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4216  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MARIO CALABRESI. Il falò della verità inserito:: Novembre 12, 2017, 12:23:41 pm
Il falò della verità
A sinistra si è scelto di giocare al massacro su un falso problema: la stagione del maggioritario e del nome del premier sulla scheda è finita e quindi il dibattito su chi debbano essere i candidati premier è demenziale

Di MARIO CALABRESI
08 novembre 2017

IL DIBATTITO su chi debbano essere i candidati premier dei vari schieramenti per le prossime elezioni non è solo fasullo, ma anche demenziale. Prima di tutto perché inganna i cittadini: il sistema elettorale con cui andremo al voto è per due terzi proporzionale e non prevede nessuna indicazione del presidente del Consiglio. Inoltre il sistema tripolare in cui ci troviamo non permetterà ad alcun partito di arrivare ad avere la maggioranza da solo. Così dopo le elezioni assisteremo a trattative e mediazioni tra le forze politiche o all'interno delle coalizioni per trovare figure che siano punti d'equilibrio.

Questo i cittadini lo devono sapere con chiarezza: la stagione del maggioritario e del nome del premier sulla scheda è finita con il referendum di un anno fa e il nuovo sistema elettorale l'ha definitivamente archiviata.
Il fatto che questo però continui a essere materia del contendere a sinistra è anche autolesionista. Infatti la coalizione che oggi sembra avere più possibilità di affermarsi, il centrodestra, ha accuratamente evitato il problema, sapendo quanto divisivo e inutile sia affrontare ora questa discussione. L'accordo tra Berlusconi e Salvini è che a indicare il possibile capo del governo sarà il partito che prende un voto in più.

Sapendo, al di là della prevedibile propaganda, che l'incarico non spetterà a nessuno di loro due. Il Movimento 5 stelle ha scelto Di Maio, per darsi una guida parlamentare e mettere fine a fibrillazioni e dibattiti interni, ma nessuno può credere che da soli conquisteranno la maggioranza dei seggi parlamentari, così - anche in questo caso - ogni ipotesi di mediazione, di coalizione o di governo che cerchi convergenze in Parlamento partirà proprio dalla scelta di una figura di area che sia meno connotata.

A sinistra invece si è scelto di giocare al massacro su un falso problema: da un lato Renzi si è arroccato in difesa, ha ricominciato a propagandare una vocazione maggioritaria e ad immaginare di arrivare al 40 per cento, dall'altro si va creando intorno a Grasso un piccolo cartello elettorale che ha come nemico proprio il Pd e non Salvini, Berlusconi o Grillo. Le aperture e le prove di dialogo, fatte in questo clima e su queste basi, sono solo finzione. Un gioco del cerino per addebitare alla controparte la responsabilità della divisione. Un combinato disposto che minaccia di consegnare la sinistra italiana all'irrilevanza, come è accaduto domenica in Sicilia.
Eppure l'obiettivo dovrebbe essere chiarissimo ed è davanti ai nostri occhi: sconfiggere i due populismi italiani che oggi si contendono la guida del Paese.

Purtroppo non c'è stato nemmeno questa volta, come non ci fu dopo la sconfitta al referendum, un vero cambio di passo da parte di Renzi. Un autentico ripensamento. La consapevolezza che i risultati propagandati non corrispondono al percepito dei cittadini. Inutile ripeterli ad ogni occasione, se non sono riusciti a fare la differenza nella vita delle persone, allora bisognerà chiedersi il perché.

Matteo Renzi aveva dato grande speranza all'Italia, ma poi ha perso il contatto con il Paese, non è riuscito a cogliere il malessere e le paure, che non andavano certo inseguite ma invece comprese e affrontate. La chiave non era andare da Obama alla Casa Bianca, farsi vedere innovatore accanto a Jeff Bezos e parlare delle eccellenze, così come oggi non potrà essere cercare una sponda in Macron, ma mostrare di capire i bisogni e le sofferenze. Quello che è mancato è l'ascolto.

Da molti anni la sinistra italiana - come ha sottolineato ieri Ezio Mauro - ha mostrato grande senso di responsabilità, lo ha fatto sacrificando spesso totem e tradizioni, lo ha fatto per superare passaggi drammatici. Ora si rende conto del costo che questo ha comportato, ma la risposta non può essere praticare l'irresponsabilità per far vedere che si è vivi e vicini alla gente.

La sinistra, o perlomeno quell'area che si usa chiamare progressista o democratica e che è in profonda crisi in tutto l'Occidente, deve avere il coraggio di guardarsi dal fascino della convenienza, del cavalcare le pulsioni del momento, le parole d'ordine dei populismi, prima di tutto perché inutile elettoralmente, secondo perché non viene capito nemmeno dai tuoi. Allora non resta che la strada della convinzione. Essere convinti delle proprie idee, avere il coraggio di aggiornarle, di metterle a fuoco e di mostrarle. Quale progetto di Paese, di società, di sviluppo, quale agenda di diritti e doveri e quale anima.

Svegliarsi una mattina e cominciare a cannoneggiare la Banca d'Italia accodandosi ai professionisti della demolizione è una scorciatoia pericolosa. Se sei forza di governo e credi ci siano stati errori e omissioni allora crei le condizioni per un cambio di Governatore, non permetti la riconferma tenendoti le mani libere per gridare allo scandalo. Allo stesso modo ci si chiarisce sull'innalzamento dell'età pensionabile, non si lascia la patata bollente al governo, come fosse altro dal Pd, per prenderne poi le distanze.

Si decide se spiegare, con coraggio, al Paese che è una scelta faticosa ma necessaria a non scaricare il costo della rinuncia sulle generazioni più giovani e meno tutelate (o per nulla tutelate) o ad avere quel di più di flessibilità che ha permesso di evitare nuove tasse o maggiori tagli alle spese. Oppure si decide di non cambiare le regole pensionistiche e di lasciare il problema in eredità al prossimo governo, ma lo si dice con forza e chiarezza sapendo che questo comporta dei costi.

Così i vitalizi, una parte del Pd non accetta di modificarli ma Renzi vuole cavalcare il tema per non lasciare questa carta nelle mani di Grillo. Anche qui le strade sarebbero due: o convinci il tuo partito della bontà della cosa o ne capisci le ragioni. Bombardare il quartier generale è l'unica mossa che dovrebbe essere evitata, soprattutto perché il quartier generale è il tuo e pensare che le macerie possano affascinare gli elettori sembra davvero un calcolo sbagliato.

Il voto siciliano dovrebbe contemporaneamente imporre una seria riflessione a Bersani e soci, i quali farebbero bene a chiedersi come mai, se sono così in sintonia con il "vero" popolo di sinistra, restano tanto minoritari e ininfluenti. Pensare che le prossime elezioni saranno l'occasione per la conta e per eliminare un segretario che è considerato un marziano è suicida. Stiamo assistendo ad uno spettacolo che non conquista i cuori e nemmeno le menti ma spinge l'elettorato progressista verso l'astensione e il disgusto.

Ci si fermi un attimo a pensare come sia possibile aver lasciato campo libero a forze neofasciste e xenofobe come Casa-Pound, che in alcuni quartieri di Ostia è arrivata al 20 per cento sostituendosi all'azione che un tempo era dei sindacati o delle sezioni e cavalcando paure e frustrazioni. Le risposte devono partire da qui, non perdendosi in gabbie burocratiche e lotte fratricide, ma parlando il linguaggio della verità

e mostrando di avere una visione del futuro. Altrimenti non ci resta che fare nostro un verso di William Yeats, citato domenica da Franco Marcoaldi nella sua rubrica su Robinson, "I migliori perdono ogni convinzione / mentre i peggiori sono pieni di appassionata intensità".

© Riproduzione riservata 08 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/08/news/il_falo_della_verita_-180535775/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P3-S1.8-T2
4217  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EUGENIO SCALFARI. L'uomo solo al comando non batte i populismi di massa inserito:: Novembre 12, 2017, 12:22:35 pm
L'uomo solo al comando non batte i populismi di massa
La destra di Berlusconi, di Salvini e di Meloni è unita all'esterno, disunita all'interno. Ma per la raccolta dei voti si presentano tutti e tre sottobraccio. Il Pd di Renzi deve essere aperto non solo nei confronti dell'esterno ma anche all'interno

Di EUGENIO SCALFARI
12 novembre 2017

Debbo cominciare l'articolo politico che intendo scrivere con una citazione di Freud ricordata di recente sul nostro giornale da Massimo Recalcati. "L'uomo non è padrone nemmeno a casa propria". Ma perché non è padrone? Perché è certamente alle prese con l'ingovernabilità tra la sua vita e la sua coscienza. L'Io dovrebbe impedirla e spesso questa ingovernabilità viene risolta, ma l'Io a sua volta è un vigilante vigilato: da un lato vigila sulle sue passioni, buone o cattive che siano, e dall'altro le festeggia anche lui ed anzi ne accresce la potenza. Così le passioni diventano sempre più irruenti e rendono la tua coscienza verso il tuo prossimo e verso te stesso sempre più fragile. Questo è il problema. È politico? Sì è anche politico, anzi lo è soprattutto perché la politica è il confronto tra il pubblico e il privato, tra gli interessi particolari e quello generale.

Noi italiani ed anche noi europei siamo giunti ad un punto in cui quel confronto è diventato generale. Gli esempi più evidenti li danno in questa fase l'Italia e la Germania dal punto di vista della governabilità. L'Italia avrà probabilmente, dopo le elezioni del 2018, tre partiti maggiori di pari forza, che non saranno in grado di stabilire alleanze e questo complica ulteriormente il problema.

La Germania ha già avuto le elezioni e la conseguenza è stata quella di un taglio totale della sinistra: la Merkel rappresenta il centro ed è alleata con la destra. Niente di male, può accadere ed è infatti accaduto più volte, ma c'è un'aggiunta da fare: nella situazione attuale aumenta il populismo. L'unico vero vincitore in tutta Europa è il populismo, con la sola eccezione della Francia dove è stato duramente sconfitto. Germania, Spagna, Italia e insieme a loro gran parte dell'Europa dell'Est sono dominate dal populismo nelle sue varie forme che costruisce per accrescere la sua influenza sul popolo (cosiddetto) sovrano.

Il nostro populismo è ultra-trionfante. Se si guarda al referendum costituzionale dell'anno scorso, esso registrò il massimo dell'affluenza come non si era mai vista da molti anni e il massimo dei No, alcuni dei quali furono espressi da personaggi di rilevante autorità culturale, a cominciare da Mario Monti, o da rappresentanti della sinistra dissidente, ma a dir poco il 70 per cento dei No fu votato da persone che avrebbero votato contro qualsiasi referendum proposto da partiti costituzionalmente riconosciuti. In fondo la sostanza di quel referendum, al di là di imperfezioni (numerose) si basava su un punto di notevole importanza: il passaggio da un Parlamento fondato su due Camere a una Camera unica, come avviene in tutti i Paesi democratici dell'Occidente.

Se dal referendum vinto dal populismo passiamo all'esame politico del campo attuale troviamo il populismo in tutta la destra: quella di Berlusconi ha le caratteristiche del grande attore di teatro che però impersonava qualunque personaggio e recitava qualunque testo, comico o drammatico che sia, ma l'attore è sempre lui e piace ad un pubblico molto numeroso. Un altro populista è Salvini. Bossi non lo era, Zaia e Maroni non lo sono, ma Salvini sì ed opera entro tutti i Comuni e le Regioni del Nord identificati con un Nord che voleva dominare sull'Italia intera dopo averla conquistata. Non potendo conquistare come nordisti l'odiata Roma, l'odiata Napoli, l'odiata Firenze, preferiscono andarsene in nome dell'autonomia. Soprattutto il popolo veneto che non può dimenticare che furono i loro bisnonni o meglio i loro trisavoli a conquistare l'intero Mediterraneo, da Costantinopoli alla Turchia e alle sue colonie, alla Libia e al Marocco compresi Malta e Creta e Cipro e Rodi. E vi pare che chi ha nel suo spirito questo ricordo e questo messaggio non voglia l'autonomia dal governo dell'odiata Roma? E il Piemonte? E la Lombardia delle Cinque Giornate contro l'Austria? È vero, questo è il nostro Risorgimento senza il quale l'Italia non sarebbe stata unita. Ma un fondo populista vede ancora in polemica il Nord e il Sud, oltre all'autonomismo siciliano e quello pugliese.

