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4111  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / GRASSO: Dobbiamo offrire casa a chi non si sente rappresentato inserito:: Dicembre 03, 2017, 06:35:21 pm

Grasso, io alternativa. Ora tocca a voi Dobbiamo offrire casa a chi non si sente rappresentato

Redazione ANSA ROMA
03 dicembre 2017 - 16:37

(ANSA) - ROMA, 3 DIC - "Serve un'alternativa e allora tocca noi offrire una nuova casa a chi non si sente rappresentato, difendere principi e valori che rischiano di perdersi, su lavoro, scuola, diritti e doveri.

Tasse più giuste e progressive, una vera parità di genere. Per tutto questo io ci sono".

Lo dice il presidente del Senato Pietro Grasso, chiudendo l'assemblea unitaria della sinistra.
   
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Da - http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2017/12/03/grasso-io-alternativa.-ora-tocca-a-voi_b93ed547-107d-4b6d-bdae-c5f12b35b725.html
4112  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / La Sinistra Caleidoscopio (più che Arcobaleno) senza un PROGETTO condiviso... inserito:: Dicembre 03, 2017, 06:32:07 pm
La Sinistra Caleidoscopio (più che Arcobaleno) senza un PROGETTO condiviso, aziendalista (per il prevalere dell’ottenimento di risultati concreti), che si sviluppa lontano dai partiti ma sappia utilizzare l'impegno delle loro migliori menti (cervelli anche di non politici), potrà arrivare a sembrare "smagliante", ma è più probabile che risulti, ancora una volta "smagliata".

Chi oggi non vota non ritorna ai seggi solo spinto da parole fumose (spesso noiose e obsolete) senza avere ben chiaro un PROGETTO di Cambiamento, in cui sperare.

ggiannig


Da gruppo GR di FB del 3 dicembre 2017
4113  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / L’attuale premier Gentiloni è al primo posto nel sondaggio e sarebbe anche ... inserito:: Dicembre 03, 2017, 06:27:49 pm
Gentiloni è il leader preferito. Di Maio e Berlusconi più vitali
Alla prova del marketing elettorale spunta Grasso, Renzi seduttivo

L’attuale premier Gentiloni è al primo posto nel sondaggio e sarebbe anche l’unico candidato del Pd a far vincere il suo partito

Pubblicato il 01/12/2017 - Ultima modifica il 01/12/2017 alle ore 07:59

NICOLA PIEPOLI

Nell’ambito della competizione elettorale noi italiani siamo abituati a una «gara tra partiti». Ciò significa che mettiamo in secondo piano una gara interna al sistema elettorale che riguardi i singoli candidati. Nel corso degli ultimi anni tutti noi abbiamo constatato che i candidati pesano nelle intenzioni di voto e nella decisione su che partito votare. 
 
Questa settimana abbiamo fatto un esperimento concernente il peso che i singoli candidati portano in termini di voti con la loro presenza in questo o quel partito.
 
Per dare un senso numerico all’importanza dei singoli candidati abbiamo creato quattro «tracciati mentali», non dissimili da quelli che noi utilizziamo normalmente nelle ricerche di marketing. Abbiamo quindi trattato i singoli candidati alla presidenza del Consiglio come se fossero veri e propri «prodotti» sugli scaffali di un normale supermercato.
 
Il risultato di questa elaborazione è il seguente: 
1) Indicatore di fiducia: non diverso filosoficamente da un indicatore di «Customer Satisfaction» (soddisfazione del cliente). Al primo posto si segnala l’attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, seguito più o meno a ruota dal presidente del Senato, Pietro Grasso, dal ministro Dario Franceschini, dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, e in quinta posizione da Matteo Renzi, attualmente Segretario de Pd.
 
2) Indicatore di «attrazione»: si tratta di un indicatore concernente la vitalità del prodotto e in questo caso del candidato, in termini di propria «probabilità espansiva» sul mercato politico di riferimento. Qui al primo posto troviamo Luigi Di Maio, leader del 5 Stelle, seguito dal leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, da Matteo Salvini, leader della Lega, e da due personaggi già citati, cioè Paolo Gentiloni e Pietro Grasso.
 
3) Indicatore di «seduzione»: cioè il singolo elettore quanto si sente «attratto» e «sedotto» dal candidato? Qui l’elenco sia apre con Matteo Renzi, seguito a ruota da Paolo Gentiloni, Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Dario Franceschini.
 
4) Ultimo, ma non ultimo, dei quattro indicatori è l’intenzione effettiva di voto per un candidato premier e su questa intenzione l’attuale presidente del Consiglio Paolo Gentiloni batte tutti, anche se hanno una notevole forza attrattiva Dario Franceschini, Matteo Renzi, Pietro Grasso e Luigi Di Maio.
 
Facendo una media di questi quattro indicatori il primo posto tocca all’attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che stacca di ben cinque punti Pietro Grasso e Luigi Di Maio, mentre al quarto posto si pone Franceschini, al quinto Salvini, seguito, con punteggi inferiori, da Matteo Renzi, Berlusconi, Boldrini, Meloni, Pisapia e Bersani.
In un certo senso è un vero e proprio «sistema solare» che abbiamo creato. Tale sistema passa dal Sole rappresentato da Gentiloni a una meteora laterale ai pianeti che ha il volto del leader di Mdp, Pierluigi Bersani.
 
A questo punto ci siamo anche domandati che tipo di influenza avrebbero questi personaggi con i punteggi sopra riportati in termini di cambiamento delle quote dei Partiti di cui sono in servizio.
 
Abbiamo anche creato un modello matematico da cui risulterebbe che la presenza di Gentiloni come candidato presidente del Consiglio del Pd ne aumenterebbe la quota di 3 punti ponendo il Pd come leader dei Partiti italiani, anche nei confronti del M5S e indebolendo percettibilmente l’area di destra. Tutti gli altri candidati Pd provocherebbero la leadership del M5S e una certa ristrutturazione positiva del centrodestra in Italia. 
 
Ovviamente si tratta di un sistema predittivo ancora tutto da approfondire, per cui chiederei la collaborazione di qualche esperto in statistica tra gli amici lettori che possa darci una mano alla costruzione di un modello elettorale predittivo da sperimentare nelle prossime elezioni.
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/12/01/italia/politica/gentiloni-il-leader-preferito-di-maio-e-berlusconi-pi-vitali-aeiODyebRSCfzH9vebmTCJ/pagina.html
4114  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / ERIKA TOMASICCHIO Abbiamo pagato la Tari gonfiata? Ecco come capirlo e ... inserito:: Dicembre 03, 2017, 06:19:51 pm
Abbiamo pagato la Tari gonfiata? Ecco come capirlo e farci rimborsare
Se il Comune ci ha chiesto il pagamento di somme non dovute, applicando più volte sulle pertinenze la quota variabile della tassa rifiuti, possiamo richiedere un indennizzo. Come scoprire gli errori di calcolo

Di ERIKA TOMASICCHIO
10 Novembre 2017

Il caso della Tari gonfiata ha scatenato un moto di indignazione da parte di milioni di contribuenti, timorosi di essere ‘vittime’ di errori di calcolo da parte del proprio Comune. La palla passa ora agli enti locali che dovranno valutare il da farsi, se tenere conto della tesi ministeriale e rimborsare, oppure no. Ma come facciamo a scoprire se le inesattezze riguardano anche noi? Ecco come muoversi, passo dopo passo.

Cosa controllare. “La prima cosa da fare è guardare con attenzione la ‘bolletta’ con cui il Comune ci richiede il pagamento della Tari e soffermarci sul dettaglio delle somme da versare. Qui l’ente specifica - con tanto di dati catastali - la superficie tassata” chiarisce a Repubblica Economia Giuseppe L’Abbate, deputato che ha acceso i riflettori sulla vicenda con un’interrogazione parlamentare.

“In corrispondenza della casa e di ciascuna pertinenza (garage, posto auto scoperto, cantina e così via) l’avviso di pagamento riporterà le voci ‘quota fissa’ e ‘quota variabile’. La quota fissa comparirà, con il relativo importo, con riferimento alla casa e a ogni pertinenza. La quota variabile, invece, dovrebbe riportare un valore apprezzabile in corrispondenza del solo appartamento, e la cifra 0 in relazione alla pertinenze. Se per il garage, ad esempio, compare un valore superiore, è quella la cifra che abbiamo versato in più e di cui possiamo richiedere il rimborso entro cinque anni dal versamento”. A scanso di equivoci, verifichiamo tutti gli avvisi Tari ricevuti, dal 2014 in poi.

