisa l’Italia. Risulta che al Viminale già dispongano di un software, fornito da alcune società di consulenza, in grado di provvedervi quasi in tempo reale. Ma siccome il “taglia-e-cuci” dei collegi può far vincere un candidato (e perdere un altro), favorire certi partiti e danneggiare gli avversari, ecco che la legge prescrive un po’ di serietà. Verrà coinvolto l’Istat tramite apposita commissione, successivamente il decreto del governo finirà sotto la lente delle Commissioni parlamentari che avranno a loro volta 15 giorni di tempo per esprimere un parere non vincolante. Risultato: i collegi saranno pronti intorno a metà dicembre. Solo a quel punto Mattarella potrà mandare tutti a casa.
 
8. Scioglimento delle Camere (Natale-Epifania) 
Governo e Parlamento avranno sparato a Natale le loro ultime cartucce. Legge elettorale? Ok. Collegi? Fatti. Manovra economica? Licenziata. Ius soli eccetera? Chi ha avuto, ha avuto. In teoria Mattarella potrebbe trascinare avanti la legislatura fino alla scadenza naturale che cadrebbe il 15 marzo (le Idi) 2018. Ma è generale opinione che si tratterebbe di accanimento terapeutico. Per cui nei palazzi che contano si dà per quasi certo lo scioglimento delle Camere tra Natale e la Befana. Il Capo dello Stato lo motiverà nel suo messaggio di fine anno. Prenderà la forma giuridica di un decreto presidenziale controfirmato da Paolo Gentiloni. Seguirà a stretto giro un altro decreto, questa volta di Gentiloni controfirmato da Mattarella, per fissare la data delle urne. Infine le dimissioni del governo, che resterà almeno altri 100 giorni in carica per «disbrigare - come si dice - gli affari correnti».
 
9. Le liste e l’incognita degli impresentabili (gennaio 2018) 
Per la politica, gennaio sarà un mese convulso. Andranno decise alleanze elettorali e candidature. Il “Rosatellum” attribuisce ai leader un potere totalitario sulle liste, ma non avranno vita facile. Scatterà su di loro il pressing di chi vorrebbe collegi uninominali sicuri (per il centrodestra quelli del Nord-Est, per il Pd nelle regioni «rosse»). Ci sarà ressa pure sui primi posti dei “listini” proporzionali, perché garantiscono 5 anni di stipendio da onorevole. Tutti i nomi dei candidati saranno sulla “scheda”, dunque vita dura per gli sconosciuti onesti, magari scelti attraverso le “cliccarie”, e per gli “impresentabili” ben conosciuti: se candidati, metterebbero in fuga gli elettori perbene. Come se non bastasse, Renzi e Berlusconi subiranno l’assalto dei partitini-satelliti, disposti a versare sangue per Pd e Forza Italia però in cambio di qualcosa, perché non esistono pasti gratis nelle vita e tantomeno nella politica.
 
10. Al voto il 4 o l’11 marzo 2018 
L’alba del nuovo giorno sorgerà il 4 marzo 2018 oppure la domenica dopo: sono le date più probabili delle urne. Se le Camere verranno sciolte ai primi di gennaio, un paio di mesi è il tempo che normalmente impiega la nostra burocrazia per mettere in moto la macchina elettorale. Poi, una volta votato, trascorreranno 20 giorni per proclamare gli eletti e riunire il Parlamento nuovo di zecca. Un’ulteriore settimana se ne andrà tra elezione dei presidenti delle Camere e altre indispensabili nomine. Le consultazioni inizieranno a metà aprile, e c’è solo da augurarsi che emerga un vincitore chiaro, cui Mattarella possa conferire l’incarico. Altrimenti, come nel gioco dell’oca, torneremo alla casella iniziale del 2013: niente maggioranza stabile e governi del Presidente.

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 http://www.lastampa.it/2017/10/28/italia/politica/cavalcata-verso-le-urne-al-via-il-gioco-delloca-disseminato-dincognite-mIL7ViJoDoPKjTYeCU1ADI/pagina.html
4277  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / La tortura non è solo un danno morale! inserito:: Ottobre 28, 2017, 11:37:37 pm
Danni morali?
La tortura non è solo un danno morale! Noi siamo al fianco delle forze dell'ordine se non manipolate da chi ne vuole fare dei carnefici.

Disubbidire per la difesa dei Cittadini (tutti) è etico per un militare.
Allo stesso modo è etico che il militare si difenda, offendendo, se minacciato di morte.

Il Cittadino in divisa (o riconoscibile come tale) deve essere rispettato nel ruolo che svolge.

ciaooo

Da FB del 26/10/2017 (Bolzaneto)
4278  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / F SCHIANCHI. Governo irritato: “Condizioni irricevibili è una pre-secessione... inserito:: Ottobre 28, 2017, 11:33:58 pm
Governo irritato: “Condizioni irricevibili è una pre-secessione”
Ma Renzi: “Bisogna tener conto del risultato”


Pubblicato il 24/10/2017

FRANCESCA SCHIANCHI
ROMA

«Il presidente Maroni discute nel merito. Zaia invece chiede tutte le competenze, i nove decimi delle tasse e il Veneto a statuto speciale: un’operazione pre-secessionista di chi non ha a cuore l’unità nazionale». A metà pomeriggio del day after, la risposta del governo alle pretese venete è durissima. Agli occhi del sottosegretario Gianclaudio Bressa, responsabile degli Affari regionali e delegato a trattare la questione per il premier Gentiloni, è chiara la differenza di approccio tra Lombardia e Veneto: l’una responsabile, attenta a muoversi entro il perimetro della Costituzione; l’altra “oltranzista”, lesta a far balenare ai cittadini un’autonomia assoluta impossibile da ottenere. Pronti a incontrare entrambe, è la posizione dell’esecutivo, ma solo a condizione di confrontarsi con richieste ricevibili, altrimenti «non ci sono margini di trattativa». Non a caso, a ieri sera un contatto telefonico c’era stato con il governatore lombardo Maroni, ma non con il collega veneto Zaia. 

È Maroni ad alzare la cornetta per un «cordiale» colloquio sia con Bressa - due parole amareggiate sul Milan di cui entrambi sono tifosi, prima di ricevere disponibilità a discutere - e poi con Gentiloni: «Mi ha confermato - racconta il presidente leghista - il via libera al confronto su tutte le materie previste dalla Costituzione, con anche il coinvolgimento del ministero dell’Economia». Un primo passo verso il percorso già intrapreso senza referendum dal presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che ieri ha sentito Gentiloni e oggi incontrerà Bressa: «Disposto anche a fare incontri collettivi con Lombardia e Veneto», ha dato la sua disponibilità al premier. Perché anche nel Pd si sono accorti che il tema è sentito: «Il risultato dei referendum non va minimizzato», ammette il segretario Renzi, che va oltre la procedura di cui si discute: «Bisogna ridurre la pressione fiscale», la sua proposta, arrivando a sperare in un «accordo» tra forze politiche nella prossima legislatura per riuscire a farlo.
 
“I partiti tradizionali sono in ritardo, non afferrano i motivi della protesta”
Il fatto è che le richieste di Luca Zaia vanno ben al di là di un aumento dei margini di autonomia. Prova a stopparle il ministro Maurizio Martina, ricordando che le materie fiscali non sono oggetto di trattativa, e si becca una rispostaccia: «Il nostro interlocutore è Gentiloni». Il premier, che ha evitato anche nelle settimane scorse di intervenire sul tema, convinto che il risultato fosse abbastanza irrilevante essendo il governo già da tempo pronto a intavolare una trattativa, ufficialmente non parla nemmeno oggi che il Veneto chiede condizioni da statuto speciale che necessiterebbero di un cambio di Costituzione, appannaggio eventualmente del Parlamento. Una «provocazione» la fa però l’uomo che ha incaricato di occuparsene: «La sentenza della Corte costituzionale che ha consentito il referendum già aveva bocciato l’ipotesi di trattenere in Veneto l’80 per cento delle risorse definendola “un’alterazione stabile e profonda della finanza pubblica”. E far diventare tutte e 23 le materie concorrenti di competenza regionale significherebbe stravolgere la Costituzione», smonta una a una le richieste venete il sottosegretario Bressa, «l’atteggiamento di Zaia è pericoloso: se tutti facessero come lui non ci sarebbe più la Repubblica italiana». Bellunese di nascita, Bressa conosce bene le spinte autonomiste venete, tanto che fu lui a scrivere quel terzo comma dell’art. 116 che oggi consente alle Regioni di trattare. «Zaia pensa di essere El Cid Campeador del Veneto, ma ci vuole serietà. Il Veneto ha un debito previdenziale di alcuni miliardi: per pagare le pensioni, è debitore rispetto alla finanza nazionale. Quando si passa dalla poesia alla prosa la gente comincia a dire “vediamo un attimo” ...».
 
