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4126  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Gianfranco D'ARONCO. NIEVO e l'enigma della Pisana a 150 anni dal capolavoro. inserito:: Novembre 30, 2017, 04:52:33 pm
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Nievo e l'enigma della Pisana a 150 anni dal capolavoro

Di GIANFRANCO D'ARONCO

Esattamente 150 anni fa Ippolito Nievo stava scrivendo a Colloredo di Monte Albano il suo capolavoro, Confessioni di un italiano, concluso il 16 agosto 1858, ma che lui non vide mai pubblicato avendo trovato una morte tragica nel Tirreno tre anni dopo. Un tema che ha sempre appassionato gli studiosi e i lettori riguarda il personaggio principale del libro, la Pisana: a chi Ippolito si ispirò? Era un donna vera, appartenente alla vita dello scrittore, o in essa venne delineata una figura inventata? Nel 1949 al tema il dottor Luigi Ciceri dedicò un bellissimo libro, edito dalla rivista Tesaur, nel quale indicava chiaramente in Pisana di Prampero la donna raccontata da Nievo. E su tale ipotesi disse la sua subito dopo il professor Gianfranco D'Aronco con l'intervento che qui sotto proponiamo e riapparso su Miscellanea di studi e contributi(1945-2000), libro stampato dalla Filologica friulana nel 2003. Pisana è esistita? La protagonista delle Confessioni di un italiano, dalla personalità sconcertante, dal carattere irrequieto e caldo, egoista e generoso, timido e sfrontato insieme, è stata colta dalla vita reale, o è creatura dell'estro poetico di Ippolito Nievo?
Io penso che le ricerche intorno a Pisana, come quelle intorno a Maria o a Fiammetta o a Nerina o a Silvia, non interessano gran che gli esteti. Piuttosto possono fornire ai biografi nuova materia per i loro studi. Che giova sapere, per l'intelligenza del romanzo nieviano, se la Pisana era veramente Pisana di Prampero, che il poeta garibaldino conobbe negli anni della puerizia, o se fu esclusivamente creatura poetica?
Senza dubbio la scelta del nome, voluto da Ippolito, dovette essere un omaggio per la compagna di scorribande fanciullesche. Ma forse nulla di indicativo per la biografia nieviana dobbiamo cercare nella figura di questo abbozzo di donna, che fu la compagna di Carlino.
È vero che esistono delle rassomiglianze tra Ippolito e Carlo («in me vizi, virtù, passioni, tutto discende precipuamente dal cervello» ...), ma trattasi più che altro di pretesti, di spunti reali, da cui la creazione d'arte doveva prender le mosse.
Insomma la storia di Pisana di Fratta non è la storia di Pisana di Prampero, la contessina friulana andata sposa nel 1857 a un amico di Pasteur, il dottor Luigi Chiozza. Pisana di Prampero, che era nata a Udine nel 1837 (aveva dunque sei anni di meno d'Ippolito), «aveva capelli biondi, pettinati lisci con riga al centro e raccolti sulla nuca, occhi castani, volto ovale». Così attestava un discendente della famiglia di Prampero a Luigi Ciceri, che alla Pisana e al Nievo intimo ha dedicato un volume uscito pochi mesi fa, che s'intitola appunto Pisana: ricco di riproduzioni e stampato per le edizioni del Tesaur di Udine.
Oltre che sulla base delle Confessioni e del Varmo, la vita di Ippolito si può anche e soprattutto ricostruire in base alle lettere che di lui ci rimangono. Dal 1850, l'epistolario nieviano è, si può dire, giornaliero. Nel suo eterno peregrinare da Udine a Mantova, da Padova a Colloredo, Nievo si portava in tasca penna e calamaio. Viaggiava spessissimo a piedi. «Amava giungere improvviso nelle case amiche e spesso partiva di buon mattino, insalutato ospite. Era un ospite di facile accontentatura, ma di somma indipendenza. Spesso allestiva da sé il letto, e dormiva ravvoltolato nelle lenzuola, come in un sudario».
In questi vagabondaggi, da questi incontri col mondo, dovette nascere Pisana di Fratta.
E Pisana di Fratta, col suo carattere contraddittorio, talora di donna posata, autoritaria e dolce, non possiede certificato di nascita negli uffici anagrafici di questo mondo. Essa è nata nel mondo della poesia. Esso è la creatura ideale, costruita da Ippolito che non ebbe dalla vita una Pisana terrena – anche se amò altre come la Matilde Ferrari e la Bice Melzi –. Ma la ebbe dal suo genio. «Ogni creatura d'arte è figlia legittima solo del genio creatore, e la realtà esterna agisce al massimo come stimolo, che viene sentito, ed è artisticamente utile, a patto che trovi la sensibilità dell'autore potenzialmente inclinata»: così il Ciceri, nel suo libro asciutto, ma denso di osservazioni personali e acute.
Del resto, qual è più viva oggi: la Pisana che fu, o quella che mai non visse, se non nella mente di Ippolito? Pisana di Prampero morì, come si sa, nel 1858, per lesioni tubercolari complicate dal parto. Pisana di Fratta nacque invece allora, e ancor oggi vive tra gli innamorati delle lettere.
Ippolito doveva seguirla tre anni dopo: trentenne. A trent'anni molti autori prendono le mosse per produrre qualcosa di duraturo. Ippolito aveva già provveduto a lasciare l'eredità. Ma non poteva prevedere di concludere così presto e così tragicamente la sua fatica.
In Sicilia doveva aver presente il cielo di Colloredo, nonostante la divisa militare che lo imprigionava e i pericoli e le preoccupazioni. «Nessuna cosa più mirabile ancora di quel lucido orizzonte» (le proprie parole dovevano rintronargli forse all'orecchio) «che fugge all'occhio per mille tinte diverse sulle sponde del Tagliamento, quando il sole, imporporando il proprio letto, accerchia in tremulo argento i molti fili di acqua scorrente come rete per vaste ghiaie».
Allora comprendiamo l'ansia con cui dovette scrivere l'ultima sua lettera (del 23 febbraio 1861: novant'anni or sono); lettera piena di struggevole nostalgia della terra materna. «Meno male», scriveva, «che giovedì o alla più lunga domenica questa vitaccia sarà finita, e rivedrò Napoli e Genova e Milano. Prima della metà di marzo conterei di tentare per due o tre giorni la cura dei tortelli...». Ahimè, quelle fanciullesche pressioni, confidate alla Bice, come desolatamente dovevano naufragare! ...
Nell'attimo estremo, quando le onde si accavallavano sul suo corpo giovinetto, pensò Ippolito a dei capelli biondi «pettinati lisci con riga al centro»?
«Meno male che questa vitaccia sarà finita». Mancavano poco più di due mesi al naufragio.

23 giugno 2008 sez.

Da - http://ricerca.gelocal.it/messaggeroveneto/archivio/messaggeroveneto/2008/06/23/GO_19_SPEB3.html
4127  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Perché è retrocessa la Sanità del Veneto. inserito:: Novembre 30, 2017, 10:19:48 am
"Stetoscopio" del 14/04/2015

Perché è retrocessa la Sanità del Veneto

Nelle intenzioni del Ministro Lorenzin e del premier Renzi, le Regioni - con la revisione dell’art. V della Costituzione che tanti guai ha provocato avendo dato il via libera ai parlamentini che ne hanno approfittato per sprecare miliardi di soldi pubblici – non dovrebbero più avere mano libera nella Sanità.
Secondo l’ultimo rapporto del Censis il 50 per cento degli italiani bocciano i servizi sanitari regionali.


Con buona pace di chi ha già iniziato a protestare per “leso federalismo” (che sembra importare sempre meno agli italiani) visti i risultati, le voragini nei bilanci delle Regioni “poco virtuose”, gli sprechi palesi, le ruberie emerse da numerose indagini della Magistratura, il clientelismo denunciato da decine di inchieste giornalistiche, il disagio della classe medica per la disorganizzazione del Sistema e decisioni piovute dall’alto senza una comprensibile “ratio”, togliere un po’ di potere ai tecnocrati della Sanità regionale male non dovrebbe fare. Peggio di come stanno andando le cose è difficile ipotizzare.

In attesa della riforma preconizzata dal Governo, sul tema-Sanità (che assorbe quasi l’80% delle risorse regionali) è battaglia tra i candidati dei due maggiori (sulla carta) schieramenti alle prossime elezioni regionali: da una parte Zaia non perde occasione per inaugurare qualsiasi cosa e dichiarare a ogni piè sospinto che la Sanità del Veneto è la migliore del mondo; dall’altra la Moretti spara a zero su tutto: dai project alle liste d’attesa, dalle code ai Pronto Soccorso ai ticket troppo costosi. L’impressione è che nessuno dei due conosca a fondo l’argomento di cui parla: il primo ha dato carta bianca al Direttore generale della Sanità che decide come meglio crede, la seconda spara cifre e statistiche ma non entra mai nel vivo dei problemi che con tutta evidenza non conosce. Entrambi si guardano bene dall’ascoltare la voce dei medici, gli unici che della Sanità conoscono pregi e difetti, eccellenze e storture, disagi dei pazienti, sprechi di risorse, assurdità organizzative.

Anche per questo tutte le sigle sindacali e gli Ordini professionali sono scesi sul sentiero di guerra e hanno dato vita agli Stati generali della Salute nell’intento di diventare interlocutori attivi della Sanità veneta ed evitare ulteriori danni derivanti da improvvide decisione della classe politica.