Rilevare le inesattezze potrebbe non essere semplice. “Purtroppo le cartelle di pagamento dei vari Comuni hanno una veste grafica diversa tra loro e spesso sono poco trasparenti” chiosa Francesco Luongo, presidente del Movimento difesa del cittadino, che il 20 ottobre scorso ha lanciato la campagna ‘Sos Tari’ per assistere i contribuenti nella richiesta di rimborso. “Dopo aver esaminato il proprio avviso di pagamento, può essere anche utile consultare il regolamento che disciplina la Tari (DPR n. 158/99), oltre alla delibera annuale che fissa la tariffa nel proprio Comune.

L’istanza di rimborso.  Per la richiesta d’indennizzo possiamo agire da soli, inoltrando una richiesta scritta in duplice copia al Comune o al soggetto terzo che si è occupato di riscuotere la Tari (concessionario del servizio).

L’istanza va inviata con raccomandata A/R o PEC, citando gli estremi dell’interrogazione parlamentare n. 5-10764 del 18 ottobre 2017, e allegando gli avvisi di pagamento della Tari contestata.  Abbiamo cinque anni di tempo dal momento del versamento della tassa per chiedere il rimborso (secondo la legge 296/2006, la Finanziaria del 2007), possiamo anche farci aiutare da un’associazione dei consumatori.Il Comune dovrebbe rimborsarci entro 180 giorni dalla presentazione dell'istanza. Se l'ente non risponde è possibile presentare ricorso nei 60 giorni successivi alla Commissione Tributaria Provinciale.

© Riproduzione riservata

Da - http://www.repubblica.it/economia/diritti-e-consumi/diritti-consumatori/2017/11/10/news/abbiamo_pagato_la_tari_gonfiata_ecco_come_capirlo_e_farci_rimborsare-180786834/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S2.5-T2
4115  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Sergio FABBRINI. I tre vizi dell'immobilismo italiano inserito:: Dicembre 03, 2017, 01:55:45 pm
I tre vizi dell'immobilismo italiano

di Sergio Fabbrini
25 gennaio 2014

La discussione che si è aperta sul pacchetto di riforme elettorali e istituzionali, concordato tra il Pd e Forza Italia, costituisce la formidabile rappresentazione dei vizi che hanno finora condannato l'Italia all'immobilismo.

C'è un'attrazione fatale di una parte considerevole della nostra classe politica verso la grande bellezza della conservazione. Tre vizi in particolare.

Il primo vizio è il massimalismo. Ogni tentativo di cambiamento viene fermato dalla critica che esso non è abbastanza. La proposta di riforma elettorale Renzi-Berlusconi è sicuramente un passo in avanti rispetto al sistema elettorale adottato nelle ultime tre elezioni. Ma, naturalmente, ha anche inevitabili difetti, come sempre avviene quando una proposta è il risultato di un compromesso tra visioni e interessi diversi. Se fossimo un Paese con solide tradizioni pragmatiche, si sarebbe preso atto che essa rappresenta l'unico equilibrio possibile nelle attuali condizioni per uscire dallo stallo, per quindi impegnarsi ad approvarla prima possibile. Nel nuovo Parlamento, poi, si sarebbe trovato un modo per migliorarla. Ma noi non siamo un Paese pragmatico. In Italia, invece di porsi il problema di come promuovere una riforma tra interessi politici diversi, ci si pone quello di come renderla perfetta. Sembra di partecipare ad un seminario universitario. La corsa ad essere i più bravi e i più democratici è irrefrenabile. C'è un vero e proprio ceto di professionisti della riforma elettorale che vive da anni passando da una proposta all'altra. Con l'esito che la riforma non si fa mai. Ciò vale anche per altre riforme. Ogni proposta che viene avanzata è subito sommersa dalle richieste che occorre fare di più e meglio. Quando non è sommersa dal benaltrismo. Il risultato: abbiamo i cassetti pieni di splendidi progetti, però mai realizzati.

Il secondo vizio è il particolarismo. La proposta Renzi-Berlusconi non è discussa relativamente ai benefici che può produrre al sistema politico. No, è discussa in base agli interessi contingenti e particolari dell'uno o dell'altro gruppo, in particolare se piccolo. La mentalità proporzionalistica è diffusa in tutti i partiti. In Germania non si entra nel Bundestag se non si raggiunge il 5% dei voti. Nessuno ha denunciato la morte della democrazia quando, nelle elezioni del settembre scorso, il partito liberale-democratico, il Freie Demokratische Partei, pur essendo stato al governo per cinque anni, non è entrato in parlamento. Né nel passato quella soglia era stata denunciata dai Verdi (Die Grünen), che per entrare in parlamento hanno dovuto imparare ad aggregarsi. In tutte le grandi democrazie parlamentari ci sono grandi partiti o grandi coalizioni politiche. I partiti piccoli servono per segnalare problematiche dimenticate o trascurate dai partiti grandi. Ma possono e debbono farlo fuori dal parlamento. Altrimenti si trasformano in piccole burocrazie pubbliche il cui unico interesse è sopravvivere. Ma così non è in Italia. Aggregarsi in movimenti o partiti più grandi, trovare le necessarie mediazioni per rappresentare le fondamentali opzioni presenti nell'elettorato, tutto ciò sembra essere inconciliabile con lo spirito pubblico coltivato da una parte della nostra classe politica. Si arriva così al paradosso che una componente del partito più grande (il Pd) chieda che si abbassino le soglie per accedere alla distribuzione dei seggi a favore dei partiti più piccoli, invece di preservarle per rafforzare la capacità di attrazione del proprio partito.

Il terzo vizio è il consensualismo. Le riforme si fanno solamente se c'è il consenso di tutti. Quel consenso va costruito nelle discussioni assembleari. L'assemblearismo è considerato anche da molti intellettuali la forma superiore della cultura politica italiana. Un'autorevole teorica politica ha scritto recentemente su l'Unità un articolo a difesa del Senato così com'è, associazioni progressiste come Libertà Eguale si sono mobilitate per difendere il parlamentarismo italiano con la sua struttura bicamerale, studiosi di diritto hanno richiamato l'importanza di quest'ultima per favorire la deliberazione ragionata delle leggi. Tale ragionevolezza, naturalmente, non è presente in Gran Bretagna, o in Francia o in Spagna, dove una sola camera prende decisioni e sostiene il governo. Anche la riduzione del numero dei parlamentari viene vissuta come una menomazione della democrazia. Eppure in Italia vi è 1 parlamentare ogni 64.154 abitanti, mentre in Spagna ce ne è 1 ogni 134.832 abitanti, in Germania ogni 131.858 abitanti, in Francia ogni 112.782, in Gran Bretagna ogni 96.053 abitanti. Sono, queste ultime, democrazie menomate? In Italia si discute ma non si sa.

La combinazione di massimalismo, particolarismo e consensualismo ha prodotto un periodico e regolare stallo della politica italiana. L'idea predominante in settori considerevoli di quest'ultima è che la democrazia si esaurisca nella rappresentanza. A causa anche di una cultura giuridica troppo spesso formalistica e procedurale, le istituzioni politiche si sono disinteressate al governo del Paese. O almeno lo hanno fatto coincidere con il governo dei loro equilibri interni. Il governo Letta, al di là delle intenzioni del presidente del consiglio e delle positive iniziative assunte ieri dal Consiglio dei ministri, ha finito per essere troppo spesso un ulteriore esempio della logica introversa della politica italiana. Incapace di produrre un governo effettivo, la democrazia italiana ha così subappaltato quest'ultimo alle burocrazie ministeriali o alle istituzioni europee. Con i risultati che conosciamo.

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-01-25/i-tre-vizi-immobilismo-italiano-081614.shtml?uuid=ABdNE9r
4116  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / G. Brianza. Politica Industriale l’Italia ha bisogno di una cultura aziendalista inserito:: Dicembre 03, 2017, 01:50:23 pm
Economia & Lobby

Politica Industriale, l’Italia ha bisogno di una cultura aziendalistica

Di Giuseppe Brianza | 13 gennaio 2016

Ormai sento sul collo il respiro di coloro che vorrebbero arrivare alle conclusioni serie. Mi spiace per loro ma bisogna ancora fare alcuni passi intermedi, altrimenti si rischia di non afferrare una grossa opportunità. E il mio obiettivo non è di raccogliere plausi o condanne, bensì quello di formare un gruppo di persone che capisca quale potenziale beneficio possiamo portare a questo mondo oggi asfittico della manifattura italiana.

A mettere in movimento le situazioni reali ci ha pensato (e continua a pensarci) l’evoluzione tecnologica.
Faccio un esempio che ho personalmente vissuto. Stavo discutendo – ormai molti anni fa – con l’amministratore delegato di una nota casa motociclistica italiana. Stavamo passando in rassegna i reparti produttivi quando un tecnico in camice verde ci raggiunse: doveva sottoporre all’Ad un problema: nella mano destra teneva una manciata di ingranaggi destinati al ‘cambio di velocità’ di un certo modello della casa.