***

Torno allo scacchiere politico (il populismo è un elemento psicologico). La destra di Berlusconi, di Salvini e di Meloni è unita all'esterno, disunita all'interno. Ma per la raccolta dei voti si presentano tutti e tre sottobraccio; tre personaggi da avanspettacolo di notevole qualità, sia in commedia sia in tragedia. In opera musicale Meloni è un contralto, Salvini un baritono-basso, Berlusconi tenore o baritono alto. Orchestra al completo. Del resto il Berlusca con Fedele Confalonieri intrattennero da giovani il pubblico delle sale da ballo e perfino quello dei transatlantici da crociera di sessant'anni fa. Che trionfo, che carriera!

Segue Grillo, lui fa il burattinaio dei vari Arlecchini dei Cinquestelle. Da qualche tempo tuttavia gli Arlecchini si sono liberati dalla loro divisa di pezze a colori e hanno scoperto di essere uomini politici. I quali, fedeli in questo alle istruzioni di Grillo, non fanno alleanze se non con il loro popolo. E il loro popolo chi è, da dove viene, che cosa vuole? Il loro popolo non ama affatto la cosiddetta classe dirigente del Paese, buona o cattiva che sia. Vuole abbatterla, vuole che il terreno sia spianato, distrutte le siepi, i giardini con i cancelli, le spiagge libere a tutti, i partiti che non condividono queste richieste battuti e liquidati. L'Europa? Chissenefrega dell'Europa. L'euro? Forse era meglio la lira.

Se non ci fosse il Cinquestelle, che deve chiamarsi Movimento anziché partito perché partito è un pastrocchio che non dovrebbe più esistere e loro sono lì appunto per liquidarlo, probabilmente andrebbero a rafforzare la massa degli astenuti e viceversa: gli astenuti che decidono di votare vanno alle urne e votano scheda bianca o Cinquestelle.

Allora facciamo i conti: la destra berlusconiana, salviniana, meloniana, è fondamentalmente populista, magari sofisticata perché un programma di governo gli piacerebbe averlo e in parte ce l'hanno a cominciare dall'anti-immigrazione, sono guidati da un vecchio miliardario e da un combattivo padano che piace anche all'isola che sogna addirittura l'indipendenza. I grillini sono populisti senza menzionare la parola. Gli astenuti (salvo un 20 per cento che è la normalità), sono populisti anch'essi. Abbiamo in questo modo due formazioni politiche arricchite (o disturbate) da frange minori che stanno in coda al corteo ma comunque ne fanno parte. Ciascuna di queste forze rappresenta tra il 25 e il 30 per cento dell'elettorato, al quale bisogna aggiungere un 25-30 per cento degli elettori che non votano, senza conteggiare quel 20 per cento suddetto.

Il totale - destra, grillini, astenuti - dà più o meno il 75 per cento. Resta un 25 per cento dove si insedia il centrosinistra e la sinistra. Queste sono le operazioni numeriche datate al presente; ci vorranno altri sei mesi prima che si apra la corsa e molte cose possono accadere. Se cambiassero però, cambierebbero soltanto in meglio perché peggio di così è difficilissimo. Dobbiamo però aggiungere che tutte le forze (tutte) fin qui esaminate non spendono nemmeno una parola sull'Europa, salvo talvolta Berlusconi il quale sostiene di piacere ad Angela Merkel e che lei piace a lui. I seduttori sono simpatici, anche se spesso fanno danni come i processi sulle "olgettine" hanno dimostrato.

***

E qui siamo a Renzi e al partito a lui d'intorno e non tutto schierato in suo favore. Nel suo caso mi permetto un'altra citazione dall'articolo di Massimo Recalcati: "Anche dalla psicoanalisi può venire un'indicazione preziosa: l'accanimento nella volontà di governo che pretende di sopprimere il disordine tende sempre a rovesciarsi nel suo contrario; un ordine ottenuto con l'applicazione crudele del potere è peggio del male che vorrebbe curare; ogni volta che l'ambizione umana cerca di realizzare un ordine senza disordine si scontra fatalmente con delle manifestazioni straripanti e anarchiche del disordine. Il governo giusto non è quello che persegue lo scopo di annullare l'ingovernabile ma quello che lo sa ospitare".

Più volte ho sostenuto che Matteo Renzi era un uomo capace di buon governo, ma aveva un grave difetto caratteriale: voleva a tutti i costi comandare da solo, sistema incompatibile con una democrazia, soprattutto di sinistra (quella non più comunista dopo l'arrivo alla testa del Pci di Enrico Berlinguer). Probabilmente non si tratta di un difetto caratteriale ma psicoanalitico: se conoscesse bene il fondo dell'anima e le sue conseguenze sul suo comportamento forse quel difetto scomparirebbe.

Lui nega sempre con forza di voler comandare da solo. Sostiene che, come in tutti i partiti, c'è un leader anche in quello da lui guidato, ma è affiancato da una direzione con la quale spesso si consulta e a volte anche con persone autorevoli per capacità e per storia che aderiscono al suo partito e che lui incontra assai spesso per confrontare i punti di vista e acquisire esperienze e suggerimenti.

In una recente conversazione telefonica mi ha fatto i nomi di queste persone, tra i quali ricordo quello di Piero Fassino, di Dario Franceschini, di Andrea Orlando e di personalità tra le quali primeggia il nome di Walter Veltroni. Gli ho ricordato che le sue consultazioni sono però a sua propria disposizione. Per esempio sull'attacco - a mio avviso del tutto improprio - contro il governatore della Banca d'Italia non ha informato nessuno, non Veltroni, tantomeno Prodi e non credo che Fassino lo sapesse. La sua quindi è una consultazione che avviene su sua propria decisione, non è uno Stato Maggiore che opera con un Capo e con i comandanti delle varie armate. Se lui non creerà una sorta di Stato Maggiore non nel governo, dove Gentiloni ce l'ha, ma nel partito, la questione di un leader che comanda da solo resta ferma e questo non va affatto bene. Debbo dire che l'ha riconosciuto. Non so quanto valga questo riconoscimento ma mi sembra doveroso riferirlo.

Il secondo problema che riguarda il leader e l'intero partito è quello dell'ingovernabilità che, anzi, è un problema dell'intero Paese. L'ingovernabilità comporta alleanze e queste bisogna farle prima delle elezioni. Un'alleanza con Bonino sarebbe molto opportuna e comunque il partito deve essere aperto non solo nei confronti dell'esterno ma anche all'interno. Questo significa che il leader si consulta con gli esponenti più autorevoli del partito su tutte le decisioni da prendere.

Se questo avverrà il partito sarà profondamente rinnovato e potrà risolvere in qualche modo positivo il problema dell'ingovernabilità. Altrimenti la sinistra, quella dentro il Pd e quella che ne sta fuori, sarà liquidata dal populismo che sta dilagando e se vincerà decadranno i valori e gli ideali e crescerà purtroppo l'ingovernabilità dei corpi e delle anime.

© Riproduzione riservata 12 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/12/news/l_uomo_solo_al_comando_non_batte_i_populismi_di_massa-180876516/
4218  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / JACOPO IACOBONI. - L’uomo di Putin per il web: “Perché ci interessa il M5S” inserito:: Novembre 12, 2017, 12:21:37 pm
L’uomo di Putin per il web: “Perché ci interessa il M5S”
Parla Robert Shlegel, ex leader dei giovani putiniani di Nashi: “Di Battista e Di Stefano? Ci sono piaciuti. Loro il primo partito-Internet”
«Loro sono il primo vero partito-Internet»: Robert Shlegel con Di Stefano, Sergej Zheleznyak e Di Battista, in un incontro di fine marzo 2016. Lo scopo, «format per ulteriore cooperazione, e esperienza nelle campagne elettorali»

Pubblicato il 09/11/2017
JACOPO IACOBONI

«Alessandro Di Battista e Manlio Di Stefano? Ci hanno fatto in generale un’impressione positiva, quando ci siamo incontrati. Se l’accordo poi è stato formalizzato? Se c’è stata una forma di aiuto, politico o finanziario? Questo deve chiederlo a Zheleznyak». Il quale, per ora, non ci ha ancora risposto.
 
Per la prima volta in Italia parla un testimone diretto di alcuni dei contatti russi tra il Movimento cinque stelle e uomini della cerchia stretta di Vladimir Putin. Si tratta di Robert Shlegel, neanche trentacinquenne, fino al 2016 deputato della Duma, dov’è stato capo dell’Expert Council della Commissione parlamentare per le politiche sull’informazione, l’information technology e le comunicazioni, e ex membro influente del gruppo della Duma per la creazione di un parlamento elettronico. Per la prima volta siamo in grado poi di pubblicare anche una foto di uno degli incontri dei grillini con gli uomini di Putin, incontri sempre o negati o estremamente minimizzati, e comunque mai adeguatamente pubblicizzati in Italia (l’incontro qui è con Di Battista e Di Stefano, avvenuto a fine marzo 2016 a Mosca, assieme al potentissimo e discusso Sergej Zheleznyak, uomo nella lista di politici e finanzieri russi sottoposti a sanzioni dall’amministrazione Obama).
 
Se i contatti dei grillini con Zheleznyak hanno cominciato ad emergere perché rivelati un anno fa dalla Stampa, la presenza e la testimonianza che ci rende Shlegel sono del tutto nuove. Anche Shlegel, sebbene non svolga più ruolo ufficiale, è un uomo assai influente, nel suo ramo. Benché ancora molto giovane, in Russia ha fatto parlare molto di sé perché fu a lungo il capo di Nashi, la gioventù putiniana, impegnata con tecniche sperimentali anche nel costruire eserciti di attivisti online pro Putin. Nel 2006 costruì uno studio di produzioni video dal basso, che faceva agit prop su Internet per Putin, con il meccanismo di video non sempre riconducibili direttamente a qualcuno, ma potentemente virali.
 
Fu lui a suggerire alla Commissione centrale del partito di formare un elenco di blog e siti per condurre operazioni di agitazione su Internet. Sempre lui a creare, in tandem con i vertici di VKontakte – il più grande social network in cirillico – gli account di tutti i deputati del partito di Putin. Il Guardian scrisse che, nell’agosto 2015, Anonymous International pubblicò un carteggio di mail hackerate ai danni di vari politici russi vicini a Putin, tra cui Shlegel, riguardanti «un attacco troll coordinato ai siti web di importanti organizzazioni giornalistiche americane e inglesi, tra cui New York Times, Cnn, Bbc, Usa Today, Huffington Post». Shlegel ha sempre negato questo tipo di critiche; e ha tra le altre cose tenuto contatti per i russi con Afd, il partito di estrema destra tedesco, e lo Jobbik. «In questo momento non faccio più politica in quanto tale, non sono più al partito», ci dice Shlegel. «Gli incontri col Movimento fanno parte di una serie di meeting internazionali. Non pianificammo un lavoro specifico. Noi eravamo interessati molto al loro lavoro perché sono diventati il primo di questi Internet-party, partiti nati con Internet».
 
Ci viene in aiuto, paradossalmente, un comunicato ufficiale reperito nelle pieghe del web in cirillico. Lo pubblica il sito di Russia Unita, il partito di Putin. In un incontro coi grillini si è parlato, si legge, di «format per una ulteriore cooperazione tra M5S e Russia Unita, esperienza nelle campagne elettorali e agenda internazionale». Il terzo punto riguarda, chiaramente, il no alle sanzioni a Mosca, noto caposaldo geopolitico grillino. Il primo spiega che - nel marzo 2016 - la cooperazione era così avviata da poter mettere a scopo di un meeting un «ulteriore» rafforzamento. Il secondo punto - esperienze, ossia (traduciamo noi) know how, di campagne elettorali - è ciò di cui la Russia di Putin è stata a modo suo maestra, la propaganda in questi anni dark.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/11/09/italia/politica/luomo-di-putin-per-il-web-perch-ci-interessa-il-ms-dui6bxd4Qcpiyu8cydmpjM/pagina.html
4219  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / GIORDANO STABILE. Siria, vicino l’accordo fra Stati Uniti e Russia inserito:: Novembre 12, 2017, 12:20:26 pm
Siria, vicino l’accordo fra Stati Uniti e Russia
Oggi l’incontro Trump-Putin in Vietnam per definire i dettagli del dopo-Isis
Pubblicato il 10/11/2017 - Ultima modifica il 10/11/2017 alle ore 10:54

GIORDANO STABILE
INVIATO A BEIRUT

Stati Uniti e Russia sono vicini a un accordo per i futuri assetti della Siria, ora che la guerra contro l’Isis è vicina alla fine. Il presidente americano Donald Trump e quello russo Vladimir Putin dovrebbero annunciarlo oggi nell’incontro previsto, anche se non formalizzato, in Vietnam. Il leader americano si trova in viaggio in Estremo Oriente e il summit con il capo del Cremlino non era in un primo momento previsto.