Non si tratta di fare del catastrofismo in una Regione che nel complesso è ancora tra le migliori del nostro Paese ma i dati dicono che in questi cinque anni di legislatura il Veneto è retrocesso al quinto posto in Italia, che l’accesso ai servizi è sempre più difficoltoso, che le liste d’attesa non accennano a ridursi e che un numero sempre più alto di pazienti rinuncia alle cure per mancanza di mezzi mentre i più fortunati ricorrono sempre più spesso alla sanità privata. E questo anche perché i medici sono sempre meno (il Veneto ha un rapporto medici ospedalieri – popolazione sensibilmente inferiore rispetto alle altre regioni) mentre gli anziani affetti da malattie croniche sono in notevole aumento.

Eppure ci hanno anche provato a migliorare la situazione attraverso un nuovo Piano sociosanitario regionale, in sostituzione di quello del 1995, che ha dato vita alla riorganizzazione del sistema ospedaliero e dell’Assistenza sul territorio. Ovviamente sono state decisioni squisitamente politiche che hanno dovuto accontentare un po’ tutti, come testimoniano le “schede ospedaliere” partorite nel 2013. Per ogni Ulss si sono decisi i posti letto per acuti mentre l’assistenza territoriale dovrebbe essere garantita da strutture di ricovero intermedie, ospedali di comunità, unità riabilitative, ricoveri per malati terminali. Il tutto deciso a tavolino e come sempre si è preferito investire in mattoni e organizzazioni più o meno cervellotiche, lesinando ancora una volta sul materiale umano (medici e personale tecnico) sulla formazione e sulla ricerca. In compenso per coprire lo scandaloso elenco di finanziamenti preelettorali, (feste del vino e birrifici sociali compresi) approvato la scorsa settimana, il Consiglio regionale non ha trovato di meglio che attingere all’anticipo del Fondo sanità.

Sembra quasi che a Venezia considerino gli operatori sanitari solo come centri di costo se non proprio dei veri nemici. E allora perché meravigliarsi della retrocessione della Sanità veneta?

Un Paese di “arzilli” centenari
Compiere cent’anni in Italia…non fa più notizia. Il numero degli ultracentenari è infatti salito a 16.400 contro i poco più dei 6000 di dieci anni fa. E negli ultimi dodici mesi a oltrepassare il secolo di vita sono stati, tra uomini e donne, più di 1600. L’invecchiamento della popolazione ha costretto gli studiosi di statistica a coniare nuovi termini: i 65-74enni che rientravano nella categoria degli “anziani” oggi sono classificati come “giovani anziani” e gli “anziani” sono quelli tra i 75 e gli 84 anni.

Al di là delle questioni semantiche e della soddisfazione per la vita media che si allunga, l’invecchiamento della popolazione crea problemi non solo alle casse di previdenza (attenti al “Boeri pensiero” intenzionato a tosare ancora di più le pensioni che il presidente-fustigatore dell’Inps considera medio-alte) ma anche al sistema sanitario nazionale che vede aumentare i costi per l’assistenza agli anziani sempre più longevi. E’ l’altra faccia della medicina moderna che allunga la vita mettendo però in crisi il già vacillante sistema del welfare italiano.

A voler essere cattivi c’è da pensare che i continui tagli alla Sanità e la strisciante riduzione del personale sanitario negli ospedali sia una sottile forma di “rottamazione degli anziani” tanto cara al nostro giovane Presidente del Consiglio.

Certo, pensare male è peccato ma spesso ci si azzecca. E lo diceva un Andreotti che ai cent’anni ci è andato vicino!

Da - http://www.medicivicenza.org/index.php/stetoscopio/553-perche-e-retrocessa-la-sanita-del-veneto.html
4128  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Andrea STROPPA. Vi spiego le bugie del “Fatto Quotidiano” ... inserito:: Novembre 30, 2017, 10:12:18 am
Vi spiego le bugie del “Fatto Quotidiano”
La lettera di Andrea Stroppa, 23 anni, autore del report da cui ha preso spunto il New York Times per la sua inchiesta sulle fake news

Sul Il Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio, l’altro giorno ci si occupava di me alle pagine 1,2,3 compreso nell’editoriale dello stesso direttore.

4129  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / VENETO avvelenato, da PFAS e da FASCISMO e ALTRO. - Ma c'è anche del buono... inserito:: Novembre 30, 2017, 10:06:24 am
26.11.2017

Pfas, rapporto della Regione

È allarme salute

Provette di sangue: finora sono stati sottoposti a screening i giovani

Il sangue delle persone che vivono nei Comuni veronesi esposti alla contaminazione da Pfas ha al proprio interno così tante sostanze chimiche che è diventato prioritario aprire un servizio clinico esclusivamente dedicato alla presa in carico sanitaria dei cittadini. I residenti nella Bassa e nell’Est della provincia, infatti, presentano valori medi di Pfoa, uno dei composti che fanno parte della famiglia dei Pfas, che sono fino a nove volte più alti del valore peggiore registrato nelle zone non inquinate. E le previsioni dicono che tale dato continuerà a peggiorare.

A fornire questo ben poco tranquillizzante quadro è un rapporto della Direzione prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria della Regione, che fotografa la situazione verificata sinora, precisamente al 14 novembre, con lo screening avviato dalla Regione per valutare il rapporto fra Pfas e salute umana.

Il controllo a tappeto della popolazione residente nei 21 Comuni dell’area rossa, 13 dei quali veronesi, prevede la chiamata all’esame di 84.852 persone nate fra il 1951 ed il 2002. Un’operazione iniziata nel Vicentino nel dicembre del 2016 e avviata nel Veronese nel maggio scorso, con l’apertura di un ambulatorio specifico a Legnago, al quale recentemente se ne è aggiunto un secondo a San Bonifacio. Attualmente sono in fase di predisposizione misure che dovrebbero prevedere l’abbassamento dell’età minima degli esaminati e l’allargamento dell’area di screening, ma al momento la situazione è tale per cui a metà novembre risultavano controllati 6.233 residenti, nati fra gli anni 2002 e 1988. Poco più del 60 per cento di quelli invitati.

«LE CHIAMATE sono state effettuate con ritmi diversi, per cui è difficile confrontare i dati relativi alla Provincia di Vicenza, dove obiettivamente lo screening è più avanti, con quelli del Veronese, però un andamento sembra potersi già leggere», spiega Francesca Russo, la responsabile della Direzione prevenzione. Quello che appare già evidente, quindi, è che c’è una differenza quanto a Pfas presenti nel sangue fra i residenti nelle due aree che fanno parte della zona rossa, che è quella in cui si beve acqua pubblica pescata dalla falda contaminata.

La zona rossa A, che è formata da sette Comuni vicentini, dalla padovana Montagnana e dai veronesi Zimella, Cologna, Pressana e Roveredo, è più esposta all’inquinamento della zona rossa B, che comprende Arcole, Albaredo, Veronella, Bevilacqua, Bonavigo, Legnago, Terrazzo, Boschi Sant’Anna e Minerbe. Nella A, infatti, c’è un ulteriore fattore di pericolo dato dal fatto che l’acqua per «dissetare» campi e animali qui viene pescata direttamente da riserve sotterranee inquinate o presa da corsi d’acqua pieni di Pfas.

NEI COMUNI della zona rossa A - esclusi i quattro veronesi, che stranamente sono quelli in cui gli esami vanno più a rilento - la presenza mediana di Pfoa nel sangue è di 61,7 nanogrammi per millilitro di siero sanguigno. Nei paesi della zona rossa B la mediana è di 37,1. In ogni caso di tratta di valori elevati, l’intervallo di riferimento nelle aree non contaminate va da 1,5 ad 8, anche se ci sino situazioni molto diversificate fra loro. A Terrazzo la media è 13,4, mentre già Legnago è a quasi 34, a Boschi a 42, a Bonavigo a 46,5, a Minerbe a 57,7 ed a Bevilacqua addirittura a più di 70.

«Questi numeri dovranno essere rivalutati quando le cifre delle persone controllate diventeranno più consistenti», avverte Russo. Spiegando che per gli altri sette Comuni veronesi non ci sono dati commentabili. «Sono troppo pochi gli esami fatti perché sia il casi di citarli», spiega. Meno di 30 per paese. Se dappertutto è stato riscontrato che hanno una maggiore presenza di Pfas nel sangue i maschi, mediamente oltre il 25 per cento in più delle femmine, e che oltre al Pfoa esso contiene anche altre sostanze perfluoro-alchiliche (Pfos, con una mediana di 4,2 nanogrammi, Pfhxs, 4,1, e Pfna, 0,5), quello che va sottolineato che le analisi confermano che i valori più anomali riscontrati nei parametri sanguigni sono quelli del colesterolo.

«PER VERIFICARE lo stato di salute delle persone verrà avviato anche nel Veronese, come sta avvenendo in questi giorni a Lonigo, nel Vicentino, un centro di secondo livello, nel quale specialisti prenderanno in carico gratuitamente i cittadini con problematiche teoricamente correlabili ai Pfas», anticipa Russo. Legnago vorrebbe tale struttura al Mater Salutis, il suo ospedale, ma nulla è ancora stato deliberato.
«L’unica cosa che posso dire è che il direttore dell’Ulss 9 Pietro Girardi sta lavorando per mettere in piedi in fretta questa struttura», conclude la dirigente.

Luca Fiorin

Da - http://www.larena.it/permanent-link/1.6125742
4130  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA RUBINO. Per Storace "nulla di strano" inserito:: Novembre 30, 2017, 09:58:31 am
Blitz dei naziskin, Salvini: "Non si risolve così il problema".

Per Storace "nulla di strano"

Di MONICA RUBINO
29 novembre 2017

ROMA - Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, preferisce non commentare l'irruzione di un gruppo di una quindicina di naziskin del Veneto Fronte Skinhead nella sede di un'associazione pro migranti a Como. Ma per Francesco Storace, che questa mattina ha lanciato assieme a Gianni Alemanno il polo "sovranista per Salvini premier" non c'è nulla di strano: "I giovani dei centri sociali fecero lo stesso con me anni fa". Il suo compagno di viaggio, l'ex sindaco di Roma Alemanno, non rilascia dichiarazioni.