Si poneva un problema: questi ingranaggi non rispondevano alle prescrizioni qualitative imposte dal disegno del progettista, ma erano tanti ed erano già stati prodotti e pronti per andare in ‘cementazione’: che fare, buttarli? Il nostro ad era in serio imbarazzo: ma non tanto perché si poneva una questione di ‘qualità’ del prodotto, quanto perché ero presente io, esterno all’azienda, che avrei potuto essere un pericolo dal punto di vista dell’immagine della società. Ebbe qualche esitazione. Poi, guardandomi negli occhi, quasi a chiedere la mia complicità, mise una mano sulla spalla del tecnico in camice verde e disse: ‘Dai, dai, che siete capaci di impiegarli lo stesso…! ’.
Personalmente non mi stupii: nel mio passato professionale queste cose accadevano quotidianamente in una grande casa automobilistica. Poi, alla fin fine, il cliente finale non si sarebbe accorto di nulla ma intanto si salvavano produzioni che sarebbero state da scartare.

A rompere le uova nel paniere arrivarono negli anni settanta pesantissimi i giapponesi, con il loro ‘just-in-time’, il ‘kanban’, la ‘total quality’, ecc. ecc. Nelle nostre aziende accadde di tutto, ma per accettare queste nuove regole le nostre maestranze ci misero una trentina d’anni, durante i quali la ‘quality’ dei nostri prodotti Oem subì colpi impressionanti. I sindacati non capirono la durezza dell’evoluzione che il mercato globale stava imponendo, questo problema fu affrontato con lotte e scontri dal carattere ‘reattivo’ e non ‘propulsivo’ per un numero di anni nei quali l’immagine della nostra ‘quality’ nel mondo tese al forte ribasso. E perdemmo molti mercati.

Anche noi italiani cominciammo a percepire una sensibile differenza qualitativa fra le nostre automobili e quelle tedesche o giapponesi o coreane. La differenza era palpabile: tutto il mondo manifatturiero però stava percorrendo una curva d’esperienza molto importante: si capì che il subfornitore, per capirci le aziende Ssm, non erano così intercambiabili. Ricordo la saggezza meneghina del mio nonno paterno (che nel 1906 aveva messo in piedi una ‘fabbrichetta’) quando diceva: ‘un buon fornitore costruisce metà del successo di bilancio…’.
A poco a poco, nel mondo dei rapporti fra Ssm e Oem si venne a formare una ‘segregazione’ silenziosa, quasi naturale: una sorta di ‘fascia A’ (non identificata da nulla se non da una immagine qualificata) e una sorta di ‘fascia B’ (le Ssm a immagine minore). Dimentichiamo le conseguenze sui ‘prezzi’ dei prodotti, ma venne a verificarsi un fenomeno ancora da molti non colto nella sua grandissima importanza: i legami fra le aziende-buyer e le Pmi di ‘fascia A’ si sono intensificati e la vera motivazione di questo fenomeno (avvenuto a danno dei legami fra le medesime aziende-buyer e le PMI di ‘fascia B’) è costituita dal fatto che un qualsivoglia ‘buyer’ rischia la carriera se il fornitore non mantiene i propri impegni e la ‘catena produttiva’ rischia il blocco. A volte una Pmi di ‘fascia B’ non riesce a entrare neppure forzando a dismisura il ‘prezzo d’offerta’: anzi, così facendo, provoca una crescente diffidenza da parte di molti buyers.

Come cerco di spiegare, questo fenomeno ha carattere spontaneo e non si tratta di un fenomeno che caratterizza solo le nostre Pmi: a poco a poco, diffondendosi questa realtà economica, si sono formati dei ‘gruppi’ di aziende, di varia conformazione, non legate da patti speciali, che hanno dato vita alla cosiddetta ‘impresa olonica’: fu uno studioso ungherese che ne parlò e che definì il termine ‘olonico’, da holos (tutto) e on (parte) per identificare la combinazione di un sistema con le sue parti. E’ un fenomeno mobile, spontaneo, ma assolutamente esistente e operante e, oltretutto, crescente nella sua applicazione, ancorché spesso inconsapevole.

Nonostante la sua silenziosità, il suo esistere silenzioso, si tratta di un fenomeno epocale e il nostro ‘sistema manifatturiero’, nel suo vivere affannoso, non l’ha ancora – salvo pochi – colto. Un sistema di imprese-oloni forma una unica impresa, definita appunto impresa virtuale perché non corrisponde a un’impresa reale.

Fantasia? Sogno? Per nulla: è una realtà che ha anche in Italia degli esempi e dei successi clamorosi. Ne parleremo più a fondo.
Certamente per molti queste affermazioni sono un po’ come l’arabo per i latini: ma questo scenario fa ormai parte della realtà industriale internazionale. Sì, internazionale, perché oltretutto questa nuova realtà industriale non conosce confini politici o geografici.

L’argomento è davvero grosso e, soprattutto, importante: perché genera conseguenze enormi sui ‘costi’, sulle curve d’esperienza tecnologiche, sulla capacità finanziarie. E’ un fenomeno che genera ‘cultura’, e Dio solo sa quanto le nostre Pmi abbiano bisogno di questo straordinario ingrediente, multiforme e trascinante: la ’cultura’ aziendalistica (tecnica, di marketing, finanziaria).

Di Giuseppe Brianza | 13 gennaio 2016

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/13/politica-industriale-litalia-ha-bisogno-di-una-cultura-aziendalistica/2368027/
4117  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FRANCESCO BEI. Niente accordo fra i centristi, salta la Direzione inserito:: Dicembre 03, 2017, 01:45:22 pm
Niente accordo fra i centristi, salta la Direzione
Il ministro Lorenzin punta all’intesa con il Pd, Lupi vuole una corsa in solitaria

Pubblicato il 02/12/2017 - Ultima modifica il 03/12/2017 alle ore 07:24

FRANCESCO BEI
ROMA

Nulla di fatto. I centristi non riescono a trovare la quadra al loro interno fra chi, come il ministro Beatrice Lorenzin, punta a stringere un’alleanza di governo con il Pd e l’ala invece “autonomista” di Maurizio Lupi. Così la direzione che lunedì avrebbe dovuto prendere una decisione finale slitta ancora di una settimana. Nell’ultima riunione era stato approvato quasi all’unanimità (salvo i voto contrari di Roberto Formigoni e Gabriele Albertini) un documento che dava mandato al coordinatore Lupi e al vice Gentile di «approfondire i contenuti di un’opzione che prevede la prosecuzione di un’alleanza di governo in vista della campagna elettorale o di fare un’alleanza con le forze centriste per un’eventuale corsa autonoma in vista di prossime elezioni». 

Lorenzin spinge per proseguire l’intesa con il Pd di Renzi, perché «andare da soli significherebbe danneggiare i moderati e regalare la vittoria ai populisti Salvini e Grillo». Il coordinatore Lupi, sensibile alle richieste dei lombardi e dei liguri più favorevoli al centrodestra, vorrebbe invece mantenere un profilo autonomo. Accettando anche il rischio di non superare l’asticella del 3 per cento fissata dalla legge elettorale. In mezzo Angelino Alfano, che comunque ha deciso di non correre in un collegio uninominale ma soltanto nella quota proporzionale. 
Una settimana è quindi passata invano e la decisione di far slittare la Direzione certifica l’impasse. Lunedì si terrà soltanto la segreteria ristretta di Alternativa popolare.
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/12/02/italia/politica/niente-accordo-fra-i-centristi-salta-la-direzione-62c5bm6uhiPJTr23pHfBPL/pagina.html
4118  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / BOCCIA: «L’Italia è al bivio, priorità a lavoro e crescita» Nicoletta Picchio e inserito:: Dicembre 03, 2017, 01:43:55 pm
Boccia: «L’Italia è al bivio, priorità a lavoro e crescita»

Di Nicoletta Picchio e Giorgio Santilli 


03 dicembre 2017

Non smontare le riforme che stanno funzionando, come dimostrano i dati del Pil, dell’export e degli investimenti privati. Anzi, bisogna cogliere l’occasione del passaggio a Montecitorio della legge di bilancio per rafforzare le misure a favore della competitività del paese. Senza cadere in tentazioni da campagna elettorale orientate all’aumento del deficit. Vincenzo Boccia (nella foto) manda un messaggio alla politica, subito dopo il via libera della manovra al Senato: «La crisi non è ancora superata, l’Italia ha grandi potenzialità, ma deve essere messa nelle condizioni di competere per crescere, con l’obiettivo di creare benessere e occupazione». E, il lavoro, soprattutto il lavoro dei giovani, deve essere al centro delle politiche del Paese.

