LA-U dell'OLIVO
Aprile 20, 2024, 06:30:30 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
  Home Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
  Visualizza messaggi
Pagine: 1 ... 271 272 [273] 274 275 ... 529
4081  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA RUBINO. Comunisti in lista "per una Sinistra rivoluzionaria" inserito:: Dicembre 07, 2017, 06:37:35 pm
Comunisti in lista "per una Sinistra rivoluzionaria"
Il Partito comunista dei lavoratori e Sinistra classe rivoluzione si presentano insieme alle prossime elezioni. Ferrando: "Condurremo anche noi la battaglia sulle firme"

Di MONICA RUBINO
07 dicembre 2017

ROMA - "Per una sinistra rivoluzionaria". È il nome della lista e del simbolo che il Partito comunista dei lavoratori (Pcl) lancia assieme a Sinistra classe rivoluzione (Scr) alle prossime politiche. "L'obiettivo centrale è quello di usare anche la tribuna elettorale per ricostruire una coscienza politica di classe e anticapitalistica tra i lavoratori e gli sfruttati", spiega Marco Ferrando, voce e anima del Pcl da quando, nel 2006, questa costola trotzkista di Rifondazione comunista decise di staccarsi, in protesta contro la decisione di Fausto Bertinotti di entrare nel secondo governo Prodi.
 
Alle ultime elezioni il partito di Ferrando ottenne lo 0,26% alla Camera e lo 0,37% al Senato, non riuscendo a conquistare nessun seggio. Tuttavia, anche se formalmente è il Parlamento il punto d'arrivo della nuova iniziativa politica avviata assieme al movimento Scr (che fino alla scissione avvenuta nel 2016 stava in Rifondazione comunista con il nome di organizzazione "Falcemartello"), di fatto lo scopo più importante è un altro. Ossia, "ricostruire un punto di riferimento anticapitalistico per i lavoratori che, dopo oltre dieci anni di massacro sociale, sono rimasti privi di rappresentanza. Nemmeno i sindacati sono più in grado di difenderli. Figuriamoci coloro che si presentano come la nuova sinistra", continua Ferrando.
 
Il riferimento è a Liberi e Uguali, il soggetto politico della sinistra unitaria nato il 3 dicembre dall'alleanza fra Mdp, Sinistra italiana e Possibile e che ha come leader il presidente del Senato Pietro Grasso: "Quella lista comprende un personale dirigente - sostiene ancora il leader del Pcl - che non solo ha distrutto la sinistra politica in Italia, a partire dallo scioglimento del Pci, ma ha diretto le gigantesche privatizzazioni degli anni '90, ha precarizzato il lavoro (a partire dal pacchetto Treu), ha infine votato tutto il peggio dei governi Monti, Letta, Renzi, inclusa la soppressione dell'articolo 18. In poche parole ha picconato la libertà e l'uguaglianza a danno di chi lavora. Il fatto che si chiamino 'Liberi e Uguali' dimostra solamente che il trasformismo non ha confini, la faccia tosta neppure".
 
Insomma per Ferrando "la sinistra o è anticapitalista oppure non è: il principio di realtà da cui partire è che il capitalismo è un sistema fallito, non ha più nulla da dare alle giovani generazioni in termini di progresso". E neppure il movimento civico del Brancaccio, guidato da Tomaso Montanari e Anna Falcone, è riuscito a dare voce "agli sfruttati e agli oppressi". È stato solo "un sipario, una mascheratura civica dietro cui si lavorava per ricomporre tasselli della cosiddetta sinistra riformista, subordinata agli interessi delle classi dominanti".
 
Di fronte a sé, però, la nuova lista Pcl-Scr ha lo stesso problema pratico dei Radicali: la raccolta di circa 50mila firme che la legge elettorale impone a tutte le formazioni che non sono già in Parlamento: "Grazie al nostro radicamento territoriale pensiamo di potercela fare - assicura Ferrando -  ma ci siamo confrontati anche con i Radicali italiani per condurre insieme la battaglia per l'abbattimento del numero di firme".

© Riproduzione riservata 07 dicembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/12/07/news/lista_comunisti_per_una_sinistra_rivoluzionaria-183337337/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-L
4082  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Gianfranco PASQUINO. La legge elettorale, i sistemi politici e 5 cose da non... inserito:: Dicembre 07, 2017, 06:35:36 pm
La legge elettorale, i sistemi politici e 5 cose da non dimenticare
Bisogna sfatare un po' di luoghi comuni sul dibattito attuale e prendere con le pinze le stime del voto che si fanno a quattro mesi dal voto

Di GIANFRANCO PASQUINO
07 dicembre 2017

Questo è un articolo dell'Atlante elettorale della Società Italiana di Studi Elettorali (Sise) che - in collaborazione con Repubblica - offre ai lettori una serie di uscite settimanali in vista delle elezioni politiche del 2018. La Sise promuove dal 1980 la ricerca nel campo delle elezioni, delle scelte di voto e del funzionamento dei sistemi elettorali. L'Associazione si avvale del contributo di giuristi, sociologi, storici e scienziati della politica, con l'obiettivo di favorire la discussione attraverso l'organizzazione di convegni di taglio accademico aperti anche al contributo di politici e commentatori.

La legge elettorale Rosato assegna due terzi dei seggi (66 per cento) della Camera e del Senato con metodo proporzionale e un terzo con metodo maggioritario in collegi uninominali. Nel 2006 circa il 90 per cento dei seggi furono assegnati con il metodo proporzionale; nel 2008, più dell'85 per cento; nel 2013 più del 75 per cento. Quindi, l'Italia non sta affatto "tornando alla proporzionale". Non ne era mai uscita, neanche con l'Italicum. Al contrario, è cresciuta la percentuale di seggi attribuiti con metodo proporzionale.

Tutte le democrazie parlamentari europee utilizzano da tempo, quelle scandinave, il Belgio e l'Olanda, da più di cent'anni, leggi elettorali proporzionali. La legge tedesca, che si chiama "rappresentanza proporzionale personalizzata", in vigore dal 1949, ha subito diversi piccoli adattamenti, ma la struttura è invariata.

Soltanto la Francia ha dal 1958, con la sola interruzione delle elezioni legislative del 1986, una legge elettorale maggioritaria in collegi uninominali con clausola di accesso al secondo turno. Talvolta, raramente, passano al secondo turno soltanto due candidati. Allora si ha tecnicamente ballottaggio. Quando i candidati che rimangono in lizza sono più di due si ha, per l'appunto, il secondo turno nel quale chi vince raramente ottiene la maggioranza assoluta dei voti espressi.

La quasi totalità dei governi delle democrazie europee sono governi di coalizione, composti da due o più partiti. Rari sono i casi di governi composti da un solo partito, ovviamente ad esclusione della Gran Bretagna (tranne nel periodo 2010-2015) e, soprattutto nel passato, dei governi di minoranza socialdemocratici, in particolare in Svezia, agevolati dalla non necessità di un esplicito voto di sfiducia.

I governi di coalizione si caratterizzano per due elementi. Il primo elemento è che, comprensibilmente, due partiti rappresentano l'elettorato, le sue preferenze, i suoi interessi, persino i suoi ideali, meglio di quanto possa fare un solo partito. Il secondo elemento è che il programma concordato, faticosamente quanto si vuole (ma con meno fatica se non è la prima volta che si forma quella coalizione di governo) smusserà le punte estreme dei programmi dei differenti partiti. Quel governo risulterà meglio rappresentativo delle preferenze degli elettori mediani.

Nonostante recenti, comparativamente e numericamente del tutto infondate, affermazioni, non è affatto vero che l'alternanza al governo fra partiti e coalizioni costituisca una costante nel funzionamento delle democrazie parlamentari europee. Al contrario, l'alternanza è un fenomeno generalmente raro e l'alternanza "completa" - quella nella quale un partito o una coalizione subentrano ad un partito e ad una coalizione escludendoli totalmente - è un fenomeno rarissimo. Richiede l'esistenza di un solido sistema bipartitico com'è stato quello inglese dal 1945 al 2010, nel quale soltanto due partiti, gli stessi, potevano ottenere la maggioranza assoluta di seggi nella Camera dei comuni e, quando la ottenevano, governavano da soli. Altrove, nella grande maggioranza dei casi, quello che avviene è la sostituzione di uno o due partiti al governo accompagnata dalla persistenza di uno o due partiti nel governo: semi-alternanza? Semi-rotazione?

La casistica è amplissima. Mi limiterò ai due esempi più recenti. In Austria, i Popolari, già al governo, hanno deciso di fare una nuova (ma non inusitata) coalizione di governo escludendo i Socialdemocratici e includendo i Liberali. In Germania è ritornata possibile la Grande Coalizione, esempio probante di non alternanza. In nessuna delle democrazie parlamentari europee è mai stato posto l'obiettivo di conoscere "chi ha vinto" la sera stessa delle elezioni.

Infine, una nota di cautela sulle simulazioni relative ai risultati elettorali e alle loro conseguenze sui governi possibili. Ragionare su quelle simulazioni a quattro mesi dalle elezioni prendendole come attendibili significa ritenere che:
la campagna elettorale non farà nessuna differenza;
gli accordi pre-elettorali fra i partiti saranno irrilevanti;
le personalità dei leader degli schieramenti non conteranno quasi nulla;
nessuno degli antagonisti commetterà errori significativi né troverà un asso nella manica;
le preferenze degli elettori, molti dei quali, è noto, decideranno il loro voto nell'ultima settimana, se non la notte prima dell'elezione, rimarranno stabili.
Tutto improbabile.
 
