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4096  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / CIVATI Viva la libertà e viva – soprattutto – l’uguaglianza inserito:: Dicembre 06, 2017, 08:51:53 pm
Viva la libertà e viva – soprattutto – l’uguaglianza

4 DICEMBRE 2017

In realtà sono io a dover ringraziare voi, davvero, anche per l’affetto di queste ore. Mio padre, quando ero ragazzo, votava La Malfa padre. Che a dirlo oggi sembra un po’ come citare Plinio il vecchio, una figura di questo tipo. E però c’è, in questa storia, che dev’essere ricca e plurale. Dobbiamo ricordare da dove veniamo, quali sono i valori della nostra Repubblica.

E poi volevo ringraziare tutte e tutti voi. È stato un percorso lungo, non semplice, non scontato. Volevo ringraziare soprattutto chi lo ha fatto con me, Roberto e Nicola in primo luogo.

Siamo diventati una squadra, siamo diventati un gruppo che lavora insieme, che ha imparato a collaborare. E mi piace immaginare che oltre a libertà e uguaglianza ci sia anche fratellanza, tra noi,  un comune sentire.

Il nostro progetto non è solo quello di rimettere insieme la sinistra, che pure è un’impresa titanica, mai riuscita, potremmo dire.
Il nostro progetto è quello di cambiare l’Italia, la sua politica, i rapporti di potere.

Siamo qui per un’Italia più ricca per tutti, per i più piccoli, per le loro scuole, che devono diventare davvero gratuite, per i ragazzi, che devono essere pagati il giusto, per chi innova e chi rischia, per chi vuole provare a fare impresa, non solo per chi l’impresa l’ha ereditata, nell’Italia delle casate prima ancora che delle caste.

Un’Italia vivaio che rimane viva, che fa crescere nazionali di calciatori, capisco il dramma, ma anche di scienziati e di manager e di insegnanti.
Perché non c’è solo il pianto di Buffon. Sono troppi i mondiali a cui non ci siamo qualificati.

Un’Italia più ricca di innovazione e di qualità ambientale, di lavoro verde, di efficienza energetica, di efficienza energetica, di efficienza energetica, lo ripeto che così magari entra nel mainstream, non avendone di energia se non un po’ sporca, ancora fossile e spesso importata da sceicchi e dittatori, di cui faremmo volentieri a meno.

Molti di noi sono qui per via di una promessa tradita, nella legislatura delle promesse tradite. La promessa di dare tutele ai lavoratori precari, che invece hanno perso le poche che avevano.
La promessa, viene un po’ da sorridere, di non avere un uomo solo al comando, non è venuta molto bene. La promessa di un’Italia più giusta.

Sarà una campagna elettorale a chi la spara più grossa, gli altri leader in campo non fanno altro: la prima gallina che canta ha fatto la fake, potremmo dire, perché già ci pare di capire che andrà così. Ecco, noi dobbiamo prenderci un impegno con gli italiani, quello di fare promesse che non verranno più tradite e che saranno banalmente mantenute. Loro preparano nuovi tradimenti, ma noi questa volta li fermeremo.

Gli altri sono tre facce della stessa medaglia, se le medaglie ne avessero tre.
Sono l’uno il Crozza dell’altro. Si imitano, si rincorrono, diventano caricature.
Le cose che Berlusconi promette, Renzi realizza. L’ha detto Renzi.
Di Maio sembra un Salvini di Napoli, ha realizzato il sogno di diffondersi alle pendici del Vesuvio senza nemmeno usare la felpa.

Le ricette economiche e fiscali, ad esempio sulle tasse, sono identiche, si fatica a distinguerle e hanno un unico tratto distintivo: sono tutte a favore dei ricchi.

Aleggia su tutti loro un certo qual senso di disprezzo verso il Parlamento.

Fanno la guerra alle Ong, sgominano pericolose organizzazioni criminali come Msf e Emergency, ossequiano Al-Sisi, partner ineludibile dice il partner ineludibile, consentono bombardamenti con bombe italiane contro le popolazioni civili delle Yemen, finanziano con le nostre tasse le milizie libiche, i trafficanti di uomini, le violenze, gli stupri, le persone ridotte in schiavitù.

Banalizzano l’indignazione con cui Laura Boldrini denuncia lo scandalo della questione maschile, delle violenze, della disparità salariale, del linguaggio volgare e del potere che si impone, con violenza o paternalismo o con tutte e due le cose.

Preferiscono andare a cena con l’amministratore delegato di Amazon che stare al fianco degli operai che scioperano, non è di moda. Se interrogati rispetto ai soprusi, non hanno niente da dire. Sono servi di un sistema e del potere, preoccupati solo di non dare un dispiacere a chi comanda il mondo e comanda anche loro.

Gli italiani non sono colpiti dalla propaganda elettorale di questo o di quello, ma dal fatto che anche chi lavora può rimanere sotto la soglia di povertà, dalla disoccupazione giovanile insieme allo sfruttamento, un’altra parola da ritrovare, che hanno raggiunto livelli e dati inaccettabili, che gridano vendetta. Non è un problema di comunicazione, è un problema politico. Culturale. Economico.

Io vorrei che noi oggi dessimo l’idea di un paese diverso, di una politica diversa. Vi fanno credere che progressività, diritti, garanzie, distribuzione dei redditi e delle ricchezze, laicità, socialismo, siano parole vecchie. E invece sono parole antiche, valori senza i quali nulla ha senso, nulla ha valore. Vecchie sono le ricette dell’individualismo sfrenato del si salvi chi può, della riduzione delle tasse che non è mai per tutti, è solo per chi guadagna di più.

Sono convinto che la maggioranza degli italiani sia già con noi se diciamo che donne e uomini devono guadagnare lo stesso. La maggioranza degli italiani pensa che chi ha di più debba pagare di più. aiutare chi è in difficoltà. Sono pronto a scommettere che la gran parte degli italiani è convinta che debba esserci un salario minimo dignitoso per tutti quelli che lavorano Penso che la maggioranza degli italiani sia d’accordo che la prima voce di bilancio debba essere destinata alla scuola e alla ricerca, senza ulteriori condizioni. Che tutto questo vada detto in un contesto di verità. Perché qualcuno la verità dovrà pur dirla in una politica che tende a farne a meno.

Altri stanno allestendo, con questo sistema elettorale, delle coalizioni da incubo, in cui c’è dentro tutto. Minniti con Bonino, Merkel con NoEuro. Noi facciamo le cose per bene, prendiamo un impegno di farle serie e rigorose. E con chi è più prossimo.

C’era chi aveva detto non ci deve essere Alfano, bisogna fare lo ius soli, bisogna reintrodurre articolo 18, citare di patrimoniale, perché poi va con Alfano e con chi non vuole lo ius soli, non vuole discutere articolo 18 e quando sente la parola patrimoniale chiama i pompieri?
Che se ci pensate è un dilemma tipo Catalano.

E il mio appello è: Giuliano, dove ‘campo’ vai? Dove ‘campo’ vai?

Lo stesso, mi rivolgo ai protagonisti del No al referendum: a ogni angolo si incontrano cose e questioni incostituzionali, c’è molto da fare, insistiamo, facciamolo insieme. Siete i benvenuti e benvenuta è la Costituzione. E noi siamo gente di pianura, che fa le assemblee, nei partiti e nelle associazioni, però a me i Montanari piacciono, e la dico così anche per svelenire un po’ il clima di questi ultimi mesi. Ci hanno dato dei gufi per anni, Falcone è una bella idea, se volesse raggiungere questa nostra assise.

E mi auguro che mentre noi ci troviamo qui, e ringrazio Piero Grasso per essere con noi e per guidarci in questa sfida, in un’altra parte del mondo, magari in più parti nel mondo, ci siano persone che come noi si stiano trovando per fare la stessa cosa. Immaginate un Robert Hope, Nicole Fratoiannì, altri leader, altri soggetti, che si muovono perché sia migliore il nostro paese, e sia meno cattivo questo mondo.

Una grande sinistra, una grande Repubblica,

E fatemelo dire: viva la libertà e viva – soprattutto – l’uguaglianza.

Grazie ancora.

Da - https://www.ciwati.it/2017/12/04/viva-la-liberta-viva-soprattutto-luguaglianza/
4097  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / De Benedetti: Scalfari su Berlusconi? Ha danneggiato 'Repubblica' inserito:: Dicembre 06, 2017, 08:50:23 pm
De Benedetti: Scalfari su Berlusconi? Ha danneggiato 'Repubblica'

Intervista a Carlo De Benedetti di Aldo Cazzullo, da il Corriere della Sera, 3 dicembre 2017

Ingegnere, anche lei, come Scalfari, tra Berlusconi e Di Maio voterebbe Berlusconi?

«Ovviamente mi asterrei».

Non vale. Bisogna scegliere.

«È una questione improponibile. Si può restare a casa, o votare scheda bianca. Berlusconi fa venire in mente quando, rovistando tra le cose vecchie, si trova un abito in disuso; e infilando una mano nella tasca spunta un vecchio biglietto del tram già obliterato».

Allora perché Scalfari lo voterebbe?

«Scalfari è stato talmente un grande nell’inventare Repubblica e uno stile di giornale che farebbe meglio a preservare il suo passato».

Sta dicendo che ha avuto un lapsus?

«Penso l’abbia fatto per vanità, per riconquistare la scena. Ma è stato un pugno nello stomaco per gran parte dei lettori di Repubblica, me compreso. Berlusconi è un condannato in via definitiva per evasione fiscale e corruzione della giustizia. Se non fosse per l’età, sarebbe un endorsement sorprendente per uno come Scalfari che ha predicato, sia pure in modo politicamente assai cangiante, la morale».