A queste condizioni, la trattativa con Venezia e dintorni è in stallo. Ma oggi il premier sarà a Marghera, ad accoglierlo troverà il presidente Zaia e chissà se i due potranno avere un confronto. In realtà, a Palazzo Chigi sanno che il problema si porrà per il prossimo governo: stretti i tempi della legislatura, lunghi quelli di un negoziato che è una “prima volta”. Anche solo delineare i confini delle varie materie di competenza non sarà facile. Per chi vorrà provare a discuterne.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/10/24/italia/politica/governo-irritato-condizioni-irricevibili-una-presecessione-Uhrx92U5EsU9XQRbOVUxkI/pagina.html
4279  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA RUBINO. Speranza a Gentiloni No alla fiducia in Senato, si eviti ... inserito:: Ottobre 28, 2017, 11:32:23 pm
Legge elettorale, Speranza a Gentiloni: "No alla fiducia in Senato, si eviti nuova violenza al Parlamento"
Il leader di Mdp ospite di Circo Massimo su Radio Capital: "Con Rosatellum si decidono le larghe intese. Noi non ci stiamo"

Di MONICA RUBINO
24 ottobre 2017

ROMA - "Mi appello a Gentiloni: evitiamo un'ulteriore violenza al Parlamento italiano. L'occasione è quella di oggi, bisogna permettere al Senato di votare". Roberto Speranza, leader di Mdp, intervistato da Massimo Giannini e Jean Paul Bellotto a Circo Massimo su Radio Capital, auspica che non venga posta la fiducia sulla legge elettorale anche a Palazzo Madama, dove il provvedimento arriva oggi. "Mi chiedo - continua Speranza - se la destra è forte e dobbiamo combatterla, perché poi si fa la legge con Forza Italia e Lega, favorendo la destra? Il Rosatellum divide la sinistra e rafforza la destra" aggiunge.

Per il leader bersaniano, che domenica su Repubblica ha provato a riaprire il dialogo con Matteo Renzi, l'approvazione della legge elettorale spiana, di fatto, la strada delle larghe intese: "L'eventuale fiducia sulla legge elettorale non sarà l'ultimo voto di questa legislatura ma il primo della prossima: vorrà dire che avremo le larghe intese tra Forza Italia e Pd. Io chiedo al Pd di fermarsi prima che sia troppo tardi. Noi con la destra non ci andiamo. Proveremo a costruire un campo di forze più largo possibile, sulla base di contenuti e politiche alternative a quelle renziane, dal Jobs Act alla Buona scuola".

Nonostante il segretario del Pd abbia già risposto a Speranza che il Rosatellum non cambierà, il coordinatore di Articolo uno espone le modifiche che a suo avviso sarebbero necessarie: "Evitare un nuovo Parlamento di nominati, introducendo le preferenze nelle liste bloccate proporzionali oppure aumentando il numero dei collegi uninominali. Inoltre proponiamo il voto disgiunto, per ampliare la possibilità di scelta degli elettori e togliere la camicia di forza in cui vengono costretti oggi i soggetti politici".

Per Speranza, le coalizioni previste dal Rosatellum "sono in realtà farlocche. Ogni lista mantiene il suo simbolo, il suo programma e il suo leader. Sono semplici apparentamenti che il giorno dopo si romperanno. E Renzi e Forza Italia si troveranno a fare un governo insieme".

Infine, sul tema Bankitalia, per
Speranza sarebbe opportuno che Maria Elena Boschi non partecipasse al consiglio dei ministri che dovrà decidere la nomina del governatore: "Sarebbe opportuno un passo indietro, c'è un oggettivo conflitto di interessi".

© Riproduzione riservata 24 ottobre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/10/24/news/roberto_speranza_circo_massimo_radio_capital-179172946/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1
4280  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / M. Guagnini. Con un’incidenza sul Pil dell'8,9%, la spesa sanitaria italiana... inserito:: Ottobre 28, 2017, 11:28:39 pm
Sanità in Italia: costi, ruolo della PA e confronto internazionale

Massimo Guagnini
© Fornito da First Online


Con un’incidenza sul Pil dell'8,9%, la spesa sanitaria italiana ha sfiorato nel 2016 i 150 miliardi di euro, un livello che condiziona le scelte di finanza pubblica e crea allarme sulla sostenibilità del sistema di welfare nazionale. Un’informazione completa sulla sua entità è quindi essenziale per valutare le conseguenze del progressivo invecchiamento della popolazione italiana, che può influire sia sul livello sia sulla composizione dell’assistenza.

Di particolare rilievo è la valutazione delle risorse assorbite dall’assistenza sanitaria a lungo termine, che è quella che dovrebbe risentire in modo più immediato dall’aumento della durata della vita e dall’incremento del numero di grandi anziani. La struttura della spesa sanitaria fornisce inoltre elementi chiave per valutare l’impatto diretto su diversi settori d’attività, che comprendono ad esempio l’industria farmaceutica, la produzione di apparecchi terapeutici, i servizi ospedalieri ed ambulatoriali di cura, di riabilitazione e di assistenza a lungo termine.
 
In Italia preminente il ruolo della PA e delle assicurazioni obbligatorie

Nonostante la sua indubbia rilevanza, non è però facile avere informazioni coerenti sul livello e sulla composizione della spesa sanitaria. È inoltre difficile reperire dati sull’andamento del settore in altri paesi che consentano di fare confronti. Per sopperire a questa situazione è stato sviluppato un progetto internazionale sui conti della sanità che ha come obiettivo quello di offrire dati comparabili sulla spesa sanitaria corrente per regime di finanziamento, per funzione di assistenza e per erogatore.

L’analisi della spesa sanitaria per regime di finanziamento conferma come in Italia sia preminente il ruolo della pubblica amministrazione e delle assicurazioni obbligatorie, che nel 2016 coprono il 75% delle spese, mentre le famiglie e le assicurazioni volontarie coprono il restante 25%. Quello che invece contrasta forse l’immagine consolidata è il fatto che la quota di finanziamento del settore pubblico è inferiore a quella dei principali paesi europei quali la Germania (84,6%) la Francia (78,8%), i Paesi Bassi (80,8%) ed il Regno Unito (79,2%). In questi paesi però la quota più consistente del finanziamento pubblico della spesa sanitaria è sostenuta dalle assicurazioni obbligatorie e il ruolo della pubblica amministrazione è marginale. Solo il Regno Unito presenta una situazione simile a quella italiana.

Spesa concentrata nell'assistenza ospedaliera, ambulatoriale e farmaci

In Italia la spesa sanitaria è concentrata su tre funzioni principali: l’assistenza ospedaliera ordinaria (28,0% del totale nel 2016, 42 miliardi di euro), l’assistenza ambulatoriale (22,4%) e i prodotti farmaceutici (17,8%). Tra il 2012 ed il 2016 si nota una significativa ricomposizione della spesa sanitaria, con l’assistenza ospedaliera ordinaria che si riduce del -3,8%, l’assistenza ambulatoriale che aumenta del 9,2% e la spesa in prodotti farmaceutici del 11,2%. L’assistenza sanitaria a lungo termine, che è spesso fonte di preoccupazione, ha una quota ancora limitata (10,1% nel 2016), inferiore a quella di diversi paesi europei di riferimento (in Germania è al 16,3% e nel Regno Unito al 18,2%) e presenta una dinamica moderata negli ultimi anni (3,9%) appena superiore a quella della spesa sanitaria complessiva (3,5%).

L’assistenza sanitaria è erogata in prevalenza dagli ospedali (45,5% della spesa, pari a 68 miliardi), dagli ambulatori (22,4%, 33 miliardi) e dalle farmacie (16,7%, 25 miliardi). Gli ospedali hanno una quota di spesa sanitaria piuttosto elevata anche nei confronti internazionali: tra i principali paesi europei solo il Regno Unito (41,8%) e la Francia (40,2%) presentano quote comparabili, mentre la Germania (29,2%) ha una quota inferiore. Il ruolo delle farmacie nell’erogazione dell’assistenza sanitaria presenta forti oscillazioni tra i paesi europei; l’Italia è in una posizione intermedia tra Germania (19,5%) e Francia (18,9%) da un lato e Paesi Bassi (12,2%) e Regno Unito (11,5%) dall’altro.

I conti della sanità consentono ulteriori analisi sui livelli di spesa pro capite e sull’incidenza delle spese sanitarie sul Pil. Nel complesso le informazioni analitiche ora disponibili sembrano indicare come la percezione di un eccesso di spesa sanitaria non trovi una conferma nei dati aggregati, ma vada qualificata con analisi più approfondite relative a specifiche tipologie di assistenza.

