LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. => Discussione aperta da: Admin - Febbraio 24, 2008, 04:04:00 pm



Titolo: MARIO MONTI. -
Inserito da: Admin - Febbraio 24, 2008, 04:04:00 pm
24/2/2008 (6:50) - L'INTERVISTA

"In Italia troppi privilegi nessuno tocca le lobby"
 
Mario Monti: sono loro a creare prezzi più alti e minore crescita

CARLO BASTASIN
MILANO


Professor Monti, pochi giorni fa la Commissione europea ha rivisto al ribasso la crescita dell’economia italiana. E vi sono scenari anche più pessimistici. Ha la sensazione che l’Italia possa trovarsi presto in una situazione di grave emergenza?
«Temo di sì. Una duplice grave emergenza, nella crescita e nella distribuzione. Molti italiani fanno sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese perché l’Italia fa sempre più fatica ad essere competitiva nel mondo. La scarsa produttività riduce la quota di mercato di ciò che l’Italia produce e restringe il prodotto totale che essa è in grado di distribuire. E quegli stessi fattori che frenano la produttività – privilegi, rendite, poteri di blocco di cui godono tante categorie – fanno sì che a pagare il conto della mancata crescita e della maggiore inflazione siano soprattutto le poche categorie non protette. Le previsioni della Commissione europea e il nuovo indice dei prezzi dell’Istat offrono nuovi fotogrammi di questo filmato preoccupante».

Nei programmi elettorali si parla però soprattutto di come spartire i tesoretti, di come ridurre le tasse. Qual è la sua impressione?
«L’impressione di essere in Finlandia. Questo mi rallegra e mi preoccupa. Mi rallegra molto notare, nel dibattito tra le parti contrapposte, almeno per ora, tonalità più pacate di quelle cui eravamo abituati. Ma mi preoccupa vedere, da una parte e dall’altra, un atteggiamento piuttosto rassicurante in materia di politica economica, quasi un senso di business as usual . Gli uni e gli altri sono alla ricerca di modi in cui lo Stato possa chiedere di meno e dare di più ai cittadini. Perfetto, se fossimo in Finlandia: un paese, e ce ne sono altri in Europa, ad alta crescita, con un bilancio pubblico in rilevante avanzo, un debito pubblico basso e in rapida diminuzione, un’inflazione sotto controllo malgrado la forte crescita. Un paese ossigenato dalle foreste, non soffocato dai corporativismi. In Italia, senza drammatizzare, un robusto senso dell’emergenza mi parrebbe appropriato».

Promettendo tagli fiscali forse Walter Veltroni e Silvio Berlusconi sentono il peso delle critiche alla Casta, ma lei sembra puntare il dito piuttosto su gran parte della società italiana che giudica chiusa su connivenze e privilegi.
«L’insofferenza dei cittadini per i costi e le inefficienze della politica contiene una carica salutare. E’ positivo che i politici reagiscano, con le parole e, speriamo, con i fatti. Ma presenta anche, secondo me, due rischi insidiosi. Il primo rischio è che i titolari del potere pubblico vengano presi da un sistematico “senso di colpa”, che quasi si scusino per l’esistenza dello Stato e che, per essere eletti, promettano di togliere qualcosa allo Stato per darlo agli elettori. Il secondo rischio è che, all’opposto, la società civile tenda sistematicamente ad autoassolversi, a considerare lo Stato e le tasse come il male principale, a non vedere come un male le tutele corporative in cui ogni categoria si rinchiude a riccio».

Forse la politica italiana non ha la credibilità per chiedere più sacrifici e tende a ritirarsi?
«A mio parere occorre certo uno Stato più leggero ed efficiente. Ma uno Stato più forte, senza complessi. Uno Stato che, proprio perché crede nel mercato, ne disciplini rigorosamente il funzionamento, ne punisca le devianze. Uno Stato che sappia imporre a noi cittadini, a tutte le nostre organizzazioni e corporazioni, un disarmo della foresta di protezioni e rendite. Una foresta che si è ampliata a dismisura nei decenni proprio con la complicità di uno Stato debole. Per acquisire consensi, ha introdotto norme che riparano dalla concorrenza e ha eretto le organizzazioni delle categorie in protagonisti ufficiali delle decisioni di politica economica. Speriamo che sia possibile ridurre la pressione fiscale. Ma perché non dare priorità massima alla riduzione della “fiscalità” da rendite? Ogni privilegio crea una rendita. Ogni rendita ha gli effetti di una tassa: determina prezzi più alti, minore crescita, minore occupazione. Eliminare le rendite è come ridurre le tasse, ma senza gravare sul bilancio dello Stato».

Il partito democratico e quello del Popolo delle Libertà sono impegnati a non dilatare troppo la propria base politica. Può essere un handicap se vogliono davvero rimuovere privilegi tanto diffusi?
«Non so se altri elettori farebbero altrettanto, ma nel decidere per chi votare io valuterò positivamente, e non negativamente, quel programma che includesse non tanto promesse di dare, quanto promesse di togliere . Di togliere a noi cittadini il potere di bloccare il funzionamento del mercato; di bloccare la costruzione – nel rispetto ovviamente delle sacrosante esigenze ambientali – delle infrastrutture essenziali per un paese moderno».

E’ necessario un governo di Grande coalizione per riuscire a slegare la società italiana?
«Non so quanto siano diffuse le opinioni che le ho esposto. Ho l’impressione che lo siano sempre di più, non solo tra gli economisti, ma anche tra i cittadini in generale. Certo, ci vorrebbe un’opera di spiegazione e di persuasione da parte dei leader politici. Ma credo che molti italiani comincino a rendersi conto che forse siamo anche noi italiani, e il nostro modo di chiuderci in tante caste, a dover cambiare, non solo i nostri politici».

In queste ore Silvio Berlusconi e Walter Veltroni girano attorno al tema delle larghe intese.
«Una politica di intervento sulle rendite sarebbe facilitata se nel nuovo clima quasi finlandese di dialogo, meglio se prima di arrivare alla sauna finale del voto, Berlusconi e Veltroni (li cito in ordine alfabetico), e chi altro vuole, si guardassero in faccia e ci dicessero se vedono o no la necessità di questa operazione di riduzione delle rendite per dare spazio alle energie di crescita dell’Italia. Siccome dovrebbero essere chiamate a “contribuire” categorie vicine alla destra, al centro e alla sinistra, una presa di posizione comune sarebbe per ciascuno meno costosa in termini di consensi. Una tale piccola e circoscritta intesa preelettorale, che solo gli sciocchi potrebbero considerare un “inciucio” (non trovo la traduzione finlandese), accrescerebbe le probabilità di un’opera sollecita di disboscamento nel primo anno della nuova legislatura. In tempo per vedere i benefici, anche in termini di consenso, che conseguirebbero ad un’operazione che gioverebbe all’Italia sotto il profilo economico e anche, credo, sotto quello civile».

da lastampa.it


Titolo: Mario MONTI. -
Inserito da: Admin - Marzo 17, 2008, 02:41:24 pm
GOVERNARE LA GLOBALIZZAZIONE

Protezionismo e riforme


di Mario Monti


La globalizzazione in corso sta apportando grandi benefici e grandi problemi, a livello mondiale e all'interno di ogni Paese. Essa non è un fenomeno irreversibile. Nel 1914 la globalizzazione era, in molti aspetti, ancora più avanzata di oggi. Ma la guerra la infranse. È chiaro da anni che la globalizzazione attuale richiede, per non cozzare contro ritorni protezionistici, di essere molto più governata dai pubblici poteri, attraverso un ben più efficace coordinamento internazionale. Progressi sono in corso, ma lenti e insufficienti.


In tutti i Paesi coesistono gli sforzi rivolti a rendere le rispettive economie più competitive, per vivere con successo la globalizzazione, e gli appelli rivolti a proteggerle, per frenare l'impatto della globalizzazione. Questa tensione ideale e politica tende a ravvivarsi nelle fasi elettorali. Ciò è naturale e opportuno, trattandosi di definire l'agenda politica per i prossimi anni. Per i Paesi membri dell'Unione europea, va tenuta ben presente un'importante asimmetria. Ciò che un Paese può fare per diventare più competitivo, è in larga misura nelle proprie mani. Per tradurre in atto intenti protezionistici, invece, un Paese che non voglia uscire dall'Unione europea può solo battersi per far prevalere la linea protezionistica in sede comunitaria. Lì è possibile impegnarsi per una politica di totale apertura, per una politica di chiusura protezionistica o — linea difficile ma a lungo andare promettente — per una politica che usi il peso europeo per affermare maggiormente sul piano globale regole di funzionamento corretto dei mercati.


