LA-U dell'OLIVO
Aprile 19, 2024, 06:59:00 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
  Home Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
  Visualizza messaggi
Pagine: 1 ... 222 223 [224] 225 226 ... 529
3346  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA RUBINO. Pd, Martina: "Impossibile guidare partito in queste condizioni". inserito:: Maggio 02, 2018, 06:19:43 pm
Pd, Martina: "Impossibile guidare partito in queste condizioni".

Franceschini: "Renzi irrispettoso, ora chiarezza” Pd, Martina: "Impossibile guidare partito in queste condizioni".
Il segretario reggente: "Rischiamo l'estinzione".

Il ministro dei Beni culturali: "Ex premier è un Signornò che diserta discussioni collegiali".

Gianni Cuperlo all'attacco: "Un partito non decide la sua linea politica negli studi televisivi. Quando un leader perde, si fa da parte".
L'ex leader del Partito democratico si difende: "Ho diritto e dovere di difendere le mie scelte"

Di MONICA RUBINO e PIERA MATTEUCCI
30 aprile 2018
ROMA - La misura è colma ed è grave quanto "accaduto in queste ore grave, nel metodo e nel merito. Così un Partito rischia solo l'estinzione e un distacco sempre più marcato con i cittadini e la società". Il segretario reggente del Pd, Maurizio Martina, a poche ore dall'l'intervista di Matteo Renzi a Che tempo che fa, durante la quale l'ex premier ha espresso la definitiva chiusura all'ipotesi di un governo con il M5S, facendo intendere una sostanziale contrarietà all'avvicinamento tentato nelle ultime consultazioni dal suo sostituto, abbandona la sua caratteristica calma e insorge: "In queste ore stiamo vivendo una situazione politica generale di estrema delicatezza. Per il rispetto che ho della comunità del Partito Democratico porterò il mio punto di vista alla Direzione nazionale di giovedì, che evidentemente ha già un altro ordine del giorno rispetto alle ragioni della sua convocazione". E aggiunge: "Servirà una discussione franca e senza equivoci perchè è impossibile guidare un partito in queste condizioni e per quanto mi riguarda la collegialità è sempre un valore, non un problema". Nonostante le tensioni, però, non pensa di lasciare il suo incarico: "Dimissioni? No, assolutamente. Il tema è un altro".

E’ arrivato nel Pd il tempo di fare chiarezza. Dalle sue dimissioni Renzi si è trasformato in un Signornò, disertando ogni discussione collegiale e smontando quello che il suo partito stava cercando di costruire. Un vero leader rispetta una comunità anche quando non la guida più.

A lui fa eco il ministro per i Beni culturali, Dario Franceschini, che evidentemente irritato scrive su Twitter: "È arrivato nel Pd il tempo di fare chiarezza. Dalle sue dimissioni Renzi si è trasformato in un Signornò, disertando ogni discussione collegiale e smontando quello che il suo partito stava cercando di costruire. Un vero leader rispetta una comunità anche quando non la guida più".

Sulla stessa linea il ministro della Giustizia Andrea Orlando: "Ha ragione Martina, non si può tenere un partito in queste condizioni se si ha a cuore il suo destino", scrive su Facebook, ripercorrendo le tappe che hanno portato a questa situazione per arrivare a quanto sta succedendo in queste ore: "L'Assemblea Nazionale che avrebbe potuto fare chiarezza è stata rinviata per decisione della maggioranza. Conclusione: le urne si avvicinano, non c'è una linea né condivisa né maggioritaria, non si capisce chi dirige il partito. Nessuna discussione è stata fatta sulle cause della sconfitta che, peraltro, viene costantemente evocata.     È ragionevole pensare che senza una correzione ci ripresenteremo agli elettori con gli stessi limiti del 4 marzo".

Critiche dure per aver detto in tv quanto bisognava affrontare in direzione arrivano all'ex capo di Palazzo Chigi anche dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti: "Se si vuole bene a un partito un leader ha mille occasioni per far valere un'idea o la sua linea. Se si va in tv, a poche ore dalla direzione, a fare uno show si genera solo caos e confusione. Questo dopo una lunga serie di sconfitte è molto grave. Il 10 giugno si voterà in centinaia di Comuni con sistema maggioritario. Ci sono migliaia di candidati che si stanno battendo per vincere e rischiano sempre di più l'isolamento. Una comunità non può consumarsi in questo modo."

Gli interventi da più parti del Partito democratico arrivano dopo che l'ex premier, Matteo Renzi, ha definitivamente escluso qualsiasi alleanza con il Movimento 5 stelle: "Dialogo sì - aveva detto ai microfoni di Fabio Fazio -, fiducia al Governo 5 stelle no".

Una giornata di attacchi ai quali l'ex leader Pd risponde in serata: "Sono stato eletto in un collegio. Ho il dovere, non solo il diritto, di illustrare le mie scelte agli elettori. Rispetto chi nel Pd vuole andare a governare con #M5S, ma credo sarebbe un grave errore", scrive su Twitter. E poi su Facebook: "Sono stato letteralmente inondato di messaggi, dopo la trasmissione di Fazio di ieri sera. Grazie ai tantissimi che mi hanno scritto. Ieri ho spiegato perché non sono d'accordo a un Governo Di Maio o a un Governo Salvini. Tocca a loro governare, se ne sono capaci. L'ho spiegato senza rancore, senza ripicche, senza polemiche: guardate il video che abbiamo caricato qui su Facebook stamattina per verificarlo coi vostri occhi. Qualcuno dei miei compagni di partito vorrebbe invece fare un Governo con il Movimento Cinque Stelle. Hanno una opinione legittima. Li rispetto. Ma non sono d'accordo con loro. L'ho detto. Era mio dovere farlo anche per rispetto a chi ci ha votato. Chi è stato eletto ha un obbligo di trasparenza verso i propri elettori. Rispetto per tutti, censura per nessuno: davvero tutti possono andare in TV tranne uno? Non scherziamo, amici. Continuerò ad ascoltare tutti e a dire la mia ovunque: in direzione, in assemblea, in Parlamento, sui social, in TV".

Le dichiarazioni di Renzi, oltre che ai colleghi di partito, non sono piaciute a Luigi Di Maio, che ieri aveva immediatamente risposto su Facebook, accusando il Pd di non riuscire a liberarsi dell'ex segretario dall'ego smisurato, e aveva annunciato per oggi delle novità.

E sono puntualmente arrivate: il leader M5s ha rivolto a Matteo Salvini un appello affinché insieme chiedano al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di tornare alle urne a giugno.

Un'ipotesi, quella del voto anticipato, che crea tensioni profonde all'interno del Pd, tanto che l'esponente della minoranza dem Gianni Cuperlo, la definisce "una cosa da far tremare le vene ai polsi". "A questo punto - ha detto nell'intervento a Radio Capital - la direzione di giovedì dovrebbe cambiare l'ordine del giorno, inserendo la preparazione di una nuova campagna elettorale. La verità è che non ci sono i numeri, ma la precondizione per avviare quel confronto sarebbe stato indice di compattezza del partito. Se una parte importante del Pd dice 'mai', allora sarebbe un atto di correttezza per il Paese evitare di perdere tempo".

La proposta di una legislatura costituente, dice Cuperlo, "l'aveva già posta Franceschini, io nel mio piccolo avevo parlato di governo di scopo, non mi pare però che quell'idea abbia raccolto il consenso di altre forze politiche. A questo punto deve essere il presidente della Repubblica a trarre le sue conclusioni. Io penso che bisognerebbe non escludere che da qui a pochi mesi ci ritroveremo in campagna elettorale".

Resta, per l'esponente dem, un tema di fondo da affrontare: che cos'é il Pd dopo l'uscita di ieri sera di Renzi? "Ancora una volta, dopo il risultato catastrofico del 4 marzo, noi non abbiamo discusso, abbiamo operato una sostanziale rimozione di quanto è successo". Poi attacca: "Un partito non decide la sua linea politica negli studi televisivi, convoca gli organi dirigenti. Ieri sera vedendo l'intervista dell'ex segretario ho provato un senso di dispiacere perché quella discussione avrei volto farla con lui nel luogo giusto, cioè la direzione del partito. E invece stiamo qui a commentare un'intervista attesa per ore come una finale di calcio. Così a politica si spegne, si spegne la vitalità di un partito".  E non usa mezzi termini verso l'ex segretario: "Io vorrei capire cosa intendiamo per leader: Renzi ha fatto anche cose giuste, ma ha perso le sfide fondamentali che ha affrontato, il referendum e le politiche, portando il Pd al minimo storico. Noi perdiamo per i tuoi errori, non per le nostre critiche. Io posso aver anche sbagliato, ma tu perdi le sfide e quando un leader perde si fa da parte, come ha fatto Veltroni".