Presidente Boccia, la legge di bilancio ha superato il primo esame del Senato. Le sembra sia rimasto l’impianto iniziale che doveva puntare, oltre che alla sterilizzazione dell’Iva, prioritariamente al rafforzamento della crescita?
Complessivamente abbiamo un giudizio positivo. L’impianto iniziale, da noi sostanzialmente condiviso, è stato salvaguardato, così come gli equilibri di bilancio. Le modifiche approvate al Senato non l’hanno né indebolito né stravolto pur tenendo conto della crescente pressione elettorale.

Alla Camera si annunciano già numerosi correttivi. Potrebbe essere l’occasione per rafforzare le misure per la crescita?
Nella versione del Senato mancano, in effetti, alcune misure particolarmente significative per la competitività del Paese. Il passaggio a Montecitorio potrebbe inserirle, nel rispetto dei vincoli di bilancio. Dobbiamo sempre tenere presente che siamo in ripresa ma la crisi non è ancora superata e l’Italia è a uno snodo decisivo per il futuro. Non dobbiamo dimenticare che l’economia ha invertito la tendenza ma abbiamo ancora un sistema economico debole e il 60% delle aziende deve ancora superare la fase di transizione.

Servono più interventi specifici a favore delle imprese?
Confindustria vuole essere un ponte fra le esigenze delle imprese e quelle del Paese. Non abbiamo logiche corporative né di scambio con la politica e consideriamo la crescita una precondizione per combattere disuguaglianza e povertà. Il rapporto Censis ha messo in evidenza che il Paese è in ripresa ma che aumentano i rancori di chi è tagliato fuori. Alcune misure che proponiamo intervengono su nodi decisivi per lo sviluppo e la competitività.

Ci fa un esempio?
Pensiamo alla logistica che oggi ha una valenza strategica per la competitività dell’industria e dei Paesi. Non dobbiamo fermarci a industria 4.0, il traguardo è impresa 4.0: uno scenario in cui tutta la filiera, che va dalla ricerca alla produzione alla logistica e al consumo, comunica con gli stessi standard e lo stesso linguaggio. Prendiamo i porti: la fiscalità locale deve sostenere lo sviluppo. Invece ambiguità normative, interpretative e applicative hanno prodotto situazioni discriminatorie nel nostro sistema portuale riguardo all’esenzione prima dall’Ici e poi dall’Imu di aree, banchine portuali e impianti di movimentazione. I ministri Padoan e Delrio, insieme all’Agenzia delle Entrate, hanno trovato una soluzione condivisa e sostenibile che esenta gli immobili dalla fiscalità locale a partire dal 2018, come era nell’impianto originario delle classificazioni catastali. Non risolve il pregresso ma chiarisce il futuro. È una misura molto importante come ben evidenziato dai colleghi di Assoterminal, Assologistica e Confetra.

Si parla continuamente del ruolo dell’Italia e del Mediterraneo per intercettare i traffici mondiali sulla via della Seta o verso il canale di Suez. Poi, però, non riusciamo a realizzare politiche adeguate...

Non valutiamo a sufficienza che il contributo al Pil della competitività logistica è del 14%, il trasporto via mare è ormai prossimo al 60% di quello complessivo e le sue potenzialità sono un’opportunità da cogliere in una fase in cui i traffici internazionali sono particolarmente dinamici. La politica del Governo ha fatto della portualità il centro dello sviluppo logistico nazionale in stretta integrazione con le altre modalità di trasporto, dal ferroviario a quello stradale ed aereo: la ripresa economica potrebbe ulteriormente irrobustirsi grazie a misure, come quelle fiscali, capaci di recuperare condizioni di competitività equivalenti ai sistemi logistici del Nord Europa e del Mediterraneo. Proprio per l’importanza di questo settore puntiamo a consolidare ed allargare la rappresentanza del comparto. Stiamo lavorando per realizzare maggior dialogo e coesione sia all’interno della filiera logistica che tra la filiera logistica e quella industriale, condividendo la visione strategica sul futuro dell’impresa e del Paese anche con importanti realtà associative come Confetra, con cui intendiamo strutturare forme di più stretta e stabile collaborazione. Vogliamo confrontarci su temi che coinvolgono tutto il sistema produttivo: digitalizzazione e innovazione, investimenti e qualità del lavoro, sostenibilità ed efficienza. Non c’è più spazio per visioni corporative, divisive o addirittura personalistiche.

Ma gli handicap del nostro Paese non si fermano certo qui: il fisco, l’energia, i tempi della burocrazia e della giustizia, la produttività. La legge di bilancio, tenendo conto dei vincoli, dove si può spingere?
Prendiamo il pacchetto fiscale. Ci sono alcune ineludibili questioni di civiltà giuridica e di certezza. Andrebbe ripristinato un termine congruo per l’esercizio della detrazione Iva, bisognerebbe eliminare la norma che riduce gli spazi per la deducibilità degli interessi passivi e inserire misure per accompagnare la fatturazione elettronica obbligatoria. Inoltre si dovrebbe inserire un chiarimento interpretativo sulla portata delle modifiche in materia di imposte di registro. Altro problema è il Sistri, non si può pensare di continuare a far pagare un contributo alle imprese o applicare le sanzioni per un sistema che non è mai partito. Infine, l’introduzione della web tax dal 2019. Altra questione su cui riflettere.

Che valutazione ne dà Confindustria?
Confindustria ha fortemente sostenuto in sede europea l’urgenza di un intervento condiviso tra gli Stati membri per ripristinare equità fiscale nella tassazione delle imprese, indipendentemente dai modelli di business adottati, digitali o tradizionali. Ma la web tax inserita nella legge di bilancio presenta sul piano tecnico-applicativo criticità evidenti, che rischiano da un lato di renderla inapplicabile nei rapporti con l’estero, dall’altro di riversare inutili complicazioni e aggravi sugli operatori nazionali del settore digitale e sui loro clienti.

Molti svantaggi penalizzano l’Italia, ma la crescita si sta rafforzando. L’ultimo dato Istat del Pil evidenzia che a trainare sono investimenti privati e industria.

È la riprova che intervenendo sui nodi di sviluppo, con una politica dell’offerta e dei fattori per la crescita, anche con poche risorse il Paese e le imprese reagiscono. Gli ultimi governi hanno varato riforme come il Jobs act e Industria 4.0. I numeri della crescita sono l’effetto di queste politiche: +1,7% il Pil, +7% l’export, +30% gli investimenti privati, più occupazione. Si è innescato quel circolo virtuoso dell’economia su cui insistiamo da tempo: più crescita, più investimenti, più occupazione, più domanda. Proprio per questi risultati positivi è opportuno valutare i singoli provvedimenti in termini di effetti sull’economia reale ed evitare posizioni ideologiche. Alla politica chiediamo di attivare gli investimenti pubblici, nazionali e transnazionali - non solo grandi opere ma un’intelligente opera di manutenzione dei territori - tenendo conto che il fattore temporale sarà una delle grandi sfide della prossima legislatura. Così come le semplificazioni e una più efficiente amministrazione della giustizia.

Lei ha lanciato continui messaggi sulla necessità che le riforme non vadano smantellate. Vede il rischio concreto di tornare indietro e cosa pensa sia prioritario per la prossima legislatura?
In gioco c’è il futuro dell’Italia e bisogna tornare ai fondamentali dell’economia. È l’industria il motore del Paese: la questione industriale non è la questione degli industriali, ma un interesse nazionale. Abbiamo lanciato il piano di inclusione giovani e al primo punto delle nostre Assise generali, convocate per il 16 febbraio del prossimo anno, ci sarà proprio il lavoro che grazie alla crescita diventa la priorità politica di questa Confindustria aperta e inclusiva. Non c’è dicotomia fra impresa e famiglia: le persone che le imprese assumono grazie alla crescita sono i figli delle famiglie italiane. Nella legge di bilancio ci sono le prime risorse per i giovani ma bisogna andare avanti. Dobbiamo diventare la punta avanzata d’Europa e costruire l’Italia del lavoro e per i giovani. Il 16 febbraio, come detto, terremo a Verona le assise di Confindustria. Abbiamo cominciato la consultazione della base sul territorio. Metteremo a punto un’agenda di medio termine che presenteremo ai partiti con una serie di misure su tutti i temi.

La campagna elettorale è già partita con la guerra sulle banche e una raffica di roboanti proposte e promesse da parte di tutti i partiti, spesso senza indicare i costi e le coperture o con spinte populistiche, dalle pensioni agli 80 euro alle famiglie alla flat tax al reddito di cittadinanza, al rilancio dell’articolo 18. Vi preoccupano queste prime avvisaglie?
Il punto centrale è con quali risorse si possono sostenere le promesse elettorali e rendersi conto della fase delicata che viviamo, nonché del grande debito pubblico che grava sulle nostre spalle. Bisogna evitare tattiche e spingere su proposte e strumenti che abbiano effetti positivi sull’economia reale utilizzando la crescita per un grande piano di inclusione che riduca i divari dei quali ci parla anche l’ultimo rapporto Censis. Dobbiamo esprimere un pensiero economico per una idea di società post ideologica, che sappia guardare al futuro del Paese e fare i conti con le sue potenzialità.