I punti in discussione 
Il portavoce della Casa Bianca Sarah Huckabee ha confermato che ci potrebbe essere un incontro “meno formale”. Le due parti stanno lavorando per un’intesa che si articola su tre punti, secondo fonti rimaste anonime dell’entourage di Trump: una de-escalation fra le forze russe e americane presenti in Siria in modo da evitare incidenti, riduzione della violenza nella lotta fra le forze governative di Bashar al-Assad e i ribelli non Isis, un nuovo slancio alla missione di pace e di aiuti umanitari condotta dalle Nazioni Uniti.
 
Caduto l’ultimo bastione dell’Isis 
La nuova prospettiva è stata aperta dalla sconfitta ormai inevitabile dello Stato islamico. Ieri l’esercito di Assad, appoggiato dalla Russia, dalle milizie libanesi di Hezbollah e anche da forze irachene, ha espugnato l’ultima cittadina ancora controllata dai jihadisti, Al-Bukamal, sul confine fra Siria e Iraq. Il territorio dell’Isis si estende ora soltanto su zone desertiche a Nord e a Sud dell’Eufrate, sia sul lato iracheno che siriano del confine.
 
Il corridoio sciita 
Con la presa di Al-Bukamal e l’ingresso di forze irachene, milizie Hash al-Shaabi in Siria, il conflitto però assume una nuova dimensione. Il temuto “corridoio sciita” fra Baghdad e Damasco è ora effettivamente aperto e l’influenza dell’Iran sia in Siria che in Iraq è molto accresciuta, con la presenza di decine di migliaia di combattenti addestrati e inquadrati dal generale dei Pasdaran Qassem Suleimani. L’America, e Israele, vogliono evitare un dominio assoluto di Teheran sulla Mesopotamia.
 
Evitare incidenti 
La nuova situazione potrebbe anche condurre a una guerra per procura fra Russia e America. Mosca appoggia Assad ma Washington addestra e arma i guerriglieri curdi dello Ypg, che dopo aver liberato Raqqa dall’Isis potrebbe scontrarsi con le forze governative proprio nella zona di Al-Bukamal e di Deir ez-Zour. Per questo le due potenze vogliono potenziare lo scambio di informazioni sulle loro attività in Siria, come già avviene in una “war room” comune costituita l’hanno scorso ad Amman in Giordania.
 
Le richieste americane 
Washington vuole anche potenziare la “safe zone”, in realtà una zona cuscinetto nel Sud della Siria, al confine con la Giordania, dove i ribelli controllano ancora parte della provincia di Daraa. La de-esclation in quella zona è vista anche come una garanzia per la sicurezza di Israele. Gli Stati Uniti hanno chiesto alla Russia di evitare che sia una presenza permanente di forze iraniane o milizie legare a Teheran.
 
I colloqui di Ginevra 
La casa Bianca vorrebbe anche rilanciare la mediazione dell’Onu. I colloqui di Ginevra sono stati di fatto scavalcati dall’iniziativa di Astana, in Kazahstan, dove Russia, Iran e Turchia hanno delineato i futuri assetti della Siria senza tenere conto di Stati Uniti ed Europa. Mosca e Washington si sono però scontrati a Ginevra sulla sorte di Assad: per i russi non si può discutere il suo ruolo e deve rimanere al potere durante la transizione politica. Gli americani, e i loro alleati sunniti, a cominciare dall’Arabia saudita, chiedono invece che si faccia da parte.
 
Tillerson 
Il Segretario di Stato americano Rex Tillerson ha ribadito che Ginevra resta “il posto giusto per discutere”. Mosca aveva chiesto che il vertice Trump-Putin, visto che i due leader si trovavano contemporaneamente in visita ufficiale in Vietnam, fosse organizzato in maniera formale. Ma Tillerson ha frenato: “Siamo sicuri che ci sia abbastanza sostanza e valga la pena di tenere un summit formale?”, ha spiegato.

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/11/10/esteri/siria-vicino-laccordo-fra-stati-uniti-e-russia-OORRMOF5v5fC8brzFeGVqL/pagina.html
4220  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / GOFFREDO DE MARCHIS. Pd-Bersani, l'ultima trattativa: così Renzi apre alla... inserito:: Novembre 12, 2017, 12:19:30 pm
Pd-Bersani, l'ultima trattativa: così Renzi apre alla sinistra
Allo studio accordi nei collegi per battere le destre e l'ondata populista.
Franceschini media.
Tutti tra i dem cercano Prodi. Parisi: "Parliamo delle cose che ci uniscono"

Di GOFFREDO DE MARCHIS
12 novembre 2017

ROMA. I contatti sono in corso, anche se in pubblico nessuno cede di un millimetro. Si lavora a un accordo unitario per i 341 collegi uninominali. Lo stesso candidato per Renzi, Grasso, Pisapia, Fratoianni, Civati. Accordo tecnico, senza voli pindarici. Sulla base di una cornice di programmi. Non il quadro perché quello è impossibile. Come dice Arturo Parisi: "Bisogna rendere manifeste le cose che ci uniscono". Parisi rimane l'unico vero consigliere e confidente di Romano Prodi.

Dopo il grido di allarme raccolto da Repubblica, il Professore lo cercano tutti. Perché "copra" e sostenga questa difficile operazione. La prima mossa tocca a Matteo Renzi, che domani riunisce la direzione del Pd. Il segretario ha parlato a lungo con Dario Franceschini e Andrea Orlando, i ministri che spingono per un'alleanza con tutti dentro. Gli ha garantito alcuni passi indietro rispetto alla strada dell'autosufficienza: "Proporrò un accordo significativo e strutturato anche a Bersani. Non parlerò più dei mille giorni e dei provvedimenti del mio governo. Parlerò di quello che si può fare non di quello che è stato fatto". A partire dal Jobs Act: "Senza abiure, ma se si vuole ragionare di cosa non ha funzionato facciamolo. Per esempio: sui contratti a tempo indeterminato, che devono ancora crescere". Questa è la "cornice" di cui Franceschini discute con i suoi interlocutori. Con Renzi prima di tutto. La linea del ministro della Cultura è chiara: "A destra hanno trovato il modo di parlare a mondi diversi, di fare campagne diverse, di presentare candidati premier diversi, ma, nei collegi, di sommare i voti anziché sottrarseli a vicenda. Noi possiamo fare lo stesso". I leader si stanno sentendo. Intanto dentro il Pd perché la direzione si tiene tra poche ore. C'è la possibilità di un voto unanime sulla relazione del segretario, se contiene le aperture promesse. Ma c'è anche il rischio concreto di una rottura se torna l'eco di imprese solitarie, di un Renzi alla Macron. A quel punto le minoranze di Orlando e Michele Emiliano presenteranno un loro documento (già pronto) di critica alle politiche renziane degli ultimi anni. "Per distinguere nettamente le responsabilità", dicono gli orlandiani.

Il governatore pugliese viene descritto sul piede di guerra o meglio, di nuovo con un piede fuori dal partito. Per lui è difficile resistere alla calamita di Piero Grasso, collega magistrato e amico. I due si telefonano continuamente. Spesso è il presidente del Senato a chiamare Emiliano per chiedergli come muoversi nel mare ondoso della politica, ben diverso da quello delle istituzioni. Ed Emiliano lo guida: "Hai sbagliato con quella dichiarazione sul Pd", gli ha detto l'altro giorno.

Come spiega Parisi ad Affari italiani, l'accordo tecnico nei collegi può diventare qualcosa di più concentrandosi sui tratti comuni: la politica europea, l'immigrazione, lo ius soli, i diritti civili, l'ambiente. La "cornice". Lasciando fuori i punti di contrasto. Eppoi si reggerebbe sulla convenienza, diciamo la verità. Per questo Renzi non crede che sarà domani la giornata decisiva, però entro due settimane la situazione sarà sotto gli occhi di tutti. "Quando ciascuno, noi compresi - dice un renziano - si farà due conti sulle chance di vittoria collegio per collegio". Con l'obiettivo di fermare quelli che nei suoi colloqui privati Renzi chiama i "barbari" riferito ai leader non agli elettori. Di bloccare l'ascesa di Beppe Grillo e Matteo Salvini.

Il segretario giura che ci proverà. Facendosi poche illusioni. La coalizione più realistica, nel quartier generale renziano, viene confinata ai nomi di Emma Bonino e Giuliano Pisapia "che con Bersani e D'Alema non andrà mai". Le reazioni pubbliche di Mdp in effetti continuano a essere gelide. "Archiviare il renzismo", dice Roberto Speranza. Richiesta irricevibile a Largo del Nazareno. Vasco Errani, parlando con gli amici, non è meno severo: "Il sistema era tripolare, ma adesso i poli sono due e mezzo. E il mezzo è la sinistra. Non c'è politicismo che tenga, non bastano gli appelli a fermare i populisti. Bisogna riprendere i voti e ci vogliono atti concreti. Questo è un problema molto più grande di un tavolo di trattativa per i collegi ". Ma un tavolo è necessario, se c'è la volontà di parlarsi. E se il problema non è solo ed esclusivamente la sorte di Renzi, come pensano tanti nel Pd. "Noi indicheremo un metodo di lavoro e un percorso. Per provare a fare tutti un passo avanti ", dice il vicesegretario Maurizio Martina. Senza guardare indietro. Modello centrodestra, come sottolinea Franceschini. In quel campo chi parla più di uscita dall'Euro o della Le Pen, le bandiere leghiste? "La partita ce la giochiamo solo se stiamo insieme. Altrimenti è cupio dissolvi ", avverte Francesco Boccia, vicinissimo a Emiliano.

EDITORIALE L'uomo solo al comando non batte i populismi di massa DI E.SCALFARI

Il filo è sottile e si può spezzare da un momento all'altro per molti motivi. Renzi, nemmeno una settimana fa, ha rilanciato l'obiettivo 40 per cento e il Jobs Act 2. Ovvero, porta in faccia a Mdp. Bersani e D'Alema sanno che la loro ragion d'essere è distinguere politiche e leadership dal Pd renziano. Come collante, resta il pericolo della destra e dei grillini, così plasticamente dimostrato dal voto in Sicilia e a Ostia. In più c'è l'allarme di molti mondi, a cominciare da quello cattolico di base. Basta andare in molte parrocchie per scoprire quanto sia attrattiva la storia umana di Piero Grasso e quanti dubbi ci siano sugli avversari del centrosinistra. I padri nobili, da Prodi a Veltroni a Enrico Letta, sono pronti a intervenire ma solo se si apriranno degli spiragli reali, se i "figli" mostreranno di avere a cuore la famiglia unita. La loro parola è

in grado di superare le rigidità dei vari campi. Non farà presa su D'Alema e Fratoianni forse, ma non lascerebbe indifferente Pierluigi Bersani. L'accordo per stare uniti nei collegi è tutto da costruire. Ma se gli ambasciatori si parlano, il tentativo rimane in piedi.

© Riproduzione riservata 12 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/12/news/pd-bersani_l_ultima_trattativa_cosi_renzi_apre_alla_sinistra-180877190/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1
4221  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. Lista Pisapia-Bonino, prove generali in casa socialista nel nome inserito:: Novembre 12, 2017, 12:17:59 pm
Lista Pisapia-Bonino, prove generali in casa socialista nel nome dei “meriti e dei bisogni”
Psi, Radicali e l’ex sindaco di Milano, possibili animatori di una Lista alternativa al Pd alle prossime elezioni politiche, si ritrovano 35 anni dopo la Conferenza di Rimini del partito socialista, che fu un evento innovativo nella fase finale della Prima Repubblica

Pubblicato il 10/11/2017 - Ultima modifica il 10/11/2017 alle ore 16:14

FABIO MARTINI
ROMA
Nel moltiplicarsi di iniziative, contatti più o meno riservati per realizzare liste elettorali in occasione delle prossime elezioni politiche, si muove anche il Psi di Riccardo Nencini: in un convegno a Milano che rievoca uno dei momenti più felici del “nuovo corso” socialista negli anni Ottanta, prenderanno la parola anche Giuliano Pisapia e il segretario dei Radicali italiani Riccardo Magi, che assieme ai socialisti, a personalità del mondo prodiano, ai Verdi, potrebbero diventare presto i protagonisti di una Lista progressista limitrofa al Pd, ma al tempo stesso concorrente del partito di Renzi.
 
Il convegno celebra il trentacinquennale anniversario di uno degli eventi più felici di quel che fu il “nuovo corso” socialista e craxiano, tra il 1976 e il 1993: la Conferenza di Rimini del Psi. Passata alla storia come quella del “merito e del bisogno”, titolo della relazione introduttiva di Claudio Martelli, allora vicesegretario del Psi. Nella sua specificità di conferenza programmatica si trattò di un evento da allora mai più superato in termini qualitativi. 
 