* Gianfranco Pasquino è Professore Emerito di Scienza Politica.

© Riproduzione riservata 07 dicembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/12/07/news/la_legge_elettorale_i_sistemi_politici_e_5_cose_da_non_dimenticare-183232351/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P1-S1.6-T1
4083  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Intervista a Oreste Pastorelli: La mafia nel piatto. Di Antonio Salvatore Sassu. inserito:: Dicembre 07, 2017, 06:33:09 pm
Intervista a Oreste Pastorelli: La mafia nel piatto

Pubblicato il 07-12-2017

Agroalimentare Tra la fine del Novecento e i primi anni del Duemila la generazione dei colletti bianchi, che ha preso il potere al termine del periodo stragista e di scontro diretto con lo Stato, ha dato una nuova dimensione all’antico amore della mafia per la campagna. Così, dopo le ecomafie, ecco salire alla ribalta le agromafie. E proprio la cosiddetta “mafia nel piatto” rappresenta l’ultima frontiera di una realtà vista altre volte: occupare tutta la filiera di un settore vitale per l’economia italiana e usarla per i propri fini. E di occupazione si tratta perché questa guerra di conquista inizia dalle campagne, prosegue con la produzione e la distruzione per terminare con la vendita di prodotti alimentari che gran parte degli italiani consumano tutti i giorni, senza sapere che dietro c’è la mafia che non punta alla genuinità ma al guadagno facile grazie alla contraffazione.

Sull’infiltrazione mafiosa nel settore agroalimentare abbiamo intervistato Oreste Pastorelli, deputato e componente dell’VIII Commissione su Ambiente, Territorio e Lavori pubblici; e della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo.

Ecomafie e agromafie. Cosa le distingue e cosa le accomuna?
“Da tempo le mafie hanno messo nel proprio mirino sia i beni ambientali che il comparto agricolo. D’altronde, finito il periodo stragista, sono anni ormai che le organizzazioni criminali si sono infiltrate in tutti i livelli del tessuto produttivo italiano producendo fatturati enormi”.

Sono due fenomeni distinti o due facce della stessa medaglia?
“I fenomeni si sviluppano in maniera differente. Riguardo al mondo ambientale, a farla da padrone sono gli ecoreati e lo smaltimento illegale di rifiuti che le organizzazioni mafiose garantiscono a prezzi dimezzati rispetto al ciclo regolare. La spazzatura è diventato un business per la mafia già da un paio di decenni e le situazioni di degrado che viviamo quotidianamente in tante città d’Italia ne sono la prova. Diverso è il discorso relativo all’agroalimentare. Qui il vero affare è la contraffazione dei nostri prodotti d’eccellenza”.

Ci sono dati sui fatturati?
“Il danno prodotto al settore, secondo le ultime stime, si aggira intorno ai 30 miliardi di euro. Il costo di una manovra economica”.

Possiamo parlare di una nuova guerra allo Stato, silenziosa ma dai risvolti commerciali?
“E’ sicuramente una guerra allo Stato perché si froda lo Stato. Il fenomeno della contraffazione alimentare – spesso troppo sottovalutato – è molto pericoloso per la salute delle famiglie, per il danno economico e occupazionale che sta creando”.

Quanto è pericolosa la scalata mafiosa all’intera filiera agroalimentare?
“Prima di tutto, consumare un alimento contraffatto è rischioso perché di provenienza sconosciuta. Il commercio di prodotti contraffatti, poi, danneggia irreversibilmente tante aziende oneste, spesso fiori all’occhiello di interi territori, che a causa di queste truffe sono costrette a chiudere i battenti”.

Per contrastare questa guerra di conquista bastano gli strumenti legislativi, o sono già obsoleti? E quali sono le nuove misure che il Parlamento ha adottato?
“Le forze dell’ordine fanno un lavoro enorme e complicato. Certo, gli strumenti non sono mai sufficienti. Tuttavia in questa legislatura sono state attuate diverse misure innovative rispetto al passato: penso alle norme sui reati ambientali, al collegato agricolo, alle disposizioni contro il caporalato e di contrasto ai fenomeni relativi alla contraffazione”.

Il fenomeno delle agromafie riguarda solo l’Italia o coinvolge altri Stati dell’Unione europea?
“C’è da sottolineare che anche l’Europa dovrebbe fare la propria parte. Troppo spesso, infatti, Bruxelles ha strizzato l’occhio ai paesi del Nord che per ragioni di mercato interno non alzano la guardia su questo tema”.

Visto che siamo il Paese delle eccellenze agroalimentari, praticamente almeno una in ogni città e paese, tutte le regioni sono a rischio?
“Sono tantissime le realtà a rischio e gran parte delle regioni d’Italia. D’altronde le nostre specificità sono numerose e di grande fama”.

Questa presenza può incidere sul Made in Italy, può mettere in pericolo qualità e genuinità di prodotti e marchi storici? Può mettere in pericolo la tenuta di mercati già conquistati?
“Fortunatamente la domanda esterna è elevatissima e le nostre aziende esportano ancora tanto. Il problema è che la frode alimentare copre sempre più prodotti e lo fa con metodi sempre più moderni. Quindi per evitare il collasso occorre tutelare sempre di più il Made in Italy con misure strutturali che possano garantire al consumatore la genuinità del prodotto che acquista”.

Bastano leggi e regolamenti?
“Certamente no. Il nostro Paese necessita di un cambio culturale importante sotto questo profilo. Bisogna insegnare alla gente come comprare, cosa comprare e – soprattutto – cosa consumare”.

In questa legislatura, tu sei componente dell’VIII Commissione su Ambiente, Territorio e Lavori pubblici; e della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo. Argomenti che coinvolgono anche la filiera agroalimentare e quello che arriva nei nostri piatti tutti i giorni. Quanto ha pesato l’impegno del partito socialista in queste commissioni?
“Noi socialisti da sempre chiediamo maggiori investimenti nelle energie rinnovabili, nella messa in sicurezza del territorio e nello sviluppo delle fonti alternative. In questa direzione ci siamo mossi. Abbiamo presentato una proposta di legge che prevede ingenti sgravi fiscali per chi acquista un veicolo elettrico, così come emendamenti – poi inseriti nelle manovre finanziarie – che contenevano il taglio delle emissioni di Co2 per le grandi industrie. Siamo progressisti e seguiremo sempre questo percorso. Allo stesso tempo stiamo combattendo per la difesa del Made in Italy. Con la commissione Anticontraffazione abbiamo analizzato le situazioni più critiche in Italia, non solo nel settore agroalimentare”.

Quale dovrà essere il lavoro del prossimo Parlamento?
“Il lavoro futuro dovrà proseguire su questa strada. Ripartendo dalla legislatura che, più di tutte, ha messo in campo iniziative moderne e concrete per ambiente e agricoltura”.

Antonio Salvatore Sassu

Da - http://www.avantionline.it/2017/12/intervista-a-oreste-pastorelli-la-mafia-nel-piatto/#.WilxykriaUk

4084  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Massimo TEODORI. I motivi interni dietro la decisione di Trump su Gerusalemme inserito:: Dicembre 07, 2017, 06:31:19 pm
IL BLOG

I motivi interni dietro la decisione di Trump su Gerusalemme

 07/12/2017 15:32 CET | Aggiornato 1 ora fa

Massimo Teodori

Se la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele con il trasferimento dell'ambasciata americana non avesse conseguenze gravissime per il Medio Oriente, si dovrebbe parlare di una mossa stupida e insensata che non merita di essere discussa perché alle spalle non ha alcuna significativa strategia politica.

Purtroppo, però, la decisione del Presidente americano andrà avanti a qualsiasi costo nonostante gli avvertimenti contrari dell'Amministrazione di Washington e quali che siano le implicazioni che ne deriveranno.

Dunque, che cosa c'è dietro la mossa plateale di Trump, che non può essere definita altro che un colpo di testa che vede schierata contro tutta la comunità internazionale?

I motivi che hanno spinto Trump sono eminentemente di carattere interno. Il primo e principale è la necessità per il Presidente di rompere l'accerchiamento che si va stringendo intorno alla sua persona per il cosiddetto Russiagate sulla scorta del precedente Watergate che impallinò Nixon.

Dopo le confessioni e le incriminazioni degli stretti collaboratori - Manafort, Roussopoulos e Flynn -, il Presidente pensa di cavarsela con gesti sensazionali all'estero per distogliere l'attenzione dalla politica domestica e presidenziale.

In secondo luogo, per legittimare la sua gestione del potere, ricorre all'attacco dei predecessori, in particolare di Obama, per proporre un paragone esaltante il suo narcisismo:

Io mantengo le promesse e farò quello che i Presidenti prima di me non hanno fatto, fingendo che il voto del Congresso del 1995 sulla capitale di Israele non esistesse.... Io sono diverso e migliore di tutti.

In terzo luogo, e ancora più importante nei rapporti con il partito Repubblicano che lo può scaricare da un momento all'altro, Trump si propone di consolidare il suo elettorato che è sì minoritario (oggi il suo consenso è sceso intorno al 35%) ma è compatto e partigiano.

Nella sua costituency, hanno un ruolo centrale gli evangelici fondamentalisti e gli ebrei tradizionalisti, i quali sono tra loro legati da una alleanza di fatto che fa riferimento alla Bibbia per legittimare il diritto di Israele a possedere e dominare l'intero territorio occupato oggi non solo da Israele ma anche dai palestinesi.

Ancora una volta gli integralismi e i fondamentalismi, che siano americani o israeliani, religiosi o nazionalisti, generano catastrofi di cui si conosce l'inizio ma non la fine. E Trump è l'incosciente protagonista di questo corso.

