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4231  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Forza Nuova Holding: dai dentisti ai compro-oro, il tesoro milionario dei ... inserito:: Novembre 07, 2017, 12:05:38 pm
Forza Nuova Holding: dai dentisti ai compro-oro, il tesoro milionario dei "poveri patrioti"

Nell’inchiesta dei carabinieri del Ros sui pestaggi dei bengalesi e l’indottrinamento di giovani emergono dettagli delle attività economiche dei neofascisti: dagli affari con i russi alle relazioni col Vaticano

Di FEDERICA ANGELI E GIUSEPPE SCARPA
04 novembre 2017

ROMA. Mentre Forza Nuova scatena le periferie in nome della difesa degli italiani poveri, i vertici del partito muovono milioni di euro e spostano i giovani militanti come pedine all'interno di un carosello di società. Un business certificato da una delicata informativa del Ros consegnata al pm della procura di Roma Sergio Colaiocco. "L'utilizzo di cooperative sociali e società di capitali evidenziano la partecipazione agli incarichi societari (in Italia e all'estero) di soggetti gravitanti nell'ambito di Forza Nuova, che assolvono evidenti mansioni di prestanome, fornendo così una copertura a chi ha di fatto il controllo del complesso societario-finanziario".

IL BUSINESS
Ruotano milioni di euro attorno alla Act Comunication, di cui è la testa di legno il militante di Fn Gabriele Masci. Un business costruito sulla vendita di materiale informatico che in poco tempo cresce a dismisura. Per questo arriva una segnalazione alla Banca D'Italia: "Accertamenti effettuati presso l'Uif della Banca d'Italia consentivano di verificare come a carico della Act Comunication fosse stata elevata segnalazione di operazioni sospette". La motivazione: movimentazioni anomale che "lasciano supporre intenti dissimulatori presumibilmente finalizzati a frodi fiscali".

Non solo società ma anche cooperative sociali e Compro oro nell'affaire dei leader di Forza Nuova. "Per quanto riguarda le attività Compro oro - scrivono gli inquirenti - riferibili a Luca Mancinotti queste fanno registrare significativi introiti ". Mancinotti è un militante di lungo corso in Fn, ex sediario di papa Benedetto XVI con precedenti di polizia giudiziaria per contraffazione di opere d'arte, associazione a delinquere, truffa e ricettazione.

Quanto alle cooperative sociali è Giovanni Maria Camillacci, esponente di rilievo del movimento di destra, il regista occulto di attività per la cura del verde e del giardinaggio che le intesta a prestanomi del club forzanovista. Ma Camillacci è soprattutto il re delle cliniche dentali, sotto il marchio Blu Dental Clinique Italia, che ha aperto due cliniche a Roma e una a Latina col progetto di inaugurarne un'altra a New York. Socio ombra di Camillacci un altro giovane militante, Alessio Costantini, coordinatore romano della sede storica di Fn.

LA RETE DI PRESTANOME
Roberto Fiore dispone dei militanti del partito come vuole. Li sposta come pedine, gli intesta società e conti correnti.
"Fiore mi sta mettendo in mezzo a delle società senza dirmi un c... - spiega Matteo Stella 28 anni, militante di Fn ad un altro esponente, Roberto Benignetti, in una conversazione intercettata dal Ros nel 2014 - io vorrei sapere qualcosa, vuole aprire un conto a nome mio in Inghilterra guarda ti prego (...) io non so che fare". "I timori espressi da Stella - scrivono i carabinieri - trovavano conferma perché quest'ultimo risultava, dal 2 marzo 2014, rivestire le cariche nella UK Privilege Ltd". Stella non è l'unico a rivestire ruoli di vertice nelle società senza avere uno straccio di competenza. Stessa cosa per Roberto Masci, amministratore unico della Act Comunication srl e amministratore della Fresh Wash Srl che gestisce una lavanderia a Roma. Con l'Act Comunication Masci gestisce milioni di euro in entrata e in uscita eppure "non è in grado di riferire alla dipendente di banca Fineco le motivazioni commerciali alla base dei trasferimenti di denaro in favore di un'altra società", sostiene il Ros.

"Anche Alessio Costantini - raccontano le carte - confermava come fosse noto che la figura di Masci non equivalesse a quella di un amministratore di società bensì a quella di factotum per estemporanee esigenze". Infatti, nella conversazione intercettata nel novembre 2014 Costantini "riferiva a Masci che doveva fare da autista a Toni Brandi dell'associazione pro-vita, pro-life, aggiungendo: quello con cui siamo andati a Mosca, che ci finanzia".

I CORSI AL VATICANO
"Bluedental nelle strutture dello Stato Pontificio". Alla sete di entrare in ogni consesso per allargare le maglie dei propri affari e consolidare le proprie società non poteva sfuggire il Vaticano. Per questo Camillacci chiede a Mancinotti, "accreditato nelle sedi ecclesiastiche" di farsi promotore presso le autorità vaticane per tenere dei corsi di formazione. Il coordinatore romano viene rassicurato "adesso sto andando da Monsignor Camaldo, sto prendendo i bignè di San Giuseppe anche se oggi so' le ceneri, però gliele porto lo stesso". Monsignor Camaldo, che tra loro chiamavano anche don Franco, era secondo i forzanovisti il grimaldello per accreditarsi al Vaticano. Il prelato, secondo il Ros, era "Don Francesco Camaldo, fino al 1997 segretario particolare del cardinal Ugo Poletti, ad oggi (2015, ndr) prelato d'onore di Sua Santità, nonché decano dei cerimonieri pontifici".

I RAPPORTI CON RUSSIA E CRIMEA
Anche la questione russa e i nuovi equilibri europei suscitano l'attenzione del gruppo di estrema destra. Camillacci, in una conversazione discute dei "rapporti crescenti del leader di Fn Fiore con altri politici russi". Ma "Salvini ci ha fregato i contatti con la Russia", si rammaricano i forzanovisti al cellulare, "era il cavallo nostro". La necessità di intessere rapporti "di tipo economico/commerciale - sottolineano gli inquirenti - in particolare per la produzione di vino", risultava vitale per i nuovi scenari creatisi in Crimea. Il conflitto ucraino veniva inquadrato "meramente in chiave utilitaristica" con l'unico obiettivo di sfruttare la precaria situazione governativa e incunearsi nei centri di potere per ricavarne benefici economici. Sempre nel 2014 con un'amica Camillacci parlando dell'imminente viaggio in Crimea insieme a Fiore per un incontro col ministro dell'Agricoltura dice che andrà "per fare una cosa coi russi, per cercare di prendere la cittadinanza del nuovo governo della Crimea: il governatore è un amico di amici ".

© Riproduzione riservata 04 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/cronaca/2017/11/04/news/forza_nuova_holding_fiore_e_i_camerati-prestanome_dietro_agli_affari_dei_patrioti_-180189091/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P4-S1.8-T1
4232  Forum Pubblico / ARTE - Letteratura - Poesia - Teatro - Cinema e altre Muse. / Biagio Marin, il grande poeta dialettale gradese, amico di Pasolini, a pochi... inserito:: Novembre 07, 2017, 12:03:45 pm
2 novembre 1975 - 2 novembre 2017

Biagio Marin, il grande poeta dialettale gradese, amico di Pasolini, a pochi giorni dalla sua morte scrisse la litania “el critoleo del corpo fracassao” dove critoleo sta per sconquasso e non è difficile intuirne il significato.

«Con te avevo in comune Iddio. Dio in comune è tanto. Il canto mio col tuo si confonde».
Voglio ricordarlo con questa bellissima immagine verbale di Marin e una delle sue poesie casarsesi che amo di più e che forse più di tante altre lo riconduce là da dove è partito.

Ciant da li ciampanis
Co la sera a si pièrt ta li fontanis
il me país al è colòur smarít.
Jo i soi lontàn, recuardi li so ranis,
la luna, il trist tintinulà dai gris.
A bat Rosari, pai pras al si scunís:
jo i soj muàrt al ciant da li ciampanis.
Forèst, al me dols svualà par il plan,
no ciapà pòura: jo i soj un spirt di amòur
che al so país al torna di lontàn.

Canto delle campane
Quando la sera si perde nelle fontane,
il mio paese è di colore smarrito.
Io sono lontano, ricordo le sue rane,
la luna, il triste tremolare dei grilli.
Suona Rosario, e si sfiata per i prati:
io sono morto al canto delle campane.
Straniero, al mio dolce volo per il piano,
non aver paura: io sono uno spirito d'amore,
che al suo paese torna di lontano.