Un contesto cui si aggiunge quella cultura antindustriale che ancora pervade il Paese e di cui vediamo esempi ogni giorno, come nel caso clamoroso dell’Ilva.

Denunciamo da tempo che esiste ancora una cultura antindustriale con cui dobbiamo fare i conti. Nel caso dell’Ilva si sta mettendo a rischio il piano di risanamento ambientale e di rilancio industriale dimenticando che sono in gioco 20mila posti di lavoro e il futuro siderurgico del Paese. Dobbiamo promuovere un salto culturale, troppo spesso facili promesse hanno la meglio su posizioni ponderate. La politica dovrebbe avere il senso del limite. A partire dal caso Ilva dobbiamo chiederci che immagine vogliamo dare del nostro Paese agli investitori interni ed esteri. Va bene il confronto serrato ma se la situazione dovesse sfuggire di mano che figura faremmo agli occhi del mondo? Occorre recuperare lo spirito delle riforme contenute nel referendum del 4 dicembre. In particolare quelle che regolano i rapporti tra centro e territorio introducendo la clausola di supremazia. Quasi un terzo dei ricorsi in Corte Costituzionale riguarda i rapporti Stato-Regioni. E questo è inaccettabile. Per combattere l’ansietà e avere fiducia nel futuro il Paese ha bisogno di certezze.

La Cgil manifesta da sola, senza Cisl e Uil, chiedendo misure per i giovani ma rilanciando una revisione delle regole pensionistiche e l’articolo 18. Un atteggiamento di retroguardia anche questo?
Abbiamo grande rispetto per tutte le organizzazioni sindacali. Siamo in una fase serrata di confronto per capire se ci sono elementi nuovi e innovativi per fare un salto di qualità avviando il processo che abbiamo definito Patto per la fabbrica. Condividiamo con loro che occorra ritornare alla centralità del lavoro. E per riuscirci dobbiamo tornare insieme ai fondamentali e costruire una proposta che ne crei le precondizioni. A partire dalle fabbriche, e dalla formazione dentro e fuori, per proseguire con l’aumento dei salari legati agli incrementi di produttività e quindi con una politica fiscale adeguata. Si tratta d’intendersi sulle priorità: che cosa possiamo e dobbiamo fare prima, considerate le criticità del Paese. Se parliamo dei giovani, non possiamo partire dalle loro pensioni tra 30 anni ma dal loro lavoro in questo presente.

Stenta a decollare il dialogo sullo scambio salario-produttività che accorcerebbe il distacco di 30 punti che abbiamo dalla Germania. Registriamo, però, un forte aumento dei contratti di secondo livello, decollati con gli incentivi fiscali che voi avete fortemente voluto. È la strada giusta? È il momento di fare un primo bilancio?
Sì, è la strada giusta. E le nostre associazioni di categoria assieme ai sindacati si sono orientate in tale direzione. È la sfida del Paese: non avendo lo strumento della svalutazione – e meno male - la produttività determina a parità di valuta la competitività di un Paese.

Industria 4.0 sta decollando e sempre più appare la chiave per rafforzare la competitività della nostra industria. C’è un aspetto fondamentale però nella innovazione delle competenze e nella formazione del personale. Un ruolo spetta anche alle parti sociali?
Proprio così. Dobbiamo lavorare per un grande piano di formazione a favore dei lavoratori nelle imprese e dei giovani, con gli Its e nelle Università, stando anche attenti a non determinare un altro divario con la Pubblica amministrazione dove ci auguriamo ci sarà un’analoga evoluzione.

Sulle banche abbiamo un fronte interno, con le tensioni nella commissione banche, e un fronte esterno con la Bce che vorrebbe imporre uno smaltimento accelerato degli Npl e un ampio fronte guidato dalla Germania che vorrebbe imporre un tetto al possesso di titoli di Stato nei bilanci delle banche. La preoccupa questo scenario? Non servirebbe una posizione forte e possibilmente unitaria del Paese?

La preoccupazione principale è che questioni come l’addendum sugli Npl e degli eventuali accantonamenti su titoli di Stato possano generare il blocco della ripresa a danno dell’economia italiana ed europea. Non c’è dubbio che occorra una risposta strutturata e condivisa. Ed è evidente che una posizione unitaria di tutti i partiti sarebbe determinante. Le Confindustrie d’Europa, riunite nell’organismo che prende il nome di Business Europe, si sono incontrate in questi giorni a Tallin per immaginare una governarce più forte che metta al centro le politiche per la crescita. La competizione non è tra Paesi d’Europa ma tra Europa e resto del mondo. Per questo è importante rinforzare l’integrazione tra i Paesi dell’area e mettere al centro la questione industriale come chiedono le Confindustrie di Italia e Germania che proprio qualche giorno fa, a Berlino, hanno consegnato alle rispettive ambasciate il documento di Bolzano con una serie di punti comuni da condividere con i governi. Il messaggio è Europa First. In questo scenario l’Italia, seconda manifattura europea, può e deve giocare un ruolo importante e uscire da una condizione di marginalità e puntare invece, come dicevamo, sulla sua centralità tra Europa e Mediterraneo.

A proposito di competizione globale, gli Stati Uniti hanno appena approvato una riforma fiscale che parte da un drastico taglio delle tasse sulle imprese, anche se il problema è stato fino alla fine la riduzione del buco nei conti pubblici che si rischia di aprire. È una lezione per l’Europa e l’Italia che intanto impone, come ricordava lei, la web tax?
Questa è la sfida. Con gli Stati Uniti che puntano alla competitività delle proprie imprese e la Cina che punta sullo sviluppo industriale interno, l’Europa deve puntare sul lavoro e diventare il luogo più competitivo al mondo per fare industria. Altro che uscire dall’Europa. L’Europa riformata sarà la nostra soluzione. Di tutto questo parleremo alle nostre Assise di febbraio che vorranno essere un momento di mobilitazione e proposta dell’industria italiana.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-12-02/boccia-in-gioco-futuro-dell-italia-priorita-lavoro-e-crescita-231238.shtml?uuid=AEHeJPMD
4119  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Rossella Bocciarelli. L’industria marcia, ma non basta: serve un progetto Paese. inserito:: Dicembre 03, 2017, 01:41:29 pm
L’industria marcia, ma non basta: serve un progetto Paese

–di Rossella Bocciarelli

La grande traversata nel deserto della crisi è finita e l'Italia modello 2017, anche per il Censis, registra i primi effetti di un lento arricchimento sociale.
È però, secondo il centro studi fondato da Giuseppe De Rita, soltanto il primo innesco di uno sviluppo futuro, che, per realizzarsi compiutamente, avrebbe bisogno di un progetto politico di lungo termine, in grado di contrastare e ridurre disagi e rancori sociali che la lunghissima recessione ha lasciato in eredità.

DATI ISTAT  10 ottobre 2017

Manifattura, +5,7% per la produzione industriale ad agosto
Efficienza manifattura a +22,1% dal 2009

Di certo, tra le voci che vanno iscritte all'attivo del Paese spicca il ruolo dell'industria: dal 2009 ad oggi, annota il rapporto, mentre il settore dei servizi ha lentamente perduto efficienza, l'industria manifatturiera è stata in grado di far cresce il valore aggiunto per addetto del 22,1 per cento. Oggi l'Italia si colloca al secondo posto in Europa dopo la Germania per produzione manifatturiera in rapporto al Pil e mantiene una quota del 3,4 per cento sull'export mondiale. Non basta: il Censis ci ricorda che perfino il Financial Times, giornale storicamente non tenero con il nostro Paese, ha di recente pubblicato un'indagine nella quale si mostra come il 18,6 per cento delle imprese europee che sono cresciute più velocemente dopo la crisi europea siano italiane. Una percentuale che pone l'Italia al terzo posto dopo Germania e Regno Unito e molto più avanti in classifica rispetto a Paesi come Francia e Spagna.

Il ritorno di un cauto edonismo
Gli italiani, nel frattempo, hanno ricoperto un cauto edonismo nei consumi, potenziando la spesa per i servizi per la casa e per il benessere soggettivo: si va dal ritorno al ristorante alle visite a musei, teatri e concerti, alle palestre e ai parrucchieri. La cultura e gli spettacoli vengono considerati come un mezzo per l'aggiornamento e per essere al passo con i tempi (lo stesso vale per la fruizione in streaming di contenuti come Netflix, Infinity, Now-tv, Tim Vision, eccetera). Infine, il rapporto registra, tra gli elementi positivi del quadro, il boom del turismo in arrivo nel nostro Paese: rispetto al 2008 c'è un incremento degli arrivi pari al 22,4 per cento. Non manca tuttavia di sottolineare come la classifica delle città metropolitane sia molto differenziata in rapporto alla ripresa, con un vero e proprio tracollo, negli anni della crisi delle grandi aree urbane del Sud (ma un caduta consistente ha interessato anche Roma e Venezia). Nel tracciare uno schizzo della società italiana non poteva mancare poi un ritratto di quella Italia dei rancori inasprita dalla crisi, che a volte assume toni molto regressivi e si scatena sui capri espiatori più indifesi, dagli homeless agli immigrati.