Il futuro economico e civile di un Paese dipende molto da due aspetti della strategia che il Paese sceglie in materia. In primo luogo, l'impegno per profonde e rapide riforme strutturali, rivolte a una maggiore competitività, dovrebbe essere considerato essenziale anche da chi propenda per un indirizzo protezionistico. In un'Europa che, come mostrano recenti ricerche, nel complesso ha saputo trarre dalla globalizzazione benefici importanti, la battaglia per il protezionismo non sarebbe né facile né rapida. Intanto, sarebbe davvero imprudente non attrezzare il Paese per una sfida competitiva che sta perdendo. E che, anche nello scenario protezionistico, si protrarrebbe almeno per qualche tempo ancora. Inoltre, con quale credibilità invocherebbe il protezionismo in sede europea il governo di uno dei pochi Paesi che non si sono ancora messi in grado di affermarsi con le proprie forze nel mercato globale ?
In secondo luogo, nel formarsi un'opinione sull'opportunità di un orientamento protezionistico, occorre anche considerare la mappa degli interessi interni che se ne avvantaggerebbero. Sarà questo uno dei temi discussi oggi a Parigi nella riflessione su «Aprire la società alle riforme », promossa dal Corriere della Sera e dall'Università Bocconi. È probabile che da un'opzione di protezione possano trarre beneficio tutti coloro che, all'interno del sistema economico-sociale di un Paese, godono di rendite di posizione. Sarebbe infatti attenuato l'impulso ad abbattere tali rendite con riforme per creare più libertà di entrata. Certamente, tra i principali beneficiari sarebbero i soggetti della politica. Nel corso dei decenni, la possibilità per la politica di occupare spazi impropri nella vita economica e finanziaria, e di accrescere senza fine la propria discrezionalità e i propri privilegi, ha trovato un serio limite solo nell'apertura internazionale, in particolare nell'integrazione europea.

12 marzo 2008

da corriere.it


Titolo: Mario MONTI. -
Inserito da: Admin - Settembre 25, 2008, 04:49:17 pm
USA, EUROPA E ITALIA

Stato e mercato oltre la crisi

di MARIO MONTI


Molti lettori del Corriere, ritengo, si identificano in una visione che considera positivamente l'economia di mercato, anche come base di una società pluralista; riconosce la leadership esercitata dagli Stati Uniti nel promuoverne la diffusione; apprezza l'integrazione europea anche come àncora dell'Italia ai princìpi e alle regole dell' economia di mercato al di là del succedersi dei governi. I recenti riflussi contro la globalizzazione, la crisi finanziaria dirompente, gli interventi pubblici di salvataggio impongono ripensamenti profondi. La riflessione è in corso in tutto il mondo. Richiederà tempo e umiltà. Sui fronti contrapposti del dibattito, non mancano coloro che già emettono posizioni nette e taglienti, ma si ha a volte l'impressione che si tratti più che altro di «regolamenti di conti», accademici o politici. Anche il Corriere ha avviato, con una pluralità di voci come è nella sua tradizione, uno sforzo per comprendere e spiegare questo violento terremoto finanziario e le sue ripercussioni sistemiche.

Per parte mia, vorrei oggi chiedermi che conseguenze potrà avere il terremoto sulla tenuta della «nostra » visione, richiamata all'inizio. Guarderò prima agli Stati Uniti, poi all'Europa e infine all'Italia. Gli Stati Uniti mi paiono, lo dico con rammarico, molto indeboliti nella loro opera storica di promozione dell'economia di mercato. I salvataggi operati dalle autorità americane danno sollievo ai mercati finanziari, ma offrono agli oppositori dell'economia di mercato, in Europa e altrove, un'inaudita occasione per invocare l'esempio americano: diranno che perfino il portabandiera dell'economia di mercato ne ha violati i principi fondamentali. Se anche si ammette che in qualche misura i salvataggi fossero inevitabili, non si possono non valutare negativamente le politiche che vi hanno condotto: l'espansione monetaria esuberante dell'era di Alan Greenspan, la disattenzione agli squilibri di finanza pubblica, l'assetto obsoleto delle autorità di vigilanza, le connivenze tra politica e finanza che hanno reso intoccabile l'esplosivo sistema delle garanzie pubbliche agli istituti di finanziamento immobiliare.

Se la cattiva governance dell'economia americana ha recato un grave vulnus all'immagine dell'economia di mercato, non dobbiamo però dimenticare che gli Stati Uniti hanno un grande punto di forza nella flessibilità ed efficienza dei mercati dei prodotti e del lavoro, oltre che nella capacità di ricerca e innovazione. L'Unione Europea non potrà essere indenne dalle tendenze recessive generate dalla crisi finanziaria nata in America. Ma ha costruito nel tempo una governance dell'economia più moderna e più solida. La politica della Banca centrale europea è generalmente giudicata migliore di quella del Federal Reserve System. Nell'esercizio dei suoi poteri a presidio delle regole di mercato la Commissione europea non è «catturata » dai poteri economico- finanziari come è avvenuto spesso negli Stati Uniti: garanzie come quelle dimostratesi perniciose a Washington esistevano in Germania ma Bruxelles le ha eliminate, i salvataggi non sono impossibili ma devono avvenire rispettando severe condizioni e con trasparenza. Anche in Europa, tuttavia, la nuova stagione porterà a tensioni e ripensamenti.

Tensioni, perché alcuni obietteranno a Bruxelles che l'Unione europea è rimasta l'unica isola in cui l'economia di mercato viene fatta rispettare con rigore. Ripensamenti, perché si potrà ritenere necessario, per fronteggiare la crisi economica, un maggiore intervento pubblico. Se questo si rivelerà necessario, è auspicabile che si tratti di interventi pubblici comunitari, come nelle recenti proposte del Ministro Tremonti, e non di maglie più larghe per interventi pubblici nazionali che possano frammentare il mercato unico faticosamente costruito. Infine, l'Italia. Nell'Italia del dopoguerra, la prevalenza della cultura cattolica e di quella marxista, la scarsa presa della cultura liberale avevano fatto sì che il modello dell'economia di mercato, con regole adeguate, si affermasse solo tra gli anni ’80 e ’90. Affermazione che avvenne non per convinzione endogena, come era accaduto 30 anni prima in Germania, ma come evoluzione resa necessaria dalla crescente concorrenza internazionale e soprattutto dall'avvento dell'unione economica e monetaria europea. Il colpo ora inferto al prestigio dell'economia di mercato proprio dagli Stati Uniti, specie se fosse seguìto da un'inversione di marcia della globalizzazione e da un indebolimento del quadro istituzionale europeo, ridarebbe fiato insperato alle molte voci—di sinistra, di centro e di destra—che in Italia avevano dovuto inchinarsi alle ragioni del mercato per necessità.

Sarà come se, di colpo, l'onere della prova si fosse ribaltato. Il movimento del pendolo si è invertito. Quando stava per iniziare la fase che forse oggi si conclude, all'indomani della vittoria elettorale di Margaret Thatcher, da queste colonne invitavo sia i fautori del mercato sia i sostenitori dell'intervento pubblico a non lasciarsi guidare né dalla superficialità di una moda, né da una poco appropriata contrapposizione ideologica («Più mercato o più Stato», Corriere, 11 giugno 1979). Molto sarebbe dipeso, aggiungevo, da come il mercato o lo Stato sarebbero stati messi in grado di svolgere, in concreto, i compiti a essi assegnati. Negli anni e decenni successivi, dal Corriere sono state lanciate o sostenute specifiche proposte—spesso accolte dai governi e dalle autorità monetarie—miranti a introdurre da un lato liberalizzazioni, dall'altro strumenti adeguati di disciplina pubblica sui mercati liberalizzati. Mi permetto di ripetere ora lo stesso invito, alle forze politiche di governo e di opposizione e ai protagonisti della vita economica. Può darsi chemaggiori interventi pubblici, anche a livello nazionale, si dimostrino necessari.

Ma, nella ricerca di nuove configurazioni nell'economia sociale di mercato, sarebbe pericoloso lasciarsi guidare semplicemente dall'insofferenza verso la disciplina imposta dalle regole del bilancio pubblico o da quelle del mercato. Soprattutto, converrà tenere ben presenti tre considerazioni. In Italia, anche per il ritardato avvicinamento alla cultura del mercato, vi sono ambiti in cui il quantum di «mercato» è ancora insufficiente: o perché non è ancora stato introdotto mentre sarebbe opportuno farlo, oppure perché mercato vi è, ma insufficientemente concorrenziale o non adeguatamente vigilato. Nei confronti internazionali l'Italia è di solito tra i Paesi i cui mercati — per modalità di regolamentazione, funzionalità ed efficienza -—sono considerati ampiamente perfettibili. Nel valutare l'opportunità di un ruolo maggiore per il «pubblico», sarà necessario sostenere gli sforzi, che sono in corso, per accrescere l'impegno e l'efficienza nelle pubbliche amministrazioni ma senza dimenticare che, tuttora, la funzionalità che le caratterizza non brilla, nei confronti internazionali, per capacità di contribuire alla crescita e alla competitività del paese.