Da Fb del 02/11/2017
4233  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EUGENIO SCALFARI. Il fattore Gentiloni per ricucire lo strappo tra generazioni inserito:: Novembre 07, 2017, 11:57:58 am
Il fattore Gentiloni per ricucire lo strappo tra generazioni
La continuità dura mezzo secolo. Poi avviene la rottura con i suoi effetti sulla politica. Non è affatto escluso che il presidente del Consiglio sia il successore di se stesso

Di EUGENIO SCALFARI
05 novembre 2017

LA STORIA e la filosofia della storia si pensano e si scrivono in vari modi. Si cerca anche di scoprire quali sono gli elementi essenziali e ricorrenti che alla storia danno un carattere, ma finora quell’elemento non è stato individuato tranne che in rare occasioni. Lo individuò a suo modo Cartesio e poi Kant e poi Hegel e Benedetto Croce. Molti altri la storia la fanno ma senza studiarne il carattere.

Quasi nessuno, ch’io sappia, ha studiato l’importanza delle generazioni, eppure quella è la vera legge che ha governato e governa l’andamento della storia. Le generazioni si succedono, il padre e la madre guidano ed educano i figli, la loro sensibilità, il loro modello di comportamento e anche la vita del loro futuro, gli studi che dovranno fare, la qualità degli amici che frequentano, la scuola dove vengono istruiti. Naturalmente i genitori, madre e padre, hanno compiti diversi ma — se la famiglia è omogenea — i figli crescono tra loro.

Il frutto di questo pensiero comincia fin dall’inizio dell’adolescenza, verso i 14, 15 anni. A quel punto figli e figlie cominciano a pensare in modo indipendente anche se in parte informati e influenzati dai genitori e anche dalla scuola. A 20 anni sono ormai del tutto autonomi e i pensieri e i comportamenti sono decisi da loro anche se i suggerimenti dei genitori continuano e vengono ascoltati. Tra i 22 e i 25 anni è ormai il loro tempo e la loro generazione comincia ad operare in modo non più guidato ma autonomamente consapevole.

Ora la domanda è questa: la nuova società rinnovata ma continuativa fino a quando sarà in grado di trasmettere alla successiva la continuità con la precedente? L’esperienza insegna che la continuità dura di solito tre o al massimo quattro generazioni, un secolo; ma più spesso mezzo secolo o poco più, cioè 50 o 60 anni al massimo. Dopo questo lasso di tempo avviene la rottura generazionale, con i suoi effetti sulla cultura ma soprattutto sulla politica: i suoi vizi ma anche le sue virtù. In teoria la società ( polis) ha il compito di fare il bene del popolo e chi governa conferma sempre che questo è il suo compito e questo il suo obiettivo. Talvolta coincide con la realtà ma più spesso no o per errori commessi da chi governa o con il desiderio di potere che induce a decisioni che spesso producono rotture inconciliabili. Bisognerebbe cambiare questa storia ma essa coincide con la storia del mondo, e cioè con la storia delle rotture, di generazione in generazione.

Sono di vario tipo queste rotture e avvengono soprattutto per lo scorrere del tempo che segna cambiamenti epocali e nuove attitudini per viverli e gestirli. Esigono anche che vi siano personalità che guidino questi mutamenti con l’intento esplicitamente dichiarato, anche se non sempre aderente alla realtà, di gestire quella rottura e le cause che l’hanno determinata. Bisognerebbe raccontarla questa storia, ma equivale alla storia del mondo. Occorre però capire in quale situazione si trova la generazione che attualmente decide le sorti del Paese. Non c’è modo migliore per l’inizio di un’epoca nuova recependo e guidando il cambiamento che la rottura ha prodotto ma assicurando nel contempo la continuità.

La cosa più singolare è che in questo momento la rottura si è verificata in tutto il mondo democratico occidentale e non soltanto nella politica ma nella vita e nella sua complessità: la famiglia, i rapporti uomo donna, la scuola per i figli, le Istituzioni che debbono governare e controllare il Paese, la propria professione, il lavoro, il futuro.

Naturalmente la rottura epocale della quale stiamo vivendo l’inizio non ha le stesse motivazioni in tutti i Paesi dell’Occidente. Noi dobbiamo comunque essere al corrente di quella prodotta nel nostro Paese e in quella Europa nella quale viviamo. Personalmente credo che la nostra rottura politica sia stata motivata dal sistema nel quale operano molti partiti. Negli altri Paesi d’Europa e d’America non è così: nella generalità dei casi esistono Parlamenti con due partiti, una destra e una sinistra che hanno in comune il sentimento democratico e cioè fare il bene del popolo, ma inteso e applicato in modi diversi. Uno dei due vince e ha quindi la maggioranza assoluta anche se l’affluenza al voto dei cittadini elettori è in costante diminuzione. A differenza degli altri Paesi, nel nostro i partiti che hanno un rilievo, anche se si distinguono tra quelli maggiori e quelli minori, sono a dir poco cinque e questa situazione determina uno stato confusionale molto elevato. Nella storia italiana c’è sempre stata, dalla caduta della Destra storica, una molteplicità di partiti dovuta al trasformismo imperante. Naturalmente questo trasformismo fu influenzato dall’avvicendarsi delle generazioni. L’Italia, proprio per questa ragione, non è mai riuscita a unirsi sostanzialmente. Esistono un Nord, un Centro, un Sud e due isole. Affermare che le condizioni di questo territorio siano comuni a tutti è un errore madornale. Lo Stato in Italia è una costruzione più formale che sostanziale. Fu fondato nel 1861 non a caso da personaggi molto diversi l’uno dall’altro: Mazzini, Garibaldi, Cavour. Fu un’operazione della massima importanza e pluralità, ma insieme all’unità formale e politica non ci fu l’unità sostanziale dei sentimenti, del lavoro, delle risorse, dei costumi. Rimasero differenti e in parte tuttora lo sono. L’unità d’Italia fu una rottura dell’equilibrio politico precedente ma, come già detto, fu istituzionale ma non sostanziale e se guardiamo all’Italia di oggi questa situazione risulta ancora più evidente.
***
Mentre leggete queste righe si sta votando in Sicilia per eleggere il governatore di quella Regione a statuto speciale e i membri del suo Parlamento. I sondaggi che precedono il voto danno la destra di Berlusconi e di Salvini in gara per il primo posto. Chi perderà sarà il secondo; la competizione al vertice è dunque tra la destra e il Movimento 5 Stelle. Il terzo — risulta dai sondaggi — sarà il Pd. Comunque l’ingovernabilità non è prevista perché, se saranno i 5 Stelle a vincere saranno loro a governare.

Le elezioni siciliane avranno una influenza negativa sul partito renziano quando si andrà alle elezioni generali nella primavera del 2018? La maggior parte dei commentatori sostiene questa tesi. Personalmente ho molti dubbi e anzi ho quasi la certezza che questa influenza negativa non ci sarà. La ragione è questa: l’influenza delle elezioni regionali o comunali dura sicuramente il primo mese e quello successivo; a volte arriva a tre mesi ma certamente non di più. Il popolo degli elettori che va a votare alle elezioni nazionali si è già scordato di quello che è avvenuto in Sicilia, è normale che avvenga così; può influenzare alcuni professionisti della politica ma non il popolo che va a votare. Tra quelle siciliane e quelle nazionali corrono quattro mesi o forse cinque secondo che il voto si faccia a febbraio o a marzo o addirittura ad aprile. Quindi non è questa la ragione che in questo momento turba fortemente il Partito democratico.

In Italia, come abbiamo già detto, la democrazia è affidata a un numero piuttosto elevato di partiti, per consistenza maggiori alcuni e minori altri ma tutti comunque operanti attivamente nella società e nelle istituzioni.
Negli altri Paesi europei questa molteplicità di partiti non esisteva o perlomeno era di scarsissima influenza rispetto alla governabilità. Adesso tuttavia la situazione in Europa è profondamente cambiata, perlomeno in alcuni Paesi: la Spagna sta vivendo una crisi addirittura di sopravvivenza unitaria; la Germania ha subito (ed anche l’Austria) un profondo mutamento. Dopo la fine dell’ultima guerra mondiale il cancelliere Adenauer governò la Germania nella sua ripresa dopo la sconfitta nazista e nel suo europeismo che peraltro non arrivò mai oltre la confederazione dei vari Stati tra di loro. Quando arrivò Merkel esisteva già l’alleanza tra il suo partito, Cdu, e il Csu bavarese. Questa alleanza, con la legge elettorale tedesca, riuscì per un periodo a governare da sola o a passare all’opposizione di fronte a una vittoria dell’Spd, il partito socialdemocratico tedesco. Successivamente però la situazione cambiò e la Cdu ebbe sì il maggior numero di parlamentari ma non la maggioranza assoluta. Cominciarono dunque le “grandi coalizioni”. Quelle più frequenti furono con il partito socialdemocratico che però ebbe un peso molto notevole sulla politica generale del Paese.