C’è stata una frattura personale tra lei e il fondatore?

«Penso che la risposta di Scalfari abbia gravemente nuociuto al giornale».

Le piace la nuova grafica di «Repubblica»?

«È bellissima, elegante, pulita, innovativa. Un restyling molto riuscito. Un giornale però ha bisogno di spifferi, correnti, energie. Un giornale non è solo latte e miele; è carne, è sangue. Può avere curve; ma deve avere anche spigoli».

Ora c’è la novità di una condirezione.

«Io ero e rimango assolutamente contrario. Nessun grande giornale al mondo utilizza questa formula anche se penso che Tommaso Cerno sia tra i migliori giornalisti della sua generazione: è geniale, basta leggere il suo libro in versi Inferno per rendersene conto. La condirezione ha funzionato una sola volta, alla Stampa di Mieli e Mauro; che però avevano entrambi una loro agenda, e non pensavano certo di convivere a lungo».

Mieli andò a dirigere il «Corriere», Mauro «Repubblica».

«Ezio è stato un grandissimo direttore. Ora ha dimostrato di essere anche un grande scrittore: il suo libro sulla rivoluzione russa è straordinario».

Luciano Benetton, che ha 82 anni e quindi uno solo meno di lei, è tornato alla guida dell’azienda di famiglia. Lei non ci pensa?

«La scelta di Benetton mi lascia ammirato e commosso; ma io ho fatto il contrario, e ne sono felice. Sono stato l’unico imprenditore italiano a donare l’azienda ai figli».

Come vede il futuro dei giornali?

«Non facile. Però ci sarà sempre bisogno di organizzare una gerarchia delle notizie. Le notizie sono come fiori di campo; ma un mazzo di rose fa un altro effetto. Molto dipende dalla nostra capacità di farci pagare dagli Over-the-Top di Internet, che al momento ci rapinano. Si comportano come pirati: rastrellano la pubblicità legata ai contenuti che ci sottraggono».

La sua famiglia resterà l’azionista di maggioranza del gruppo Stampa-Repubblica? O toccherà a John Elkann?

«Non penso proprio che i miei figli venderanno. Non ne vedrei la ragione, tenuto conto che la Cir, l’azienda che ho loro donato, ha più di 300 milioni di liquidità. Il problema è come investire, non certo come disinvestire» .

E in Fiat cosa succederà secondo lei?

«Non lo so. Marchionne è un genio della finanza e del marketing: ha “spin-offato” molte attività industriali, creando grande valore per gli azionisti; ha puntato sui brand Jeep e 500, oscurando i brand Fiat e Chrysler. Penso sarà lui a scegliere il suo successore».

Torniamo alla politica. Berlusconi prenderà un sacco di voti. Come se lo spiega?

«È un grande campaigner: non si vergogna a ripetere le cose che diceva 23 anni or sono, e lo fa con la stessa impudenza. Non è colpa sua se c’è gente che ancora ci crede. Ma esiste una biologia della durata di un politico; e questo rende la ricomparsa di Berlusconi grottesca. Mitterrand fece due settennati, poi i francesi ridussero il mandato a cinque anni; nella loro saggezza, gli americani prevedono al massimo quattro più quattro; Blair durò dieci anni, la Thatcher undici; Kohl un po’ di più, ma solo perché c’era stata la riunificazione tedesca».

E la Merkel?

«Credo che la sua parabola stia per terminare. Forse riuscirà a formare un governo, ma durerà poco. Penso punti a fare il presidente della Commissione europea».

Lei disse al «Corriere» che Trump poteva vincere. Ora può essere rieletto?

«Lo escludo. Ogni giorno Trump appare più inaffidabile e vuoto. La decisione di Flynn di patteggiare con l’Fbi può avere conseguenze pesanti sul suo futuro. E lo stato di confusione alla segreteria di Stato con la probabile uscita di Tillerson sarà un altro segnale di debolezza».

Renzi l’ha delusa?

«Renzi ha deluso non solo me, ma tantissimi italiani. È stato un elemento di novità e freschezza, e ha fatto bene il primo ministro. Ma ha sbagliato sul referendum, e soprattutto ha sbagliato dopo a non trarne le conseguenze».

Cosa avrebbe dovuto fare?

«Prendersi due o tre anni di pausa. Andare in America, studiare, imparare, conoscere il mondo. Magari l’avrebbero richiamato a furor di popolo. Invece ha avuto l’ansia di chi si dimette ma non vede l’ora di ricominciare».

La Boschi?

«È talmente legata a Renzi che ne seguirà la parabola».

Chi dovrebbe essere il candidato premier del Pd?

«Il candidato naturale è Gentiloni. Ne abbiamo un gran bisogno. È stato un calmante nell’isteria della politica renziana. È uno che fa le cose, e ha con sé molti ministri competenti: Padoan, Calenda, Minniti, Delrio, Franceschini e altri ancora. Spero che, a dispetto dei sondaggi, possano continuare» .

Se invece dovesse nascere un governo di larghe intese?

«Non credo ci siano i numeri. Più facile che si torni a votare in breve tempo».

L’avventura di D’Alema?

«Ridicola».

E se il governo lo facessero gli antisistema? Grillo, Salvini, Meloni?

«Dio ce ne scampi e liberi».

Come giudica i grillini?

«Conosco solo la Appendino: una brava signora, ordinata, che si impegna; ma non mi pare che Torino stia meglio di prima. Nelle città che amministrano, da Livorno a Roma, i 5 Stelle hanno dato sempre prova di inesperienza, e talora di incapacità».

Lei voterà Pd?

«Non è detto. Potrei votare scheda bianca».

Come mai?

«La sinistra avrebbe davanti una grande occasione. Alla fine della crisi dei dieci anni, il capitale ha vinto (basti pensare alle Borse) e il lavoro ha perso. La sinistra dovrebbe riscattare questa sconfitta. Ma per farlo ha la necessità di affrontare in modo nuovo le due grandi questioni del nostro tempo: le disuguaglianze e l’immigrazione. Nel mondo ci sono due miliardi di millennial: la politica deve dare loro una speranza. Ma non vedo una riflessione seria su questo, tanto meno in Italia. Vedo la ricerca di una scorciatoia, sia da parte del populismo becero di Salvini, sia da parte del populismo intelligente di Renzi».

Renzi è populista?

«Una spruzzata di populismo è necessaria, per attirare l’attenzione degli elettori. Ma dietro ci dev’essere un nocciolo duro di pensiero e di progetto; che nel Pd di Renzi mi pare assente».

(4 dicembre 2017)

Da - http://temi.repubblica.it/micromega-online/de-benedetti-scalfari-su-berlusconi-ha-danneggiato-repubblica/
4098  Forum Pubblico / MOVIMENTO 5STELLE: Valori e Disvalori / Cinquestelle tentati dalla “Cosa rossa” di Grasso: “Pronti a un’intesa dopo il v inserito:: Dicembre 06, 2017, 08:49:01 pm
Cinquestelle tentati dalla “Cosa rossa” di Grasso: “Pronti a un’intesa dopo il voto”
I grillini cercano sponde in caso di incarico di governo. Ma non chiudono alla Lega
Di Maio ieri ha lanciato la nuova campagna «Rally per l’Italia» con tanto di grafica
Pubblicato il 05/12/2017

ILARIO LOMBARDO
ROMA

«Guardiamo con attenzione a Pietro Grasso. Se i sondaggi si dimostreranno più generosi con lui, si potrebbe aprire un bel ragionamento». È domenica sera. Gli smartphone di molti 5 Stelle si illuminano di messaggi WhatsApp. Luigi Di Maio è in contatto continuo con diversi parlamentari e altri fedelissimi. Grasso potrebbe essere l’uomo che il candidato premier del M5S stava aspettando. 

La premessa alle reazioni grilline all’incoronazione dell’ex pm antimafia leader della sinistra anti-Pd è una questione di numeri. Il M5S cerca un partner che abbia in dote un numero a due cifre alle elezioni. «Se Grasso lo raggiunge è possibile un’intesa». Nel vocabolario dei 5 Stelle il termine alleanze non deve esistere. Preferiscono parlare di «convergenze programmatiche». Ma per arrivarci bisogna realizzare un capolavoro non politico ma di aritmetica. I 5 Stelle sono diventati grandi appassionati di sondaggi. A oggi le proiezioni dicono 170 deputati. Loro credono di poter arrivare a 200. Calcolano che se andasse molto bene potrebbero arrivare al 35%. A quel punto la strada verso il Quirinale, per ottenere l’incarico, potrebbe essere spianata. Potrebbe. Serve appunto un altro consistente numero di seggi per la maggioranza. C’è un presupposto, però, che deve realizzarsi. E se lo stanno ripetendo ogni giorno: «Il Pd e Forza Italia insieme non devono raggiungere il 50%». 
 
Ma - si chiederanno in tanti - nel M5S non stavano guardando a un’alleanza anti-establishment con Matteo Salvini? È così. Serve entrare nei meccanismi del pensiero politico grillino per capire le loro ambizioni. Il Movimento si sta strutturando come partito omnibus e il ventaglio di proposte sviluppate va da quelle che si sposano con i canoni della destra ad altre più di sinistra. In tal senso il viaggio in Usa di Di Maio è stato uno spartiacque. Fonti americane confermano che molto di quanto sostenuto dal grillino a Washington non è piaciuto, soprattutto sulla politica estera. Una frase, però, li ha soddisfatti. Quando Di Maio ha detto che si prenderà «la responsabilità di non lasciare il Paese nel caos». Una garanzia di stabilità che Di Maio vuole ribadire agli Usa.
 