E andrà tenuto presente che «pubblico» non deve significare discrezionale e arbitrario. Sarebbe questo il modo migliore per far cadere ulteriormente l'attrattività dell'Italia come luogo di investimento da parte delle imprese internazionali. Soprattutto, è essenziale evitare che un maggiore «volontarismo» dei pubblici poteri, in sé lodevole, si traduca in interventi tali da creare una confusione dei ruoli tra Stato e mercato, tra politica e imprese. Fu proprio tale confusione di ruoli, soprattutto negli anni ’70 e ’80, a ledere il potenziale di crescita dell'economia italiana, a sprofondarla negli squilibri finanziari, a mettere in dubbio la sua capacità di far parte pienamente dell'Europa.

21 settembre 2008

da corriere.it


Titolo: MARCO ZATTERIN Quei colpi di stato
Inserito da: Admin - Settembre 30, 2008, 11:59:24 am
30/9/2008
 
Quei colpi di stato
 
 
MARCO ZATTERIN
 
Ora si scopre che è tutto da rifare, che il mercato globale è cresciuto così da rendere obsolete le regole della concorrenza imposte all’Europa da Trattati di mezzo secolo fa. Dove sia cominciata la tragedia poco importa, se non che l’America può provare ad affrontare i crac comprando 250 miliardi di titoli spazzatura, mentre l’Ue deve fare lo stesso badando a non infrangere i limiti che si è data.

I più sono soddisfatti dell’impianto normativo, però non esitano ad ammettere che, sotto il fuoco di crisi e speculazione, mostra i suoi limiti. «È la stessa partita di calcio - commenta un diplomatico -, solo che una squadra non è tenuta a rispettare il fuorigioco».

Il cardine della politica comunitaria della concorrenza è che tutti hanno gli stessi diritti e doveri. Uno Stato non può sfruttare la gestione del denaro dei contribuenti. Nelle operazioni economiche deve comportarsi come «un privato». Così l’Italia non può ricapitalizzare Alitalia. Col risparmio il discorso può cambiare: il presidente francese Sarkozy per primo ha attaccato la linea «dogmatica» dell’Ue. Con lui la Germania, che ha chiesto flessibilità sugli aiuti di Stato di fronte alla crisi. La Commissione abbozza, ma ricorda che le regole «ammettono la possibilità di adeguarsi alle circostanze». La nazionalizzazione è ammessa? «Il Trattato è neutrale», risponde Bruxelles. Si possono sborsare 11 miliardi per salvare una banca? «Sì, a condizioni di mercato». Altrimenti? «Si chiede il rimborso dei fondi». Anche se si danneggiano i risparmiatori? Nessuna risposta. Gli oppositori dei dogmi affermano che non si può morire per la concorrenza: vero. I difensori dicono che tenere la barra fissa serve a governare un condominio di 27 Paesi: vero anche questo. Però mentre la finanza Usa può violare le regole e Washington - in teoria - salvarla di tasca sua, l’Ue si avviluppa fra cento supervisori e mille regole. Il nuovo scenario impone maggiore flessibilità e un vero governo congiunto dell’economia. In tempi di guerra, le leggi dei giorni di pace non si applicano più.

 
da lastampa.it


Titolo: Mario Monti L’Unione Europea tiene
Inserito da: Admin - Ottobre 06, 2008, 06:40:06 pm
LA CRISI FINANZIARIA E IL SUMMIT DI PARIGI

L’Unione Europea tiene


di Mario Monti


La crisi finanziaria, nata negli Stati Uniti, è destinata ad avere impatto su tutti i Paesi del mondo. Ma il suo impatto sarà duplice su una sola parte del mondo, l’Unione Europea. Questo perché la Ue non è un Paese ma un processo di integrazione tra Paesi, non è uno Stato ma un moto. Come tutti gli altri, la Ue sta subendo l’impatto della crisi sui mercati finanziari e sull’economia reale. A differenza degli altri, essa subirà anche un impatto sulla sua stessa identità, cioè sull’integrazione. Mentre il primo è fortemente negativo, questo secondo impatto potrebbe anche non esserlo. Dipende solo da noi europei. E’ grande il rischio che i diversi Stati europei tentino di rispondere alla crisi con interventi nazionali non coordinati, che porterebbero verso una disintegrazione, cioè al crollo di elementi importanti della costruzione comune già realizzata.

Ma vi è anche l’opportunità di reagire alla crisi in modo cooperativo, rafforzando la costruzione con alcuni elementi strutturali senza i quali essa mostra la propria fragilità. La crisi farebbe allora compiere un passo avanti all’integrazione. Non sarebbe la prima volta. Senza le gravi crisi valutarie del passato, i governi e le banche centrali non avrebbero mai trovato la forza per rinunciare alla «sovranità monetaria». E’ così, dalle crisi, che nacquero l’euro e la Banca Centrale Europea, senza i quali la crisi attuale avrebbe sull’Europa conseguenze ancora più pesanti. Il vertice di ieri a Parigi ha posto le premesse perche la Ue affronti la crisi in modo cooperativo, contrastando le tendenze alla disintegrazione. Il metodo comunitario, che ha valore sostanziale nella vita della Ue, è stato rispettato. I capi di governo dei quattro membri europei del G8 (Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna) non hanno preso decisioni, che spettano al Consiglio dei 27 Stati Membri, alla Commissione e alla Banca Centrale Europea (i cui presidenti hanno peraltro partecipato all'incontro).

I Quattro hanno però definito chiari orientamenti comuni che porteranno in Consiglio, nonché nelle sedi internazionali come il G8. La dichiarazione dei Quattro dovrebbe contribuire a rasserenare i risparmiatori e i mercati. I governi seguono la crisi con grande attenzione, assumono un atteggiamento proattivo e coordinato, sono pronti a intervenire con gli strumenti che hanno disposizione, intendono approntarne altri con urgenza. Fissano alcuni principi di fondo ai quali si atterranno e ai quali richiamano tutti i partners. Indicano una serie di iniziative concrete alle quali, con il loro peso, daranno impulso. Emerge un indirizzo chiaro in favore dell' integrazione. Si respingono possibili passi indietro, affermando la necessità di tenere conto, nel prendere decisioni sul piano nazionale, delle loro conseguenze sugli altri Stati membri. E si prospettano vari passi avanti nell'integrazione. Vanno in questa direzione, ad esempio, la creazione immediata di un collegio di supervisori per la vigilanza sulle istituzioni finanziarie transfrontaliere, la creazione di una cellula di crisi composta dai supervisori, dalle banche centrali e dai ministeri delle finanze, il coordinamento delle norme sulla sicurezza dei depositi.

Probabilmente occorrerà muovere più decisamente verso un'autorità europea di vigilanza, ma i passi sopra elencati rappresentano già innovazioni sulle quali sarebbe stato difficile trovare il consenso prima di questa crisi. Ci si sarebbe potuto aspettare che, data la gravità della crisi e le sue ripercussioni psicologiche, venissero messi profondamente in discussione due pilastri della costruzione comunitaria, vissuti spesso come costrizioni comunitarie anche in tempi non di crisi: il patto di stabilità e di crescita, presidio della moneta unica, e le norme sulla concorrenza e gli aiuti di Stato, presidio del mercato unico. Al riguardo, la dichiarazione dei Quattro appare equilibrata, tra le ragioni dell'eccezionalità del momento e quelle della tutela dell' unione economica e monetaria. «Nelle attuali circostanze eccezionali - dice la dichiarazione - sottolineiamo la necessità che la Commissione continui ad agire rapidamente e a dare prova di flessibilità nelle sue decisioni in materia di aiuti di Stato, pur salvaguardando i principi del mercato unico e del regime sugli aiuti di Stato.

L'applicazione del Patto di stabilità e di crescita dovrebbe essa pure riflettere le circostanze eccezionali che attraversiamo, in applicazione delle regole del Patto». Molto dipenderà, ora, dal seguito specifico che alla dichiarazione verrà dato in sede di Consiglio, a cominciare dall'Eurogruppo e dall’Ecofin di domani e dopodomani, dalla Commissione e dalla Banca Centrale Europea. E' possibile che si rivelino necessari altri interventi di salvataggio di istituzioni finanziarie. Su questo punto, non si è registrato l'accordo sull'ipotesi, prospettata dalla Francia e sostenuta dall'Italia, di un fondo comunitario di sostegno. In particolare si sarebbe opposta la Germania, preferendo soluzioni nazionali. In proposito, mi sembra necessaria una considerazione. Finché si tratti di salvataggi operati dai governi nazionali, ma nel sostanziale rispetto delle norme sugli aiuti di Stato, si può comprendere la posizione tedesca.

Ma nel caso dovessero manifestarsi ulteriori tensioni molto forti nei mercati e vi fossero pressioni per un regime eccezionale, ad esempio di deroghe temporanee al controllo sugli aiuti di Stato, allora sarebbe nell'interesse della Ue - e dei valori del mercato unico e della concorrenza che la Germania ha promosso più di altri nei decenni - che si provvedesse piuttosto con un fondo comunitario o, al limite, con l'intervento degli Stati nel capitale delle banche in difficoltà. Nella logica e nella prassi della costruzione comunitaria, vi è infatti neutralità tra proprietà privata o pubblica del capitale delle banche, o delle imprese in generale. Ma è fondamentale che sia quelle private che quelle pubbliche siano sottoposte alle norme sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato. Disparati salvataggi nazionali in deroga alle regole sugli aiuti di Stato sarebbero, per il mercato unico, più nocivi di salvataggi compiuti con uno strumento comunitario o anche con nazionalizzazioni. Inoltre, se l'intervento pubblico di sostegno avvenisse con un fondo comunitario, non si farebbe altro che collocarsi allo stesso livello al quale già oggi viene operato il controllo sugli aiuti di Stato, cioè il livello comunitario.