Questa volta la situazione elettorale è andata diversamente: il Partito socialdemocratico aveva già perso la sua ala sinistra (Linke) e Schulz che ne era diventato da poco tempo segretario ha dovuto registrare una perdita molto pesante nelle ultime elezioni. In conseguenza ha deciso di passare comunque all’opposizione per tentare di risollevare il suo partito e in tal modo ha messo Merkel in seria difficoltà: deve cercare alleanza alla sua destra dove i liberali- liberisti sono decisamente conservatori nell’economia del rigore e antieuropei: l’Unione confederata sì, la federazione no a nessun patto. Ora Merkel si trova in questa molto scomoda ma inevitabile situazione: il suo partito di centrodestra si allea con la destra. Il suo peso in Europa è inevitabilmente diminuito; il tandem con la Francia è diventato di fatto inesistente perché Macron si avvale della situazione tedesca e si è posto come numero uno dell’europeismo operante. Per alcuni versi la situazione italiana somiglia a quella tedesca anche se gli attori sono profondamente diversi da quelli della Germania. Esaminiamo questa situazione.

Cominciamo dal Movimento 5 Stelle nel quale si è prodotta una situazione completamente diversa da prima: il candidato premier e quindi il capo del partito è da poche settimane Di Maio il quale sta dimostrando un’attitudine a guidare un movimento ormai di fatto diventato partito, molto diversa da quella del suo predecessore. Grillo aveva in mente soltanto l’abbattimento di tutti gli altri partiti. Il fatto di raggiungere una maggioranza assoluta lo lasciava abbastanza indifferente perché non avrebbe mai raggiunto il 51 per cento da solo. Del resto, come ho già detto, a lui non interessava governare: voleva soltanto una scopa per portar fuori l’immondizia degli altri partiti; poi sarebbe accaduto quello che nessuno avrebbe potuto prevedere e tantomeno Grillo.

Di Maio è invece completamente diverso e Grillo è ormai diventato una sorta di suggeritore, ascoltato o no. Di Maio non vuole spazzar via gli altri ma vuole vincere. Sa benissimo però che quand’anche vincesse le elezioni di primavera da solo non potrebbe governare e quindi qualche alleanza dovrà pure prevederla visto che il premio esistente nella precedente legge elettorale è ormai del tutto scomparso. È pur vero che un 5 Stelle alleato direttamente con un altro partito allo stato dei fatti è imprevedibile anche perché probabilmente provocherebbe una forte diminuzione degli aderenti i quali sono grillini per protestare. Se gli domandi il programma ti rispondono che ce l’hanno ma non te lo vengono a spiattellare. Protestano e quindi sono dei protestatari, il che in qualche modo li avvicina ai populisti.

Di Maio non può certo abbandonare questa posizione ma deve in qualche modo inserirsi nella politica e non sputarle contro. Infatti ha previsto che alle prossime elezioni inviterà anche e soprattutto persone competenti nelle materie principali del governo, in economia, politica sociale, scuola, problemi europei, immigrazione. Personalità competenti e simpatizzanti anche di altri partiti. Se riuscirà in questo disegno avrà alcune alleanze indirette ma operanti e quindi il suo 25 per cento potrebbe avvicinarsi addirittura al 40. Insomma dei Verdini su misura 5 stellata. Non a caso ci sarà nei prossimi giorni un lungo incontro- scontro tra Di Maio e Renzi. Ho la vaga sensazione che l’incontro sarà più interessante dello scontro, altrimenti non ci sarebbe questo appuntamento televisivo da entrambi desiderato. Mostreranno tutti e due i muscoli al pubblico, ne parleranno tutti i giornali. Non ho ben capito quali siano le ragioni di Renzi per questo appuntamento ma si capiscono benissimo quelle di Di Maio, dunque è lui a guadagnare più dell’altro. Comunque con Di Maio i 5 Stelle, diventati ormai un partito, possono guadagnare qualche punto: dall’attuale 28 possono anche arrivare alla trentina, certo non di più.

La destra berlusconiana. Non può che chiamarsi così anche se è alleata di Salvini e di Meloni che insieme i sondaggi li prevedono al 18 per cento mentre Forza Italia di Berlusconi gira tra il 12 e il 14. Uniti insieme arrivano più o meno al 30. Ma chi è il capo? Salvini rivendica questa posizione e numericamente insieme ai Fratelli d’Italia ce l’ha, ma Berlusconi è un giovanotto di ottant’anni ancora interessante e soprattutto interessato. L’alleanza con Salvini è indispensabile per lui ma può eventualmente cercarne altre, mentre con Salvini non ci va nessuno; è lui che deve raccogliere voto per voto come ha tentato di far perfino in Sicilia. Ma, Meloni a parte, nessun altro si alleerà con Salvini al posto di Berlusconi quindi Salvini ha un percorso solitario, Berlusconi può cambiare gioco come vuole. Non a caso il primo è antieuropeista e il secondo è europeista in piena regola anche se dell’Europa non gli importa assolutamente niente ma gli è molto utile conservare l’immagine e non a caso è tuttora iscritto al partito popolare dell’Unione. Comunque l’alleanza attuale gira anch’essa intorno al 30 per cento, alla pari più o meno con i 5 Stelle.

Il Partito democratico è guidato da un Renzi che ha riscoperto, dopo la celebrazione del decennale dalla fondazione del partito, il fascino del “Comando io”. Evidentemente è un atteggiamento caratteriale dal quale non si separerà mai.

Il “Comando io” è una realtà generale nella storia dei popoli: se non c’è un leader non esiste un partito. Il tema però non è quello di mirare la leadership ma la sua struttura operativa che deve essere collegiale come è sempre stata la civiltà occidentale. C’è uno Stato Maggiore sempre e dovunque: negli eserciti, nelle comunità, nelle religioni, nei sindacati, nelle famiglie. Un leader e i suoi compagni. Il “Comando io” ce l’hanno soltanto i dittatori ma quelli ormai, almeno in Occidente, non esistono più.

Del resto il Partito democratico è percorso da crescenti fremiti: Orlando freme, Franceschini freme, tutte e due sono nel governo ma tutte e due controllano pacchetti di voto nel partito. Ma poi c’è un altro gruppo di comando di grande autorevolezza a cominciare da Veltroni, da Prodi, da Enrico Letta, che dovrebbero far parte dello Stato Maggiore. Quindi il “Comando io” è pura follia in un sistema democratico. Naturalmente c’è un Rosato, una Boschi, la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Serracchiani, ma quello è il giglio magico non uno Stato Maggiore.

Dopo avere esaminato i tre principali raggruppamenti politici, contornati da raggruppamenti minori, a cominciare dai dissidenti di D’Alema e di Bersani, chiudiamo parlando del governo Gentiloni. Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, si è rivelato in pochi mesi un vero uomo di governo, fu investito di questa funzione quando Renzi la rifiutò dopo la sconfitta referendaria e indicò lui al presidente della Repubblica. Sembrava un suo sostituto messo a Palazzo Chigi e obbediente alle sue indicazioni.

Che Gentiloni sia riconoscente e quindi affettuosamente amico di Renzi è pacifico ed è dovuto, ma Gentiloni, che è persona di notevole intelligenza politica e moralità, si è immedesimato, come era ovvio e necessario fare, con la carica che gli fu affidata. L’ha condotta con indipendenza e intelligenza e ha creato un binomio con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che rappresenta uno dei punti più saldi di una situazione peraltro molto agitata. Nel suo governo ci sono alcune personalità di prim’ordine sulle quali una dominante: il ministro dell’Interno, Marco Minniti. Ne parlo perché la sua personalità politica è piuttosto rara: oltre che ministro dell’Interno lo è anche dell’Immigrazione, degli Esteri per quanto riguarda la costiera africana del Mediterraneo e perfino dell’Economia per quanto riguarda le ripercussioni migratorie. È legato soprattutto a Gentiloni ed è di fatto il suo braccio destro. Questo governo condurrà l’Italia fino alle elezioni generali di primavera, ma non è affatto escluso che Gentiloni sia il successore di se stesso. Gli uomini su cui contare per il nuovo governo li conosce benissimo. Una parte saranno di nuova provenienza politica e una parte saranno quelli riconfermati. Se Renzi formasse il suo Stato Maggiore probabilmente riguadagnerebbe punti e arriverebbe di nuovo al 30. Tre gruppi al 30 rendono il Paese ingovernabile, tanto più che una nuova generazione non è ancora operativa e quindi il popolo sovrano è ancora di vecchio stampo.

In realtà la nuova maggioranza la deve trovare Gentiloni altrimenti l’ingovernabilità non è superata. I Verdini non bastano, bisogna che il Pd cresca e non si chiami più partito renziano. Lui resti il leader ma senza Stato Maggiore è meglio che si ritiri a Pontassieve.