C’è un metodo infatti nell’evoluzione delle sue dichiarazioni. La proposta fiscale ispirata a Donald Trump serve a persuadere il mondo produttivo del Nord, a corteggiare la piccola e media impresa. È uno sguardo a destra, per soffiare voti a Lega e Forza Italia. Poi però Di Maio ha parlato di sostegno alle famiglie, sul modello di welfare di Emmanuel Macron che non dispiace ai centristi. Infine, e qui vanno cercate le tracce di uno spostamento verso sinistra, ha ripreso a insistere su articolo 18, smantellamento di Jobs Act e Buona Scuola. Sono punti su cui la convergenza con Grasso sarebbe facile. Anche il tempismo del convegno di ieri sulle Ong non è un caso. La strategia che stanno delineando segue uno schema e si ispira a quanto avvenne 5 anni fa, a parti invertite. «Quando Bersani ci convocò per sondare le nostre intenzioni. Disse che non voleva fare alleanze ma c’era la possibilità di convergere su alcune proposte. La differenza è che ora siamo noi al centro». La parola è calzante: il M5S sta al centro, pronto a spostarsi a destra se la Lega si slegherà da Berlusconi. O ancora più facilmente a sinistra se Grasso avrà un exploit e, dicono, «svuoterà il Pd di Renzi». Si dirà: puro cinismo. Ma loro preferiscono definirla «malleabilità», o «realismo post-ideologico». Certo, la nuova fisiognomica del M5S molto deve alla spruzzata di moderatismo che ha dato Di Maio. E che permette al M5S di avere più libertà di movimento. Reddito di cittadinanza, lavoro, abolizione dei privilegi ai parlamentari, temi della giustizia: sono i nodi che potrebbero sciogliere attorno al tavolo con Grasso. «Ma senza scambi di poltrone e a condizione che il governo sia a guida Di Maio». In cambio, il M5S garantirà un esecutivo «con gente di alto profilo», si parla di «dirigenti pubblici» come ministri a cui «nessuno direbbe di no». 
 
Ai parlamentari è piaciuta la fotografia del teatro che acclamava Grasso, con il palco lasciato libero dai leader storici. Anche perché Beppe Grillo su questo ha frenato un po’ gli entusiasmi: «Va bene tutto ma non voglio che parliamo con mostri da prima Repubblica come D’Alema». Sono diversi i senatori che vedono bene un matrimonio d’interesse con Grasso. Vito Crimi, ma anche Paola Taverna, non proprio una signora che diresti rossa di cuore, o Maurizio Buccarella. Con Grasso, un magistrato stimato per la lotta alla mafia, ci sono stati scontri in aula, a volte feroci e irridenti, come all’approvazione del Rosatellum. Ma in questi anni più volte i grillini si sono confrontati con lui, gli hanno esposto le loro frustrazioni per la «violazione del Parlamento» e «l’abuso dei decreti leggi», e dietro la terzietà istituzionale, mantenuta fino all’ultimo, hanno intravisto che il presidente del Senato su molte cose la pensava come loro: riforme costituzionali, leggi elettorali, anticorruzione. I 5 Stelle farebbero leva su questo pacchetto per superare eventuali ostacoli a un’intesa. E se sull’immigrazione gli orizzonti sembrano distanti, c’è sempre il metodo Di Maio: rendersi malleabili, pronti ad aggiustare la rotta per non dire di aver cambiato idea. 
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/12/05/italia/politica/cinquestelle-tentati-dalla-cosa-rossa-di-grasso-pronti-a-unintesa-dopo-il-voto-wENXLQPRN1a2r9HyhHOl0H/pagina.html
4099  Forum Pubblico / ICR Studio. / Il lupo è bene viva anche per ricordarci i pericoli e le opportunità ... inserito:: Dicembre 04, 2017, 11:27:29 pm
Il lupo è bene viva anche per ricordarci i pericoli e le opportunità che la vita ci invita a superare per essere "Buona".

Inoltre il lupo vive in branchi per un fine preciso far "vivere" il singolo lupo.

ciaooo
4100  Forum Pubblico / ARTE - Letteratura - Poesia - Teatro - Cinema e altre Muse. / Roberto CALASSO. Turisti, terroristi, secolaristi, hacker, fondamentalisti, ... inserito:: Dicembre 04, 2017, 11:23:44 pm
Roberto Calasso
L’innominabile attuale
Biblioteca Adelphi

2017, 2ª ediz. pp. 189
Temi: Letteratura italiana, Critica della cultura

RISVOLTO

Turisti, terroristi, secolaristi, hacker, fondamentalisti, transumanisti, algoritmici: sono tutte tribù che abitano e agitano l'innominabile attuale.
Mondo sfuggente come mai prima, che sembra ignorare il suo passato, ma subito si illumina appena si profilano altri anni, quel periodo fra il 1933 e il 1945 in cui il mondo stesso aveva compiuto un tentativo, parzialmente riuscito, di autoannientamento.


Quel che venne dopo era informe, grezzo e strapotente.
Nel nuovo millennio, è informe, grezzo e sempre più potente.

Auden intitolò L'età dell'ansia un poemetto a più voci ambientato in un bar a New York verso la fine della guerra.
Oggi quelle voci suonano remote, come se venissero da un’altra valle. L’ansia non manca, ma non prevale.

Ciò che prevale è l’inconsistenza, una inconsistenza assassina. È l’età dell’inconsistenza.

Da  -- https://www.adelphi.it/libro/9788845932076
4101  Forum Pubblico / ARTE - Letteratura - Poesia - Teatro - Cinema e altre Muse. / Roberto CALASSO. L’impronta dell’editore. (nella storia di Adelphi). inserito:: Dicembre 04, 2017, 11:20:24 pm
Roberto Calasso
L’impronta dell’editore

Piccola Biblioteca Adelphi
2013, 2ª ediz. pp. 164

Temi: Letteratura italiana, Editoria

RISVOLTO

La vera storia dell'editoria è in larga parte orale – e tale sembra destinata a rimanere. Una teoria dell'arte editoriale non si è mai sviluppata – e forse è troppo tardi perché si sviluppi ora.

Andando contro a questi dati di fatto, ho provato a mettere insieme due elementi: qualche passaggio nella storia di Adelphi, quale ho vissuto per cinquant'anni, e un profilo non di teoria dell'editoria, ma di ciò che una certa editoria potrebbe anche essere: una forma, da studiare e da giudicare come si fa con un libro. Che, nel caso di Adelphi, avrebbe più di duemila capitoli.

R.C

Da - https://www.adelphi.it/libro/9788845927744
4102  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Marco DAMILANO - Yalta 2018, il nuovo muro, l’Italia che non c’è ... inserito:: Dicembre 04, 2017, 11:17:35 pm
EDITORIALE

Yalta 2018, il nuovo muro, l’Italia che non c’è
Il mondo ha vissuto in questi anni un nuovo conflitto mondiale. Combattuto non più con gli eserciti e con le truppe di occupazione, ma con i mercati e con il terrorismo globale. Ha vinto la finanza, ha perso il ceto medio.
E oggi siamo alla ricerca di un nuovo ordine. Ma di tutto questo non si ha traccia nel nostro dibattito politico

DI MARCO DAMILANO
01 dicembre 2017

L’Italia fu il paese occidentale in cui gli effetti della Guerra fredda si fecero sentire più in profondità, assieme alla Germania. Come disse il presidente della Repubblica Francesco Cossiga in un’intervista a The Independent, era il 23 ottobre 1990, rilasciata alla vigilia della sua visita in Inghilterra: «Due paesi sono stati spaccati da una cortina di ferro: la Germania sul piano territoriale, e l’Italia politicamente, moralmente, ideologicamente. Io non so dove la cortina di ferro sia caduta più pesantemente. Non viene mai sottolineato che il crollo del muro di Berlino è anche il crollo di un muro invisibile. Oltre alla Germania, anche noi siamo stati liberati e riunificati. Anche per noi la guerra è quasi finita».

C’era un muro immateriale che tagliava in due il Paese. Nel 1945, nella grande spartizione del mondo tra le potenze anglo-americane e l’Unione sovietica di Stalin all’Italia, nazione sconfitta e devastata, era toccata la collocazione occidentale. Un’intera classe dirigente, politica, economica, imprenditoriale, culturale, Alcide De Gasperi e Raffaele Mattioli, Aldo Moro e Enrico Cuccia, Giulio Andreotti e Guido Carli, si abituò a muoversi per decenni all’interno di questo perimetro, chiedendosi quale ruolo potesse avere l’Italia in un campo di gioco ristretto ma strategico. Un ruolo importante, fondato sulla posizione geografica, la doppia frontiera tra est e ovest, l’Oriente interno rappresentato dal Pci, e tra nord e sud, tra l’Europa e il Mediterraneo. Chiara era la direzione di marcia, il modello sociale, il progetto in cui svolgere manovre, scontri di potere, richieste di voto. Così l’Italia che aveva perso la guerra vinse il dopoguerra, sviluppando un sistema industriale moderno che non aveva mai avuto e il sistema democratico garantito dai partiti e dalle istituzioni repubblicane e costituzionali. Una democrazia fragile, a sovranità limitata, perché gli accordi di Yalta non ammettevano forzature. E quando qualcuno provava a oltrepassare il confine, il muro invisibile, la reazione era immediata e brutale. Vedi il misterioso incidente di Enrico Mattei o le influenze esterne nei giorni del sequestro di Aldo Moro.