05 ottobre 2008

da corriere.it


Titolo: Borse, l'Europa crolla: Milano -8,2% perdite più contenute a Wall Street
Inserito da: Admin - Ottobre 06, 2008, 10:56:29 pm
ECONOMIA   

Lo scetticismo sulla capacità dei governi di fronteggiare l'emergenza alimenta i timori che la crisi impatti sull'economia reale

Borse, l'Europa crolla: Milano -8,2% perdite più contenute a Wall Street

A Piazza Affari ben 16 blue chips sospese contemporaneamente

Il dato peggiore a Parigi: -9%. A New York il Dow Jones cede il 3,05%

di LUCA PAGNI

 
MILANO - Lunedì nero, Caporetto, panic selling, profondo rosso, l'11 settembre della finanza. I termini per descrivere quanto sta accadendo sui mercati non bastano più. Bisognerebbe inventarne di nuovi. Difficile raccontare altrimenti quanto accaduto ieri nelle Borse mondiali, in particolare in quelle europee che hanno perso in media il doppio rispetto alle asiatiche e a Wall Street, dove le contrattazioni si sono chiuse con il Dow Jones a -3,05% (10.009,98 punti), il Nasdaq a -4,34% (1.862,96 punti) e lo S&P 500 a -3,43% (1.061,54 punti).

Perdite, quelle del Vecchio Continente, che hanno frantumato ogni record precedente: a fine giornata su alcune piazze c'è chi è arrivato ad arretrare di oltre nove punti percentuali.

Maglia nera tra gli indici è stato così il Cac40, che raccoglie le prime società per capitalizzazione della Borsa di Parigi: -9,04% è stato il responso finale. Ma anche le altre piazze non sono distanti: a Piazza Affari, lo S&P's/Mib ha ceduto l'8,24%, a Londra l'Ftse 100 ha chiuso in calo del 7,85%, il Dax a Francoforte del 7,07%, l'Ibex a Madrid del 6,06% e lo Smi di Zurigo del 5,82%.

Complessivamente, si sono volatilizzati quasi 445 miliardi di euro. E soltanto tra i titoli principali. L'indice Dj Stoxx 600, che alla vigilia capitalizzava 6.140 miliardi, ha infatti perso oggi il 7,23%, portandosi ai minimi dal novembre 2004 e registrando il calo più consistente in una singola seduta da un altro storico lunedì nero, quello del 19 ottobre 1987.

L'ondata di vendite senza precedenti ha almeno due motivi principali: la scarsa risposta dei governi centrali alla crisi in atto (il piano Paulson non ha praticamente avuto effetti positivi su Wall Street e i paesi Ue appiano divisi e senza una strategia comune) e il timore che la crisi finanziaria possa intaccare il tessuto industriale.

Per Piazza Affari si è trattato del peggior calo dal 1994: prima di allora, le perdite più consistenti si erano avuto il 28 ottobre del 1997 con l'indice che aveva perso l'8,13%, a seguire la seduta dell'11 settembre 2001 con un calo del 7,42%.

A Milano, i titoli sono stati tutti venduti senza eccezioni di sorta. Nel pomeriggio, ben sedici titoli avevano subito stop per eccesso di ribasso contemporaneamente tra le società a maggiori capitalizzazioni; persino quelle ritenute un investimento rifugio in momento di ribasso, come Eni (-9,66%) o Atlantia (-10,5%).

Le banche sono crollate come nel resto d'Europa. In Italia, Unicredit ha contribuito ad alimentare dubbi e sospetti sugli istituti di credito con il suo piano anticrisi da 6,6 miliardi. A fine seduta, le azioni del gruppo guidato da Alessandro Profumo hanno arginato le perdite al 5,48%, dopo aver esordino in mattinata a -15%. Peggio sono andate le altre banche di primo piano: Banco Popolare (-14,7%), Intesa Sanpaolo (-11,28%), Bpm (-6,2%).

Lo scivolone del prezzo del greggio, finito sotto i 90 dollari, ha fatto precipitare Saipem (-15,2%) ed Eni (-9,6%), ma anche Tenaris (-10,85%). Telecom Italia, arretrando del 10,8%, è scesa sotto la soglia di un euro per la prima volta nella storia della società, dopo la fusione con Olivetti.

(6 ottobre 2008)

da repubblica.it


Titolo: MARIO MONTI. -
Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2008, 10:41:57 am
Politica e regole

Un successo dell'Europa


di Mario Monti


Due settimane fa esprimevo la speranza che l'Unione Europea sapesse reagire alla crisi finanziaria accelerando il passo dell'integrazione e non, come si poteva temere, lasciando prevalere le forze della disintegrazione attraverso risposte nazionali in conflitto tra loro e con l'ordinamento comunitario.

Ad oggi, il bilancio è decisamente positivo. È importante esserne consapevoli, in una fase in cui tanti europei avevano perso fiducia nella Ue per vari motivi: dal «no» degli irlandesi al Trattato di Lisbona al «no» di autorevoli economisti al modello economico europeo, ritenuto sistematicamente inferiore rispetto, si noti, a quello americano. Ma è altrettanto importante vedere con chiarezza i passi ancora da compiere, se si vuole consolidare il recente successo politico europeo.

Di successo si può ben parlare, se si pensa alla capacità decisionale — per rapidità, coesione e portata delle misure — dimostrata dalla Ue in questa occasione. Nei pochi giorni intercorsi tra l'incontro del 4 ottobre a Parigi tra i quattro membri europei del G8 e il Consiglio europeo del 16 ottobre, l'Unione a 27 ha preso decisioni che hanno indotto la grande e più agile «Unione a 1», gli Stati Uniti, a modificare notevolmente le proprie. E si è trattato certamente di un successo politico. Sono stati i governi degli Stati membri — che nella Ue sono l'espressione più diretta della politica — a dare una prova inconsueta di dinamismo e di convergenza. Il presidente di turno del Consiglio europeo, Nicolas Sarkozy, è riuscito a tenere per la prima volta una riunione dei capi di governo dei Paesi dell'area dell'euro, superando le resistenze della Germania che vi vedeva una minaccia all'indipendenza della Banca centrale europea. È riuscito a far confluire nelle decisioni del vertice dell'euro il contributo innovativo del governo britannico. È riuscito a far adottare un piano d'azione concertato, anche grazie al forte sostegno del governo italiano, favorevole in questa circostanza a soluzioni comunitarie molto avanzate. Per consolidare questo successo politico e far leva su di esso nella gestione, che sarà lunga e difficile, della crisi finanziaria ed economica, l'Unione Europea deve compiere altri passi, tre in particolare: non perdere il senso dell'emergenza, non rivolgere contro le regole europee il recente successo della politica europea, rendere istituzionale la fortunata ma occasionale coincidenza che ha permesso di prendere tempestivamente decisioni difficili. L'emergenza e l'impegno. Nessuno può dire quanto durerà la situazione di grave emergenza— per ora soprattutto finanziaria, ma che presto pervaderà l'economia reale — che ha stimolato così efficacemente il processo delle decisioni nella Ue.

Nel momento in cui l'emergenza dovesse attenuarsi, o anche soltanto diventare meno visibile, ci sarà il rischio che la realizzazione concreta delle misure già decise o previste venga diluita o ritardata. Questo avviene regolarmente nei singoli Paesi ed è in genere proprio la Ue, con i suoi vincoli e i suoi moniti, a premere affinché gli sforzi nazionali non si allentino. Trattandosi ora di decisioni impegnative prese a livello della stessa Ue — come quelle intese a creare un sistema di supervisione sulle istituzioni finanziarie al passo con la loro integrazione transfrontaliera — sarà fondamentale che prevalga proprio a livello europeo la coerenza nel tempo senza pericolosi rilassamenti o ritardi. La politica e le regole. È la politica — con i governi degli Stati membri — che ha costruito nel tempo la Ue e le sue regole. Ne ha delegato l'applicazione ad istituzioni diverse, non direttamente politiche, come la Commissione, la Corte di giustizia e, più di recente, la Banca centrale europea.

