Rep: Hotpot di Filippo Santelli
08 settembre 2020
Ciao a tutti da Pechino, dopo una piccola pausa di qualche giorno è di nuovo tempo di Hotpot.
Ieri qui a Pechino sono tornati in classe anche gli ultimi allievi della scuola dell'obbligo, dal grado 1 (la prima elementare, 6 anni) al grado 12 (ultimo anno di superiori, 18 anni). All'ingresso degli edifici, sotto dei tendoni da campo, viene misurata loro la temperatura, disinfettate mani e suole delle scarpe. Da oggi poi, fino a giovedì, riaprono anche gli asili, dopo che tutti gli insegnanti sono stati sottoposti a una serie di test sanitari. E' fatta: il ritorno a scuola di bambini e ragazzi, senza alcuna limitazione sul numero di alunni per classe, è uno dei segnali che le autorità cinesi considerano il coronavirus ufficialmente sconfitto. Sarebbe impensabile altrimenti mettere in pericolo la gioventù nazionale. Ma di segnali ce ne sono anche altri. I cinesi hanno ripreso a viaggiare all'interno del Paese, gli aeroporti sono ancora mezzi vuoti ma le località turistiche sono di nuovo affollate. In alcune province che ho visitato di recente, come il Guizhou dove sono stato per lavoro (qui un po' di videoracconto) e lo Yunnan per una splendida mini vacanza (qui), le persone non portano più le mascherine per strada. Anche a Pechino la si indossa di meno, e la si toglie tutti senza paura dentro i locali. Hanno riaperto perfino i cinema. D'altra parte sono 22 giorni consecutivi ormai che la Cina non registra alcun positivo "locale" al coronavirus, gli unici sono quelli che arrivano dall'estero.
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Certo non tutto è tornato come prima. Restano le app sanitarie delle varie province, il codice verde da mostrare all'ingresso di determinate aree, locali o edifici pubblici. E ovviamente restano rigidamente controllate le frontiere esterne, con limitazioni dei voli in ingresso e quarantena "centralizzata" di due settimane per chi arriva, in hotel designati dalle autorità. Eppure, al netto di questo e con tutte le cautele del caso, si può dire che al momento la Cina ha vinto la sua battaglia ed è il primo grande Paese del mondo ad essere entrato nell'Era "post-Covid", mentre il resto del pianeta ancora fatica a gestire seconde e terze ondate, riaperture scolastiche e app di tracciamento. Non a caso oggi, in una grande cerimonia a Pechino, il presidentissimo Xi Jinping premierà i benemeriti della nazione che si sono distinti nella battaglia, a cominciare dai medici di prima linea.
Una domanda e una considerazione. La domanda che mi sono fatto in questi giorni è se davvero i contagi in Cina siano davvero arrivati a zero, come il regime lascia intendere e molti cittadini mostrano di credere. Qualsiasi epidemiologo vi direbbe che è altamente improbabile, che il virus circola ancora sotto traccia. Ma se la spensieratezza che ho visto in certe parti del Paese, dove non si praticano più distanziamento né mascherina, può apparire rischiosa, allo stesso tempo il governo ha mostrato di saper agire con velocità ed estrema decisione ogni volta che spunta un nuovo focolaio, tracciando i contatti, mettendo in lockdown le comunità interessate e testando milioni di persone, come è stato fatto a Wuhan, a Pechino e più di recente in Xinjiang.
La considerazione è quindi che bisogna riconoscere alla Cina, ai suoi cittadini e al suo governo, i meriti che si sono guadagnati sul campo. Lo stesso regime che per le sue fisiologiche disfunzioni all'inizio ha ignorato, sminuito o peggio nascosto la minaccia, quando si è messo in moto ha mostrato una capacità di mobilitazione collettiva incredibile, una delle chiavi per affrontare una emergenza sanitaria del genere. Ovviamente un sistema autoritario ha delle leve che le democrazie non possiedono. Ma la dicotomia "autoritarismo contro democrazia" non spiega in maniera efficace i successi o gli insuccessi nell'affrontare il virus, visto che regimi democratici come Taiwan o la Corea del Sud hanno bene quanto la Cina. La chiave mi sembra piuttosto nel livello di fiducia nei confronti di un sistema, delle sue istituzioni e delle sue regole, fiducia che nel mondo Orientale è profondamente legata alla tradizione confuciana. Ridurre questo all'autoritarismo, alla repressione o alla propaganda sarebbe sbagliato. Dal primo all'ultimo momento c'è stata nella maggior parte dei cittadini cinesi la consapevolezza che spettasse al governo gestire, governare appunto, la situazione, e che rispettare le disposizioni fosse la cosa da fare nell'interesse individuale e collettivo. Se fossi in Xi Jinping e nel Partito comunista archivierei questo "cigno nero" chiamato coronavirus come un grande attestato di solidità, almeno a livello interno.
Ultime dalla Cina
Si è concluso il viaggio in Europa del ministro degli Esteri cinese Wang Yi, di cui siamo stati i primi a anticipare l'itinerario. L'obiettivo era ricucire i rapporti con alcuni dei principali governi dell'Unione, Italia compresa, incrinati dall'aggressività della propaganda cinese durante la crisi virale (l'altra faccia del successo di cui parlavo sopra) ed evitare così che si saldi con gli Stati Uniti un fronte atlantico contro la Cina, possibile soprattutto se vincerà Biden. Il bilancio è fallimentare, visto che Wang si è presentato senza concessioni concrete da offire all'Europa e ha dovuto ascoltare critiche a ogni tappa del suo viaggio, perfino dal solitamente timido Di Maio. Lunedì prossimo è previsto un importante meeting in videoconferenza tra i vertici della Commissione, più Angela Merkel, e Xi Jinping. L'Europa attende passi avanti concreti sul trattato sugli investimenti che da anni discute con Pechino e per Xi questa è una delle ultime occasioni per concederli prima delle elezioni americane.
A parte questo, ho incontrato Guo Pei, la più grande stilista di Cina. Una che è cresciuta durante la Rivoluzione cultuale, quando un bell'abito era un crimine politico, ha vissuto la straordinaria apertura del Paese, l'arrivo della moda e dei colori, le prime fabbriche private e ha finito per vestire Rihanna con un abito a forma di frittata. Racconto tutto qui.
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Letture cinesi
Ho finito di leggere Country Driving, il bellissimo libro in cui Peter Hessler, insegante e scrittore americano trapiantato in Cina, racconta le sue avventure sulle strade del Dragone all'inizio degli anni 2000. Oltre ad avere una grande penna, è raro trovare una persona dallo sguardo così umano e profondo. Trovo che in mezzo a quella che molto definiscono una Nuova Guerra Fredda, la Cina rischi di essere disumanizzata, schiacciata sul volto e sulle parole dei media dei regime o dei funzionari di Partito. Proprio di recente Hessler è stato criticato perchè il suo punto di vista sarebbe troppo ristretto e lascerebbe fuori un contesto di autoritarismo e repressione che va sempre esplicitato. Io trovo invece che le sue pagine offrano una prospettiva diversa e più vicina alla quotidianità, di cui c'è estremo bisogno per chi oggi vuole capire la Cina.
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Buon Hot Pot a tutti!
Filippo
Da -
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