No comment anche dal capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta. Ma il suo omologo al Senato, Paolo Romani, interviene biasimando l'accaduto: "Io prediligo il confronto, anche duro, di opinioni. Nel video vediamo la lettura di un proclama e un ascolto subìto, anche se cortese. Poteva andare peggio, per fortuna non c'è stata violenza. Ma si tratta di un atto diventato fenomeno virale sui social e che lascia il tempo che trova".

Il segretario della Lega, invece, prende le distanze: "Hanno sbagliato, non si entra in casa d'altri senza permesso - afferma Matteo Salvini -  non è questo il modo di risolvere il problema dell'immigrazione che finora è stato affrontato con politiche sbagliate. La mia soluzione è un lavoro costante con i sindaci e ribadire il no allo ius soli. Il 2 e 3 dicembre saremo in mille piazze d'Italia contro la legge sulla cittadinanza".

Ferma la condanna di Noemi di Segni, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche: "Movimenti neonazisti che alzano la testa, cercano visibilità e legittimazione pubblica, intimando a chi si prodiga per il bene altrui di cessare ogni opera, è un fatto gravissimo, che suscita orrore e indignazione. Alle autorità pubbliche e alle istituzioni il monito di fermarli nei modi più efficaci e immediati".

A sinistra il coro di indignazione è unanime. Se Pietro Bussolati, segretario del Pd milanese, non esista a definire il gesto senza mezzi termini come "squadrismo fascista", i deputati dem rivolgono un'interrogazione parlamentare al ministro dell'Interno Marco Minniti. Sollecitato a intervenire anche da Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, e Luana Zanella, coordinatrice nazionale dei Verdi. Mentre Eleonora Cimbro, deputata di Mdp, manifesta "massima solidarietà alla rete delle associazioni Como Senza Frontiere", nella cui sede si è svolta appunto l'irruzione.

© Riproduzione riservata 29 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/29/news/reazioni_aggressione_naziskin_como-182529139/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P3-S1.8-T2
4131  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / FABIO TONACCI. Ecco un nuovo drammatico scambio di opinioni nelle ore che ... inserito:: Novembre 28, 2017, 11:33:12 pm
Le intercettazioni di Rigopiano, il presidente della Provincia Di Marco: "Basta compitini, c'è gente che può morire"
Ecco un nuovo drammatico scambio di opinioni nelle ore che portarono alla morte di 29 persone.
Paolo D'Incecco, responsabile della Protezione Civile della Provincia di Pescara: "Adesso noi dobbiamo fare prima le strade e le scuole, dopo aiutiamo il territorio...fa venire l'esercito, fa venire gli elicotteri”

Di FABIO TONACCI
27 novembre 2017

La turbina destinata a Rigopiano deviata in un altro comune, per acconsentire alle richieste di un sindaco. L'autista che non si trova. I mezzi che si rompono. I litigi tra i dirigenti provinciali. La presunta bugia del Prefetto. Il caos, prima della tragedia. Quel 18 gennaio scorso, mentre a 1.200 metri di altitudine quaranta persone erano intrappolate in un hotel di lusso in attesa di un mezzo spazzaneve che non arrivò mai, le autorità locali andarono nel panico.

E a dimostrarlo ci sono centinaia di intercettazioni agli atti dell'inchiesta per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose (23 indagati finora), aperta dalla procura di Pescara dopo i 29 morti della valanga. Telefonate tra i responsabili della viabilità della Provincia, i cui telefoni nelle ore della tragedia erano ascoltati dai poliziotti della Squadra Mobile per un'altra indagine. E dunque, torniamo ancora una volta al mercoledì 18 gennaio 2017.
 
 “BASTA COMPITINI! C'E' GENTE CHE PUO' MORIRE”
L'ingegnere Paolo D'Incecco, responsabile della Protezione Civile della Provincia di Pescara, è agitato fin dalla mattina. Ha dei problemi di salute e deve gestire da casa tutta l'emergenza neve. Il suo collega, Mauro Di Blasio, alle 8.23 gli fa il punto della situazione, a cominciare dalle richieste d'aiuto arrivate dal proprietario dell'albergo, Roberto Del Rosso. “Abbiamo telefonato a Hotel Rigopiano, ci sta ancora traffico e non prende la corrente, hanno difficoltà a comunicare. Gli abbiamo detto di darsi una calmata, per il momento dobbiamo prima liberare Farindola e dopo possiamo pensare a lui”.

A mezzogiorno il presidente della Provincia Antonio Di Marco si infuria con D'Incecco, discutendo sulla suddivisione delle competenze con i comuni in allarme. “Paolo! In questo momento c'è gente che può perire!”, gli grida. “Nell'area Vestina (dove si trova Farindola, ndr), e in particolare sulla Maiella e a Sant'Eufemia, il compitino non è più la strada provinciale. Con il Prefetto siamo rimasti che se necessario intervengo sulle comunali”. D'Incecco pare avere chiaro che da soli non ce la possono più fare. “Se devi intervenire sulle comunali, devi far venire l'esercito”.
 
“IL PREFETTO SI E' RIFIUTATO DI CHIAMARE L'ESERCITO”
Chiedere il sostegno dei soldati è una possibilità che però il prefetto Francesco Provolo ritiene non necessaria. Una consigliera provinciale, Silvina Sarra, partecipa al vertice in Prefettura, convocato dopo la prima scossa di terremoto delle dieci e mezzo. Poi si sfoga con D'Incecco: “Con una certa nonchalance il Prefetto, secondo il mio punto di vista, sta sottovalutando lo stato di emergenza...”
D'Incecco: “Adesso noi dobbiamo fare prima le strade e le scuole, dopo aiutiamo il territorio...fa venire l'esercito, fa venire gli elicotteri...”
Sarra: “Il Prefetto ha detto no!”.
D'Incecco: “Se ne assume la responsabilità”.
Sarra: “Sai che è mancato? Il raccordo, perché la sala operativa, aprirla adesso che i sindaci sono arrivati al collasso...”.
D'Incecco: “Sì, hai ragione. Doveva essere aperta dieci giorni fa”.

Il punto non è un dettaglio, in questa storia. E' il motivo esatto per cui i Carabinieri Forestali che hanno condotto le indagini sulla strage al Rigopiano ritengono che il Prefetto Provolo (indagato, insieme a D'Incecco e Di Blasio) abbia mentito. In una nota del giorno prima mandata alla Presidenza del Consiglio e al Viminale, Provolo ha dichiarato di aver convocato il 16 gennaio il Centro di Coordinamento soccorsi per il maltempo che ha colpito il Pescarese. Secondo le testimonianze raccolte dai militari, invece, il Centro è stato aperto “non prima delle 12 del 18 gennaio”. Un ritardo che ha reso la gestione della situazione assai più complicata.
 
- LA TURBINA “SPRECATA”
Alle 16.45 circa la valanga spazza via l'Hotel, ma nessuno a Pescara se ne accorgerà fino alle 18.30. Nel frattempo saltano i nervi e il Governatore abruzzese se l'è presa col presidente della provincia. “D'Alfonso mi ha dato del pagliaccio davanti a tutti, incluso il prefetto”, si lamenta Di Marco. L'Ingegnere D'Incecco è bersagliato di telefonate dai sindaci, ognuno vuole uno spalaneve. Si è fatto convincere dal primo cittadino di Sant'Eufemia, Francesco Crivelli, a mandargli la turbina prestata d'urgenza da Autostrade per l'Italia. La sua missione è pulire alcuni tratti provinciali intorno a Sant'Eufemia, e tornare indietro. Mentre parla con Crivelli, però, si accorge di aver fatto la mossa sbagliata.
Crivelli: “A me serve per sbloccare la viabilità interna, c'ho gente adesso in piazza e non può rientrare a casa”.
D'Incecco: “Mi hai detto che sono diciotto ore che è bloccata Roccacaramanico, io ho fatto salire questo mezzo tra mille polemiche”.
Crivelli: “Paolo, erano saliti due mezzi...due...”
D'Incecco: “Ascolta...non fare bovinamente solo la tua idea. Questo mezzo sarebbe dovuto andare a Villa Celiera e a Farindola dove sono bloccati! Io mi sono imposto, ho fatto riferimento a delle conoscenze mie personali, l'ho fatto portare con una colonna mobile con il bobcat per andare a sgomberare Roccacaramatico, perché tu mi avevi rappresentato questo problema...mo' arriviamo su e va dentro alle stradine del centro storico di Sant'Eufemia?”.

- LE RICHIESTE DEL GOVERNATORE D'ALFONSO
Crivelli non è l'unico a tirare per la giacchetta D'Incecco. Per accontentare il sindaco di Sant'Eufemia si muove il presidente Di Marco: “Fai queste aperture che ti sta chiedendo e scendi giù”, gli ordina. Alle 18.30 viene chiamato da un geometra della Provincia il quale gli comunica di aver svolto il compito assegnato. Cioè pulire la via di Abbateggio, il comune dove Di Marco è sindaco. “Siamo andati a pulire la strada del presidente, che era incustodita”, riferisce il geometra.
Le “chiamate dall'alto”, dimostrano le intercettazioni, continueranno anche dopo la tragedia. E' il pomeriggio del 19 quando il Governatore D'Alfonso fa la sua richiesta a D'Incecco: “Vorrei un passaggio della turbina di nuovo a Lettomanoppello. E poi se possibile anziché salire per Passolanciano, c'è un piccolo tratto che ostruisce sopra a Pretoro. Vedi di poterlo fare”. Il giorno dopo, quando ormai è chiaro a tutti il disastro che si è abbattuto sull'Hotel Rigopiano e i suoi ospiti, D'Alfonso oltre a chiedere un intervento verso Passo Lanciano, fa presente a D'Incecco che è bene “gestire la situazione documentale nel rispetto della legge”. E per questo, gli preannuncia, ne discuterà con il presidente Di Marco.