© Riproduzione riservata 30 aprile 2018

Da - http://www.repubblica.it/politica/2018/04/30/news/pd_gianni_cuperlo_radio_capital-195163268/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P3-S1.8-T2
3347  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / MATTEO RENZI in TV indica una nuova via ... giusta! inserito:: Maggio 01, 2018, 12:26:59 pm
A CHE TEMPO CHE FA

29 aprile 2018 - 22:02

Renzi: «No a un governo con i 5 stelle Pronti a discutere con tutti su regole»
Di Redazione Online

«O M5s e Lega fanno il governo» o «scriviamo le regole insieme»: legge elettorale e una riforma costituzionale per «fare iniziale davvero la terza Repubblica» perché con due Camere «il ballottaggio non è possibile». Così l'ex premier ed ex segretario del Pd Matteo Renzi, ospite di «Che tempo che fa» su Rai1, ha chiuso la porta a una possibile intesa con il Movimento 5 stelle, rilanciata nella mattinata di oggi, dalle colonne del Corriere della Sera, da Luigi Di Maio. «Siamo seri, chi ha perso le elezioni non può andare al governo. Il Pd ha perso, sette italiani su dieci hanno votato M5s o Lega. Non possiamo con un gioco di palazzo rientrare dalla finestra dopo che abbiamo perso le elezioni. Se sono capaci ci provino Di Maio e Salvini».
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione propri e di terze parti per le sue funzionalità e per inviarti pubblicità e servizi in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.

L'incontro? «In streaming»
Quando Fazio gli ha domandato se il Pd avesse intenzione di incontrare il Movimento 5 Stelle, Renzi ha precisato: «È un bene incontrarsi. È un fatto normale. L'incontro però andrebbe fatto in streaming. Così vediamo se hanno cambiato idea su vaccini, tav, reddito di cittadinanza...». Però «votare la fiducia ad un governo Di Maio no», ha concluso. C'è una parte del Pd pronto a votare quella fiducia? «Deciderà la direzione», ha replicato l’ex segretario dem. «Ci sono 52 senatori Pd e per fare il governo bisogna che 48 votino a favore. Io non ne conosco uno».

«Pd non è socio di minoranza della Casaleggio associati»
«Io ho iniziato a fare politica contro il partito-azienda, era il partito azienda di Berlusconi, vorrei evitare che il finale del Pd sia quello di diventare socio di minoranza di un altro partito-azienda la Casaleggio associati. Se posso dare un suggerimento ai 5 Stelle, stracciate quel contratto incostituzionale che avete firmato con una azienda privata», ha proseguito l'ex premier. «Andare a fare i badanti a un governo Cinque stelle sarebbe offensivo per loro, oltre che per il Pd».

Le «truppe» Pd
E se il Movimento rinunciasse alla condizione di affidare a Luigi Di Maio il ruolo di premier? «Questo lo hanno escluso loro. Questa storia di Di Maio premier a tutti i costi la pensa solo Di Maio: ha preso il 32 per cento, è un bellissimo risultato ma l'aritmetica ha le sue regole. Il 32 per cento non è il 51 per cento. Ma venire a chiedere a chi hai accusato di tutti i mali e con cui non condividi l'idea del futuro di fare un governo...», ha chiarito Renzi. «Io dico la mia, poi deciderà la direzione, l'assemblea dei parlamentari: il Pd ha perso, non abbiamo paura e ripartiamo da zero».
L'intesa sulle regole
Quanto a Movimento 5 Stelle e Lega, se non dovessero riuscire a formare il governo dovrebbero, secondo Renzi, fare «una proposta per cambiare la legge elettorale e una proposta di riforma costituzionale» per arrivare al ballottaggio alle urne. «Io dico: "scrivete voi le regole". Noi saremmo disponibili. Vogliono far partire la Terza Repubblica? Siano capaci di fare una proposta per il Paese».

«Collaboratrice domestica di Fico in nero? È grave»
Inevitabile, al termine dell’intervista, un riferimento alla vicenda raccontata da «Le Iene» — e ripresa da Gian Antonio Stella sul Corriere — che riguarda il presunto pagamento in nero di una collaboratrice domestica da parte del presidente della Camera, Roberto Fico. «È grave? Sicuramente sì. Il concetto è molto semplice — ha concluso Renzi — non puoi dire “io facevo beneficenza e lei si sdebitava”». Il senatore Pd ha anche detto che «è giusto che Fico venga in Parlamento a chiarire».

La replica di Bugani: «Renzi arrogante»
Immediate le repliche del Movimento. «Quando vuol far ridere, sbaglia la battuta. Quando vuol fare lo statista, pecca di arroganza. Quando vuol fare il realista, emerge un finto modesto. Quando vuol giocare in attacco, sbanda in curva. Quando vuol ribaltare la frittata, gli cadono le uova sui piedi», ha scritto in un post su Facebook Massimo Bugani, consigliere comunale M5S di Bologna, membro dell'associazione Rousseau e tra gli esponenti più vicini ai vertici del Movimento — commentando, senza citarlo direttamente, le parole di Renzi in tv.

Da - http://www.corriere.it/politica/18_aprile_29/renzi-chi-ha-perso-elezioni-non-puo-andare-governo-no-un-governo-pd-m5s-f33ff0e2-4bdc-11e8-8cfa-f9edba92b6ed_amp.html
3348  Forum Pubblico / LEGA VALORI e DISVALORI. / Fedriga, il bravo ragazzo di Trieste sospeso 15 giorni dal Parlamento inserito:: Maggio 01, 2018, 12:24:10 pm

IL nuovo governatore

Fedriga, il bravo ragazzo di Trieste sospeso 15 giorni dal Parlamento

Di Andrea Carli 30 aprile 2018

C’è quel volto e ci sono quei modi da bravo ragazzo. Ma nel cv dell’ormai ex deputato della Lega Massimiliano Fedriga, oggi neo governatore della Regione autonoma del Friuli Venezia Giulia con oltre il 57% (succede alla Dem Debora Serracchiani), ci sono anche 15 giorni di sospensione per intemperanze e battibecchi con l’allora presidente dell’assemblea Laura Boldrini. Erano i giorni dell’opposizione allo ius soli. «Credo ne sia valsa la pena», commenterà lui in seguito.

Leghista della prima ora: a 15 anni si iscrive al partito
Nato a Verona ma residente a Trieste, 38 anni, una laurea in Scienze della comunicazione, leghista della prima ora. Della sua militanza politica Fedriga ama ricordare di quando 22 anni fa decise di iscriversi al Corroccio. Allora quindicenne, dovette presentare al partito un’autorizzazione firmata dai genitori. Da allora è cresciuto in quella squadra, con una carriera fulminante: nel 2003 segretario provinciale del Carroccio a Trieste, nel 2008 deputato. Nel 2013 il secondo mandato: in quella legislatura è capogruppo alla Camera dei Deputati.

Dagli scranni di Montecitorio alla presidenza del Friuli Venezia Giulia
Eletto alla Camera in occasione delle elezioni del 4 marzo, Fedriga decide di abbandonare gli scranni di Montecitorio per candidarsi alla presidenza del Friuli Venezia Giulia. Sostenuto dal segretario federale, di cui è un fedelissimo, grazie al pressing di Salvini sull’alleato Forza Italia nei giorni caldi dell’elezione dei presidenti di Camera e Senato ottiene di essere lui il candidato per il centrodestra, al posto dell’azzurro Renzo Tondo sul quale in un primo momento la coalizione aveva puntato. Fedriga è sostenuto da Forza Italia Berlusconi per Fedriga, Lega Nord, Fratelli d’Italia - Alleanza nazionale, Autonomia Responsabile e Progetto Fvg per una Regione speciale). Una scelta che alla prova dei numeri ha dimostrato di essere vincente.