Appare indubitabile che il mondo abbia vissuto in questi anni un nuovo conflitto mondiale. A pezzetti, come ha detto Papa Francesco, asimmetrico, combattuto non più con gli eserciti e con le truppe di occupazione, ma con i mercati e con il terrorismo globale. Ha vinto la finanza, ha perso il ceto medio, in tutto l’Occidente. E oggi siamo alla ricerca di un nuovo ordine, una nuova Yalta, con i nuovi protagonisti raccontati sul numero dell'Espresso in edicola da domenica 3 dicembre da Dario Fabbri, Orietta Moscatelli e Federica Bianchi.

Nel 1945 i leader di Regno Unito, Unione Sovietica e Stati Uniti si riunirono per dividere il mondo in zone di influenza. Oggi altri tre grandi stanno provando a creare un nuovo ordine: Putin, Jinping e Trump. E c'è un grande assente: l'Europa e con lei l'Italia, dove questi temi non sono neppure sfiorati dalla campagna elettorale. La "nuova Yalta" è la copertina del nuovo numero dell'Espresso, che dedica ampio spazio ai ritratti dei nuovi potenti e alle loro idee e strategie. Poi l'inchiesta sulla commissione delle banche e i suoi silenzi; la caccia agli outsider da parte dei partiti; il reportage dalla Polonia, dove il movimento femminista è in prima linea per la difesa della democrazia da governo e fascisti. E infine l'intervista allo scrittore americano Lansdale realizzata da Gianni Cuperlo
   
L’America, potenza egemone del precedente assetto, vive una crisi interna, di identità e di missione nel mondo, simile a quella dell’Impero inglese settant’anni fa. Mantiene il suo status ma è avviluppata a Donald Trump come «marinai incatenati alla nave che affonda: non possono liberarsi e non ammetteranno mai che hanno un idiota al potere», lo dice Joe R. Landsdale a Gianni Cuperlo in un'intervista ospitata nel nuovo numero del nostro settimanale.

La Cina di Xi Jinping avanza la sua candidatura alla conquista perfino dell’immaginario globale, oltre che della tecnologia, della ricerca, della robotica. E Vladimir Putin occupa stabilmente il posto che fu dell’Urss, alla guida di una nuova «Internazionale dei regimi autoritari», come scrive Bernard Guetta. Alle loro spalle, anzi, al fianco, c’è l’immenso continente indiano del premier Modi.

C’è l’Africa che è il terreno di contesa tra le nuove superpotenze. Il rimescolamento delle alleanze in Medio Oriente porta a convergenze inaspettate: per Israele la Siria e Assad non sono più nemici, a mediare ci pensa Putin, che a Mosca riceve per la prima volta il monarca saudita Salman d’Arabia.

E poi c’è l’Europa con le sue divisioni.

Francia e Germania fanno sistema, uniscono le forze. Non è più un asse fondato su leadership e carismi personali, sulla memoria tragica del conflitto mondiale, come avvenne con Helmut Kohl e François Mitterrand, i due paesi mettono insieme le loro strutture statuali e economiche, si attrezzano a reggere urti e incertezze, come quella che ora avvolge il governo di Angela Merkel. Mentre il giovane Emmanuel Macron prova a dettare i tempi e i modi della nuova Europa: più protezione per i cittadini, perché l’Europa non può più essere avvertita come una matrigna lontana e cattiva, disinteressata alle sorti dei suoi cittadini, più sicurezza, con il progetto della difesa comune, più opportunità di ricerca e di investimenti tecnologici. Solo alla fine di questo percorso si può pensare a una riforma dei trattati, a cambiare il soffitto, il vertice della costruzione europea. Intanto Francia e Germania marciano unite in Africa, alla conquista di nuovi mercati e di nuove sfere di influenza.

Parliamo di questo in Italia? No. Di tutto questo non si ha traccia nel nostro dibattito politico, alla vigilia del voto 2018. Nelle cancellerie internazionali si guarda con interesse e curiosità, e con qualche preoccupazione, all’esito delle elezioni, «anche se sappiamo che gli italiani sono campioni nell’arte della resilienza», scherza un ambasciatore europeo di lungo corso spedito dal suo paese nella prestigiosa sede diplomatica a vigilare e informare su quanto si muove a Roma. È vero, ma l’assenza di dibattito sul ruolo dell’Italia nella nuova spartizione dovrebbe spaventare ben più dell’eventualità di restare senza un governo dopo il voto. Nel quadro della vecchia Yalta, in fondo, i governi andavano e venivano e poteva capitare che le crisi ministeriali durassero mesi, in modo indolore. Ma il sistema reggeva, all’ombra delle superpotenze e della presenza sul territorio nazionale del Vaticano e del papato, inteso non come guida della Chiesa universale ma come papa italiano, attore insieme globale e locale.

È un’altra carta che non c’è più. Il piemontese-argentino Jorge Mario Bergoglio è il meno italiano dei papi stranieri e dopo quarant’anni di assenza di italiani dal soglio di Pietro si prepara un conclave futuro dove i cardinali della penisola conteranno ancora di meno.

La vecchia Yalta attraversava sistemi politici e economici, la nuova Yalta è assente dai radar, gli attori della campagna elettorale oscillano tra la ricerca di punti di riferimento esterni (Renzi con Macron, Berlusconi con la Merkel, i 5 Stelle e la Lega con Putin) e l’incapacità di interrogarsi su dove si colloca il nostro paese e la sua classe dirigente diffusa nell’ordine mondiale che si sta costruendo. Perfino la polemica sulle fake news, da questo angolo visuale, ha qualcosa di fastidioso e di retrò. Vengono tirate in ballo le grandi potenze, le agenzie di spionaggio e di manipolazione come quelle mosse dallo zar di Mosca, e non ci si accorge che è finita la stagione in cui l’Italia, al pari della Germania, era popolata da spie e agenti degli apparati internazionali. All’epoca il nostro paese presidiava un confine strategico e centrale, oggi è finito nell’angolo marginale della foto di gruppo, non aspira più a una parte di protagonista nel nuovo assetto. Abbiamo perso (ancora una volta) la guerra, ma questa volta stiamo perdendo anche il dopoguerra.

E perde di senso anche continuare a chiedere a quale schieramento appartieni, se stai con Berlusconi o con Di Maio, se con Renzi o con la formazione che sta nascendo alla sinistra del Pd. In passato le coalizioni si facevano tra chi era al di qua o al di là del muro. Più facile, o più scomodo, a seconda dei punti di osservazione. Ma se si evade la domanda, se si rimuove il contesto in cui cade lo scontro elettorale italiano, se i personaggi del teatrino si agitano come burattini senza filo e senza progetto, qualunque alleanza e qualunque schieramento diventa possibile. E l’Italia potrebbe diventare il laboratorio di inedite formule politiche, una strana democrazia.

Nell’indifferenza verso il nuovo muro invisibile che ci attraversa: «C’è una linea immaginaria eppure realissima, una ferita non chiusa, un luogo di tutti e di nessuno di cui ognuno, invisibilmente, è parte: è la frontiera che separa e insieme unisce il Nord del mondo, democratico, liberale e civilizzato, e il Sud, povero, morso dalla guerra, arretrato e antidemocratico. È sul margine di questa frontiera che si gioca il Grande gioco del mondo contemporaneo». Lo scriveva Alessandro Leogrande, che ci ha lasciato troppo presto, maledizione.

© Riproduzione riservata 01 dicembre 2017

Da - http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/12/1/news/yalta-2018-il-nuovo-muro-l-italia-che-non-c-e-1.315177?ref=HEF_RULLO
4103  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Paolo Magliocco. Quanti partiti di sinistra ha avuto l’Italia? inserito:: Dicembre 04, 2017, 11:15:45 pm
Quanti partiti di sinistra ha avuto l’Italia?
Scissioni, fondazioni e scioglimenti: nulla come la politica è in perenne divenire

LAPRESSE

Pubblicato il 04/12/2017 - Ultima modifica il 04/12/2017 alle ore 14:16

Paolo Magliocco

Sono almeno trenta le sigle che hanno rappresentato in un modo o nell’altro le anime della sinistra, o del centrosinistra, in Italia prima che la nascita di Liberi e Uguali venisse ad allungare la lista. Tra scissioni, nuovi movimenti, scioglimenti repentini, cartelli elettorali e insuccessi elettorali un elenco completo e preciso è praticamente impossibile e quindi anche in questa scheda manca certamente più di un nome.
 
Negli anni della Prima Repubblica, dal Secondo dopoguerra fino a Tangentopoli, stilare la lista non è poi così difficile. I quattro partiti storici erano PCI (comunisti), PSI (socialisti), PSDI (socialdemocratici) e, volendo, il PRI (repubblicani). Solo alla metà degli anni Sessanta, per l’esattezza nel gennaio del 1964, venne ad aggiungersi il PSIUP (partito socialista di unità proletaria), frutto, appunto, di una scissione causata dall’adesione del PSI al primo governo di centrosinistra guidato da Aldo Moro. Ad andarsene furono personaggi come Emilio Lussu e Lelio Basso. Intanto era entrato in Parlamento anche il Partito Radicale, che nacque in realtà da una scissione del Partito liberale, ma che è sempre stato ascritto alla sinistra e che nonostante molti cambi di nome (Rsa nel pugno, Lista Pannella e Lista Bonino tra gli altri) è rimasto fondamentalmente lo stesso raggruppamento dal 1955 in poi.
 