© Riproduzione riservata 27 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/cronaca/2017/11/27/news/rigopiano_intercettazioni_basta_compitini_c_e_gente_che_puo_morire-182355769/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P6-S1.8-F4#gallery-slider=182367919
4132  Forum Pubblico / AMBIENTE & NATURA / Luca Fiorin - Veneto Pfas, rapporto della Regione È allarme salute ... inserito:: Novembre 28, 2017, 11:29:51 pm
26.11.2017

Pfas, rapporto della Regione
È allarme salute
Provette di sangue: finora sono stati sottoposti a screening i giovani

Il sangue delle persone che vivono nei Comuni veronesi esposti alla contaminazione da Pfas ha al proprio interno così tante sostanze chimiche che è diventato prioritario aprire un servizio clinico esclusivamente dedicato alla presa in carico sanitaria dei cittadini. I residenti nella Bassa e nell’Est della provincia, infatti, presentano valori medi di Pfoa, uno dei composti che fanno parte della famiglia dei Pfas, che sono fino a nove volte più alti del valore peggiore registrato nelle zone non inquinate. E le previsioni dicono che tale dato continuerà a peggiorare.
A fornire questo ben poco tranquillizzante quadro è un rapporto della Direzione prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria della Regione, che fotografa la situazione verificata sinora, precisamente al 14 novembre, con lo screening avviato dalla Regione per valutare il rapporto fra Pfas e salute umana.
Il controllo a tappeto della popolazione residente nei 21 Comuni dell’area rossa, 13 dei quali veronesi, prevede la chiamata all’esame di 84.852 persone nate fra il 1951 ed il 2002. Un’operazione iniziata nel Vicentino nel dicembre del 2016 e avviata nel Veronese nel maggio scorso, con l’apertura di un ambulatorio specifico a Legnago, al quale recentemente se ne è aggiunto un secondo a San Bonifacio. Attualmente sono in fase di predisposizione misure che dovrebbero prevedere l’abbassamento dell’età minima degli esaminati e l’allargamento dell’area di screening, ma al momento la situazione è tale per cui a metà novembre risultavano controllati 6.233 residenti, nati fra gli anni 2002 e 1988. Poco più del 60 per cento di quelli invitati.
«LE CHIAMATE sono state effettuate con ritmi diversi, per cui è difficile confrontare i dati relativi alla Provincia di Vicenza, dove obiettivamente lo screening è più avanti, con quelli del Veronese, però un andamento sembra potersi già leggere», spiega Francesca Russo, la responsabile della Direzione prevenzione. Quello che appare già evidente, quindi, è che c’è una differenza quanto a Pfas presenti nel sangue fra i residenti nelle due aree che fanno parte della zona rossa, che è quella in cui si beve acqua pubblica pescata dalla falda contaminata.
La zona rossa A, che è formata da sette Comuni vicentini, dalla padovana Montagnana e dai veronesi Zimella, Cologna, Pressana e Roveredo, è più esposta all’inquinamento della zona rossa B, che comprende Arcole, Albaredo, Veronella, Bevilacqua, Bonavigo, Legnago, Terrazzo, Boschi Sant’Anna e Minerbe. Nella A, infatti, c’è un ulteriore fattore di pericolo dato dal fatto che l’acqua per «dissetare» campi e animali qui viene pescata direttamente da riserve sotterranee inquinate o presa da corsi d’acqua pieni di Pfas.
NEI COMUNI della zona rossa A - esclusi i quattro veronesi, che stranamente sono quelli in cui gli esami vanno più a rilento - la presenza mediana di Pfoa nel sangue è di 61,7 nanogrammi per millilitro di siero sanguigno. Nei paesi della zona rossa B la mediana è di 37,1. In ogni caso di tratta di valori elevati, l’intervallo di riferimento nelle aree non contaminate va da 1,5 ad 8, anche se ci sino situazioni molto diversificate fra loro. A Terrazzo la media è 13,4, mentre già Legnago è a quasi 34, a Boschi a 42, a Bonavigo a 46,5, a Minerbe a 57,7 ed a Bevilacqua addirittura a più di 70.
«Questi numeri dovranno essere rivalutati quando le cifre delle persone controllate diventeranno più consistenti», avverte Russo. Spiegando che per gli altri sette Comuni veronesi non ci sono dati commentabili. «Sono troppo pochi gli esami fatti perché sia il casi di citarli», spiega. Meno di 30 per paese. Se dappertutto è stato riscontrato che hanno una maggiore presenza di Pfas nel sangue i maschi, mediamente oltre il 25 per cento in più delle femmine, e che oltre al Pfoa esso contiene anche altre sostanze perfluoro-alchiliche (Pfos, con una mediana di 4,2 nanogrammi, Pfhxs, 4,1, e Pfna, 0,5), quello che va sottolineato che le analisi confermano che i valori più anomali riscontrati nei parametri sanguigni sono quelli del colesterolo.
«PER VERIFICARE lo stato di salute delle persone verrà avviato anche nel Veronese, come sta avvenendo in questi giorni a Lonigo, nel Vicentino, un centro di secondo livello, nel quale specialisti prenderanno in carico gratuitamente i cittadini con problematiche teoricamente correlabili ai Pfas», anticipa Russo. Legnago vorrebbe tale struttura al Mater Salutis, il suo ospedale, ma nulla è ancora stato deliberato.
«L’unica cosa che posso dire è che il direttore dell’Ulss 9 Pietro Girardi sta lavorando per mettere in piedi in fretta questa struttura», conclude la dirigente.

Luca Fiorin

Da - http://www.larena.it/permanent-link/1.6125742
4133  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / J. IACOBONI. - Leghisti e grillini, ecco i siti e le pagine Facebook imparentate inserito:: Novembre 28, 2017, 11:26:39 pm
Leghisti e grillini, ecco i siti e le pagine Facebook imparentate
Il report informatico citato dal Nyt: “Hanno lo stesso codice”. Il social manager di Salvini: lo cambierò
Il legame tra Salvini e Mosca è sempre stato dichiarato apertamente dalla Lega. Ora emergono siti di sostegno ufficiale leghisti che condividono codici di Google con siti del mondo pro M5S
Pubblicato il 26/11/2017 - Ultima modifica il 26/11/2017 alle ore 07:23

JACOPO IACOBONI

Mentre il Movimento smentiva furiosamente la notizia di un incontro con Matteo Salvini, un sito web che sostiene in modo ufficiale Salvini risultava condividere i codici analytics di Google e l’Id di Google Adsense (con cui viene monetizzata la pubblicità online) con siti pro M5S, e siti pro Putin. L’analisi, resa nota dal New York Times, è in un report della società dell’informatico Andrea Stroppa, consulente tra gli altri di Matteo Renzi, che La Stampa ha potuto consultare, e aggiunge importanti dettagli sull’esistenza nei social italiani di sovrapposizioni de facto tra aree politiche diverse in Italia, all’insegna di un nemico comune: il governo, le élite liberal, il Pd, Renzi, la Boschi, la Boldrini, ma anche Monti, Napolitano, la Bonino, Gentiloni, gli immigrati, la società multietnica, gli Stati Uniti, l’euro, l’Europa. Una propaganda spesso xenofoba, sempre anticasta, centrata sull’idea che i politici siano tutti corrotti tranne grillini e leghisti, o sull’esaltazione di Putin. Oggi possiamo fare alcuni passi avanti, fornendo i nomi dei due siti grillini citati nel report. 

Si tratta, ci ha confermato Stroppa, di Videoa5stelle.info (ha una relativa pagina Facebook da 21 mila follower) e infoa5stelle.info (e relativa pagina Facebook da 95 mila follower). Luca Morisi, il social media manager di Salvini, che inizialmente aveva declinato ogni commento al Nyt, in serata ha riconosciuto che i codici coincidono per i diversi siti. Ha spiegato però che un ex attivista M5S ha lavorato assieme a lui alla costruzione del sito ufficiale “Noi con Salvini”, e ci ha copiato gli stessi codici informatici dei siti grillini e putiniani; «ma non abbiamo nulla a che fare con i siti pro M5S o pro Putin», dice Morisi. Ha promesso che tutto sarà bonificato nel weekend. A una richiesta di ulteriore chiarimento inviata da La Stampa non ha risposto. In alcuni paesi, come l’Inghilterra, la coordinazione delle propagande è illegale secondo la legge elettorale (in Uk c’è un’inchiesta su presunto coordinamento illegale tra la campagna per la Brexit di Farage e quella di Cameron). In Italia non lo è, non si è mai neanche ben capito il problema. Per ora, continuiamo a non sapere - Google non aiuta - chi sia l’intestatario dell’account Adsense. 
 
Un’analisi dei contenuti, di questi siti, aiuta a capire alcuni “mediatori", tra network diversi (i mediatori sono come i tubi di un impianto idraulico): usando il grafo di Facebook scopriamo che i post di un sito grillino in questione, “Infoa5stelle”, vengono rilanciati alacremente (quattro volte nei primi quattro post della colonna ordinata per ampiezza delle condivisioni) dal Fan club Luigi Di Maio, una pagina non ufficiale di 75 mila seguaci, di cui abbiamo scritto in passato, molto centrale nel network pro M5S su Facebook, e gestita da personaggi intrecciatissimi (nelle amicizie Facebook) a profili di big grillini. La Stampa scrisse un anno fa di un vero network pro M5S, ben costruito, 550 pagine, sei grossi cluster, profilati per temi.
Traduzione: la sovrapposizione Lega-mondo M5S, dai codici coincidenti, entra facilmente nei rispettivi network.
 