Lo scenario di una verifica interna nel centrodestra
Nei giorni della campagna elettorale Fedriga ha detto che, se eletto, avrebbe lavorato per «una maggiore autonomia per la Regione. In Trentino Alto Adige nove decimi delle risorse fiscali tornano in Regione - ha spiegato -, da noi ormai meno di sei decimi. Vogliamo che ci restituiscano i nostri soldi: parliamo di 1,8 miliardi di euro che ci sono stati sottratti dopo la mancata attuazione del federalismo fiscale». Il neogovernatore del Friuli Venezia Giulia è ora convinto che il suo successo aiuterà a scongelare lo stallo per la formazione di un nuovo governo e a superare la stagione dei veti. «L’abbiamo detto e lo ribadiamo: con i 5 stelle è possibile ragionare sulla decina di punti sui quali ci troviamo d’accordo e su questo imbastiamo la discussione». Quello che Fedriga non dice, ma che emerge tra le righe di questo successo elettorale, è che, almeno sulla carta, c’è anche un altro scenario: questo test potrebbe aprire a una specie di “verifica interna” nei rapporti di forza del centrodestra, che negli ultimi giorni della trattativa per un nuovo esecutivo con M5S, non sono stati facili.

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-04-30/fedriga--bravo-ragazzo-sospeso-15-giorni-parlamento-che-oggi-conquista-friuli-100142.shtml?uuid=AEF5angE
3349  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Calenda: «Non siamo ruota di scorta di Di Maio, serve governo istituzionale» inserito:: Maggio 01, 2018, 12:21:20 pm
Calenda: «Non siamo ruota di scorta di Di Maio, serve governo istituzionale»

«È chiaro che in tutti i programmi ci sono cose che possono essere messe insieme, ma la verità è che c'è una diversità fortissima tra M5S e Pd». Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, alla trasmissione "1/2h in più" su Rai3, portando l'esempio di «due problemi» sul suo tavolo: Ilva e Tap. «La linea del M5s è di abbandonare il Tap e e di chiudere l'Ilva.

Il governo - ha proseguito - è fatto di queste scelte: come si fa a stare insieme se la quotidianità del governo poi diventa un conflitto continuo? E quanto bene questo fa al Paese? Io credo che è quello di cui il Paese non ha bisogno», ha proseguito. «Questo non vuol dire che non bisogna sedersi, bisogna sedersi sempre con tutti in politica.

Bisogna sedersi con una proposta che non può essere quella di fare la ruota di scorta di un governo di Di Maio», ha aggiunto Calenda.

Da parte del M5s «c'è ancora tantissima propaganda di un partito che fino a prima delle elezioni sosteneva che bisognava fare un referendum sull'euro e adesso dice che l'Unione economica e monetaria è salda», ha continuato Calenda: «Io - ha proseguito - non attribuisco grande credibilità a questo ondivago atteggiamento di Di Maio che, guarda caso, quando deve andare lui a Palazzo Chigi è pronto a cambiare in qualunque modo il programma del M5s».

Per Calenda, «questo è il tema: se Di Maio dicesse io sono d'accordo su queste cose, troviamo un compromesso istituzionale, non sono io a fare il presidente del Consiglio, levo tutte le pregiudiziali, perché voglio fare una cosa per il bene del Paese... vogliamo scommettere che questo non sarà. E se la leadership fosse messa in discussione quelle cose verrebbero messe in discussione e si andrebbe a riaprire con la Lega. Il problema è solo arrivare al governo, poi la linea, ne sono convinto, la daranno Grillo e Casaleggio», ha continuato.

Reintrodurre l'art.18? «Sarebbe sbagliato farlo», ha poi risposto il ministro dello Sviluppo, sottolineando «la linea riformista» del Pd, a proposito di una delle proposte sostenute dai 5 stelle.

All'Italia serve «un governo istituzionale, aperto alla partecipazione di tutti i partiti non composto da figure dei partiti e con obiettivi» che «siano condivisi», il rispetto «degli obblighi internazionali e che anche metta mano alla legge elettorale, ha poi sostenuto Calenda che non ha voluto dare un'identikit del premier ma si è detto contrario «a un governo di professori. Oggi la grande questione è gestire la realtà e la teoria ha mostrato dei limiti enormi».

Calenda ha sottolineato poi ancora gli elementi del M5s che «lo rendono alternativo al Pd». «Il primo è che un movimento che ha fatto della sua pretesa superiorità morale l'elemento distintivo. Ha passato l'ultima legislatura a dire "voi del Pd siete sostanzialmente dei farabutti"». Quindi, «il principio che io rappresento gli onesti e tu i delinquenti rende molto difficile la compatibilità di governo. Il secondo elemento - ha proseguito Calenda - è il fatto che il M5s ha una leadership carismatica, che non è Di Maio, ma Grillo e Casaleggio». Per cui, ha sostenuto ancora, «oggi il Pd in un governo presieduto da Di Maio che ruolo potrebbe avere se non quello di fare la ruota di scorta? Io non sono stato votato, ma ho fatto la campagna elettorale per il centrosinistra: io non saprei come spiegarlo a un elettore di centrosinistra che questa è la soluzione. Se la soluzione deve essere quella di assumersi una responsabilità, allora tutti la assumano, facendo tutti un passo indietro, magari lavorando su un governo istituzionale, che rifletta la situazione: nessuno ha vinto, certamente il Pd ha perso ma nessuno ha vinto».

«È molto importante che Matteo Renzi prenda la parola direttamente. Il Pd è fratturato da contrapposizioni per interposta persona e bisogna che si parli direttamente e non tramite i rispettivi 'pasdaran'», sono state ancora le parole Calenda che è tornato a rilanciare la proposta di una «segreteria allargata costituente» del partito «con Gentiloni che ha un ruolo fondamentale, Renzi, Veltroni e anche Enrico Letta». Una mossa che dovrebbe fare il segretario reggente Martina al quale, ha riconosciuto Calenda, «è stato affidato un compito improbo». Calenda ha sottolineato i meriti di Renzi nel ruolo di presidente del Consiglio pur ricordando di avere con lui «discusso di più di tutti».

Domenica 29 Aprile 2018 - Ultimo aggiornamento: 21:04

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - https://www.ilmessaggero.it/primopiano/politica/calenda_m5s_non_siamo_ruota_scorta_serve_governo_istituzionale-3700249.html
3350  Forum Pubblico / MOVIMENTO 5STELLE: Valori e Disvalori / Di Maio ha chiuso la sua leadership nei 5Stelle. inserito:: Maggio 01, 2018, 12:18:14 pm
La richiesta di aiuto a Salvini, con la pretesa assurda e inconcepibile di “andare a votare", Di Maio ha chiuso la sua leadership nei 5Stelle.

La visione di Calenda e Renzi sul formare un Governo Istituzionale, aperto a più Partiti, per realizzare finalmente le Riforme, ha superato di fatto le sue presunzioni infantili, facendolo retrocedere di molto anche nella considerazione di chi l'aveva votato (Friuli Venezia Giulia docet).

ggiannig

Da Fb del 30 aprile 2018 (Di Maio arretra)
3351  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Contro Renzi: Critiche da vecchio regime e osservazioni ancora più vetuste. inserito:: Maggio 01, 2018, 12:16:59 pm
Critiche da vecchio regime (dalemiano) e osservazioni ancora più vetuste.

Non si "guida" un partito in evoluzione come il PD, con trasformazioni ancora da decidere, soltanto perchè ci si è fatto mettere una targhetta al collo.

Occorrono valori e visioni prospettiche NUOVE, Calenda e Renzi sembra le abbiano, lasciamogliele sviluppare anche se il travaglio ci costerà.

CentroSinistra (come l'Ulivo) deve avere apertura ben definite, ma non circoscritte soltanto a sinistra.