© Riproduzione riservata 05 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/05/news/il_fattore_gentiloni_per_ricucire_lo_strappo_tra_generazioni-180267205/?ref=RHPPRB-BH-I0-C4-P2-S1.4-T1
4234  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Marco DAMILANO - L'occasione perduta inserito:: Novembre 07, 2017, 11:56:46 am
ANALISI

L'occasione perduta
Dal voto siciliano escono una destra risorta e un Pd a pezzi.
Ma anche le elezioni del 2018 rischiano di trasformarsi per il partito di Renzi in un naufragio

DI MARCO DAMILANO

I dati delle elezioni regionali in Sicilia non sono ancora definitivi, ma già qualcuno azzarda a proiettarli sullo scenario nazionale. Con questi risultati, analizza Youtrend, 12 o 14 collegi siciliani andrebbero al centrodestra, 6 o 8 al Movimento 5 Stelle, zero al Pd. Nell'isola la somma dei voti conquistati da Nello Musumeci (centrodestra) e Giancarlo Cancelleri (M5S) fa settantacinque per cento. E la situazione del X municipio di Roma, Ostia, è riassunta così dal titolo di Repubblica.it : «Casapound decisiva per il ballottaggio M5S-Fratelli d'Italia». Un tempo l'ago della bilancia erano i centristi, i moderati alla Pier Ferdinando Casini, oggi l'equilibrio lo deciderà il neo-fascista Simone Di Stefano, chiamato a scegliere se appoggiare la candidata del movimento anti-politico o quella della formazione post-fascista.

La sinistra non è pervenuta, in tutte le sue molteplici e litigiose forme. Le elezioni del 5 novembre ricordano per certi versi le consultazioni amministrative dell'autunno 1993. Si votava a Roma, Napoli, Genova, Venezia, per l'ultima volta prima del voto politico dell'anno successivo, con una nuova legge elettorale appena approvata per fotografare gli equilibri esistenti, il Mattarellum, con la Dc in via di trasformazione verso il Ppi che puntava a essere il perno del nuovo assetto politico. Invece nel voto amministrativo il centro scomparve dai radar, escluso dai ballottaggi nelle principali città. A Roma la Dc si era affidata al prefetto Carmelo Caruso, che si piazzò distante dal verde progressista Francesco Rutelli e dal segretario del Msi Gianfranco Fini, ammesso per la prima volta al ballottaggio. Qualche giorno dopo Silvio Berlusconi dichiarò che se fosse stato un elettore romano avrebbe votato per Fini, e nacque il centrodestra italiano. La Dc, invece, restò fuori da tutto e dichiarò che a Roma avrebbe votato scheda bianca, così come oggi il Pd rifiuta di prendere posizione a Ostia. In Sicilia il rettore Fabrizio Micari è il nuovo prefetto Caruso.

«Dio si è voltato dall'altra parte», fu sentito mormorare il segretario della Dc dell'epoca Mino Martinazzoli. Chissà se Matteo Renzi farò altrettanto. Di certo è da un anno che per il leader del Pd non ne va bene una. Il referendum del 4 dicembre, la madre di tutte le sconfitte. Le elezioni amministrative, con la sconfitta di Genova. Le elezioni regionali in Sicilia. E, prima ancora, il voto del 2016 in cui il Pd perse Roma e Torino e restò fuori dal ballottaggio a Napoli. Più grave delle sconfitte elettorali, c'è il disorientamento strategico. Il Pd di Renzi, versione 40 per cento del 2014, puntava a raccogliere voti in tutte le direzioni: nel centrodestra lasciato orfano da Silvio Berlusconi, nel voto del 2013 per il Movimento 5 Stelle che ancora non si era consolidato, tra i moderati e i centristi. Scontando la possibilità di perdere qualche elettore a sinistra, anzi, sperando che questo potesse avvenire.

Oggi quella prospettiva è sparita: Renzi rientra nei confini del Pd 2012-2013, quello di Pier Luigi Bersani che l'allora sindaco di Firenze voleva rottamare. La destra è risorta, in tutte le sue incarnazioni. Forza Italia ha preso ieri una percentuale più alta del Pdl del 2012 guidato da Angelino Alfano. Matteo Salvini oltrepassa lo stretto. Il Movimento 5 Stelle in Sicilia è un partito di massa, l'unico in circolazione. A Ostia e non solo avanza una destra ancora più brutta e inquietante di quelle già conosciute.

In questa situazione diventa complicato giocare l'unica carta realisticamente a disposizione di Renzi: fare un passo indietro, rinunciare a correre da candidato premier e costruire una coalizione più grande, dal centro alla sinistra, guidata da Paolo Gentiloni. Perché il Pd sta male, ma anche la coalizione di centrosinistra dal voto siciliano esce a pezzi. Alfano perde in casa e non entrerà in Assemblea regionale. La sinistra di Claudio Fava anche se sommata al Pd non basterebbe per risalire dal terzo posto in Sicilia e probabilmente anche fuori. E così anche le elezioni del 2018 rischiano di trasformarsi per il Pd in un naufragio con spettatore, la metafora dell'esistenza di Hans Blumernberg. Laddove gli spettatori sono gli elettori del Pd, della sinistra, di Renzi, costretti ad assistere a un'inedita gara elettorale centrodestra-Movimento 5 Stelle, impotenti. E il quadriennio di Renzi assomiglia sempre di più a una grande occasione perduta.

© Riproduzione riservata 06 novembre 2017

Da - http://espresso.repubblica.it/palazzo/2017/11/06/news/l-occasione-perduta-1.313585?ref=fbpe
4235  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA RUBINO. Elezioni in Sicilia, Crocetta: "Il Pd voleva assassinarmi ma ... inserito:: Novembre 07, 2017, 11:55:11 am
Elezioni in Sicilia, Crocetta: "Il Pd voleva assassinarmi ma si è suicidato"
Il governatore uscente risponde alle accuse del sindaco di Palermo: "L'arroganza e il narcisismo di Leoluca Orlando ci hanno fatto perdere". Sul piano nazionale la sconfitta "rafforza la premiership di Renzi"

Di MONICA RUBINO
06 novembre 2017

ROMA - "Nella storia finora rimango l'unico ad aver portato il centrosinistra alla vittoria in Sicilia. Le polemiche sono inutili: chi si assume la paternità di una proposta deve sobbarcarsi anche la responsabilità di una sconfitta". Per il governatore uscente Rosario Crocetta, la colpa della disfatta del centrosinistra nell'Isola ha un nome e un cognome, ossia quello di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo: "Hanno ascoltato lui invece di fidarsi di me".

Speciale elezioni siciliane

Crocetta, qual è stato l'errore più grande del Pd?
"Quello di applicare il cosiddetto 'modello Palermo' a tutta la Sicilia. Hanno scientificamente voluto il mio assassinio, che però si è trasformato nel loro suicidio".

Orlando la accusa di "gestione disastrosa".
"Secondo lei è disastroso aver creato 75mila posti di lavoro, aver incrementato il Pil di 14 punti, aver finalmente speso i fondi europei? L'arroganza e il narcisismo di Orlando ci hanno fatto perdere, questo è il vero disastro".

Ritiene di essere vittima del 'fuoco amico'?
"Una parte del Pd mi ha fatto la guerra per cinque anni. Io ho fatto tutto quello che mi è stato chiesto: non mi sono ricandidato, non ho ripresentato il mio movimento, il Megafono, e ho dovuto inserire i miei candidati nella lista Micari, perché Orlando la sua lista non è riuscito a farla. E alla fine l'anticrocettismo ha portato alla sconfitta. Ho la coscienza di aver fatto il mio dovere e di essere stato leale".

Quanto ha pesato la spaccatura del centrosinistra?
"Il centrosinistra era spaccato anche cinque anni fa, quando prendemmo il 30,5%. Cinque anni fa avevo il avevo il 25% di gradimento da solo. E anche in questa tornata i miei candidati, inclusi nella lista Micari, hanno rappresentato un 7% di valore aggiunto. Certamente più di Alfano. La leadership conta: è stato un errore non permettere di ricandidarmi e impedire di fare le primarie".

Il voto siciliano che riflessi può avere sul piano nazionale?
"In Sicilia ha sempre governato il centrodestra, l’unica parentesi sono stati i miei cinque anni. Paradossalmente il voto in Sicilia rafforza la candidatura di Matteo Renzi alle politiche, perché quando si cambia cavallo non si può costruire una un’alternativa alla premiership in pochi mesi".

Comunque vada in Sicilia, il vincitore non avrà una maggioranza per effetto della legge elettorale regionale.
"Anche io ho fatto accordi politici per governare. Il primo anno i grillini hanno collaborato, poi quel dialogo si è rotto. Siamo in un sistema tripolare dai risultati imprevedibili, che è nato proprio in Sicilia per la prima volta cinque anni fa".

Si candiderà in Parlamento?
"Non mi autocandido a nulla. Di sicuro voglio riorganizzare il Megafono e radicarlo in tutta la Regione. Ai seggi tante persone mi chiedevano perché non ci fosse sulla scheda elettorale".

© Riproduzione riservata 06 novembre 2017

Da - http://palermo.repubblica.it/politica/2017/11/06/news/elezioni_in_sicilia_crocetta_il_pd_voleva_assassinarmi_e_si_e_suicidato_-180383019/?ref=RHPPLF-BL-I0-C8-P2-S3.3-T1
4236  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Elena Campidoglio. Perché in Italia non si vende più l’antitetanica? inserito:: Novembre 07, 2017, 11:53:18 am
Perché in Italia non si vende più l’antitetanica?