La seconda storia di questi giorni riguarda un caso di falso interessante perché anche qui c’è un errore, della catena, che fa venire alla luce connessioni: Maria Elena Boschi ha denunciato giorni fa un profilo Facebook (tale Mario De Luise) e una pagina (Virus5stelle) che postavano diffamazione violenta contro lei e Boldrini, tra gli altri, accostandole a Riina (oltre a cose come foto di Renzi in una bara, e foto di Napolitano schiacciato in un pozzo; così, per fare due soli esempi). Uno dei due gestori della pagina, Adriano Valente, esibisce nei suoi post sui social una foto con Di Maio a una marcia grillina (la foto è stata ritrovata e pubblicata su twitter da Lorenzo Romani, un social consultant che ad agosto aveva per primo lanciato l’allarme documentato su sovrapposizioni di codici tra siti leghisti e grillini). Valente indossa il laccio nero da badge riservato agli organizzatori del corteo. La foto è vera? Nardelli, reporter di Buzzfeed, ha poi pubblicato che Di Maio dal suo profilo ufficiale Facebook, in passato, ha taggato Valente. Boschi aveva sfidato Di Maio a dire qualcosa; ieri nel suo post sulle fake news il candidato premier M5S non ha detto nulla sui due casi specifici, ha solo condannato in generale le fake news. Valente dice di cadere dalle nuvole: «Giusto per chiarire, gestisco sei pagine numerose in rete (sic) assieme ad altri ragazzi, un certo Mario De Luise pare abbia postato ieri dal suo profilo una bufala del funerale di Riina. Pare poi l’abbia pure pubblicata sulla pagina Virus 5 stelle. Io personalmente sono estraneo». Ma è lui il gestore di quella pagina. E poi: chi sono gli «altri ragazzi» di cui parla? Esistono persone che fanno gli intestatari di pagine e gruppi?
 
Infine, il profilo di De Luise: è stato chiuso su Facebook, ma ne aveva almeno un altro identico (col nome scritto attaccato) che posta contenuti da pagine o gruppi Facebook del network pro M5S: Tutti con il M5S (146.114 seguaci), Adesso basta (473 mila), Noi sosteniamo il M5S (99.870). È una guerra; che, senza nessun problema, raggiunge più di tre milioni di profili di italiani. 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/11/26/italia/politica/leghisti-e-grillini-ecco-i-siti-e-le-pagine-facebook-imparentate-eD0mUA5EwRTdAKaRONE8BJ/pagina.html

4134  Forum Pubblico / ARTE - Letteratura - Poesia - Teatro - Cinema e altre Muse. / La scandalosa Pisana Di GIUSEPPE LEONELLI inserito:: Novembre 28, 2017, 11:24:35 pm
Italo Calvino lo considerava uno dei suoi libri fondamentali

"Confessioni di un italiano"

La scandalosa Pisana

Di GIUSEPPE LEONELLI

Ippolito Nievo cominciò la stesura delle Confessioni di un italiano nel 1857, all'età di ventisei anni, e la concluse l'anno successivo, rimandando la pubblicazione a tempi più propizi. Il romanzo, che accompagnerà, curato da Anna Modena, la Repubblica di domani in edicola, fu pubblicato solo nel 1867, sei anni dopo la morte dello scrittore, avvenuta durante il naufragio del piroscafo che lo riportava, appena conclusa la spedizione dei Mille, dalla Sicilia nel continente. Non ci furono tra i lettori del tempo reazioni apprezzabili: stupisce, in particolare, il silenzio del De Sanctis, che non mostrò di accorgersi di un libro che sembrava fatto apposta per piacergli. Lo stesso Croce, che nutre un grande rispetto per la tempra morale di Nievo e definisce il suo ideale "superiore a quello manzoniano", non riteneva le Confessioni "quel capolavoro che altri ha detto". La figura della Pisana, che è la grande invenzione del romanzo, quasi miracolosa, se paragonata alla stilizzata, e talora un po' ingessata, astrattezza delle donne della letteratura italiana precedente, suscitò riserve e malumori e qualcuno, come Luigia Codemo, narratrice cara al pubblico del secondo Ottocento, gridò allo scandalo. Persino il titolo, all'atto della prima pubblicazione, fu censurato. L'editore, per evitare si pensasse ad una "pappolata politica", lo trasformò in Confessioni di un ottuagenario.

Nievo racconta, attraverso la vita di Carlino Altoviti, rampollo di una nobile famiglia friulana, orfano, cresciuto nel castello di Fratta come parente povero e mal gradito, poco meno di un secolo di storia d'Italia, dai sonnolenti primordi settecenteschi alla vigilia della seconda guerra d'indipendenza. Il romanzo si apre con il grande adagio della vita nel maniero, sotto il dominio, tuttora vigente, della Serenissima. Per dieci capitoli, considerati da quasi tutti gli interpreti come la summa dell'arte nieviana, una folla di personaggi d'ogni genere ed estrazione sociale - signori feudali scioperati, preti, borghesi, contadini, cuochi e servitori - si presenta al lettore. E' quasi prodigioso come uno scrittore così giovane riesca a far muovere sulla scena tanta gente, orchestrando il punto di vista della storia, narrata in prima persona, tra i due poli di un Carlino ancora ragazzo, che "vede" i fatti, e l'ottuagenario che li rievoca e commenta. Inutile dire che il nostro interesse più intenso va a quegli occhi che guardano a poche spanne dal pavimento, inquadrando il decrepito mondo settecentesco da una prospettiva autre, degna delle migliori pagine di Grandi Speranze di Dickens, scritto quasi negli stessi anni. Una prospettiva che sarebbe molto piaciuta a Italo Calvino, che considerava le Confessioni uno dei suoi libri fondamentali. Quando quegli occhi, mobili e penetranti, così presenti e così lontani, come quelli degli animali domestici, s'incontrano con quelli della cugina, la piccola indecifrabile e fascinosa Pisana, fiorisce una straordinaria epifania di vita sentimentale ed erotica infantile che non ha eguali nell'Ottocento. Se turbava i benpensanti del tempo, oggi appare a noi come un incredibile dono fatto a una letteratura che, fino a non molti anni prima, non riusciva a raccontare se non la propria impotenza di fronte alla realtà.

Troviamo, alla fine dei primi dieci capitoli, Carlino, piccolo Robinson non solo della propria educazione sentimentale, ma anche morale e civile, ormai uomo, prima studente e poi laureato a Padova. Tra i pranzi, le pratiche religiose, le chiacchiere padronali e servili, l'eterno ritorno dell'uguale tra le mura del castello di Fratta, si è inserito un romanzo di formazione, che si sviluppa articolandosi in una ricca gamma di toni narrativi, fermentanti sull'entusiasmo per le grandi scoperte etiche e politiche. Con Bonaparte, il piccolo generale che comanda un'armata di cittadini-soldati, cenciosa ed inarrestabile, la Rivoluzione si affaccia in Italia. Sventola per la prima volta il tricolore, mentre si formano le repubbliche Cispadana e Cisalpina. Carlino diventa ufficiale, si batte per le nuove idee, anche se pochi mesi dopo, quando Venezia viene ceduta all'Austria, il bel sogno sembra finire. Comincia la parte più mossa e avventurosa del romanzo, quella che è sempre piaciuta di meno ai lettori professionali, insensibili all'aria tra stendhaliana e tolstoiana (le Confessioni di un italiano sono una piccola Guerra e Pace) che fa turbinare le pagine di questo straordinario romanzo e con esse gli scenari di cartapesta di tanta letteratura precedente. Scendiamo con Carlino e Pisana nella Repubblica Partenopea, poi risaliamo al Nord verso Genova assediata; gli anni passano a folate, siamo già nel 1820. Carlino è sempre in prima linea e la Pisana è sempre la Pisana, ma il loro amore non conosce misure sperimentate o convenzionali e durerà fino all'uscita di scena di lei, durante l'esilio inglese.

(9 novembre 2004)

Da - http://www.repubblica.it/speciale/2004/biblioteca/idee/49.html
4135  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Aldo Bonomi L’Eldorado delle Alpi e un Paese che si muove inserito:: Novembre 28, 2017, 11:22:26 pm
PRIMATI E DIVARI

L’Eldorado delle Alpi e un Paese che si muove

Di Aldo Bonomi

27 novembre 2017

Le classifiche sono verticali e per loro natura inducono al competere per salire in alto, scalando gli indicatori della fredda statistica. I processi sociali ed economici e le lunghe derive del cambiamento agiscono nell’orizzontalità del territorio in metamorfosi. Per tenere assieme queste “convergenze parallele” occorre aggiornare gli indicatori e leggere i dati non solo in verticale, ma anche nell’orizzontalità per fare società.

E-commerce, gap retributivo, consumo di suolo, numero medio degli anni di studio e indice di litigiosità che fa affollare i tribunali sono alcuni tra gli indicatori aggiunti quest’anno nelle varie sezioni dell’indagine del Sole 24 Ore del Lunedì per capirne di più sulla qualità della vita.

Per leggere le dinamiche sulla qualità della vita serve anche scomporre e ricomporre le province italiane azzardando uno sguardo “da cluster” orientato a individuare piattaforme territoriali dall’area vasta che, come si sa, delineano i rapporti del vivere e del produrre nei luoghi, rispetto ai flussi del cambiamento che li investono.