Con un soprassalto opportuno e stimolato dalla crisi, la politica ha ripreso l'iniziativa dopo un periodo di offuscamento e, spesso, di opportunistiche prese di distanza da misure «europee», ma adottate in realtà con il consenso dei governi nazionali. Ha preso in questi giorni, in sede di Consiglio europeo, decisioni che nessuna delle altre istituzioni avrebbe potuto prendere. La politica può essere ora tentata dall'idea di ridimensionare la portata effettiva, e forse anche il valore di principio, delle regole nella costruzione europea, da quelle sulla disciplina dei bilanci pubblici a quelle sul mercato unico e sulla concorrenza. La Commissione sta facendo quanto può per consentire, in modo ordinato e sulla base di criteri definiti, aiuti di Stato alle istituzioni finanziarie per far fronte a questa emergenza. Non sarà comunque facile tenere una linea di una certa fermezza quando si presenteranno casi in altri settori dell'economia, non provvisti della «forza» che deriva alle istituzioni finanziarie dalla necessità di fronteggiare il «rischio sistemico», ma magari con notevoli risvolti sociali.

Non sono mancate dichiarazioni politiche che, forzando la posizione espressa dal Consiglio europeo, hanno dato l'idea che la disciplina sugli aiuti di Stato appartenga ormai ad una stagione che si è conclusa, ora che la politica è tornata protagonista. La stessa cosa avverrebbe, in genere, per le regole europee. Ma sono convinto che gli stessi politici, pur non gradendo a volte, come è naturale, l'applicazione di regole che limitano la loro discrezionalità, vedano chiaramente gli inconvenienti che deriverebbero dalla loro non applicazione. Il mercato unico si spezzerebbe, con conflitti tra gli Stati membri, se non ci fosse un arbitro che pone limiti alla possibilità per gli Stati di farsi reciprocamente concorrenza sleale sussidiando a piacere le proprie imprese. I governi, senza regole europee sui disavanzi, troverebbero ancora più difficile resistere alle pressioni per aumentare di continuo la spesa pubblica. E così via. Coincidenze e istituzioni. La crisi finanziaria è esplosa durante il semestre di presidenza francese.

Per coincidenza, la Ue si è potuta giovare della leadership di un grande Stato membro, presieduto da una personalità forte. L'azzardo della rotazione semestrale avrebbe potuto portare ad esiti profondamente diversi. I piccoli Stati membri sono essenziali per la vita comunitaria e assolvono con impegno ai compiti della presidenza, in condizioni ordinarie. Ma è difficile immaginare che la Ue sarebbe stata in grado di agire con tanta tempestività e coesione se la crisi fosse avvenuta prima del 30 giugno (presidenza slovena) o dopo il 1˚gennaio prossimo (presidenza ceca, cioè di un Paese che, comunque, non avrebbe potuto convocare un vertice dell'area dell'euro perché non ne fa parte). Il Trattato di Lisbona prevede, tra l'altro, che il presidente del Consiglio europeo venga scelto dai capi di governo e rimanga in carica per due anni e mezzo. È probabile che, quando il Trattato sarà in vigore, la personalità prescelta abbia doti di leadership e la stessa continuità nell'incarico ne accrescerà l'autorevolezza e la capacità di iniziativa. Chissà se i cittadini irlandesi che ci hanno impedito, e chissà fino a quando, di far entrare in vigore il Trattato erano consapevoli di questo.

19 ottobre 2008

da corriere.it


Titolo: MONTI: spero che la Merkel faccia di più.
Inserito da: Admin - Novembre 30, 2008, 11:11:19 pm
L'INTERVISTA

«Maastricht non è più un alibi per non investire sulla crescita»

Monti: spero che la Merkel faccia di più.

Giusta la linea della sobrietà di Tremonti ma ha ragione la Marcegaglia: serve un'azione più decisa insieme alle riforme
 

Professor Monti, che giudizio dà del piano europeo anti crisi varato mercoledì scorso dalla Commissione europea? C'è chi ha parlato addirittura di bluff e l'Economist lo ha di fatto snobbato.
«La Commissione Barroso ha adottato una strategia corretta: il sostegno dell'economia attraverso lo stimolo della domanda, non attraverso una pioggia di aiuti di stato alle imprese. Dando impulso alla domanda, ogni Paese giova a se stesso e agli altri. Sussidiando le proprie imprese, ogni Paese farebbe un danno agli altri e probabilmente anche a se stesso, impedendo o ritardando il rinnovo della struttura produttiva. Con la strategia adottata, la Commissione amplia lo spazio di manovra degli Stati membri e ne incoraggia l'utilizzo in una direzione cooperativa».

E in materia di tassi la Commissione avrebbe dovuto prendere una posizione più decisa? Molti commentatori non sono teneri con Francoforte e la nostra Confindustria chiede da tempo un taglio più deciso.
«Gli indirizzi dati dalla Commissione riguardano soprattutto le politiche di bilancio, sulle quali essa ha poteri di sorveglianza e che sono le politiche cruciali in questa fase. Sulla politica monetaria, senza interferire con l'indipendenza della Banca centrale, ha sottolineato che la stessa banca ha già indicato che ci sono spazi per ulteriori riduzioni dei tassi».

Lei è sempre molto attento alla metodologia comunitaria ed è portato a sottolineare gli aspetti che favoriscono comunque l'avanzata dell'Europa, ma l'opinione pubblica potrebbe più prosaicamente confrontare le risorse messe in campo o promesse dagli Usa e quelle indicate da Bruxelles.
«Negli Stati Uniti, la parte preponderante del bilancio pubblico è rappresentata dal bilancio federale, ben più rilevante di quelli degli Stati. In Europa, il bilancio pubblico è costituito quasi per intero dai bilanci degli Stati, quello comunitario è un piccolo fregio sull'edificio, pari a poco più dell'1% del Pil. I critici dell'Europa la considerano già una presenza soffocante, ma oggi criticano l'Europa perché non mette in campo un intervento massiccio per il rilancio. Con il bilancio comunitario, la Commissione si propone di contribuire al rilancio con interventi per 30 miliardi di euro, circa un terzo dell'intero bilancio. Un impegno ben minore rispetto al bilancio di partenza, ma molto più rilevante in termini assoluti, viene chiesto agli Stati (170 miliardi, pari all'1,2% del Pil della UE). Attenzione: non sono soldi che Bruxelles chiede agli Stati di trasferire al bilancio comunitario, sono soldi che Bruxelles propone agli Stati di spendere nelle loro economie, per contrastare la crisi nella loro economia e in quella degli altri. Negli Stati Uniti la politica di bilancio (nel bene e, come negli anni recenti, nel male) si fa a Washington, nell'Unione europea la si fa nelle capitali nazionali, con un ruolo di coordinamento assegnato a Bruxelles».

La complessità delle misure adottate dalla Commissione e qualche bizantinismo nelle procedure hanno dato adito però a interpretazioni le più disparate. E alla fine si è capito che si è aperta una crepa nel muro di Maastricht e poco altro.
«Non mi pare. La Commissione ha sollecitato interventi di bilancio urgenti, temporanei e coordinati. L'urgenza si impone, del coordinamento abbiamo già detto, la temporaneità è l'aspetto più delicato ma anche essenziale. L'Europa non intende abbracciare l'impostazione degli Stati Uniti, che tanti danni ha causato a quel Paese e al mondo, e abbandonare la disciplina finanziaria, che ha scelto come uno dei pilastri della convivenza europea. Per questo, di fronte a una crisi così grave, occorre procedere sì a interventi espansivi anche audaci, ma con il chiaro messaggio che si tratta di aumenti di spese o riduzioni di entrate di carattere temporaneo. Meglio se, oltre al messaggio, vi è anche un dispositivo che assicuri operativamente la temporaneità. In altri termini, Bruxelles non dice: "liberi tutti, andate e spendete!". Dice: "impegnatevi tutti, in modo coordinato, per contrastare questa crisi pesante, e sappiate che in tempi normali la disciplina che mi attendo da voi continuerà a essere quella normale».
  
Lei difende l'operato della Commissione eppure il rilievo tutto sommato scarso che ha avuto sui media testimonierà pure qualcosa.
«Dichiarazioni colorite o provvedimenti stravaganti avrebbero colpito di più i media. L'Europa, quando funziona, è un po' grigia di suo. Detto questo, ci sono aspetti che si possono discutere, nel piano della Commissione. Si è fatto tutto il possibile per ottenere che l'insieme degli interventi espansivi degli Stati raggiunga davvero quei 170 miliardi dichiarati necessari? Forse no. Si sarebbe potuto dire che da tutti gli Stati ci si aspetta un temporaneo aumento del disavanzo (o riduzione dell'avanzo) di x punti percentuali del Pil. Il "compito" sarebbe stato più preciso, ma è vero che gli Stati si trovano in condizioni di finanza pubblica molto diverse. Oppure si sarebbe potuto attribuire a ciascuno Stato un "compito" di entità differente, ed esplicitata, proprio per tenere conto delle diverse condizioni. La Commissione deve aver preferito non apparire così intrusiva. Ma a qualcosa di simile occorrerà arrivare, se si vuole che il piano sia pienamente credibile. Forse la Commissione si ripromette di arrivarci mediante la discussione tra i ministri in sede di Eurogruppo e di Ecofin, cioè in modo più condiviso e attraverso la peer pressure (in questa occasione forse anche Peer pressure, dal nome del ministro delle finanze tedesco Peer Steinbruck). In ogni caso, la Commissione avrà avuto l'effetto di modificare i termini del dibattito di politica economica nei singoli Paesi. Non si potrà più dire che i governi vorrebbero operare scelte espansive mentre la Ue caparbiamente vieta di largheggiare. Quell'alibi non esiste più».