Sono stata morsa a una mano da un cane. Il mio medico mi ha suggerito di andare al Pronto soccorso (Alessandria) perché il richiamo dell’antitetanica non si trova più. Gli infermieri al Pronto soccorso mi dicono che il farmaco è finito anche lì e pure ai feriti gravi degli incidenti stradali non lo possono più somministrare. Chiedo comunque la visita, che poco dopo mi viene fatta da una dottoressa garbata e scrupolosa. Intanto l’infermiere mi porta una sedia perché la visita durerà un po’: una sedia a rotelle sfondata da un lato. Ma sono riuscita, con un po’ di attenzione, a bilanciarmi sull’altro angolo del sedile. La dottoressa mi fa un piccolo esame per verificare se ho ancora anticorpi contro il tetano e usa l’ultimo stick del Pronto soccorso: se risultassi sprovvista, mi farebbe le immunoglobuline. Poi decide di farmi un’ecografia alla mano dato l’estremo gonfiore e dolore, per attutire il quale mi dà un antidolorifico. La visita è perfetta. Infine si raccomanda, dato l’esito favorevole del test, di procurarmi comunque il richiamo per l’antitetanica. In farmacia la commessa mi dice che da giugno non sono più previste consegne. Telefono alle farmacie della mia provincia e poi in quella di Parma: confermano la situazione con l’aggiunta che è diventato difficile persino procurarsi le immunoglobuline. E qualcuno suggerisce di contattare farmacie all’estero. Perché non si può più fare il richiamo dell’antitetanica che, purtroppo, si può contrarre facilmente?

Elena Campidoglio

Da - http://www.corriere.it/lodicoalcorriere/index/04-11-2017/index.shtml
4237  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA RUBINO. Pd alla resa dei conti, Rosato: "Gentiloni nome spendibile per... inserito:: Novembre 07, 2017, 11:52:00 am
Pd alla resa dei conti, Rosato: "Gentiloni nome spendibile per Palazzo Chigi"
Dopo la disfatta in Sicilia, i dem restano divisi sulla leadership. Emiliano a Radio Capital: "Renzi ci stupisca e ricompatti il centrosinistra"

Di MONICA RUBINO
07 novembre 2017

Alla resa dei conti, Rosato: "Gentiloni nome spendibile per Palazzo Chigi"
ROMA - Dopo la disfatta in Sicilia, il Partito democratico si prepara alla resa dei conti  interna. Una gran parte della minoranza dem ritiene che il segretario Matteo Renzi, pronto all'attacco in tv di questa sera, debba autonomamente fare un gesto di responsabilità, lasciando subito il campo a Paolo Gentiloni per la corsa a palazzo Chigi.

• ROSATO: GENTILONI NOME SPENDIBILE
E questa mattina anche il capogruppo dem alla Camera Ettore Rosato ha incluso il premier tra i "nomi spendibili" per la leadership: "Abbiamo bisogno dell'alleanza più ampia possibile, con un programma concordato - dice a Radio Anch'io su Radio Uno - Abbiamo Paolo Gentiloni che oggi è a Palazzo Chigi ed è un nome spendibile. Ce ne sono tanti di nomi spendibili e Renzi lo ha detto chiaramente a Napoli (alla conferenza programmatica, ndr): lavoro per portare il Pd a Palazzo Chigi e non per portare Matteo Renzi".

Più tardi però, intercettato a Montecitorio, specifica meglio il suo pensiero: "Nel nostro partito ci sono per fortuna più personalità capaci di assumersi grandi responsabilità. Gentiloni è sicuramente una di queste, lo dimostra con il suo lavoro. Il candidato del Pd resta Renzi, legittimato dalle primarie".

• LE ALTERNATIVE DA MINNITI A GRASSO
Ma le divisioni interne restano. Dal capogruppo dei democratici al Senato Luigi Zanda, intervistato su Repubblica, arriva a Renzi la richiesta di valutare la rinuncia alla candidatura, il che significherebbe anche modificare lo Statuto del partito che prevede invece che il segretario sia anche il candidato premier. Tra i nomi sul tappeto spunta anche quello dell'attuale ministro dell'Interno Marco Minniti. Mentre il leader di Campo progressista, Giuliano Pisapia, rilancia l'idea di primarie di coalizione proponendo la candidatura del presidente del Senato Pietro Grasso, che, dopo aver preso le distanza dal Pd, ieri ha risposto duramente a quanti, fra i renziani, gli hanno addossato la colpa della sconfitta siciliana.

• L'IPOTESI DI FRANCESCHINI: PRIMARIE DI COALIZIONE
Il ministro della Cultura Dario Franceschini sottolinea l'urgenza di fare un'alleanza di centrosinistra. E per scegliere la leadership propone le primarie di coalizione: ogni forza, con il proprio simbolo, presenti il suo candidato.

• EMILIANO: RICOSTRUIRE L'ULIVO
Mentre il governatore della Puglia Michele Emiliano, ospite su Radio Capital di Circo Massimo, chiede a Renzi "un'improvvisa maturazione" dopo "un apprendimento per trauma". Rispondendo alle domande di Massimo Giannini e Jean Paul Bellotto, l'esponente della minoranza dem afferma che "in questo momento pensare di rifare il congresso del Partito democratico a tre mesi dalle elezioni non è una cosa possibile". L'unica possibilità, allora, è che Matteo Renzi "interpreti le varie anime del partito, visto che la sua e basta non è sufficiente né a leggere il Paese né il Pd e il centrosinistra. Deve prendere atto che il suo piano di perdere le elezioni in modo controllato per non lasciare il suo ruolo non funziona. Deve essere il riferimento di una comunità intera e non c'è nessun obbligo che il candidato del centrosinistra debba per forza essere lui".

"Renzi ha distrutto l'Ulivo e l'Ulivo va ricostruito rapidamente, aprendo un confronto politico nel merito con tutto il centrosinistra, dall'Udc a Sinistra italiana. Poi un candidato premier lo troviamo, l'importante è che siamo d'accordo sul contenuto", conclude Emiliano.
 
© Riproduzione riservata 07 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/07/news/pd_alla_resa_dei_conti_rosato_gentiloni_nome_spendibile_per_palazzo_chigi_-180455933/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T2
4238  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / LUCIA ANNUNZIATA - In Sicilia muore il Nazareno inserito:: Novembre 07, 2017, 11:50:44 am
IL BLOG

In Sicilia muore il Nazareno

06/11/2017 19:43 CET | Aggiornato 3 ore fa
Lucia Annunziata Direttore, Huffpost Italia

Se la Sicilia è, davvero, il laboratorio di cui tanto si parla, il suo voto ci dice che la grande coalizione, il Nazareno, o come volete chiamarla, insomma l'accordone fra la destra e il Pd è stato ucciso prima ancora di nascere nelle urne della Trinacria.

La forma, i modi e i numeri della vittoria del centrodestra dell'Isola, letti insieme a quelli del disastro Pd provano infatti che Renzi potrebbe essere parte di una grande coalizione con Silvio solo come junior partner: una posizione definitivamente impossibile da accettare da parte del segretario del Pd, o da chiunque altro nei suoi panni.

Guardiamo ai numeri. Nel centrodestra ci sono stati tre canali di raccolta del voto. Vince col 16 per cento Silvio Berlusconi – prova di una imperitura fedeltà di una parte dell'elettorale italiano a questo leader, che viene messo da questo risultato in una posizione indiscussa a capo della sua area. Il numero che salda la vittoria del centrodestra viene dunque dalla lista Musumeci che prende il 7 per cento dei favori degli elettori. Buona parte di questo consenso viene dal serbatoio di Fratelli d'Italia - come è naturale che fosse visto che si tratta dopotutto della stessa farina. Non sono esaltanti i risultati di Meloni e Salvini, a cavallo della soglia del 5 per cento per entrare nel Consiglio Regionale, anche se il valore di questo risultato per Fratelli d'Italia è che si fonde con quello di Musumeci che viene dalla stessa area. Quel 5 per cento rimane però la prova che la seduzione sovranista, o antisistema che sia, agitata dai due partiti, non parla molto alla base del centrodestra, almeno al Sud. Né fa meraviglia questa freddezza. L'Isola che ha un Statuto speciale, ha 5 volte il numero di impiegati pubblici della Regione Lombardia, e trattiene il 100 per cento delle proprie tasse, non è esattamente il terreno più fertile per spinte radicali antistatali o antieuropee.

La lettura finale di questi dati è che il centrodestra che ha vinto in Sicilia si presenta oggi sulla scena politica in una versione in parte inedita. È un blocco abbastanza compatto, a dispetto di quel che si diceva prima del voto, quando inquietava la tenuta della coalizione; ma questa compattezza trovata assorbendo voti della Lega e di Fratelli d'Italia dà al blocco moderato che la compone una inclinazione molto conservatrice, una forte venatura identitaria.