In alto si conferma ormai da anni il posizionamento e la tenuta del distretto alpino, che - da Aosta a Sondrio e Trento, giù fino a Gorizia-Trieste - consolida il primato, alternando l’una o l’altra provincia nella primazia, quest’anno assegnata a Belluno. Si conferma piattaforma di confine tra l’Europa del burro e l’Europa dell’olio, fertile territorio per qualità della vita.

Poi c’è Milano, che da un po’ di anni sta sempre lì in alto, agganciata ai flussi economici internazionali. Città a forte innovazione che sta in mezzo alle piattaforme produttive del Nord-Ovest tra Torino, dove i vuoti del fordismo si fanno sentire, e le piattaforme del “produrre per competere” di Lombardia e Veneto, ove i territori della manifattura e delle città si riposizionano attraversando la crisi dei distretti produttivi e riposizionandoli per reddito, affari e lavoro. Così come avviene lungo l’asse della Via Emilia, con Parma, Reggio Emilia, Modena e la stessa Bologna in transizione come città-regione.

Il confine di quell’Appennino è bucato dall’alta velocità che ci porta nell’Italia di mezzo dove sono nati più che altrove i distretti produttivi (Giacomo Becattini). E vengono avanti i nuovi distretti della grande bellezza censiti dall’Istat, dove turismo e cultura si fanno vettore economico in territori che vanno da Livorno a Rimini passando per Siena e Firenze, per l’Umbria e fino ad arrivare ad Ancona.

Poi si arriva alla provincia di Roma, che segna con il suo scendere di classifica (-11 posti) le difficoltà del suo ruolo trainante nell’Italia centrale. Un po’ come Genova (-27 posti), che dà il segno degli affanni dell’asse ligure. Tutti questi processi di lunga deriva socio-economica si posizionano comunque nella parte che sta sopra alla cinquantesima posizione su 110 della classifica, pur con le dovute eccezioni in alto e in basso.

Come sempre, in basso si scende a Sud. Dove però mi pare utile segnalare tratti e segnali di speranza: il lento formarsi di un asse Napoli-Bari, ove spicca la risalita di Potenza e Matera (credo serva essere Capitale europea della cultura nel 2019), mentre la questione Ilva pesa su Taranto. Così come nelle nostre due isole, piattaforme nel Mediterraneo, sono presenti piccoli segnali di risalita di province trainanti come Palermo e Cagliari.

Scomposte e ricomposte, analizzando le classifiche parziali secondo i parametri statistici, ognuna di queste piattaforme territoriali svela punti di forza e di debolezza: per reddito, risparmio e consumo, l’Italia del “produrre per competere” sta tutta sopra, con Milano e i distretti alpini, così come per affari, lavoro e innovazione. Restano in cima i distretti alpini per servizi e welfare, mentre si vedono in difficoltà i territori del produrre ove ai parametri del Pil (Prodotto interno lordo) andrebbero aggiunti quelli del Bes (Benessere equo e sostenibile) che fa apparire ad esempio la nuvola di inquinamento che copre e attanaglia la Pianura Padana.

Il Bes rimanda a quegli indicatori di demografia, famiglia e integrazione dove, al di là dei soliti territori del distretto alpino, appaiono come luoghi di coesione sociale le città medie della grande provincia italiana, nei quali tengono ancora il welfare familiare e la coesione sociale come fattore di integrazione e di supporto al reddito, al risparmio e ai consumi.

Invece sui temi della giustizia e della sicurezza si posizionano non a caso negli ultimi posti le grandi province metropolitane come Bologna, Firenze, Bari, Roma e Milano, anche se sappiamo che la concentrazione territoriale spesso rimanda a un senso di insicurezza più percepito che reale. Di nuovo, su questo indicatore vi è un piccolo segnale che vede Palermo e Napoli venire prima delle grandi aree già citate in precedenza.

È l’eterno dilemma dei poli che attraggono i flussi. Infatti, a far da contrappeso ai dati sulla sicurezza, è l’indicatore cultura, tempo libero e partecipazione che, per turismo e ruolo culturale attrattivo, vede le grandi città posizionarsi assieme a quelle dei distretti della grande bellezza ai primi posti della classifica.

Tornando alla classifica generale, visti i singoli parametri, questa si compone - si sarebbe detto un tempo - dall’eterno oscillare del pendolo tra città e contado, che oggi vede il ridisegnarsi del rapporto tra grandi aree metropolitane, città medie e territori della provincia. Osservato dai territori appare un quadro a geometria variabile della metamorfosi in atto nel sistema Paese per ricollocarsi con le sue cento città e le sue cento province.

Usiamo le classifiche non solo come lettura critica o di orgoglio da primazia, per collocarci nel contesto della competizione, ma anche come strumento utile per mobilitare la “coscienza dei luoghi”, in questa epoca turbolenta di cambiamento e riposizionamento.

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-11-27/l-eldorado-alpi-e-paese-che-si-muove-072518.shtml?uuid=AEdSRCHD
4136  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Federica Angeli, cronista antimafia che lavora sul territorio di Ostia... inserito:: Novembre 28, 2017, 11:20:27 pm
26 NOVEMBRE 2017

Leopolda, la testimonianza di Federica Angeli: "Ostia criminale, saranno loro ad abbassare la testa"

La giornalista di Repubblica Federica Angeli, cronista antimafia che lavora sul territorio di Ostia che vive sotto scorta a causa delle minacce dei clan, è salita sul palco della Leopolda di Firenze per raccontare la sua esperienza: "A Ostia c'è stato un agguato giovedì notte, questa notte ci sono stati altri spari, qualcuno sta cercando di ridisegnare la mappa criminale della città - ha detto la giornalista - Per questo, malgrado il fango, le minacce e la paura, non si deve perdere di vista l'obiettivo: far si che da queste persone non dovremo più difenderci perché saranno loro a dover abbassare la testa".

Di Francesco Giovannetti e Andrea Lattanzi

Da Repubblica.it
4137  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / GIOVANNI DE LUNA - Così il sasso diventò una valanga inserito:: Novembre 26, 2017, 05:22:38 pm
Così il sasso diventò una valanga

Pubblicato il 26/11/2017 - Ultima modifica il 26/11/2017 alle ore 11:37

GIOVANNI DE LUNA

A mezzo secolo di distanza, storicizzare quel che avvenne allora vuol dire confrontarsi con uno dei primi «eventi globali», singoli avvenimenti, cioè, la cui portata politica e sociale e la cui dimensione territoriale non possono restare confinate all’interno di un singolo Paese, interagendo direttamente con l’esistenza collettiva di uomini e donne diffusi su tutto il pianeta. Oggi ci siamo abituati alle connessioni che si intrecciano in un universo unificato dai flussi delle comunicazioni, degli uomini, delle merci. M a allora c’era da restare quasi attoniti di fronte alla simultaneità in cui, in tutti gli angoli del mondo, esplose la contestazione. 

In Italia tutto cominciò a Torino, il 27 novembre 1967. Nel mondo, le sue premesse risalivano al 20 novembre 1964, quando 5.000 studenti occuparono il campus universitario di Berkeley, sede dell’Università della California. Un anno dopo, il 17 aprile 1965, a Washington, ci fu la prima manifestazione contro la guerra del Vietnam; nel 1966, il 5 agosto, in Cina, fu pubblicato il documento di Mao Tse-tung (Bombardare il quartier generale) che dava inizio alla Rivoluzione culturale; il 1967 fece registrare l’uccisione di Che Guevara in Bolivia (9 ottobre): tre eventi che incisero profondamente nell’immaginario e nelle scelte politiche degli studenti.
 
Dal Vietnam agli Usa
Poi arrivò il ’68 vero e proprio, con una cronologia improvvisamente sovraffollata di episodi. I fatti presero a rimbalzare sulla carta geografica come la pallina di un flipper impazzito, dal Vietnam agli Stati Uniti (dove furono assassinati Martin Luther King, 4 aprile, e Bob Kennedy, 5 giugno), da Berlino (l’11 aprile, in un attentato, fu ferito il leader degli studenti Rudi Dutschke) a Praga (il 20 agosto arrivarono i carri armati sovietici). Erano episodi che riguardavano la politica, ma anche il costume e la cultura: ritornò sulla scena Bob Dylan, uscì l’album dei Rolling Stones Sympathy for the Devil (5 dicembre), cominciarono i grandi raduni giovanili ai concerti (Woodstock). Non tutti questi episodi ispiravano allegria e gioia di vivere: nella piazza delle Tre Culture, a Città del Messico, il 3 ottobre, la polizia sparò contro gli studenti, facendo una strage (500 morti).
 
L’epicentro di questo terremoto fu, però, nel cuore dell’Europa, in Francia, dove tutto era cominciato il 2 maggio con la chiusura dell’Università di Nanterre occupata dagli studenti. Poi scesero in campo anche gli operai e la protesta sembrò mettere in discussione l’intero sistema politico. Non fu così: il 30 maggio il generale De Gaulle sciolse le Camere per indire nuove elezioni politiche; contemporaneamente un milione di persone sfilò per Parigi, inneggiando al suo nome, gridando slogan contro gli studenti e in pratica soffocando definitivamente la protesta. 
 
In Italia il ’68 durò molto più a lungo (i suoi effetti più significativi si sarebbero protratti fino al cuore degli Anni 70) e coinvolse organicamente la stragrande maggioranza del movimento operaio. Così, agli scontri e alle occupazioni delle università che videro come protagonisti gli studenti, si intrecciarono le prime significative agitazioni operaie (alla Marzotto di Valdagno, il 19 aprile, al Petrolchimico di Porto Marghera, il 21 giugno, alla Pirelli di Milano, il 3 ottobre) e i moti contadini che ad Avola, il 2 dicembre, costarono la vita a due braccianti, uccisi dalla polizia.
 