Oltre alla relazione di Martelli, centrata sulla possibile alleanza tra soggetti sociali diversi (i “bisognosi” e i protagonisti del “merito”) e salutata da cinque minuti di ovazioni (ma Bettino Craxi restò seduto), vide la partecipazione di numerosi e non inquadrati intellettuali, come Luciano Gallino, Massimo Severo Giannini, Umberto Veronesi, Federico Stame, Francesco Alberoni, Stefano Silvestri, Aldo Visalberghi, Valerio Castronovo, Gianni Statera, Federico Mancini, Francesco Forte e altri più organici al Psi come Franco Reviglio, Giuliano Amato, Giorgio Ruffolo. Certo, la profetica relazione di Martelli non trovò traduzioni politiche immediate, ma nulla del genere si sarebbe ripetuto anche in altri partiti, né allora né in anni più recenti, come ha confermato, in termini di partecipazione intellettuale, anche la Conferenza programmatica del Pd di Portici.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/11/10/italia/politica/lista-pisapiabonino-prove-generali-in-casa-socialista-nel-nome-dei-meriti-e-dei-bisogni-UjChuKBRAAmbSFWOnyuFGK/pagina.html
4222  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Roberto GALULLO. Ostia: la “capocciata” svela interi segmenti dell’economia... inserito:: Novembre 12, 2017, 12:16:49 pm
DOPO L’AGGRESSIONE AL GIORNALISTA RAI
Ostia: la “capocciata” svela interi segmenti dell’economia condizionati dalle mafie

–di Roberto Galullo 10 novembre 2017

Tutti ad accorgersi di Ostia per quella che a Roma viene definita una “capocciata” che, in questo sventurato caso, ha colpito un giornalista reo di aver fatto solo il proprio mestiere. Eppure Gianpiero Cioffredi, presidente dell'Osservatorio tecnico-scientifico per la sicurezza e la legalità, nel II rapporto sulle mafie nel Lazio, presentato lo scorso anno, scriveva che alcuni processi, come quelli in corso sulle vicende del litorale laziale, «spesso non trovano spazio su giornali e tv ma raccontano di numerose città, di quartieri e interi segmenti dell'economia condizionati da mafie e associazioni a delinquere, in gran parte collegate al traffico di sostanze stupefacenti». Ora gli occhi anche della stampa internazionale sono su questo quartiere.

IL MUNICIPIO ROMANO  09 novembre 2017
Armi, droga, mafie: Ostia «laboratorio» della criminalità
Un’attenzione tardiva, visto che questa immensa area della Capitale, è infangato da decenni dalla presenza delle mafie del sud, a partire da Cosa nostra. Gaspare Spatuzza, boss della famiglia mafiosa di Brancaccio (Palermo), riguardo agli interessi economici di Cosa nostra sul litorale laziale, nel 1996 dichiarò che «avevano il paese di Ostia nelle mani». Il riferimento era alla “gemmazione” ostiense della famiglia originaria di Siculiana (Agrigento) Cuntrera-Caruana, della quale Spatuzza doveva uccidere un elemento di spicco. L'omicidio non andò a buon fine perché Spatuzza venne arrestato il 2 luglio 1997.

L'indagine “Tramonto” della Gdf del 4 marzo mise a nudo, per usare le parole messe nero su bianco dal Gip D'Alessandro, «un contesto spaventoso» nel quale «ha senso parlare di mafia». Per il gip e la Dda di Roma che svolse l'indagine la famiglia Fasciani sul litorale aveva costituito un impero economico attraverso una serie di società nel settore della ristorazione, della gestione di stabilimenti balneari, delle discoteche e della rivendita e noleggio di auto. Dopo che il 14 giugno 2016 , in primo grado, era stata negata la mafiosità della famiglia (ora, sembra, in caduta libera), il 15 giugno 2017, dunque un anno dopo, la Corte d'appello di Roma ha ribaltato la sentenza. La parola definitiva spetta alla Corte di Cassazione.

Proprio il lido ostiense – con tutto quel che ne consegue, vale a dire attività balneari, di ristorazione, di divertimento e di gioco – fu oggetto di una durissima riflessione, il 9 marzo 2016 davanti alla Commissione parlamentare antimafia, del prefetto Domenico Vulpiani. «Il litorale è la parte che più desta preoccupazioni perché è composto di 18 chilometri ed è fonte di grande dibattito sul suo futuro, quanto su di esso il 56% è occupato da stabilimenti balneari disse poco più di un anno fa – mentre la restante parte di arenile è gestita con spiagge libere o spiagge libere attrezzate. Su tutto il litorale, in ogni parte di questa spiaggia, si sono verificati degli abusi non solo edilizi, ma anche di gestione, di mala gestione e di non pagamento dei tributi dovuti. Sono frutto di sessant'anni, dal dopoguerra in poi, di una sovrapposizione di atti della pubblica amministrazione non sempre presi con particolare attenzione – mettiamola così – nella migliore delle ipotesi. In altri casi ci sono stati veri e propri atti discussi, anche oggetto di inchieste giudiziarie».


DOPO L'AGGRESSIONE AL REPORTER RAI  09 novembre 2017
Ostia, Spada è in carcere. Minniti: in Italia no zone franche
In relazione all'attività di controllo e verifica il prefetto Vulpiani aggiunse: «Ad oggi possiamo dire di aver svolto un'attività di controllo su 42 stabilimenti demaniali, dei quali 30 svolti in via d'iniziativa amministrativa direttamente dal tavolo tecnico di cui ho detto prima, otto svolti di iniziativa della polizia locale, che ha agito in termini di polizia giudiziaria di fronte ad abusi molto rilevanti e particolarmente evidenti, e altri quattro svolti sempre dalla polizia locale, ma con il supporto del tavolo tecnico e sempre come polizia giudiziaria. Otto di questi sono stati sottoposti a sequestro giudiziario e hanno, quindi, in corso un'attività della magistratura, della procura di Roma, che sta indagando su queste situazioni che sono state rappresentate nell'inchiesta. Altri quattro sono stati solo oggetto di notizia di reato e siamo in attesa delle decisioni del magistrato. Le attività ispettive, che non sono semplici, proseguiranno senza interruzione fino all'espletamento dei sopralluoghi su tutte le 71 concessioni demaniali marittime».

RAGGI: «VIOLENZA INACCETTABILE» 08 novembre 2017
Ostia, domande sui rapporti tra Casapound e clan Spada: aggredito giornalista Rai
Il gioco d'azzardo, sopra accennato, è un'altra enorme risorse in mano a consorterie criminali organizzati ad Ostia. Casalesi e ‘ndrangheta, qui, hanno costituito piattaforme informatiche sulle quali dar vita a siti online per il gioco del video poker. Inutile dire che anche il collocamento fisico dei “totem” utilizzati per giocare in sale e video sale è, spesso, “cosa loro”. Così come, forse è inutile dire – ci sono indagini e sentenze a ricordarlo – che senza una pervasiva corruzione all'interno della pubblica amministrazione e senza la cosiddetta “zona grigia”, composta da figure professionali qualificate (bancari, commercialisti, esercenti le professioni sanitarie) il potere economico delle mafie extraregionali e indigene, non avrebbe potuto prendere la piega che da tempo ha preso ad Ostia.


Troupe Rai aggredita da membro clan Spada
Per capire Ostia, forse può aiutare quello che il 12 febbraio 2014 dichiareranno, ancora una volta in Commissione parlamentare antimafia, il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e il suo storico aggiunto Michele Prestipino Giarritta. Il procuratore aggiunto di Roma ricordò che ad un collaboratore di giustizia venne chiesto conto dell'uso della violenza ad Ostia. Gli venne domandato: «Bisogna ricorrere alle intimidazioni, al danneggiamento, all'incendio per esigere il pizzo?». E quello rispose, rivelò Prestipino Giarritta: «Macché, quando mai? No, no. La gente ha paura già di per sé. Ha paura di per sé sentendo il nome. Su dieci al massimo, una o due volte uno deve fare sentire qualche cosa».
r.galullo@ilsole24ore.com

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4223  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / UGO MAGRI La vittoria agrodolce di Berlusconi: Ho fatto il gioco dei sovranisti inserito:: Novembre 12, 2017, 12:15:24 pm
La vittoria agrodolce di Berlusconi: “Ho fatto il gioco dei sovranisti”
Il leader di Forza Italia si aspettava di sfondare il 20% dopo l’impegno nell’isola. E adesso teme di apparire al traino di una coalizione anti-sistema
Pubblicato il 07/11/2017

UGO MAGRI
ROMA

Silvio Berlusconi non è affatto entusiasta del risultato: tra i trionfi della sua carriera, forse, è quello che più lo indispone. Tramite un video Facebook ha sostenuto l’esatto contrario, parlando di grande performance del suo partito, perché ammettere la verità sarebbe politicamente dannoso. Ma nella villa di Arcore l’aria che si respira è un mix di apprensione e inquietudine. Il Cav si aspettava di più. L’avevano illuso i bagni di folla nei quattro giorni passati in Sicilia, quando aveva messo in campo l’intero armamentario di lusinghe e promesse, compreso un ammiccamento al condono edilizio che in altri momenti avrebbe fatto faville. Perfino il suo assistente, Sestino Giacomoni, si è stupito di quanta energia avesse in corpo e quanta voglia di trasformare in voti le sue percentuali tuttora altissime di popolarità (superano il 30 per cento). L’immane fatica ha prodotto un 16,4 per cento che, di per sé, non sarebbe da disprezzare: in fondo è il triplo di quanto hanno raggranellato insieme Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Eppure, se si vanno a scartabellare i sondaggi di pochi mesi fa, già allora Forza Italia era stimata nell’Isola intorno al 16 per cento, appunto. Sfondare quota 20 era considerata riservatamente l’asticella minima, la dimostrazione che l’impegno diretto del leader paga ancora come una volta. Che Berlusconi non risulta solo simpatico e divertente come può esserlo un nonnetto arzillo, ma rimane il mago delle rimonte impossibili come nel 2006, come nel 2013. L’esperimento è andato così così: tanto valeva che il Cav restasse a casa e registrasse qualche appello-tivù.
 
Berlusconi: “Grazie a noi, la Sicilia non è finita nelle mani di chi non ha mai amministrato nemmeno un condominio”
 
Il patto col diavolo 
Alla delusione (inconfessata) si aggiunge un altro tipo di ansia: quella di apparire succube degli alleati. Legato mani e piedi alla loro politica «sovranista» e trascinato in una competizione con i grillini tutta spostata sulla rivolta antisistema. Per Berlusconi, sarebbe un errore imperdonabile, lo sbaglio più tragico, che spalancherebbe davanti a Di Maio un’autostrada. Silvio sostiene l’esatto opposto, che per stoppare i grillini si debba far fronte comune tra tutti i «responsabili», cioè gli italiani con il sale in zucca che non accendono gli zolfanelli sotto la grande catasta del populismo. Si mangia le mani per quel patto col diavolo stipulato a settembre, quando fu costretto a barattare l’unità del centrodestra (unica soluzione per non auto-affondarsi) con la candidatura di Nello Musumeci. Il quale già gli stava poco simpatico per le origini finiane, e come se non bastasse si è pure permesso di snobbare l’unico consiglio datogli a quattr’occhi quando si sono visti («senti a me, da amico: tagliati quell’orribile ridicolo pizzetto»). Il pizzetto non è stato rasato. E adesso che il centrodestra ha vinto, Belzebù si è presentato puntuale a riscuotere nelle sembianze di Giorgia Meloni, con gli occhi celesti e la chioma angelica, ricordando in mille interviste come Musumeci sia uomo non di centro ma di destra, anzi di destra-destra, un vero fascistone. 
 
E per battere i grillini sul loro terreno ce ne vorrebbero tanti col pizzetto alla Italo Balbo nelle candidature comuni al Sud, e tanti con la ruspa come Salvini al Centro-Nord, perché la guerra si vince nella trincea degli istinti primordiali: rabbia, insicurezza, protesta, paura.
 
Gli «smoderati» di Arcore 
Berlusconi è corso ai ripari proclamando, nel monologo su Fb rilanciato da qualche Tg, che la vittoria è «moderata», e il moderatismo «azzurro» è «la sola alternativa al pericolo che il Paese cada in mano al ribellismo, al pauperismo, al giustizialismo». Ce l’ha coi grillini, l’ex-premier, ma per sua disgrazia gli «smoderati» se li ritrova in casa. E se mai dovesse vincere, li porterebbe a Palazzo Chigi. Diventerebbe il loro Cavallo di Troia.
 