Anche i 5 Stelle escono dal voto con una sorte di nuova pelle. Hanno perso, ma sono il primo partito perché il loro voto è quasi duplicato, e questo grazie alla grande attrazione che hanno esercitato sul voto della sinistra: il centrosinistra perde 10 punti ma, anche se la misura non è sicura, ne guadagna otto Cancelleri.

Il Pd si ritrova a questo punto in una situazione in cui con i suoi voti non è più centrale né numericamente né culturalmente nell'eventuale schema del Nazareno. La coalizione permette infatti una quasi autosufficienza al centrodestra e la sua caratura ideologica moderata, ma spostata a destra, non include i moderati del Pd. L'unico ruolo possibile al Partito democratico potrebbe esser quello del junior partner, appunto; una sorta di appoggio esterno/interno a un governo di centrodestra. Un suicidio per Renzi che nella sua vita politica ha saputo fare spesso patti, ma non è mai stato incline ad accettare condizioni di servitù.

Insomma, la Sicilia doveva ristabilire per il futuro dell'Italia uno schema binario: Governo di Grande coalizione nazarenica, con il movimento pentastellato tenuto finalmente fuori. La debacle del Pd, che di fatto diventa irrilevante con il suo serbatoio di voti, ci riconsegna al solito schema che ha dannato la politica di questi ultimi cinque anni: il tripartito di fatto.

Se dovessimo oggi guardare al futuro politico dell'Italia attraverso la lente siciliana, in Italia nel prossimo futuro si potrebbe materializzare un governo di centrodestra, solido a sufficienza da garantirsi la possibilità di governare – magari con apertura ad alcuni apporti "tecnici". All'opposizione ci sarebbe M5S che a quel punto però dovrebbe prendere marcatamente le distanze dalla sua componente interna di destra. E un Pd, esso stesso all'opposizione del centrodestra. Con la conseguenza che fra M5S e Pd si eserciterà una nuova competizione – sull'unico possibile terreno di opposizione: l'attacco al sistema. Scenario che del resto si è già materializzato in questi ultimi mesi, su molte proposte di legge e sociali incrociatesi fra Pd e pentastellati. Con una piccola, ma non insignificante, inversione di ruoli. Il Pd che finora era al governo, in questa ipotesi, è il terzo partito, diventando la ruota di scorta di una opposizione alla destra in cui M5S fa la parte del leone.

Tutto questo, ovviamente, come si diceva, a patto che la Sicilia sia un laboratorio nazionale. E probabilmente non è così. Troppe unicità nell'Isola e troppe eccezioni di capibastone, flussi elettorali, e leggi amministrative. Ma le suggestioni che rilasciano nell'aria alla loro aperture queste urne siciliane, non sanno, comunque, esattamente, di zagare. Per il Pd in particolare.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/in-sicilia-muore-il-nazareno_a_23268399/?ref=RHPPLF-BL-I0-C8-P1-S1.8-L
4239  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EZIO MAURO. La sinistra che non c'è inserito:: Novembre 07, 2017, 11:49:38 am
La sinistra che non c'è
Arrivata esausta all'appuntamento con le urne in Sicilia, deve interrogarsi su cosa c'è di salvabile nella sua traduzione politica italiana dopo la sciagura della scissione che ha infranto il mito fondativo del Pd come casa di tutti i riformisti

Di EZIO MAURO
07 novembre 2017

PRIMA di sapere cosa succederà nel Pd dopo la disfatta siciliana, c'è una questione più rilevante e urgente a cui rispondere: cosa c'è di salvabile nel concetto di sinistra e nella sua traduzione politica e organizzativa italiana. La sinistra, o ciò che ne resta, è arrivata esausta all'appuntamento con le urne, con tutti i nodi non sciolti in questi anni che si sono aggrovigliati, fino a trascinarla a fondo. Il peccato originale di sedere a Palazzo Chigi senza mai aver vinto le elezioni ha determinato un pieno di responsabilità nella guida del Paese (negli anni più duri della crisi) e un vuoto nel coinvolgimento emotivo, come se quello del Pd fosse un "governo amico" e niente di più, fino al ministero Gentiloni vissuto come un puro dispositivo tecnico senza colore. La sciagura della scissione ha infranto il mito fondativo del Pd come casa di tutti i riformisti, con un concorso di irresponsabilità, gli scissionisti che la giudicavano inevitabile e Renzi che la considerava irrilevante, come se la politica non fosse stata inventata per governare i fenomeni. Il cozzo del referendum, con una riforma scritta male e trasformata in una guerra.

Il pasticcio della legge elettorale, con una sinistra che ha divorato il maggioritario e il proporzionale per varare una riforma che premia le coalizioni nel momento in cui non è mai stata così divisa e distante. All'inizio e alla fine di tutto, il problema irrisolto che raccoglie in sé tutti questi problemi e spiega gli errori: cos'è oggi la sinistra e qual è la sua idea di Paese.

In tutto l'Occidente, la divisione classica è tra la sinistra di governo, riformista, e quella di opposizione, radicale. Da noi l'eccezione: le sinistre riformiste sono almeno due, forse tre, anche se rischia di mancar loro il governo. Pisapia che si era proposto come ponte o rimorchiatore sembra aver ripiegato su un'idea di forza-cuscinetto insieme con Emma Bonino, caschi blu con buone intenzioni e pochi strumenti d'intervento. Sul campo restano le due parti rotte del Pd, incapaci di proporre una visione d'insieme e un vero progetto riformista, in cui si possano ritrovare le forze disperse che chiedono un progetto di cambiamento con una politica responsabile, europea, occidentale e moderna, accontentandosi di molto meno: Renzi di costruire un partito personale come macchina ubbidiente di conquista del potere (quasi che un secolo di storia della sinistra potesse ridursi a un obiettivo così misero) e Mdp di ostacolare tutto questo, proponendosi come organismo di puro veto al progetto renziano, come se la politica si esaurisse sulla piazza toscana di Rignano.

Questa disarticolazione degli orizzonti avviene mentre la crisi inaridisce di per sé i canali della rappresentanza, soverchia i cittadini facendoli sentire senza tutela e senza garanzie, svalorizza la politica come strumento di controllo e di governo, semina dubbi persino sulla democrazia come cornice di valori e di garanzie, che oggi suonano astratti, senza incidere sulla fatica della vita quotidiana delle persone. È una campana d'allarme per tutto il pensiero liberal-democratico occidentale, che dopo la fine della guerra ha dato vita alle costituzioni e alle istituzioni con cui ci siamo garantiti settant'anni di pace e di libertà. Ma è una campana a morto per la sinistra che nei settant'anni dentro l'ordine liberale del nostro mondo ha potuto farsi forza di governo del sistema, con un progetto di inclusione, e insieme sviluppare un suo pensiero critico e d'alternativa. Oggi invece vede l'alternativa nascere totalmente fuori dal sistema, con i populismi che criticano la stessa democrazia e berciano contro le istituzioni, mentre attaccano il cosmopolitismo, il libero scambio, la libertà di circolazione, le politiche di accoglienza, l'integrazione europea: tutto ciò che si muove, si contagia, si mescola, s'influenza, si somma, tutto ciò che forma l'habitat naturale della cultura progressista europea, a favore di un ritorno dentro i confini delle vecchie carte geografiche, dentro una mentalità da indigeni, dentro il colore bianco della pelle, a un passo dal mito del sangue.

Era chiaro che inseguire i populismi con posture mimetiche dal governo era una contraddizione, ma prima ancora un calcolo sbagliato. Perché la sinistra deve chinarsi - per prima - sulle inquietudini e sullo spaesamento democratico delle fasce più deboli della popolazione, ma non può cavalcare le loro paure, incrementandole come la merce politica più pregiata del momento. Rimane dunque una retorica innaturale di populismo in camicia bianca, ammiccante ma responsabile, alla fine velleitario, oltre che contro natura. La cifra dell'epoca, invece, avvantaggia la destra, abituata e legittimata a trattare il cittadino da individuo, nel suo isolamento e nelle sue nuovissime gelosie del welfare, in questo speciale egoismo della democrazia che chiede alla politica una forma inedita di libertà: non come piena espressione dei propri diritti ma come liberazione da vincoli sociali, soggezioni culturali, obblighi comunitari.

Tutto ciò forma una moderna onda di destra che con Trump prefigura l'inondazione prossima ventura delle terre emerse: dall'Onu, allo spazio di civiltà atlantica, alla Nato, al rapporto storico con l'Europa, col sovranismo che diventa isolazionista e mette al centro della politica il "forgotten man" non per emanciparlo, ma per dargli un riconoscimento antipolitico proprio nella sua esclusione. Una folla di esclusi come nuova massa sociale per la ribellione permanente, guidate dalla moderna élite di destra. Una destra contro la quale in questi anni il Pd non ha mai alzato nessuna barriera, non ha fatto nessuna polemica, non ha costruito un sistema culturale di anticorpi, coltivando a distanza l'eternità di Berlusconi come avversario-stampella. Che infatti oggi ritorna a riscuotere il banco, col conflitto d'interessi perennemente innestato, le sentenze dei magistrati che valgono per l'incandidabilità ma non vengono valutate politicamente, l'ambiguità connaturata nelle alleanze che gli impedirà di governare, ma che intanto adesso lo aiuta a vincere.