Da - http://www.huffingtonpost.it/massimo-teodori/i-motivi-interni-dietro-la-decisione-di-trump-su-gerusalemme_a_23300141/?utm_hp_ref=it-homepage
4085  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Prodi su Pisapia: "Non tutte le frittate riescono bene" inserito:: Dicembre 07, 2017, 06:29:27 pm
Prodi su Pisapia: "Non tutte le frittate riescono bene"

L'ex premier commenta la situazione del centrosinistra dopo l'annuncio del leader di Campo progressista di ritirarsi dalla competizione elettorale

07 dicembre 2017

ROMA - "Non tutte le frittate finiscono con il venir bene...". Lo dice Romano Prodi, alla manifestazione Più libri più liberi a Roma, riferendosi alla situazione del centrosinistra dopo l'annuncio di Giuliano Pisapia, fondatore di Campo progressista, di ritirarsi dalle elezioni.

A chi gli chiede se l'ex sindaco di Milano abbia fatto bene, il fondatore dell'Ulivo risponde "non lo so".  Poi aggiunge: "Non è stata una defezione, perché Pisapia non aveva deciso. Aveva studiato il campo e poi ha concluso che non era cosa", comparando la situazione del leader di Cp con quella avvenuta tra lui e Matteo Renzi a giugno scorso, quando "la colla non ha funzionato".

Tuttavia per l'ex premier, che questa mattina ha incontrato il "pontiere" dem Piero Fassino, "il processo (di ricostruzione del centrosinistra, ndr.) va avanti. Si tenterà di nuovo perché è importante ed utile al Paese. Pisapia ha esplorato e non ha trovato in se stesso o nel gruppo di riferimento motivazioni per andare avanti. E questo mi dispiace", conclude.

"D'altra parte - afferma ancora Prodi - la stessa crisi c'è anche a destra. Il problema è che bisognerebbe ricominciare da capo. Io a suo tempo non ho inventato un granché ma c'era un disegno preciso di mettere insieme forze e contenuti. Mi criticarono per il programma di 400 pagine, ma quello di 140 lettere non è molto più soddisfacente. Un programma politico può anche essere di sei volumi... Ma con una coalizione ampia si deve scrivere. È senso di realismo. Perché i tedeschi ci mettono sei mesi a fare il programma di governo? Pensate non sappiano né leggere né scrivere?", conclude.

Per Prodi, dunque, non è detta l'ultima parola sul futuro della coalizione di centrosinistra: "I cambiamenti sono troppo recenti per dare un giudizio definitivo. Aspettiamo".

 © Riproduzione riservata 07 dicembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/12/07/news/prodi_su_pisapia_frittate-183364250/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1
4086  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Rossana Miranda FELUCHE. Tutte le idee socialistissime di Jeremy Corbyn inserito:: Dicembre 07, 2017, 12:27:07 pm
Tutte le idee socialistissime di Jeremy Corbyn

 Rossana Miranda FELUCHE

Eccentrico e (finora) quasi sconosciuto, Jeremy Corbyn, deputato inglese di 66 anni, è il favorito per le primarie del Partito laburista britannico. Barba lunga, vegetariano e astemio, viaggia solo in autobus. Poche volte, solo quando è costretto, porta la cravatta, in uno stile poco british, è sempre stato bersaglio delle critiche di Tony Blair: il Partito Laburista vive il peggior momento degli ultimi 100 anni, secondo Blair. Il partito rischia “l’annientamento” di fronte alla possibilità che la leadership dei laburisti finisca nelle mani di Corbyn, si legge sul Guardian.

PRIMARIE LABURISTE

Secondo l’ultimo sondaggio diffuso dalla stampa inglese, Corbyn gode del 42% delle preferenze degli elettori laburisti. Il principale rivale politico di Corbyn alle primarie è Yvette Cooper, con il 22,6% dei voti nei sondaggi, seguita da Andy Burnham con il 20% e Liz Kendall con il 14%, dai dati del sondaggio del quotidiano Daily Mirror. Corbyn è in testa anche nelle scommesse dei bookmakers.  Tra il 14 agosto e il 12 settembre, il Partito Laburista sceglierà il nuovo leader in un processo di elezione interne via email.

TSIPRAS (O IGLESIAS) INGLESE

Corbyn non aveva pensato di diventare una nuova figura politica simile al greco Alexis Tsipras o lo spagnolo Pablo Iglesias. Deputato socialista di grande esperienza, rappresenta Islington Nord, un quartiere della Londra bene, e riesce a mobilitare il voto di giovani e pensionati che vogliono ridare vigore alla sinistra dei laburisti che Blair aveva annichilito con la cosiddetta “terza via”.

GIOVANI E PENSIONATI

Dopo la sconfitta a maggio del Partito Laburista, e le dimissioni del leader Ed Miliband, Corbyn si è presentato come candidato assieme a una ventina di corregionali. Le ultime 15 firme necessarie per presentarsi sono arrivate all’ultimo momento.

Ma la verità è che tra gli elettori il consenso è aumentato: circa 120mila inglesi si sono registrati per la prima volta per votare nelle primarie del Partito Laburista. Migliaia di giovani volontari si sono appuntati per distribuire volantini e rispondere alle telefonate dell’ufficio a Euston, negli uffici ceduti da un sindacato.

PROPOSTE SOCIALISTE

Le proposte di Corbyn, per alcuni, sono molto eccentriche. L’Economist, per esempio, sostiene che sia un candidato “ineleggibile e noioso”. Di lui dicono che sia un “marxista leninista” per ridicolizzarlo, ma in realtà le sue idee prendono spunto da leader laburisti degli anni ‘70 e ‘80 come James Callaghan e Michael Foot.

CONTRO L’AUSTERITÀ

Non ha molto carisma, ma è un grande oratore. Corbyn non si considera un radicale di sinistra, ma sostiene che in Inghilterra i politici al potere abbiano ceduto alle dinamiche di austerità, distruggendo lo Stato sociale di benessere. Dice che i suoi predecessori hanno difeso l’economia neoliberale e gli interessi della City, le banche e i grandi capitali. Chi vi ricorda?

NAZIONALIZZAZIONI E STATO PATERNALISTA

Nel suo programma ci sono politiche progressiste per lottare contro la povertà infantile e per affrontare temi come il multiculturalismo, la discriminazione e i matrimoni gay. Anti-monarchia e con un vecchio (e pericoloso) rapporto con l’Ira durante il conflitto nord-irlandese, Corbyn propone l’università gratuita, l’aumento delle tasse per chi gode di un reddito più alto, incluse eredità e proprietà, e la nazionalizzazione della rete ferroviaria, il gas e l’elettricità. Il socialista ha detto che si batterà per la cancellazione del programma di missili nucleari Trident e a favore di un’economia basata sull’industria più che sui servizi.

Vuole imporre un piano di investimenti per l’edilizia, le infrastrutture e lo sviluppo delle tecnologie e rimettere tra le priorità dello Stato i diritti dei lavoratori e la protezione dell’ambiente. Corbyn cercherà anche di mettere fine alla vendita di armi all’Arabia Saudita e all’evasione fiscale delle grandi multinazionali.

NUOVA POLITICA INGLESE

Per lo scrittore Owen Jones, “la situazione del Regno Unito non è così disperata come quella della Grecia o della Spagna, ma ci sono milioni di persone, soprattutto giovani, che si sentono marginati dal processo politico e chiedono un mezzo di espressione, come si è dimostrato con la manifestazione Occupy a Londra. Qualsiasi sia il vincitore nell’elezione del Partito Laburista, questo non è altro che l’inizio di un movimento molto significativo. Qualcosa è cambiato nella politica inglese”.

Molti sostengono che la recente popolarità di Corbyn sia “una reazione infantile e isterica” della sinistra. Per l’editorialista Polly Toynbee del Guardian, giornale di centrosinistra, l’elezione del socialista potrebbe significare “un suicidio politico in un momento nel quale il partito ha bisogno di posizionarsi come un’opposizione forte e credibile a Cameron”.

13/08/2015

Da - http://formiche.net/2015/08/13/tutte-le-idee-socialiste-jeremy-corbyn-il-tsipras-inglese/
4087  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / La scissione non è "colpa" di Renzi, la parte che oggi è scissionista da anni .. inserito:: Dicembre 06, 2017, 09:08:31 pm
La scissione non è "colpa" di Renzi, la parte che oggi è scissionista da anni tentava di prendere il potere nel CentroSinistra.

Renzi ha consolidato le barriere "alle guasconate rivoluzionarie" (vedi 19-20 sett. 1904) dei "socialistissimi" e questi, non da oggi, vogliono che se ne vada.

Se il 40% di elettori pro-Si al Referendum dovesse cedere e ridursi, costringendo Renzi ad andarsene, sarebbe un grave errore politico per l'Italia. Alle sue "intenzioni riformatrici non rivoluzionarie", si sostituirebbe il CAOS, a cui stanno lavorando, da mesi, diverse correnti del pantano politico attuale, fascismi compresi.

Invece, votandolo, si deve "costringere" Renzi a correggere gli errori commessi, recuperare i ritardi fatti patire, cambiare modo di fare la sua politica non a parole ma presentandoci per tempo un Progetto Nazionale, da realizzare in 5 anni.

Avete presente i "Temi dell'Ulivo Prodiano (resi nulli dalla Sinistra degli stessi personaggi, oggi scissionisti?) erano un Progetto di cambiamento della Società Italiana. 

Dobbiamo insistere e pretendere un Progetto non con fanfaronate di varia natura.