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4224  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. La scelta di Pisapia: una Lista Progressista autonoma, né con... inserito:: Novembre 12, 2017, 12:14:24 pm
La scelta di Pisapia: una Lista Progressista autonoma, né con Renzi né con D’Alema
La Convention del Movimento fondato dall’ex sindaco si prepara a dare il via libera ad una offerta elettorale assieme ai Radicali di Emma Bonino e ad un arcipelago di forze civiche
Pubblicato il 11/11/2017 - Ultima modifica il 11/11/2017 alle ore 08:31

FABIO MARTINI
Con l’approssimarsi dello scioglimento delle Camere, si definisce sempre meglio l’offerta elettorale e si accelera la definizione di nuove Liste. 

Dopo la svolta nello schieramento di estrema sinistra, con la decisione di unire sotto la guida di Pietro Grasso tre spezzoni (Mdp, Sinistra italiana, Montanari&Falcone), domani a Roma anche il Campo progressista di Giuliano Pisapia definirà quel che è stato deciso oramai da una decina di giorni: la disponibilità a formare una Lista progressista, per dirla con le parole dell’ex sindaco di Milano, <autonoma sia dal Pd che dall’Mdp>. Destinati a confluire in questa Lista i Radicali italiani di Emma Bonino, i Verdi, personalità del mondo prodiano come Giulio Santagata, probabilmente il Psi di Riccardo Nencini, alcuni sindaci, una parte dell’associazionismo “civico”.
 
Una volta consolidata la scelta, che era presa da tempo a dispetto delle ricostruzioni giornalistiche che ipotizzavano un Pisapia “attratto” da Grasso, in quest’area resta da definire un punto: la nuova Lista autonoma dagli altri soggetti, dovrà spingersi fino a rifiutare alleanze tecniche col Pd nei collegi? Su questo punto le posizioni dei vari soggetti della Lista in formazione restano diverse: nessuno si fida di Renzi, ma la possibilità di offrire agli elettori delusi dal Pd un voto “utile” nei collegi, resta un’opzione non scartata.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/11/11/italia/politica/la-scelta-di-pisapia-una-lista-progressista-autonoma-n-con-renzi-n-con-dalema-Z0xkA1BJDIGHn4flnttVhN/pagina.html
4225  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / MICHELE FUSCO RENZI PUÒ MIGLIORARE “SOLO” DA PREMIER. MA VOI LO VOLETE SEGRETARI inserito:: Novembre 09, 2017, 06:02:21 pm
RENZI PUÒ MIGLIORARE “SOLO” DA PREMIER. MA VOI LO VOLETE SEGRETARIO (E INCAPACE)
   
MICHELE FUSCO
7 novembre 2017
   
Renzi segretario è stato (è) uno più scarsi della storia del Partito Democratico e sigle precedenti. Un segretario abulico, molto svogliato, per nulla interessato allo sviluppo di una comunità così vasta, un segretario a cui le radici, la storia, la memoria di quel partito, paiono essere un fardello insostenibile più che un valore condiviso. Sembra che ti faccia sempre un favore. Un segretario che ama circondarsi di groupie più che di dirigenti capaci, un segretario che considera del tutto provvisoria quella poltroncina del Nazareno dove ogni tanto posa le sue amabili terga, perché tanto aspetta l’altra, la poltrona vera di palazzo Chigi, quella dove si spalma con soddisfazione la sera, alla fine di una giornata di lavoro.
Renzi presidente del Consiglio non è stato il più scarso nella storia di questo Paese. È stato sì un presidente molto discusso, spesso si è rovinato con le sue stesse mani, ricercatore finissimo di risse continue, di nemici d’ogni tipo, ma presidente capace anche di slanci, di iniziative che avevano un senso, di visioni primitive che potevano avere un futuro. Molto ha sbagliato, qualcosa ha fatto giusto. Come sempre ha personalizzato troppo, credendosi più forte della politica. La politica, gli elettori, lo hanno bastonato.
Oggi non avremmo dubbi su quale dei due Renzi puntare ancora un soldino di speranza. Uno è assolutamente irrecuperabile, fa un mestiere che non gli piace, soprattutto considera quel mestiere completamente privo di Potere, che è poi l’alimento-chiave della sua esistenza. Non si rende neppure conto del peso che può avere (ancora) il segretario del maggiore partito del paese, è tecnicamente irrisolto, persino incapace nel dialogo necessario con l’istituzione governo. Renzi presidente del Consiglio conserva invece una possibilità di crescita, ammesso che il nostro abbia fatto tesoro degli errori capitali in cui è incorso, ammesso che abbia compreso pienamente la profondità dello statista che per definizione vola alto, nelle scelte degli uomini che lo affiancheranno, nel rigore necessario della vita personale e pubblica, nella perdita di quella disinvoltura provinciale da bar sport che lo rende persino ridicolo.
Bene, detto tutto ciò cosa sta succedendo in queste ore? Sta succedendo che l’odio in purezza che circonda Renzi, in buona parte ascrivibile agli scissionisti ma non solo (diversi pararenziani sono nei pressi del tradimento), stia per partorire l’osceno finale di partita, la più grande beffa per cittadini inconsapevoli, il più evidente e fottuto degli errori: tenersi Renzi segretario del Partito Democratico, un incapace seriale, e toglierlo definitivamente dal mazzo dei possibili candidati a Palazzo Chigi con la scusa che questa apertura riaprirebbe i giochi alla “gioiosa macchina da guerra” 2 sotto forma di modestissima coalizione di centro-sinistra. E il bello è che in questo senso si starebbe facendo convincere lo stesso Renzi, ormai devastato ai dubbi e dagli sguardi tremolanti dei suoi collaboratori (tipo questo Rosato, complimenti).
Per cui alla fine noi cittadini ci dovremo tenere la Motozappa maxima al Nazareno, dove verrà stancamente con ritmi da pensionato Inps, e ci saremo invece preclusi la possibilità di una scommessa magari vincente con un presidente del Consiglio migliore di quello che avevamo visto sinora. Insomma, una morale al ribasso in pieno stile Pd.

Da - http://www.glistatigenerali.com/governo_partiti-politici/renzi-puo-migliorare-solo-da-premier-ma-voi-lo-volete-segretario-e-incapace/
4226  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / Il CentroSinistra (Ulivo) sbandierato da chi lo ha distrutto dopo averlo fatto.. inserito:: Novembre 07, 2017, 12:27:25 pm
Il CentroSinistra (Ulivo) sbandierato da chi lo ha distrutto dopo averlo fatto nascere malconcio (in mala fede), non dovrà essere un Partito, non dovrà essere uno spezzatino di partiti-personali, non dovrà essere una coalizione politica dai piedi d'argilla.

Noi Semplici Cittadini (poco numerosi) da mesi indichiamo su FB come soluzione possibile la nascita del POLO DEMOCRATICO intendendolo espressione di un Progetto Italia da presentare agli elettori per l'approvazione con il voto nelle prossime elezioni politiche.

Il Progetto Italia sarà definito da realtà sociali e politiche di Centro e di Sinistra che, dopo l'approvazione elettorale, formeranno il Governo che dovrà realizzarlo nel quinquennio successivo.   

ggiannig

4227  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Un altro episodio di promozione del CAOS per affrontare (in modo sbagliato e ... inserito:: Novembre 07, 2017, 12:25:07 pm
Un altro episodio di promozione del CAOS per affrontare (in modo sbagliato e assurdo) problemi che nascono dall'insoddisfazione o da rivendicazioni. A pensarci serenamente sono molti nel Mondo (compresa l’Italia) gli episodi di azioni adatte per generare il Caos.

Un presidente USA per lo meno fuori dal comune, i referendum farlocchi in Europa, i parlamentari litigiosi come avventori sbronzi di un bar, incendi dolosi enormi in aree di malessere, capi di stato con il pallino delle minacce nucleari, scandali sessuali sollevati dopo anni di consuetudine sino ad ora celati, e molto altro ancora.

Cicerone ci chiederebbe a chi giova il Caos?

ciaooo
Da FB del 31/10/2017 (Catalogna in Europa)
4228  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Armando MASSARENTI - Mario Ricciardi, recensendo la nuova edizione di «Stato e.. inserito:: Novembre 07, 2017, 12:20:22 pm
Mario Ricciardi, recensendo la nuova edizione di «Stato e rivoluzione» di Lenin edita da Donzelli, oggi, nelle pagine Scienza e filosofia del supplemento Domenica, racconta dell'incontro tra il rivoluzionario russo e il grande filosofo Bertrand Russell, avvenuto nel 1920, pochi anni dopo la rivoluzione russa di cui in questi giorni ricorre il centenario. Russell fu uno dei primi, anche se non l'unico, a comprendere appieno che i valori dell'eguaglianza e della libertà, che pure avevano mosso l'intellettualità socialista cui egli stesso apparteneva, erano stati ampiamente traditi. Possiamo considerarlo il capostipite di quelle critiche che i riformatori più illuminati avrebbero mosso al comunismo - da Orwell a Koestler a Silone a Berlin - a partire da posizioni liberaldemocratiche o liberalsocialiste contrarie a ogni illusoria idea di società perfetta. Tra questi va annoverato un grande storico come Piero Melograni, collaboratore del Sole 24 Ore Domenica, che verrà ricordato domani a cinque anni dalla morte, in presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a Roma, all'Accademia dei Lincei. L'incontro prenderà le mosse da un pamphlet, assai lungimirante, che Melograni scrisse esattamente 40 anni fa, il «Saggio sul potere» di cui parla oggi la mia rubrica Filosofia minima. «L'uomo delle società di massa sacrifica troppo spesso l'autonomia e lo spirito critico per ottenere in cambio false certezze», scriveva Melograni nel 1977. L'irrazionalità delle masse è direttamente proporzionale alla mancata accettazione dell'insicurezza che, benché poco piacevole, è la condizione normale dell'esistenza. Ciò spinge gli uomini, in costante ricerca di punti fermi, nelle braccia dei capi, dei partiti, delle ideologie, sovraccaricate di compiti e di utopie irrealizzabili. Come quella che spinse i russi, un secolo fa, nelle braccia della dittatura comunista.

Armando Massarenti
   @massarenti24
Da – ilsole24ore.com
4229  Forum Pubblico / ARTE - Letteratura - Poesia - Teatro - Cinema e altre Muse. / ORTESE, Anna Maria ... inserito:: Novembre 07, 2017, 12:14:22 pm

Di Monica Farnetti - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

ORTESE, Anna Maria. – Nacque a Roma il 13 giugno 1914 da Oreste, funzionario di Prefettura, e da Beatrice Vaccà.

Il padre, nato a Caltanissetta, vantava origini catalane e Ortese era l’esito dell’italianizzazione di un originario Ortez («il cognome era iberico, assai più breve del mio»: cfr. Ragazzo iberico, in La luna che trascorre, 1998, p. 96). La madre, nata a Napoli, era invece discendente per parte di padre da una famiglia di apprezzati scultori della Lunigiana noti a partire almeno dal Settecento. Bella, intensa e misericordiosa, compare più volte nelle opere della scrittrice a segnare l’origine del suo romanzo familiare e del suo destino di artista. La coppia ebbe, oltre ad Anna Maria, sei figli (una femmina e cinque maschi), verso i quali la scrittrice testimoniò sempre un profondo trasporto.

Nel 1915 il padre venne richiamato al fronte. La madre, i figli e la nonna materna, fonte di tenero affetto e di magici racconti, lasciata la capitale si trasferirono in Puglia e poi in Campania, a Portici. Terminata la guerra, nel 1919 la famiglia si ritrovò riunita a Potenza, sede del nuovo incarico governativo di Oreste, e vi soggiornò fino al 1924. Nel 1921 Anna Maria venne iscritta alla scuola elementare 18 agosto 1860, dove ripeté la terza classe. Le irrequietezze e le smanie geografiche del padre indussero quindi gli Ortese a un soggiorno triennale (1925-28) in Libia, colonia italiana.

Il periodo africano si fissò come un’esperienza capitale nella memoria dell’autrice: «Mi ha abituata allo spazio. Questa è la lezione dell’Africa. Essere dentro la natura anziché fuori» (Maraini, 1973, p. 25). Alla scuola italiana di Tripoli portò a compimento il ciclo elementare. In un terreno ai confini del deserto Oreste iniziò quindi a costruire una disgraziatissima nuova casa: «Mio padre la volle costruire con le pietre di una cava che aveva comprato assieme con il terreno. Ma non poté mai finirla […]. Sembrava la casa dei fantasmi. Senza porte, senza finestre, col tetto metà coperto e metà no, il pavimento mezzo di pietra e mezzo di terra. Da questo pavimento di terra sbucavano scorpioni, topi, scarafaggi. Dalle porte aperte entravano gli sciacalli. Era un inferno» (ibid., p. 29). Il tempo, dapprima felice e speranzoso, trapassò lentamente in eventi malinconici e d’improvviso si chiuse, sigillato dalla morte della nonna («Ella passò dal sonno alla morte. Sulle mie braccia la portai fuori, come pazza, e scavata una buca sulla spiaggia […] vi seppellii la mia compagna candida»: Lo sconosciuto, in Angelici dolori e altri racconti, 2006, p. 334).