Bisognerebbe comprendere che la rottamazione è un escamotage fisico da campagna elettorale muscolare, ma non è una politica e tantomeno un'identità. Che il patrimonio di tradizioni e di valori del Pd è stato lasciato deperire in nome di un mitologico nuovo inizio che non è mai davvero incominciato, che la tensione per il cambiamento senza cambiamento si riduce a tensione, e basta. Che in mezzo a tante narrazioni è mancato il senso della storia, del passaggio tra le generazioni facendosi carico di un'esperienza collettiva, da innovare certamente ma da riconoscere e valorizzare. Che il sentimento di sinistra, a forza di non essere convocato e rappresentato si è infine "privatizzato", con le persone che non votano perché la loro identità politica non corrisponde più all'insieme. Oppure votano, ma per se stesse, come una conferma individuale staccata dal contesto.

Così la sinistra galleggia, alla deriva, mentre la destra galoppa, nelle sue diverse forme. Il primo leader che coniugasse responsabilità e generosità, mettendo questo orizzonte allarmante per il Paese al primo posto, aprirebbe la vera discussione di cui la sinistra oggi ha bisogno, e ne ricaverebbe le scelte necessarie. E invece con ogni probabilità si annuncerà tempesta, poi tutto si risolverà con un temporale per la spartizione dei posti in lista, nel bicchier d'acqua dov'è ormai ridotto il riformismo italiano.

© Riproduzione riservata 07 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/07/news/la_sinistra_che_non_c_e_-180446860/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S3.3-T1
4240  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / TOMMASO CIRIACO. La moral suasion dei padri nobili Prodi e Veltroni per una... inserito:: Novembre 07, 2017, 11:48:31 am
Pd, si allarga il fronte anti Renzi: assedio sul cambio leader, ora spunta la carta Minniti
La moral suasion dei padri nobili Prodi e Veltroni per una svolta.
Il Guardasigilli punta su Gentiloni, Pisapia vede Grasso. Ma potrebbe prevalere la carta del ministro dell'Interno

Di TOMMASO CIRIACO
07 novembre 2017

ROMA - L'operazione ribaltone è in campo, il problema è che i "congiurati" remano senza un briciolo di sincronia. "Dopo questa sconfitta è impossibile fare finta di nulla - detta la linea ai suoi Andrea Orlando - Matteo deve capire che così si perde. Dobbiamo allargare il centrosinistra, individuando una figura capace di unire la coalizione". Ha in mente Paolo Gentiloni, anche se il diretto interessato non ha alcuna intenzione di "sacrificarsi". La spalla ideale del piano sarebbe Dario Franceschini, che però nel day after della disfatta chiama Renzi per avvertirlo di quanto dirà per smarcarsi: "L'accordo con i bersaniani è ineludibile, oppure saremo destinati alla sconfitta. Ma nessuno mette in discussione la leadership del segretario". Solo il segnale di un padre nobile del Pd, a questo punto, potrebbe spostare davvero gli equilibri. Tutti attendono un cenno di Walter Veltroni, che stasera presenterà il suo libro a Cartabianca. E che coltiva un legame sempre più stretto con l'altro vero "indiziato" per un'eventuale staffetta alla guida del centrosinistra: Marco Minniti.

Tessere una tela attorno al Nazareno, per costringere il segretario all'alleanza con Mdp e sfilargli anche la pettorina da candidato premier: questo è il sogno degli antirenziani di vecchio e nuovo conio. "Se Renzi decide davvero di fare spazio a Gentiloni - sorride Denis Verdini, a zonzo nel cuore della Capitale - vedrete che Paolo farà come il nonno, quello del patto Gentiloni: favorirà un nuovo accordo di sistema...". La verità è che il progetto a favore dell'attuale premier assomiglia a una mission impossible. Prevede innanzitutto una raffica di "sfiducie pubbliche" contro il segretario dem, travestite da appelli alla responsabilità. Dovesse fallire, il Guardasigilli lancerebbe anche un piano B, che ha la forma dell'arma finale: un evento politico aperto alla galassia di sinistra per una nuova, clamorosa frattura nel campo del centrosinistra.

L'operazione ribaltone si trasmette come un virus sul display degli altri ministri dem. E conquista alleati nella classe dirigente battuta da Renzi. Tra loro c'è Gianni Cuperlo, che spinge per affidare a una commissione di figure super partes la ricerca dell'unità. "Il voto siciliano - spiegava ieri a un collega in Transatlantico - dice che Pd e Mdp hanno perso entrambi. A questo punto 'Houston, abbiamo un problema'. E dalla terra non possiamo discutere su chi ha sbagliato a costruire la navicella, dobbiamo mettere in salvo il centrosinistra, altrimenti la sconfitta sarà tragica".

Per riuscire nell'operazione, però, servirebbe arruolare alla causa almeno Franceschini. Il ministro per adesso si muove con cautela. Nulla di strano, come tutti conosce le leggi della politica e ha ben chiaro il potere affidato dal Rosatellum al segretario nella costruzione delle liste. L'accorato appello all'unità con Mdp, non a caso, va a braccetto con il riconoscimento della leadership renziana. Il nodo, ovviamente, resta quello della premiership. E anche su questo punto il ministro della Cultura procede con passo felpato: "Non mi sembra un problema, è stato Renzi a dire che non è necessario che sia lui il candidato premier".

Il punto è che i bersaniani considerano insufficiente "depotenziare" il ruolo del segretario per siglare un'intesa. Mdp pretende una "discontinuità" netta, che significa mettere da parte Renzi a favore di un nuovo candidato unitario a Palazzo Chigi. Giuliano Pisapia, intanto, continua a pensare che dopo il voto sull'Isola il tappo possa saltare per davvero. Ma siccome il rebus diventa di ora in ora più infernale, l'ex sindaco incontra Pietro Grasso e discute della strada più agevole per avviare un progetto comune. La guida sarebbe affidata proprio al Presidente del Senato, che nel frattempo duella ruvidamente con i renziani: "Imputarmi il risultato siciliano mette in chiaro - è una patetica scusa, utile solo ad impedire altre e più approfondite riflessioni".

Per paradosso, insomma, i tentennamenti nel Pd rafforzano il progetto di una sinistra "da Vendola a Pisapia", nonostante la brutta performance sull'Isola. È la linea dello scontro finale sostenuta ormai da mesi da Massimo D'Alema. Toccherà ai bersaniani, già oggi, riunire la direzione nazionale del nuovo soggetto per pianificare le prossime mosse in vista dell'assemblea pubblica in agenda il prossimo 19 novembre, il punto di non ritorno nel progetto di un'alternativa di sinistra.

Soltanto un miracolo, a questo punto, può fermare questa dinamica fratricida. Oppure una levata di scudi generale contro il leader di Rignano. In questo scenario, la "carta Minniti" potrebbe spuntare dal mazzo. Con il passare delle ore, il titolare del
Viminale conquista consensi crescenti nel Pd. Stuzzica la voglia di unità di una fetta rilevante di sinistra. Consolida il feeling con Veltroni. Ed è pronto a far pesare la rete di rapporti istituzionali e internazionali coltivati nell'ultimo ventennio. La sfida è aperta.

© Riproduzione riservata 07 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/07/news/pd_si_allarga_il_fronte_anti_renzi_assedio_sul_cambio_leader_ora_spunta_la_carta_minniti-180446858/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1
4241  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / Il Centro-Sinistra deve diventare un Progetto per l'Italia! inserito:: Novembre 07, 2017, 11:45:41 am
Il Centro-Sinistra deve diventare un Progetto per l'Italia!

"Progetto Italia" da presentare per l'approvazione agli elettori delle prossime vicine elezioni politiche.

Renzi è un falso problema, che Renzi deve risolvere a suo modo.

Da Fb del 7 novembre 2017 (Arlecchino nel Polo Democratico)
4242  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA RUBINO. Russia, comunisti italiani a Mosca per i cento anni della ... inserito:: Novembre 07, 2017, 11:43:37 am
Russia, comunisti italiani a Mosca per i cento anni della Rivoluzione
Una folta delegazione composta da Pc, Pci e Rifondazione comunista partecipa alle celebrazioni per lo storico anniversario

Di MONICA RUBINO
07 novembre 2017

ROMA - In Russia i cento anni della Rivoluzione d'Ottobre sembra che interessino più agli stranieri che non ai russi stessi. Oggi, 7 novembre, data esatta dell'anniversario -  corrispondente al 25 ottobre del calendario giuliano allora in uso nella Russia zarista - le bandiere rosse sventolano sulla Piazza Rossa di Mosca. Ma sono soprattutto quelle di oltre cento delegazioni straniere di partiti comunisti, fra cui una nutrita rappresentanza italiana, composta da Pc, Pci e Rifondazione comunista. 

