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16  Forum Pubblico / L'ITALIA NON FATELA RIDURRE ad ARCIPELAGO di ISOLE REGIONALI E FEUDALI. / "PROGRESSISTI, RIFORMISTI, L'ITALIA E' UNA NAZIONE EUROPEA OCCIDENTALE?". inserito:: Febbraio 28, 2024, 11:39:08 pm
Gianni Gavioli ha modificato il nome del gruppo "PROGRESSISTI, RIFORMISTI E L'ITALIA, NAZIONE EUROPEA, OCCIDENTALE." in

"PROGRESSISTI, RIFORMISTI, L'ITALIA E' UNA NAZIONE EUROPEA OCCIDENTALE?".

Amministratore
Esperto del gruppo   · doontrSesphichgci9i08lm68au181f2813 245m0th8249m4h9u44117amh  ·


Giuseppe Cacciato
La domanda è retorica ed offre l’opportunità di astenersi da una risposta esplicita.

---

Infatti non necessita di una risposta, ma di una precisa presa di posizione politica. 
Non si può lasciare il concetto di nazione alle destre che se la sbaloccano a loro comodo, trattori compresi! 
Noi siamo una Nazione Europea con uno Stato Repubblicano, in una Democrazia Costituzionale.
E tale deve restare uscendo, con Riforme democratiche dall'attuale Democratura a trazione leghista.   

Infatti non necessita di una risposta, ma di una precisa presa di posizione politica. 
Non si può lasciare il concetto di Nazione alle destre che, usando la bandiera italiana a uso e consumo di antieuropei Sfascisti, se la sbaloccano a loro comodo! 
Mettendola sui trattori antiEuropei compresi.
Noi siamo una Nazione Europea con uno Stato Repubblicano, in una Democrazia Costituzionale.
E tale deve restare uscendo, con Riforme democratiche dall'attuale Democratura a trazione leghista.   
ggg
17  Forum Pubblico / "OLIVO POLICONICO". IDEE DAL TERRITORIO A CONFRONTO. / In Italia la falsità, l'odio e la cattiveria sono al potere. inserito:: Febbraio 28, 2024, 11:32:45 pm
Sereni: sulla salute il Governo è incapace
23 Febbraio 2024

"In una sola mattina il Governo incassa da un lato le polemiche per le dimissioni del Prof. Palù dall'incarico di Presidente di Aifa, per incomprensioni e disaccordi con le scelte dell'Esecutivo su una materia cruciale come quella del farmaco, e dall'altro la bocciatura da parte delle Regioni sull'attuazione della riforma per gli anziani non autosufficienti". Lo dichiara Marina Sereni, responsabile Salute e Sanità nella Segreteria nazionale del Pd. "Giustamente le Regioni italiane - spiega SERENI - hanno infatti negato l'intesa sul decreto attuativo della legge 33/2023 sulla non autosufficienza, non solo per la totale mancanza di risorse aggiuntive ma anche perché quel decreto tradisce le ambizioni di cambiamento da cui è nata la riforma. Un unico punto di accesso ai servizi per le persone anziane non autosufficienti, una forte integrazione tra tutti i livelli di intervento, un grande investimento sulla domiciliarità e una riqualificazione delle strutture residenziali per anziani. Nel decreto non c'è nulla di tutto questo e la misura di sostegno economico, prevista sperimentalmente per il 2025/2026, snatura completamente la ratio della legge di riforma e riguarda appena 28.000 anziani ultra 80enni poveri". "Su questa stessa linea critica non a caso si sono espresse in queste settimane le Associazioni del Patto per la non autosufficienza e su questi punti stiamo concentrando l'azione del Pd nelle commissioni parlamentari competenti. Diciamo al Governo: fermatevi e accettate di ridiscutere con tutti gli attori istituzionali e sociali i contenuti di questo provvedimento sulla non autosufficienza. Mentre su Aifa - conclude SERENI - rivolgiamo al Governo un appello: smettetela di litigare sulle poltrone e aprite una discussione trasparente, per rilanciare un'istituzione scientifica strategica la cui autorevolezza è essenziale per poter dialogare e collaborare con gli omologhi a livello europeo e internazionale su tutte le scelte che riguardano la ricerca, l'autorizzazione e la produzione di nuove molecole".

Da - http://areadem.info/adon.pl?act=doc&doc=48704

18  Forum Pubblico / SIAMO DIFFERENTI e DIVERSI, UGUALI nei DIRITTI e DOVERI, ma DIVISI in CATEGORIE SOCIALI. / Compratori e Consumatori ... inserito:: Febbraio 26, 2024, 11:48:30 pm
Compratori, acquistate preferendo alimentari (e altro) brandizzati con il marchio di chi li produce, per farne il proprio business.

Il produrre per conto terzi a volte deve sottostare a condizioni di sacrificio economico, che tolgono serenità di valutazione del rischio.
Il pricing (determinazione del prezzo) di un prodotto di Marca e quello dei beni commercializzati, non dovrebbe risentire di una inferiore differenza di qualità.

La vera concorrenza sarebbe (per un marketing intelligente) farsi produrre da aziende specializzate nel proprio Marchio, beni di qualità diversa ma superiore a quella del produttore (elaborando gli ingredienti non é difficile alzare la qualità).

Ma la qualità superiore senza spinta pubblicitaria é più difficile da vendere, senza una motivazione di immagine efficace.
Occorre un marketing non soltanto di “facciata”.
ggg 
19  Forum Pubblico / "OLIVO POLICONICO". IDEE DAL TERRITORIO A CONFRONTO. / La cittadinanza attiva: nascita e sviluppo di un'anomalia in "L'Italia e le ... inserito:: Febbraio 26, 2024, 11:39:15 pm
La cittadinanza attiva: nascita e sviluppo di un'anomalia in "L'Italia e le sue Regioni"

Treccani - Treccani

Posta in arrivo

ggiannig <ggianni41@gmail.com>
         
a me
    
https://www.treccani.it/enciclopedia/la-cittadinanza-attiva-nascita-e-sviluppo-di-un-anomalia_%28L%27Italia-e-le-sue-Regioni%29/
 

20  Forum Pubblico / O.P.O.N. OPINIONE PUBBLICA ORGANIZZAZIONE NAZIONALE. / La vita in carcere deve essere dignitosa "vita da reclusi", non accanimento e... inserito:: Febbraio 26, 2024, 11:35:43 pm
Gianni Gavioli
Amministratore
Esperto del gruppo in Virtual Reality
 
Reclusi é la giusta punizione e la cautela per la società!

La vita in carcere deve essere dignitosa "vita da reclusi", non accanimento e bullismo carcerario.

La pena deve, per questo, essere scontata pienamente e non diventare un "giocattolo" nelle mani di avvocati, giudici e guardie carcerarie.
ggg
21  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Cariche a Pisa, la verità di Piantedosi: "Fiducia nelle forze dell'ordine" inserito:: Febbraio 26, 2024, 11:31:25 pm
Cariche a Pisa, la verità di Piantedosi: "Fiducia nelle forze dell'ordine"

25 febbraio 2024

«Il premier Meloni segue o coordina tutte le questioni e le tematiche rilevanti per la complessiva azione di governo. Ma la responsabilità del mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza è mia e ne sono responsabile anche nei suoi confronti. Mi ha molto confortato registrare, tra tutti i colleghi di governo che sono intervenuti, espressioni di fiducia verso le forze dell’ordine e convergenza sul fatto che quanto accaduto a Pisa potrà essere compiutamente esaminato con serenità priva di pregiudizi». L'ha detto il ministro dell’interno Matteo Piantedosi intervistato dal Corriere della Sera. «Siamo aperti a ogni analisi, anche autocritica, allorquando anche una sola manifestazione tra le migliaia ci ponesse il problema di verificare se tutto è andato per il verso giusto»: l'ha affermato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, in un’intervista al Corriere della Sera sulle polemiche per le manganellate ai manifestanti ai cortei pro Palestina a Pisa e Firenze. «Vedere quelle immagini ha contrariato e amareggiato anche me», ha detto il capo del Viminale a proposito dell’intervento del Capo dello Stato, «condivido le sue parole come le condividono tutti i poliziotti. Tutti noi auspichiamo sempre che le manifestazioni pubbliche si svolgano pacificamente e senza incidenti. Fondamentale in tale senso è anche la collaborazione degli stessi manifestanti». «Quando si giunge al contatto fisico con ragazzi minorenni è in ogni caso doveroso svolgere ogni esame obiettivo su come siano andati i fatti», ha aggiunto Piantedosi che tuttavia ha negato che siano state cambiate le regole per gestire questo tipo di manifestazioni introdotte dopo il G8 di Genova: «Non è cambiato nulla di quel principio. Semmai si è ancor più rafforzato».

Da - https://www.iltempo.it/politica/2024/02/25/news/matteo-piantedosi-replica-dopo-cariche-polizia-pisa-fiducia-forze-ordine-38550561/
22  Forum Pubblico / ESTERO dopo il 19 agosto 2022. MONDO DIVISO IN OCCIDENTE, ORIENTE E ALTRE REALTA'. / Le nuove frontiere geopolitiche LA MIA AFRICA di Rita Lofano inserito:: Febbraio 26, 2024, 11:29:43 pm
Le nuove frontiere geopolitiche

LA MIA AFRICA
di Rita Lofano

N° 59 - Africa in Transition

L’asse geopolitico globale si sta spostando, l’Europa da tempo non è più al centro del mondo. L’Africa è il luogo del futuro: che si tratti di clima, transizione, sviluppo o sicurezza.
Lavorare “con” l’Africa, le molte Afriche, è l’unica strada

“L'Africa”, dicono nei dibattiti, come se fosse un’entità omogenea, indivisibile, con una sola cultura. “L’Africa”, si legge sui giornali, più o meno come servire un prodotto omogeneizzato. “L’Africa” di chi? Forse quella di un Occidente che dopo secoli ancora sembra non aver fatto passi avanti rispetto a una visione del “noi e loro”, senza comprendere che “loro” sono tanti, una moltitudine di diversi, un quinto della popolazione mondiale, giovane, in crescita esponenziale.  L’Europa al centro del mondo è finita nelle mappe della geopolitica, resta ancora un baluardo di conoscenza, di storia, di istruzione possibile e sviluppo. Ecco, qui c’è quello che possiamo fare insieme per le molte Afriche che (non) conosciamo: fornire una cassetta degli attrezzi, un set di domande e risposte, competenze per costruire futuro, quello che spesso non riusciamo più a immaginare per noi stessi. Non è (solo) una questione filosofica (il 50 percento delle scuole secondarie dell’Africa subsahariana non ha l’elettricità mentre il Brookings Institution indica come meno del 25 percento degli studenti intraprenda carriere legate alle materie STEM con una conseguente forte dipendenza da personale straniero nel settore dell’energia). Il mondo concreto di We – World Energy è un caleidoscopio di filosofie, a cominciare dalla scuola del realismo e del pragmatismo, con un tocco di sognatrice utopia, è un programma possibile.
 
Durante la Conferenza degli Ambasciatori alla Farnesina, questa visione dell’Africa plurale è stata oggetto e soggetto della riflessione, ne sono venute fuori le molte Afriche. L’energia del “Continente nero” è una questione prima di tutto culturale, riguarda noi europei, la nostra forma mentis, non è solo un problema di transizione energetica, di petrolio e gas che pure, con la giusta visione (non ideologica e non a spese di un’energia accessibile e affidabile per tutti), possono rappresentare un trampolino verso uno sviluppo sostenibile.
 
“Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo”, scriveva Plinio Il Vecchio. Un monito difficile da ignorare. La (ri)scoperta dell’Africa è nata da una necessità storica: il disaccoppiamento dalle forniture energetiche della Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Il punto di non ritorno, la fine di una stagione politica. In quel momento l’Italia si è ritrovata con un ruolo di potenziale pivot del Mediterraneo: chi meglio di noi può lanciare una politica per il Mediterraneo come hub energetico dell’Europa? Nessuno. Il ruolo di Eni in questo scenario è quello di una forza storica proiettata nel futuro, la presenza del Cane a sei zampe è un dato di fatto, non è un desiderio è una realtà. L’Africa è il luogo del futuro: che si tratti di cambiamenti climatici, transizione, economia inclusiva e sicurezza. La sfida è ora. La posta in gioco è alta. Lavorare “con” l’Africa, le molte Afriche, è l’unica strada

da
https://www.worldenergynext.com/articolo/2024-02-13/africa-clima-transizione-sviluppo-25017908
23  Forum Pubblico / O.P.O.N. OPINIONE PUBBLICA ORGANIZZAZIONE NAZIONALE. / Elio TRUZZOLILLO - DOMANDA DI UN IGNORANTE CHE SI RIVOLGE ALLA RETE inserito:: Febbraio 26, 2024, 11:23:48 pm
Elio Truzzolillo
 
DOMANDA DI UN IGNORANTE CHE SI RIVOLGE ALLA RETE
L’ignorante sono io ovviamente. Ma ho diritto di spiegare perché lo sono.
Io “odio” la filosofia (ho messo le virgolette). La “odio” dal momento che sono convinto che la maggioranza delle persone ne abbia un’idea sbagliata e distorta. La vede come una risposta ai propri problemi esistenziali mentre per me è solo una branca della storia che ci aiuta a capire quali idee, aspirazioni, dubbi e concezioni della realtà (e della metafisica visto che per secoli i filosofi si sono ostinati a riflettere su Dio e sul divino) erano diffuse in una determinata epoca o luogo. Quindi che sia utile studiarla in questo senso non ho dubbi.
L’idea che leggendo Platone e Socrate io possa imparare qualcosa sulla vita mi fa sorridere, ma rispetto chi pensa il contrario e viene illuminato a livello esistenziale.
Potrei meglio dire che è possibile così come è possibile che io sia ispirato, per ciò che riguarda la mia vita, anche da un bel film, un bel romanzo, una chiacchierata con un amico o semplicemente attraverso le mie esperienze. In questo senso non c’è nessuna “saggezza esistenziale” nei grandi pensatori.
Quando poi vedo affrontare problemi odierni attraverso il sistema hegeliano o gli scritti di Sant’Agostino (e i nostri intellettuali marci lo fanno spesso quando non si sono studiati un problema e non sanno caso cavolo dire) divento pazzo.
Ma citare un filosofo da sempre l’idea di uno che la sa lunga, e si fa fare sempre bella figura anche se dell’argomento non si è letto una sola riga. Quell’idea per cui ci sono risposte generalissime a ogni questione che possiamo ritrovare leggendo i filosofi (chissà cosa avrebbe pensato Kant dei bitcoins  ).
Sono anche conscio che per molto tempo filosofia e scienza si sono sovrapposte e Liebniz e Newton (quando non stava a perdere tempo con la teologia e l’alchimia) ci hanno dato il calcolo infinitesimale per dirne una. Così come si è sovrapposta spesso allo studio del diritto e dell’organizzazione delle collettività, si pensi a John Locke.
Ma quella cosa un po’ tenera di leggere i filosofi per capire la vita e i problemi attuali mi fa sorridere. Mi fa sorridere anche l’idea che la filosofia insegni a ragionare più di altre materie, solo perché alcuni pensatori hanno costruito sistemi complessi e totalmente arbitrari che implicano molta attenzione per essere capiti.
Spiegato in breve perché sono ignorante e non ho mai approfondito la materia, se non nei limiti dell’interesse storico, cioè per come si è evoluto il pensiero umano (cosa che ci da informazioni sulle società del passato), arrivo alla domanda.
Per quale diavolo di motivo Giordano Bruno dovrebbe essere un martire della scienza? Un martire del libero pensiero al massimo, questo sì. Ma cosa c’entra con la scienza?
Da quel poco che so, essendo ignorante, del metodo scientifico nella vita di Giordano Bruno ci sono poche tracce. Come molti grandi pensatori si formò un’idea un po’ ad cazzum della realtà, della vita e della natura dell’uomo, derivandola da proprie illuminazioni arbitrarie e considerazioni etiche.
Nulla a che vedere con Galileo Galilei o con altri grandi pensatori anche prima di lui che tra una monade e l’altra (ma che minkia sono queste monadi?) qualche contributo scientifico lo hanno dato (da Pitagora a Eratostene, che forse non era neppure un filosofo ma io sono ignorante e sarei perdonato).
Oddio, tra le miriadi di cose a caso dette qualche frammento di intuizione semi corretta Bruno Giordano può anche averla sostenuta, ma su quali basi? Basandosi su una visione del mondo funzionale alle sue intuizioni arbitrarie e personali, non certo basandosi sull’osservazione e il tentativo di dare spiegazioni coerenti derivanti da un approccio proto scientifico. Vi risparmio la lista delle sue convinzioni perché non è bello mettere alla berlina un grande pensatore col senno del poi di chi è vissuto secoli dopo come me.
Sostanzialmente su alcuni punti Giordano Bruno ha avuto puro cu*o. Un po’ come Democrito passato alla storia per un’altra botta di cu*o per avere “scoperto” (si fa per dire) gli atomi.
Non siate troppo duri con me, ma spiegatemi perché Giordano Bruno sarebbe un martire della scienza.
Da FB
24  Forum Pubblico / "INTESA DELL'OLIVO" STUDIO DI UN PROGETTO NAZIONALE DI SVILUPPO DECENNALE, PER PRIORITA'. / Siamo i primi al mondo nella classifica dei produttori, con 3,7 milioni di ton. inserito:: Febbraio 17, 2024, 11:45:55 pm
13 febbraio 2024
Contro la carbofobia.
Tra supermercati e grani antichi, all’estero chiedono la pasta italiana che cuoce in un minuto
Lidia Baratta

Siamo i primi al mondo nella classifica dei produttori, con 3,7 milioni di tonnellate. Maccheroni e spaghetti si moltiplicano in forme e colori occupando sempre più spazio tra le corsie della grande distribuzione e nelle vetrine degli alimentari bio. E qualcuno è disposto a mangiarla anche a colazione e a merenda (Unsplash)
Uno spettro si aggira tra gli scaffali dei supermercati: la «carbofobia». La paura del carboidrato. Eppure, nel pieno boom delle diete proteiche, la pasta italiana resiste, provando a rispondere anche alle esigenze alimentari dei più intransigenti salutisti. Dai grani antichi ai legumi, dall’integrale al senza glutine fino alla spirulina, maccheroni e spaghetti si moltiplicano in forme e colori occupando sempre più spazio tra le corsie della grande distribuzione e nelle vetrine degli alimentari bio.
E i dati del mercato lo confermano. L’Italia resta prima al mondo nella classifica dei Paesi produttori con 3,7 milioni di tonnellate prodotte nel 2022 (in aumento del 3,6 per cento sul 2021) e un fatturato che sfiora i sette miliardi di euro (più 24,3 per cento sul 2021). Oltre la metà della produzione, circa 2,4 milioni di tonnellate, finisce sulle tavole straniere, soprattutto in Germania, Regno Unito, Francia, Stati Uniti e Giappone.
Con la fiammata inflazionistica, i dati di vendita del 2023 sono in leggera flessione. Ma la filiera della pasta italiana resta forte, contando 26.600 occupati e centodieci pastifici. Da Nord a Sud. Dal leader di mercato Barilla fino ai più piccoli laboratori artigianali delle storiche famiglie della pasta arrivate alla terza o quarta generazione. Il venticinque per cento della pasta consumata a livello globale è prodotta in un pastificio italiano, così come il settantacinque per cento di quella mangiata in Europa. L’anno scorso l’export è calato di circa il tre per cento. E gli italiani, anche se più attenti alla linea e al portafoglio, restano quelli che mangiano più pasta al mondo, con 23 chili pro capite l’anno e 1,3 milioni di tonnellate consumate nel 2022.
«Il consumo interno è in leggera diminuzione e siamo più attenti alla qualità della pasta che compriamo», spiega Margherita Mastromauro, presidente dei pastai italiani di Unione italiana food, associazione di Confindustria che riunisce cinquecentocinquanta aziende dell’industria agroalimentare. «Il consumatore italiano oggi è più informato, più esigente e più attento alla sostenibilità. La pasta però è e resta l’alimento simbolo della nostra dieta. Un prodotto semplice e sano, fatto di solo grano duro e acqua, con una lavorazione che, per quanto industriale, resta semplice in termini di processo».
Il consumo più attento di carboidrati e la crescita delle intolleranze al glutine, insomma, ci rende anche più “sensibili” alla tipologia di pasta acquistata. E così, da commodity «porta sugo» destinata per pochi euro a riempire la dispensa, la pasta si sta via via trasformando in un prodotto da assaggiare e tracciare, di cui conoscere composizione e provenienza. Ricorrendo anche alla blockchain.
Da dove viene la pasta
Ma partiamo dalle basi. La gran parte della pasta italiana è composta dalla semola ricavata dal grano duro, più l’acqua. La catena di montaggio è questa: «Dal grano duro si ottiene la semola, che equivale a circa un settanta per cento della materia prima iniziale. Dalla semola alla pasta, poi, c’è un ulteriore calo di circa il 5-10 per cento», spiega Margherita Mastromauro.
Con quattro milioni di tonnellate su 1,3 milioni di ettari coltivati, il grano duro resta la principale coltura italiana. Nonostante questo, però, il primo anello della filiera non basta a soddisfare le necessità dell’industria nazionale. Quindi, parte del grano lo importiamo dall’estero, in media il trentacinque per cento circa.
L’Italia compra la materia prima mancante prevalentemente da Canada, Francia e Grecia, ma anche da Stati Uniti, Australia, Russia e Turchia. Le quantità ovviamente variano di anno in anno, a seconda dei raccolti, delle condizioni del clima, e anche delle tensioni geopolitiche.
Ma nonostante le crociate del ministro della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida nel nome di una filiera cento per cento made in Italy, le importazioni di grano straniero non diminuiscono. Anzi, sono in aumento. Nei primi dieci mesi del 2023, l’Italia ha acquistato 2,6 milioni di tonnellate di grano duro, in crescita dell’ottantacinque per cento su base annua. Il deficit estero per la prima volta a fine anno potrebbe superare la soglia del cinquanta per cento.
Perché? C’entrano i prezzi pagati ai produttori che, al contrario dei costi di produzione, sono crollati del trentacinque per cento dall’inizio della campagna di commercializzazione di luglio, disincentivando gli investimenti. Un contadino che semina grano oggi riceve solo ventidue centesimi al chilo.
La stima è che le semine autunnali siano già calate del dieci per cento. Ma la guerra in Ucraina e l’inflazione non sono le unica variabili che incidono sui prezzi, contro i quali manifestano gli agricoltori a bordo dei loro trattori. C’entra, ovviamente, pure il cambiamento climatico. Le semine sono anche in ritardo, visto che il caldo anomalo tra novembre e dicembre ha fatto slittare in avanti le operazioni anche nelle aree storicamente vocate alla produzione di frumento, Puglia e Campania in primis. E a questo si aggiungono gli effetti del maltempo dello scorso anno, con le piogge abbondanti cadute poco prima della raccolta (pensiamo all’alluvione in Emilia e nelle Marche), che hanno compromesso le coltivazioni destinate all’industria molitoria, quella che compra il grano per trasformarlo nella semola con cui si produce la pasta.
C’è pasta e pasta
La pasta di semola classica resta oggi quella ancora più consumata in Italia, con un milione di tonnellate circa. Le altre trecentomila tonnellate si dividono tra l’integrale (in crescita), gli altri cereali (dal farro al kamut) e il gluten free. Sul mercato vince la pasta secca, con l’ottantacinque per cento della produzione. La pasta fresca copre solo il cinque per cento, quella ripiena il sei per cento, quella all’uovo il quattro per cento. Il comparto del senza glutine nel 2022 ha fatto registrare 10.300 tonnellate vendute, in crescita di oltre il sei per cento.
«Le aziende della pasta fanno grande ricerca sia sulle materie prime sia sulla tecnologia usata nelle linee di produzione. Si studia rigorosamente la quantità di glutine del grano, l’indice di giallo (l’intensità di pigmenti carotenoidi presenti, ndr) e tutti i parametri che garantiscono qualità e resistenza alla cottura», spiega Mastromauro.
Oltre l’ottanta per cento dei pastifici italiani, sia grandi sia piccoli, è gestito dalle storiche famiglie della pasta. L’11,5 per cento è controllato dall’estero e solo il 7,4 per cento fa capo a investitori finanziari.
Secondo l’ultimo studio di Mediobanca sul settore, la Campania, con la iconica area di Gragnano, è la prima regione italiana per produzione (diciannove per cento) ed esportazione di pasta (24,4 per cento), ospitando il tredici per cento dei pastifici nazionali. Segue l’Emilia-Romagna. Mentre la Sicilia, pur ospitando il maggior numero di molini (trentasei per cento), vede la propria produzione di pasta scendere al sette per cento e quella dell’export allo 0,4 per cento. La Puglia resta invece la prima regione per produzione di grano duro (23,2 per cento del totale nazionale).
In relazione al tipo di pasta prodotta, l’Italia si divide in due: quasi il sessanta per cento dei siti produttivi di pasta secca si trova al Centro e al Sud, mentre oltre il novanta per cento di quelli di pasta fresca è a Nord Est e Nord Ovest.