Nel 1928 rientrarono in Italia e si stabilirono a Napoli, occupando la casa al numero 29 di via del Piliero (oggi Cristoforo Colombo), affacciata sul mare e sui cancelli del porto, che si sarebbe imposta fra i protagonisti del romanzo autobiografico Il porto di Toledo (1975). Anna Maria frequentò per qualche mese una scuola commerciale, ma ben presto agli studi subentrarono lunghe passeggiate e i libri di viaggio e di avventura («Leggevo moltissimo. Fantasticavo su grandi viaggi che avrei fatto. […]. I miei fratelli sono partiti. Erano maschi. Io no. Viaggiavo con la testa»: Maraini, 1973, p. 29). Alcune lezioni di pianoforte completarono il suo singolarissimo curriculum di autodidatta («Facevo i compiti per i miei fratelli. Così ho finito per fare lo stesso le scuole», ibid.). Tuttavia furono questi gli anni decisivi della sua crescita e il romanzo autobiografico, specie nelle sue prime pagine, ne è uno straordinario documento. Furono, peraltro, anni di relativa stanzialità, che segnarono una pausa nelle continue peregrinazioni della famiglia e consentirono alla scrittrice di maturare il suo nevralgico rapporto con la città.

Episodio capitale di quel periodo fu la morte del fratello Emanuele Carlo, detto Rassa, di professione marinaio, avvenuta il 6 gennaio 1933 al largo della Martinica. Per l’adolescente Anna Maria fu il primo, grandissimo dolore, nonché l’evento destinato a promuoverla d’un tratto scrittrice. Fu infatti per far fronte a quella pena alienante e senza riparo, propria e altrui (e segnatamente della madre, l’Apa del romanzo autobiografico), che prese in mano la penna e scrisse di getto il testo del suo ufficiale debutto letterario: «Un giorno, la luce fu piena, sebbene sempre assai luttuosa, e tornò sulle mie mani […]. Allora, sentendo dentro di me un gran vuoto e insieme affetto […], vedendo Apa starsene soletta al sole, come un’orfana, nella sua stanza, pietà e memoria mi vinsero, e scrissi la seguente espressività» (Il porto di Toledo, [1975] 1998, p. 43). Seguono, nel romanzo, citazione e parafrasi del testo poetico che, ospitato sulle colonne dell’Italia letteraria del 3 settembre di quell’anno sotto il titolo di Manuele, rivelò per la prima volta al pubblico italiano il nome di Anna Maria Ortese.

La collaborazione con L’Italia letteraria continuò e si rafforzò negli anni seguenti. Nel 1934 vi esordì anche come narratrice e il passaggio alla prosa si rivelò provvidenziale, giacché Pellirossa, racconto ambientato fra gli indiani d’America e precocemente rivelatore dell’elettiva hispanidad dell’autrice, segnò per lei, nonché per chi la lesse, un immediato e indubbio traguardo espressivo. Comparvero quindi fra le pagine della stessa rivista, nel 1936, altri cinque racconti (quattro dei quali pubblicati sotto lo pseudonimo di Franca Nicosi), radunati assieme al primo e ad altri sette inediti nella raccolta di esordio, Angelici dolori (Milano 1937), che uscì presso Bompiani e con il patrocinio di Massimo Bontempelli. Il libro, fatto oggetto di due leggendarie stroncature a firma di Enrico Falqui e di Giancarlo Vigorelli, rivelò tuttavia le straordinarie qualità della narratrice e la precoce saldezza della sua poetica.

Il 1937 fu l’anno della morte di Antonio, gemello di Anna Maria, anch’egli marinaio, ucciso in Albania. «Antonio ed Emanuele sono morti giovani, lontano da casa. E questo ha segnato la fine della adolescenza di tutti gli altri» (Maraini, 1973, p. 22). A far data dal 1938 Ortese iniziò a spostarsi da Napoli e a frequentare il Nord Italia. Firenze, Trieste, Venezia furono le tappe salienti. Nella città lagunare giunse nel 1939 e lavorò come correttrice di bozze nella redazione del Gazzettino, sulle cui colonne pubblicò anche alcune prose (fra cui Maestri spagnoli alla mostra di Ginevra del 22 luglio 1939, che rivelò il suo debito di creatività visionaria nei confronti della pittura di El Greco). Nello stesso anno si recò a Trieste dove partecipò ai Littoriali femminili e li vinse, ottenendo di conseguenza l’accesso a testate importanti (fra le quali Belvedere e L’Ateneo veneto, e a seguire Il Mattino, Il Messaggero e Il Corriere della sera). La pubblicistica divenne di lì in poi fonte di sostentamento e al pezzo di carattere narrativo iniziò ad accompagnare l’elzeviro e il giornalismo di cronaca. La sua famiglia, nel frattempo decimata dalle partenze di altri due fratelli marinai, negli anni di guerra prese a spostarsi con lei, fra Sud e Nord.

Nel giugno del 1945 rientrò a Napoli, con i genitori e la sorella Maria. La casa del Pilar, gravemente danneggiata, venne di lì a poco demolita e gli Ortese, dapprima ospitati in un edificio per sfollati simile a quello tristemente celebre del III e IV Granili (v. La città involontaria, in Il mare non bagna Napoli, 1953), nel 1946 si trasferirono nel misero ‘basso’ di via Palasciano alla Riviera (di Chiaia) n. 47 in cui fu ambientato Un paio di occhiali, il racconto più celebre de Il mare non bagna Napoli. Ortese iniziò una collaborazione più regolare a quotidiani e periodici, soprattutto napoletani (La Voce, Risorgimento, Sud), ai quali consegnò meno ‘favole’ e più prose d’inchiesta e di reportage.

In particolare Sud, la rivista fondata e diretta da Pasquale Prunas fra il novembre 1945 e il settembre 1947, importante polo di aggregazione degli intellettuali progressisti partenopei di origine o di adozione, costituì, oltre che un’occasione di sviluppo culturale e politico, un episodio affettivo di grande rilievo. L’avventura di Sud, che l’autrice poi ritrasse nella fase di declino degli entusiasmi e delle speranze all’interno del suo libro napoletano per eccellenza (cfr. Il silenzio della ragione, in Il mare non bagna Napoli), avrebbe avuto quindi un contraccolpo polemico e doloroso (gli amici infatti non le perdonarono quelle parole di verità che avevano messo spietatamente a nudo le loro contraddizioni), i cui strascichi si sarebbero protratti fino agli ultimi anni dell’autrice.

In quel periodo Ortese tentò di emigrare negli Stati Uniti ma il progetto di espatrio non ebbe successo e l’autrice si limitò a peregrinare per l’Italia, facendo regolarmente ritorno a Napoli. Come testimoniò molti anni dopo in La lente scura (1991), che raccoglie i suoi scritti di viaggio, fu per periodi più o meno lunghi a Bologna e Firenze, Milano, Palermo, Reggio Calabria e quindi a Roma, dove dall’inverno del 1946 frequentò saltuariamente il salotto di Maria e Goffredo Bellonci e avviò nuove collaborazioni letterarie e giornalistiche.

Fra il 1948 e il 1950, mentre sempre meglio si andava definendo come giornalista intraprendente e militante (nel 1950 il suo nome iniziò a comparire su l’Unità e l’anno seguente sul settimanale dell’Unione donne italiane [UDI] Noi donne), pubblicò su varie testate e soprattutto in Milano-sera gran parte dei racconti che, nello stesso 1950, confluirono nel volume L’Infanta sepolta, sua seconda raccolta, titolo inaugurale della collana «Narratori contemporanei» della casa editrice Milano-sera omonima del quotidiano. La città di Milano andò nel frattempo definendosi come possibile sede in cui iniziare una nuova stagione della vita.

Nel 1951 inaugurò la collaborazione con altre due testate importanti per la sua carriera giornalistica, Il Corriere di Napoli e Il Mondo, da dove si segnalò al grande pubblico con gli scritti su Napoli destinati a comporre, assieme ad altri, Il mare non bagna Napoli.

Il volume uscì nel 1953 come diciottesimo titolo della collana «I Gettoni» diretta da Elio Vittorini presso Einaudi, sollevando ardenti polemiche in ambiente napoletano e presso gli ex collaboratori di Sud. Fu insignito con il premio Viareggio, ex aequo con le Novelle dal Ducato in fiamme di Carlo Emilio Gadda, dopo che i singoli capitoli apparsi nel Mondo erano valsi all’autrice, nel 1952, il premio giornalistico Saint-Vincent: «Avevo mandato una serie di tre articoli, che riguardavano la miseria di Napoli, a un concorso giornalistico nazionale, ma non ci pensavo più […]. Ed ecco, una sera, squilla il telefono fortemente […]. Mi precipito in corridoio, prendo tremando il ricevitore, e subito una voce lontana mi dice che ho vinto duecentomila lire!» (cfr. Poveri e semplici [Firenze 1967] 1974, pp. 22 s.). A parlare qui è Bettina, alter ego della scrittrice in Poveri e semplici e in un altro libro autobiografico: Il cappello piumato (1979).

Ortese, nel frattempo, perduti entrambi i genitori, si era stabilita a Milano, cambiando varie dimore e affezionandosi in particolare a quella situata entro la cerchia dei Navigli, di fronte alla chiesa di S. Maria presso S. Celso, che aveva occupato assieme a un gruppo di artisti, giornalisti e scrittori con i quali condivideva ardenti entusiasmi intellettuali e politici nonché una precaria esperienza di vita comunitaria («Eravamo […] veramente artisti? O semplicemente comunisti? O dei poveri sbandati? Chissà» (v. Poveri e semplici, ed. cit., p. 12). Una trepidante e malinconica vicenda sentimentale, narrata specularmene nei due romanzi milanesi, si svolse quindi fra Bettina e il sedicente Gilliat (il giornalista e scrittore Marcello Venturi), venerato con lo stesso ardore di cui sarebbe stato fatto oggetto nel Porto di Toledo il misterioso Lemano (lo storico Aldo Romano: cfr. Clerici, 2002, p. 75) amato nell’adolescenza. Se in Poveri e semplici è riportato con dovizia di particolari l’episodio della vittoria del Viareggio, nel Cappello piumato si racconta il problematico viaggio in Russia, risalente al settembre 1954, che Ortese compì con una delegazione dell’UDI composta di 15 donne di diversa professione. Il contrasto con queste donne, assieme alla cattiva accoglienza riservata ai reportage pubblicati, oltre che in Noi donne e su l’Unità, anche su L’Europeo, determinò l’uscita di Ortese dal Partito comunista italiano, al quale aveva aderito nel 1945 sopraffatta dal dolore della guerra («Ero terrorizzata e indignata. Sono andata in una sezione del Pci perché mi sembrava l’unica cosa da fare»: Maraini, 1973, p. 32). Quella scelta diffuse un’ombra di malinconia sul ricordo di tutti gli anni milanesi («Non ho avuto nessuna gioia a Milano. È una città austriaca, dura, crudele. Ho sofferto la miseria più nera. Ero sola. Poi sono uscita dal partito perché volevano che io non ragionassi con la mia testa ma con la loro»: ibid., p. 33). Con quegli stessi articoli l’autrice ottenne peraltro una seconda volta, nel 1955, il premio Saint-Vincent.

Anche questa stagione, alla quale corrispose grosso modo il decennio più attivo (1950-60) del giornalismo di Ortese, si chiuse con un libro, Silenzio a Milano (Bari 1958), che ne rappresentò il bilancio. Si tratta ancora d’una raccolta mista di prose giornalistiche e narrative, derivate quasi per intero dalle colonne dell’Unità e dalle pagine de L’Europeo degli anni 1955-57, «sulla Milano reale che si presentava ai miei occhi di immigrata. […] una città dove ogni cosa era in vendita, tutto aveva un cartellino, e per la famosa contemplazione o definizione del mondo (arte, scrittura) non vi era più speranza» (cfr. Corpo celeste, in Silenzio a Milano, 1958, p. 78). Dello stesso anno è I giorni del cielo, volume con il quale Ortese inaugurò il rapporto con la casa editrice Mondadori e nel quale antologizzò i racconti più amati delle due prime raccolte.