Tra disincanto e pregiudizio
Per valutare in che misura il disincanto si possa trasformare in pregiudizio, il Censis utilizza un sondaggio del genere” Indovina chi viene a cena”. Ne emerge la contrarietà del 66,2% dei genitori italiani in caso di matrimonio della figlia con una persona di religione islamica, del 48,1% con una persona più anziana di vent'anni, del 42,4% con una persona dello stesso sesso, del 41,4% con un immigrato. Percentuali che danno certamente da riflettere, soprattutto se si tiene conto del fatto che siamo nel 2017 e non negli anni Cinquanta e se si considera che la massima autorità spirituale del Paese, il Papa, si sgola ogni giorno in favore del dialogo interconfessionale e dell'accoglienza nei confronti dei migranti.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-12-01/l-industria-marcia-ma-non-basta-serve-progetto-paese-105026.shtml?uuid=AEWXZeLD
4120  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / ANSA. Sinistra, D'Alema: 'Appelli a unità tardivi e incoerenti'. inserito:: Dicembre 03, 2017, 01:35:51 pm
Sinistra, D'Alema: 'Appelli a unità tardivi e incoerenti'.

Applauso accoglie Grasso

Tutto pronto all'Atlantico Live di Roma per l'assemblea dei delegati di Mdp, Si e Possibile, che daranno vita a una lista unitaria alle prossime elezioni

Redazione ANSA
ROMA
03 dicembre 2017

Nasce la lista unitaria della sinistra e, dal palco dell'Atlantico Live a Roma arrivano segnali di chiusura a un eventuale dialogo con il Pd. "Altri - dice Pippo Civati rivolgendosi a Pisapia - stanno allestendo coalizioni da incubo, in cui c'è dentro tutto: Minniti con Bonino, Merkel con no euro. Noi saremo rigorosi". "C'era chi diceva 'mai con Alfano', patrimoniale, ius soli. E allora perché poi va con Alfano, con chi non vuole lo ius soli, con chi quando nomini la patrimoniale gli viene un colpo? Il mio appello è: Giuliano, dove campo vai?", aggiunge parlando a Giuliano Pisapia.

"Il nostro progetto - dice il leader di Possibile, primo big a parlare dal palco - non è solo mettere insieme la sinistra, che è un'impresa titanica mai riuscita, il nostro progetto è cambiare l'Italia, la sua politica, i suoi rapporti di potere". "E' stato un processo lungo e non scontato. Mi piace pensare che oltre a Libertà e uguaglianza ci sia anche una fratellanza tra noi, un comune sentire".

Anche D'Alema boccia gli appelli all'unità del centrosinistra: "Sono tardivi e non accompagnati da scelte politiche e programmatiche conseguenti. Renzi - sottolinea - aveva detto che noi eravamo elettoralmente irrilevanti, quindi questi appelli contraddittori". "La gran parte degli elettori che voteranno per noi, non voterebbero per i candidati del Partito Democratico, quindi noi non portiamo via nulla a loro. Aggiungiamo, recuperiamo persone che altrimenti non voterebbero per il Pd", conclude D'Alema.

Sul palco tre vele di colore giallo, blu e rosso, compaiono su un maxischermo accanto alla scritta: "C'è una nuova proposta".

Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, attacca citando il caso della bandiera neonazista esposta a una finestra di una caserma dei carabinieri a Firenze. "La destra - dice - si è lanciata nella costruzione di una rivoluzione liberista, dei Reagan, della Thatcher e oggi dei Trump. Ma hanno concimato il terreno su cui oggi crescono i fascisti. Che nell'ufficio di un Carabinieri venga appesa la bandiera nazista, ci dice di quanto dobbiamo alzare l'attenzione".

"Ringrazio la Cgil - ha detto in un altro passaggio - che ieri è scesa in piazza per difendere le persone e il loro diritto ad avere una pensione che in Italia sono un problema, soprattutto per i giovani, umiliati due volte". "La questione giovanile - aggiunge - è la vera emergenza di questo Paese. Con Pippo Civati e Roberto Speranza abbiamo dato vita a un rapporto vero di fratellanza per costruire uno spazio democratico, per fare un passo indietro nel nome dell'unità e dell'umiltà".

Il presidente del Senato Pietro Grasso, che chiuderà i lavori e prenderà la guida del nuovo soggetto, è stato accolto da un caldo applauso e una standing ovation al suo arrivo: tutti in piedi i dirigenti, da Massimo D'Alema a Pier Luigi Bersani, e i delegati del nuovo soggetto, che dovrebbe chiamarsi Liberi e uguali.

L'attesa - ha detto Grasso a margine dei lavori - "è una bella cosa. Ci proietta verso qualcosa di positivo". E si ferma a salutare diversi dei delegati seduti nelle prime file, da Massimo D'Alema, che è in seconda fila, a Claudio Fava e Nichi Vendola. Defilato Pier Luigi Bersani, che siede in sesta fila. In platea si vedono, tra gli altri, Vincenzo Visco, Gavino Angius, Fabio Mussi, Alfredo D'Attorre, Federico Fornaro, Miguel Gotor, Stefano Fassina, Loredana De Petris, Arturo Scotto.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Da - http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2017/12/03/sinistra-allatlantico-nasce-lista-applauso-accoglie-grasso_bfa05cc2-c60d-4199-a483-be551f50c334.html
4121  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / Una Elite “aziendalista”? Se realizza il Progetto condiviso … ben venga. inserito:: Dicembre 03, 2017, 12:15:36 pm
Una Elite Aziendalista, per realizzare un Progetto Nazionale di Risorgimento Moderno.

Si a -L'Evoluzione Nonviolenta.

SI a - Un Progetto Italia, indipendente dai Partiti e dai loro Leader, ma da loro sostenuto e pensato come Opera da Realizzare in 5 anni (io l'ho proposto chiamandolo Polo Democratico).

NO a - Rivoluzioni di ogni tipo che creano solo vittime e danni.

Quindi non sperare in un ideale o in una utopia, ma un Progetto Condiviso concreto, visibile e palpabile, da far approvare agli elettori delle prossime elezioni politiche e da realizzare.
Un Progetto che deve vivere nel realizzarsi con chi ci sta e se ne prende l'impegno.

Un Progetto "Fuori dai Partiti", ma che coinvolge e impegna la parte migliore delle loro Intelligenze.

Una Elite “aziendalista”?
Se realizza il Progetto condiviso … ben venga.

Una Elite Aziendalista, per realizzare un Progetto Nazionale di Risorgimento Moderno.

ggiannig 
4122  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / CENTROSINISTRA APERTO. Lista Insieme Psi Verdi inserito:: Dicembre 01, 2017, 10:57:02 am
Una Elite Aziendalista, per realizzare un Progetto Nazionale di Risorgimento Moderno.

Si a -L'Evoluzione Nonviolenta.

SI a - Un Progetto Italia, indipendente dai Partiti e dai loro Leader, ma da loro sostenuto e pensato come Opera da Realizzare in 5 anni (io l'ho proposto chiamandolo Polo Democratico).

NO a - Rivoluzioni di ogni tipo che creano solo vittime e danni.

Quindi non sperare in un ideale o in una utopia, ma un Progetto Condiviso concreto, visibile e palpabile, da far approvare agli elettori delle prossime elezioni politiche e da realizzare.
Un Progetto che deve vivere nel realizzarsi con chi ci sta e se ne prende l'impegno.

Un Progetto "Fuori dai Partiti", ma che coinvolge e impegna la parte migliore delle loro Intelligenze.

Una Elite “aziendalista”?
Se realizza il Progetto condiviso … ben venga.

Una Elite Aziendalista, per realizzare un Progetto Nazionale di Risorgimento Moderno.

ggiannig 
4123  Forum Pubblico / SALUTE e BENESSERE. Ricerca della SERENITA' nella VITA. / Secondo l’ultimo rapporto del Censis il 50 per cento degli italiani bocciano ... inserito:: Dicembre 01, 2017, 12:03:12 am
"Stetoscopio" del 14/04/2015

Perché è retrocessa la Sanità del Veneto

Nelle intenzioni del Ministro Lorenzin e del premier Renzi, le Regioni - con la revisione dell’art. V della Costituzione che tanti guai ha provocato avendo dato il via libera ai parlamentini che ne hanno approfittato per sprecare miliardi di soldi pubblici – non dovrebbero più avere mano libera nella Sanità.