Da Prometeia.it

Da - https://www.msn.com/it-it/money/notizie/sanit%c3%a0-in-italia-costi-ruolo-della-pa-e-confronto-internazionale/ar-AAtWX0L?li=AAaxHVJ&ocid=spartandhp
4281  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / ELENA DUSI. Vaccini, il virologo Burioni attacca somari e social "Ecco perché... inserito:: Ottobre 28, 2017, 06:18:25 pm
Vaccini, il virologo Burioni attacca somari e social: "Ecco perché la scienza non è democratica"

Dopo lo scontro su Facebook con i no-vax, lo specialista del San Raffaele di Milano rincara la dose con il suo nuovo libro: "In medicina non si decide per alzata di mano"

Di ELENA DUSI
26 ottobre 2017

Roma. "La congiura dei somari" è il libro che Roberto Burioni ha scritto dopo aver duellato in tv sui vaccini con Eleonora Brigliadori e Red Ronnie, dopo aver aperto nel 2015 una pagina Facebook per smontare le paure dei no-vax ed essersi ritrovato da un lato seguito da 300mila persone, dall’altro sommerso dalle invettive della cosiddetta “gente che non sa nulla”. Il professore di microbiologia e virologia al San Raffaele di Milano, concluse allora (era l’inizio dell’anno) che “la scienza non è democratica”, scatenando un vespaio di polemiche ma anticipando quello che oggi è il sottotitolo del suo nuovo libro. Il primo era stato un anno fa Il vaccino non è un’opinione. La congiura dei somari è in uscita oggi per Rizzoli (176 pagine, 17 euro).

Perché la scienza non è democratica?
«È uno slogan. Ero infastidito per le polemiche sui vaccini. Mi hanno messo a confronto con un mondo in cui la verità ha la stessa dignità della menzogna. Credo che un Paese non possa accettarlo, rischierebbe di trovarsi in situazioni pericolose».

Che tipo di pericoli?
«Il pericolo di perdere la conquista dei bambini che non muoiono più perché vengono vaccinati, perché esistono gli acquedotti e gli antibiotici. Questi risultati sono stati raggiunti grazie alla scienza e al suo metodo, che sarà imperfetto e come tutte le cose umane soffre di debolezze e fragilità, ma, come la democrazia, è il metodo migliore che abbiamo. E degli scienziati è giusto fidarsi».

La scienza sembrerebbe piuttosto una tecnocrazia.
«La scienza è democratica perché non ammette scorciatoie. Bisogna studiare. Non contano il denaro o la posizione sociale. Servono rigore, metodo e dati validi. Poi, però, ci sono aspetti che non si discutono. Come dice Piero Angela, la velocità della luce non si decide per alzata di mano. E nemmeno la validità e l’utilità dei vaccini, aggiungo io».

Studiare tutto è impossibile. “Somari” non è ingeneroso?
«Nel libro faccio un uso grottesco della parola. Anch’io sono un somaro, perché di molte cose non so nulla. Volevo esprimere la speranza che i libri e le parole dei professori fossero ascoltate di più e ricordare che lo studio resta importante, anche se questi tempi sembrano farci credere il contrario. Sarei il primo a essere felice, se la scienza fosse meno chiusa. In questo la rete ci ha fatto fare grandi passi avanti».

Il web ha dato la parola a chi non ne avrebbe diritto?
«Io sono contro ogni censura o intervento dall’alto. Però se qualcuno sostiene che due più due fa cinque o che, come suggeriva Bertrand Russell, esiste una teiera in orbita attorno al Sole, me lo deve dimostrare»

Non su Internet, sembrerebbe, dove le idee non dimostrate finiscono col rafforzarsi.
«Anche quando Gutenberg inventò la stampa ci fu chi immaginò la rovina della cultura. Internet è un mondo strano. Ci arricchisce di opportunità, ma mette tutte le voci sullo stesso piano».

Anche la sua fama al di fuori dell’ambiente scientifico è figlia di Internet. Come iniziò?
«Era il 2015 e usavo Facebook per condividere vecchie foto. Visto che avevo una bambina di 4 anni e sono un padre apprensivo, un’amica mi chiese di spiegare qualcosa sui vaccini. Mi trovai accerchiato da quelli che poi avrei chiamato i Somari Raglianti».

La scienza fatica a promuovere se stessa?
«Abbiamo un problema di comunicazione. Ma l’esperienza su Facebook mi ha insegnato che esistono persone titubanti, eppure desiderose di informarsi»

Un tempo sarebbe stato somaro anche chi sosteneva che la Terra era rotonda.
«Ma poi ha portato le prove scientifiche, mentre gli altri si basavano sui testi di Aristotele. La verità ha una sua forza evidente che il tempo – in questo caso un galantuomo - fa affermare. Ne sono convinto, nonostante questi sembrino tempi difficili per la ragione».

© Riproduzione riservata 26 ottobre 2017

Da - http://www.repubblica.it/scienze/2017/10/26/news/vaccini_somari_e_social_ecco_perche_la_scienza_non_e_democratica_-179355612/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P2-S1.6-T1
4282  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / CARLO BERTINI. Riaprire la porta a Bersani. La sfida dei capicorrente Pd inserito:: Ottobre 28, 2017, 06:13:39 pm
Riaprire la porta a Bersani. La sfida dei capicorrente Pd
Ma Renzi chiude sul Rosatellum e attacca la Boldrini su Bankitalia
Il segretario del Partito democratico scherza sul social network Instagram: «Il treno? In moto mi sento a casa»

Pubblicato il 23/10/2017 - Ultima modifica il 23/10/2017 alle ore 07:20

CARLO BERTINI
ROMA

A sentire i Renzi-boys il gioco è quello classico del cerino: quell’apertura di Roberto Speranza che dalle colonne di Repubblica chiede al segretario Pd di incontrarsi per discutere di legge elettorale e di bilancio, altro non sarebbe che il tentativo di tirare addosso al Pd la responsabilità della rottura. Tutti sanno che senza coalizione il rischio di sconfitte nei collegi e alle urne per colpa delle divisioni a sinistra è alto e ognuno dei contendenti prova a gettare la croce addosso all’altro. A sentire gli uomini di Mdp, se domani si mette la fiducia sul “Rosatellum” la questione è chiusa: perché senza voto disgiunto, negando la possibilità all’elettore di votare un altro partito, non si può costruire la coalizione se non alle condizioni di Renzi. Ecco il perché dell «incontriamoci subito» di Speranza. Tradotto, se le regole saranno queste, inutile andare a parlare da una posizione di debolezza.
 
«Ma dopo tutto quello che ci avete detto, che Renzi era il male assoluto, eccetera, ora volete dialogare?», risponde il leader Pd da Lucia Annunziata su Rai 3. «Però io guardo il bicchiere mezzo pieno, l’apertura. Se è seria parliamo, ma di cose concrete». E qui il segretario Pd provoca sui punti già criticati da Bersani e compagni, 80 euro, jobs act. «Preferenze? Si è fatto un accordo tra tanti partiti, anche di opposizione, rimetterlo in discussione sembra un tentativo di ripartire da capo». 
 
Ed ecco uno stop alle richieste del “rosatellum”, che arrivano oltre tempo massimo. Anzi, Ettore Rosato pone come condizione per incontrarsi che Mdp voti la legge. I renziani ricordano che quando l’accordo fu chiuso al tavolo con gli altri partiti, Mdp non ha voluto sedersi: la prima bozza fu sottoposta anche a loro, che la rifiutarono: perché non c’erano le preferenze e il voto disgiunto, non graditi a Forza Italia. E toccare oggi quei punti equivarrebbe a smontare la nuova intesa trasversale sulla legge elettorale. Che verrà votata giovedì al Senato con la fiducia prima dell’arrivo della manovra. 
 
Il problema per Renzi è che i potentati dentro il Pd non gradiscono che si chiuda la porta senza appello agli ex compagni di strada, nel timore che questo giochetto porti tutti a sbattere alle urne: così si spiega il tweet con cui esce allo scoperto, cosa che fa raramente, Dario Franceschini. «La proposta di Speranza e la risposta di Renzi ricostruiscono un filo di dialogo. Nessuno lo spezzi o vincerà la destra», è l’avvertimento al segretario. Pari a quello del Guardasigilli Orlando, l’altro capocorrente di peso nel Pd, che chiede di fissare «sin dalle prossime ore un incontro dei vertici dei nostri gruppi con quelli Mdp».
 
Frattura a sinistra difficile da ricomporre, anche per la vicenda Bankitalia, su cui il leader Pd tira dritto. «Uso la clava perché sono un uomo libero». Dice di non avere nomi, «vorrei che chiunque fosse scelto sia il migliore candidato possibile. È una valutazione che deve fare il presidente del Consiglio». Poi attacca la Boldrini per aver ammesso le mozioni dei 5stelle e della Lega, (e lei gli replica «non si può chiedere a chi presiede la Camera di impedire alle opposizioni di esprimersi»). Ma garantisce che la mozione Pd era concordata e condivisa, «Gentiloni ed io l’abbiamo saputo più o meno nello stesso momento». 