Eppure un economista di scuola liberale ed europeista, Mario Deaglio, nei giorni scorsi ha scritto sulla Stampa che "gli storici del futuro si chiederanno come un insieme di persone indubbiamente intelligenti siano rimaste schiave di tabù assurdi e continuino a scherzare con il fuoco della recessione". E tra i tabù al primo posto il rapporto deficit-Pil "sempre inferiore, qualunque cosa accada, al tre per cento".
«Per la stima che ho di Deaglio è una critica che vorrei prendere in considerazione, partendo un po' da lontano. Nel 1997, quando al tavolo della Commissione si discuteva come scrivere le regole del Patto di stabilità, mi battei perché gli investimenti pubblici fossero conteggiati con il criterio della golden rule, fuori quindi dal parametro del 3% deficit-Pil. Ma il presidente Jacques Santer e il commissario agli affari economici Yves-Thibault de Silguy obiettarono che dentro l'involucro degli investimenti sarebbe stato incartato di tutto. Replicai che il problema non mi sfuggiva, ma che si sarebbero potuti definire e applicare paletti stretti e che mi pareva comunque meglio che il Patto di stabilità nascesse strutturalmente corretto, opponendo minori resistenze a spesa qualitativamente migliore, anziché correre un giorno il rischio di venire travolto in caso di una grave recessione. A titolo personale (non ero io il commissario competente) ne discussi anche fuori Commissione. Non solo il ministro delle finanze tedesco Theo Waigel e il banchiere centrale Otmar Issing, ma perfino il ministro francese delle finanze Dominique Strauss-Kahn, non aderirono all'idea. Non se ne fece niente».

Ma ha senso oggi tornare a quel dibattito?
«Ha senso se non altro per spiegare che pure chi avrebbe voluto l'adozione di un criterio più largo non può essere d'accordo con Deaglio. Non si tratta di "tabù assurdi". Molti Paesi venivano da decenni nei quali i rispettivi sistemi politici avevano ignorato i diritti delle generazioni future. Avevano "comprato" consenso nel presente sacrificando il benessere delle generazioni future, attraverso disavanzi e debiti ingenti. In particolare per noi italiani la cultura del cosiddetto vincolo esterno fu la benvenuta. E se non fosse prevalso in Italia quell'orientamento rigorista il cancelliere Kohl non avrebbe mai potuto persuadere i tedeschi a condividere una stessa moneta con l'Italia. Quando si aprono le porte tra gli appartamenti di un condominio è naturale che un inquilino che vanta un curriculum da dissipatore non venga visto bene».

Ma neanche il più ordinato dei condomini politici riuscirebbe a vivere a lungo senza un collante. Le regole sono una condizione sicuramente necessaria ma anche largamente insufficiente.
«Il collante dovrebbe essere rappresentato dall'unità politica e non esistono surrogati. Sono altresì dell' idea che un sistema di regole rigide debba evolvere verso il primato del judgement, della valutazione discrezionale. Gli Stati uniti d'Europa però non sono un obiettivo realistico e temo che più se ne parla, più si corre il rischio di attizzare gli avversari dell'idea comunitaria. In questa fase la Ue si rafforza se riesce a costruirsi passo dopo passo, e ora è la volta del governo comune dell'economia».
 
Sta sostenendo che, complice la crisi, Trichet, la Kroes e Almunia devono diventare la sintesi politica dell' Europa?
«Al contrario. Se quella fosse la sintesi si svilupperebbe un'Europa impropria che assegnerebbe a figure egregie di magistratura prevalentemente tecnica una funzione di indirizzo politico. Sarebbe quasi un golpe e accrescerebbe il divario di sensibilità tra Bruxelles e l'opinione pubblica europea. Il tavolo comune dell'economia è un passaggio politico e vede l'ampio coinvolgimento dei governi, senza intaccare le alte responsabilità affidate alle autorità che lei ha menzionato».

Ma la signora Merkel non pare di quest'idea e anche per questo motivo la reazione della Germania alla sfida della crisi è giudicata da molti come insufficiente. Lei lega il successo del piano Barroso all'atteggiamento che prenderà la Germania nella sua applicazione?
«Diciamo che spero che la signora Merkel sia disposta a fare di più, per il sostegno dell'economia tedesca ed europea, di quanto è apparso finora. Può darsi che la cancelliera l'abbia in mente, ma si riservi di annunciarlo tra un po' di tempo, magari per due ragioni. La prima, per arrivare più a ridosso delle elezioni federali del prossimo settembre. La seconda, perché, non avendo la signora Merkel mai amato il concetto di governo economico d'Europa e avendo "sofferto" un po' del protagonismo della presidenza Sarkozy, potrebbe aspettare la fine del semestre francese».

Il paradosso davanti al quale ci potremmo trovare è che finalmente Bruxelles concede più margini di flessibilità e che invece alcuni governi nazionali, compreso il nostro, non vogliano utilizzarli?
«I margini di bilancio per noi e per gli altri saranno il risultato di un gioco interattivo che andrà in scena all'Eurogruppo e all'Ecofin di questa settimana. In quella sede ognuno dovrà dire cosa intende fare in casa propria e che strategia seguirà nei confronti degli altri. A mio parere, l'Italia ha interesse a non fare asse con la Germania su una posizione di particolare sobrietà nell'applicazione del piano della Commissione. Avendo io sempre sostenuto le ragioni del rigore, capisco e apprezzo che chi governa oggi l'Italia senta il valore di battersi sul fronte della sobrietà e dell'austerità, ma credo che l'atteggiamento più proficuo in una fase straordinaria come questa sia quello di valorizzare il ruolo chiave della Germania come fautrice strutturale della disciplina, premendo tuttavia su di essa perché cooperi attivamente all' espansione, senza la quale gli avversari della disciplina potrebbero alla fine prevalere. Chiederei alla Germania un po' di espansione di bilancio in più, come assicurazione contro il rischio di una recessione che travolga la "cultura della stabilità", oltre al patto di stabilità».

Insomma non ha torto la presidente Marcegaglia a chiedere un maggiore impegno anti crisi sia mobilitando risorse dei fondi Ue sia risorse tratte dal budget nazionale? Del resto il Financial Times
ha definito il piano del governo italiano come modest stimulus...
«Ho condiviso l'impianto generale che il ministro Tremonti ha dato alla sua finanziaria triennale, ovviamente redatta in una fase nella quale non si poteva avere contezza della crisi. Ma credo che Emma Marcegaglia abbia ragione nel ritenere opportuna, nelle circostanze attuali, un'azione più decisa».
Se l'Italia decide di spendere di più non c'è il pericolo concreto di peggiorare la nostra immagine davanti ai mercati e quindi di pagare il conto al momento di lanciare nuove emissioni di titoli di Stato? Poi a quanto si capisce Bruxelles dovrebbe catalogare i Paesi membri in un sistema di fasce e se l'Italia fosse inserita nel girone C il rischio di pagar dazio ai mercati sarebbe ancora più concreto.
«Considero sacrosante le preoccupazioni del ministro dell'Economia per la grande dimensione del nostro debito e per la particolare concentrazione di scadenze dei titoli di Stato. Questa deve essere la sua attenzione prioritaria.
Penso tuttavia che ciò non impedisca necessariamente un maggiore intervento di sostegno, nelle circostanze attuali. Ma solo a due condizioni».

Quali?
«La prima è che i programmi di spesa o di riduzione di imposta siano esplicitamente temporanei. In questo modo ai consumatori arriverebbe il messaggio chiaro che spendendo nei prossimi mesi coglierebbero un'occasione irripetibile; e nel contempo i mercati finanziari non riceverebbero l'impressione che Roma ha scelto la via di un maggiore disavanzo permanente. La seconda condizione è che una temporanea maggior larghezza di bilancio si accompagni a un rinnovato impegno sul fronte delle riforme strutturali. Se gli analisti avranno la sensazione che l'Italia spende un po' di più, ma in un quadro temporaneo e reversibile, e allo stesso tempo si impegna sulle riforme per dare competitività al sistema, la credibilità dell'economia italiana non dovrebbe soffrirne. Non ci dovrebbe essere il temuto effetto di un allargamento dello spread tra i nostri titoli di Stato e le emissioni concorrenti ».

Professor Monti ma non le pare fortemente idealistico, per usare un eufemismo, proporre riforme nel mezzo della bufera?
«Al contrario. Non sta finendo la storia. Quando avremo superato la crisi continueranno a valere le leggi della competitività e quindi sarà importante vedere come il Paese sarà uscito dalla gelata. E poi è evidente che la crisi tende a salvaguardare gli insider, a consolidare la loro posizione nei mercati in cui operano ma inevitabilmente ciò rende la vita ancor più difficile agli outsider, a coloro che vorrebbero entrarvi. Se non si vogliono perpetuare a vita gli assetti esistenti e condannare a morte gli altri si deve lavorare per ridurre le barriere all'ingresso».