Secondo l’ultimo rapporto del Censis il 50 per cento degli italiani bocciano i servizi sanitari regionali.


Con buona pace di chi ha già iniziato a protestare per “leso federalismo” (che sembra importare sempre meno agli italiani) visti i risultati, le voragini nei bilanci delle Regioni “poco virtuose”, gli sprechi palesi, le ruberie emerse da numerose indagini della Magistratura, il clientelismo denunciato da decine di inchieste giornalistiche, il disagio della classe medica per la disorganizzazione del Sistema e decisioni piovute dall’alto senza una comprensibile “ratio”, togliere un po’ di potere ai tecnocrati della Sanità regionale male non dovrebbe fare. Peggio di come stanno andando le cose è difficile ipotizzare.

In attesa della riforma preconizzata dal Governo, sul tema-Sanità (che assorbe quasi l’80% delle risorse regionali) è battaglia tra i candidati dei due maggiori (sulla carta) schieramenti alle prossime elezioni regionali: da una parte Zaia non perde occasione per inaugurare qualsiasi cosa e dichiarare a ogni piè sospinto che la Sanità del Veneto è la migliore del mondo; dall’altra la Moretti spara a zero su tutto: dai project alle liste d’attesa, dalle code ai Pronto Soccorso ai ticket troppo costosi. L’impressione è che nessuno dei due conosca a fondo l’argomento di cui parla: il primo ha dato carta bianca al Direttore generale della Sanità che decide come meglio crede, la seconda spara cifre e statistiche ma non entra mai nel vivo dei problemi che con tutta evidenza non conosce. Entrambi si guardano bene dall’ascoltare la voce dei medici, gli unici che della Sanità conoscono pregi e difetti, eccellenze e storture, disagi dei pazienti, sprechi di risorse, assurdità organizzative.

Anche per questo tutte le sigle sindacali e gli Ordini professionali sono scesi sul sentiero di guerra e hanno dato vita agli Stati generali della Salute nell’intento di diventare interlocutori attivi della Sanità veneta ed evitare ulteriori danni derivanti da improvvide decisione della classe politica.

Non si tratta di fare del catastrofismo in una Regione che nel complesso è ancora tra le migliori del nostro Paese ma i dati dicono che in questi cinque anni di legislatura il Veneto è retrocesso al quinto posto in Italia, che l’accesso ai servizi è sempre più difficoltoso, che le liste d’attesa non accennano a ridursi e che un numero sempre più alto di pazienti rinuncia alle cure per mancanza di mezzi mentre i più fortunati ricorrono sempre più spesso alla sanità privata. E questo anche perché i medici sono sempre meno (il Veneto ha un rapporto medici ospedalieri – popolazione sensibilmente inferiore rispetto alle altre regioni) mentre gli anziani affetti da malattie croniche sono in notevole aumento.

Eppure ci hanno anche provato a migliorare la situazione attraverso un nuovo Piano sociosanitario regionale, in sostituzione di quello del 1995, che ha dato vita alla riorganizzazione del sistema ospedaliero e dell’Assistenza sul territorio. Ovviamente sono state decisioni squisitamente politiche che hanno dovuto accontentare un po’ tutti, come testimoniano le “schede ospedaliere” partorite nel 2013. Per ogni Ulss si sono decisi i posti letto per acuti mentre l’assistenza territoriale dovrebbe essere garantita da strutture di ricovero intermedie, ospedali di comunità, unità riabilitative, ricoveri per malati terminali. Il tutto deciso a tavolino e come sempre si è preferito investire in mattoni e organizzazioni più o meno cervellotiche, lesinando ancora una volta sul materiale umano (medici e personale tecnico) sulla formazione e sulla ricerca. In compenso per coprire lo scandaloso elenco di finanziamenti preelettorali, (feste del vino e birrifici sociali compresi) approvato la scorsa settimana, il Consiglio regionale non ha trovato di meglio che attingere all’anticipo del Fondo sanità.

Sembra quasi che a Venezia considerino gli operatori sanitari solo come centri di costo se non proprio dei veri nemici. E allora perché meravigliarsi della retrocessione della Sanità veneta?

Un Paese di “arzilli” centenari
Compiere cent’anni in Italia…non fa più notizia. Il numero degli ultracentenari è infatti salito a 16.400 contro i poco più dei 6000 di dieci anni fa. E negli ultimi dodici mesi a oltrepassare il secolo di vita sono stati, tra uomini e donne, più di 1600. L’invecchiamento della popolazione ha costretto gli studiosi di statistica a coniare nuovi termini: i 65-74enni che rientravano nella categoria degli “anziani” oggi sono classificati come “giovani anziani” e gli “anziani” sono quelli tra i 75 e gli 84 anni.

Al di là delle questioni semantiche e della soddisfazione per la vita media che si allunga, l’invecchiamento della popolazione crea problemi non solo alle casse di previdenza (attenti al “Boeri pensiero” intenzionato a tosare ancora di più le pensioni che il presidente-fustigatore dell’Inps considera medio-alte) ma anche al sistema sanitario nazionale che vede aumentare i costi per l’assistenza agli anziani sempre più longevi. E’ l’altra faccia della medicina moderna che allunga la vita mettendo però in crisi il già vacillante sistema del welfare italiano.

A voler essere cattivi c’è da pensare che i continui tagli alla Sanità e la strisciante riduzione del personale sanitario negli ospedali sia una sottile forma di “rottamazione degli anziani” tanto cara al nostro giovane Presidente del Consiglio.

Certo, pensare male è peccato ma spesso ci si azzecca. E lo diceva un Andreotti che ai cent’anni ci è andato vicino!

Da - http://www.medicivicenza.org/index.php/stetoscopio/553-perche-e-retrocessa-la-sanita-del-veneto.html
4124  Forum Pubblico / SALUTE e BENESSERE. Ricerca della SERENITA' nella VITA. / VENETO - Pfas, rapporto della Regione È allarme salute inserito:: Novembre 30, 2017, 11:58:55 pm
26.11.2017

Pfas, rapporto della Regione.- È allarme salute

Provette di sangue: finora sono stati sottoposti a screening i giovani

Il sangue delle persone che vivono nei Comuni veronesi esposti alla contaminazione da Pfas ha al proprio interno così tante sostanze chimiche che è diventato prioritario aprire un servizio clinico esclusivamente dedicato alla presa in carico sanitaria dei cittadini. I residenti nella Bassa e nell’Est della provincia, infatti, presentano valori medi di Pfoa, uno dei composti che fanno parte della famiglia dei Pfas, che sono fino a nove volte più alti del valore peggiore registrato nelle zone non inquinate. E le previsioni dicono che tale dato continuerà a peggiorare.
A fornire questo ben poco tranquillizzante quadro è un rapporto della Direzione prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria della Regione, che fotografa la situazione verificata sinora, precisamente al 14 novembre, con lo screening avviato dalla Regione per valutare il rapporto fra Pfas e salute umana.
Il controllo a tappeto della popolazione residente nei 21 Comuni dell’area rossa, 13 dei quali veronesi, prevede la chiamata all’esame di 84.852 persone nate fra il 1951 ed il 2002. Un’operazione iniziata nel Vicentino nel dicembre del 2016 e avviata nel Veronese nel maggio scorso, con l’apertura di un ambulatorio specifico a Legnago, al quale recentemente se ne è aggiunto un secondo a San Bonifacio. Attualmente sono in fase di predisposizione misure che dovrebbero prevedere l’abbassamento dell’età minima degli esaminati e l’allargamento dell’area di screening, ma al momento la situazione è tale per cui a metà novembre risultavano controllati 6.233 residenti, nati fra gli anni 2002 e 1988. Poco più del 60 per cento di quelli invitati.
«LE CHIAMATE sono state effettuate con ritmi diversi, per cui è difficile confrontare i dati relativi alla Provincia di Vicenza, dove obiettivamente lo screening è più avanti, con quelli del Veronese, però un andamento sembra potersi già leggere», spiega Francesca Russo, la responsabile della Direzione prevenzione. Quello che appare già evidente, quindi, è che c’è una differenza quanto a Pfas presenti nel sangue fra i residenti nelle due aree che fanno parte della zona rossa, che è quella in cui si beve acqua pubblica pescata dalla falda contaminata.
La zona rossa A, che è formata da sette Comuni vicentini, dalla padovana Montagnana e dai veronesi Zimella, Cologna, Pressana e Roveredo, è più esposta all’inquinamento della zona rossa B, che comprende Arcole, Albaredo, Veronella, Bevilacqua, Bonavigo, Legnago, Terrazzo, Boschi Sant’Anna e Minerbe. Nella A, infatti, c’è un ulteriore fattore di pericolo dato dal fatto che l’acqua per «dissetare» campi e animali qui viene pescata direttamente da riserve sotterranee inquinate o presa da corsi d’acqua pieni di Pfas.
NEI COMUNI della zona rossa A - esclusi i quattro veronesi, che stranamente sono quelli in cui gli esami vanno più a rilento - la presenza mediana di Pfoa nel sangue è di 61,7 nanogrammi per millilitro di siero sanguigno. Nei paesi della zona rossa B la mediana è di 37,1. In ogni caso di tratta di valori elevati, l’intervallo di riferimento nelle aree non contaminate va da 1,5 ad 8, anche se ci sino situazioni molto diversificate fra loro. A Terrazzo la media è 13,4, mentre già Legnago è a quasi 34, a Boschi a 42, a Bonavigo a 46,5, a Minerbe a 57,7 ed a Bevilacqua addirittura a più di 70.
«Questi numeri dovranno essere rivalutati quando le cifre delle persone controllate diventeranno più consistenti», avverte Russo. Spiegando che per gli altri sette Comuni veronesi non ci sono dati commentabili. «Sono troppo pochi gli esami fatti perché sia il casi di citarli», spiega. Meno di 30 per paese. Se dappertutto è stato riscontrato che hanno una maggiore presenza di Pfas nel sangue i maschi, mediamente oltre il 25 per cento in più delle femmine, e che oltre al Pfoa esso contiene anche altre sostanze perfluoro-alchiliche (Pfos, con una mediana di 4,2 nanogrammi, Pfhxs, 4,1, e Pfna, 0,5), quello che va sottolineato che le analisi confermano che i valori più anomali riscontrati nei parametri sanguigni sono quelli del colesterolo.
«PER VERIFICARE lo stato di salute delle persone verrà avviato anche nel Veronese, come sta avvenendo in questi giorni a Lonigo, nel Vicentino, un centro di secondo livello, nel quale specialisti prenderanno in carico gratuitamente i cittadini con problematiche teoricamente correlabili ai Pfas», anticipa Russo. Legnago vorrebbe tale struttura al Mater Salutis, il suo ospedale, ma nulla è ancora stato deliberato.
«L’unica cosa che posso dire è che il direttore dell’Ulss 9 Pietro Girardi sta lavorando per mettere in piedi in fretta questa struttura», conclude la dirigente.