Ma l’intero territorio nazionale è costellato di pastifici, persino dove non te lo aspetti. Anche sulle Dolomiti dove, nel cuore della Val di Fiemme, nasce e viene prodotta la pasta Felicetti nel nuovo avveniristico stabilimento inaugurato nel 2022. Il marchio, prima diffuso solo tra i “nerd” della pasta, negli anni si è trasformato in un prodotto di alta gamma ormai esportato in più di cinquanta Paesi al mondo, dall’Australia al Canada, fino ad alcune città della Patagonia e pure in qualche resort delle Maldive. Con una produzione che raggiunge ormai le quarantamila tonnellate annue.
Il brand non partiva avvantaggiato, vista la provenienza geografica non certamente associata alla tradizionale pasta italiana. «Ma proprio il luogo, le Dolomiti, hanno fatto la differenza nella nostra storia», racconta Riccardo Felicetti, alla guida del pastificio di famiglia nato nel 1908. «Veniamo da un’area geografica molto privilegiata dal punto di vista della possibilità di innovare. Ci siamo potuti permettere certe diversificazioni, senza essere ingabbiati nei canoni più tradizionali». Felicetti dall’inizio ha scommesso sul “monograno”, diventato un marchio di riconoscimento. Permettendosi pure il lusso di andare oltre il grano duro e puntando prima degli altri su cereali come il farro, il grano Senatore Cappelli o il kamut.
E se nella quasi totalità dei casi gli anelli della filiera sono separati, c’è anche chi prova a riunirli tutti, dalle coltivazioni alla trasformazione in pasta, sotto un unico marchio. Come ha fatto il Pastificio Mancini, uno dei pochi “pastifici agricoli” italiani, nato a Fermo, nelle Marche, nel 2010, dalle fondamenta dell’azienda agricola fondata nel 1938 dal nonno Mariano.
«La nostra è una pasta agricola», spiega Lorenzo Settimi, marketing manager del pastificio. «È qualcosa di diverso dalla classica dicotomia tra pasta industriale e pasta artigianale».
Dal lavoro agricolo nei campi fino alla trasformazione della semola in pasta, in un pastificio agricolo tutti i passaggi sono collegati. Il lavoro comincia ogni anno l’11 novembre, data di inizio dell’annata agraria. Dalla costa marchigiana alle montagne, il marchio Mancini coltiva ottocentodieci ettari, con quattro varietà di grani moderni, sviluppati con la genetista Oriana Porfiri. A luglio, poi, il grano viene raccolto e stoccato a temperatura controllata nei magazzini, dove si realizza uno speciale blend tra le quattro varietà. «Questa montagna di grano poi viene via via pastificata nel corso del periodo che va da settembre al settembre successivo, dopodiché parte la nuova annata», racconta Settimi.
«Tutta la pasta prodotta proviene dai nostri campi. È questa la differenza», continua Settimi. «La semola di solito arriva nei pastifici già trasformata. I pastai tendono a chiedere aspetti specifici come tenori proteici o indici di glutine, ma non lavorano effettivamente sulla varietà del grano. E questo banalizza il prodotto perché finisci per pensare che sia inerte, che qualsiasi sia l’andamento dell’annata agraria ottieni sempre lo stesso prodotto. In realtà la pasta è figlia del grano e il grano è figlio di annate agrarie, di conseguenza porta con sé delle caratteristiche differenti».
Questo è quello che distingue un pastificio agricolo: considerare la pasta come un prodotto vivo. Sulle confezioni della Pasta Mancini è indicata anche l’annata del grano usato. E non è detto che lo spaghetto cuocia tutti gli anni in dieci minuti. «L’annata più piovosa o quella più soleggiata danno vita a una materia prima diversa, per cui noi indichiamo non un tempo preciso di cottura ma una forbice», spiega Settimi.
Contro la percezione della pasta come un semilavorato, un prodotto “porta sugo”, Mancini ha abbracciato la missione di voler fare “cultura della pasta”. «Nel menù del ristorante», spiega, «si tende a scrivere “spaghetti” e poi si descrive il condimento. Al massimo troviamo scritto “pasta di Gragnano” per sottolineare il fatto che ci sia stata della selezione dietro. Ma non c’è quasi mai un racconto della pasta». Il pastificio ha brevettato invece un format di assaggio chiamato “Spaghetti allo specchio” per distinguere il sapore differente tra la pasta industriale, artigianale e agricola, condendola con un solo filo d’olio.

«Ce l’abbiamo lì, la pasta, ne mangiamo 23 chili a testa all’anno, ma poi fondamentalmente non abbiamo mai l’occasione o il momento per rimanerne un po’ sorpresi», dice Settimi. «Le cose però stanno cambiando. Nell’arco di dieci anni, l’attenzione verso la pasta è cambiata, anche da parte dei ristoranti che prima puntavano solo su quella fresca e che consideravano la pasta secca un prodotto da osteria adatta solo a sfamare le grandi masse».
L’attenzione alla composizione della pasta è confermata dal trend crescente dei grani antichi, in contrapposizione a quelli moderni. Dal kamut al Senatore Cappelli, dal farro al grano monococco, le varietà di cereali coltivate prima dell’avvento dell’agricoltura industriale sono diventati una sorta di mantra, soprattutto tra i frequentatori di alimentari e negozi bio.
E come tutte le mode c’è da fare la tara. Spesso, come racconta Luigi Cattivelli (direttore del Centro di ricerca Genomica e Bioinformatica del Crea a Fiorenzuola d’Arda) nel libro “Pane nostro. Grani antichi, farine e altre bugie” (Il Mulino), alla base di questa corsa al grano migliore cavalcata dal marketing, c’è molta disinformazione. Perché, bisogna dirlo, un mondo di soli grani antichi non reggerebbe: il grano antico ha un basso livello di resa produttiva e se volessimo passare del tutto ai frumenti pre-moderni, scenderemmo al venti per cento di produzione nazionale, essendo così costretti a importare ancora di più dall’estero.
Andate e moltiplicatevi
Circa il settantacinque per cento dei consumi di pasta in Italia arriva dagli scaffali dei supermercati della grande distribuzione, dove i reparti destinati a spaghetti, rigatoni e affini si sono allargati a vista d’occhio. Dalla più economica pasta di semola di grano duro a quella integrale, passando per gli altri cereali e i legumi, fino alla più costosa pasta gluten free (5,46 euro al chilo), il cui mercato si è ormai esteso anche ai non celiaci.
Nel cuore del “granaio d’Italia”, a Gravina di Puglia, in provincia di Bari, nel 2009 i fratelli Andriani sono stati pionieri della produzione di «pasta senza glutine per tutti», fondando il marchio Felicia. Dopo aver studiato economia in Gran Bretagna, Michele e Francesco Andriani sono rientrati nella terra d’origine per prendere in gestione lo storico pastificio di famiglia, rivoluzionandolo da capo a piedi e introducendo qualcosa di cui fino ad allora non si era mai sentito parlare, soprattutto in Puglia: la pasta di legumi. Un’intuizione che li ha portati a scommettere sul mercato del senza glutine in Italia quando, di fatto, ancora non esisteva.
«I fratelli Andriani hanno sdoganato il concetto del gluten free», racconta Marco Lentini, a capo del marketing di Andriani spa. «Trattiamo solo materie prime naturalmente prive glutine. Ma il posizionamento di Felicia oggi non è solo legato al mondo degli intolleranti, è una pasta senza glutine aperta a tutti. Anzi, l’ambizione è quella di essere una pasta healthy che si rivolge a un target molto più ampio, con uno stile di vita orientato al benessere».
L’idea di base è di offrire varietà di scelta non solo in termini di formato, ma anche come materia prima. Così come si può variare di giorno in giorno dagli spaghetti alle farfalle, lo stesso si può fare tra la pasta d’avena, quella alle lenticchie rosse o ai fagioli Mung. Negli impasti di Felicia, è stato fatto spazio a nuovi ingredienti: avena, grano saraceno, riso integrale e persino il teff etiope, il più piccolo cereale al mondo. Fino ad arrivare a una pasta colorata, dal campo al packaging, che veicola un immaginario differente rispetto alla pasta tradizionale. Da qui il claim «Fatti di un’altra pasta».
Il brand Felicia ha oggi un mulino integrato e negli anni ha creato intorno a sé una filiera di coltivazione dei legumi che è la più estesa d’Italia con oltre trecentocinquanta aziende agricole e circa 6mila ettari coltivati. Con un fatturato di 12 milioni di euro, di recente ha anche annunciato l’apertura di un nuovo stabilimento produttivo in Ontario, Canada, per presidiare il mercato del Nord America.

Dove va la pasta
Dai negozi specializzati, i pacchi colorati della pasta fatta con ingredienti diversi dal grano duro hanno ormai raggiunto la grande distribuzione. E pure i big player del settore, Barilla compresa, si sono convertiti alla pasta di legumi per presidiare il mercato dei flexetariani dello spaghetto.
A dispetto di una presunta impronta “conservatrice” degli italiani, secondo un sondaggio di Unione italiana food, per più di un italiano su due (cinquantanove per cento) la pasta in futuro verrà declinata in nuove tipologie, con farine o ingredienti alternativi, e per oltre un terzo (35,4 per cento) si aggiungeranno anche nuovi formati.
E per soddisfare le esigenze dei mercati internazionali sempre più ampi, il 54,1 per cento delle imprese italiane segue gli standard della certificazione Kosher compatibili con la tradizione ebraica e il 32,8 per cento quella Halal, in linea con i requisiti della religione islamica. Circa un terzo attesta la conformità dei prodotti ai criteri vegetariani e vegani e il diciotto per cento ha chiesto le certificazioni di pasta gluten free.
Ma la novità inaspettata riguarda il consumo di pasta in momenti della giornata diversi dal pranzo o dalla cena. Otto italiani su dieci dicono di essere pronti a inforcare gli spaghetti anche appena svegli o per merenda, come già si fa all’estero. Basta cercare l’hashtag #breakfastpasta su Instagram o TikTok per rendersi conto di come, soprattutto Oltreoceano, iniziare la giornata con un piatto di penne al formaggio stia diventando una moda culinaria.
Per “svecchiare” la classica pasta italiana e renderla più appetibile anche ai nuovi mercati esteri, all’interno del Future Food Institute di Bologna, che da anni studia l’innovazione del cibo legata alla sostenibilità ambientale, è nato il progetto “Re-think pasta”, “Ripensare la pasta”. «All’estero non sempre la pasta è solo il primo piatto come in Italia, per cui è sempre più importante valorizzarlo e renderlo fruibile per consumi e consumatori differenti», spiega Andrea Magelli, responsabile del progetto.
Nella patria del tortellino e della pasta ripiena, il team di “Re-think” pasta ha osato abbattere alcuni dogmi delle ricette bolognesi. E così sono nati quattro nuovi prodotti: un cappelletto con ripieno vegano, un cappelletto tradizionale ma senza glutine, un raviolo con brasato veg e un tortello il cui ripieno deriva dagli scarti della cottura del malto della birra.
«In una città come Bologna, dove i cibi tradizionali sono molto a base di carne e carboidrati, con la crescita del turismo ci sono persone che chiedono prodotti diversi da quelli tradizionali», spiega Magelli. «Se c’è un vegano che visita Bologna, chiaramente non può mangiare un tortellino. Noi non abbiamo la pretesa di sostituire il tortellino tradizionale, però vogliamo dare la possibilità, anche alle persone che hanno fatto scelte alimentari diverse dalle proteine animali, di avvicinarsi comunque a un qualcosa di tradizionale».
I prodotti innovativi di “Re-think Pasta” si trovano in alcuni ristoranti di Bologna e nei Living Lab del Future Food Institute. E una volta abbattuta la barriera culturale, i feedback sono positivi, soprattutto tra i giovani studenti e i turisti stranieri.
«Una delle grandi capacità che devono avere i pastai, noi compresi, è quella di interpretare le attitudini diverse nella fruizione del piatto di pasta, proponendo i nostri prodotti in maniera tale da avvicinarci ai mercati stranieri», spiega anche Riccardo Felicetti.
Il tempo di cottura, ad esempio, è una delle variabili tenute sempre più in considerazione nella scelta della pasta all’estero. In un mondo che corre, anche la pasta deve cuocere in meno tempo.
Negli Stati Uniti, Felicetti sta sviluppando un sistema di cottura ridotto per cuocere la pasta velocemente nel corso degli eventi gestiti dalle società di catering.
E soprattutto dall’Asia, arriva la richiesta di pasta con tempi di cottura sempre più brevi. «Mentre in Italia cresce il trafilato in bronzo che richiede tempi di cottura lunghi, nei mercati esteri chiedono il prodotto che si cucina più velocemente», conferma Margherita Mastromauro.
Secondo i pastai di Unione italiana food, ci sarà uno sviluppo delle pasta da cucinare in maniera più veloce anche per rispondere alle esigenze di chi ha meno tempo di stare ai fornelli. Molto dipende dal formato, ma gli imprenditori italiani scommettono che presto si potrà scegliere di tutto, dalla cottura di diciotto minuti a quella di un minuto.
E se il pacco di pasta di plastica ha ormai lasciato il posto alle scatole di carta o di altri materiali riciclabili, la sostenibilità ambientale oggi è il mantra anche in questo settore, di per sé molto energivoro. «Molte aziende pastaie si stanno convertendo alle rinnovabili mettendo a punto anche sistemi di risparmio energetico», spiega Mastromauro.
E anche i pastifici tradizionali, rilevati dalle ultime generazioni delle famiglie, stanno puntando anche sulla trasparenza e la tracciabilità delle materie prime usate attraverso sistemi di certificazione digitale dei grani tramite blockchain. Il marchio 28 Pastai, nell’area di Gragnano, ha posto ad esempio un QR Code su ogni singola confezione per accedere a tutte le informazioni del lotto di pasta e verificare tutti gli standard di qualità adottati sulla filiera cento per cento italiana. Il Pastificio Mancini ha fatto una scelta simile, partecipando a un progetto di ricerca dell’Università di Macerata.
Un vantaggio competitivo che arriva dall’adozione di nuove tecnologie in un settore che, come gran parte della manifattura italiana, soffre però della carenza di manodopera specializzata. «Mancano soprattutto esperti di processo, tecnici in grado di operare sulle linee, manutentori e tecnologi esperti della produzione di pasta. È difficile trovarne di già formati e facciamo fatica a trovare giovani», dice Margherita Mastromauro.
L’età media di chi guida questa industria, in realtà, è molto alta. I presidenti delle società hanno in media sessantacinque anni, i consiglieri cinquantacinque. Gli appartenenti alla Gen X sono la fascia più rappresentata (41,7 per cento), seguiti dai Baby Boomer (36,8 per cento). Mentre i Millennial occupano solo il 9,3 per cento delle cariche. Poche le donne: nei board dei pastifici sono il 16,6 per cento, mentre la rappresentanza femminile nelle compagini proprietarie è pari al 38,6 per cento.
«Dal campo alla tavola, negli uffici e sulle linee, servono professionalità specifiche su temperature di essiccazione, impasto, temperature dell’acqua e trafilazione, digitale e sostenibilità», spiega Mastromauro. Ma non ci sono scuole specializzate, nemmeno nelle aree più vocate alla produzione di pasta. «Ci sono gli Its, sì, ma non abbiamo avuto grandi riscontri quando ci siamo rivolti a loro», dice la presidente.
Abbiamo il ministero della sovranità alimentare, il liceo del Made in Italy e persino un ministro delle Infrastrutture che visita i pastifici provocando nevrotiche campagne di sabotaggio. Ma poi non ci importa se nessuno sa più fare la pasta italiana.