All’inizio degli anni Settanta arrivano i gruppi che vanno a occupare lo spazio a sinistra del PCI: Democrazia Proletaria (che raccoglie un arcipelago di sigle nate soprattutto con i movimenti studenteschi) e il Partito democratico di unità proletaria, poi diventato il PDUP per il comunismo di Lucio Magri e Luciana Castellina. Negli anni Ottanta invece appaiono i Verdi, fondati nel 1986 e approdati in Parlamento l’anno dopo sull’onda di un grande successo elettorale immediato. Ma quello ambientalista diventa subito un arcipelago che accanto ai Verdi del sole che ride (il simbolo storico, nato dalla battaglia contro il nucleare) vede nascere nel 1989 i Verdi arcobaleno che poi confluiscono la Federazione dei verdi. Ma nell’area della sinistra sarebbe giusto collocare anche il Partito sardo d’azione, erede di Giustizia e libertà e del Partito d’azione, oltre che della storia propria della Sardegna.

Quando il Partito Comunista decide il proprio scioglimento al Congresso di Rimini del 1991, attorno ad Armando Cossutta e Sergio Garavini nasce Rifondazione comunista, che riesce ad accorpare tutto il mondo a sinistra di quello che intanto è diventato il Partito democratico della sinistra di Achille Occhetto. Ma Tangentopoli, il crollo della Prima repubblica e l’arrivo della legge maggioritaria che costringe alle alleanze rimescolano molto le carte e complicano le cose, anche nella definizione di centro, centrosinistra e sinistra. 

 

Nel 1994 arrivano sulla scena i Progressisti guidati da Achille Occhetto che tengono insieme i già citati PDS, Rifondazione comunista, Federazione dei verdi, ma anche quel che resta del PSI, Rinascita socialista e, tra sinistra e centro, Alleanza Democratica di Willer Bordon, La Rete di Leoluca Orlando, e i Cristiano sociali. Due anni dopo, alle elezioni vittoriose del 1996 la coalizione dell’Ulivo conta a sinistra anche il Movimento dei Comunisti Unitari di Famiano Crucianelli e la Federazione Laburista di Valdo Spini. 

Passano due anni e Rifondazione si spacca: i Comunisti italiani di Armando Cossutta si staccano per non togliere il sostegno al governo di Romano Prodi come vuole il segretario Sergio Bertinotti. Nel frattempo il PDS lascia il posto ai DS, Democratici di sinistra, e perde la falce e martello ai piedi della quercia. Ma l’operazione guidata da Massimo D’Alema e poi da Walter Veltroni non riesce a unire tutta la sinistra perché parte degli ex socialisti e socialdemocratici si ritrovano nei Socialisti democratici italiani (mentre altri passano alla fine al centrodestra con il Nuovo PSI, che dunque si allontana dalla sinistra). 

Romano Prodi riunisce invece i suoi attorno a I Democratici, centristi più che di sinistra che poco dopo, nel 2001, aggregano altri pezzi delle formazioni di centro e si trasformano in La Margherita, della quale diventa leader Francesco Rutelli e che dura fino al 2007. A sinistra rispondono con Il Girasole, che mette insieme i Verdi e i Socialisti Democratici ma dura lo spazio delle elezioni. Quando i DS si trasformano in Partito democratico pagano la mossa con la scissione della Sinistra democratica di Fabio Mussi, proprio mentre tutti i partiti alla sinistra dei DS tentano di unirsi nella Sinistra arcobaleno. 

Ma le sigle si sparpagliano di nuovo fino a quando prende vita Sinistra ecologia libertà (SEL), che poi tenta l’avventura europea nel 2014 sotto la bandiera della lista L’altra Europa con Tsipras. Il resto è cronaca: Liberi e uguali deve dimostrare di riuscire a tenere insieme la formazione battezzata Possibile di Pippo Civati, la Sinistra italiana di Stefano Fassina, Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista di Roberto Speranza, Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema. E magari, se possibile, anche convincere i potenziali elettori.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/12/04/societa/quanti-partiti-di-sinistra-ha-avuto-litalia-GXJr19igTxcTR7d2LQX7TK/pagina.html
4104  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Manolo Lanaro. I comitati per il No si sono ritrovati ... inserito:: Dicembre 04, 2017, 11:11:35 pm
Referendum, comitati del No festeggiano l’anniversario: “Renzi? Politicamente un uomo morto che cammina”

Di Manolo Lanaro | 4 dicembre 2017

I comitati per il No si sono ritrovati davanti la Camera dei deputati per festeggiare e brindare a un anno dalla vittoria del ‘No’ al referendum costituzionale del 4 dicembre del 2016.
“Sembrava impossibile, invece è stata una grande vittoria “.

Duro Franco Russo, del Comitato per No al Referendum Costituzionale: “Renzi è politicamente un morto che cammina, perché ha perso delle battaglie fondamentali come quella sul referendum e la Boschi che aveva detto ‘in caso di vittoria del No, mi dimetto perché siamo persone coerenti’, oggi è Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, probabilmente – aggiunge Russo – per continuare a difendere le malefatte fatte alla Banca Etruria”

Da - https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/12/04/referendum-comitati-del-no-festeggiano-lanniversario-renzi-politicamente-un-uomo-morto-che-cammina/4018786/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2017-12-04
4105  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / GIORDANO STABILE. Yemen, l’ex presidente Saleh ucciso mentre fuggiva da Sanaa inserito:: Dicembre 04, 2017, 11:06:55 pm
Yemen, l’ex presidente Saleh ucciso mentre fuggiva da Sanaa
Scontri nella capitale.
Raid dei sauditi, gli Houthi lanciano un missile verso Dubai

Pubblicato il 04/12/2017 - Ultima modifica il 04/12/2017 alle ore 14:10

Giordano Stabile
Inviato a Beirut

L’emittente televisiva ufficiale del movimento ribelle yemenita Houthi ha annunciato la morte dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh. I ribelli sciiti hanno diffuso un video in cui viene mostrato quello che loro identificano come il cadavere dell’ex presidente yemenita. È avvolto in una coperta e viene caricato a bordo di un pickup dai militanti che esultano per la sua uccisione. Secondo le versioni fornite dai combattenti, e riprese da diversi canali tra cui anche Al Jazira, il convoglio di Saleh sarebbe stato intercettato e fermato mentre tentava di lasciare la città in seguito all’esplosione dell’abitazione dell’ex presidente. Le immagini, che ricordano molto quelle dell’assassinio del dittatore libico Muammar Gheddafi, nel 2011, sono state riprese anche dai canali arabi e stanno facendo il giro del web 

L’alleanza fra l’ex presidente Ali Abdullah Saleh e i ribelli sciiti Houthi si è rotta e nello Yemen ora si combatte una guerra civile dentro la guerra civile. Gli scontri sono concentrati nella capitale Sanaa e nei dintorni. I morti nel fine settimana sarebbero almeno 200, compresi alcuni civili, vittime dei raid dell’Arabia Saudita, che appoggiavano Saleh nella speranza che potesse cacciare gli Houthi dalla capitale. Si è combattuto vicino all’aeroporto, nei palazzi governativi che erano controllati dagli uomini dell’ex presidente, attorno alle sue residenze e a quella del fratello minore. Le sue forze sono però inferiori a quelle a disposizione degli sciiti: soltanto mille uomini dell’ex Guardia presidenziale contro decine di migliaia. 

Caccia all’uomo 

Le tensioni sono andate fuori controllo dopo che gli Houthi hanno cercato di arrestare un ufficiale di Saleh accusato di aver attaccato una loro pattuglia. Ma l’alleanza fra gli sciiti e Saleh scricchiolava già da mesi. A partire dal febbraio 2015 Saleh aveva appoggiato i ribelli sciiti nella speranza di tornare al potere dopo essere stato scalzato nel 2012 dall’attuale presidente Abd Rabbo Mansour Hadi. Ma negli ultimi mesi i rapporti si sono deteriorati perché gli Houthi si sono presi tutto il potere e hanno attaccato ufficiali di Saleh che non obbedivano ai loro ordini.

L’intervento saudita 

Domenica Saleh ha lanciato un appello all’Arabia Saudita per aprire le trattative e arrivare alla fine del blocco, che sta causando migliaia di morti per denutrizione e malattie. Il suo gesto è stato considerato un «tradimento» dal leader degli sciiti Ali al-Houthi. I miliziani hanno dato l’assalto alle residenze di Saleh in città e nei dintorni, compreso il villaggio natale vicino a Sanaa. Ali al-Houthi avrebbe ordinato di «catturare o uccidere» Saleh. Ieri sera gli aerei della coalizione saudita sono intervenuti e hanno colpito colonne di ribelli sciiti vicino all’aeroporto. Gli Houthi però avrebbero il controllo dei centri di potere, dello scalo e della tv di Saleh. 

Missile contro gli Emirati 

Saleh è difeso solo dai reparti d’élite della vecchia Guardia presidenziale, mille uomini in tutto. La sua defezione comunque indebolisce il fronte sciita e potrebbe accelerare la fine della guerra civile, anche se gli Houthi sono ancora in grado di mobilitare forze per lanciare controffensive. Ieri hanno attaccato le truppe degli Emirati arabi uniti nella zona di Mokka e hanno annunciato di aver lanciato un missile, uno Scud modificato Burkan-2, con gittata teorica di 1400 chilometri, verso Dubai, con obiettivo una centrale nucleare. Gli Emirati hanno smentito.