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4283  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MARCELLO SORGI. Il territorio laboratorio di leadership inserito:: Ottobre 28, 2017, 06:11:42 pm
Il territorio laboratorio di leadership

Pubblicato il 24/10/2017

MARCELLO SORGI

Dalle urne del referendum di Veneto e Lombardia, oltre a un risultato politico che influirà anche sulle prossime elezioni, esce un modello di leadership destinato a far riflettere, a destra come a sinistra. È quello del trionfatore del Veneto Zaia e del - già, come definirlo, vincitore o vinto? - sindaco di Bergamo Gori, schierato con il «Sì» dei leghisti promotori delle consultazioni, ma contraddetto dalla posizione ufficiale del suo partito, il Pd, che con il vicesegretario nazionale e ministro dell’Agricoltura, il milanese Martina, aveva lanciato alla vigilia del voto un appello all’astensione.
 
Al di là della possibile - e dall’interessato sempre negata - candidatura alla guida dell’eventuale, e adesso sempre più possibile, prossimo governo di centrodestra, ipotesi lanciata tempo fa da Berlusconi, Zaia, che in una tempestosa domenica di pioggia ha portato la maggioranza dei veneti alle urne e a esprimersi a favore di una maggiore autonomia locale, ha alcune caratteristiche in comune con Gori. Il quale ha raccolto le firme dei sindaci lombardi per lo stesso obiettivo, e magari avrebbe preferito rinunciare al referendum, perché non gli era sfuggito che a incassarne i vantaggi sarebbe stata soprattutto la Lega, compreso il governatore lombardo Maroni, che lo stesso sindaco si prepara a sfidare alle prossime regionali, e che pur non avendo eguagliato il successo di Zaia, ne ha comunque ricavato una bella lucidatura della propria immagine. Ma una volta avviata la macchina, appunto, Gori non s’è tirato indietro, né ha atteso di aver indicazioni dal confuso vertice del Pd, che oscillava tra il dare la libertà di voto ai propri elettori, vale a dire non prendere posizione, e il tardivo schierarsi per l’astensione, cioè a scommettere sulla sconfitta dell’avversario, senza entrare in partita. Al contrario il sindaco, coerente con l’impegno preso insieme ai suoi colleghi primi cittadini dei comuni della Lombardia, s’è messo lo zaino in spalla, è andato in campagna elettorale, e dopo aver condiviso in parte la vittoria, ha proposto al Pd di votare all’unanimità in consiglio regionale con il centrodestra, per avviare la trattativa con il governo. 
 
Siccome anche Salvini, leader del partito di Zaia, non era proprio entusiasta del referendum nordista proposto dai presidenti leghisti delle due regioni, e lo ha digerito con qualche difficoltà, è abbastanza facile capire qual è la caratteristica che accomuna il governatore veneto e il sindaco lombardo: essere allo stesso modo rappresentanti del territorio, conoscerne i problemi e il comune sentire, e soprattutto comportarsi di conseguenza, senza piegare il capo - o piegandolo il meno possibile - alle scelte nazionali del proprio partito, e sapendo ascoltare la propria gente anche quando questo potrebbe risultare non esattamente conveniente.
 
La questione settentrionale - ma non solo: basti pensare alla Puglia di Emiliano, e per certi versi anche alla Napoli di De Magistris o alla Palermo di Orlando - sta tutta qui. Quando i cittadini di un determinato territorio percepiscono che i loro rappresentanti, o quelli che li governano, non hanno a cuore i loro problemi specifici, li trascurano e come soluzioni cercano di applicare astratti modelli nazionali, che faticano a produrre effetti in periferia, o scelgono di farsi rappresentare da altri, oppure, se non trovano nessuno o nulla di convincente, si buttano nell’astensione o nelle braccia dell’antipolitica.
 
Ecco perché una politica moderna, non inutilmente ideologica, dovrebbe partire di qui per ridefinire i propri obiettivi e governare con sapienza le inevitabili spinte centrifughe di questo sistema.
 
Stupisce che ci riesca il centrodestra, seppure, come abbiamo visto, un po’ a dispetto di se stesso. E non ci riesca invece il centrosinistra, e all’interno di esso il maggior partito di governo: con un leader come Renzi, che aveva costruito la sua fortuna facendo il sindaco di una grande città come Firenze, arrivando a incontrare Berlusconi premier per fare gli interessi della propria città, e diventando poi, chissà perché, centralista a Palazzo Chigi; e ancora, tra i suoi dirigenti, un uomo come Chiamparino, già primo cittadino di Torino e attuale governatore del Piemonte, che qualche anno fa era arrivato a proporre l’eresia di un Pd del Nord, e per questo era stato politicamente - e inutilmente - massacrato.

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4284  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / TOMMASO CERNO- L'ambiguità padana. Nonostante gli scandali Formigoni e Galan... inserito:: Ottobre 28, 2017, 06:08:04 pm
L'ambiguità padana

Nonostante gli scandali Formigoni e Galan, resiste la mitologia della destra efficiente

Di TOMMASO CERNO
26 ottobre 2017

C’è un lato oscuro, un maleficio che aleggia su quel lembo di terra a Nord-Est dell’Italia dove è tornato a soffiare il vento della destra. Un’ambiguità tutta padana, un fantasma che si aggira nelle stanze impolverate che furono la Casa delle libertà, ma non spaventa gli abitanti del maniero, non viene notato, è incapace di intimorire quel popolo che anzi si muove in massa per ribadire il primato politico ed economico della Padania di Salvini e Berlusconi nell’Italia della grande crisi.

Non si spiega, storia e dati alla mano, questa mitologia del buongoverno di centrodestra. Una favola propinata al Paese, che ha spinto la sinistra a darsi alla ritirata, varando una legge elettorale che, di fatto, favorirà il ritorno nel Nord delle insegne del centrodestra, spaccando l’Italia in due e relegando il Pd fuori dai confini della parte più ricca e produttiva del Paese, che Matteo Renzi aveva promesso di infatuare.

Proprio lassù Lega e Forza Italia crescono invece ogni giorno nei sondaggi. E basta passare al bar per tastare con mano lo tsunami elettorale di colore verde e azzurro che sta per abbattersi sulla Padania: dalla Brianza alle foci dell’Isonzo.

Così in Padania l’inganno si fa voto. E Silvio Berlusconi corre al galoppo verso il 2018 alleato con quel Matteo Salvini che, pur fra ultimatum e litigi furibondi sui giornali, in televisione e in Parlamento, strizza l’occhio a un elettorato che non riconosce diversità sostanziali fra Lega Nord e Forza Italia. Si tratta di litigi che incuriosiscono politologi e sondaggisti, ma che non sfiorano il cuore politico del popolo a Nord-Est. Lassù si può fare, il Cavaliere lo ricorda bene, perché conosce l’indole di quelle terre. Sa che la promessa di un modello di governo simile a quello che ha conquistato Lombardia e Veneto dal 1994 in avanti non avrebbe rivali. Soprattutto con una legge elettorale che consenta al centrodestra di fare cartello e presentarsi unito.

A guardarsi un po’ in giro sembra che abbia ragione lui. Basti pensare che da queste parti nemmeno Beppe Grillo, con il suo bavaglio sugli occhi, in piazza del Pantheon, in parata contro la fiducia posta dal governo Gentiloni sulla legge elettorale è davvero passato all’incasso. Non sfondano i Cinque stelle nella Padania del grande inganno. Né sfonda la tiepida simpatia del popolo di Silvio per il fu Matteo Renzi, non certo quello di adesso, tutto voglia di Palazzo Chigi e vendette a sinistra, ma quel Renzi rottamatore della prima ora che per qualche mese solleticò la pancia degli elettori del Nord-Est. Ora è tutto finito. La sua fama è evaporata, archiviata come anticaglia politica, anzi si è rovesciata in astio.

L’emblema di questa metamorfosi è proprio Ettore Rosato, il diligente capogruppo del Pd alla Camera, natali triestini e cuore democristiano. Rosato è uno che fa politica da quando portava i calzoncini corti ed è colui che dà il nome alla riforma elettorale, al voto in Senato fra caos e proteste. Nemmeno il padre della riforma ha il coraggio di candidarsi con la propria riforma. Perché sa che il Nord-Est lo caccerà. E così spera di fuggire da Trieste, luogo dove — stando al suo Rosatellum che dovrebbe garantire ai cittadini di poter scegliere il loro deputato — i sondaggi dicono che vinceranno i berlusconiani doc.