Da - https://www.linkiesta.it/2024/02/pasta-mercato-italiano/?utm_source=pocket-newtab-it-it
25  Forum Pubblico / SOCIALESIMO Prolegomeni della DEMOCRAZIA prima del SOCIALISMO. 20/02/2022 / Qual è la differenza tra nazismo e fascismo? inserito:: Febbraio 12, 2024, 11:42:01 pm
Maurizio Morabito
Ha studiato Relazioni Internazionali presso Birkbeck, University of London (Ha conseguito la laurea nel 2002)

Qual è la differenza tra nazismo e fascismo?

Il Fascismo si basava sulla idea che la mente delle persone, le loro idee, i desideri, la morale, etc dovessero essere asserviti al bene della Società, con una mutua intesa fra gli strati sociali per risolvere il problema della lotta di classe. Una specie di “volemose bene” dove però chi non sia d'accordo è automaticamente classificato come “cattivo” e da isolare (cioè mandare lontano, al confino).

Il Nazismo espandeva questa idea dalla mente al corpo: ognj atto individuale diventava proprietà dello Stato, che poteva quindi disporre del cittadino a suo piacimento. Le classi sociali erano serve dello Stato che ne impediva ogni lotta e conflitto. Malati, strani, curiosi, pensatori independenti diventavano oggetti da eliminare, per il bene della società e quindi del mondo: da cui uccisioni di massa poi diventate sterminio. Come se le persone fossero cavie da laboratorio completamente alla mercè dello studioso/scienziato/tecnocrate di turno.
6.711 visualizzazioni
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da https://it.quora.com/Qual-%C3%A8-la-differenza-tra-autorevole-e-autoritario

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Giuseppe Cappelluti
Collaboratore di Eurasia (2013 - oggi)2 anni

Repubblicano: dipende da cosa si intende. Letteralmente “repubblicano” significa “sostenitore di un sistema politico repubblicano” in contrapposizione a “monarchico”.
In Italia i repubblicani erano delle sorte di liberali sociali, progressisti sul piano sociale e moderati su quello economico.
In Irlanda del Nord, però, repubblicano è chi sostiene l’unificazione delle due Irlande usando anche la forza (ed in questo caso parliamo solitamente di un progressista o di una persona di sinistra), mentre negli USA repubblicano è un membro del Partito Repubblicano di centrodestra-destra.

Fascista: chi si riconosce nell’ideologia fascista.

Autoritario: chi vuole governare col pugno di ferro (o comunque senza dover tener conto di poteri in grado di limitare il suo potere decisionale), o in alternativa sostiene una tale forma di governo.
A dispetto di quanto si possa credere, “autoritario” non vuol dire necessariamente “di destra”: varie ideologie di sinistra, come il comunismo e il progressismo postmoderno, sono intrinsecamente autoritarie.
Ciò che conta, se vogliamo, è lo spirito.
Conservatore: chi sostiene un ordine sociale di tipo tradizionale, basato su valori come la patria e la famiglia (in contrapposizione al progressista che invece di tale ordine ha una visione negativa).

https://it.quora.com/Qual-%C3%A8-la-differenza-tra-autorevole-e-autoritario
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Alberto Rebellato
Appassionato di storia

Nessuna, la differenza c'è tra i regimi "autoritari" e "totalitari".
Un regime autoritario è un tipo di governo dove il potere è detenuto nelle mani di un solo organo (che può essere una persona o un partito), non è ammessa l'opposizione politica e la partecipazione del popolo è estremamente limitata e sottoposta a rigidi controlli.
Si distingue da un regime totalitario nel fatto che si "limita" a governare la nazione e non prova a controllare anche l'andamento della società, mentre i regimi totalitari pretendono di controllare anche la mentalità e lo stile di vita della popolazione.
Una dittatura può essere un regime autoritario (come le dittature romane) oppure un regime totalitario (le dittature fasciste e comuniste).

da - https://it.quora.com/Che-differenza-c%C3%A8-tra-regime-autoritario-e-dittatura
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Paolo Lo Re
Laurea magistrale in Fisica, Università "Federico II" (Ha conseguito la laurea nel 1980)
Che differenza c'è tra democrazia illiberale e dittatura?
Nel quotidiano di chi vive nel Paese, poco.
Ma per la politica estera e gli scambi commerciali cambia moltissimo.
Cambiano le apparenze, che contano parecchio.
Chi, fra gli Stati, "sarebbe costretto" per motivi di immagine ad ostentare distacco da una dittatura può invece fingere di non vedere la falsità della democrazia e pretendere di aver a che fare "solo con Paesi liberi e democratici".

da - https://it.quora.com/Che-differenza-c%C3%A8-tra-regime-autoritario-e-dittatura

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Romano Toppan
·
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Ex DOCENTE UNIVERSITARIO IN CONGEDO (1978–2016)1 anno
Correlato
Qual è la differenza tra fascismo, dittatura e totalitarismo?

E' una differenzia sottile e solo nominalistica: fascismo è una espressione linguistica o denominazione italiana, che deriva dal concetto dei "fasci", termine che deriva dagli antichi romani: i consoli e le autorità supreme dello stato erano accompagnati dai "littori", militi che portavano sulle spalle un fascio di bastoni di legno legati con strisce di cuoio, normalmente intorno a una scure, a rappresentare il potere di vita e di morte sui condannati romani e simboleggiavano il potere supremo. Nella sua forma di governance, il fascismo è una della infinite forme di dittatura totalitaria, nelle quali il comando supremo è di una persona sola, circondata da un gruppo di "oligarchi" che formano la squadra di comando assoluto. In sostanza, quindi, non viè nessuna differenza sostanziale: il sovrano assoluto (tipo il re sole e tutti i monarchi dell'ancien régime), il dittatore, il duce il Führer). E' proprio contro questo modello che nasce la democrazia greca, primissimo esempio del "potere dei molti", come lo chiamava Lisia, grande oratore come Demostene, contrapponendolo al "potere dei pochi" (o di uno solo), contro i "tiranni". Per onestà intellettuale e morale, occorre dire che:a) il potere dei pochi o addirittura di uno solo occupa il 90% della storia umana; b) il potere dei molti (nelle varie forme di democrazia pioù o meno perfetta) ha caratterizzato una parte infima della storia umana; c) contorsioni oligarchiche più o meno latenti sono tangibili, oggi, anche in Italia e in quasi tutti i paesi che si definiscono democratici (a parole), mentre la verità nuda e cruda è che tutti gli stati "democratici" sono distesi una gamma più o meno marcata di oligarchia: o perché comandano i ricchi e i potenti, che pagano quelli che governano per i loro interessi (se non li attaccano sui loro giornali e tv), o perché esistono forme occulte di potere di burattinai legati di vincoli inconfessabili (per esempio i legami tra massoneria, mafia e servizi segreti sono presenti ovunque, senza nessuna eccezione). Teniamoci stretti quel barlume di democrazia che ancora abbiamo, senza cedere al fascino dell'uomo forte, dell'uomo solo al comando: ricordando che il termine fascinum a Roma significava l'organo maschile, e veniva esposto in simboli sull'uscio di casa contro il malocchio. I dittatori, di solito, rubano a manbassa e con loro il loro cerchio magico. Quindi sono il malocchio per definizione.
169 visualizzazioniRisposta richiesta da Campagnuccio Matteo

da - https://it.quora.com/Che-differenza-c%C3%A8-tra-regime-autoritario-e-dittatura

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Giovanni Dal Mas

Ex impiegato Notarile presso Studio Notarile (2020–2022)

Il comunismo può esistere solo sotto regimi dittatoriali?
Per prima cosa dico subito che sono d’accordo con Gabriele Giordano e anche io dico che il comunismo propriamente detto è esistito (forse) solo nelle teste di Marx ed Engels.
Facciamo un rapidissima riflessione e chiediamoci cosa siano stati realmente i più famosi regimi comunisti della storia (senza alcuna valutazione etica, limitiamoci alla politica).
L’URSS nasce come soggetto a vocazione globale volto a superare il vecchio Impero Zarista. Solo che alla fine ne è la continuazione tanto da preservarne i sistemi di potere interni. La Corte si trasforma nei Soviet, Lo Zar e il consiglio ristretto diventano il PCUS e la Ohrana diventa la Ceka (poi GPU, quindi NKVD e alla fine KGB). L’Urss, in tutto questo, persegue con Stalin (fautore della ben più realistica corrente del “comunismo in un solo paese) le stesse ambizioni geopolitiche del defunto Impero (accesso ai mari caldi, controllo dell’Europa Orientale, del Caucaso e dell’Asia Centrale).
La Cina fece grosso modo lo stesso. Di fatto sostituendo il Celeste Impero con qualcosa di molto simile. Stesse logiche di potere e medesime vocazioni imperiali.

Mi fermo qui e concludo con un’ultima osservazione.
Non è dato sapere se un sistema comunista possa esistere senza dittatura. Di certo però ad oggi possiamo dire che molti dittatori hanno trovato comoda l’ideologia comunista (di facciata) per nascondere i loro veri intenti e le loro vere ambizioni.

da - https://it.quora.com/Che-differenza-c%C3%A8-tra-regime-autoritario-e-dittatura

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26  Forum Pubblico / L'ITALIA NON FATELA RIDURRE ad ARCIPELAGO di ISOLE REGIONALI E FEUDALI. / In Italia il suffragio universale fu introdotto nel 1945 e fu applicato per ... inserito:: Febbraio 12, 2024, 11:38:13 pm

Normativa elettorale dell'Italia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


La normativa elettorale italiana è il complesso delle disposizioni giuridiche che disciplinano le materie correlate allo svolgimento delle votazioni in Italia. I suoi principi generali sono enunciati dalla Costituzione, mentre le norme di maggior dettaglio sono fissate da leggi ordinarie.

In Italia il suffragio universale fu introdotto nel 1945 e fu applicato per la prima volta l'anno successivo.[N 1] I diritti all'elettorato attivo e all'elettorato passivo non risultano perfettamente coincidenti, essendo in vigore delle limitazioni di età per le candidature alle elezioni politiche ed europee.[N 2][N 3] Ad alcune consultazioni possono prendere parte, in qualità di elettori e come candidati, anche i cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea.[N 4][N 5] Oltre alle diverse categorie di elezioni, attraverso le quali la collettività sceglie i titolari delle cariche pubbliche elettive, in Italia è prevista la possibilità di ricorrere allo strumento del referendum popolare.[N 6]

La Costituzione qualifica l'esercizio del diritto di voto come un «dovere civico»; ciascun elettore esprime il proprio voto in modo libero, segreto e anonimo su di una scheda elettorale, utilizzando un'apposita matita copiativa.[N 7][N 8] Le modalità di presentazione delle candidature, la definizione del sistema elettorale e la propaganda politica sono regolamentate dalla legge.[N 9][N 10]

Tipi di votazione

Partizione del territorio italiano in circoscrizioni ai fini dell'elezione dei componenti del Parlamento europeo
L'ordinamento italiano contempla i seguenti tipi di consultazione elettorale pubblica:
    le elezioni politiche, in occasione delle quali si vota per l'elezione dei 400 componenti della Camera dei deputati e dei 200 membri elettivi del Senato della Repubblica;[N 11]
    le elezioni europee, in occasione delle quali si vota per l'elezione dei 76 membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia;[N 12][N 13][1]
    le elezioni regionali, in occasione delle quali si vota per l'elezione del presidente della giunta regionale e del consiglio regionale;[N 14]
    le elezioni amministrative, in occasione delle quali si vota per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale[N 15] (in Valle d'Aosta si elegge contestualmente il vicesindaco;[N 16] nelle grandi città si vota inoltre per i consigli circoscrizionali[N 17]).