Un fortunato slogan di Nicola Rossi qualche anno fa sosteneva che ci volevano riforme per dare "meno ai padri e più ai figli". La crisi invece promette di dare qualcosa ai padri ma di togliere tutto ai figli.
«Certo. E quell'espressione va letta in chiave metaforica. I padri sono le aziende esistenti, i gruppi organizzati, le professioni tutelate che in ogni campo possono contare su rendite e privilegi. A questa posizione di vantaggio, le terapie anti crisi, in America come in Europa, rischiano di aggiungere una dose di "gerovital" somministrata a carico del bilancio statale. Nello svolgersi della schumpeteriana "distruzione creatrice", si rischia di penalizzare la creazione nel momento in cui si concentra l'attenzione sull'arginare la distruzione. Il Paese ha il problema di superare questa crisi ma anche quello di diventare più competitivo. Quando la marea sarà passata conterà l'orografia che lascerà. Se spingiamo poco la Germania e se rallentiamo la nostra capacità di modernizzazione, ci spariamo sui piedi».


Dario Di Vico
30 novembre 2008

da corriere.it


Titolo: Mario MONTI. -
Inserito da: Admin - Dicembre 18, 2008, 05:17:51 pm
ANGELA MERKEL E L’EUROPA

Un cancelliere contro la crisi

di Mario Monti


Il cancelliere Angela Merkel incontra oggi i leader dell'economia tedesca per discutere la strategia contro la crisi. Ciò che si deciderà a Berlino sarà di grande importanza per l'Europa. Il Consiglio europeo ha adottato venerdì un piano di rilancio coordinato, la cui realizzazione è affidata in buona parte ai singoli Stati. Se un notevole impulso espansivo non verrà dalla Germania — l'economia più grande e con un bilancio pubblico sano— la crisi non potrà che aggravarsi. Il governo tedesco è sottoposto a forti pressioni. La Francia di Nicolas Sarkozy, la Gran Bretagna di Gordon Brown, la Commissione di José Manuel Barroso hanno alzato i toni nel richiamare la Germania alle sue responsabilità. Queste pressioni sono corrette nella sostanza, ma rischiano di essere poco efficaci perché dimenticano la psicologia e la cultura politica della signora Merkel e di molti tedeschi.

Il cancelliere ha alcune convinzioni radicate, espresse anche di recente. La crisi finanziaria ha mostrato le degenerazioni del modello anglosassone centrato sulla finanza, non di quello tedesco fondato sull'industria. Se la crisi è poi diventata esplosiva, è anche perché due «virtù tedesche», la politica monetaria prudente e la finanza pubblica disciplinata, erano state considerate démodées, negli Stati Uniti ma non solo. Anzi, nella stessa Germania il suo predecessore Gerhard Schröder aveva largheggiato con il disavanzo e lei l'ha riportato in pareggio. Ciò è stato politicamente costoso, così come le riforme strutturali, realizzate in Germania più che altrove, grazie alle quali oggi brilla la competitività tedesca. Pare di sentirla, la signora Merkel: «E adesso io — cari Nicolas, Gordon, José Manuel — dovrei modificare la rotta tenuta per anni con fatica; dovrei farlo per soddisfare le esigenze di altri Paesi, che certo non sono stati particolarmente temperanti? E poi, caro Nicolas, proprio a te dovrei dare retta; a te, che non hai mai nascosto la tua insofferenza verso la più cardinale delle virtù, l'indipendenza della Banca centrale? ».

Per fare breccia nel cancelliere, gli altri leader potrebbero provare a mettersi dalla sua parte e ad esprimersi così (uso un tono colloquiale, ma sono convinto della gravità dello scenario indicato): «Caro Cancelliere, condividiamo pienamente la tua visione di un'Europa fondata sull'economia sociale di mercato e sulla disciplina di bilancio. Ma proprio per questo siamo molto preoccupati dalla risposta alla crisi, finora insufficiente, data dal tuo governo. Un impulso espansivo del bilancio pubblico tedesco, certo temporaneo ma sensibilmente maggiore di quanto hai finora annunciato, è una delle condizioni necessarie affinché l'Europa eviti una depressione profonda e prolungata. «E non chiudiamo gli occhi: se l'Europa dovesse cadere in una tale depressione, vi è un rischio concreto che il Patto di stabilità, l'indipendenza della Banca centrale, forse la stessa integrazione basata sul mercato, finiscano prima o poi per essere spazzati via da reazioni politiche incontrollabili». «Se tu vuoi —come ormai noi stessi vogliamo, anche se non sempre lo ammettiamo— che la cultura della stabilità, nata nel tuo Paese dopo la guerra, continui ad essere un pilastro fondamentale della costruzione europea, devi accettare che la Germania si impegni di più nel piano europeo contro la depressione, che con noi hai sottoscritto venerdì a Bruxelles. Questo impegno consideralo come un premio di assicurazione, tutto sommato modesto, contro il rischio che vengano dissipati i frutti concreti di quella salutare leadership culturale che la Germania ha esercitato in Europa per cinquant'anni».

14 dicembre 2008

da corriere.it


Titolo: Crisi, Tremonti punzecchia Draghi: «Meno male c'era forum per la stabilità»
Inserito da: Admin - Dicembre 19, 2008, 12:35:47 am
Crisi, Tremonti punzecchia Draghi: «Meno male c'era forum per la stabilità»
 
 
PARIGI (18 dicembre) - Il ministro dell'economia, Giulio Tremonti, attacca il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi. Arrivando alla riunione dell'Ecofin, il Consiglio dei ministri delle Finanze dell'Ue, di Parigi, i cronisti chiedono al titolare di via XX settembre se la grave crisi finanziaria, e in particolare la truffa Madoff che ha già avuto effetti anche sulle banche italiane, possano avere nuove ripercussioni in Europa. Il ministro replica: «Penso che il caso Madoff non crei molti problemi in Europa». Poi continua sarcastico: «E meno male che c'era il Financial stability forum.... Figuriamoci se non c'era». «I ragazzi del Financial Stability Forum hanno proprio lavorato bene», ha continuato il ministro, ricordando una frase pronunciata dalla Regina Elisabetta: «Ma possibile che nessuno ci ha avvertito prima?».

Tremonti non lo ha citato mai esplicitamente, ma il presidente del Financial stability forum - organismo creato nel 1999 per promuovere la stabilità finanziaria a cui partecipano banchieri centrali e autorità di controllo di 26 paesi - è proprio il governatore della Banca d'Italia, anche lui all'Ecofin di Parigi dove oggi ha tenuto una relazione sui recenti sviluppi della crisi finanziaria.

«È demenziale - ha poi aggiunto Tremonti - stare ad ascoltare e prendere lezioni da chi non ha capito nulla, o ha capito molto, e ha sbagliato tutto».

«Il governatore non commenta queste cose». Questa l'asciutta replica di Draghi a chi gli chiedeva di commentare le frasi del ministro dell'Economia.

«Non dare cognac a chi ha bevuto troppo whisky». Tremonti ha quindi spiegato che «siamo di fronte ad una crisi reale dell'economia, non solo finanziaria.
E quando sento che servono nuovi interventi, che bisogna aggiungere debito a debito, dico di no. Non si può curare chi beve troppo whisky dandogli del cognac». «Quello che serve invece - ha proseguito - è fare più risparmio, più domanda e investimenti pubblici, più moralità, più legalità.
Questo sarà uno dei temi forti del prossimo G8 a presidenza italiana».

L'euro. «Finora non sono preoccupato», ha poi detto Tremonti a chi gli chiedevano un commento sull'andamento del cambio. «Io ho fiducia nella moneta unica», ha aggiunto.
 
da ilmessaggero.it


Titolo: Mario MONTI. - Dalla crisi allo sviluppo
Inserito da: Admin - Gennaio 02, 2009, 10:08:39 am
MISURE ESPANSIVE E RIFORME

Dalla crisi allo sviluppo


di Mario Monti


«Possiamo limitare le conseguenze economiche e sociali della crisi mondiale per l'Italia, e creare anzi le premesse di un migliore futuro, se facciamo leva sui punti di forza e sulle più vive energie di cui disponiamo ». L'auspicio del Presidente Giorgio Napolitano trova fondamento nelle prove che l'Italia ha saputo dare in passato di fronte a gravi crisi: la terribile eredità della seconda guerra mondiale e in seguito il terrorismo, come ricorda Napolitano, ma anche, negli anni Novanta, le crisi della lira prima dell'approdo nell'euro.

Si è spesso notato che il nostro Paese riesce a dare il meglio solo in condizioni di emergenza, quando non è più possibile rinviare decisioni impopolari. Nei casi citati, si trattava però di emergenze specificamente italiane. Sapremo dare prova della stessa capacità di reazione ora che l'Italia è afflitta da una crisi grave, ma non specificamente italiana?