Eppure le cronache ci dicono che quel modello di governo che il centrodestra rivendica è figlio di due decenni di imbrogli, cricche e potere familistico. La cronaca ce lo ricorda ogni giorno. Ma lassù nessuno pare sentirlo. Roberto Formigoni che fu il padre padrone della Lombardia fino ad aspirare alla poltrona di premier è stato rispedito a processo. Le accuse sono le solite: cene di lusso e vacanze pagate al cattolicissimo membro dei Memores Domini ciellini il quale, sussurrano maligni gli ex compagni di partito, avendo fatto voto di povertà, evidentemente spendeva soldi altrui, come dice la prima condanna dopo l’inchiesta sulla Fondazione Maugeri.

Scendendo verso Est, la musica non cambia. Lungo la vecchia ferrovia che porta a Venezia per poi spingersi fino sul Golfo di Trieste s’è rifugiato Giancarlo Galan, il Doge decaduto, l’uomo più potente della Serenissima, laico e liberale fu colui che pontificò per quasi vent’anni onestà e sviluppo in una delle terre più ricche d’Europa, un posto dove le fabbrichette intorno a Vicenza facevano il Pil della Grecia, gestendo invece potere e malaffare dal Canal Grande. Roba che, in un altro posto d’Europa, avrebbe ipotecato la vittoria del centrosinistra per una generazione ma che, lassù, al contrario, ha consolidato la classe dirigente e trasferito il potere nelle mani di successori che, pur estranei ai fatti, avevano condiviso e sposato quel patto politico.

Significa che la sinistra non ha saputo toccare le corde di quel pezzo di Italia, quel lembo di ricchezza nella crisi da cui poteva ripartire un progetto riformista capace di scaldare il Nord deluso dalla caduta, neppure troppo onorevole, del Cavaliere.

Non è così. Nemmeno oggi che le cene al caminetto di Arcore fra Silvio e il Senatùr, con il cuoco Michele e i manicaretti rigorosamente senza aglio, non ci sono più. L’inganno padano continua e al governo torneranno loro, prosecutori di un modello di sviluppo che porta con sé una macchia, un peccato originale che il Pd non è stato capace di far emergere. Anzi, di cui è vittima sacrificale: il centrodestra ha già riconquistato grandi città, a partire dalla difficilissima Trieste nel feudo di Debora Serracchiani, e s’è preso le roccaforti rosse come Monfalcone.

Ma ora punta dritto alla tripletta, dopo la Lombardia e il Veneto di Maroni e Zaia, cercando di imporre anche alle regionali del Friuli Venezia Giulia un candidato della Lega Nord, il giovane capogruppo padano Massimiliano Fedriga. Spinto dalla crisi della pasionaria piddina Debora le cui riforme (sanità ed enti locali) non riescono a fermare il vento in poppa del Carroccio, spinto anche dal referendum sull’autonomia, una consultazione che da queste parti odora più di schei, di soldi, che di modello catalano. Senza che a Roma possano fare molto per fermarlo.

© Riproduzione riservata 26 ottobre 2017

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4285  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / GOFFREDO DE MARCHIS. Gentiloni 'accetta' i voti di Ala: “Così o salta il ... inserito:: Ottobre 28, 2017, 06:01:09 pm
Gentiloni 'accetta' i voti di Ala: “Così o salta il bilancio dell’Italia”.
E i dem puntano pure allo Ius soli
Il premier "realista".
Dal Quirinale nessuna mossa: conta la fiducia. Ma irritazione per l'incontro con Mdp reso pubblico.
Palazzo Chigi: l'alternativa è l'esercizio provvisorio non c'è altra scelta


Di GOFFREDO DE MARCHIS e UMBERTO ROSSO
26 ottobre 2017

ROMA. «L’alternativa è l’esercizio provvisorio. Perciò si prendono i voti che ci sono». Senza fare troppo gli schizzinosi. Paolo Gentiloni guarda già oltre la legge elettorale. Pensa al percorso della manovra economica che serve a garantire i conti pubblici e a portare il Paese alle elezioni in modo ordinato, quando mancano appena due mesi allo scioglimento delle Camere. C’è anche dell’altro. «Non dite che il sostegno di Verdini puzza. Quando servirà a votare la fiducia sullo Ius soli saranno in tanti a ricredersi», ripete da giorni ai suoi senatori il capogruppo Pd Luigi Zanda.

La linea del Quirinale è la stessa. Il governo ha la fiducia del Parlamento, il cambio di maggioranza invocato dai bersaniani di Mdp non incide sulle regole istituzionali, tanto più che siamo sul filo di lana della legislatura. Semmai sul Colle non hanno gradito la pubblicità che Mdp ha dato all’incontro con Sergio Mattarella, che doveva rimanere riservato. Come se gli volessero suggerire una mossa, magari la convocazione dei gruppi parlamentari per verificare la nuova maggioranza.

Ala, dentro il perimetro della coalizione, va bene, va benissimo se in gioco c’è la stabilità. Per questo Palazzo Chigi è stupito dell’iniziativa dei bersaniani: «Praticamente sono andati a chiedere al presidente della Repubblica di avallare l’esercizio provvisorio». Roba da matti, secondo il Pd. «La legge elettorale ha una maggioranza che va oltre quella di governo, quindi non vedo il problema — osserva Matteo Orfini — . La Finanziaria è in pratica un provvedimento tecnico che serve a bloccare l’aumento dell’Iva. Se Verdini la vota, dà un voto tecnico. Niente di più». Ma questo non muta la natura del Partito democratico, non è ancora più dannoso che ciò avvenga in vista delle elezioni piuttosto che lontano da esse? «Direi di no», taglia corto il presidente dem.

Sembra acqua passata la questione se i voti dei verdiniani siano decisivi o aggiuntivi. Ieri il punto era garantire il numero legale e non sono servite le presenze del gruppo di Ala. Ma i senatori di quella componente sono decisivi, anzi indispensabili per condurre in porto le ultime gesta del governo. Quindi, sì sono dentro la maggioranza. Infatti Mattarella si dice «fiducioso sull’approvazione della manovra» e richiama tutti «al senso di responsabilità», confermando che ormai la legislatura serve soprattutto a evitare il caos dei conti pubblici.

Gentiloni sa che lo sfaldamento del quadro era inevitabile a poche settimane dalle elezioni e già in piena campagna elettorale. Forse si aspettava un atteggiamento diverso da parte di «chi ha sempre votato la fiducia sulla legge di bilancio in questi anni e si sfila adesso di fronte a una manovra soft». Parla di Bersani, ovviamente. Ma dimostrare che il presente e il domani si reggono sulle larghe intese era l’obiettivo di Mdp fin dall’inizio. Inutile stupirsi più di tanto. «Parlano solo di Verdini perché non hanno alcun progetto politico. Contenti loro...», incalza Orfini.

Cosa chiede Verdini in cambio della stabilità, quale patto oscuro si cela dietro la sua generosità al Senato? Nessuno, risponde Orfini. «Ma quale scambio, forse una scatola di cioccolatini», scherza Orfini. E superata la fase della polemica, anche a sinistra dovranno ricredersi quando i voti di Ala saranno necessari per approvare lo ius soli. Significa, se la raccomandazione di Zanda ai senatori è concreta, che Gentiloni si prepara davvero a un’ultima zampata, la fiducia sulla cittadinanza. I numeri degli sbarchi, in calo vertiginoso rispetto al 2016 e praticamente nei limiti fisiologici, consentono di arginare il collegamento ius soli-invasione. La sinistra a quel punto dovrà celebrare l’azione del governo.

Lo stesso premier è intenzionato a scrollarsi di dosso le macchie lasciate dalle 8 fiducie poste sulla legge elettorale. Secondo Giorgio Napolitano frutto di «forti pressioni», ovvero della volontà di Matteo Renzi. Il segretario Pd non si scandalizza per l’appoggio di Verdini, anzi. Da sempre Luca Lotti lavora al coinvolgimento dei verdiniani nel recinto del centrosinistra. «E dobbiamo dire grazie a Verdini se oggi abbiamo le unioni gay», ricorda Orfini. Può succedere di nuovo e quel giorno Ala e Mdp voteranno insieme.

© Riproduzione riservata 26 ottobre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/10/26/news/gentiloni_sdogana_i_voti_sporchi_cosi_o_salta_il_bilancio_dell_italia_e_i_dem_puntano_pure_allo_ius_soli-179355608/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T2
4286  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / VITTORIO ZUCCONI, Lo spogliarello della verità inserito:: Ottobre 28, 2017, 05:59:18 pm
Lo spogliarello della verità

Di VITTORIO ZUCCONI
27 ottobre 2017

Con vile efferatezza e con il sicuro risultato di alimentare la fantasia dei complottisti che da cinquantaquattro anni vivono di teorie alternative alla verità ufficiale sull’omicidio Kennedy (quella che anche Bob Kennedy accettava dopo aver studiato a fondo il caso) il governo americano ha scelto di bloccare la pubblicazione di 209 dei 3100 documenti ancora segreti e di nascondersi dietro “omissis”.