Dal 1951 al 2013 queste ultime comprendevano le elezioni sia comunali sia provinciali, in occasione delle quali si votava per l'elezione del presidente della provincia e del consiglio provinciale.[N 18][N 19] Dal 2014 in poi le elezioni provinciali si svolgono a suffragio ristretto, in quanto il consiglio provinciale è eletto dai membri dei relativi consigli comunali.
Ciascuna categoria di votazione si svolge di norma ogni cinque anni.[N 20][N 21][N 22][N 23]
In Italia è previsto inoltre l'istituto del referendum popolare. La Costituzione disciplina le tipologie di referendum elencate di seguito:
    il referendum abrogativo di una legge ordinaria;[N 24]
    il referendum confermativo di una legge costituzionale;[N 25]
    il referendum relativo alla fusione di regioni esistenti o all'istituzione di nuove regioni;[N 26]
    il referendum relativo al passaggio di province e comuni da una regione a un'altra;[N 26]
    il referendum regionale, anche di carattere propositivo, relativo a leggi e provvedimenti amministrativi della regione.[N 27][N 28][N 29]

Chi può votare

Lo stesso argomento in dettaglio: Elettorato attivo (ordinamento italiano).
La Costituzione italiana sancisce il principio del suffragio universale
In Italia il diritto di voto (elettorato attivo) è garantito dal principio del suffragio universale; di conseguenza, tutti i cittadini italiani maggiorenni sono iscritti d'ufficio nelle liste degli elettori.[N 7]
L’8 luglio 2021 il Parlamento ha approvato in via definitiva il disegno di legge costituzionale di modifica all’articolo 58 della Costituzione che regola l’elezione del Senato. La riforma approvata ha modificato l’età necessaria per eleggere i senatori, portandola da 25 a 18 anni di età. Pertanto, chiunque abbia compiuto la maggiore età può votare sia per la Camera dei Deputati sia per il Senato della Repubblica.
L'introduzione del suffragio universale risale al 1945 con l'estensione del diritto di voto alle donne: in precedenza, la facoltà di partecipare alla vita politica era appannaggio esclusivo dei cittadini maschi.[N 1] In particolare, con l'unità d'Italia era stata mutuata la normativa del Regno di Sardegna, che prevedeva un suffragio ristretto per sesso, età, grado di istruzione e censo;[N 30] un primo allargamento della base elettorale fu determinato nel 1882.[N 31] Nel 1912 furono ammessi al diritto di voto tutti i maschi che avessero compiuto i 30 anni, mentre per gli uomini di età inferiore rimanevano in vigore delle restrizioni basate sul reddito e sul titolo di studio.[N 32] Tali condizioni furono definitivamente abolite nel 1918, allorché fu adottato il suffragio universale maschile.[N 33] Nel 1975 la maggiore età fu infine portata da 21 a 18 anni.[N 34]
I cittadini degli altri stati membri dell'Unione europea residenti in Italia hanno diritto di voto alle elezioni per il Parlamento europeo e alle elezioni amministrative, purché abbiano fatto richiesta al sindaco del comune di residenza entro il 90º giorno antecedente le votazioni nel primo caso, ed entro il 40º giorno precedente le elezioni nel secondo caso.[N 35][N 36][N 37]
La Costituzione qualifica l'esercizio del diritto di voto da parte degli elettori come un «dovere civico».[N 7] Il diritto di voto può essere sospeso temporaneamente oppure revocato in via permanente solo nel caso di condanna penale per alcuni tipi di reato (interdizione dai pubblici uffici) e negli altri casi espressamente indicati dalla legge (misure di prevenzione e di sicurezza).[N 7][N 38][N 39]

Chi può essere eletto
Lo stesso argomento in dettaglio: Elettorato passivo (ordinamento italiano).
Il diritto di candidarsi a ricoprire cariche elettive (elettorato passivo) è riconosciuto a tutti i cittadini italiani maggiorenni.[N 40]
Per le candidature alle elezioni politiche ed europee sono previste delle limitazioni di età: è necessario aver compiuto 25 anni per la Camera[N 41] e per il Parlamento europeo,[N 3] mentre per il Senato occorre aver raggiunto i 40 anni di età.[N 42]
La legge stabilisce che non possono essere eletti alla Camera e al Senato:[N 43][N 44]
    i presidenti della provincia e i sindaci dei comuni con popolazione superiore a 20 000 abitanti, mentre sono in carica e nei sei mesi successivi al termine del mandato (salvo il caso di elezioni anticipate);
    il capo della polizia, il vicecapo della polizia e gli ispettori generali di pubblica sicurezza;
    i capi di gabinetto dei ministeri;
    i prefetti, i viceprefetti e i funzionari di pubblica sicurezza;
    gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle forze armate nella circoscrizione del loro comando territoriale;
    i magistrati (esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori) nelle circoscrizioni di loro assegnazione o giurisdizione, nei sei mesi antecedenti l'accettazione della candidatura;
    i diplomatici, i consoli, i viceconsoli non onorari e gli ufficiali addetti alle ambasciate, legazioni e consolati esteri – tanto residenti in Italia quanto all'estero – e coloro che, pur conservando la cittadinanza italiana, si trovano alle dipendenze di un governo estero;
    i componenti della Corte costituzionale;
    coloro i quali intrattengono determinati rapporti di natura economica con lo Stato.

Non sono eleggibili alle consultazioni amministrative:[N 45]
    il capo della polizia, il vicecapo della polizia, gli ispettori generali di pubblica sicurezza e i dipendenti statali che rivestono le funzioni di direttore generale;
    i commissari governativi, i prefetti, i viceprefetti e i funzionari di pubblica sicurezza nel loro ambito territoriale di competenza;
    gli ecclesiastici e i ministri di culto nel territorio in cui svolgono le proprie funzioni;
    coloro che esercitano poteri di controllo istituzionale sull'amministrazione del comune o della provincia;
    i giudici di pace e i magistrati appartenenti alle corti d'appello, ai tribunali ordinari e ai tribunali amministrativi regionali del territorio interessato dalle elezioni;
    i dipendenti del comune per il rispettivo consiglio;
    il direttore generale, il direttore amministrativo e il direttore sanitario delle aziende sanitarie locali e ospedaliere;
    i legali rappresentanti e i dirigenti delle società per azioni controllate dal comune o dalla provincia;
    gli amministratori e gli impiegati che svolgono mansioni di gestione all'interno di istituti, consorzi o aziende dipendenti dal comune o dalla provincia;
    coloro che già ricoprono una carica elettiva in un altro ente locale dello stesso livello.
Chi ha esercitato le funzioni di sindaco per due mandati consecutivi non è immediatamente rieleggibile alla medesima carica, a meno che uno dei due mandati precedenti non abbia avuto – per cause diverse dalle dimissioni – una durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno;[N 23] un terzo incarico consecutivo è ammesso in ogni caso nelle municipalità con popolazione fino a 3 000 abitanti.[N 18]
I cittadini degli altri Stati appartenenti all'Unione europea si possono candidare a consigliere comunale e, come previsto dalle normative comunitarie, a membro del Parlamento europeo spettante all'Italia.[N 3][N 5]
Sono privati del diritto all'elettorato passivo tutti i cittadini soggetti alla misura dell'interdizione dai pubblici uffici o agli altri provvedimenti che implicano la perdita del diritto di voto.[N 38] La cosiddetta legge Severino vieta inoltre di presentare la propria candidatura, per le elezioni politiche ed europee, a coloro che abbiano riportato condanne penali definitive superiori a due anni di reclusione;[N 46] la durata del periodo di incandidabilità dipende dall'illecito commesso e non può essere in ogni caso inferiore a sei anni.[N 47] La medesima norma stabilisce altresì che non si possono candidare alle consultazioni regionali e amministrative i cittadini condannati in via definitiva per alcune categorie di reati oppure indiziati di appartenere a un'associazione di tipo mafioso o con finalità sovversive.[N 48] I sindaci e i presidenti della provincia riconosciuti colpevoli di dissesto finanziario non possono candidarsi ad alcuna carica per un periodo di dieci anni.[N 49]

La Costituzione sancisce il principio del libero mandato per coloro che ricoprono un incarico elettivo, con esplicito riferimento ai parlamentari.[N 50]
Come si vota
Le più piccole circoscrizioni in cui è suddiviso il territorio italiano sono le sezioni elettorali, la cui definizione compete ai singoli comuni nei limiti dei vincoli fissati dalla legge.[N 51] Le sezioni elettorali di ciascun comune sono identificate da un numero progressivo. Ogni cittadino viene iscritto di norma nelle liste degli elettori della sezione nel cui ambito territoriale è compreso il suo luogo di residenza;[N 52] il numero della sezione in cui l'elettore risulta iscritto è riportato sulla tessera elettorale, il documento personale che permette l'esercizio del diritto di voto.[N 53]
In occasione delle votazioni, per ogni sezione viene appositamente istituito un seggio elettorale denominato «ufficio elettorale di sezione», a cui compete la gestione delle operazioni di voto e di scrutinio.[N 54] generalmente i seggi sono allestiti all'interno degli edifici scolastici.[2]
In ogni ufficio elettorale di sezione prestano servizio un presidente, un numero variabile di scrutatori (uno dei quali svolge le funzioni di vicepresidente) e un segretario: i loro compiti consistono nel sovrintendere allo svolgimento di tutte le procedure che hanno luogo nella sala della votazione, tutelando in particolare la libera espressione del voto da parte degli elettori.[N 54] Al seggio possono avere accesso, se regolarmente accreditati secondo le modalità previste dalla legge, i rappresentanti dei candidati (o dei gruppi parlamentari e dei comitati promotori in caso di referendum).[N 55]
Per poter esercitare il proprio diritto di voto, l'elettore deve presentarsi di persona al seggio elettorale corrispondente alla sezione in cui è iscritto; dunque non è ammesso il voto per delega.[N 56] È necessario inoltre esibire la tessera elettorale e un documento di riconoscimento valido o scaduto da non più di tre anni.[N 57][N 58]
Per poter votare, l'elettore si deve recare all'ufficio elettorale di sezione in cui è iscritto
L'elettore esprime materialmente il proprio voto su di un foglio prestampato detto «scheda elettorale», utilizzando la matita copiativa che gli viene consegnata;[N 8] la scheda deve essere compilata in modo riservato all'interno di un'apposita cabina, pena l'annullamento del voto stesso.[N 59] È vietato portare con sé in cabina fotocamere, telefoni cellulari o altri dispositivi atti a registrare immagini.[N 60] Le modalità specifiche di voto dipendono dalla tipologia di votazione e dal sistema elettorale in vigore: generalmente è possibile tracciare un segno sul nome del candidato prescelto o sul simbolo della lista elettorale prescelta o su entrambi; in alcuni casi sono consentiti il voto di preferenza, ovvero la facoltà di scegliere uno o più candidati all'interno di una lista, e il voto disgiunto, cioè la possibilità di votare per una lista non collegata al candidato prescelto.[N 15][N 61] Nei referendum la scheda reca i riquadri corrispondenti alle due opzioni «sì» e «no».[N 62] L'elettore deve infine ripiegare la scheda votata e restituirla al presidente o al vicepresidente dell'ufficio elettorale di sezione, il quale provvede a depositarla pubblicamente in un'urna.[N 8] Insieme alla scheda deve essere riconsegnata anche la matita.[N 8]
Allo scopo di garantire l'esercizio del diritto di voto ai cittadini affetti da grave infermità, i ciechi e gli amputati delle mani sono autorizzati – sotto opportune condizioni stabilite dalla legge – a farsi accompagnare in cabina da un altro elettore che esprima il voto per loro[N 56], mentre le persone la cui vita dipende da apparecchiature elettromedicali hanno facoltà di votare a domicilio.[N 63] I degenti in ospedale possono fare richiesta, entro il terzo giorno antecedente le elezioni, di votare nel luogo di ricovero.[N 64] Gli elettori non deambulanti provvisti di certificato medico sono ammessi a votare in qualsiasi seggio elettorale privo di barriere architettoniche.[N 65] I componenti del seggio, i vigili del fuoco, i poliziotti, i militari, gli aviatori e i naviganti hanno la facoltà di votare nel luogo in cui si trovano.[N 66][N 67] I cittadini italiani residenti o dimoranti temporaneamente all'estero possono votare – solo per le elezioni politiche e i referendum nazionali – tramite servizio postale, a meno che non si trovino in un paese in cui tale pratica non è possibile per circostanze esterne.[N 68][N 69]
Sono previste sanzioni penali per i cittadini che si presentino a votare senza averne diritto oppure assumendo un'identità falsa, così come per gli elettori che esprimano il proprio voto più di una volta in una stessa consultazione.[N 70][N 71] La condanna a una pena detentiva per un reato in materia elettorale comporta in ogni caso l'interdizione dai pubblici uffici e la sospensione o la revoca del diritto di voto.[N 72]
Lo spoglio delle schede e il conteggio dei voti sono effettuati dai componenti dell'ufficio elettorale di sezione; l'attribuzione dei voti, in particolare, spetta al presidente di seggio.[N 73] A questo proposito, la legge stabilisce il principio secondo il quale il voto debba essere assegnato ogniqualvolta sia ragionevolmente possibile desumere la volontà dell'elettore, a condizione che quest'ultimo non abbia reso chiaramente riconoscibile il proprio voto.[N 74] Qualunque cittadino può assistere allo scrutinio della sezione in cui è iscritto,[N 75] senza toccare le schede;[N 73] in casi di necessità il presidente di seggio può chiedere l'allontanamento da parte della forza pubblica di chiunque ostacoli il corretto svolgimento delle operazioni.[N 76] La dichiarazione dei risultati dello scrutinio è un provvedimento di natura amministrativa, e quindi impugnabile.[N 77] Per quanto riguarda le elezioni politiche, i tribunali amministrativi sono incompetenti: come prescritto dalla legge, le decisioni definitive sugli eventuali reclami spettano esclusivamente agli organi di verifica dei poteri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.[N 78]