Solo un Progetto di CentroSinistra approvato dagli elettori di marzo 2018 ci può salvare dal Caos e dal peggio che potrebbe seguirlo.

ggiannig
4088  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / CAROLA FREDIANI, MICHELE SASSO - Mestieri da schiavi, nei campi e in auto per... inserito:: Dicembre 06, 2017, 09:06:21 pm
Mestieri da schiavi, nei campi e in auto per 4 euro l’ora
Dai camerieri alle badanti, le professioni peggio retribuite.
Straordinari non pagati e cottimo: cresce il lavoro low cost


ANSA
Pubblicato il 04/12/2017

CAROLA FREDIANI, MICHELE SASSO
ROMA

Li chiamano lavori “low cost”, ma sono low cost solo per i datori di lavoro. Per migliaia di persone in tutt’Italia si tratta di mestieri faticosi e pagati male, malissimo. Una top ten di occupazioni da incubo, messa assieme da La Stampa incrociando ultimi studi ufficiali, dati sui minimi di settore, interviste con sindacati e lavoratori. Sono i «settori con retribuzione media annua più bassa» censiti a novembre dall’Inps. È la «paga minima oraria di settore in Italia», secondo le medie dei vari contratti del settore elaborate su dati Istat-Fls (per esempio, operaio manifatturiero 9,47 euro l’ora, lavoratore edile 8,55). Ne è uscita la fotografia di un mondo con poche regole e ancora meno tutele.
 
Non esiste un salario minimo stabilito per legge, solo la contrattazione collettiva. Che però spesso viene aggirata. E anche gli stessi contratti sono una giungla: con i braccianti agricoli la paga cambia da provincia a provincia. «Almeno il 12 % dei lavoratori sono sottopagati rispetto ai minimi orari di settore», sostiene Andrea Garnero, economista dell’Ocse. E questo stando solo nell’alveo dei contratti “regolari”. Agricoltura, ristorazione, alberghiero, attività sportive e culturali sono i settori più spremuti. Ma chi sono questi lavoratori a prezzi stracciati, nuovi schiavi del cosiddetto “turbocapitalismo”? Li trovi al ristorante come lavapiatti o in casa, come fattorini. Macinano chilometri in bici o sul furgone, spesso con contratti atipici, o con contratti regolari sulla carta ma di fatto svuotati nella pratica. Sbarcare il lunario è una impresa. Sia Marco, cameriere di catering, sia Enrico, fattorino in bici, valgono meno di 7 euro l’ora. E non c’è capacità o conoscenza che tenga. 

Anche chi fa un lavoro delicato come Dario, educatore in subappalto dai servizi sociali del Comune di Milano, non si muove dai mille euro al mese. Non solo perché la paga è bassa. Ma perché a volte è basso il numero di ore svolto. Oppure sono riconosciute meno ore di quelle effettivamente impiegate. O peggio, nel caso di Luca, postino privato in Veneto, bisogna tagliare metà dello stipendio per mettere la benzina necessaria a consegnare 15 mila buste al mese. «Non c’è solo il nero per pagare di meno – prosegue Garnero - Ci sono canali più sottili: basta non riconoscere mezz’ora di straordinario tutti i giorni». E poi ci sono tanti trucchi per aggirare controlli e contratti. Enrico, 30 anni, è un rider milanese di Deliveroo, il servizio a domicilio di pizza e kebab recapitato esclusivamente in bici. «Ho un contratto di collaborazione da 5 mila euro all’anno. Per tutti noi vale la stessa paga: 5,60 euro l’ora più un incentivo di 1,20 per ogni consegna. Tutto lordo. Anche la promessa di aprire la partita Iva per fare più consegne è un bluff: nei momenti di calma, la mattina o il pomeriggio, non vieni pagato». Nonostante decine di chilometri macinati, Enrico per ottobre ha incassato 450 euro. E se cade, si infortuna, si ammala o rompe la bici, sono solo problemi suoi. Salta il turno e le consegne le fa un altro. Nell’era della disintermediazione spinta ognuno fa da sé e non c’è nessun legame tra chi compra online, chi vende e chi consegna mobili o vestiti. 
 
A rimanere intatta è solo la fatica di chi carica, scarica milioni di confezioni. In Italia l’85% delle merci viaggia ancora su gomma. Il livello uno di questa filiera di ordini-deposito-consegna è il facchino. Come G., arrivato a Roma dal Corno d’Africa, che sposta colli anche fino a 12 ore al giorno nei magazzini di un discount. Un lavoro pesante, che spacca la schiena e le gambe. Sulla carta ha un contratto regolare, la paga oraria è di circa 8,50 euro, ma nel cedolino a fine mese le ore si “asciugano” da 210 a 140. Alla fine si mette in tasca circa mille euro. «Cinque anni fa si stava meglio. Ora non ti pagano più nemmeno le ferie. E se non ti sta bene, ti dicono di cercarti altro”. “Il mancato pagamento delle ore fatte e il non rispetto dei minimi contrattuali sono pratiche sempre più diffuse», commenta Alberto Violante dei SiCobas. Il passo successivo è nelle mani degli stakanovisti del volante, con carico e scarico compreso nel viaggio. Feriale o festivo non conta.
 
Così quelli come Luis, autista peruviano trapiantato a Brescia, si sono ingegnati. «Passo più tempo in cabina che a casa e quando tra la fine del turno e l’inizio del successivo sono troppo lontano o stanco dormo in cabina». In genere questi ritmi li tengono solo i camionisti dei Tir che però devono sottostare a periodi di break obbligatori. Invece per i cosiddetti “padroncini” quelle regole non valgono: lavorano in conto terzi e devono correre il più possibile. L’economia che rallenta li costringe ad accelerare: più consegne, più ore al volante, più pericoli. «Non esiste lo straordinario e ogni mese arrivo a 1.400 euro. Ma quanta fatica: se voglio vedere la mia fidanzata la devo portare in cabina con me». Anche per Luca l’ufficio è la strada. È un postino dei tempi moderni: inizia alle 6 del mattino, ha una pausa di 30 minuti e finisce alle 8, dal lunedì al venerdì. Il sabato fino alle tre. Fanno sessantadue ore a settimana.
 
Quasi il doppio del postino di Stato, mentre lui è in subappalto in Veneto per un operatore privato che distribuisce corrispondenza sotto i 20 grammi di peso grazie alla liberalizzazione. Un mercato di circa 2000 titolari di licenza dentro i quali si nascondono miriadi di società che fanno contratti “fantasiosi”, come racconta Luca: «Nella busta paga risulta che mi pagano a ore, però in realtà è cottimo: per ogni busta prendo da 5 a 8 centesimi». La differenza la fa la densità abitativa della zona assegnata. Così se incassa 1.100 euro, deve sottrarre le spese di benzina, caselli e costi della propria auto. 
 
Dopo quasi 15mila buste infilate in 15 mila cassette non arriva a 600 euro al mese. Marco è uno studente di 22 anni che ogni tanto fa il cameriere. «Un catering “estremo” il mio: mi trovo con gli altri, partiamo in macchina e non sappiamo dove ci manderanno. Tutto il tempo del viaggio è gratis. E capita in un week-end di macinare centinaia di chilometri: da Milano a Modena la mattina, Lodi la sera e il giorno dopo sul lago di Como». Tutto per 6 euro l’ora con contratto in ritenuta d’acconto. E alla prima busta paga gli vengono trattenuti anche 20 euro per la cravatta nera obbligatoria. Per i periodi di massimo sforzo, settembre e dicembre, quando tutti vogliono sposarsi o organizzare una cena aziendale, a Marco arrivano fino a 70 “chiamate” in 30 giorni. 
 
Un tour de force di andata-montaggio-evento-smontaggio-ritorno ripetuto a ritmi forsennati ogni 10 ore. Spesso non ha neppure il tempo di fare la barba e viene multato con una decurtazione di 10 euro. Illegale, ma accettata da tutti come un segno di nonnismo. «Dalla stanchezza mi è capitato di addormentarmi in bagno. Fuori mi aspettava il maître di sala che cronometrava la mia assenza dai tavoli». L’agricoltura resta il settore dove i lavoratori sono più torchiati. E non solo i braccianti immigrati, vittime di caporalato. Anche operaie agricole come Francesca, 50 anni, che si alza all’alba per raccogliere ciliegie o uva tutto il giorno in Puglia. 
 
Sulla busta paga dovrebbe avere 52 euro a giornata, per 6 ore lavorative, ma di fatto ne riceve 28, se va bene 30, meno di 5 euro l’ora. Alla fine raccoglie mille euro. «Siamo tante donne in questo settore, e se ne approfittano, sanno che non abbiamo scelta». «Il minimo contrattuale per sei ore e trenta al giorno dovrebbe partire dai 40-42 lordi», commenta Giovanni Mininni, segretario nazionale Flai-Cgil. «Ma viene aggirato, non solo al Sud». Al di fuori di aziende medio-grandi, anche i piccoli imprenditori si ritrovano a tirare la cinghia, schiacciati da un mercato al ribasso. «Per alcune varietà di riso nell’ultimo anno abbiamo visto una riduzione dei prezzi del 50 per cento», commenta Emilio Cardazzi, produttore milanese con due dipendenti fissi e due stagionali. «La concorrenza di riso asiatico, che non paga dazi e può usare prodotti chimici che qui sono stati vietati, sta diventando molto pesante». 
 