Guerra per procura 

Gli Houthi, appartenenti al ramo zaidita dello sciismo, sono appoggiati dall’Iran. Il presidente Mansour Hadi è invece sostenuto da una coalizione di una trentina di Paesi sunniti, anche se soltanto tre partecipano alla guerra sul terreno: Arabia Saudita, Emirati, Sudan. Il fronte di Mansour Hadi controlla Aden e gran parte del Sud, gli Houhti quasi tutto il Nord. L’Arabia Saudita ha accusato Teheran di inviare componenti missilistiche e altre armi ai ribelli, aggirando l’embargo che stringe lo Yemen del Nord da terra e dal mare. Riad ha anche accusato Hezbollah di aver inviato consiglieri militari a Sanaa. In quasi tre anni di guerra civile sono morte, negli scontri e a causa di bombardamenti, almeno 10 mila persone. Altre migliaia, soprattutto bambini, sono morti per le epidemie, a partire da quella di colera, e la malnutrizione.

Da - http://www.lastampa.it/2017/12/04/esteri/yemen-si-spacca-il-fronte-ribelle-lex-presidente-saleh-contro-gli-sciiti-YkJQOcfOMc7fyhftpSSOAP/pagina.html
4106  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Di Tomaso MONTANARI. La lista Grasso, una grande occasione perduta. inserito:: Dicembre 03, 2017, 06:47:01 pm
NOTA DEL PRESIDENTE DI LIBERTÀ E GIUSTIZIA

08 Ottobre 2017

Desidero sottolineare ancora una volta, anche a beneficio dei mezzi di comunicazione, la radicale distinzione e separazione tra il mio ruolo di presidente di Libertà e Giustizia e il mio ruolo di firmatario dell’‘appello del Brancaccio’ per una lista unica a Sinistra.

Nelle assemblee che sono scaturite da quell’appello, si incontrano persone iscritte a moltissime associazioni (all’Anpi, a Libera o all’ARCI, per esempio), spesso anche investite di ruolo dirigenziali. Ma in tutti questi casi, come nel mio, l’adesione è puramente personale e non impegna mai le rispettive associazioni.

Ho detto fin dall’inizio, e ribadisco, che in nessun caso mi sarei candidato al Parlamento: perché intendo questo impegno ‘solo’ come un pieno dispiegamento della mia cittadinanza. Nonostante questo, so che non è facile mantenere distinti (nel discorso pubblico, e più ancora in quello mediatico) i miei due ruoli: e dunque torno a farlo con forza in questa nota.

È per questo che tengo a confermare che Libertà e Giustizia non prende e non prenderà posizione a favore di alcun schieramento elettorale. Come sempre.

Tomaso Montanari

Da - http://www.libertaegiustizia.it/event/ginevra-democrazia-diretta-e-democrazia-rappresentativa/
4107  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / STEFANO RODOTÀ: IL TEATRO È LA POLIS inserito:: Dicembre 03, 2017, 06:45:00 pm
STEFANO RODOTÀ: IL TEATRO È LA POLIS

CULTURA | 28 NOVEMBRE 2017 

DI FABRIZIO GIFUNI (*)

Stefano Rodotà conosceva il Diritto ma anche il suo rovescio, l’ordinare e il precipitarsi. La ragionevole follia.

Attraversava con l’innocenza di un fanciullo i rischi della convivenza e della modernità, senza mai averne paura. La vita prima delle regole, appunto.
Quando tutto sembrava nebbia e palude, il suo sguardo acutissimo e sorridente sapeva sempre illuminare una rotta, un compito. La sobrietà era uno dei suoi tratti identitari più riconoscibili.

Vinceva il tempo, gli anni, attraversava le generazioni, sorprendeva per il suo essere spesso il più giovane di tutti, anche quando stava in mezzo ai ragazzi.
Il più bello dei frammenti di Eraclito dice: «La vita è un fanciullo che gioca, che sposta i pezzi sulla scacchiera. Il Regno di un fanciullo». Non si potrebbe dir meglio. Stefano sapeva giocare con il diritto con la massima serietà con cui giocano i fanciulli.

La mia passione per il diritto e per la libertà delle regole – quella dei miei primi studi universitari e la passione divenuta presto totalizzante per il mio lavoro in teatro vissuto come uno dei pochi luoghi in cui sia possibile sperimentare un processo di conoscenza che passi attraverso l’Esperienza viva dei corpi, hanno trovato presto in Stefano Rodotà un punto di riferimento prezioso e per molti aspetti imprescindibile. Un maestro che negli anni sarebbe diventato un compagno gentile a cui rivolgere sempre più spesso lo sguardo.

Perché Stefano aveva un modo tutto suo di essere maestro.
Annullava le distanze. Stava idealmente ai miei occhi in un punto altissimo in termini di autorevolezza eppure sempre vicinissimo, mai distante, dal punto di vista umano.
Avevo scelto lui a diciotto anni per il mio primo voto, indipendente e di Sinistra.

Più di vent’anni dopo quel mio primo voto iniziai a spedirgli regolarmente gli inviti per i miei spettacoli a cui non mancava mai. Perché Stefano, come sua moglie Carla, amava il teatro. Lo riconosceva. L’esperienza teatrale era per lui, per loro, fonte viva di riflessione.

Condividevamo l’idea che i teatri dovessero essere piazze aperte sulla città. Non luoghi chiusi, monumenti, spesso nel nostro Paese bellissimi ma inerti. Ma luogo di incontro, di riflessione, di sovvertimento temporaneo dell’ordine e degli sguardi.

D’altra parte nel cerchio magico del teatro, in quel tempo sospeso, accadono anche cose terribili, corto circuiti psichici, catarsi come dicevano i greci, che devono servire, finito quel tempo, a ripensare – in un modo prima imprevisto – a un nuovo ordine possibile. Per la Comunità. E questo corrispondeva al suo sguardo.
Stefano sapeva che il teatro era nato come momento centrale dell’esperienza della polis. Un luogo di conoscenza e dunque una necessità primaria dei cittadini prima ancora che degli artisti.

Condividevamo l’idea che il teatro fosse anche paradigma di un’idea inclusiva di società e di lotta contro ogni genere di discriminazione.
Ci ritrovavamo in un pensiero a cui io sono molto legato e che non mi abbandona mai nel mio lavoro. Che il teatro, la musica, il cinema, la letteratura, l’arte in generale non possano vivere nell’aberrazione del cosiddetto tempo libero in cui la rivoluzione industriale le ha relegate da secoli, spaccando per sempre in due il tempo dell’esperienza quotidiana. Come se esistesse davvero un tempo delle cose serie – quello della produzione e del consumo – e un tempo libero in cui si va quando si è terminato di fare le cose serie.

Ma che sia necessario battersi ogni giorno per ricordare innanzitutto a noi stessi – che ogni forma di espressione artistica con cui entriamo in contatto fa parte solo del tempo unico della nostra vita. Che ha bisogno di libertà, di fantasia, di disordine, di poesia e di bellezza quanto di regole indispensabili alla sopravvivenza del consorzio sociale. Tutte le zone dell’io devono essere costantemente nutrite, compreso il sogno, via regia per l’inconscio.

Se devo pensare a una cosa in cui Stefano era davvero maestro, forse il più bravo di tutti, era questa. Spingersi nell’ambito dello studio e della sapienza giuridica fino al punto estremo in cui era possibile tradurre concretamente lo slancio dell’utopia nel massimo risultato storicamente possibile in quel momento. Il risultato ottenuto in termini di allargamento dei diritti sarebbe diventato il punto di partenza per la battaglia successiva. Perché Stefano sapeva che la nostra esistenza ha bisogno tanto dello slancio indispensabile dell’utopia come momento di incoscienza cinetica quanto dell’immediata traduzione – successiva, concreta e cosciente – di quello slancio iniziale in ciò che è possibile fare, una volta attutita la forza del salto. Ci vuole pazienza, coraggio e luce negli occhi.

E ciò che rendeva davvero unico questo modello di prassi politica e culturale è che sapeva fare tutto questo tenendo lontana qualsiasi forma di narcisismo, con quella semplicità seria e sorridente che costituiva uno dei suoi tratti umani più affascinanti. La sua partecipazione fondamentale all’esperienza del Teatro Valle, immediatamente successiva alla vittoria del referendum sull’acqua, è stata parte naturale di questo sguardo. Il teatro Valle diventò in quegli anni, allo stesso tempo, il luogo d’incontro che ospitò i lavori di una nuova Costituente sui Beni comuni e oggetto stesso di quello studio giuridico.

Il modello innovativo di gestione del teatro a cui Stefano Rodotà aveva dedicato tanto lavoro, che culminò nella presentazione dello Statuto della Fondazione Teatro Valle Bene Comune, è una delle tante pagine a cui lo smarrimento progressivo della sinistra non seppe far altro che dedicare uno sguardo infastidito e distratto. Ci vorrebbe molto tempo per raccontare in maniera minimamente esaustiva il complesso di quell’esperienza, urgente e vitalissima pur all’interno delle sue naturali contraddizioni.

L’occupazione durò per la cronaca tre anni e due mesi. Sono passati tre anni e tre mesi dalla fine di quell’esperienza e la chiusura assordante di quel teatro, al di la di ogni vuota promessa, vale più di qualunque altra parola.

(*) L’intervento di Gifuni è stato pronunciato il 28 novembre a Montecitorio per l’incontro dedicato a Stefano Rodotà nella Sala della Regina. Tra i presenti Sandra Bonsanti.