Come ci si candida
I movimenti politici che rappresentano le minoranze linguistiche d'Italia possono beneficiare di procedure agevolate per la presentazione delle candidature alle elezioni politiche ed europee
La presentazione di una candidatura comporta in genere una raccolta di firme. Per poter concorrere alle elezioni, ciascuna lista di candidati deve presentare una dichiarazione sottoscritta da un numero di elettori dipendente dal tipo di votazione e dalla popolazione della circoscrizione elettorale o del territorio interessato.[N 79][N 80] Le firme debbono essere raccolte e autenticate nell'intervallo di tempo indicato dalla legge, a pena del loro annullamento.[N 81] Nessun elettore può sottoscrivere più di una lista di candidati.[N 82]
Nel dettaglio, per poter prendere parte all'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, è previsto che ciascuna lista debba presentare almeno 1 500 e non più di 2 000 firme in ogni collegio plurinominale.[N 79][N 80]
Per essere ammessa alla consultazione per il rinnovo del Parlamento europeo, ogni lista di candidati deve essere sottoscritta da un numero di cittadini compreso fra 30 000 e 35 000; il corpo elettorale di ciascuna regione appartenente al territorio della circoscrizione deve essere rappresentato da almeno 3 000 firme, a pena della nullità della procedura.[N 83]
Tanto per le elezioni politiche quanto per le europee, restano esonerati dai suddetti adempimenti – sotto opportune condizioni – i partiti già presenti in Parlamento e i gruppi politici rappresentativi di minoranze linguistiche riconosciute dalla Costituzione.[N 79][N 80][N 83]

Nelle regioni a statuto ordinario, ciascuna candidatura alla carica di presidente deve essere sostenuta da un numero di firme pari a quello stabilito per l'elezione del Senato.[N 84] Ogni lista di candidati alla carica di consigliere regionale deve inoltre essere approvata da:[N 84][N 85]
    almeno 2 000 e non più di 3 000 elettori nelle circoscrizioni provinciali con popolazione superiore a 1 000 000 di abitanti;
    almeno 1 750 e non più di 2 500 elettori nelle circoscrizioni provinciali con popolazione superiore a 500 000 abitanti e non superiore a 1 000 000 di abitanti;
    almeno 1 000 e non più di 1 500 elettori nelle circoscrizioni provinciali con popolazione superiore a 100 000 e non superiore a 500 000 abitanti;
    almeno 750 e non più di 1 100 elettori nelle circoscrizioni provinciali con popolazione non superiore a 100 000 abitanti.
Qualora le elezioni politiche o regionali siano anticipate di oltre 120 giorni rispetto alla scadenza del mandato, il numero di firme da presentare è ridotto della metà.[N 79][N 80][N 84]

Per quanto riguarda le consultazioni amministrative, la legge dispone che ogni dichiarazione di candidatura alla carica di sindaco e ciascuna lista siano sottoscritte da:[N 9]
    almeno 1 000 e non più di 1 500 elettori nei comuni con popolazione superiore a 1 000 000 di abitanti;
    almeno 500 e non più di 1 000 elettori nei comuni con popolazione superiore a 500 000 abitanti e non superiore a 1 000 000 di abitanti;
    almeno 350 e non più di 700 elettori nei comuni con popolazione superiore a 100 000 e non superiore a 500 000 abitanti;
    almeno 200 e non più di 400 elettori nei comuni con popolazione superiore a 40 000 e non superiore a 100 000 abitanti;
    almeno 175 e non più di 350 elettori nei comuni con popolazione superiore a 20 000 e non superiore a 40 000 abitanti;
    almeno 100 e non più di 200 elettori nei comuni con popolazione superiore a 10 000 e non superiore a 20 000 abitanti;
    almeno 60 e non più di 120 elettori nei comuni con popolazione superiore a 5 000 e non superiore a 10 000 abitanti;
    almeno 30 e non più di 60 elettori nei comuni con popolazione superiore a 2 000 e non superiore a 5 000 abitanti;
    almeno 25 e non più di 50 elettori nei comuni con popolazione compresa fra 1 000 e 2 000 abitanti.
Per le elezioni amministrative nelle municipalità con popolazione inferiore a 1 000 abitanti non è prevista alcuna raccolta di firme.[N 9]
Sistema elettorale

Lo stesso argomento in dettaglio: Sistema elettorale italiano.
In Italia sono in vigore sistemi elettorali differenti per i vari tipi di votazione.

Per quanto riguarda le elezioni politiche, dal 2017 è in vigore la legge Rosato, un sistema elettorale misto a separazione completa: in ciascuno dei due rami del Parlamento, il 37% dei seggi assembleari è attribuito con un sistema maggioritario uninominale a turno unico, mentre il 61% degli scranni viene ripartito fra le liste concorrenti mediante un meccanismo proporzionale corretto con diverse clausole di sbarramento.[N 86] Le candidature per quest'ultima componente sono presentate nell'ambito di collegi plurinominali, a ognuno dei quali spetta un numero prefissato di seggi; l'elettore non dispone del voto di preferenza né del voto disgiunto.[N 86] La Costituzione stabilisce altresì che otto deputati e quattro senatori debbano essere prescelti dai cittadini italiani residenti all'estero.[N 11]
Attribuzione dei seggi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica[3] Camera dei deputati    Senato della Repubblica
   
Metodo di elezione             Seggi    %       Metodo di elezione          Seggi    %
   Maggioritario uninominale a turno unico    148    37%       Maggioritario uninominale a turno unico    74    37%
   Proporzionale con sbarramento al 3%    244    61%       Proporzionale con sbarramento al 3%    122    61%
   Voto degli italiani residenti all'estero    8    2%       Voto degli italiani residenti all'estero    4    2%

Le elezioni europee sono disciplinate da un sistema proporzionale con sbarramento al 4%;[N 87] ogni elettore dispone inoltre di tre voti di preferenza.[N 88] Per le liste delle minoranze linguistiche è contemplata la facoltà di collegamento con una lista nazionale.[N 83]

Il presidente della giunta regionale viene eletto direttamente dai cittadini in un turno unico di votazioni; non è quindi previsto il ballottaggio.[N 89][N 90] Le norme vigenti prevedono inoltre che il consiglio regionale sia eletto contestualmente al presidente mediante un sistema proporzionale con premio di maggioranza.[N 84] Quattro quinti dei seggi assembleari sono attribuiti proporzionalmente, sulla base di liste presentate nelle diverse province;[N 84] sono ammessi il voto di preferenza e il voto disgiunto.[N 61] Le liste che hanno ottenuto una percentuale inferiore al 3% dei voti non ottengono alcun seggio, a meno che non siano collegate a un candidato presidente che abbia superato il 5% dei consensi a livello complessivo.[N 91] Un quinto dei seggi è assegnato sulla base di liste regionali (i cosiddetti «listini») il cui capolista è il candidato alla presidenza.[N 84] La coalizione più votata fa eleggere in blocco tutti i candidati del proprio listino, con la seguente eccezione: se le liste provinciali collegate alla lista regionale vincente hanno ottenuto almeno il 50% dei seggi, alla nuova maggioranza è attribuita solo la metà dei seggi riservati al listino, mentre il resto viene distribuito tra le liste di opposizione.[N 90] In ogni caso, il presidente eletto ha diritto a una maggioranza stabile in consiglio (clausola di governabilità): se l'insieme delle liste a lui collegate ha ottenuto meno del 40% dei seggi, oltre alla totalità dei seggi del listino gli viene attribuita una quota ulteriore di consiglieri che gli permetta di raggiungere il 55%.[N 90] Le regioni Abruzzo,[N 92] Calabria,[N 93] Campania,[N 94] Emilia-Romagna,[N 95] Friuli-Venezia Giulia,[N 96] Lombardia,[N 97] Marche,[N 98] Puglia,[N 99] Sardegna,[N 100] Sicilia,[N 101] Umbria,[N 102] Toscana[N 103] e Veneto[N 104] hanno introdotto alcune modifiche alla normativa nazionale; in Trentino-Alto Adige[N 105][N 106][N 107] e in Valle d'Aosta[N 108] sono in vigore regole specifiche allo scopo di garantire la rappresentanza delle minoranze linguistiche.

Quanto alle elezioni comunali nelle municipalità con popolazione superiore a 15 000 abitanti (10 000 in Sicilia[N 109]), viene eletto sindaco il candidato che ha conseguito la maggioranza assoluta dei voti validi.[N 110] Qualora nessuno dei concorrenti superi la soglia del 50%, si ricorre a un ballottaggio tra i due candidati più votati al primo turno.[N 110] Ai fini della distribuzione fra le liste dei seggi assembleari, si utilizza un metodo proporzionale con sbarramento al 3%; alla coalizione di liste collegate al candidato eletto sono comunque garantiti – attraverso un eventuale premio di maggioranza – almeno i tre quinti dei seggi.[N 111] Quest'ultima regola non viene applicata soltanto nel particolare caso in cui i cittadini attribuiscano la maggioranza assoluta a una coalizione diversa da quella del sindaco eletto: in tale circostanza si instaura una coabitazione forzata nota colloquialmente come «anatra zoppa».[N 111] Nelle elezioni comunali sono inoltre ammessi il voto disgiunto e un massimo di due voti di preferenza a favore di candidati consiglieri di genere diverso appartenenti alla medesima lista.[N 111] Le consultazioni provinciali si svolgevano con un sistema analogo basato su di uno speciale meccanismo di liste bloccate, in cui i candidati dei vari partiti politici – in numero pari ai seggi disponibili – erano assegnati ciascuno a un singolo collegio uninominale.[N 112][N 113]

Per le elezioni comunali nei centri minori e per le consultazioni circoscrizionali, è in vigore un sistema maggioritario a turno unico con preferenze: alla lista più votata sono assegnati i due terzi dei seggi assembleari.[N 114] Qualora sia stata ammessa alle elezioni una sola lista, la consultazione viene dichiarata nulla se non vi prende parte almeno la metà degli elettori oppure se il numero dei voti validi non raggiunge almeno la metà dei votanti.[N 114][N 115] Nei comuni valdostani anche il vicesindaco viene eletto direttamente dai cittadini.[N 16]

Referendum popolari
Lo stesso argomento in dettaglio: Referendum (ordinamento italiano).
L'ordinamento italiano prevede l'istituto del referendum popolare.[N 6]
Un'urna per la votazione utilizzata in Italia
Cinque consigli regionali o 500 000 elettori possono richiedere l'indizione di un referendum finalizzato ad abrogare – in tutto o in parte – una legge ordinaria, un decreto-legge o un decreto legislativo.[N 24] Non sono in ogni caso assoggettabili a referendum le leggi tributarie e di bilancio, i provvedimenti di amnistia e di indulto, nonché gli atti di ratifica dei trattati internazionali.[N 24] I referendum abrogativi sono inoltre regolamentati dalle seguenti disposizioni:
    le firme dei cittadini che sostengono il referendum debbono essere raccolte nell'arco di tre mesi;[N 116]
    la domanda dev'essere depositata tra il 1º gennaio e il 30 settembre;[N 117]
    la richiesta di referendum non può essere presentata nell'anno precedente alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di indizione delle elezioni politiche:[N 118]
    nel caso di elezioni anticipate, il referendum già convocato viene rinviato:[N 119]
    la consultazione referendaria può avere luogo solamente tra il 15 aprile e il 15 giugno.[N 119]

Il referendum abrogativo è dichiarato valido e produce i suoi effetti se sono soddisfatte entrambe le condizioni seguenti:[N 24]
    alla consultazione prende parte la maggioranza dei cittadini aventi diritto al voto (quorum);
    il numero dei voti favorevoli supera il numero dei voti contrari.