L'Italia ha bisogno di RIFORME ANCHE COSTITUZIONALI e per farle il consenso del Centro ci è più utile di quello della sinistraSinistra, se non si vuole finire nelle mani di chi si diverte a giocare nel Caos.

ciaooo
3352  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / UGO MAGRI Sfuma il governo del Presidente, cresce il rischio di elezioni a ... inserito:: Maggio 01, 2018, 12:15:06 pm
Sfuma il governo del Presidente, cresce il rischio di elezioni a luglio
Escluso l’incarico a Salvini nonostante il pressing del centrodestra.

Adesso Mattarella non ha più assi da giocare. Ma c’è il rebus delle date
Il capo dello Stato Sergio Mattarella tenterà di evitare un ritorno alle urne. Ma M5S e Lega hanno già detto no a un governo del Presidente

Pubblicato il 01/05/2018 - Ultima modifica il 01/05/2018 alle ore 11:17

UGO MAGRI
ROMA

Se Cinque stelle e Lega volessero tornare di corsa al voto, e dichiarassero che il tempo dei tentativi è scaduto, in quel caso il Capo dello Stato non avrebbe armi per impedire nuove elezioni, perfino se queste dovessero tenersi entro l’estate, addirittura a luglio se prima fosse impossibile. Non è ovviamente la soluzione che Sergio Mattarella desidera, anzi farà il possibile per evitarlo; tuttavia nessuno, dalle sue parti, sembra nutrire illusioni. Di Maio e Salvini, insieme, dispongono in Parlamento della maggioranza assoluta. Per una questione puramente aritmetica, il loro «no» sarebbe una sentenza definitiva, anzi tombale per la diciottesima legislatura appena nata. Che cosa potrebbe fare il Presidente per frenare quei due, sempre che vadano entrambi a dirgli «vogliamo per forza votare»? La risposta che si coglie tra i frequentatori del Quirinale è: nulla, purtroppo, tranne che prenderne atto con grandissimo dispiacere.

L’asso sparito 
A lungo si era favoleggiato di un asso che Sergio Mattarella nascondeva nella manica: il cosiddetto governo istituzionale, di tregua o di decantazione. Doveva essere calato sul tavolo alla fine dei giochi, accompagnato magari da un robusto appello al Paese per segnalare i rischi del voto-bis e da un estremo solenne appello ai partiti nel nome della responsabilità nazionale. Ma pure ammesso che sia mai esistito, del presunto asso adesso nessuno parla più, tantomeno i consiglieri del Presidente. E se ne comprende il motivo: i grillini non hanno la minima intenzione di sostenere un governo di tutti, l’hanno comunicato forte e chiaro. Idem la Lega, Salvini risulta contrario nonostante il fido Giorgetti avesse fatto balenare qualche apertura. Dunque per Mattarella sarebbe inutile provarci, ulteriore tempo perso. Un esecutivo calato dall’alto potrebbe vedere la luce e forse la vedrà, però al solo fine di portare l’Italia alle urne qualora si ritenesse che Gentiloni ha fatto il suo tempo, non rappresenta più nessuno. Ma è questione di cui al momento nessuno si sta occupando.

Il Guinness delle date 
Di Maio vuole elezioni-bis entro giugno. Definire ardua l’impresa sarebbe poco. Nel testo unico elettorale, all’articolo 11, si parla di 45 giorni come minimo tra scioglimento e voto. Dunque, per tornare in cabina l’ultima domenica di giugno le Camere andrebbero sciolte da Mattarella entro il 9 maggio, vale a dire tra 8 giorni: tempi davvero ristretti, considerato che un passaggio parlamentare sarebbe difficilmente evitabile. I partiti dovrebbero fare le liste in 15 giorni, e pure questa sarebbe impresa da Guinness. Il record precedente fu battuto nel 1976, quando tra decreto di scioglimento e urne passarono appena 50 giorni. Ma a quell’epoca non esisteva il voto degli italiani all’estero, con annesse complicazioni. Il Dpr 104/2003 stabilisce che le liste dei nostri connazionali vadano comunicate dal ministero dell’Interno a quello degli Esteri almeno 60 giorni prima del voto. Cambiare il Dpr è sempre possibile: basta che il governo ne sforni un altro, salvo scatenare in seguito un caos di ricorsi. Più facile scivolare al 1° luglio, oppure all’8 successivo.

Sospetti renziani 
Se a luglio non si è mai votato, ci sarà pure un perché. Fa caldo, le scuole sono chiuse, milioni di italiani vanno in vacanza. Sarebbe il trionfo dell’astensionismo. Eppure la situazione è tale che, se Di Maio e Salvini si impuntassero, lì potremmo finire senza nemmeno attendere settembre. E, in fondo, qualche settimana prima o dopo sul Colle non farebbe questa gran differenza. I renziani sospettano che la minaccia delle urne sia una messinscena per spaventare il Pd e favorire il «golpe» interno di Franceschini dopodomani in direzione. Sempre i renziani pretenderebbero che Mattarella si immolasse annunciando «alle urne giammai!», in modo da rasserenare qualche senatore cuor di leone che, pur di difendere lo scranno, bacerebbe la pantofola di Di Maio. Però il Capo dello Stato, ammettono i suoi, non possiede la bacchetta magica. Non ancora, perlomeno.

L’incarico impossibile 
L’unica certezza è che un incarico a Salvini non sembra affatto alle viste. E non solo per le posizioni di politica estera che metterebbero in allarme Europa e America. Il centrodestra ha escluso qualunque contaminazione col Pd e si è dato il MoVimento come unico alleato possibile. Ma quella strada è stata esclusa nel corso delle due consultazioni prima, dall’esploratrice Casellati poi. Nonostante il pressing berlusconiano, e la minaccia leghista di organizzare una «passeggiata a Roma», per Mattarella è ormai acqua passata.
Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/05/01/italia/sfuma-il-governo-del-presidente-cresce-il-rischio-di-elezioni-a-luglio-q5s2wXuwmpuuCHYrh5FoCJ/pagina.html
3353  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA RUBINO. Cuperlo a Renzi: "In direzione si parli di elezioni" inserito:: Maggio 01, 2018, 12:13:25 pm
Pd, Martina: "Impossibile guidare il partito in queste condizioni".
Cuperlo a Renzi: "In direzione si parli di elezioni"
Il segretario reggente: "Rischiamo l'estinzione".
L'esponente della minoranza dem a Circo Massimo su Radio Capital: "Un partito non decide la sua linea politica negli studi televisivi. Quando un leader perde, si fa da parte"

Di MONICA RUBINO
30 aprile 2018

ROMA - Dopo l'intervista di Matteo Renzi a Che tempo che fa ieri sera e la chiusura all'ipotesi di un governo con il M5S, un Gianni Cuperlo quanto mai appassionato si dice dispiaciuto e mortificato ai microfoni di Circo Massimo su Radio Capital e chiede scusa "per lo spettacolo" che il Pd sta offrendo.

Qualche ora dopo il segretario reggente Maurizio Martina insorge: "In queste ore stiamo vivendo una situazione politica generale di estrema delicatezza. Per il rispetto che ho della comunità del Partito Democratico porterò il mio punto di vista alla Direzione nazionale di giovedì, che evidentemente ha già un altro ordine del giorno rispetto alle ragioni della sua convocazione". Poi aggiunge: "Servirà una discussione franca e senza equivoci perchè è impossibile guidare un partito in queste condizioni e per quanto mi riguarda la collegialità è sempre un valore, non un problema". E conclude: "Ritengo ciò che è accaduto in queste ore grave, nel metodo e nel merito. Così un Partito rischia solo l'estinzione".

"A questo punto - sottolinea Cuperlo a Radio Capital - la direzione di giovedì dovrebbe cambiare l'ordine del giorno, inserendo la preparazione di una nuova campagna elettorale: una cosa da far tremare le vene ai polsi".

 "La verità è che non ci sono i numeri - dice ancora l'esponente della minoranza dem -  ma la precondizione per avviare quel confronto sarebbe stato indice di compattezza del partito. Se una parte importante del Pd dice 'mai', allora sarebbe un atto di correttezza per il Paese evitare di perdere tempo". Quanto alla proposta di una legislatura costituente, Cuperlo afferma: "L'aveva già posta Franceschini, io nel mio piccolo avevo parlato di governo di scopo, non mi pare però che quell'idea abbia raccolto il consenso di altre forze politiche. A questo punto deve essere il presidente della Repubblica a trarre le sue conclusioni. Io penso che bisognerebbe non escludere che da qui a pochi mesi ci ritroveremo in campagna elettorale".