Elena invece è una addetta alle pulizie nel Lazio. Ha un contratto che molti le invidierebbero: dipendente a tempo indeterminato, settore appalti pubblici per le caserme. Ha una paga oraria di 7,58 euro: «Non così male», commenta. Eppure a casa a fine mese porta solo 300 euro. Come è possibile? Il problema è il monte ore. Solo 10 alla settimana, divise su tre giorni. «Prima ne facevo almeno 20, poi negli ultimi anni abbiamo subito un drastico taglio». L’orario di lavoro “liquido” è un problema anche per Dario, educatore in una cooperativa che si aggiudica i bandi del Comune di Milano. Passa quasi più tempo in metro e bus che negli interventi veri e propri: disagio giovanile e progetti legati al bullismo. Tutti gli spostamenti non sono retribuiti ma è facile arrivare a 50 ore a settimana (partendo da un contratto da 20) a 8 euro l’ora. Per tenersi aggiornato insegna all’università. Lo stipendio non si schioda: mille euro tondi. 
 
«Spesso esco di casa la mattina presto, torno la sera tardi. Mangio dove capita per arrivare in tempo dagli utenti che seguo. Pur vivendo insieme, incrocio la mia ragazza solo nel week-end: spesso quando torno lei già dorme. A me fare l’educatore piace, non lo cambierei». Il salario è un’equazione al contrario: più importante il ruolo meno si incassa. Racconta Olga, badante romana: «Mi è capitato di sentirmi dire fai compagnia a mia nonna, vai e ti corichi. Sono 500 euro al mese». Peccato che il contratto preveda un minimo mensile di 966 euro a 6,70 l’ora. In questo mondo, dove la maggior parte sono donne dell’Est Europa che lasciano le famiglie per accudire anziani, si leggono anche offerte indecenti: «Cerco badante, dovrà cucinare a pranzo, fare compagnia e la ragazza dovrà essere “predisposta”. Ha 81 anni ma è molto “attivo”. Pochi perbenismi e moralismi». 

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/12/04/italia/cronache/mestieri-da-schiavi-nei-campi-e-in-auto-per-euro-lora-wofTjFdUR7D6fSAT6O498I/pagina.html
4089  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FEDERICO GEREMICCA - La sinistra si allontana dal governo inserito:: Dicembre 06, 2017, 09:04:16 pm
La sinistra si allontana dal governo
ANSA
Pubblicato il 04/12/2017

FEDERICO GEREMICCA

Una nascita e il primo anniversario di un mesto funerale. La nascita, come narrano le cronache, è quella di «Liberi e uguali», contestato tentativo di rimettere insieme i cocci di parte della sinistra italiana; il funerale - di cui oggi si ricorda il primo anno - è quello di un progetto politico e di governo sepolto da 19 milioni di no giusto il 4 dicembre 2016, dodici mesi fa. E non è solo la quasi coincidenza di date delle due ricorrenze a suggerirne una lettura comune, visto che tra i due eventi c’e un evidente e non negato rapporto di causa ed effetto. 
 
Infatti, immaginato per ridisegnare la geografia istituzionale del Paese, il referendum costituzionale che tanto fortemente volle Matteo Renzi ha finito per trasformare - al contrario - la «mappa politica» del Paese, con un’onda d’urto che non si è limitata a terremotare il campo della sinistra. Quel voto, infatti, rianimò un Berlusconi che era da mesi ai margini del campo di gioco permettendogli di tornare a vincere.
 
Fornì al Movimento Cinque Stelle il propellente ancora mancante per entrare in orbita e poi - certo - costituì la scintilla dalla quale divampò la scissione del Partito democratico. Tanto che Roberto Speranza, uno dei giovani co-fondatori della nuova lista, ieri ha voluto orgogliosamente ricordare che «noi siamo quelli del 4 dicembre». Ed è vero che le radici di «Liberi e uguali» son piantate lì, nel terreno dello scontro più aspro combattuto contro Matteo Renzi da quella che allora era la minoranza interna al Pd. Non per caso, i temi e soprattutto i volti di quella battaglia di opposizione, ieri affollavano le prime file dell’assemblea costitutiva: da Bersani a D’Alema, da Speranza a Gotor, fino all’uomo scelto come leader, quel Pietro Grasso che - da presidente del Senato - non nascose la sua contrarietà al progetto referendario.
 
Se queste sono le origini e le premesse politiche, è fin troppo facile prevedere - al di là delle obbligatorie dichiarazioni di maniera - che le rotte di Pd e di «Liberi e uguali» non potranno che essere rotte di collisione: un’altra battaglia, insomma, della Grande Guerra per la liberazione da Matteo Renzi. Se così sarà - e visti i meccanismi previsti dalla nuova legge elettorale - il centrosinistra può già considerare persa la partita per il governo del Paese. Certo, poi resta la tradizionale e fratricida «sfida a sinistra» per capire se la nuova lista otterrà un risultato a due cifre oppure no, o se il Pd sarà sopra o sotto i risultati delle elezioni «non vinte» da Bersani nel 2013: ma se questa è la posta in palio - quasi un regolamento di conti tra «nuovi» ed ex - pare difficile che possa conquistare l’attenzione di una fascia molto ampia di italiani.
 
Del resto, nel suo primo discorso da leader incoronato, Pietro Grasso non ha fatto granché per cancellare questa impressione. Eletto presidente del Senato grazie ai voti determinanti del Pd - ed avendo deciso di mantenere comunque la sua carica - è proprio al Partito democratico che ha rivolto le contestazioni più dure. Un modo, forse, per confermare la rotta tracciata da Bersani e D’Alema, spazzando via dal campo ogni ipotesi di non belligeranza: ma si tratta comunque di una scelta non irrilevante ai fini della qualità dei rapporti tra la «sua» lista ed il Pd e dello stesso risultato elettorale.
 
Una nascita, quella dei «Liberi e uguali», determinata dunque da un funerale. Anche sulle esequie del progetto di riforma costituzionale si potrebbe forse annotare qualcosa: gli errori di Renzi successivi alla sconfitta, certo, ma anche il fatto che le «terre promesse» in caso di vittoria dei no sono rimaste miraggi assai lontani. Non c’è una legge elettorale migliore della precedente, non c’è un governo più forte e «legittimato» di quello che fu costretto alle dimissioni ed il bicameralismo è sempre lì, a produrre bizantinismi e tempi doppi, dei quali stanno facendo le spese - in questi giorni - provvedimenti come lo Ius soli e il fine vita.
Ma le orazioni funebri sono state già recitate a centinaia. E discorsi su quel che poteva essere e non è stato sarebbero fuori luogo nel giorno in cui si festeggiano una nascita ed un battesimo: i «Liberi e uguali» sono infatti in campo. Ora se ne attendono i primi passi: ma che si applauda più a destra che nel centrosinistra, sembra un viatico nient’affatto beneaugurante.

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/12/04/cultura/opinioni/editoriali/la-sinistra-si-allontana-dal-governo-Onf7tDAMn8jW3fD6OEh8TJ/pagina.html
4090  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MARCELLO SORGI. L’alternativa che nasce dalla fragilità inserito:: Dicembre 06, 2017, 09:02:34 pm
L’alternativa che nasce dalla fragilità

Pubblicato il 05/12/2017

MARCELLO SORGI
Del lungo e appassionato intervento con cui domenica Pietro Grasso s’è assunto la responsabilità di guidare verso il voto la sinistra di Mdp, Si e «Possibile», colpivano essenzialmente due cose. 
 
La prima era l’amarezza personale, un dolore esplicitato fino all’intimità, che ha portato il presidente del Senato a lasciare il Pd, che lo aveva candidato e in maggioranza eletto alla seconda carica dello Stato. 
 
Una decisione sofferta, eppure ineludibile, determinata, è parso di capire, non solo dalla mancata condivisione delle scelte fondamentali di questa legislatura, a cominciare dalla tentata cancellazione del Senato, ma dall’assoluta impossibilità di esprimere le sue riserve e trovare un minimo d’ascolto in un luogo di dibattito.
 
Grasso insomma, catapultato da Bersani al vertice di Palazzo Madama, dopo l’arrivo di Matteo Renzi alla segreteria del Pd s’è sentito solo. Con il nuovo leader immaginava di poter costruire lo stesso tipo di rapporto che aveva avuto con il predecessore, invece ha trovato il silenzio, la cortina di indifferenza, l’assenza di consigli (e sì che ne aveva bisogno, trovandosi alla sua prima esperienza parlamentare), di cui faticava a trovare le ragioni, sentendosi a mala pena sopportato. 
 
Così il distacco maturato apertamente dopo la fiducia imposta sulla nuova legge elettorale, che aveva praticamente impedito ai senatori di discutere il testo del Rosatellum, in realtà era cominciato molto prima, quando già un anno fa Grasso, sottovoce, aveva fatto sapere di sentirsi più vicino al «No» che non al «Sì» al referendum.
 
Chi ha memoria di rapporti difficili tra autorevoli «esterni» siciliani e sinistra, paragona impropriamente la rottura tra Renzi e Grasso a quella, assai più sanguinosa, tra Enrico Berlinguer e Leonardo Sciascia alle elezioni del 1979. Ma pur essendo difficile avvicinare la storia del supermagistrato antimafia amico di Falcone e Borsellino con quella dello scrittore eretico, entrato in Parlamento con Pannella e sull’onda del pamphlet «L’affaire Moro», in cui senza clemenza inchiodava la Dc alle proprie responsabilità per l’assassinio del leader sequestrato dalle Brigate rosse, qualcosa che le collega c’è di sicuro, non fosse solo il carattere dei siciliani, l’ombrosità, la permalosità, il modo antico di litigare togliendosi il saluto e la possibilità di parlarsi per sempre.
 