La Costituzione contempla anche la possibilità di richiedere un referendum confermativo di una legge costituzionale che sia stata approvata in seconda delibera con una maggioranza inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna delle due Camere.[N 25] In questo caso, l'istanza può essere presentata da un quinto dei componenti di una Camera, da cinque consigli regionali oppure da 500 000 elettori entro tre mesi dalla pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale.[N 25] La legge costituzionale sottoposta a referendum viene promulgata se i voti favorevoli sono la maggioranza dei voti validi; non è necessario il raggiungimento di alcun quorum sul numero dei votanti.[N 25]

Esistono poi due categorie di consultazioni referendarie sulla modifica delle circoscrizioni territoriali:[N 26]
    il referendum che, in caso di espressione favorevole da parte dei cittadini, costituisce il presupposto di una legge costituzionale per la fusione di più regioni o per l'istituzione di una nuova regione;
    il referendum che, in caso di espressione favorevole da parte dei cittadini, costituisce il presupposto di una legge ordinaria per il distacco di una provincia o di un comune da una regione e la sua aggregazione a un'altra.

Lo statuto di ciascuna regione disciplina l'esercizio dei referendum locali, anche di natura propositiva, relativi alle leggi e ai provvedimenti amministrativi della regione medesima.[N 27][N 28][N 29]
Propaganda elettorale
Manifesti propagandistici in piazza del Duomo a Milano nel 1968

La legge prevede che, nell'imminenza di consultazioni elettorali e referendarie, la propaganda politica sia soggetta a regolamentazione.[N 10]

Comizi, riunioni e altre iniziative analoghe organizzate in luoghi aperti al pubblico si possono svolgere – anche senza autorizzazione preventiva dell'autorità di pubblica sicurezza – fra il 30º giorno antecedente la data fissata per le elezioni e la mezzanotte del penultimo giorno precedente l'apertura della votazione, quando entra in vigore il cosiddetto «silenzio elettorale».[N 120][N 121] Nel medesimo intervallo di tempo, la propaganda per mezzo di manifesti è ammessa esclusivamente negli appositi spazi a ciò destinati;[N 122] sono invece vietate altre forme di propaganda luminosa o figurativa fissa, il lancio di volantini in luogo pubblico e la propaganda luminosa mobile.[N 123] La propaganda tramite chiamate telefoniche preregistrate, posta elettronica, messaggi SMS e modalità simili è permessa solamente a condizione che sia stato preventivamente acquisito il consenso esplicito dei singoli destinatari.[N 124]

A partire dal giorno in cui viene formalizzata l'indizione delle votazioni, i programmi televisivi e radiofonici sono sottoposti al principio della par condicio, in base al quale deve essere garantito il confronto a parità di condizioni tra i diversi candidati e le varie opinioni politiche.[N 125] Per i notiziari, le emittenti locali e gli organi d'informazione dei partiti sono previste norme meno restrittive.[N 126][N 127] Nei quindici giorni antecedenti il voto, è interdetta la pubblicazione di qualsiasi sondaggio relativo all'orientamento politico dei cittadini, anche se effettuato in precedenza.[N 128]
Nel giorno fissato per la votazione, è proibita ogni forma di propaganda all'interno degli uffici elettorali di sezione e nell'area compresa in un raggio di 200 metri.[N 120]
Il voto quale dovere civico
In Italia, alle elezioni dell’Assemblea Costituente (2 giugno 1946), fu introdotto il principio della obbligatorietà del voto. Inoltre, nell’art.48 della Costituzione, al secondo comma (ancora in vigore), viene stabilito che “Il suo esercizio è dovere civico.”

L’obbligo del voto viene introdotto nella legge ordinaria, limitatamente alle elezioni politiche, dal D.P.R. n.361/1957, che nell’art.4 disponeva:
«L'esercizio del voto è un obbligo al quale nessun cittadino può sottrarsi senza venir meno ad un suo preciso dovere verso il Paese.»

Contestualmente, l’art.115 del citato D.P.R. stabiliva le conseguenze dell’astensione, tra cui l’inserimento in un elenco nominativo degli astenuti (comma 2) e la sua esposizione per la durata di un mese nell'albo comunale (comma 3).[N 129]
La sopra riportata versione dell’art.4 perdura fino alla sua modifica a seguito della Legge n.277/1993.[N 130]
Nello stesso anno viene integralmente abrogato l’art.115, ovvero viene abrogato l'obbligo di compilazione dell'elenco nominativo degli astenuti.[N 131]
27  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / In Italia senso civico sotto i tacchi e sicurezza come capita. inserito:: Febbraio 12, 2024, 11:29:56 pm
Alessandro M. senso civico sotto i tacchi e sicurezza come capita.
Ma non per colpa delle Forze dell'Ordine.

Abbiamo e abbiamo avuto, governi miopi e indaffarati nei loro interessi.
La partitocrazia é impegnativa, con tutti quei personaggi da organizzare.
ciaooo
28  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Molti si dicono AntiAmericani e AntiEuropei, ma per essere "COSA"? inserito:: Febbraio 12, 2024, 11:24:43 pm
Elio Truzzolillo
SOTTOSCRIVO AL 90%
Direi che sottoscrivo al 90% questo testo.  Con la specificazione che la cosa che mi dà più fastidio non sono gli artisti che fanno appelli che spesso sono di una genericità e di un’approssimazione disarmante, spesso figli di bias personali che contrabbandano per verità universali. La cosa che mi dà più fastidio sono gli intellettuali e i giornalisti che li deificano per il loro straordinario coraggio e la loro eccezionale sensibilità e da cui noi tutti, che non essendo artisti non avremo mai la loro sensibilità, dovremmo prendere esempio (caro Telese mi spieghi dove sarebbe il coraggio?). Solo per due frasette in croce. Per il resto hanno il diritto di dire ciò che vogliono, ci mancherebbe altro.

Pubblicato da Giuseppe Ranieri
Da “Il Cavaliere Nero” di Virgin Radio - Intervento di Antonello Piroso

Sto facendo, giuro, training autogeno da stamattina per rimanere calmo, perchè poi con la memoria sono ritornato al clima che si respirava nei famigerati anni 70, quando andava di moda l'impegno e il concerto politico, quando gli artisti dovevano prendere posizione. E se c'erano artisti che non s'inchinavano al politicamente corretto dell'epoca, erano guai seri.
Ricordo le molotov al concerto di Carlos Santana, il processo sul palco a Francesco De Gregori, non lo fecero cantare, lui andò in camerino, lo andarono a prendere (pare che qualcuno avesse pure una pistola) perché si sottoponesse al tribunale del popolo, per cosa? Boh.
Perché non era abbastanza "compagno", faceva pagare il biglietto, o vai a ricordare e a capire per cosa. Una follia. Follia pura. Per fortuna anni archiviati. Stiamo parlando del passato. Però posso confessarvi in tutta sincerità e onestà, e dal profondo del cuore, il fastidio, e dire fastidio è ancora poco, che ho provato ancora stamattina nel leggere una frase imbecille, loffia, intellettualmente scadente: per fortuna che a Sanremo ci sono stati artisti che hanno ricordato i drammi del mondo che ci circonda, che hanno riportato il Festival alla realtà.
Ma che, davero? Cioè: sul serio dite? C'era bisogno che a Sanremo ci ricordassero la realtà come se giornali, tv, talk show, tg, gli stramaledetti social non fossero pieni tutti i giorni di dibattiti e di contrapposizioni sui trattori, l'ucraina, il medioriente, i vaccini, l'emergenza climatica, l'inflazione...Ma scusate, con tutto il rispetto per l'artista, ma chissenefrega di cosa pensa Dargen D'Amico, chissenefrega di Ghali, con quella parolina buttata lì, "genocidio", così, perché il mood è che bisogna schierarsi, e bisogna stare dalla parte giusta -qualunque sia la parte giusta- buttata lì senza contestualizzare, senza approfondire, ragionando per slogan e frasi fatte, che "chiama" e acchiappa un facile applauso.
Ma poi, scusate, gli altri 28 artisti che a Sanremo si sono limitati a cantare senza il comizietto, cosa sono? Delle me...nte umane? Sono cinici trafficanti di morte? Sono indifferenti alle sciagure e ai mali del mondo?
Macchisenefrega perfino di Teresa Mannino, ottima comica, che si è infilata nella diatriba su John Travolta e il ballo del quaqua, e ha tirato in ballo il fatto che siamo una colonia americana, "lo sappiamo tutti -ha detto- non possiamo parlare perchè siamo sudditi degli Stati Uniti", che se io fossi stato in sala stampa avrei alzato il ditino e avrei detto, scusi dottoressa Mannino, sono d'accordo con lei, ma per capire: lei alla fine della seconda guerra mondiale avrebbe preferito che l'Italia finisse sotto l'influenza sovietica, nell'orbita della dittatura comunista, come la Germania orientale, la polonia, la Cecoslovacchia dove Jan Palach si diede fuoco davanti ai carri armati del Patto di Varsavia, come la rivolta ungherese soppressa nel sangue?
Così, per capire. Perché se tu ti infili su quel terreno lì, poi provochi una reazione uguale e contraria...Allora per l'anno prossimo facciamo così, siccome è doveroso impegnarsi, lottizziamo il Festival e prevediamo le quote: ci deve essere un cantante vegano, quello che fa l'appello per il fine vita, quello che si batte per il salario minimo, quello preoccupato dalle disfunzioni erettili, o dalla menopausa...e via elencando. Il tutto ovviamente in nome dell'articolo 21 della Costituzione, che garantisce la libertà di espressione.
Quindi, artisti, fate un po' quello che vi pare, ma se possibile limitatevi a cantare, e risparmiateci i pipponi. Perché il problema non è che in Italia c'è poca libertà d'espressione, che c'è la censura, che c'è il bavaglio. Il problema è che ce n'è troppa, di libertà d'espressione. Soprattutto quando è fatta fuori contesto, e -tappate le orecchie ai vostri bambini- a cazzo di cane.

da FB
29  Forum Pubblico / ICR-E -/- COMUNICAZIONE OPERATIVA ORGANIZZATIVA. Editoria. / L'epidemia invisibile: quelle imprese "fallite" con 156 miliardi di debiti verso inserito:: Febbraio 11, 2024, 10:46:22 pm
05 febbraio 2024   Versione web

 Mercoledì scorso il viceministro all’Economia Maurizio Leo, di Fratelli d’Italia, ha creato polemiche nella sua maggioranza: “L’evasione fiscale è come un macigno – ha detto –. Tipo il terrorismo”. Dalla Lega si sono levate voci contro la “caccia alle streghe”, mentre dal resto del mondo politico – maggioranza e opposizione – nessuno ha pronunciato una parola a sostegno di Leo. Un’osservazione interessante si è però sentita il giorno dopo, per bocca del direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini: il cosiddetto “magazzino” della riscossione, in sostanza lo stock delle tasse e multe non pagate, vale 1.206 miliardi di euro (al 31 dicembre scorso). Ora, era 987 miliardi tre anni e mezzo prima. Dunque, sta crescendo al ritmo medio di 62 miliardi all’anno. Costa succede in Italia? Davvero dei “terroristi” fiscali si aggirano fra noi? (Non esitate a scrivermi: commenti o domande, contestazioni e proposte)