Per Cuperlo c'è però un tema di fondo da affrontare: che cos'é il Pd dopo l'uscita di ieri sera di Renzi. "Ancora una volta, dopo il risultato catastrofico del 4 marzo, noi non abbiamo discusso, abbiamo operato una sostanziale rimozione di quanto è successo". Poi attacca: "Un partito non decide la sua linea politica negli studi televisivi, convoca gli organi dirigenti. Ieri sera vedendo l'intervista dell'ex segretario ho provato un senso di dispiacere perché quella discussione avrei volto farla con lui nel luogo giusto, cioè la direzione del partito. E invece stiamo qui a commentare un'intervista attesa per ore come una finale di calcio. Così a politica si spegne, si spegne la vitalità di un partito".  E conclude: "Io vorrei capire cosa intendiamo per leader: Renzi ha fatto anche cose giuste, ma ha perso le sfide fondamentali che ha affrontato, il referendum e le politiche, portando il Pd al minimo storico. Noi perdiamo per i tuoi errori, non per le nostre critiche. Io posso aver anche sbagliato, ma tu perdi le sfide e quando un leader perde si fa da parte, come ha fatto Veltroni".

Sebbene non escluda un ritorno al voto, per Cuperlo "una legislatura che non ha la forza nemmeno di iniziare sarebbe il fallimento di tutti".

© Riproduzione riservata 30 aprile 2018

Da - http://www.repubblica.it/politica/2018/04/30/news/pd_gianni_cuperlo_radio_capital-195163268/?ch_id=sfbk&src_id=8001&g_id=0&atier_id=00&ktgt=sfbk8001000&ref=fbbr
3354  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MARCELLO SORGI. All'orizzonte si profila il ballottaggio inserito:: Maggio 01, 2018, 12:11:47 pm
All'orizzonte si profila il ballottaggio

Pubblicato il 01/05/2018 - Ultima modifica il 01/05/2018 alle ore 07:44

MARCELLO SORGI

Dai risultati del voto regionale in Friuli arriva una spinta molto forte verso nuove elezioni anticipate, un rischio mai escluso, del resto, nei due mesi di inutili trattative per il governo dopo il 4 marzo. È abbastanza semplice capire perché, sebbene le dimensioni esigue della consultazione locale, rispetto alla posta in gioco nazionale, non siano paragonabili. 

Pesa ovviamente di più l’inconcludenza del negoziato, la liturgia, incomprensibile ai più, delle consultazioni e delle esplorazioni, la mancata nascita del governo dei (non) vincitori, i tentativi confusi di mescolare, nella stessa improbabile maggioranza (che mai s’è manifestata come tale), il più radicale movimento d’opposizione premiato con il primo posto in termini percentuali con il maggior partito (ex) di governo, uscito sconfitto dalle urne. L’insieme di questi fattori s’è tradotto così nel voto dei cittadini del Nord-Est. 

La Lega ha stravinto, trainando dietro di sé anche gli alleati Forza Italia e Fratelli d’Italia, incoronando nuovo governatore della regione Massimiliano Fedriga, fino a qualche mese fa capogruppo salviniano del Carroccio alla Camera, e confermando definitivamente Salvini leader di tutta la coalizione. Il Pd, che aveva fino a ieri l’amministrazione del Friuli, ha perso, collocandosi più o meno ai livelli delle politiche e un po’ meglio come centrosinistra. Il Movimento 5 Stelle è crollato al di sotto di ogni possibile previsione negativa, al punto da far pensare a una diserzione del temuto esercito dei suoi militanti, demotivati dal pendolo di Di Maio tra centrodestra e Pd. 

Se ne ricava che finisce qui la serie di tentativi di fare un governo mettendo insieme due delle tre forze politiche protagoniste del voto di due mesi fa. Salvini adesso è il meglio piazzato per una nuova tornata elettorale che il suo rivale/alleato Di Maio, augurandosi che si possa tenere entro giugno, ha già definito il «ballottaggio» del 4 marzo. Il leader leghista non ha ceduto alle sirene pentastellate che lo allettavano con un ruolo di primo piano al governo se solo avesse lasciato per strada Berlusconi e Meloni, e s’è invece aggrappato con tutte le sue forze all’alleanza di cui è divenuto padrone. Inoltre il fallito dialogo tra M5S e Pd gli ha fornito un argomento prezioso per la prossima campagna elettorale. Potrà ben dire: noi avevamo vinto, abbiamo cercato un compromesso per dare un governo al Paese, ma il regime ce lo ha impedito proponendo un inciucio tra il movimento del finto cambiamento di Di Maio e il Pd dei passati governi rifiutati dagli elettori. Ora ci servono i voti che mancano per governare davvero.

Anticipato da Grillo, che sempre lo precede quasi ad autorizzarlo, Di Maio aveva già deciso la svolta pro-elezioni, dopo aver sentito Renzi in tv far saltare il confronto con i 5 Stelle di cui il Pd s’apprestava a discutere nella direzione convocata il 3 maggio. La doccia fredda dei risultati del Friuli lo ha vieppiù indirizzato verso il voto. La solidarietà ricevuta da Di Battista, leader dell’ala autenticamente movimentista, sta a significare che il capo politico e mancato premier del governo del cambiamento avrà bisogno di un aiutino per riciclarsi, dalla sonnolenta tattica «democristiana», com’è stata impropriamente definita nelle ultime settimane, alla caffeina della prossima campagna elettorale. Dirà anche lui: eravamo i vincitori, ma il regime ci ha messo i bastoni tra le ruote; pur consapevole che dell’odiato regime, per otto lunghe settimane, è apparso un esponente di primo piano, in giacca e cravatta istituzionale.

Quanto al Pd, peggio di com’è messo, non potrebbe. Gli manca un leader, un condottiero adatto a guidarlo nell’estrema battaglia che lo aspetta, questione di vita o di morte. Il ritorno in campo televisivo di Renzi può significare che il leader dimissionario è pronto a riprendersi il suo posto, se il Pd accetterà o si arrenderà al suo ritorno, o a fondare un suo nuovo partito, sulle macerie di quello moribondo, per tentare una rivincita, al momento assai improbabile.

Resta da dire di Mattarella: ha fatto tutto il possibile, finora, per cercare di riportare alla ragionevolezza partiti e movimenti assurdamente convinti che il 4 marzo fosse solo il primo tempo di un regolamento di conti epocale, e subito proiettati verso il secondo turno, che da ieri invocano a gran voce. Con la stessa legge elettorale e senza neppure la possibilità di tentare di riformarla, all’ombra di un governo chiamato a sbrigare gli affari più urgenti, è alto il rischio che il prossimo risultato non si discosti molto dall’esito sterile dell’ultima volta, precipitando l’Italia in una condizione a metà strada tra la Spagna e la Grecia di questi ultimi anni. Non di semplice scioglimento delle Camere, si tratterebbe, in quel caso: ma di dissoluzione.

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/05/01/cultura/allorizzonte-si-profila-il-ballottaggio-ksthsZMRckvKh2xnLgV5eJ/pagina.html
3355  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / UGO MAGRI Berlusconi tentato dall’offerta ma insiste per Salvini premier inserito:: Maggio 01, 2018, 12:10:39 pm
Berlusconi tentato dall'offerta ma insiste per Salvini premier

Pressing sul Quirinale per un incarico al leader leghista. Obiettivo: un esecutivo di minoranza sulle orme di Andreotti

Su Instagram Salvini ha pubblicato gli scatti che lo ritraggono mentre pesca in Puglia e con il frico, un prodotto tipico friulano

Pubblicato il 30/04/2018 - Ultima modifica il 30/04/2018 alle ore 07:24

UGO MAGRI
ROMA

Salvini si trova nella classica situazione «win-win», comunque vada ci guadagna. Salta tutto e torniamo a votare? È la volta che la Lega divora Forza Italia, Fratelli d’Italia e forse pure l’Italia. Nasce per il rotto della cuffia un governo grillo-dem? Matteo stappa spumante, perché va a guidare la ribellione del Nord. E se Di Maio restasse a cuocersi per altre settimane, ancora meglio. Ecco come mai, finora, Salvini non ha insistito per ottenere l’incarico: vuole che si logorino gli avversari. Forte è il sospetto che certe sparate filo-russe fossero finalizzate a dissuadere il Colle, casomai lassù venisse in mente di metterlo alla prova. Difatti, non ce n’è aria. Ma qualcosa potrebbe cambiare.