In questo senso la seconda cosa, strettamente connessa alla prima, del discorso di Grasso, è che se qualcuno dei suoi compagni d’avventura, all’indomani del voto, e magari in presenza di un risultato buono o discreto, dovesse lontanamente pensare di andarselo a spendere nel campo di una rinegoziazione con il Pd, Grasso non ci starà. Non a caso, dalla tribuna su cui è salito per assumere la leadership e dire «Io ci sono!», ha parlato di valori, di giustizia, di eguaglianza, della sua storia personale piena di sacrifici e lutti non rimarginabili, ma non ha inserito alcun accenno alle alleanze possibili, come invece normalmente usa fare un leader politico, e come perfino Renzi fa, fingendo di crederci, quando ancora si augura «la vittoria del centrosinistra», inteso come insieme separato che dovrà prima o poi ritrovare l’unità.
 
Si sa: D’Alema e Bersani sperano che il leader del Pd alle politiche prenda la botta definitiva che lo spinga a togliersi di mezzo, e solo allora ritengono che possa chiudersi la ferita che ha portato alla scissione. Ma Grasso, sul futuro di Renzi e sulla sua capacità di resistenza, è più pessimista: non considera così semplice una ricomposizione a breve termine. Pensa piuttosto a un’alternativa che - nascendo da quel pezzo di società civile impegnata da cui lui stesso proviene, forgiata nella lotta antimafia e in buona parte rifluita verso l’astensionismo o il voto ai 5 Stelle - non si inquadri obbligatoriamente nello schema politica-antipolitica, populismo-antipopulismo, sinistra di governo o di opposizione, ma delinei una prospettiva diversa, che i mutati (molto più, spera, nella prossima legislatura) rapporti di forza potrebbero rendere realistica. Una scomposizione trasversale dei gruppi parlamentari che il ritorno al proporzionale e la fragilità dichiarata in partenza delle attuali alleanze potrebbero alla fine incoraggiare. Trasformando Grasso e la pattuglia della sinistra che lo sostiene in interlocutori, forse alleati, di un prossimo governo a 5 Stelle.

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/12/05/cultura/opinioni/editoriali/lalternativa-che-nasce-dalla-fragilit-yfYcSiYV436c2bNkTZpwvO/pagina.html
4091  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Spedizione di Forza Nuova sotto la sede di Repubblica inserito:: Dicembre 06, 2017, 09:00:38 pm
Spedizione di Forza Nuova sotto la sede di Repubblica

Alcuni militanti mascherati lanciano fumogeni

Redazione ANSA
06 dicembre 2017

"Fascismo, spedizione di Forza Nuova sotto la sede di Repubblica: militanti mascherati lanciano fumogeni". E' quanto si legge in un tweet del quotidiano La Repubblica, che sul suo sito precisa: un gruppetto di militanti mascherati, che esponevano una bandiera di Forza Nuova e un cartello con la scritta "Boicotta Repubblica e L'Espresso", ha acceso fumogeni sotto la sede del giornale e letto un proclama di accuse alla redazione. Un paio di fumogeni sono stati lanciati contro dipendenti del giornale.

"È il primo atto di una guerra politica contro il gruppo Espresso e contro il PD. Stanno portando avanti un'opera di mistificazione e di criminalizzazione che vuole mettere fuori gioco Forza Nuova". Lo ha detto all'ANSA il leader di Forza Nuova, Roberto Fiore, commentando il blitz di oggi di alcuni militanti del movimento di destra contro davanti la sede del quotidiano La Repubblica di Roma.

La polizia ha fermato una persona dopo il blitz. La sua posizione è ora al vaglio degli inquirenti. Si sta accertando se faccia parte del gruppo che, con i volti coperti e con bandiere di Forza Nuova, ha lanciato fumogeni contro l'edificio. La Digos sta analizzando le immagini delle telecamere per fare luce sull'accaduto.

 Il premier Paolo Gentiloni ha sentito, a quanto si apprende da fonti di governo, il direttore di Repubblica Mario Calabresi dopo la spedizione di Forza Nuova sotto la sede del quotidiano romano.

"La solidarietà mia e del Pd a Repubblica e ai suoi giornalisti. Non ci fanno paura. Quel passato non tornerà #avanti". Lo scrive su Twitter il segretario del Pd Matteo Renzi.

"La libertà di stampa non si tocca. Solidarietà ai giornalisti di Repubblica impegnati contro i nuovi fascisti". Lo scrive su twitter il vicesegretario Pd Maurizio Martina.

"Un gravissimo attacco fascista contro la libertà di informazione alla sede di Repubblica. Non facciamo l'errore di sottovalutare queste cose. Un abbraccio ai suoi giornalisti e dipendenti". Lo scrive su twitter il presidente del Senato Pietro Grasso.

"La nostra solidarietà al quotidiano La Repubblica che oggi è stata oggetto di una spedizione fascista sotto la sua sede di Roma. Chiediamo al Ministro Minniti di occuparsi attivamente dell'accaduto identificando i responsabili poiché questi episodi si stanno verificando in maniera troppo frequente e sono sintomatici di un'intolleranza razziale che tristemente riporta indietro ai momenti bui della storia del nostro paese. Noi siamo e sempre saremo contro ogni forma di razzismo, xenofobia e di tolleranza verso gruppi che si richiamano a vecchie e nuove forme di fascismo". Così in una nota i coordinatori dei Verdi Angelo Bonelli, Luana Zanella e Gianluca Carrabs.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Da - http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2017/12/06/spedizione-di-forza-nuova-sotto-la-sede-di-repubblica_a419f093-5567-4532-9a30-c19a810360cc.html
4092  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Marco DAMILANO - Attacco di Forza Nuova, libertà di stampa e antifascismo ... inserito:: Dicembre 06, 2017, 08:59:34 pm
EDITORIALE

Attacco di Forza Nuova, libertà di stampa e antifascismo coincidono, oggi ancora di più
Ci vogliono mettere sotto assedio per le nostre idee e per le nostre inchieste. Per questo non è possibile nessuna timidezza: bisogna schierarsi

DI MARCO DAMILANO
06 dicembre 2017

Abbiamo il senso delle proporzioni e in prima battuta volevamo evitare di ricorrere alla terminologia anni Settanta, tipo “vile attacco fascista contro la stampa democratica”. Perché noi giornalisti dell'Espresso e di Repubblica siamo contemporanei, viviamo e raccontiamo questa mondo, condividiamo le speranze e le inquietudini dei nostri lettori, lanciamo domande più che offrire risposte preconfezionate. E invece Forza Nuova, CasaPound e i loro camerati vivono in un'altra epoca, fatta di chiusure, confini, muri, difesa della sacra razza e del sacro suolo, intolleranza verso le critiche, le inchieste.

Neppure una riga di pubblicità per chi sbandiera lugubri simbologie del passato, avevamo pensato in un primo momento. Ma poi scorrono quelle immagini di uomini con il volto coperto che urlano in un luogo di lavoro, nel cortile di ingresso di una redazione. Quel post su facebook di Forza Nuova, partito che fu rappresentato in Parlamento europeo, il cui leader Roberto Fiore provò a candidarsi nel 2006 con quel Berlusconi che oggi definiscono «falsa opposizione», quelle parole che esaltano apertamente la violenza («Roma e l'Italia si difendono con l'azione, spalla a spalla, a calci e pugni...»). E allora no, non si può accettare di banalizzare anche questo episodio, come accade con le parole in libertà degli squadristi da tastiera. Quando lo squadrismo supera il virtuale e non si vergogna di toccare materia incandescente, tipo intimidire l'uscita di un giornale, è un livello che si alza, un confine che viene abbattuto.

Ci vogliono mettere sotto assedio, come hanno impunemente scritto, perché siamo giornalisti. Ci attaccano per le nostre idee, sullo ius soli, e per le nostre inchieste, quella firmata da Giovanni Tizian, Stefano Vergine e Andrea Palladino sui finanziamenti e sulle origini delle fortune economiche dell'estrema destra . Provano a intercettare un clima di intolleranza e di odio più ampio nei confronti di chi fa il nostro lavoro, il mestiere di informare. In un paese in cui la stampa e i giornalisti sono stati sotto il tiro, e spesso vittime, di terroristi rossi e neri, logge occulte, mafia e camorra. Ce lo siamo dimenticati, in questa Italia immersa nel presente, senza memoria. Eppure i nemici della libertà intuiscono istintivamente dove devono colpire, sanno che ogni attacco alla stampa è un anticorpo che viene meno, una parte di convivenza civile che viene eliminata, un pezzo di democrazia ferita. Per questo non è possibile nessuna timidezza, nessuna esitazione, bisogna schierarsi. Libertà di stampa e antifascismo coincidono, oggi ancora di più.

© Riproduzione riservata 06 dicembre 2017

Da - http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/12/06/news/attacco-di-forza-nuova-liberta-di-stampa-e-antifascismo-coincidono-oggi-ancora-di-piu-1.315643?ref=fbpe
4093  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Gianluca Rapisarda È questa nostra società che va “riabilitata”, non le persone inserito:: Dicembre 06, 2017, 08:57:51 pm
È questa nostra società che va “riabilitata”, non le persone con disabilità!