Da - http://www.libertaegiustizia.it/2017/11/28/stefano-rodota-il-teatro-e-la-polis/
4108  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / MARCO REVELLI: LIBERARSI DA QUESTO PD O LA SINISTRA SI ESTINGUERÀ inserito:: Dicembre 03, 2017, 06:39:44 pm
MARCO REVELLI: LIBERARSI DA QUESTO PD O LA SINISTRA SI ESTINGUERÀ

POLITICA | 29 NOVEMBRE 2017
DI LUCA DE CAROLIS

 “Lo spettacolo è veramente scadente, e la tentazione sarebbe quella di essere sarcastici. Ma io suggerisco di essere indulgenti con i protagonisti della sinistra italiana: sono capitati nel mezzo di una tempesta quasi perfetta, e forse non se ne rendono neppure conto”.
Marco Revelli, professore di Scienza Politica presso l’università del Piemonte Orientale, invoca le attenuanti generiche per una sinistra in perenne caos. Ma è pessimista sul futuro: “La crisi di questa parte politica è lo specchio della crisi della democrazia, affetta da una patologia quasi mortale”.

Professore, la sinistra è messa davvero così male?
La crisi dei meccanismi democratici l’ha investita in pieno, in tutto l’Occidente. La democrazia dovrebbe rappresentare la società ed l’unico elemento che la distingue da altre forme di governo come la monarchia o la dittatura.
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Ma non riesce più a farlo.
E quindi la sinistra ne paga il prezzo, ovviamente anche per proprie colpe.
L’intera famiglia dei socialismi europei si sta sfarinando.
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Parliamo delle responsabilità di quella italiana.
La situazione della sinistra in Italia è tra le più tristi in Europa. E può sembrare un paradosso per il Paese che ha avuto il più forte partito comunista del continente. Ma forse i due fatti sono legati. La sinistra non ha saputo riempire quel cratere lasciato dal Pci, e man mano che cambiava nome, dal Pds fino al Pd, dava l’impressione di essere in fuga da se stessa, in un percorso costellato di abiure.
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Cambiare era necessario, non crede?
Certo, ma il vero tema è che l’insediamento sociale della sinistra è stato massacrato in questi anni. Pensiamo al lavoro, con tutte le ristrutturazioni e privatizzazioni, e al calo costante dei redditi dei lavoratori. Fenomeni che hanno morso anche il ceto medio, senza che i partiti di riferimento facessero nulla, anzi spesso si sono schierati con l’altra parte. E così si è prodotto un divorzio di fatto da un pezzo del Paese. Ormai con questo Pd, così come l’ha riconfigurato Renzi, è rimasto solo un ceto meno colpito dalla crisi, che ha digerito tutto, compreso il trapianto d’ identità del Partito democratico.
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Pier Luigi Bersani sostiene che sarebbe meglio andare divisi, Mdp e Si da una parte e Pd dall’altra, perché “uniti perdiamo”.
E ha perfettamente ragione. L’unico modo per lui di recuperare qualcuno tra i tanti elettori fuggiti dalla sinistra è quello di non legarsi al Pd e a Renzi. Certo, per rimettere il dentifricio nel tubetto ci vorrebbe quasi un miracolo Il problema è sempre la credibilità di chi parla.

I “rossi” fuori del Pd non ne hanno?
Il leader dei laburisti inglesi, Jeremy Corbyn, non era il braccio destro di Tony Blair: ha sempre proposto un’alternativa. Ci vuole discontinuità, anche personale, rispetto alle politiche di un passato molto lungo.
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Il probabilissimo futuro leader della sinistra, il presidente del Senato Pietro Grasso, è un ex pm sceso in politica solo nel 2013. Come nome nuovo potrebbe anche reggere.
È un accorgimento tattico, un tentativo tirato fuori dal cilindro. Ma la soluzione non la trovi con l’ingegneria da ceto politico.
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E allora cosa serve?
Serve un cambio di mentalità. Questo ceto politico a cui accenno dovrebbe fare un passo indietro, e accettare un vero confronto sulle ragioni delle crisi.
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Tomaso Montanari, volto e motore degli ex comitati del No, ha proposto una serie di condizioni ai partiti, tra cui l’obbligo di presentare nelle liste almeno il 50 per cento di neofiti ed escludere chiunque abbia avuto in passato incarichi di governo, quindi anche Bersani e D’Alema. È d’accordo?
Io provo molta simpatia per Montanari, che ci ha messo la faccia. Le sue ricette ridarebbero un minimo di credibilità, ma temo che resteranno proposte inascoltate. Il campo a sinistra mi sembra già strutturato, con tutti i piccoli eserciti che si sono organizzati.
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A proposito di regole, ma della legge elettorale che ne pensa?
Penso che possano averla scritta solo dei masochisti, perché condurrà il Pd a sicura sconfitta. L’hanno preparata pensando di puntare sul voto utile verso il partito di Renzi, ma in realtà la scelta per molti sarà tra i Cinque Stelle e Berlusconi, come è avvenuto in Sicilia e a Ostia. Difficilmente sceglieranno il Renzi ferroviere.
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Il nodo della scelta tra Berlusconi e Di Maio se lo è posto anche Eugenio Scalfari, e la sua preferenza è andata al “populismo di sostanza di B.”. Poi però il fondatore di Repubblica ha fatto marcia indietro.
È un gioco stupido. La nostra Costituzione non prevede un premierato elettivo, e comunque con l’attuale legge elettorale non si verrà posti di fronte a una simile scelta.
.
Eppure si è aperto un ampio dibattito sul tema.
Sull’argomento ho letto delle bestialità. C’è chi ha detto che “almeno Berlusconi lo conosciamo”. E io dico, appunto: sappiamo dei suoi processi e di tutto il resto. Io non ho mai lesinato critiche ai Cinque Stelle, soprattutto per le loro posizioni sull’immigrazione. Ma chiunque abbia un animo democratico non potrebbe scegliere il pregiudicato Berlusconi.

Il Fatto Quotidiano, 27 novembre 2017

Da - http://www.libertaegiustizia.it/2017/11/29/marco-revelli-liberarsi-da-questo-pd-o-la-sinistra-si-estinguera/
4109  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Sinistra, Grasso lancia 'Liberi e uguali': "Pd mi ha offerto incarichi ma ... inserito:: Dicembre 03, 2017, 06:38:30 pm
Sinistra, Grasso lancia 'Liberi e uguali': "Pd mi ha offerto incarichi ma calcoli non fanno per me"
A Roma 1500 delegati all'assemblea della Sinistra unitaria: applausi all'arrivo del presidente del Senato.
Speranza: "Siamo orgogliosi che tu sia qui, con te siamo dalla parte giusta".
Bersani "Destra regressiva è stata sottovalutata".
Civati: "Fermeremo il partito traditore" e attacca Pisapia: "Dove campo vai?"

03 dicembre 2017

Neofascismo, D'Alema: "Pd non è stato argine". Bersani: "Appelli e manifestazioni non bastano"

ROMA - Lunga fila di 1500 delegati all'assemblea unitaria della sinistra italiana che vede incontrarsi all'Atlantico Live di Roma Mdp, Si e Possibile per quella che sarà poi una lista unitaria alle prossime elezioni. Applausi e una vera e propria standing ovation all'arrivo del presidente del senato Pietro Grasso. Sul palco tre vele di colore giallo, blu e rosso, compaiono su un maxischermo accanto alla scritta: "C'è una nuova proposta".

L'attesa "è una bella cosa. Ci proietta verso qualcosa di positivo" ha detto Grasso, arrivato con la moglie Maria. All'assemblea ci sono Roberto Speranza, Nicola Fratoianni e Pippo Civati, Massimo D'Alema, che è in seconda fila, Claudio Fava e Nichi Vendola. Defilato Pier Luigi Bersani, che siede in sesta fila. In platea si vedono, tra gli altri, Vincenzo Visco, Gavino Angius, Fabio Mussi, Alfredo D'Attorre, Federico Fornaro, Miguel Gotor, Stefano Fassina, Loredana De Petris, Arturo Scotto. Fuori, persone rimaste in piedi.

"Qui ci sono persone che credono nelle proprie idee. È una bellissima immagine che dà forza e energia", ha cominciato il presidente del Senato dal palco dell'Atlantico. E ha aggiunto che quando è uscito dal gruppo del Pd gli hanno "offerto seggi sicuri, mi hanno detto di fermarmi un giro, di fare la riserva della Repubblica. Mi dispiace questi calcoli non fanno per me", ha continuato raccogliendo un altro lungo applauso. "Serve un'alternativa all'indifferenza e alla rabbia inconcludente dei movimenti di protesta, alle favole bellissime che abbiamo sentito raccontare per decenni. Tocca a noi offrire una nuova casa a chi non si sente rappresentato. Una nuova proposta per il paese. Io ci sono", ha continuato.

"Fare politica è un onore, non una vergogna. C'è in gioco il futuro dell'Italia e questa è la nostra sfida: battersi perché tutti, nessuno escluso siano liberi e uguali, liberi e uguali" ha detto ancora Grasso, citando per la prima volta il nome del nuovo soggetto: "Liberi e uguali".

A sottolineare l'importanza della presenza di Grasso ci ha pensato Roberto Speranza: "C'è un filo rosso - ha detto - fra le nostre generazioni, molti ragazzi della mia età hanno cominciato a fare politica dopo gli attentati a Falcone e Borsellino. E noi siamo orgogliosi del fatto che tu sia qui. Significa che siamo dalla parte giusta, per le stesse ragioni che mi hanno portato ad avvicinarmi alla politica".
Sinistra, Speranza ringrazia Grasso: ''Con te siamo dalla parte giusta''


Una proposta di unità contro i proclami di un partito che ha parlato di unità troppo tardi. "Da oggi parte una grande strada, un percorso importante, ci abbiamo lavorato per ridare speranza al Paese", ha spiegato Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana. "Abbiamo costruito con Roberto e Pippo una cosa insieme, un rapporto di fratellanza per mettere insieme storie e percorsi diversi. Da qui noi partiamo. Raccogliamo le vele. Non un indugio, cominciamo a remare".