 L'epidemia invisibile: quelle imprese "fallite" con 156 miliardi di debiti verso il fisco
Ho l’impressione che con quella battuta Leo volesse lanciare un messaggio al garante della privacy Pasquale Stanzione (nominato a suo tempo dai 5 Stelle), perché permetta più controlli sui dati personali dei contribuenti. Ma un aumento in pochissimi anni di oltre duecento miliardi dei debiti degli italiani verso lo Stato, riconosciuti ma non pagati, richiede qualche spiegazione di più. Quel “magazzino” in buona parte è come un cimitero delle tasse: si sa già che almeno il 40% delle somme è irrecuperabile, sepolto da qualche parte, anche perché spesso riguarda imprese che non esistono più. E l’aumento impressionante dal 2020 non può essere solo il risultato dell’ingresso trionfale del “magazzino” dei crediti delle amministrazioni autonome della Sicilia. Dev’esserci anche qualcos’altro.
Ho dato un’occhiata all’andamento del “cimitero” fiscale dell’ultimo decennio. E almeno un’anomalia salta fuori. E’ riportata nei numeri allegati all’audizione dell’Agenzia delle Entrate alla commissione Finanze e Tesoro del luglio scorso (tabella 3) e riguarda il sistema produttivo. I crediti fiscali dello Stato verso “soggetti falliti”, cioè imprese in bancarotta, hanno un andamento bizzarro. Fra l’inizio del secolo e il 2010 si erano formati al ritmo di circa tre miliardi l’anno. Poi, fra il 2011 e il 2015 e fra il 2016 e il 2020, la velocità dell’accumulo dei debiti delle imprese fallite verso l’Erario è cresciuta a poco più di cinque miliardi l’anno. E anche qui, soprattutto nel primo quinquennio, tutto sempre abbastanza normale: fra il 2009 e il 2013 il prodotto lordo collassò del 7,6% e in seguito è rimasto quasi stagnante fino al Covid. E’ comprensibile che in quella fase siano stati più numerosi i fallimenti, anche di soggetti che avevano arretrati con il fisco. 
Poi però anche nel 2021 e nel 2022 i crediti fiscali verso lo Stato delle imprese fallite hanno continuato a formarsi sempre allo stesso ritmo. Sempre cinque miliardi l’anno. E questo è molto più strano. Quasi misterioso. Com’è possibile? In quel biennio il prodotto lordo è cresciuto del 10,7% e infatti ci sono stati molti meno fallimenti. Come vedete dal grafico qui sopra (la linea rossa), si viaggia al ritmo di circa duemila fallimenti a trimestre, mentre per gran parte del decennio precedente erano fra tremila e quattromila. Ovvio, anche perché il Fondo pubblico di garanzia per le piccole e medie imprese sta garantendo i debiti di queste ultime per più di 100 miliardi. Ma se ci sono molti meno fallimenti; eppure, questi ultimi generano sempre gli stessi (enormi) insoluti verso lo Stato, può voler dire solo una cosa: le aziende che saltano in questi anni sono molto più cariche di arretrati fiscali e contributivi. Come se stesse diventando di moda concentrare tasse e contributi non pagati dentro veicoli societari ai quali poi si stacca la spina. Vengono fatti fallire ad arte: bancarotta fraudolenta ai danni dei contribuenti onesti.
Oggi il “magazzino” delle imprese fallite presso l’Agenzia delle Entrate vale 156 miliardi e vale invece 168 miliardi quello dei “soggetti deceduti e ditte cessate” (in gran parte, di queste ultime). Impossibile dire quanto di queste somme sia legato a frodi fiscali, ma sicuramente una parte sostanziale. Il danno alla cosa pubblica è enorme, anche perché il Fondo di garanzia dell’Istituto nazionale previdenza sociale (Inps) deve poi intervenire per circa mezzo miliardo all’anno a coprire gli ultimi tre mesi di contributi e la liquidazione dei dipendenti di quelle aziende usate e poi mandate contro gli scogli (qui a pagina 410).
E che le bancarotte siano sempre più spesso concepite per frodare il fisco si nota da alcuni dettagli. A novembre il ministero delle Imprese ha firmato un’intesa con la Procura di Roma per rafforzare la vigilanza contro l’“illegalità” nelle false cooperative. Parlate con qualunque commissario liquidatore nominato dal ministero per gestire i fallimenti, e vi dirà (a registratore spento) che la stragrande maggioranza dei casi risulta palesemente volta all’evasione su larga scala: si caricano di debiti fiscali e contributivi aziende che poi vengono sfasciate, con dentro i lavoratori che si trovano senza lavoro e senza copertura pensionistica.
Lo schema di solito è elaborato da un consulente fiscale dell’azienda-madre. Vengono esternalizzate a un “consorzio” funzioni ad alta intensità di lavoro come la gestione del magazzino, le consegne o le pulizie e il facchinaggio. Il consorzio a sua volta appalta le attività a cooperative o a “società semplificate a responsabilità limitata” (ssrl), che si possono costituire in modo semplice e senza costi. I dipendenti, spesso stranieri, ricevono il netto mensile e l’attestazione della busta-paga, ma i loro contributi e il Tfr in realtà non sono mai versati. Il consorzio scherma la società-madre e l’operazione viene gestita da prestanome prezzolati. Dimostrare le responsabilità e risalire ai veri colpevoli è spesso defatigante, ben aldilà delle forze della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate. I debiti contributivi e fiscali si accumulano, fin quando la finta cooperativa o ssrl viene lasciata andare al suo destino, con dentro il suo carico umano. E’ semplice: basta che il consorzio non la finanzi più.
Ogni tanto qualche bagliore illumina la cronaca nera: la Procura e il Tribunale di Milano che commissariano una società di logistica dell’aeroporto di Malpensa, dopo il pesante fallimento di una cooperativa; a marzo scorso la Guardia di Finanza di Milano che arresta 22 persone e sequestra 292 milioni di euro, in un’inchiesta fondata sull’accusa di bancarotte pilotate in serie che andavano avanti dall’anno duemila; a Verona un’indagine molto simile nel 2022 individua 24 società “spurie” e porta all’accusa verso 71 persone.
Tutti i coinvolti sono innocenti fino all’ultimo grado di giudizio, doveroso. Ma tutte queste esternalizzazioni, cresciute in anni recenti “esponenzialmente” – secondo lo studio legale milanese Morri Rossetti – non si spiegano se non con l’intento di pagare in qualche modo qualcosa di meno da qualche parte. E' come un'epidemia di illegalità silente e invisibile in una parte del tessuto economico del Paese, una di quelle malattie non diagnosticate o ignorate fin oltre il possibile. Perché questi non sono fenomeni isolati, ma sempre più diffusi in certe parti della società e dei ceti professionali d'Italia. Sono fenomeni epidemici perché, abbattendo i costi, innescano emulazione fra concorrenti. Siamo per questo un popolo di terroristi fiscali? Senz’altro no. Ma fra noi si aggirano insospettabili e ben vestiti terroristi fiscali? Be', vale la pena chiederselo. 
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30  Forum Pubblico / LA NOSTRA COLLINA della più BELLA UMANITA', quella CURIOSA. / Storie di birra e formaggio: dalla Toscana lo “scoppolato” che svela le sue ... inserito:: Febbraio 11, 2024, 10:43:35 pm
Storie di birra e formaggio: dalla Toscana lo “scoppolato” che svela le sue sintonie con la pinta

di Simone Cantoni
11 febbraio 2024
Birra e formaggio scoppolato

Quando assaporare un boccone vuol dire immergersi in un racconto tra storia e leggenda; ma non di quelli che cantano le gesta di qualche divinità: no, in questo caso, la vicenda è più una saga popolare, il cui contesto e i cui protagonisti sono la cornice e i personaggi di un’ordinaria quotidianità. Il che contribuisce a rendere la narrazione assai credibile, sebbene alla trama non manchino certo i contributi di fantasia. Il tutto a tessere un intreccio che ha al centro un formaggio, lo “Scoppolato di Pedona”: probabilmente il più conosciuto tra quelli tipici della Versilia, lembo della provincia di Lucca che si estende tra il Tirreno e le Apuane.

IL “ROMANZO” DELLO SCOPPOLATO
Ambientazione: l’abitato di Pedona, frazione del comune di Camaiore, poco più di duecento anime sotto il campanile della chiesa di San Jacopo. Epoca dei fatti: lo scorcio finale dell’Ottocento. Ed ecco la vicenda. Il pastore Tristano incarna l’archetipo consacrato dal proverbio “contadino, scarpe grosse e cervello fino”. Un possidente lucchese, Giovambattista Pacini, gli ha affidato un gregge di pecore, da governare per preparare del buon formaggio che il facoltoso committente possa servire a tavola per il piacere del proprio palato, per quello della sua famiglia e per quello degli eventuali ospiti. Il campagnolo, però, di soppiatto, tiene per sé una parte del latte ovino, lavorandola “in purezza” e ottenendone preziose caciotte che fa maturare a lungo in grotta; mentre al ricco cliente rifila il cacio ottenuto mischiando la parte restante della mungitura con latte di altro tipo, di vacca: buono, carità, ma diverso. Infatti il risultato non è malaccio, tuttavia non è da strapparsi i capelli; e il Pacini non manca di farlo presente: anzi, a più riprese. Al che, ogni volta, Tristano risponde porgendo le sue più “sincere” scuse e sottolinea il proprio rammarico togliendosi di testa il cappello. Indovinate quale? Eh sì, una coppola; da cui il battesimo del formaggio: ovviamente quello più buono, che il pastore non condivideva con nessuno.

IL PRESENTE E LE REGOLE DI PRODUZIONE
In effetti c’è anche un altro legame allegorico che unisce il nostro formaggio con l’immagine di un cappello sollevato e rovesciato: un riferimento che attiene alle sue modalità di servizio. Come riferisce Gabriele Ghirlanda – imprenditore che ha riscoperto la tradizione dello scoppolato e l’ha riportata in vita nel 2008 – questo prodotto dà il meglio di sé se lo si porziona non a fette, bensì tagliandone le caciotte (da un chilo, chilo e due) grossomodo a metà in senso orizzontale: capovolgendo quella superiore (in effetti una “levata di coppola”) e avendo così come due “ciotole di cacio”, dalle quali, con un cucchiaino, raschiare la pasta in “petali” tendenti ad arricciarsi leggermente. Questo il punto d’arrivo di una procedura di preparazione attenta e paziente. Il latte (rigorosamente ed esclusivamente ovino) viene pastorizzato e cagliato in due riprese, generando una massa caseosa che viene deposta in stampi circolari. Da qui si estraggono le forme, destinate, dopo la salagione, al percorso di affinamento, articolato a sua volta in due fasi: la prima (da 2 a 3 mesi) in ambienti a umidità costante e controllata sul 70%; la seconda (altri 3-4 mesi) in cantine con un grado d’umidità inferiore, fra il 20 e il 30%. All’uscita, la crosta viene trattata con olio di vinacciolo e quindi si procede con la messa in commercio.

IL BOCCONE E LE SUE CARATTERISTICHE
All’assaggio, la consistenza è non ostica; la materia grassa non indifferente (siamo sul 30% abbondante); il profumo sfaccettato, con note di latte fresco, panificato a breve cottura, erbe di campo e mandorla; il gusto risulta garbato, non irruente, ma di temperamento, con un fondo di dolcezza attraversato da lievi correnti acide e animato da un finale di misurata sapidità. Un identikit sensoriale che, nell’ottica dell’abbinamento con la birra, dà spunto ad alcune considerazioni immediate: optare per tipologie tendenzialmente non amare né sapide (entrambi connotati conflittuali con la personalità dello scoppolato); che abbiano buoni requisiti di gestione della frazione lipidica (acidità, bolla e alcol, singolarmente o in combinazione); che presentino un tessuto aromatico capace di richiami armonici rispetto a quello del formaggio. Ed ecco, di seguito, tre applicazioni pratiche delle appena elencate “regole d’ingaggio”.

CON LA WITBIER
Avvio in surplace, con la delicatezza e la moderazione alcolica (siamo sui 4,5 gradi) della “Hesperia”, la Blanche del birrificio “Ventitré”, a Grottaminarda (Avellino). Dorata nel colore, viene speziata con buccia d’arancia amara, coriandolo e pepe rosa; tanto da manifestare, sul piano olfattivo, una sintonia (pur nella divergenza delle tematiche) soprattutto con la connotazione lattea dello scoppolato: creando suggestioni che richiamano alla mente alcuni trattamenti (della pasta o della crosta) applicati in più casi a formaggi di vario genere. Al palato, poi, la sorsata presenta due qualità in questo caso positive: priva di amaro, non urta le affilatezze del boccone; mentre con la sua acidulità, da una parte intercetta (operando in sovrapposizione armonizzante) l’analogo connotato gustativo del nostro cacio e, dall’altra, ne diluisce con sostanziale diligenza il filamento grasso, agendo qui in alleanza con la carbonazione che vivacizza la bevuta.

CON LA BERLINER WEISSE
Si scende di grado alcolico (a quota 3.7), ma si sale in densità sensoriale. Sul quadrato sale infatti una Berliner Weisse, peraltro in versione “wild”: è la “Berlinette” targata “Molesto”, marchio artigianale a Cupramontana (Ancona), che affina per un anno in bottiglia, dopo l’aggiunta di batteri lattici e brettanomiceti. Dorata nel colore e velata d’aspetto, la sua sorsata – che rispetto alla precedente si presenta idem priva di amaro ma ovviamente più spinta nell’acidità – migliora le funzioni di gestione della materia lipidica presente nel boccone, evitando di entrare in conflitto con le sue spigolosità: in pratica replicando, in termini di compatibilità gustativa, i buoni risultati ottenuti dalla “Hesperia”, sebbene i rapporti di forza tra nelle densità sensoriali “tra piatto e bicchiere” siano in questo caso spostati a favore del secondo. Sul piano olfattivo, interessante l’intreccio tra il lattico della bevuta e quello del formaggio, così come tra le rusticità “funky” della prima e il naso caseario del secondo (a creare suggestioni di caciotte stagionate nel fieno).

CON LA SAISON
Chiude la sequenza una Saison – la “Cheyenne” della scuderia “Mastrale” (a Campi Bisenzio, in provincia di Firenze) – che si qualifica per la sostanziale assenza d’amaro, pur nella doverosa secchezza della bevuta. Color dorato carico, la sua sorsata (5.9 gradi e una bella bollicina) di nuovo massaggia a dovere le densità lipidiche dello scoppolato; di nuovo, all’acidulità del formaggio, soprappone armonicamente la propria; di nuovo, con il boccone, instaura un bel dialogo olfattivo, tornando a proporre un naso speziato e agrumato, riportandosi sul binario lungo il quale abbiamo visto procedere la “Hesperia”.

BIRRIFICIO VENTITRÉ
Via Perugia, 23 – Grottaminarda (Avellino)
T. 0825 881074
info@birrificioventitre.it
www.birrificioventitre.it

BIRRIFICIO MOLESTO
Via Marianna Ferranti, 4 – Cupramontana (Ancona)
T. 351 9844903
birrificio@moles.to
www.moles.to

BIRRIFICIO MASTRALE
Via Ugo Novelli, 66 – Campi Bisenzio (Firenze)
T. 349 0909964
birra.mastrale@gmail.com
www.birramastrale.it

da - https://www.cronachedigusto.it/la-birra-della-settimana/storie-di-birra-e-formaggio-dalla-toscana-lo-scoppolato-che-svela-le-sue-sintonie-con-la-pinta/
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