Berlusconi, per citare uno a caso, giudicherebbe inconcepibile che Sergio Mattarella si rassegnasse a sciogliere le Camere senza nemmeno un tentativo imperniato sul centrodestra. Vale a dire su Salvini per il quale, praticamente ogni giorno, sollecita un incarico. Non è ben chiaro se Silvio insista sull’alleato per «bruciarlo» o per timore che, continuando di questo passo, dopo l’estate si vada a elezioni-bis (dove lui rischierebbe l’umiliazione). Sia come sia, il Cav ha lanciato un pressing sul Quirinale, anche attraverso canali riservati, per superare le resistenze. Sa perfettamente che il Capo dello Stato. del quale canta privatamente le lodi, non può conferire incarichi «a perdere». Al momento, una maggioranza salviniana non esiste e se ne sta tentando un’altra M5S-Pd, Però quando questa fallirà, è l’argomento di Berlusconi, bisognerà battere strade un tantino spericolate. Di troppa prudenza (insistono ad Arcore) si può morire. Dunque, perché non tentare un governo di minoranza, che si regga in Parlamento sui voti del centrodestra e sulle astensioni altrui? Fino adesso si sono prese in esame soltanto maggioranze con tutti i crismi, ma senza risultato; è tempo di esaminare i possibili ripieghi.

Il ripiego numero uno sarebbe quello del governo istituzionale, finalizzato a un percorso di riforme della Costituzione e della legge elettorale (che non ha dato buona prova di sé). Ne ha lanciato la proposta ieri sera Renzi da Fazio, e idealmente Berlusconi l’avrebbe abbracciato dall’entusiasmo. Gianni Letta non ha mai smesso di tessere la tela del «governissimo», magari c’è di mezzo pure il suo zampino. «Il semi-presidenzialismo sarebbe l’unico modo per dare un senso a questa legislatura», dà voce al mood berlusconiano Andrea Cangini. Però, pubblicamente, l’ex premier dovrà frenarsi in quanto, se da subito si sbilanciasse a favore del governo per le riforme, un minuto dopo Salvini potrebbe accusarlo di tradimento, e approfittarne per accasarsi finalmente con Di Maio. Dunque meglio insistere per il momento sul governo di minoranza, cercando di convincere il Colle con un precedente illustre e un argomento costituzionale.

 

Il precedente è rappresentato dal terzo governo Andreotti, che nacque nel 1976 con la «non sfiducia» del Pci. Basti dire che le astensioni alla Camera (303) furono più numerose dei voti a favore (258). Senza la generosità di Enrico Berlinguer, la Repubblica sarebbe piombata nello stallo, esattamente dove rischia di affogare oggi. Anche un semplice pre-incarico permetterebbe a Salvini di contrattare un’astensione grillina o addirittura del Pd. E comunque (argomento su cui batte Gaetano Quagliariello) perfino un governo di minoranza sarebbe costituzionalmente più legittimo di quello in carica, che ebbe la fiducia dal passato Parlamento, un’era geologica fa. Tajani garantisce: l’Europa sarebbe d’accordo. Ma Salvini accetterebbe di farsi lanciare in pista? Non è detto che rifiuti, sussurrano ad Arcore. E se dicesse no a Mattarella, poi dovrebbe trovare la maniera di spiegarlo ai suoi elettori. Impresa complicata.

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/04/30/italia/berlusconi-tentato-dallofferta-ma-insiste-per-salvini-premier-IeF9Mps9jaPMCYmvbPVppN/pagina.html
3356  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / ... la nostra "vera Ricchezza che è anche la nostra Storia". inserito:: Maggio 01, 2018, 12:09:03 pm
Fa comodo esaltare la nostra bellezza nazionale e locale (molto deturpata), dovremmo invece non dimenticare o peggio perdere la nostra "vera Ricchezza che è anche la nostra Storia".

ggiannig
3357  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / VALENTINA SAINI. RENZI FARÀ UN SUO PARTITO COME MACRON? inserito:: Maggio 01, 2018, 12:07:10 pm
RENZI FARÀ UN SUO PARTITO COME MACRON?

POLITOLOGI E FILOSOFI A CONFRONTO
   
VALENTINA SAINI

26 aprile 2018
   
Un PD macroniano. O un En Marche italiano che dice addio a un PD al governo con il M5S. In entrambi i casi, alla guida sempre lui, Matteo Renzi, per inciso uno dei politici europei che più avrebbe ispirato Macron nel corso della scalata all’Eliseo. Fantapolitica? Forse, ma i segnali non mancano. Dalla crescente insofferenza dei parlamentari renziani verso l’aperturismo del reggente Martina al M5S, alle riflessioni del sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega agli affari europei Gozi (che considera En Marche “riferimento per la ripresa del cammino del PD”), passando per una parola, “rottura”, sempre più frequente nei retroscena giornalistici, e che traspare in filigrana in quel #senzadime che infuria (o almeno così sembra) nella steppa social. Senza dimenticare le tensioni in Forza Italia, sempre più divisa tra il sogno del grande partito di (centro)destra a trazione salviniana, e la nostalgia per il protagonismo liberal-popolare che fu.

Insomma, nessuna prova, ma qualche indizio. Il rischio di un altro divorzio in casa PD è basso ma esiste, e potrebbe rivelarsi l’ultimate weapon in mano al “senatore semplice” di Scandicci. Ma l’extrema ratio filo-Macron (e del resto il presidente francese ha già più volte auspicato una “ricomposizione politica” paneuropea, avente come fulcro proprio En Marche) sarebbe razionale? Un PD macroniano potrebbe avere un futuro? Secondo Damiano Palano, professore di filosofia politica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, l’operazione potrebbe avere un senso. «Anche se può implicare qualche costo politico, si tratta tutto sommato della scelta più logica e lineare per il Partito Democratico di oggi, e forse anche della scelta più coerente rispetto allo stesso progetto che condusse alla nascita di questo partito, ormai più di dieci anni fa».

Infatti, argomenta il docente, «anche se ha ereditato una parte consistente della classe politica del vecchio PDS (e pure del vecchio PCI), il PD nacque con l’obiettivo di costruire un partito “a vocazione maggioritaria”, capace di fondere ciò che restava delle vecchie tradizioni socialista e cattolico-democratica. Si trattava di un’operazione rischiosa, perché le “fusioni a freddo” difficilmente riescono a superare le divisioni nel ceto politico. E non riescono neppure a costruire una nuova identità comune. Oggi possiamo dire che l’operazione è sostanzialmente fallita. Il PD non è riuscito a conquistare l’elettorato di centro (e centro-destra) a cui puntava. Non è riuscito neppure a conservare il bacino di voti ereditato da DS e Margherita. E, a partire dal 2013, ha continuato a perdere consensi in modo quasi drammatico. L’unico elemento simbolico che di fatto ha contraddistinto questa area politica – a partire dall’Ulivo, fino al governo Gentiloni – è stato l’europeismo, o meglio il sostegno alla UE e alle sue politiche. Ed è dunque scontato che ora proprio su questo fragile riferimento si tenti di costruire una nuova identità. Ovviamente ciò può creare qualche problema, se non altro perché l’immagine dell’UE negli ultimi anni è cambiata, e perché l’“euroscetticismo”, anche in Italia, non è più un atteggiamento minoritario».

Certo, una svolta a destra in chiave macroniana piacerebbe poco alla sinistra PD. Ad esempio a Orlando, a Emiliano, a Zingaretti. O all'elettorato rosso delle roccaforti (a rischio caduta) in Italia centrale. «Uno spostamento del PD su posizioni macroniane sancirebbe un ulteriore allontanamento (che però nella stagione renziana è già avanzato parecchio) dalla tradizione socialista – ammette Palano –. È difficile prevedere se ciò comporterà un’ulteriore emorragia di consensi in Toscana ed Emilia-Romagna, ma non possiamo dimenticare come negli ultimi dieci anni proprio in queste aree il voto sia stato estremamente mobile. Il 4 marzo il PD ha ancora tenuto laggiù, ma per molti versi la “zona rossa” non esiste più, perché il PD ha perso, insieme a una fetta consistente dei propri voti, anche la posizione egemonica che deteneva in passato».