Luca Fiorin

Da - http://www.larena.it/permanent-link/1.6125742
4125  Forum Pubblico / ICR Studio. / Una scuola modello Carrefour. - Ma anche altro ... inserito:: Novembre 30, 2017, 11:56:21 pm
Una scuola modello Carrefour
Aperta tutti i giorni, anche i festivi, come un grande catena di distribuzione.

Di Matteo Volpe - 27 giugno 2017

È l’ultima trovata dell’aziendalismo scolastico; la scuola aperta tutto il giorno, tutto l’anno. Lo propone oggi il Ministro Fedeli, ma lo proponeva ieri il suo predecessore Stefania Giannini, come altri prima di lei. Se ne parla da diversi anni, durante i quali si è più che altro preparato il terreno tra l’opinione pubblica, abituando all’idea di far rientrare i ragazzi dopo le lezioni, ad esempio per progetti didattici di vario tipo – già dal 1997, del resto, in virtù di una direttiva ministeriale, si prevedeva che le scuole restassero aperte – e infine, adesso, è venuta l’ora di mettere il piano realmente in pratica.

La scuola sempre aperta non è solo un’ulteriore sovrapposizione di ruoli, per cui la sua funzione di formare persone e cittadini trascolora in una marea di altre funzioni (adattare lo studente alla società, integrare le lezioni mattutine con incontri pomeridiani – come se la scuola cercasse di supplire a se stessa – perseguire sperimentazioni pedagogiche continue, introdurre nel mondo del lavoro, accogliere e recepire le richieste dei genitori come anche quelle dei figli, permettere di “parcheggiare” questi ultimi quando non ci si può occupare di loro, ecc.). La scuola sempre aperta è una follia, perché è folle questa ybris della società postmoderna, questa pretesa sentita come impellente e irrefutabile necessità di non avere limiti; l’apertura eterna, un prodotto umano che non deve avere una fine, o anche solo una sosta, un punto terminale, nello spazio come nel tempo, con un presente che si espande indefinitamente fagocitando il passato e il futuro; “H 24” è diventata la sigla immancabile da apporre a ogni attività umana che si voglia efficiente e apprezzabile.

La proposta del ministro Fedeli: scuole aperte anche di estate per venire incontro ai genitori.
Nella scuola senza fine l’apprendimento, che predispone l’allievo alla maturazione individuale, viene sostituito dall’adattamento. Lo studente più che imparare a essere nella comunità acquisisce skills, competenze che gli consentano di adeguarsi alle esigenze produttive. Subisce subito lo sfruttamento lavorativo con “l’alternanza scuola-lavoro”, introietta l’attivismo senza sosta e senza fine delle aperture festive dei supermercati, acquisisce il metodo delle soluzioni pratiche immediate a problemi complessi attraverso i test a risposta multipla, perché non avrà tempo per pensare e riflettere e del resto non glielo si chiede. Invece di imparare a pensare l’alterità, deve sviluppare strategie di sopravvivenza. Il sistema di debiti e crediti formativi, che ha introdotto una sorta pedagogia della contabilità, serve a questo scopo. Lo studente deve introiettare la tendenza alla monetizzazione e alla commercializzazione della sua esistenza.

Alternanza Scuola-Lavoro: quando la teoria incontra la pratica.
Ma il piano per la scuola postmoderna non riguarda soltanto gli studenti. Ci sono anche i lavoratori della scuola, che già ora, in gran parte, sono costretti anch’essi a lavorare nei festivi, e, tra di essi, infine, gli insegnanti, di cui si dice che lavorino troppo poco e che abbiano troppe vacanze. Si aizzano contro di loro gli altri lavoratori, suscitandone l’invidia, nella classica strategia neoliberale di mettere gli ultimi contro i penultimi. Di far lavorare meno gli altri lavoratori, invece che far lavorare di più gli insegnanti (come se non lavorassero già abbastanza al di fuori dell’orario scolastico) è un’ipotesi che non sfiora neanche l’immaginazione di questi ferventi promotori dell’efficientismo insensato, nonostante (ce ne siamo già occupati) numerosi studi mostrino che il rendimento peggiora e non migliora al prolungamento dell’orario di lavoro e che viceversa migliora al ridursi delle ore lavorate. Ma no; per gli aziendalisti il lavoro è un obbligo indipendentemente dai suoi effetti, e questo si chiama moralismo. Per le consorterie aziendali, invece, è lo sfruttamento svincolato dalla necessità di rispettare leggi che tutelino il lavoratore, e questo si chiama capitalismo neoliberale.

Michal Kalecki sosteneva che i capitalisti preferiscono rinunciare a una parte di profitto nell’immediato pur di non rafforzare la classe operaia. La riduzione dell’orario lavorativo rafforzerebbe sicuramente i lavoratori, ecco perché difficilmente se ne parla ed è il vero tabù delle controversie sindacali.

Non si tratta soltanto di un piano per l’istruzione. Si tratta di un piano che rientra in un programma più generale volto a plasmare la società secondo i comandamenti del neoliberismo. La scuola non deve insegnare a essere e a pensare, perché l’individuo non deve essere e pensare, ma consumare; la scuola deve essere solo una sorta di primo master aziendale, che introduca i giovani nella produzione, gli insegni le nozioni tecniche necessarie e le strategie pratiche di sopravvivenza, perché bisogna interiorizzare l’ubiquità dell’economia e del mercato; la scuola sottopone insegnanti e studenti a orari prolungati, perché accettino di essere flessibili, di modificare la propria vita personale in funzione del mercato e del profitto. In sostanza, la scuola postmoderna, preparata da decenni, costruita nel tempo e oggi infine attuata, deve far dimenticare l’esistenza dell’altro. “Non avrai altro dio all’infuori di me” recita il primo comandamento neoliberale: non c’è spazio per immaginare una diversa forma sociale, che si fondi su basi diverse. La scuola non è più il luogo dell’autonomia e dell’indipendenza della cultura dove costruire pensieri e pratiche dell’alterità, la scuola è diventata il luogo in cui si interiorizza la necessità del dato (abbiamo  il culto di “dati” e “statistiche”, concepiti come fossero parti neutre e a-ideologiche) e la sua immutabilità. Così, la scuola, come e più di altre istituzioni, non può diversificarsi dalla società, ma deve il più possibile somigliargli. Deve essere un’azienda che produca individui adattabili e consumatori assuefatti, ma, ancora di più, un centro commerciale della cultura, attivo, come i centri commerciali dell’ultima generazione, tutti i giorni e a qualsiasi orario.

Di Matteo Volpe

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