• "METODO GRASSO": IL NOSTRO È UN PROGETTO APERTO
"Ho scelto ottimi compagni di viaggio, ma tanti altri arriveranno. Il nostro progetto è aperto e accogliente" ha detto il presidente del Senato, aggiungendo che lo scopo è costruire "una nuova alleanza tra cittadinanza attiva, sindacati, forze intermedie". "Il nostro è un progetto più grande di come finora lo hanno raccontato e se ne accorgeranno presto. Non facciamo scoraggiare di chi parla di rischi di sistema, favori ai populismi, voto utile. L'unico voto utile è chi costruisce speranze portando in Parlamento i bisogni e le richieste della metà d'Italia che non vota. È questo il voto utile". Sarà dunque "un programma partecipato, serio con cura... Qualcuno parla di un 'metodo Grasso'".

• L'ONDA NERA CHE MONTA
"No a inaccettabili intimidazioni: mi ha colpito la rabbia di quei quattro fascisti. Fascisti, diciamolo. C'è un'onda nera che monta. A partire dalle periferie delle nostre città. E allora è da lì che dobbiamo tornare, è da lì che dobbiamo ripartire" ha detto il presidente del Senato, chiudendo il suo intervento.

• BERSANI E LA DESTRA REGRESSIVA
"La sinistra ci dev'essere. Per combattere la destra regressiva bisogna rimettere nel campo le forze di sinistra e del centrosinistra che sono nel bosco. È stata sottovalutata questa destra". Così Pier Luigi Bersani arrivando all'assemblea della sinistra in merito all'episodio xenofobo e fascista a Como. E in merito alla manifestazione indetta dal Pd per l'8 dicembre ha aggiunto: "Tutte le manifestazioni vanno bene ma non bisogna usare le parole della destra neppure in politica. Più popolo c'è, più larghezza c'è e meglio è. Bisogna tenere in alto la bandiera dei nostri valori contro le destre regressive. Voglio credere sia una coalizione di sinistra plurale ma orientata al governo su di una piattaforma basata sul tema del lavoro".

• CIVATI: FERMEREMO PD TRADITORE
"Molti di noi sono qui per una promessa tradita, tra le molte tradite: di non avere più lavoratori precari, di non avere l'uomo solo al comando...", ha detto Pippo Civati sottolineando che ci attende una campagna elettorale "a chi la spara più grossa. Noi prendiamo l'impegno di fare promesse che non verranno più tradite e verranno banalmente mantenute. Loro stanno già preparando nuovi tradimenti ma noi li fermeremo". "Il nostro progetto - ha aggiunto - non è solo mettere insieme la sinistra, che è un'impresa titanica mai riuscita, ma cambiare l'Italia".

• "PISAPIA, DOVE CAMPO VAI?"
Civati si è rivolto anche direttamente a Giuliano Pisapia: "Altri stanno allestendo coalizioni da incubo, in cui c'è dentro tutto: Minniti con Bonino, Merkel con no euro. Noi saremo rigorosi" ha detto dal palco, "c'era chi diceva 'mai con Alfano', patrimoniale, ius soli. E allora perché poi va con Alfano, con chi non vuole lo ius soli, con chi quando nomini la patrimoniale gli viene un colpo? Il mio appello è: Giuliano, dove campo vai?".

• D'ALEMA: APPELLI UNITA' SONO TARDIVI
A bocciare gli appelli all'unità del centrosinistra è anche Massimo D'Alema: "Sono tardivi e non accompagnati da scelte politiche e programmatiche conseguenti. Renzi - ha sottolineato - aveva detto che noi eravamo elettoralmente irrilevanti, quindi questi appelli contraddittori". "La gran parte degli elettori che voteranno per noi, non voterebbero per i candidati del Partito Democratico, quindi noi non portiamo via nulla a loro. Aggiungiamo, recuperiamo persone che altrimenti non voterebbero per il Pd", ha concluso D'Alema.

© Riproduzione riservata 03 dicembre 2017

DA - http://www.repubblica.it/politica/2017/12/03/news/bersani_destra_regressiva_e_stata_sottovalutata_dobbiamo_tenere_alta_bandiera_dei_nostri_valori_-182874477/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1
4110  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Gianni RIOTTA - La rivoluzione delle culle piene inserito:: Dicembre 03, 2017, 06:36:27 pm
La rivoluzione delle culle piene

Pubblicato il 01/12/2017
GIANNI RIOTTA

Qualche tempo fa la Fondazione Nardini organizzò a Bassano del Grappa, tra le pittoresche «Bolle» dell’architetto Fuksas un incontro sul «Capodanno 2050»: statistici come Enrico Giovannini, demografi come Jack Goldstone, gli economisti Moises Naim e Bill Emmott ruppero il silenzio su uno dei tabù più intrattabili da noi, la crisi delle nascite. 
 
Al brindisi dell’1 gennaio 2050 gli africani, oggi 1,2 miliardi, saranno 2,6 miliardi, gli europei, oggi inclusa la Russia 745 milioni, saranno invece appena 736 milioni. La Cina si fermerà, da 1,3 miliardi a 1,39, superata dall’India, da 1,35 miliardi a 1,7. La Cina deve diventar ricca prima di diventare vecchia, gli Stati Uniti, 325 milioni di cittadini adesso 397 nel 2050, avranno presto una base attiva più vasta ed educata di Pechino.
 
In Italia, (60 milioni 2017, 56 nel 2050), parliamo poco di culle vuote, forse perché Mussolini premiava le famiglie numerose e penalizzava i single, sotto l’occhiuto controllo dell’Ufficio Centrale Demografico, varato nel 1937. In Francia i sussidi alla maternità hanno funzionato, ma i costi pesano troppo sui bilanci di anni magri. Non stupisce dunque che, tre giorni fa, il presidente russo Vladimir Putin, il più astuto statista tra i leader del nostro tempo, abbia lanciato la sua nuova campagna demografica, investendo due miliardi di euro in un piano di sussidi che concederà ad ogni nuova mamma russa 150 euro al mese per un anno e mezzo, alla nascita del primogenito.
 
Putin sa che la Russia, già colpita dai 20 milioni di morti della Seconda guerra mondiale, declina rapidamente dalla fine dell’Urss, 146,9 milioni all’ultimo censimento, 5 in meno dalla notte dell’ammaina bandiera rossa al Cremlino, 1991. E come può Putin corroborare l’ambiziosa agenda imperiale, davanti alla Cina egemone di Xi Jinping e all’America che vede in declino, se il Paese si svuota per emigrazione, scarsa natalità, aspettativa di vita in calo, alcolismo, in comunità use all’aborto di stato come anticoncezionale? Con sagacia Putin addossa le colpe dei pochi nati al passato, il conflitto finito tre generazioni or sono, «la crisi economica e la paralisi sociale dei primi Anni 90», insomma tutto tranne che la realtà presente, in una nazione che governa ormai da 17 anni.
 
Anche sulla demografia però, Vladimir Vladimirovic Putin si conferma tattico di classe, più incerto stratega. Non saranno infatti i 150 euro al mese a convincere le giovani moscovite o le coetanee contadine dei distretti di «Terra Nera», fertile regione agricola in boom grazie alle sanzioni Usa-Ue, a diventar mamme, perché, scrive su «Foreign Affairs» il professor Goldstone, «Non è in realtà chiaro quali riforme promuovano davvero la natalità». 52 anni fa il futuro senatore Daniel Moynihan divise l’America con il suo rapporto sulla crisi fatale che affliggeva le famiglie afroamericane nei ghetti. Il presidente Johnson reagì aiutando le ragazze madri con sussidi, ma la misura, anziché stimolare nascite, moltiplicò rassegnazione, povertà, droghe, piccola criminalità. 
 
Il mondo smetterà di affollarsi giusto nel 2050, a un picco di 9,17 miliardi di esseri umani, Occidente anziano e poco abitato, Asia e Africa con una popolazione giovane, povera, stipata in megalopoli violente, un trend epocale che non saranno i 150 euro di Putin a invertire. Ma il presidente russo ha ben altro in mente che non il Capodanno 2050. Per capire cosa leggete il secondo volume della monumentale biografia di Stalin, appena pubblicato dallo storico Stephen Kotkin: in un discorso alla Conferenza Industriale Sovietica del 1931, stretto da carestia e ritardi nel creare una base industriale moderna, il dittatore sovietico si appella all’insicurezza antica dell’anima russa: «I khan mongoli vi hanno umiliato, come i bey turchi, i baroni svedesi, i signori giapponesi e i capitalisti anglo-francesi, siete deboli e vi calpestano, solo quando sarete potenti vi daran ragione…».
 
Con il fantasma delle culle vuote Putin evoca le umiliazioni storiche, perché la gente si stringa intorno a lui. Funzionerà per il consenso forse, ma non per le cicogne, quelle sono attratte, nei Paesi sviluppati, solo dall’emigrazione, vedi Stati Uniti che crescono, senza sostegni alla natalità, grazie a chi cerca una nuova vita. Un fenomeno che la Russia, per ora, non sembra poter conoscere.
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