Il presidente Vladimir Putin non parteciperà alle celebrazioni, né tantomeno alla marcia al centro della capitale guidata dal Partito comunista russo (Kpfr), alla quale prenderanno parte studiosi, ricercatori e nostalgici oltre a partiti e movimenti politici di diversi paesi che hanno abbracciato il socialismo tra cui Cina, Corea del Nord, Cuba e Vietnam. Eppure la rivoluzione compie cent'anni, quando nella notte tra il 6 e il 7 novembre 1917 (24 e 25 ottobre), le formazioni armate dei bolscevichi guidate da Lenin occuparono i centri nevralgici di Pietrogrado. Il giorno seguente, cadde anche il Palazzo d'Inverno, una specie di "Bastiglia zarista", simbolo stesso della rivoluzione.
 
"Bisogna capire che la gente è stanca delle tragedie e non bisogna continuare a rimarcare". Così il politologo, Sergey Markov, considerato vicino al presidente, spiega il quasi totale disinteresse del potere centrale russo allo storico anniversario. "La popolazione sostiene questa posizione, del governo e di Putin", aggiunge.
 
Tra le delegazioni italiane, come detto, c'è quella del Partito comunista guidata dal segretario Marco Rizzo, che per l'occasione ha presentato anche il suo nuovo libro "Urss, a cento anni dalla rivoluzione sovietica, i perché della caduta", edito da Male edizioni. E che ha organizzato a Roma per sabato 11 novembre un grande corteo nazionale di giovani e lavoratori che partirà alle 16 dal Colosseo.
 
Presente alla sfilata di Mosca anche Rifondazione Comunista con il segretario nazionale Maurizio Acerbo e Marco Consolo, responsabile Esteri del partito. Ma il gruppo più numeroso è senza dubbio quello del Partito comunista italiano guidato da Mauro Alboresi: ben 80 delegati da tutta Italia che, accollandosi tutte le spese del viaggio nella capitale russa, hanno deciso di portare la loro testimonianza.
 
Infine il Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando ha tenuto diverse iniziative in Italia sulla Rivoluzione d'Ottobre, che si concluderanno sabato 11 a Reggio Calabria.
 
Nel 1917 la Russia era un Paese arretrato e sull'orlo del collasso. Governata per secoli da dinastie di zar, i sovrani russi dai poteri pressoché assoluti, la Russia era rimasta una monarchia dai tratti medievali, con un'industria quasi assente, un Parlamento (chiamato Duma) privo di poteri effettivi e una popolazione numerosa, povera e legata quasi esclusivamente all'attività agricola. La partecipazione alla Prima Guerra Mondiale non fece che peggiorare la situazione. Questa serie di malcontenti portò il paese dritto verso la Rivoluzione, dalla quale nascerà un nuovo ordine per quella nazione che, dal 1922 e fino al 1989, tutto il mondo avrebbe conosciuto come Unione Sovietica.

© Riproduzione riservata 07 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/07/news/russia_comunisti_italiani_a_mosca_per_i_cento_anni_della_rivoluzione-180459075/?ref=RHPPLF-BH-I0-C4-P4-S1.4-T1
4243  Forum Pubblico / BUONA IMPRENDITORIA / Agroittica, regina italiana del caviale, rileva gli affumicati di Fjord inserito:: Novembre 06, 2017, 12:21:26 pm
Agroittica, regina italiana del caviale, rileva gli affumicati di Fjord

Di Emanuele Scarci
31 ottobre 2017

Caviale e affumicati. Agroittica Lombarda, big del caviale, acquisisce Fjord, marchio storico nel settore degli affumicati. L'operazione vale 3,4 milioni di euro e consentirà sinergie produttive e distributive per confermare la leadership in un mercato, in crescita, che vale oltre 300 milioni di euro in Italia. In dettaglio, Agroittica Lombarda, azienda bresciana di Calvisano, operante con il brand Calvisius, si è aggiudicata in asta, presso il Tribunale di Busto Arsizio), Fjord, società nota per l'omonimo storico marchio degli affumicati, operante dal 1969.
Prima della crisi Fjord vantava fatturati robusti, con circa 32 milioni di ricavi nel 2013 e quasi 30 milioni nel 2014. Il volume d'affari è crollato a 23 milioni nel 2015 per problemi esterni e aziendali. E poi nel 2016 a 13,6 milioni con una perdita di 3,3 milioni. Crisi sfociata poi nella richiesta di un concordato preventivo, trasformatosi in fallimento a giugno 2017. La società di Busto Arsizio era controllata dalla famiglia Pellin.
Agroittica Lombarda propone le linee di prodotto Calvisius e Ars Italica ed è presente sul mercato mondiale con una varietà di caviale interamente prodotto in proprio. In 60 ettari di vasche dedicate all'acquacoltura vengono allevate le varietà di storione più pregiate, permettendo all'azienda di disporre di oltre il 15% della produzione mondiale del caviale d'allevamento. Agroittica Lombarda conta oltre un centinaio di dipendenti e circa 24 milioni di fatturato e un utile di 60mila euro. La società fa capo, a maggioranza, alla famiglia Pasini.

Le sinergie
Il progetto di sviluppo che sottende questa acquisizione, spiega Agroittica Lombarda, mira a confermare la Lombardia quale polo di eccellenza per la produzione di specialità ittiche a livello internazionale.
L' intervento infatti manterrà in vita, rafforzandolo, l'importante polo produttivo del varesotto e grazie alle sinergie produttive e distributive che verranno sviluppate, rafforzerà la leadership di Agroittica Lombarda sui mercati nazionali e internazionali.

Il presidente del consiglio di amministrazione, Giovanni Pasini (proprietario della siderurgica bresciana Feralpi), ha spiegato l'ambizioso progetto: “Agroittica, eccellenza italiana per la qualità del caviale prodotto nei propri allevamenti, vuole giocare un ruolo di leadership nell'area dei prodotti affumicati, in particolare in quella del salmone dove è già presente con i marchi Calvisus, Agroittica e Cavalier. Un mercato in continua crescita: i dati dei consumi stimano che il mercato italiano valga oltre 300 milioni di euro”.

“L'operazione - ha commentato il direttore generale Carla Sora - potrà sviluppare importanti economie di scala: Fjord è nel nostro stesso mercato, ha un'importante vocazione allo sviluppo di nuovi prodotti e alla crescita nella ricerca e sviluppo. Questa operazione di M&A ci darà la possibilità di utilizzare l'importante esperienza commerciale e la stessa rete di vendita di Agroittica, la capacità produttiva dello stabilimento di Busto Arsizio di Fjord e l'ottenimento di forti sinergie tra marchi conosciuti da decenni per gli standard qualitativi”.

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/food/2017-10-31/agroittica-regina-italiana-caviale-rileva-affumicati-fjord-144302.shtml?uuid=AEMG7n0C
4244  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Io penso sia tempo di prendere atto che gli Italiani non sono una massa compatta inserito:: Novembre 06, 2017, 11:08:39 am
Io penso sia tempo di prendere atto che gli Italiani non sono una massa compatta dotata di coscienza nazionale (intendo "coscienza" civile e sociale). In ragione del semplice fatto che non riescono a valorizzare il molto che posseggono nei valori delle differenze tra loro.

Per farne un unico patrimonio nazionale occorrerebbe riconoscessero ogni “particolare” dei valori locali.
Valore locale non è folklore, ma Cultura delle Tradizioni. Questa cultura, popolare, l’avevano e ne godevano, le generazioni passate (i nostri vecchi).

Oggi si è dispersa non soltanto la cultura in genere (mai consolidata) ma anche quella locale.
Quello che resta del localismo culturale è diventato strumento di fanatici e goffi separatismi, materiale per sketch comici, oppure, nei casi migliori, argomento per incontri presso banchetti eno-gastronomici di piazza.

Le eccezioni esistono, in alcune Regioni, ma sono patrimonio di un numero limitato di Cultori del buono e del bello.

ciaooo

Da FB del 6 novembre 2017
4245  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Valore locale non è folklore, ma cultura delle tradizioni. inserito:: Novembre 06, 2017, 10:38:18 am
Io penso sia tempo di prendere atto che gli Italiani non sono una massa compatta di coscienza nazionale (intendo "coscienza" civile e sociale) per il semplice fatto che non riescono (gli Italiani) a valorizzare il molto che posseggono nei valori delle loro differenze.

Per farne un unico patrimonio nazionale occorrerebbe riconoscessero il “particolare” dei valori locali.   

Valore locale non è folklore, ma cultura delle tradizioni.

L’avevano le generazioni passate (i nostri vecchi) oggi si è dispersa non solo la cultura in genere ma anche quella locale   

Da – Fb pensieri di Arlecchino
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