Con la fine degli anni Cinquanta iniziarono lentamente a diradarsi le collaborazioni giornalistiche e vennero perseguiti con maggior concentrazione, sebbene in condizioni economiche e materiali sempre estremamente precarie, gli obiettivi della scrittura romanzesca. Ne sortì L’Iguana, i cui primi otto capitoli apparvero nel Mondo fra l’ottobre e il novembre 1963 e che venne poi pubblicato da Vallecchi (1965), iniziando il percorso di un’assai contrastata fortuna. Fin dall’origine tuttavia il progetto fu investito di un significato particolare e si configurò come operazione di assoluto rilievo. Fu, per Ortese, l’improvvisa e subito sicura individuazione delle coordinate su cui si sarebbe fondata la sua grande maturità di scrittrice, oltre che l’approdo decisivo alla forma del romanzo. Fatto tesoro delle competenze acquisite negli anni giovanili, che l’avevano educata a cogliere da un lato i ‘prodigi’ del reale (come testimoniano le due prime raccolte), dall’altro l’estrema durezza del vivere sociale e umano in genere (ciò di cui danno riscontro i due libri-inchiesta su Napoli e Milano), si mostrò d’un tratto capace di rendere conto della terribile evidenza della realtà e, simultaneamente, di nutrire una fiducia incondizionata nella sua esistenza, iniziando ad assumere la misericordia e la solidarietà verso le creature più indifese e umili quali presupposti stessi del suo pensare e del suo narrare. La stessa casa editrice fiorentina accolse di lì a poco Poveri e semplici. Quindi l’autrice, approdata nel frattempo da Milano a Roma e poi a Firenze per lavorare a stretto contatto col suo nuovo editore, lo abbandonò per Rizzoli (fecero ancora in tempo a uscire presso Vallecchi le raccolte di racconti La luna sul muro, 1968, e L’alone grigio, 1969, al solito composte di pochi inediti e di molte riscritture di testi editi). La necessità di guadagnare e il bisogno di riposo incalzavano, come sempre. E fu per una dichiarata «necessità di sopravvivere» (v. Corpo celeste, ed. cit., p. 83), non per altro, che Ortese si dispose a scrivere per l’editore milanese quello che poi risultò il suo libro più importante.

La prima metà degli anni Settanta trascorse quasi interamente all’insegna della difficile gestazione e della sofferta stesura del Porto di Toledo. Il progetto iniziale («scrivere una libera e allegra “introduzione” ai miei primi racconti, quell’Angelici dolori che mi proponevo di offrire all’editore di Firenze», ibid.) si modificò in corso d’opera, giacché il rievocare il tempo in cui quei racconti erano stati pensati e scritti indusse l’autrice a rivivere, con tumultuoso slancio, quegli anni cupi e splendenti, e a raccontarli in una sorta di ‘cornice’ entro cui incastonare i racconti stessi. Avvenimenti funesti costellarono l’intero iter del lavoro, portato avanti fra terribili disturbi acustici provocati da imprese edili (nella palazzina milanese di via Molino delle Armi, dove il lavoro prese avvio) e da vicini rissosi (nella casa romana di piazza Ennio, occupata in seguito, dove a nulla valse l’ingegnosa costruzione di una cella di isolamento sonoro al centro della stanza), in uno stato di grande «dolore mentale» (ibid., p. 85: Ortese soffrì, come è clinicamente documentato, di disturbi neurologici, stati di assenza ed episodi convulsivi). Nonostante tutto, l’opera venne portata a termine e nel 1974 il libro fu pronto per la stampa. L’autrice lo aveva ripetutamente concepito come l’ultimo, e anche se i fatti poi la smentirono («Il mio ultimo libro, tuttavia, non fu questo»: ibid., p. 50), si trattò di una smentita solo parziale, poiché quel libro dovette di fatto impegnarla a più riprese e fino alla morte, rivelandosi davvero l’ultimo.

Il porto di Toledo (Milano 1975) inaugurò il rapporto con Rizzoli destinato tuttavia, fin da subito, a rivelarsi problematico. L’autrice non ne ebbe soddisfazione sul piano umano (che sempre cercava di coltivare, avendo fatto fin dall’inizio irruzione nella società letteraria con un’incongrua e fortissima domanda d’amore) né, tantomeno, su quello economico. Oltremodo avvilita e depressa, e in perduranti difficoltà finanziarie, meditò e realizzò l’ultimo trasferimento, approdando nello stesso 1975 nella cittadina ligure di Rapallo con la sorella Maria. Iniziò un penoso decennio, denso di progetti abortiti e rifiuti editoriali, durante il quale le sorelle vissero stentatamente (con la modesta pensione di impiegata postale di Maria) e le condizioni dell’autrice peggiorarono, fra disturbi nervosi e deperimento organico.

Proseguì nel frattempo, malgrado tutto, il lavoro letterario. Il cappello piumato, steso tanti anni prima, nel 1979 trovò finalmente una collocazione presso Mondadori («Riuscii a pubblicarlo solo dopo vent’anni. È che adesso lo si considerava, in qualche modo, politico»: Corpo celeste, ed. cit., p. 79). Nuovi editori accolsero quindi brevi raccolte dei suoi scritti di viaggio, da Pellicanolibri (Il treno russo, Catania 1983; Estivi terrori, Roma 1987) a Theoria (Il mormorio di Parigi, Roma-Napoli 1986), e la sua firma tornò a comparire sulla stampa periodica iniziando a contrassegnare lettere aperte, prose di denuncia e di riflessione morale. Ma l’avvenimento più importante fu la pubblicazione de L’Iguana (nel frattempo già ristampato da Rizzoli, nel 1978, e passato di nuovo inosservato) presso Adelphi (Milano 1986), su segnalazione di Pietro Citati. Nel giro di un anno uscì presso lo stesso editore, che già nel 1984 aveva ristampato Il mare non bagna Napoli, anche la raccolta In sonno e in veglia (ibid. 1987, mentre il racconto La morte del folletto, appartenente alla raccolta, usciva autonomamente presso la casa editrice romana Empirìa), e si rafforzò per la scrittrice uno dei rapporti più importanti della sua carriera professionale: «Sì, ho incontrato l’Adelphi: hanno creduto nei miei libri, li hanno pubblicati con riguardo, è stato un miracolo» (Polese, 1996, p. 65).

Con i 25 milioni di lire del premio Fiuggi alla cultura, assegnato alla scrittrice nel 1986, e con il vitalizio della legge Bacchelli (ottenuto per tramite dell’amico Dario Bellezza, cui si coniugò l’appello di un folto gruppo di intellettuali), che mensilmente iniziò a ricevere a partire dallo stesso 1986, le sorelle Ortese poterono acquistare un appartamento, al numero 170 di via Goffredo Mameli («Ho cambiato trentasei case, dieci città», avrebbe detto poi, riepilogando: Polla-Mattiot, 1996, p. 94).

Iniziò così un periodo di tardiva, e relativa, tranquillità, nel quale si dedicò assiduamente alla scrittura. Oltre alla nutrita raccolta di scritti di viaggio edita da Marcos y Marcos (La lente scura, Milano 1991), grazie all’impegno di Luca Clerici uscirono per i tipi di Adelphi, via via più attesi e in un clima di adeguata attenzione di critica e pubblico, i grandi romanzi della maturità dal respiro cosmologico, Il cardillo addolorato (ibid. 1993), e Alonso e i visionari (ibid. 1996), scortati dal formidabile libretto di prose «di meditazione e di memoria» Corpo celeste (ibid. 1997), mentre la casa editrice Empirìa, diretta dall’amica Marisa di Jorio, pubblicò le due raccolte poetiche Il mio paese è la notte (Roma 1996) e La luna che trascorre (ibid. 1998).

Si tratta complessivamente di libri che testimoniano dell’atmosfera di bilancio in cui l’autrice lavorò in quest’ultima sua stagione, rivisitando i generi letterari nei quali nel corso della vita si era cimentata e in ciascuno di essi mirabilmente perfezionandosi. Soprattutto i romanzi contribuirono al definitivo consolidarsi della sua statura e fama di scrittrice. Lettori e lettrici si moltiplicarono, così come traduzioni, premi e onorificenze (fra i quali l’Elsa Morante-Isola di Arturo nel 1986 per In sonno e in veglia e il Betocchi nel 1997 per Il mio paese è la notte, mentre la giuria del Campiello le assegnò nel 1997 il premio alla carriera).

La sua presenza sui giornali si manifestò, oltre che nelle numerose interviste cui si sottopose all’uscita dei nuovi libri, in scritti di riflessione e di discussione sui grandi problemi (la difesa degli animali, la pena di morte, i diritti umani) che sempre più esclusivamente la interessarono.

Nel 1995, la morte della sorella Maria fu una perdita dolorosissima («Mia sorella è stata la mia patria; non ne ho avuta un’altra di patria, io»: Polese, 1996, p. 64). Nello stesso anno rientrò in Italia il fratello Francesco, residente in Canada, che subentrò a Maria nell’accudire la scrittrice, gravemente disturbata da un difetto cardio-circolatorio e sempre meno in grado di vivere in modo autosufficiente. Segnarono alcune felici interruzioni della sua abituale residenza a Rapallo i periodi trascorsi, fra il 1997 e il 1998, a Milano, dove si recò per lavorare alla nuova edizione adelphiana del Porto di Toledo alloggiando presso il residence Anni azzurri (situato nella stessa zona della città di cui parla con affetto nei romanzi milanesi), e potendo contare sull’affettuoso appoggio e aiuto di alcuni redattori della casa editrice. Il lavoro di correzione, e in parte di riscrittura, che svolse sulla prima edizione del romanzo la impegnò in sommo grado, rivelando la sua predilezione per quel libro che, fra tutti i suoi, più a lungo l’accompagnò nel corso della vita.

Morì il 10 marzo 1998, all’ospedale di Rapallo, in seguito a un collasso cardio-circolatorio e, secondo le sue volontà, venne seppellita nel cimitero genovese di Staglieno.

La nuova edizione del Porto di Toledo, che porta il «finito di stampare» in quello stesso mese e anno, uscì di poche settimane postuma. Assidue ricerche bibliografiche e d’archivio, svolte soprattutto sulle carte (le uniche sopravvissute ai numerosissimi e insistiti traslochi) rinvenute nella casa di Rapallo e custodite ora presso l’Archivio di Stato di Napoli, hanno consentito di arricchire il profilo e l’edizione del romanzo con tutti i materiali preparatori (fra i quali un fascicolo, risalente addirittura al 1928-29, rivelatosi l’illuminante diario di un’Ortese quattordicenne) che ne documentano e ne arricchiscono la lunga vicenda, e ne confermano al contempo la definizione di libro capitale (cfr. Romanzi I). Le carte liguri-napoletane hanno rivelato che anche Il cardillo addolorato ebbe una sua primitiva, mirabile versione, consistente nel racconto Mistero doloroso pubblicato postumo da Adelphi nel 2010 (per cui cfr. anche Romanzi II) e hanno svelato altresì l’insospettata inclinazione di Ortese, oltre che al romanzo breve (come testimonia il dittico Il Monaciello di Napoli - Il fantasma, comparso sempre presso Adelphi nel 2001), alla scrittura teatrale: ciò di cui dà riscontro un disordinato faldone contenente un dramma in cinque atti, Il vento passa, rimasto incompiuto e pubblicato da Empirìa (Roma 2008) in una lezione necessariamente provvisoria, che consente tuttavia di apprezzarne l’imperfetto incanto. Ulteriori ricerche hanno consentito infine di pubblicare una raccolta di scritti sulla letteratura e sull’arte, Da Moby Dick all’Orsa Bianca (a cura di M. Farnetti), che Adelphi ha dato alle stampe nel 2011.

Resta da indagare l’immenso ambito della corrispondenza epistolare, del quale alcune importanti sezioni sono già state individuate e rese disponibili editorialmente da Rosellina Archinto (Alla luce del Sud. Lettere a Pasquale Prunas, a cura di R. Prunas - G. Di Costanzo, Milano 2006; nonché Bellezza, addio. Lettere di A.M. Ortese a Dario Bellezza 1972/1992, a cura di A. Battista, ibid. 2011). Mentre tutt’intorno all’opera di Ortese si è concentrata finalmente, e in molte forme quell’amorosa attenzione che la scrittrice desiderò per sé tutta la vita, e che seppe dal canto suo magistralmente riservare alle creature e alle cose del mondo.