Di Gianluca Rapisarda*

«C’è la preoccupazione – scrive Gianluca Rapisarda – che spenti i riflettori sulla Giornata del 3 Dicembre, la disabilità torni ad occupare il solito e desolante ruolo marginale e settoriale. Manca infatti, nel ”sistema Italia”, una visione capace di programmare a medio e lungo termine in favore delle persone con disabilità. Per questo credo che non sia la persona con disabilità, ma la nostra società, a dover essere “riabilitata”, perché disabili non si nasce, ma lo si diventa ogniqualvolta si viene esclusi, emarginati, discriminati nell'esercizio dei propri inalienabili diritti»

Realizzazione grafica con logo disabile che al megafono dice: «non sono un cittadino di Serie B. Basta!»È appena trascorsa la “nostra” Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità e in Italia è stato indubbiamente un pullulare incessante e senza sosta di iniziative e manifestazioni dalle Alpi alle pendici dell’Etna.
Spenti però i riflettori della festa, chi scrive ha la forte preoccupazione che la disabilità, da priorità dell’agenda politica e sociale del nostro Paese, torni invece ad occupare il solito e desolante ruolo marginale e settoriale. E tutto ciò con buona pace del mainstreaming* tanto decantato dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, di cui tra qualche giorno celebreremo l’11° anniversario.
A tal proposito, è opportuno rammentare che nell’esaminare il Rapporto Ufficiale dell’Italia sull’attuazione dei princìpi e delle disposizioni contenute nella Convenzione, il Comitato ONU preposto a tale compito, lo scorso anno si è espresso così: «È  necessario ancora fare un cambio di paradigma, in modo che le persone con disabilità siano considerate come persone uguali nella società e non un peso o qualcuno che drena risorse del welfare state».

Il problema è che, nonostante la nostra nazione si vanti di avere una legislazione “inclusiva” avanzatissima, accade che quella stessa normativa, tanto all’avanguardia da esserci invidiata e copiata in Europa e nel mondo, troppe volte, purtroppo, rimane inapplicata o “ingessata” e imbrigliata dai vincoli di bilancio.
Manca cioè, nel ”sistema Italia”, una visione strategica e organica sulla disabilità, che spesso si concretizza nell’incapacità cronica di leggere in modo strutturale i bisogni delle persone con disabilità, di programmare in loro favore a medio e lungo termine.
Di fronte alla manifesta necessità di garantire quotidianamente e in maniera permanente diritti fondamentali quali quelli delle pari opportunità, della piena partecipazione, della progettazione, dell’accessibilità universale e dell’inclusione, spesso i nostri interlocutori istituzionali rispondono con interventi solo “emergenziali” ed episodici. L’unica cosa che sanno fare molto bene, al contrario, è trincerarsi dietro l’ormai troppo tristemente nota logica dell’“austerity” imposta dalla crisi economica, e della “spending review”, ovvero del “comanda-e-taci” proveniente dall’Europa.
È come se i costi venissero prima dei diritti. Ma un Paese che antepone il contenimento della spesa ai diritti fondamentali dell’uomo è un Paese “malato”, che dimentica colpevolmente la recente Sentenza “spartiacque” della Corte Costituzionale n. 275/16, la quale ha stabilito in modo inequivocabile che «sono i diritti incomprimibili della persona ad incidere sull’equilibrio di bilancio e non quest’ultimo a condizionare la loro doverosa erogazione».
E proprio a causa di tali gravi e ricorrenti criticità dello Stato italiano, mi permetto di affermare che quella “sbagliata” non è la persona con disabilità, ma è la nostra società che deve essere “riabilitata” e rieducata, perché disabili non si nasce, ma lo si diventa, ogniqualvolta si viene esclusi, emarginati, discriminati nell’esercizio dei propri inalienabili diritti.

Pertanto, in vista dell’ormai imminente 11° anniversario della Convenzione ONU e delle prossime decisive tornate elettorali (nazionale e regionali) che interesseranno il nostro Paese, l’auspicio è che la classe dirigente che verrà si riappropri del primato della politica rispetto a quello dell’economia, rimettendo al centro della scena le persone con disabilità con i loro diritti fondamentali, in quanto un Paese civile è soltanto quello che riesce a rendere i cittadini più deboli “protagonisti” della collettività.
Solo così facendo, riusciremo, anche in Italia, a far realizzare a tutte le persone con disabilità un progetto di vita realmente indipendente, a riconoscere effettivamente i loro sacrosanti diritti all’autodeterminazione e alla cittadinanza attiva, ma, soprattutto, ad assicurare a tutti e a ciascuno, ora e sempre, la dignità di essere umano a trecentosessanta gradi, indipendentemente dalle “Giornate” a loro dedicate e dalle loro abilità.

*Per “mainstreaming della disabilità” si intende il fatto che le questioni legate alla disabilità debbano essere prese in considerazione tanto nella pianificazione quanto nell’esecuzione di tutte le politiche che abbiano un certo impatto sulla società.
Direttore scientifico dell’IRIFOR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) (direttorescientifico@irifor.eu).

4 dicembre 2017
Ultimo aggiornamento: 5 dicembre 2017 11:35© Riproduzione riservata

Da - http://www.superando.it/2017/12/04/e-questa-nostra-societa-che-va-riabilitata-non-le-persone-con-disabilita/
4094  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Chiara Brusini. Dopo il No l’apocalisse non c’è stata - (NON è FINITO il CAOS) inserito:: Dicembre 06, 2017, 08:56:14 pm
Referendum costituzionale: quando i gufi erano Renzi, Confindustria e Fitch.
Dopo il No l’apocalisse non c’è stata
Caos politico, rialzo del tasso di interesse sui titoli di Stato, fuga di capitali, perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, impennata della povertà, otto banche a rischio fallimento.
Le profezie dei sostenitori del Sì non si sono avverate. Anzi: ora sono gli stessi renziani a rivendicare crescita del pil e aumento degli occupati.

Mps e le Popolari venete? I problemi erano precedenti. Le decisioni sono state rinviate per paura di perdere consensi

Di Chiara Brusini | 3 dicembre 2017
   
Più informazioni su: Confindustria, Lavoro, Matteo Renzi, Povertà, Redditi, Referendum Costituzionale 2016
Per dirla con Matteo Renzi, hanno perso i “gufi” e i “profeti di sventura”. Ma stavolta il gufo è lui. Insieme ai suoi fedelissimi e a centri studi, agenzie di rating e banche d’affari che, prima del referendum del 4 dicembre 2016 sulla riforma costituzionale, avevano evocato scenari di caos politico e apocalisse economica in caso di vittoria del No. Un anno dopo, con il pil a +1,5%, l’Italia resta in coda alla classifica Ue ma ben lontano dal -0,7% paventato nel luglio 2016 da Confindustria. Ed è lo stesso Renzi a rivendicarlo, attribuendo il risultato ai suoi “1000 giorni”. Negli ultimi 12 mesi, poi, non si sono registrate drammatiche fughe di capitali né la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, il crollo del reddito pro capite e un’impennata della povertà, come vaticinava viale dell’Astronomia. Paghiamo ancora in euro, a dispetto del rischio Italexit paventato dal Financial Times. Secondo cui “fino a otto banche italiane in difficoltà” sarebbero state “a rischio fallimento“. In realtà gli istituti più deboli restano soggetti a turbolenze come lo erano prima del voto. Per quelli in cui è intervenuto lo Stato, la “soluzione di mercato” era chiaramente impraticabile da molto prima del dicembre 2016. La campagna referendaria, semmai, ha indotto il precedente governo a prendere tempo per non rischiare di perdere consensi. Aggravando i problemi.

L’apocalisse annunciata… – “Caos politico”. “Nuove elezioni da cui potrebbe non uscire una maggioranza parlamentare unica, alimentando ulteriore turbolenza e incertezza sulla governabilità del Paese”. Rialzo del rendimento dei Btp che “si riflette sul costo della raccolta bancaria e sul costo del credito pagato da imprese e famiglie”, con conseguente “aggravamento del credit crunch“, e sul deficit pubblico. Tanto da “minare la sostenibilità del debito pubblico”, “spingere le istituzioni europee a richiedere ulteriori manovre di correzione dei conti” e “determinare la necessità di un contenimento degli investimenti e della spesa pubblica”. “Fuga dei capitali” e “crollo della Borsa”. Occupazione che “diminuisce complessivamente di 258mila unità, mentre altrimenti salirebbe di 319mila”, e “430mila persone in condizione di povertà”. In breve: “Una nuova grave emergenza economico-sociale, con inevitabili spinte verso soluzioni populistiche “. Cronaca dell’apocalisse annunciata dall’ufficio studi di Confindustria nel report La risalita modesta e i rischi di instabilità, datato luglio 2016. “Calcoli conservativi, che largamente sottostimano i veri effetti che si materializzerebbero”, rincaravano gli analisti dell’associazione degli industriali.

Anche agenzie di rating e banche d’affari, pur senza arrivare al catastrofismo di Confindustria, avevano prefigurato perlomeno una fase di pesanti turbolenze. Se Jp Morgan, come è noto, già dal 2013 auspicava robuste riforme nei “Paesi del Sud” con “Costituzioni influenzate da idee socialiste”, Goldman Sachs vedeva “un rischio concreto per le prospettive dell’Italia”. Fitch dal canto suo aveva avvertito: “La vittoria del no al prossimo referendum costituzionale sarebbe vista come uno shock negativo per l’economia e il merito di credito italiano”. Moody’s era convinta che “le prospettive per ulteriori riforme dipenderanno dal risultato del referendum”. Molto più misurata Standard&Poor’s, secondo cui la bocciatura del ddl Boschi non avrebbe comportato “effetti significativi sul merito di credito, a meno che non porti a uno stop alle riforme strutturali”.