La svolta macroniana, all’insegna del pragmatismo europeista, entusiasmerebbe la borghesia riflessiva dei grandi centri urbani (su tutti Milano, che il 4 marzo ha regalato al PD una delle pochissime soddisfazioni), un po’ di pensionati e di statali, gli startupper (che in Francia sono stati stregati da un presidente anglofilo, giovane e tecno-entusiasta), e soprattutto gli imprenditori. «Nel nord produttivo il 90% degli imprenditori manifatturieri, anche di destra, adorano Calenda, e hanno ancora stima di Renzi – spiega a Gli Stati Generali un professionista che ben conosce il ceto industriale del nord –. Il modello Macron piace, agli industriali bresciani come a quelli di Padova o Udine: è un leader preparato, che ha come priorità la modernizzazione della società e dell’economia, e non ha paura di compiere scelte impopolari, vedi la dura risposta agli studenti in protesta».

Cauto Gianfranco Pasquino, docente presso la John Hopkins University SAIS Europe. A parere dell’eminente politologo, Renzi si trova in una posizione difficile. «Potrebbe ritirare le dimissioni, e cercare di riconquistare il partito, ma è un’operazione che per lui sarebbe difficile, molto difficile. Però anche spaccare il partito e andare in una direzione macronista è ugualmente complicato. Perché spaccare si può, ma poi bisogna ricostruire, e Renzi non è un costruttore di consenso: è un uomo che rompe con alcune fasi di un certo passato, però non sa costruire il nuovo. Quindi difficilmente sarà un Macron italiano». È vero, riconosce Pasquino, tutti parlano di riproporre in Italia il progetto macroniano, però «dimenticano che si tratta di due sistemi istituzionali assai diversi tra di loro. Quindi la risposta è che è molto difficile pensare di percorrere la via di Macron laddove non ci sono le condizioni istituzionali che hanno gli hanno consentito non solo di conquistare la carica più importante, ma di portare alla vittoria parlamentare uno schieramento abbastanza variegato. Quindi, a mio parere, di prospettive Macron in Italia non ce ne sono».

Anche gli accademici francesi (o basati in Francia) sentiti da Gli Stati Generali sono scettici. Philippe Marlière, professore di politica francese ed europea allo University College London, dà questo consiglio ai politici del PD che pensano di imitare En Marche: «C’è già stato un Macron italiano, e si chiama Matteo Renzi. È una versione piuttosto soft di Macron, ma comunque ha già rappresentato il macronismo italiano. Lui ha cercato di ottenere una sorta di equilibrio centrista, ed è stato rimproverato dalla sinistra di essere troppo a destra… La sua politica somigliava molto alla linea di Macron, a livello economico, e con il referendum del 4 dicembre 2016 si è visto lo stesso atteggiamento di Macron, quel dire “si deve fare questo, se perdo me ne vado”. E poi ha anche perso le elezioni…»

Secondo il docente, «l’idea di seguire la via macronista per il PD sarebbe fondamentalmente una decisione suicida. Anche perché penso che sia stato l’arretramento del PD sulle questioni sociali ed economiche ad aver spianato la strada alle forze populiste. Quando si delude una parte importante di elettori (non solo i più radicali, anche i moderati), i quali si aspettano un governo di sinistra capace di difendere i diritti delle persone, e non uno che si concentra su come accontentare l’alta borghesia, allora si perde quel tipo di elettorato». Marlière menziona la parabola del Parti Socialiste, che «oggi lotta per la sopravvivenza. Non so se si salverà! E invece nel 2012, quando venne eletto Hollande, i socialisti avevano tutto il potere, a livello nazionale, regionale, locale. E hanno perso tutto. Perché? Perché, semplicemente, la politica del partito non si distingueva più, agli occhi dell’elettorato, da quella di un partito di destra».

C’è da dire che ultimamente Macron non ha vita proprio facile, in Francia. Le sue assertive politiche economiche e lavoristiche, all’insegna del decisionismo e del liberismo, hanno fatto crollare la sua popolarità; ciò contribuisce a spiegare l’attivismo globale di una Francia che si riscopre leader in Europa, e interlocutore privilegiato di potenti come Trump, Putin, Modi. «In Francia è del tutto normale che un presidente dica “la Francia deve indicare la via per il benessere dell’Europa”, mentre se questo accadesse in Italia gli darebbero del pazzo – nota Alessandro Giacone, docente di storia contemporanea all’università Grenoble Alpes –. Questa è la differenza tra un sistema presidenziale e uno parlamentare, e anche tra bagagli storici e culturali ben precisi».

La Francia, osserva Giacone, è stata egemone «soltanto negli anni di de Gaulle, ma all’epoca c’era un’altra Germania, una Germania che comunque usciva dalla guerra». Oggi la Germania è l’incontrastata potenza economica, commerciale, scientifica e demografica del continente. Tuttavia, con la Merkel sempre cauta, un Regno Unito azzoppato dalla Brexit e un’Italia in preda all’incertezza politica, Macron ha le carte in regola per tentare di guidare, con un certo piglio bonapartista, un’Europa che rimane evanescente, e assediata dal populismo di destra (l’inquilino dell’Eliseo, di recente, ha addirittura parlato dell’emersione di “una sorta di guerra civile europea”).

Spiega Leonardo Casalino, professore di civiltà italiana moderna e contemporanea presso l’Università Grenoble Alpes: «Come italiano che vive in Francia da diciassette anni, questa sensazione diciamo così di “bonapartismo” l’avverto. La Francia è un paese che in generale, a qualsiasi livello, pretende che chi ha responsabilità governi anche con mano ferma, ma che poi possa essere giudicato, anche in modo radicale. L’errore che a mio giudizio sta compiendo Macron è che, pur disponendo di una maggioranza assoluta, e quindi di una larga possibilità di decidere, abbia deciso di governare evitando addirittura il dibattito in parlamento, un parlamento in cui ha la maggioranza. E francamente ciò mi sembra esagerato, perché rischia di aumentare la distanza tra istituzioni e società».

Opinione simile quella del professor Marlière: «Ci sono due Macron. Quello che fa i discorsi al Parlamento europeo, che ai media stranieri appare, credo, abbastanza aperto, liberale, rispettoso del pluralismo. Il Macron, per così dire, di rappresentanza all’estero. Poi però c’è il Macron domestico, che reagisce alle contestazioni alle sue politiche liberiste in modo piuttosto muscolare, persino repressivo. Basti pensare agli scioperi studenteschi e alla polizia mandata nelle università… certo magari non è lui che decide di mandarla, ma comunque non ha mai detto una parola contro questa decisione. Il suo ministro degli interni, Gérard Collomb, è molto repressivo, il trattamento verso i rifugiati e gli immigrati è estremamente duro…»

Ai francesi lo stile Macron sembra piacere sempre meno, ma il suo fascino cresce all’estero. Ad esempio piace molto ad Albert Rivera, leader del partito liberale spagnolo Ciudadanos. O ai liberali svedesi. Alle elezioni europee dell’anno prossimo il presidente francese potrebbe lanciare un En Marche continentale in grado di sconvolgere l’Unione Europea. E dato che il successore del nordico Juncker dovrà essere, con tutta probabilità, un europeo del sud, qualcuno mormora che l’uomo giusto potrebbe essere proprio Renzi. Voci a parte, l’uomo più potente di Francia punta a una grande alleanza liberale paneuropea. «Macron di certo mira a diventare il perno di un progetto del genere, tuttavia i fattori di incertezza sono davvero molti – nota Palano –. Per esempio, è improbabile che l’ascesa dell’euroscetticismo si arresti (il 4 marzo in Italia ha dato indicazioni chiare). Ma, se dovesse venire meno la leadership di Macron, la riforma dell’UE si allontanerebbe ancora di più».