Una dimensione globale
Il sasso lanciato a Berkeley diventò quindi una valanga. In California la mobilitazione era iniziata quando le autorità accademiche del campus limitarono l’attività politica degli studenti. Poi, alle rivendicazioni di carattere strettamente universitario si affiancarono la ribellione contro le segregazione razziale, la guerra del Vietnam, la fame nel mondo, e la rivolta diventò una critica generale all’intera società statunitense. Fu così successivamente negli altri Paesi del capitalismo maturo, in Italia, in Germania, in Francia. Ma fu così anche nella Spagna fascista di Franco, in Polonia e nella Jugoslavia comunista di Tito, nel Brasile della dittatura militare e nel Giappone attraversato da un vertiginoso sviluppo economico, in un unico grande movimento unificato dalle parole d’ordine della solidarietà, dell’antiautoritarismo, del pacifismo, dei diritti civili, dello spontaneismo, della libertà di parola e di espressione.
 
La dimensione globale del ’68 ci lascia molte domande. Perché proprio allora? Perché in tutto il mondo? Quale fu l’impatto sulle storie dei singoli Paesi? Nonostante una bibliografia sovraffollata di titoli, non esiste una interpretazione che dia conto fino in fondo di questa sua storicità: da un lato libri che avviano un grottesco processo a una generazione di scansafatiche che avrebbe prodotto guasti senza pagare nessun prezzo e anzi costruendo sul ’68 molte carriere di successo; dall’altro il tumultuoso affollarsi delle memorie dei protagonisti, tutti più o meno incapaci di sottrarsi al fascino di un passato che «non passa».
 
C’è, in questo senso, un forte bisogno di «documenti» sul ’68, la necessità di renderlo finalmente accessibile a una conoscenza storica che non sia il riflesso condizionato della demonizzazione o dell’esaltazione. Le testimonianze e i ricordi possono essere importanti, ma solo se li si mette a confronto con altre «tracce» di quel passato, se si ha la capacità di avviare una ricerca che non si arresti di fronte alla mole straripante di manifesti, scritti, film, canzoni, rappresentazioni teatrali appartenute al mondo del ’68, che abbia il coraggio e la determinazione per affrontare una valanga di fonti, complesse ed eterogenee esattamente come il movimento che servono a studiare. 
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/11/26/cultura/cos-il-sasso-divent-una-valanga-EaaUWaJFq92fmdm09fgloM/pagina.html
4138  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Alberto Quadrio Curzio. L’Europa della crescita non sia solo tattica inserito:: Novembre 26, 2017, 05:14:34 pm
L’Europa della crescita non sia solo tattica

Di Alberto Quadrio Curzio

 25 novembre 2017

Nel clima di crescente euroscetticismo c’è il rischio che la lettera, ampiamente commentata, che la Commissione europea ha inviato al Governo italiano circa il progetto di bilancio 2018 venga classificata come rigorista e antisociale quando esprime delle cautele sui ritocchi al sistema pensionistico. Bene ha fatto perciò il ministro Padoan a non alimentare inutili contrasti spiegando che il dialogo, anche dialettico, con la Commissione è sempre costruttivo. Questa non è una scelta tattica ma la presa d’atto che, anche per merito dell’Italia, l’orientamento della Commissione Juncker è improntato alla stabilità per la crescita e non alla stabilità dei vincoli di bilancio danneggiando la crescita e l’occupazione anche con contraccolpi politici. La Commissione Juncker, al netto delle esternazioni del commissario Katainen, punta al rafforzamento sia dell’economia dell’Eurozona e delle sue istituzioni sia a quelle dei singoli Paesi membri. Tutto ciò è ancora più importante adesso che la Germania si trova in una situazione politica complessa mentre l’Italia si avvia a un periodo elettorale difficile con la Francia del presidente Macron ancora tutta da valutare. Peccato perché il trinomio Merkel-Juncker-Draghi stava esprimendo una svolta nell’Eurosviluppo che da qui al 2019 poteva consolidarsi. Adesso Juncker ha una maggiore responsabilità e pertanto cresce l’importanza delle recenti “Survey annuale sulla crescita”, “Previsioni economiche di autunno” e la procedura del “Semestre europeo” che esamina sia la situazione complessiva della Uem sia quella dei singoli Stati membri. Da questa complessa valutazione ricaviamo elementi politico-economici qualificanti anche per le valutazioni di alcuni importanti commissari.

Europa e investimenti
L’impostazione ha una forte tonalità “alla Juncker” e non solo perché vi è un forte richiamo al Piano investimenti che porta il suo nome e che entro il 2020 punta a mobilitarne per circa 500 miliardi.

La priorità enunciata dalla Commissione è quella di consolidare la macrocrescita, ma anche quella di diffondere i vantaggi della stessa alla società nel suo insieme potenziando gli investimenti e, per loro tramite, determinando anche l’aumento dei salari reali per sostenere la domanda interna.

La ripresa della crescita c’è con tassi superiori al 2%, mai raggiunti negli ultimi 10 anni, e con il calo della disoccupazione. In particolare, si evidenzia un trend espansivo della domanda aggregata e una crescita del livello medio dei redditi costante, ma contenuta. In tema di investimenti fissi lordi, che hanno avuto un calo drammatico sul Pil dal 23,1% nel 2007 al 19,6% nel 2013, si sta delineando una buona ripresa al 20,2% nel 2016 e con tassi di crescita superiori al 3% annuo fino al 2019.

La convergenza tra Paesi è però ancora debole e per questo ci vogliono riforme strutturali nei singoli Paesi per potenziare il trinomio virtuoso: dinamica degli investimenti, dell’innovazione e della produttività, dell’occupazione e inclusione. Siamo in linea con le priorità sia del Piano Juncker sia del discorso del presidente sullo Stato dell’Unione di settembre. E siamo anche in linea con la maggiore tolleranza concessa negli scorsi anni ai Paesi (tra cui l’Italia) sui vincoli di bilancio per effettuare investimenti. Lo dimostrano tre prese di posizione di Commissari.

Europa e lavoro
Marianne Thyssen, commissaria per l’Occupazione e gli affari sociali, sottolinea l’importanza del recente Social Summit e del Pilastro europeo dei Diritti sociali. Si configura, dunque, un semestre europeo che punta anche a una rinnovata convergenza tra gli Stati membri in materia di condizioni di vita e di lavoro.

Questa volontà di convergenza emerge anche dalla bozza di Joint Employment Report, che rifacendosi al Pilastro sociale si propone di allineare le dinamiche occupazionali di tutti i Paesi europei, sulla scia del calo del tasso di disoccupazione dal 10% del 2016 nell’Uem con previsione di un calo al 7,9% nel 2019. A questo fine, esisterebbe l’intenzione di adottare delle linee-guida per l’occupazione, armonizzandole con il Pilastro sociale e contenenti raccomandazioni specifiche calibrate su ogni singolo Paese.

Europa e riforme
Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione con delega all’euro e alla stabilità finanziaria, insiste molto sul rafforzamento dell’architettura dell’Uem e la stabilità finanziaria degli Stati membri.

Secondo Dombrovskis, l’Uem è una creazione incompleta. Anche in continuità con il Reflection Paper della Commissione dello scorso maggio, insiste sulla necessità di approfondire l’Uem per fornire una base solida per il rilancio del percorso di integrazione economica e politica dell’intera Unione. Parti essenziali di questo percorso sono l’integrazione dei mercati dei capitali e l’approfondimento dell’unione bancaria che, a sistema con l’unione monetaria, sono gli elementi cruciali per garantire stabilità all’Uem e resilienza rispetto agli shock che diventano tanto più dannosi quanto più esistono asimmetrie tra Stati Membri.

Nondimeno, l’approfondimento dell’Uem non può prescindere dal rispetto dei parametri fiscali e di bilancio individuati dal Patto di stabilità e crescita e dal Fiscal compact, come testimoniano i pareri di questi giorni della Commissione a commento delle bozze di Legge di bilancio dei membri dell’Eurozona (e non solo dell’Italia).

Una conclusione euroitaliana
Ecco perché Pierre Moscovici, il commissario economico-finanziario con la più marcata sensibilità politica, insiste sulla vulnerabilità di quei Paesi che a causa dei debiti pubblici non riescono a investire adeguatamente. E qui si inserisce il problema italiano perché nella lettera al nostro Governo (cofirmata da Dombrovskis e da Moscovici) la Commissione riconosce i notevoli progressi dell’Italia in termini di riforme e di riduzione del deficit, condividendo lo sforzo di consolidamento dello 0,3% a livello strutturale per il prossimo anno (il «sentiero stretto» abilmente percorso dal ministro Padoan); da un altro lato segnala che la discesa del debito sul Pil dal 132% del 130,8% del 2018 non è sufficiente. Difficile dissentire, considerato anche che i tassi potrebbero aumentare e che nello slancio elettoralistico le spinte alla spesa si faranno più pressanti.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2017-11-24/l-europa-crescita-non-sia-solo-tattica-222242.shtml?uuid=AEh5GoHD
4139  Forum Pubblico / AMBIENTE & NATURA / Almeno tre cose che non sapete sul lupo. Lo zoologo Boitani smonta i luoghi ... inserito:: Novembre 26, 2017, 05:12:53 pm
ATTENTI AL LUPO

Almeno tre cose che non sapete sul lupo.
Lo zoologo Boitani smonta i luoghi comuni
 
FRANCESCO GRIGNETTI

Professor Luigi Boitani, lei è il massimo esperto di lupi in Italia. Cominciamo a demolire qualche balla? 
«La più estesa e persistente, assolutamente falsa, è la storia che il lupo sia stato reintrodotto dall’uomo. La sento ripetere da anni, dalla Calabria alle Alpi. Non è vero. Mai successo in Italia, e mai in Europa. Il lupo, se ci sono le condizioni, si riproduce e i giovani poi viaggiano, trotterellando come un cane anche su lunghe distanze. Abbiamo molti dati che lo confermano. Un lupo della popolazione alpina è andato a morire vicino Bonn, in Germania. Una coppia di lupi italiani si è installata nei Pirenei, dietro Barcellona; i due hanno attraversato tutta la Francia meridionale chissà come, attraversando strade e ferrovie. Un altro lupo è partito da Parma, dove gli era stato messo un radio collare, ha fatto 1300 chilometri, è arrivato a Nizza, quindi è tornato indietro ed è morto ucciso da altri lupi in Piemonte. Questo è un secondo luogo comune: che i lupi vivano solo sui monti. No, i lupi che seguiamo con i radio collari vengono regolarmente alle porte dei centri abitati, la notte si aggirano fuori Grosseto come a Sulmona o Avezzano. I lupi stanno spesso tra noi, ma ce ne accorgiamo solo quando nevica e vediamo le impronte».
 