Opere: Angelici dolori (Milano 1937); L’Infanta sepolta (ibid. 1950; a cura di M. Farnetti, ibid. 2000); Il mare non bagna Napoli (Torino 1953; Firenze 1967; Milano 1975; Firenze 1979; Milano 1994); Silenzio a Milano (Bari 1958; Milano 1986 e 1998); I giorni del cielo (ibid. 1958); L’Iguana (Firenze 1965; Milano 1978 e 1986); Poveri e semplici (Firenze 1967; Milano 1974); La luna sul muro (Firenze 1968); L’alone grigio (ibid. 1969); Il porto di Toledo (Milano 1975, 1985 e 1998); Il cappello piumato (ibid. 1979); Il treno russo (Catania 1983; Roma 1987); Il mormorio di Parigi (Roma-Napoli 1986); La morte del folletto (Roma 1987); Estivi terrori (ibid. 1987); In sonno e in veglia (Milano 1987); La lente scura. Scritti di viaggio (a cura di L. Clerici, ibid. 1991 e 2004); Il cardillo addolorato (ibid. 1993); Le giacchette grigie della Nunziatella (dalla rist. anast. del giornale di cultura Sud (1945-1947), a cura di G. Di Costanzo, Bari 1994); Alonso e i visionari (ibid. 1996); Il mio paese è la notte (Roma 1996); Corpo celeste (Milano 1997); La luna che trascorre (a cura di G. Spagnoletti, Roma 1998); Il Monaciello di Napoli - Il fantasma (a cura di G. Iannaccone, Milano 2001); Romanzi I (a cura di M. Farnetti, ibid. 2002; comprende: Poveri e semplici, Il cappello piumato, Il porto di Toledo); Romanzi II (a cura di M. Farnetti, con la collaborazione di A. Baldi - F. Secchieri, ibid. 2005; comprende: L’Iguana, Il cardillo addolorato, Alonso e i visionari); Angelici dolori e altri racconti (a cura di L. Clerici, ibid. 2006; comprende: Angelici dolori, I giorni del cielo, La luna sul muro, in cui confluiscono anche i due racconti veri e propri contenuti in Silenzio a Milano, L’alone grigio, una scelta di racconti inediti in volume); Il vento passa (introduzione di G. Patrizi, con un saggio di G. Spagnoletti, Roma 2008); Mistero doloroso (a cura di M. Farnetti, Milano 2010).

Fonti e Bibl.: E tu chi eri? Ventisei interviste sull’infanzia, a cura di D. Maraini, Milano 1973, pp. 21-34; G. Borri, Invito alla lettura di A.M. O., Milano 1988; G. Fofi, A.M. O., in Id., Strade maestre. Ritratti di scrittori italiani, Roma 1996, pp. 201-212; R. Polese, Questa mia vita terremotata (intervista a A.M. O.), in Amica, 14 giugno 1996; N. Polla-Mattiot, «Il mio paradiso è il silenzio» (intervista a A.M. O.), in Grazia, 19 giugno 1996; M. Farnetti, A.M. O., Milano 1998; P. Azzolini, La donna Iguana, in Il cielo vuoto dell’eroina. Scrittura e identità femminile nel Novecento italiano, Roma 2001 [ma 2000], pp. 209-236; L. Clerici, Apparizione e visione. Vita e opere di A.M. O., Milano 2002; G. Fiori, A.M. O. o dell’indipendenza poetica, Torino 2002; M. Pieracci Harwell, A.M. O., in Humanitas, n.s., LVII (2002), 2, pp. 247-283; G. Iannaccone, La scrittrice reazionaria. Il giornalismo militante di A.M. O., Napoli 2003; A.M. O. Aggiungere qualcosa all’universo (video RAI), a cura di L. Rotondo e con la collab. di M. Morbidelli (programma «Vuoti di memoria») 2006; L’archivio di A.M. O., inventario a cura di R. Spadaccini - L. Iacuzio - C.M. Cuminale, Napoli 2006; Per A.M. O., a cura di L. Clerici, n. monografico de Il Giannone, IV (2006), 7-8; A. Battista, O. segreta, Roma 2008; M. Farnetti, Toledo o cara. L’esilio di A.M. O., in Id., Tutte signore di mio gusto. Profili di scrittrici contemporanee, Milano 2008, pp. 159-172; P. Sabbatino, La scrittura teatrale di A.M. O., in Riv. di letteratura teatrale, I (2008), pp. 141-150; A.M. O. Le carte, Atti del convegno di studi… 2006, a cura di R. Nicodemo - R. Spadaccini, Napoli 2009; A. Baldi, La meraviglia e il disincanto. Studi sulla narrativa breve di A.M. O., Casoria 2010; M. Tortora, A.M. O. Cinema. Con sue lettere inedite, Avellino 2010.

Vedi anche
Romano, Lalla Scrittrice italiana (Demonte 1906 - Milano 2001). Dopo l'esordio poetico (Fiore, 1941), si affermò come narratrice dalla vocazione insieme intimista e realista con il romanzo Maria (1953). Nel segno della memoria sono i successi della maturità (La penombra che abbiamo attraversato, 1964; Le parole tra ... La Càpria, Raffaele La Càpria, Raffaele. - Scrittore italiano (n. Napoli 1922). Autore tra i più significativi del secondo Novecento italiano, ha al suo attivo una vasta produzione di narratore e di saggista. Nel suo romanzo più noto, Ferito a morte (1961, premio Strega), un'ardita sperimentazione viene adibita alla rappresentazione ... Davide Lajòlo Lajòlo, Davide. - Scrittore e uomo politico italiano (Vinchio 1912 - Milano 1984). La cifra della sua scrittura è un autobiografismo che attraverso la rievocazione di personali accadimenti mira a far luce sulle difficoltà politiche e morali di un'intera generazione: anche l'esperienza della Resistenza ... Flaiano, Ennio Scrittore e giornalista italiano (Pescara 1910 - Roma 1972). È stato critico cinematografico di varî periodici e, dal 1949 al 1953, redattore capo del settimanale Il Mondo; critico teatrale de L'Europeo e collaboratore del Corriere della Sera. Nei suoi libri di narrativa (Tempo di uccidere, 1947; Diario ...

 Da – treccani.it

4230  Forum Pubblico / SCRIPTORIUM 2017 - (SUI IURIS). / Antonio Gramsci: Ecco cos'è davvero il fascismo inserito:: Novembre 07, 2017, 12:08:00 pm
Gramsci – Ecco cos'è davvero il fascismo
31 ottobre 2017

Il discorso alla Camera di Antonio Gramsci sulla natura del fascismo. Una penetrante analisi del fenomeno fascista fu compiuta il 16 maggio 1925 alla Camera da Gramsci, nell’unico suo discorso parlamentare, mentre si discuteva la legge per la soppressione delle società segrete, diretta in primo luogo contro la Massoneria.

Di Antonio Gramsci
16 maggio 1925

Gramsci: “Il problema è questo: la situazione del capitalismo in Italia si è rafforzata o si è indebolita dopo la guerra, col fenomeno fascista? Quali erano le debolezze della borghesia capitalistica italiana prima della guerra, debolezze che hanno portato alla creazione di quel determinato sistema politico-massonico che esisteva in Italia, che ha avuto il suo massimo sviluppo nel giolittismo? Le debolezze massime della vita nazionale italiana erano in primo luogo la mancanza di materie prime, cioè la impossibilità per la borghesia di creare in Italia una sua radice profonda nel paese e che potesse progressivamente svilupparsi, assorbendo la mano d’opera esuberante. In secondo luogo la mancanza di colonie legate alla madre patria, quindi la impossibilità per la borghesia di creare una aristocrazia operaia che permanentemente potesse essere alleata della borghesia stessa. Terzo, la questione meridionale, cioè la questione dei contadini, legata strettamente al problema della emigrazione, che è la prova della incapacità della borghesia italiana di mantenere… (Interruzioni). Il significato dell’emigrazione in massa dei lavoratori è questo: il sistema capitalistico, che è il sistema predominante, non è in grado di dare il vitto, l’alloggio e i vestiti alla popolazione, e una parte non piccola di questa popolazione è costretta ad emigrare… Noi abbiamo una nostra concezione dell’imperialismo e del fenomeno coloniale, secondo la quale essi sono prima di tutto una esportazione di capitale finanziario. Finora l’imperialismo italiano è consistito solo in questo: che l’operaio italiano emigrato lavora per il profitto dei capitalisti degli altri paesi, cioè finora l’Italia è solo stata un mezzo dell’espansione del capitale finanziario non italiano. Voi vi sciacquate sempre la bocca con le affermazioni puerili di una pretesa superiorità demografica dell’Italia sugli altri paesi; voi dite sempre, per esempio, che l’Italia demograficamente è superiore alla Francia. È una questione questa che solo le statistiche possono risolvere perentoriamente ed io qualche volta mi occupo di statistiche; ora una statistica pubblicata nel dopoguerra, mai smentita, e che non può essere smentita, afferma che l’Italia di prima della guerra, dal punto di vista demografico, si trovava già nella stessa situazione della Francia dopo la guerra; ciò è determinato dal fatto che l’emigrazione allontana dal territorio nazionale una tal massa di popolazione maschile produttivamente attiva, che i rapporti demografici diventano catastrofici. Nel territorio nazionale rimangono vecchi, donne, bambini, invalidi, cioè la parte di popolazione passiva che grava sulla popolazione lavoratrice in una misura superiore a qualsiasi altro paese, anche alla Francia. È questa la debolezza fondamentale del sistema capitalistico italiano, per cui il capitalismo italiano è destinato a scomparire tanto più rapidamente quanto più il sistema capitalistico mondiale non funziona più per assorbire l’emigrazione italiana, per sfruttare il lavoro italiano, che il capitalismo nostrale è impotente a inquadrare. I partiti borghesi, la massoneria, come hanno cercato di risolvere questi problemi? Conosciamo nella storia italiana degli ultimi tempi due piani politici della borghesia per risolvere la questione del governo del popolo italiano. Abbiamo avuto la pratica giolittiana, il collaborazionismo del socialismo italiano con il giolittismo, cioè il tentativo di stabilire una alleanza della borghesia industriale con una certa aristocrazia operaia settentrionale per opprimere, per soggiogare a questa formazione borghese-proletaria la massa dei contadini italiani specialmente nel Mezzogiorno. Il programma non ha avuto successo. Nell’Italia settentrionale si costituisce difatti una coalizione borghese-proletaria attraverso la collaborazione parlamentare e la politica dei lavori pubblici alle cooperative: nell’Italia meridionale si corrompe il ceto dirigente e si domina la massa coi mazzieri… (Interruzione del deputato Greco). Voi fascisti siete stati i maggiori artefici del fallimento di questo piano politico, poiché avete livellato nella stessa miseria l’aristocrazia operaia e i contadini poveri di tutta l’Italia. Abbiamo avuto il programma che possiamo dire del Corriere della Sera, giornale che rappresenta una forza non indifferente nella politica nazionale: ottocentomila lettori sono anch’essi un partito”. Voci “Meno…”. Mussolini “La metà! E poi i lettori dei giornali non contano. Non hanno mai fatto una rivoluzione. I lettori dei giornali hanno regolarmente torto!”. Gramsci “Il Corriere della Sera non vuole fare la rivoluzione”. Farinacci “Neanche l’Unità!”. Gramsci “Il Corriere della Sera ha sostenuto sistematicamente tutti gli uomini politici del Mezzogiorno, da Salandra ad Orlando, a Nitti, ad Amendola; di fronte alla soluzione giolittiana, oppressiva non solo di classi, ma addirittura di interi territori, come il Mezzogiorno e le isole, e perciò altrettanto pericolosa che l’attuale fascismo per la stessa unità materiale dello Stato italiano, il Corriere della Sera ha sostenuto sempre un’alleanza tra gli industriali del Nord e una certa vaga democrazia rurale prevalentemente meridionale sul terreno del libero scambio. L’una e l’altra soluzione tendevano essenzialmente a dare allo Stato italiano una più larga base di quella originaria, tendevano a sviluppare le “conquiste” del Risorgimento. Che cosa oppongono i fascisti a queste soluzioni? Essi oppongono oggi la legge cosiddetta contro la massoneria; essi dicono di volere così conquistare lo Stato. In realtà il fascismo lotta contro la sola forza organizzata efficientemente che la borghesia capitalistica avesse in Italia, per soppiantarla nella occupazione dei posti che lo Stato dà ai suoi funzionari. La “rivoluzione” fascista è solo la sostituzione di un personale amministrativo ad un altro personale”.

Antonio Gramsci
16 maggio 1925

Da - https://vaurosenesi.it/2017/10/31/antonio-gramsci-ecco-cose-davvero-il-fascismo/
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