Le agenzie di spionaggio e controspionaggio, la Cia e l'Fbi, hanno chiesto di esaminarle ancora e di decidere se la loro diffusione possa nuocere alla sicurezza nazionale o creare incidenti internazionali, scoprendo altarini di collaborazionisti, potenze straniere, metodi di spionaggio. Il Presidente Trump, che aveva annunciato la desecretazione di tutte le carte ha ceduto, concedendo altri 180 giorni a Cia e Fbi per studiarle e oggi lamenta di non aver potuto pubblicarle. Come se non dipendesse da lui, e da lui soltanto, decidere, essendo Cia e Fbi agenzie dell’Amministrazione alle sue dirette dipendenze. La legge del 1992 che aveva fissato alla mezzanotte di ieri 26 ottobre 2017 la scadenza per togliere il segreto gli concedeva completa discrezione.

Il risultato di questa proroga, grottesca dopo 25 anni di tempo per esaminare e riesaminare questa montagna di carte e di foto, è di avere infittito e non dissipato la nebbia dei sospetti. Come nella famosa metafora del bikini, quelle 2.890 “files” scoperte diventano istantaneamente irrilevanti perché la curiosità punta su quello che rimane ancora coperto. Fra oggi e il 26 aprile del 2018, scadenza (forse) finale per completare lo strip-tease degli archivi, niente di quello che è ancora nascosto cambierà di importanza e sarà servito soltanto ad accedere le fantasie.

Trump, che aveva scelto con discutibile teatralità il suo volo di ieri verso Dallas per dare il via libera a bordo dell’Air Force One si è lasciato convincere dai generali e dai consiglieri che lo circondano a concedere il riesame, probabilmente senza sapere che cosa contengano quei documenti, rimasti segreti. E i “misteri” sull’assassinio Kennedy resteranno misteri, almeno per chi crede che sotto l’inchiesta Warren e poi l’inchiesta parlamentare ci siano complicità impronunciabili.

Mentre esperti, storici, giornalisti spulciano furiosamente le 2.890 pagine senza ancora trovarvi niente di nuovo (i ridicoli piani per uccidere Castro anche attraverso Cosa Nostra e il boss di Chicago Sam Giancana erano noti da anni) ciascuno può restare della propria opinione, appesa a quelle carte ancora occultate. Un complottista avrebbe il diritto di sospettare che dietro questa inspiegabile dilazione ci sia un complotto per tenere viva l’attenzione e per distrarre il pubblico. Centottanta giorni non cambieranno la verità, ma saranno l’occasione per un’altra puntata del più appassionante romanzo verità dell’America del XX Secolo: chi ha ucciso John Fitzgerald Kennedy?
 
© Riproduzione riservata 27 ottobre 2017

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2017/10/27/news/lo_spogliarello_della_verita_-179443608/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T2
4287  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FEDERICO GEREMICCA - Dritti contro il muro inserito:: Ottobre 28, 2017, 05:57:33 pm
Dritti contro il muro

Pubblicato il 27/10/2017

FEDERICO GEREMICCA

Se si fosse trattato di una sfida a scacchi - e se fosse possibile una semplificazione - la si potrebbe perfino mettere così: la giornata di ieri - tesa e nervosa quanto mai - si è conclusa con una vittoria per parte. Prima partita - quella su una legge elettorale approvata a colpi di voti di fiducia - a Matteo Renzi; la seconda - sulla conferma di Ignazio Visco, apertamente osteggiata dal leader Pd - a Paolo Gentiloni.
 
Ma non si è trattato, appunto, di una partita a scacchi: e il braccio di ferro tra il segretario e il premier ha lasciato sul terreno i cocci di regole non scritte e galatei istituzionali antichi e classici della nostra democrazia. In quest’epoca incerta, fatta di furbizie e scorciatoie, altri due muri - insomma - sono fragorosamente caduti. Il primo: la prassi che vuole che le leggi elettorali - le cosiddette regole del gioco - non diventino materia di governo, venendo per di più varate a colpi di voti di fiducia. Il secondo: l’autonomia di Bankitalia, i cui assetti - a partire dalla nomina del Governatore - non possono esser decisi (o osteggiati) da questo o da quel segretario di partito. Non proprio dettagli. E se a tutto questo aggiungiamo il fragoroso addio al Pd annunciato dal presidente Grasso, il livello raggiunto dalle tensioni politiche in atto diventa ancor più chiaro.
 
Che il crollo dei muri di cui dicevamo sia cosa giusta e utile per il Paese, è tutto da dimostrare: e vedremo se il tempo lo dimostrerà. Per ora si può annotare che molte delle tensioni vissute nelle ultime settimane erano senz’altro evitabili: e che sulla legge elettorale in particolare - al di là del ricorso alla fiducia - nessuna delle forze in campo è scevra da responsabilità, compreso il Movimento di Beppe Grillo, sospettato di aver mandato per aria (nel giugno scorso) un buon accordo su una legge elettorale che ricalcava il modello tedesco.
 
Molti, mettendo tra parentesi il varo non ancora avvenuto di una manovra economica dalla quale dipende parte del futuro del Paese, valutano l’attuale legislatura conclusa - di fatto - con l’approvazione del cosiddetto Rosatellum. Da un punto di vista fattuale non è così, anche se è vero che da stamane l’attenzione dei partiti sarà inevitabilmente ancor più rivolta all’ormai vicino scontro elettorale. Ma prendendo per buona quella valutazione, una considerazione allora appare inevitabile: cominciata male - con la mancata elezione di un nuovo Presidente della Repubblica e il succedersi di tre diversi governi - questa legislatura si va concludendo ancor peggio. 
 
Le ultime settimane, per stare solo alla cronaca recente, sono - in fondo - un po’ la cartina di tornasole di questa evidente parabola. E del resto, era difficilmente ipotizzabile che due passaggi così delicati - intendiamo le regole con le quali andare al voto e la nomina del Governatore di Bankitalia (dopo tanti scandali bancari) - potessero esser compiuti in maniera lineare e trasparente nel fuoco di una rissa politica che non si è mai interrotta dal giorno dell’insediamento del Parlamento a oggi.
 
Nulla, insomma, che non fosse prevedibile: mentre un po’ sorprendente - questo sì - è stato il cambio di passo di Matteo Renzi nei confronti del governo di Paolo Gentiloni. Vedremo nelle prossime settimane l’evoluzione di un rapporto nato, inevitabilmente, con luci e ombre. Ma già oggi, invece, è legittimo porsi degli interrogativi circa i sempre più frequenti smarcamenti del segretario pd da un Presidente del Consiglio non solo amico, ma da lui stesso indicato.
 
La pressione affinché fosse posta la fiducia sulla legge elettorale, l’attacco a Visco per cercare di bloccarne la conferma, la richiesta che l’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita sia rinviato a dopo il voto e l’idea che anche lo Ius soli possa esser approvato grazie a voti di fiducia (scontando la rottura con l’Ncd di Alfano) sono chiari segnali di un cambio di rotta.
 
L’interrogativo è dunque scontato: qual è la nuova direzione? Alla luce delle ultime mosse di Matteo Renzi - e se fosse accettabile un’azzardata semplificazione - verrebbe quasi da dire che il leader Pd si stia preparando ad una campagna elettorale contro il governo da lui stesso sostenuto: qualcosa che più che il trito slogan del «partito di lotta e di governo», ricorda le famose «mani libere» spesso invocate (da Bettino Craxi in particolare) al tempo della Prima Repubblica.
 
Naturalmente, non può essere così. Ma tra lo stare appiattiti sui risultati del governo oppure l’attaccarlo frontalmente («Con Gentiloni abbiamo idee diametralmente opposte su Bankitalia»...) molte altre posizioni sono possibili. Per esempio quella - e se non concordata almeno annunciata - di una reciproca autonomia. Con i tempi che corrono e con il modo che ha di intendere la battaglia politica, è difficile immaginare Renzi in campagna elettorale sdraiato sui risultati ottenuti dai governi pd in questa legislatura. È forse così? Ritorna il vecchio «marciare divisi per colpire uniti?». Lo si vedrà. Quel che importa, al momento, è che il cambio di passo e la nuova possibile strategia non aggiungano altre macerie ai cocci lasciati da una partita a scacchi ancora tutta da decifrare.

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4288  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / ANNA MASERA «Sbaglio o i media stanno abusando della parola populismo?» inserito:: Ottobre 28, 2017, 05:44:13 pm
Populismo, un termine alla moda
“Gramsci, avanti populisti alla riscossa” (un articolo d’archivio de La Stampa)
Pubblicato il 24/10/2017

ANNA MASERA
TORINO

«Sbaglio o i media stanno abusando della parola populismo?» ci scrive un’insegnante torinese abbonata a La Stampa. Abbiamo verificato i dati con una ricerca in archivio che si è rivelata interessante. 
 