Si dice: è una razza misteriosa di cui voi scienziati non sapete niente. 
«Falso anche questo. Il lupo è una delle specie animali più studiate. Sappiamo che erano sull’orlo dell’estinzione e ora non più. A fine Anni Settanta sopravvivevano a malapena 100-200 lupi in tutto l’Appennino. Dopo anni di protezione legale, complici una serie di fattori tra cui lo spopolamento delle montagne, lo sviluppo dei boschi, la ricchissima disponibilità di prede, dato che l’Italia è strapiena di animali selvatici, siamo passati a una popolazione che stimiamo tra i 1000 e i 2000 esemplari. Sono diffusi su tutto l’Appennino e il pre-Appennino, in espansione anche sulle Alpi. Può sembrare una forchetta eccessiva della stima, ma così non è. I lupi non si contano come cioccolatini nella scatola. Per essere più precisi, dovremmo passare a metodi di studio che hanno costi astronomici e poco senso. Il punto è che la conservazione del lupo è stata una storia di successo; ora si tratta di gestire la fase della coesistenza».
 
È un altro luogo comune anche quello di chi si ostina a non voler vedere i numeri? 
«Sì, è un po’ troppo facile arroccarsi su posizioni intransigenti quando si sta nel proprio salotto in città. Altro è convivere con i lupi, specie se si ha il bestiame. Io capisco il conflitto. Dico che va gestito in maniera razionale».
 
Ecco, il conflitto. Parliamone. 
«Paradossalmente, proprio ora che abbiamo vinto la sfida per la conservazione della specie, si apre la fase più difficile. Dobbiamo assolutamente proteggere una popolazione sana e vitale di lupi, ma dobbiamo anche porci il problema di come farla coesistere con 60 milioni di cristiani e con l’allevamento di ovini e bovini. Visto che la popolazione di lupi è in aumento, qualche domanda è d’obbligo: quanti ne vogliamo? Dove? Lasciamo fare solo alla natura o interveniamo?».
 
Domande scomode. Che peraltro suscitano risposte radicali di qua e di là. 
«Ci provo io, allora. Punto primo, non negoziabile: la specie è protetta, è un principio sia etico che legale. La stessa Direttiva europea Habitat fissa il principio che gli Stati devono garantire l’esistenza di popolazioni di lupi che siano sane e vitali. Raggiunto quel traguardo, si può discutere di come meglio gestire il compromesso necessario alla coesistenza».
 
Intende gli abbattimenti controllati? 
«Intendo una strategia complessiva e condivisa per l’intero territorio nazionale che usi tutte le conoscenze e gli strumenti disponibili. La rimozione in deroga alla protezione è una opzione prevista dalla direttiva Habitat, ma non è certo una soluzione per gestire una popolazione di lupi. È attuabile con molte difficili condizioni e solo su singoli individui di lupo in rare situazioni di conflitto. Oggi in italia nessuna amministrazione pubblica sarebbe in grado di rispettare quelle condizioni. Intanto in Italia lasciamo fare ipocritamente ai bracconieri. Ma il bracconaggio non soltanto è un crimine, è anche un intervento tecnicamente inaccettabile. Il bracconiere uccide quando e dove può, spesso con i micidiali bocconi avvelenati, non sulla base di un progetto tecnico».
 
Quale dovrebbe essere, dunque, una strategia razionale di coesistenza con il lupo nel Terzo Millennio? 
«Basandosi su tre pilastri: la prevenzione, il risarcimento del danno e anche, se ritenuta utile, l’eventuale rimozione di qualche esemplare eseguita in maniera chirurgica in ben definite condizioni. La prevenzione è lo strumento principe e, su questo, noi italiani siamo stati e siamo ancora maestri nel mondo. Il cane da pastore maremmano-abruzzese è una razza eccezionale, risalente a epoca pre-romana, perfetto per contrastare gli attacchi se gestito bene con la presenza del pastore. Si pensi che gli Stati Uniti, dove il problema principale degli allevamenti è rappresentato dal coyote e non dal lupo, hanno dapprima importato massicciamente i nostri cani maremmano-abruzzese e ora li allevano. Il risarcimento del danno è una seconda misura indispensabile per alleviare le tensioni sociali. Infine il prelievo: i “lupari” da noi ci sono sempre stati; in genere erano pastori che intervenivano quando i conflitti locali diventavano eccessivi».
 
Il problema della prevenzione è che si chiede agli allevatori un gravoso ritorno alle origini, non trova? 
«Come dicevo prima, è facile dire loro che devono vivere giorno e notte con il bestiame mentre noi siamo al caldo in città. Nelle Alpi, dove l’ultimo lupo fu ucciso nel 1921, la zootecnia si è evoluta. Ed è considerato normale, nella bella stagione, il pascolo brado. È tanto se l’allevatore dà un’occhiata alle bestie una volta ogni 15 giorni. Ma è anche vero che tutto il comparto zootecnico italiano è in profonda sofferenza per motivi ben maggiori del lupo e sopravvive anche grazie al sostegno economico di tutta la società».
 
Molte Regioni e parchi stanno aiutando i pastori a installare recinzioni adeguate. A Grosseto, chi lo ha fatto, almeno la notte ha risultati eccellenti. 
«Sicuro. I recinti elettrici funzionano benissimo per aree piccole e comunque guardate da cani e dal pastore. Con i pastori sardi che hanno colonizzato la Toscana meridionale, c’è poi un problema culturale: non hanno la memoria ancestrale del lupo».
 
Quando lei insiste sulla necessità di salvaguardare una comunità sana e vitale allude al problema dell’ibridazione tra cane e lupo? Ovvero non soltanto quanti, ma anche quali lupi vogliamo proteggere? 
«L’ibridazione è un problema drammatico, assolutamente sottovalutato. Anche la Commissione europea si è espressa sostenendo che gli ibridi vadano eliminati perché mettono in pericolo l’identità genetica della specie. Purtroppo in alcune aree appenniniche, sono ibridi anche il 30-40% degli esemplari ed è una realtà di non-ritorno. Ma è un’altra balla che gli ibridi siano più aggressivi del lupo, che attacchino di giorno e che siano più pericolosi per l’uomo. Se una lupa solitaria in calore incontra un cane maschio vagante, si accoppia. Abbiamo un filmato eccezionale, ripreso nel Vulture, in Basilicata, di una lupa in calore con un lupo e due cani al seguito. Ma qui dovremmo ora parlare di randagismo, ed è un altro problema immenso…».

Da - http://www.origamisettimanale.it/2017/11/22/speciali/origami/linalienabile-diritto-di-essere-lupo-PP5FEJdOjRhubPZvg8BTIJ/pagina.html
4140  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Un attentato, due chiavi di lettura inserito:: Novembre 25, 2017, 06:07:42 pm
Un attentato, due chiavi di lettura
L’attentato alla moschea di al-Rawdah, a Bir al-Abed, nel governatorato del Nord Sinai, testimonia ancora una volta come il contenimento della minaccia jihadista portata da Wilayat Sinai – Ws, la cellula locale dello Stato islamico – sia ben lungi dall’essere debellata.

Nonostante le operazioni continue, gli arresti e le uccisioni di importanti leader dell’insurrezione islamista nell’area da parte delle forze di sicurezza egiziane, il Sinai si conferma un eccezionale incubatore di violenze.
Rispetto agli ultimi attentati mediaticamente più rilevanti, che hanno coinvolto in particolare i cristiani copti, Ws è tornata a colpire con violenza estrema (si parla di oltre 230 morti) la popolazione locale musulmana. L’attacco non rappresenta una novità per quanto riguarda il bersaglio: i sufi – una branca mistica e considerata apostata dai gruppi estremisti – sono costantemente nel mirino dello stragismo di qualsiasi organizzazione jihadista in Nord Africa e in particolare in Egitto, dove si trova una delle comunità più numerose dell’area.
Sono però possibili due ulteriori letture.

Una prima riguarda l’inadeguatezza e incapacità delle Forze armate egiziane e del regime del Cairo nel contenimento del fenomeno terroristico. Colpendo e punendo la popolazione si mira a indebolire lo Stato egiziano stesso, facendo assumere al messaggio una valenza politica.
In secondo luogo, l’attentato potrebbe rappresentare un messaggio intimidatorio nei confronti della popolazione beduina locale che per anni ha fornito assistenza e protezione ai gruppi jihadisti attivi in loco. L’attacco potrebbe cioè essere mirato a impaurire e a sfavorire azioni contro la bayah (un patto di fedeltà) ancora forte tra jihadisti e tribù beduine, rivendicando la propria autorità sui territori sinaitici.

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