Certo, un PD macroniano è molto lontano dal grande partito riformista, ma saldamente ancorato al centro-sinistra, immaginato da Prodi, Veltroni, e altri padri nobili. Perché anche di En Marche, come ci spiega Gilles Bertrand, professore di storia moderna e membro dell’Institut Universitaire de France «non si sa bene se sia di destra o di sinistra. E se il PD guarda a En Marche, si interroga anche sulla propria identità. Perché in En Marche c’è davvero questa ambiguità». Che ha assicurato a Macron grandi successi. Ma non è detto che la storia si ripeta in Italia.
 CAT: Partiti e politici, Roma

Da - http://www.glistatigenerali.com/partiti-politici_roma/renzi-fara-un-suo-partito-come-macron-politologi-e-filosofi-a-confronto/
3358  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / DOMENICO QUIRICO - I mille volti del Paese negli scatti di Shah, testimone ... inserito:: Maggio 01, 2018, 12:04:09 pm
I mille volti del Paese negli scatti di Shah, testimone della Storia

A guardare la finale del torneo di pallavolo femminile nell'università di Kabul, 1 dicembre 2016

Pubblicato il 01/05/2018 - Ultima modifica il 01/05/2018 alle ore 08:19

DOMENICO QUIRICO

La fotografia è ricordo. E il vero ricordo non è diaristico, non è pettegolezzo della memoria. E’ piuttosto un mistero per cui un luogo, un avvenimento storico, una persona, un dolore perdurano in quell’immagine in noi incorrotti come verità oggettive. Non li ricordiamo, essi sono. Il Vietnam sarà, per sempre, la bambina di My Lai che corre verso di noi, sì noi, portando nel corpo nudo e vilipeso lo scandalo americano del napalm. Abbiamo, grazie a quell’infinito istante, il suo sguardo.

Il nostro animo è un asilo di persone e di cose che vivono indipendenti, con la loro realtà ineffabile, e che perciò, come gli esseri veri, restano misteriose. Grazie alla fotografia ne siamo responsabili e il ricordo è un dovere. Per questo l’Afghanistan, la sua tragedia infinita in cui hanno scaramucciato mille eserciti e mille bande fanatiche, la sua storia resterà tra venti, tra cento anni negli scatti di Shah Marai, reporter della «France presse» morto ieri negli attentati di Kabul: è lì palpabile, vivo, nei suoi Buddha ciclopici e straziati di Bamiyan, i suoi taleban sul carro armato, le sue donne fasciate di chador e di luce azzurra, azzurra come il fondo del mare, ma stretta come un cilicio. Soltanto fotografie, eppure meravigliosamente sonore. 

Scattate da un uomo che sembra parlarci di un avvenimento doloroso della sua famiglia, non per cercare la nostra pietà, ma per espandere la sua. Un giorno gli storici tesseranno su quegli anni le fibre complicate di un racconto esprimibile e chiaro. Ma senza quelle immagini nulla capiremo. Basterà evocarle, anche solo una, e tutto ci sarà chiaro come sofferenza sangue dolore Storia. Shah Marai: un testimone. Che vive sul filo del rasoio nell’abnegazione di ogni istante; e noi, grazie a lui, in quel luogo del mondo, esplodiamo nel Tempo che si frantuma in mille volti, in mille frammenti di esistenza. 

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/05/01/esteri/i-mille-volti-del-paese-negli-scatti-di-shah-testimone-della-storia-CTjE9SwYDCscFwYkg6XjEL/pagina.html
3359  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / Siamo arrivati a capire che le regole "strapazzate" da tutti ... inserito:: Maggio 01, 2018, 12:02:18 pm
Siamo arrivati a capire che le regole "strapazzate" da tutti (Cittadini e politici) devono essere cambiate?

Ridefinire Nuove le Riforme, rivedere e correggere adeguandola la Costituzione, il tutto allo scopo di confermare il Sistema, in cui anche il concetto di Democrazia è da riscrivere, nei punti di caduta.


ggiannig

Da Fb 1 maggio 2018
3360  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / SOFIA VENTURA Le sorprese nel derby della protesta inserito:: Maggio 01, 2018, 11:57:54 am
Le sorprese nel derby della protesta

Pubblicato il 01/05/2018 - Ultima modifica il 01/05/2018 alle ore 07:44

SOFIA VENTURA

Costruire è più complicato che protestare e, per di più, il voto di protesta è un voto fluttuante. Il risultato del M5S in Friuli lo dimostra. Rispetto alle regionali del 2013 e alle ultime politiche la lista dei grillini è passata dal 13,75 e dal 24,56% al 7,5%. Il tonfo è troppo netto e la centralità del Movimento e di Di Maio sulla scena nazionale troppo marcata per ridurre quanto avvenuto a un fenomeno locale. Al contrario, la consultazione friulana fornisce alcune indicazioni sulla natura dei 5 stelle e sulle loro prospettive. 

In primo luogo, con un apparente paradosso, il crollo conferma il profilo di movimento di protesta. La protesta, infatti, può assumere molte forme e già in passato si sono registrati flussi tra il M5S e la Lega, altro partito che capitalizza sulla disaffezione verso il sistema. Se nel 2013 fu il M5S ad avvantaggiarsi di questa mobilità, nel voto del 29 aprile sembra essere la Lega il beneficiario. 

È interessante osservare che nel voto del Molise del 22 aprile il Movimento aveva superato il 30 per cento. Ma il giorno dopo, il 23 aprile, il presidente della Camera Fico riceve un mandato esplorativo per sondare la possibilità di un accordo tra M5S e Pd. Nei giorni successivi si compie lo sforzo di Di Maio per rendere agibile l’accordo, che però non entusiasma parte dei suoi elettori, che vedono concretizzarsi la possibilità di una alleanza con il «partito establishment» per eccellenza. Secondo Demos&Pi la maggioranza degli elettori 5 stelle risulta infatti avversa all’intesa col Pd e più favorevole alla Lega. Il voto di protesta sembra dunque essere in parte scivolato verso le proposte di Salvini (e, probabilmente, anche verso l’astensione), che ha tenuto ferma la propria opposizione ai Democratici: se si mobilita il proprio elettorato contro un «nemico» (il Pd), il semplice «contrordine compagni» è difficile da far digerire quando il voto è sempre più volatile e legato alle issues. 

L’entità dello scivolamento ha anche una specificità settentrionale. Già in relazione alle elezioni del 4 marzo l’Istituto Cattaneo aveva osservato come l’avanzata del M5S, imponente nel Sud, non si fosse realizzata nel Nord-Est, dove rispetto al 2013 aveva perso l’1,1% (guadagnando solo lo 0,5 nel Nord-Ovest). La protesta ha anche dei contenuti e quelli della Lega sono evidentemente molto competitivi al Nord. L’apertura ad un partito percepito come insensibile verso le ragioni della piccola impresa, ma anche degli operai, che tra le altre cose temono la concorrenza dei lavoratori stranieri, ha dunque prodotto effetti amplificati in una regione come il Friuli.

Il voto friulano potrebbe dunque essere il segnale dell’ulteriore meridionalizzazione dei Cinquestelle. Esso, inoltre, evidenzia i problemi che incontra un partito che si connota come una macchina di rilevazione delle opinioni per costruire il consenso (una natura, questa, messa in luce, ad esempio, da Empoli ne «La rabbia e l’algoritmo» e da Iacoboni ne «L’esperimento») quando è costretto a compiere delle scelte. Scegliere, anche un alleato, accontenta taluni e scontenta altri e la pretesa di tenere dentro tutto si scontra con gli interessi divergenti che pure esistono sotto l’ombrello dell’anti-establishment. 

Dopo il no definitivo all’alleanza espresso da Renzi due sere fa da Fabio Fazio e la débâcle friulana, in un video su Facebook Di Maio ha accusato gli altri partiti di non volere il «governo del cambiamento» e chiesto di andare a elezioni. Cerca di uscire dall’impasse, ma le contraddizioni di questa sua «prima mano» potrebbero pesare sul prossimo «secondo turno» elettorale. 

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2018/05/01/cultura/le-sorprese-nel-derby-della-protesta-iFgwMw4BOYgvfvowtPRHSO/pagina.html
Pagine: 1 ... 222 223 [224] 225 226 ... 529
Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!