Su La Stampa, il termine «populismo» ha cominciato a comparire in maniera evidente intorno al 1992 nell’epoca di Mani Pulite fino a essere menzionato 93 volte nel 2010 (23 volte «populisti», solo 8 «populismi»), ma solo in questi ultimi due anni è triplicato (243 menzioni nel 2016, 311 nel 2017), con una crescita esponenziale anche per «populista» (da 119 menzioni nel 2015 a 294 nel 2016), «populisti» e «populismi»: dal 1 gennaio al 20 ottobre di questo 2017 tutt’ora in corso rispettivamente balzati a 255 e 155 menzioni.
 
La parola deriva dall’inglese populism e risale alla rivoluzione americana e al presidente Andrew Jackson, secondo la Treccani anche al movimento di fine Ottocento in Russia, che si proponeva una sorta di socialismo rurale per migliorare le condizioni delle classi diseredate. Per estensione, Treccani lo definisce un «atteggiamento ideologico che esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi». 
 
Il termine oggigiorno è portatore di un’accezione negativa perchè viene spesso usato nel linguaggio politico come un insulto, sinonimo di razzismo, estremismo, rabbia associata a ignoranza, e per il pubblico può essere fuorviante. E’ spesso usato per spiegare l’ascesa del Movimento 5 Stelle in Italia e di Donald Trump negli Usa, il voto a favore della Brexit e l’ascesa dei leader xenofobi europei, il movimento indipendentista in Catalogna ma anche lo scetticismo verso i vaccini. E’ il termine giusto? 
 
I media hanno sempre cavalcato parole chiave che diventano slogan di moda. Servono per farsi capire al volo senza dover spiegare ogni volta un concetto. Ma se usate impropriamente, quando non sono necessarie, perdono il loro significato banalizzando il discorso. Con la narrativa populista si semplifica il mondo politico dividendolo in due macro-categorie monolitiche, il popolo oppresso e l’élite privilegiata. E’ una narrativa potente che cattura l’immaginazione in un contesto di insicurezza economica, di terrorismo, di guerra, o di cambiamenti culturali. Ma vale la pena discernere e spiegare meglio ogni volta che cosa si intende.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/10/24/cultura/opinioni/public-editor/populismo-un-termine-alla-moda-umrdwzYCwznKllGOelWF1J/pagina.html
4289  Forum Pubblico / SCRIPTORIUM 2017 - (SUI IURIS). / PERICLE: Discorso agli Ateniesi 461 a.C. inserito:: Ottobre 28, 2017, 05:38:24 pm
Pericle: Discorso agli Ateniesi 461 a.C.

"Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell'eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l'uno dell'altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell'Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero."

Fonte: Piccola Biblioteca Ragionata.
Hugo Hernán Morales

Da FB del 28/10/2017
4290  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Il fango non risparmia nessuno neppure la Storia inserito:: Ottobre 28, 2017, 05:36:42 pm
Eugenio Scalfari e il vivaio giovanile fascista

Eugenio Scalfari ha sempre sostenuto che il suo impegno giornalistico fascista fosse iniziato nella seconda metà del 1942 su “Roma fascista”.
In realtà, diversi mesi prima, con gli articoli su “Gioventù italica” e “Conquiste d’Impero” ora ritrovati dal professore della Statale di Milano Dario Borso.
Ne pubblichiamo qui alcuni stralci come contributo importante alla verità storica.

Eugenio Scalfari è una figura centralissima della vita giornalistica, politica e in senso lato culturale dell’intero dopoguerra. Insieme a Arrigo Benedetti, e due anni dopo a Carlo Caracciolo, è il fondatore del gruppo editoriale l’Espresso che oggi si chiama GEDI, cui appartiene anche MicroMega, e di MicroMega è stato anzi per anni uno dei più autorevoli collaboratori. A Scalfari debbono molto i cittadini democratici per tante battaglie di cui l’Espresso prima (a partire dalla famosa inchiesta di Manlio Cancogni del 1955, “Capitale corrotta nazione infetta”) e Repubblica poi, sono stati protagonisti. A Eugenio (e prima ancora al direttore dell’Espresso Livio Zanetti) sono debitore anche sul piano personale, per le occasioni che mi sono state offerte di collaborare a due testate così importanti, mi sento perciò legato a lui da affetto oltre che da riconoscenza.

Ma nella vita democratica la verità storica (le “modeste verità di fatto” di cui parlava Hannah Arendt, rinunciando alle quali si prepara seconda la Arendt la via alla mutazione totalitaria) è un bene più prezioso e irrinunciabile dell’affetto e della riconoscenza.

Il breve testo di Dario Borso che qui presentiamo è un contributo importante alla verità storica. Fa parte di una ricerca più ampia che Borso sta svolgendo sugli intellettuali nel periodo del fascismo che precede il 25 luglio. Scalfari ha sempre sostenuto che il suo impegno giornalistico fascista fosse iniziato nella seconda metà del 1942 su “Roma fascista”. In realtà le lettere scambiate tra Scalfari e Italo Calvino (furono compagni di banco, come più volte ricordato da Scalfari, circostanza nota al grande pubblico per un intervento di Benigni che la sottolineò nella piazza dell’edizione 2014 di “Repubblica delle idee”) già riportavano indicazioni inequivocabili di come Scalfari già dal febbraio 1942 si vantasse con Calvino di essere entrato a far parte di un “vivaio giovanile” scrivendo su “Gioventù italica” e “Conquiste d’Impero”.

Dario Borso è riuscito a ritrovare quegli articoli di difficilissima reperibilità, e ne pubblica qui gli stralci più importanti – che certamente arricchiscono la conoscenza della formazione fascista di tante personalità che avrebbero poi avuto ruoli preminenti nella vita civile e politica dell’Italia democratica – ripromettendosi di ritornarvi nel corso della sua più ampia ricerca, perché passare per tale formazione, riviste, Guf, Littoriali, per molti fu strada quasi “naturale”. Come Borso mi ha scritto nel biglietto di accompagnamento di questa scoperta storico-giornalistica: Quello che mi premerebbe passasse come messaggio, è che tutti sbagliamo, soprattutto in gioventù, ma la maturità dell'adulto, per non dire dell'anziano, sta nell'ammettere i propri errori, e non per se stesso, ma per le generazioni a venire (altrimenti a tramandarsi è la finzione ecc.).
(pfd’a)

di Dario Borso

Più volte Eugenio Scalfari ha rimemorato i suoi esordi letterari facendoli invariabilmente risalire ad alcuni articoli usciti nella seconda metà del 1942 su Roma Fascista, settimanale del Gruppo Universitario Fascista1: ma è vero?
Giunto nella capitale da Sanremo verso la fine dell’anno precedente, egli intrattenne regolare corrispondenza con l’ex-compagno di liceo Italo Calvino.
Le lettere del primo non sono tuttora disponibili, quelle del secondo sì.

Stralciando limitatamente alla prima metà del 1942:

12 febbraio: «Stai diventando un fanatico, ragazzo mio, stai attento. Ti stai esaltando di queste idee, tanto da montarti la testa. Curati. Distraiti.»

1 marzo: «Dunque tu, Eugenio Scalfari, scrivi su riviste letterarie giovanili? Scrivi articoletti sull’arte novissima, eh? Sei capitato in un vivaio giovanile? Ma che bravo! Bravo, bravo, mi compiaccio proprio. Ahahahahahaah!»

7 marzo: «La faccenda del vivaio giovanile non è molto chiara. Scrivi meno balle, racconta fatti e ambienti e persone. Adesso il giornalino non è più del vivaio, è dell’Azione Cattolica. Che casino! […] Quando la finirai di pronunciare al mio cospetto frasi come queste: “tutti i mezzi son buoni pur di riuscire” “seguire la corrente” “adeguarsi ai tempi”? Sono queste le idee di un giovane che dovrebbe affacciarsi alla vita con purezza d’intenti e serenità d’ideali?»

21 aprile: «Mandami, appena vede la luce, il numero di Gioventù Italica che porta il tuo battesimo dell’inchiostro tipografico. Siccome avrai naturalmente scritto delle gran frescate, polemizzerò con te. Quello che rimane per me un gran mistero è come facciano a vivere le varie Gioventù & Progenie, Roma & Ischirogeno, che pullulano dalle tue parti. E, quel che più conta, dove piglino i soldi da dare a degli sciagurati come te.»