…e com’è andata davvero: pil e occupati in salita, rendimenti Btp in calo – Come è andata davvero? Dopo le dimissioni di Renzi e un giro di consultazioni durato pochi giorni, l’11 dicembre il capo dello Stato Sergio Mattarella ha dato a Paolo Gentiloni l’incarico di formare il nuovo esecutivo, di fatto quasi una fotocopia del precedente. Niente elezioni anticipate: la legislatura andrà a scadenza naturale. L’economia, trainata dalla ripresa europea, secondo l’Istat ha accelerato: il pil è previsto in aumento dell’1,5% contro il +0,9% del 2016. Lo 0,6% in più dunque: esattamente la spinta (“il 6% del pil in dieci anni”) che l’allora ministra Maria Elena Boschi stimava sarebbe arrivata dalle “riforme politiche e istituzionali” poi bocciate dagli italiani. Poco male: ora la Boschi attribuisce il risultato alle altre “riforme portate avanti dal Governo dei mille giorni in poi”, assicurando che la crescita “non è frutto del caso o un miracolo“. E Renzi festeggia: “Quando siamo partiti il pil era al 2% ma aveva il meno davanti: -2%. Istat oggi dice che nell’ultimo anno il pil è stato quasi al 2%”. Confindustria stessa, del resto, a settembre ha ammesso che le piaghe d’Egitto non si sono materializzate: “Molto favorevole, così si presenta lo scenario economico alla ripresa autunnale”, si legge nella presentazione del rapporto. “Volano le esportazioni e il made in Italy continua a guadagnare quote di mercato; gli investimenti mostrano un vivace dinamismo”.

Quanto ai posti di lavoro, in questi 12 mesi si è rafforzata anche la crescita dell’occupazione. Gli occupati a ottobre erano 23,08 milioni, 227mila in più rispetto ai 22,8 milioni di dicembre 2016. I dipendenti a tempo indeterminato sono cresciuti di 41mila unità e quelli a termine sono 297mila in più, mentre sono in calo gli autonomi. Il tasso di disoccupazione è all’11,1%, contro il 12% del dicembre 2016. “Sono spariti i gufi anti JobsAct”, esulta puntuale Renzi ogni mese, tralasciando che dopo la sbornia degli incentivi alle assunzioni stabili (che con il Jobs Act non c’entrano) ora la stragrande maggioranza dei nuovi contratti è a termine.

 Contrariamente ai foschi presagi di Confindustria e di Renzi, poi, nessuna impennata degli interessi sul debito pubblico. Anzi. Il piano di acquisto di titoli di Stato da parte della Bce ha continuato a dispiegare i propri effetti, con il risultato che – dopo una fiammata la scorsa primavera – il rendimento del Btp decennale viaggia intorno all’1,7%, in calo rispetto all’1,97% del dicembre 2016. Quest’anno, stando alla Nota di aggiornamento al Def, per il servizio del debito spenderemo 65,8 miliardi contro i 66,4 del 2016. Lo spread tra i titoli decennali italiani e i Bund tedeschi venerdì 30 novembre era a 138 punti. Nel novembre 2016, complice naturalmente l’incertezza sull’esito della consultazione, aveva superato i 180 punti.

Il bluff della “soluzione di mercato” per MontePaschi – E’ vero invece che il 22 dicembre 2016, 18 giorni dopo la vittoria del No, è fallito l’aumento di capitale del Monte dei Paschi di Siena. Con il risultato che il governo Gentiloni, entrato in carica dieci giorni prima, ha dovuto varare in fretta e furia un fondo da 20 miliardi di euro e impegnarsi a ricapitalizzare l’istituto. Ma a scrivere l’esito dell’ennesima crisi di Rocca Salimbeni è stato l’esecutivo di Renzi. Che avendo sostenuto, il 22 gennaio 2016, che la banca era “risanata” e “ora investire è un affare“, ha volutamente rimandato la soluzione della crisi a dopo la consultazione fidandosi del piano di ricapitalizzazione messo a punto da Jp Morgan. A ridosso del voto, poi, la situazione di Mps è diventata un’arma di pressione sugli elettori. Complice la sponda delle banche d’affari (spesso direttamente coinvolte nell’operazione). Se vince il No, era per esempio la tesi di Goldman Sachs, l’instabilità politica spaventerà gli investitori che “potrebbero preferire aspettare in attesa di maggiore chiarezza” rendendo più probabile “una ristrutturazione di Mps con fondi pubblici” e l’attivazione del bail in. In realtà la strada scelta è stata quella della ricapitalizzazione precauzionale, con la conversione delle obbligazioni subordinate in azioni che lo Stato ha poi in gran parte riacquistato. Che la “soluzione di mercato” non fosse percorribile era comunque evidente già da tempo. Il salvataggio pubblico non è stato reso necessario dall’esito delle urne, ma solo ritardato per tener buoni i risparmiatori e convincere gli elettori che senza un Sì il Monte sarebbe saltato.

Anche il salvataggio delle venete fu solo rinviato – Quanto al crac di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, la crisi era conclamata già dal 2015. Nell’anno del referendum il governo ha esercitato la sua moral suasion sul sistema finanziario per promuovere la creazione del fondo Atlante, che avrebbe dovuto sostenere i loro aumenti di capitale. Come da copione, il piano è fallito: dopo essere diventato primo azionista dei due istituti e aver bruciato quasi 3,5 miliardi, il veicolo finanziato da istituti, assicurazioni e fondazioni ha gettato la spugna e il cerino è rimasto ancora una volta in mano a Gentiloni e Padoan. E’ seguito l’azzeramento degli obbligazionisti (che verranno in parte rimborsati), l’iniezione di soldi pubblici e la vendita a Intesa Sanpaolo al prezzo simbolico di un euro. Tutto pur di evitare il bail-in, che avrebbe coinvolto anche i correntisti con più di 100mila euro sul conto. Siamo pur sempre – di nuovo – in campagna elettorale.

Peter Gomez

Da - https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/12/03/referendum-costituzionale-quando-i-gufi-erano-renzi-confindustria-e-fitch-dopo-il-no-lapocalisse-non-ce-stata/4009257/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2017-12-04
4095  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / A. CARUGATI. Una rilevazione Ixè: tra i giovani solo il 35% è per l’integrazione inserito:: Dicembre 06, 2017, 08:53:18 pm
Pisapia e Alfano non si candidano, il Pd di Renzi resta senza alleati
Il progetto “Campo Progressista” dell’ex sindaco già al capolinea: «Impossibile il dialogo con i dem». Anche il leader di Area Popolare annuncia il passo indietro: «Non sono legato alla poltrona»

Pubblicato il 06/12/2017 - Ultima modifica il 06/12/2017 alle ore 18:17

ANDREA CARUGATI
ROMA

«Ci abbiamo provato per mesi, ma dobbiamo prendere atto che non siamo riusciti nel nostro intento». Giuliano Pisapia chiude il suo Campo progressista. Dopo lo stop del Pd allo ius soli, il movimento nato attorno all’ex sindaco di Milano è imploso. E così non ci sarà una lista di sinistra alleata dai dem alle prossime elezioni. Una notizia che arriva nelle stesse ore in cui il ministro degli Esteri Angelino Alfano annuncia a sorpresa che non si ricandiderà in Parlamento. Un gesto personale, annunciato negli studi di Porta a Porta, condiviso solo con i genitori e con la moglie. E così anche la lista centrista, che doveva comporre la coalizione attorno al Pd, rischia di naufragare. 
 
LA RINUNCIA DELL’EX SINDACO 
Pisapia ha deciso di ritirarsi dall’agone nazionale. Dopo una riunione di quattro ore con lo stato maggiore di Campo progressista, ha suonato il liberi tutti. «Ringrazio di cuore tutte le donne e gli uomini che hanno creduto e si sono impegnati in questo progetto e che ora si muoveranno secondo le proprie sensibilità, la cui diversità è sempre stata, a mio modo di vedere, una delle ricchezze più importanti di questa esperienza», scrive l’ex sindaco. 
 
LO SCONTRO DENTRO “CAMPO PROGRESSISTA” 
In mattinata un duro scontro durante la riunione tra l’ala sinistra degli ex Sel guidata da Ciccio Ferrara e dai ragazzi Alessandro Capelli e Marco Furfaro, che guarda alla lista di Pietro Grasso, e i centristi di Bruno Tabacci, che avrebbero voluto continuare il dialogo col Pd nonostante lo ius soli sia stato messo all’ultimo punto del calendario dei lavori del Senato. Durante la riunione sono volati gli stracci. Il deputato Michele Ragosta, favorevole alla coalizione con Renzi, attacca i «traditori di Pisapia» che «hanno lavorato per affossare il progetto di Campo progressista». «Si tratta di pochi cadaveri politici, uomini senza dignità, pronti a vendere l’anima per una poltrona», l’affondo di Ragosta.
 
IL FORFAIT DI ALFANO 
Nelle stesse ore del forfait a sinistra, come detto, si è sfilato anche lo storico «avversario» di Pisapia, quell’Angelino Alfano che l’ex sindaco non voleva dentro la coalizione di centrosinistra. «Nella mia decisione», ha detto il leader di Ap, «hanno influito anche gli attacchi ingiusti contro di me», soprattutto l’accusa di essere legato alla poltrona. «Voglio compiere un gesto per dimostrare che tutto quello che io e altri abbiamo fatto è stato solo dettato da una sincera e fortissima convinzione a favore dell’Italia, motivata da una responsabilità in un momento in cui il Paese rischiava di andare giù per il precipizio».
 
Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/12/06/italia/politica/pisapia-si-ritira-dalla-campagna-elettorale-impossibile-dialogo-col-pd-gli-ex-sel-vanno-con-grasso-gALlHOjQRDW8l0pT2H5DwO/pagina.html
Pagine: 1 ... 271 272 [273] 274 275 ... 529
Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!