29 aprile: «Fa piacere poter dire: sapete, stasera ho da scrivere a Eugenio Scalfari, il noto pubblicista, è mio amico, siamo stati compagni di scuola, sì, proprio lui, il più noto scrittore contemporaneo, quello che scrive nientedimeno che su Conquiste d’Impero. […] Ci scrive anche Giuseppe [Bottai], ma sì, proprio Giuseppe, sono colleghi, “il mio Peppino” lo chiama Scalfari. […] Ho atteso a risponderti alla tua doppia ultima perché attendevo la copia di Gioventù Italica che mi è arrivata oggi. […] Non posso definire il tuo articolo altrimenti che: strano. Strano che tu ti metta a scrivere di queste cose, strano che tu mostri una così sicura cognizione in fatto di tragedie greche che credo conoscerai quanto conosco io, cioè ben poco.»

21 maggio: «Per quanto io aspiri a un “modo di salire” e tu a un “salire ad ogni modo”, l’esempio dell’amico mi sarà certo di sprone. […] Manda roba: Conquiste d’Impero, tua tesi per quell’affare del convegnochesoio, Roma Fascista che – scusa – non ho capito bene che cosa è (un giornaletto del Guf)?»

10 giugno: «Tu che sempre hai vissuto in una sfera lontana dalla vera vita, uniformando il tuo pensiero all’articolo di fondo del giornale tale e talaltro, ignorando completamente uomini fatti cose adesso ti metti a scrivere di economia, di argomenti ai quali sono legati avvenire benessere prosperità di popolazioni. Questa più che faccia tosta mi sembra impudenza. […] Lo so, sono amaro, ma, ragazzo, nella merda fino a quel punto non ti credevo. Il giornale fa pietà, è un vero sconcio che si lasci pubblicare tanta roba idiota e inutile. […] Ti conoscevamo come uno disposto a tutto pur di riuscire, ma cominci a fare un po’ schifo.»

21 giugno: «Me ne frego che tu ti offenda e mi risponda con lettere aspramente risentite (oltre che scemo sei pure diventato permaloso), quello che ho da dirti (e te lo dico per il tuo bene) si compendia in una sola parola: PAGLIACCIO! […] Chiunque ti legga, vedendo uno che fa sfoggio di erudizione ad ogni sillaba, che fa di tutto perché i suoi concetti appaiano il meno chiari e determinati possibile, non può fare a meno di credere che tu sia un IGNORANTE che ripete pappagallescamente frasi e termini raffazzonati a casaccio.»

Ed ora, in prima assoluta, ecco a stralci i due articoli scalfariani in questione:

L’elemento “tragedia” nell’animo umano, n. di marzo-aprile 1942 di Gioventù Italica, organo della Gioventù Cattolica Italiana diretto da Luigi Gedda: «La tragedia nasce dal dubbio e dal dolore non dell’individuo, ma dell’umanità intera, in quanto scaturisce da quei sentimenti di carattere universale e non particolare, che tutta l’umanità interessano. […] Essenzialmente dinamica, essa si evolve parallelamente all’evoluzione della nostra coscienza dei due opposti termini dall’incontro dei quali scaturisce il conflitto tragico: Uomo–Dio. Secondo i tempi, secondo i paesi, secondo la fede dei popoli, varia il risultato del conflitto: ora esso si risolve con un annientamento della volontà dell’uomo di fronte a quella di Dio, ora con un’emancipazione dell’uomo da Dio. Ma v’è una terza fase della tragedia ch’è quasi sintesi delle due precedenti, fase essenzialmente religiosa e corale nella quale su tutto domina il pianto eterno dell’umanità in travaglio […]. “O uomini che preferite restare nel vostro guscio, e frodare la vita come un piccolo Bonturo piuttosto che adorare la morte come un Ulisse ardimentoso!” Questo grida lo spirito tragico in ciascuno di noi, che è ancora e sempre conflitto; conflitto tra l’Uomo e il tempo, che lo schiaccia e lo annulla inesorabilmente; tra la libera volontà dell’Uomo e il Destino che la nega e la distrugge; tra la forza fisica dell’Uomo e le oscure potenze cosmiche scatenate […]. Noi vogliamo un Uomo migliore fra altri Uomini migliori, e fidiamo nella forza della tragedia (s’intenda: della tragedia non del dramma) per giungere a questo risultato. La tragedia come concertazione scenica deve rinascere e rinascerà. Essa sarà essenzialmente religiosa e avrà compito religioso: scoprire Dio nell’Uomo!»3

Spiritualizzare la corporazione, n. di giugno 1942 di Conquiste d’Impero, mensile diretto da Corrado Petrone. Designato nel 1937 presidente del Comitato Nazionale per l’Indipendenza Economica4, docente di Storia e Principi del Diritto Fascista alla Sapienza, cooptato nel 1941 alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, il direttore apre il numero con: «Occorre selezionare i quadri del Partito Nazionale Fascista eliminando le scorie, in modo da dare al Partito un’essenza di aristocrazia di popolo» – dopodiché a ruota Eugenio: «L’ordinamento corporativo, base della politica e del programma del Fascismo, è una di quelle creazioni che, conquistate da una Rivoluzione Vittoriosa, sono destinate poi a rimanere eterno retaggio della società umana quali principi indistruttibili acquisiti sulla via del progresso [...]. La sintesi corporativa interessa ed investe in pieno i rapporti tra l’individuo e lo Stato e pone improrogabilmente il problema del regolamento di tali rapporti, regolamento che si applica seguendo due principali direttrici vettoriali: responsabilità-gerarchia. Lo Stato moderno, non fosse altro che per ragioni pratiche, deve essere essenzialmente gerarchico e aristocratico, e in esso l’individuo deve sentirsi intimamente responsabile dell’incarico che gli compete. La civiltà illuministico-liberale deriva l’esistenza dello Stato da un’origine contrattualistica tra singoli e perciò artificiale, e pone l’eguaglianza alla base della società come identità di concessione di libertà che Ognuno fa a Tutti. […] Noi aborriamo da una società tutta allo stesso livello, composta di grandi steli d’erba e di piccole querce; noi vogliamo un’eguaglianza più nobile, quella che purifica tutti davanti alla vita e al lavoro, che rende degni e meritevoli di rispetto il manovale e il filosofo, l’industriale e il poeta. […] Per raggiungere tale risultato non basta auspicarlo: è anzitutto necessario combattere e credere. Il mondo moderno è assetato di fede più che di tutto, di una fede che, dopo tanto scettico relativismo esistenzialistico, rappresenti alfine un punto fermo per ridare all’uomo un metro assoluto per disceverare il bene e il male, per premiare il bene e per punire il male. La battaglia spirituale è già stata iniziata, grazie all’opera e alle direttive precise del DUCE, fin dai primi anni del Fascismo. A noi spetta il condurla a compimento.”5

Il 23 settembre Scalfari, che nel frattempo aveva sfornato una nutrita serie di articoli per Roma Fascista, annunciò a Calvino di esserne divenuto redattore-capo. Lo fu per un trimestre, rimanendo nondimeno fascista fino al 24 luglio 1943 quale collaboratore fisso di Nuovo Occidente, il mensile ultramussoliniano di Giuseppe Attilio Fanelli.

NOTE

1 Cfr. almeno il Racconto biografico inserito nel Meridiano Mondadori del 2012 e l’intervista www.repubblica.it/politica/2016/05/29/news/referendum_1946_scalfari-140836071/.
2 Cfr. I. Calvino, Lettere 1940-1985, a cura di L. Baranelli, Mondadori, Milano 2000.
3 Consultabile alla biblioteca d’ateneo dell’Università Cattolica di Milano (PER-MI-000384). La citazione interna è da Gli ultimi saranno i primi, discorso tenuto da Gabriele D’Annunzio all’Augusteo di Roma il 4 maggio 1919. Coniato dal Carducci e sfruttato da D’Annunzio come sinonimo di politicante corrotto, l’eponimo Bonturo (da Dante, Inferno, XXI) piaceva a Scalfari, che lo reimpiegò tre mesi dopo su Roma Fascista: «Noi siamo pronti a marciare, a costo di qualsiasi sacrificio, contro tutti i Bonturi che tentano di fare mercimonio della nostra passione e della nostra fede. E ancora oggi è la stessa voce del Capo che ci guida.»
4 Carrozzone clientelare su cui cfr. C. Scibilia, L’olimpiade economica: storia del CNIE, Franco Angeli, Milano 2015.
5 Consultabile alla biblioteca centrale dell’Università degli Studi di Milano (PER.G. 00356), l’articolo chiude con: «E dopo la vittoria che ci arriderà senza fallo, perché siamo giovani e vogliamo, potremo assolvere il voto del primo Poeta d'Italia Imperiale, di Gabriele D’Annunzio, consacrando un altare in Campidoglio alla Decima Corporazione» (quella cioè «riservata alle forze misteriose del popolo in travaglio», secondo il dettato della Carta del Carnaro).

Da - http://temi.repubblica.it/micromega-online/eugenio-scalfari-e-il-vivaio-giovanile-fascista/
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