Perché la risposta sia positiva, occorre evitare due atteggiamenti. Nella diagnosi, non si deve trovare troppo conforto in distinzioni che paiono, per una volta, a favore dell'Italia. Nella terapia, non è prudente ritenere che la pesante eredità del passato, incontestabile, impedisca interventi di ampia portata per contrastare la crisi.

E' vero che l'economia italiana — rispetto a quella britannica, irlandese, spagnola o americana — è meno sbilanciata verso i due settori (finanziario e immobiliare) dai quali si è scatenata la crisi; che le famiglie italiane hanno risparmi elevati e indebitamenti modesti; che la nostra industria manifatturiera, in alcuni settori, è ancora un punto di forza. Ma rimane il fatto che l'Italia, prima della crisi, era uno dei paesi «avanzati» in corso di «arretramento», con differenziali negativi in termini di competitività e di crescita. La crisi è come un' orribile marea che copre e offusca tutto. Il suo effetto immediato è stato sì, per noi, meno dirompente che per altri. Ma non dobbiamo credere che, una volta ritiratasi la marea, il nostro sistema produttivo emerga più competitivo di prima.

«Dobbiamo considerare la crisi come grande prova e occasione per aprire al Paese nuove prospettive di sviluppo», ha indicato il Presidente Napolitano. Alla stessa ora, il Presidente Nicolas Sarkozy rivolgeva ai francesi parole molto simili: «Dalla crisi nascerà un mondo nuovo, al quale dobbiamo prepararci lavorando di più, investendo di più. Non aspettatevi che io fermi le riforme strutturali intraprese all'interno della Francia, esse sono vitali per il nostro avvenire, per diventare più competitivi ».

L'Italia affronta la crisi con una duplice pesante eredità, di cui il governo è ben consapevole: l'alto debito pubblico e riforme strutturali non ancora sufficienti. Il debito pubblico consiglia prudenza, ma oggi sarebbe imprudente non prendere misure espansive, reversibili nel tempo, adeguate alla gravità della crisi. Una simultanea accelerazione delle riforme strutturali, meglio se sostenuta da un impegno bipartisan e dall'adesione delle forze sociali, sarebbe ben colta dai mercati ed eviterebbe che il temporaneo maggiore disavanzo renda più gravoso il rifinanziamento del debito.

In questo modo, la durata e la profondità della crisi sarebbero minori. E l'economia italiana ne uscirebbe più moderna, meglio attrezzata per le sfide della competitività mondiale.

02 gennaio 2009
da corriere.it


Titolo: Mario MONTI. - L'egoismo delle nazioni
Inserito da: Admin - Febbraio 01, 2009, 03:49:38 pm
L’EUROPA E LA CRISI

L'egoismo delle nazioni


di Mario Monti


Quando l'economia mondiale galoppava in una crescita apparentemente inarrestabile, trascinata dall'America e dall'Asia, l'Europa era vista come un continente destinato al declino, appesantito dall'attenzione agli aspetti sociali e dalla lentezza delle decisioni comunitarie. Oggi anche l'Europa è colpita dalla crisi scoppiata in America e che non risparmia neanche l'Asia. Eppure proprio all'Europa si guarda, d'improvviso, con rispetto e con una certa ammirazione. Il Forum di Davos ne ha offerto in questi giorni una chiara testimonianza. Il Wall Street Journal, da sempre censore inflessibile delle «deviazioni» europee rispetto al modello puro e duro (così sembrava) del capitalismo americano, ammette con sorpresa che quest'anno a Davos il modello europeo è stato quello più apprezzato. Il primo ministro cinese, per parte sua, ha detto che il suo governo sta considerando l'esempio europeo per introdurre elementi di protezione sociale.

Tutti considerano ora indispensabile un forte coordinamento internazionale delle decisioni dei governi e citano l'Unione Europea come realizzazione più avanzata su questa via. Nell'affrontare la crisi, l'Europa ha due grandi punti di forza, ma è anche esposta a un rischio che altri non corrono. Il primo punto di forza è l'economia sociale di mercato. Ad essa sono improntate le strutture degli Stati membri e le politiche dell'Unione Europea. Negli anni scorsi si sono fatti sforzi, che dovranno proseguire, per rendere i sistemi di protezione sociale compatibili con le esigenze della competizione internazionale. Ma l'Europa ha il vantaggio di avere già strumenti che l'America e l'Asia sentono ora il bisogno di introdurre. Il secondo punto di forza è l'esperienza nel governo della globalizzazione. Benché limitato alla scala continentale, il governo dell'integrazione si fa in Europa da cinquant'anni. Il coordinamento delle politiche pubbliche, divenute vere politiche comunitarie in certe materie, ha permesso di governare l'apertura dei mercati nazionali senza determinare sconvolgimenti e promuovendo la crescita.

Con la crisi e con l'arrivo del presidente Obama, il mondo avverte finalmente l'urgenza di governare la globalizzazione. Per dare forma a tale governo, guarda al know-how dell'Europa, dalla quale si aspetta un contributo particolare. Il rischio è legato alla minore credibilità di cui gode oggi l'economia di mercato, dopo gli abusi che ne sono stati fatti. Il rischio di passare da un estremo all'altro, con un ritorno disordinato degli Stati nei mercati e con nuove regolamentazioni dettate dall'urgenza, c'è dappertutto. Ma in Europa può essere più distruttivo. In Europa, il «mercato», accompagnato dal «sociale », non è solo un modo in cui sono organizzate le attività economiche. E' anche il fondamento dell'integrazione europea. L'Unione Europea si è a lungo chiamata «Mercato comune». Se gli Stati membri, nel gestire la crisi, tornano a praticare politiche essenzialmente nazionali, senza curarsi troppo delle conseguenze negative sugli altri Stati, se la sorveglianza della Commissione europea viene vista con insofferenza, se queste tendenze prendono piede, allora l'Europa rischia di perdere la base principale della propria integrazione. Di andare verso la disintegrazione, proprio nel momento in cui il mondo riconosce la validità della costruzione europea e vuole imitarla.

01 febbraio 2009
da corriere.i


Titolo: Mario MONTI. - Una speranza per i giovani
Inserito da: Admin - Febbraio 08, 2009, 06:15:27 pm
OLTRE LA CRISI, LA PROPOSTA ICHINO

Una speranza per i giovani

di Mario Monti


In America e in Europa, le politiche con le quali i governi nazionali cercano di combattere la crisi rischiano di essere poco efficaci, di condurre alla disintegrazione economica, di conservare artificialmente il vecchio, di penalizzare i giovani. Si proclama il ritorno a Keynes, ma si esita a spingere in misura adeguata la domanda nell'unica fase degli ultimi sessant'anni in cui ciò sarebbe veramente necessario. Si preferisce sostenere l'offerta, bloccando così il processo schumpeteriano della «distruzione creatrice » con sussidi a settori e imprese che sono in difficoltà anche perché non si sono ristrutturati a sufficienza.

Gli aiuti vengono dati in una logica nazionale e spesso con condizioni protezionistiche che portano verso la disintegrazione dell'economia internazionale e dello stesso mercato unico europeo. Oltre che in aiuti statali diretti, i sussidi consistono anche in incentivi statali intesi sì ad alimentare la domanda, ma imbrigliandola perché sostenga settori in difficoltà (auto, moto, elettrodomestici e mobili, nel caso del-l'Italia) anziché lasciare che si indirizzi a nuovi settori e a nuove iniziative. La penalizzazione del nuovo per aiutare il vecchio riguarda non solo le imprese, ma anche i lavoratori e in particolare coloro che vorrebbero diventarlo, i giovani. Sia la crisi in sé, sia le politiche per combattere la crisi, rendono l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro più difficile e, quando avviene, più precario. In queste condizioni, riforme strutturali per rendere un'economia più competitiva e più equa diventano ancora più necessarie di quanto lo sarebbero state senza la crisi.

Nel caso dell'Italia, ho sostenuto in un'intervista con Dario Di Vico il 30 novembre che un rinnovato impegno sul fronte delle riforme strutturali permetterebbe anche di praticare una politica di bilancio più incisiva contro la crisi, senza che i mercati finanziari vi vedano un ritorno all'indisciplina e penalizzino i titoli italiani. Con accenti diversi, il tema è stato ripreso e sviluppato su queste colonne da Francesco Gavazzi (8 gennaio), Michele Salvati (4 febbraio) e Alberto Quadrio Curzio (6 febbraio). Un esempio di riforma strutturale utile per non penalizzare i giovani nel mercato del lavoro è quella proposta dal senatore Pietro Ichino. Essa mira a superare la divisione tra lavoratori anziani di fatto stabili e i giovani che invece, quando riescono ad avere un'occupazione, sono in prevalenza precari.

E rispetta anche l'esigenza delle imprese di avere la necessaria flessibilità. Un progetto concreto per introdurre in Italia quella flexsecurity che ha consentito ai Paesi nordici di conciliare alta competitività ed equità. L'idea di Ichino sta facendo strada tra i sindacati. La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, la appoggia. Si registra interesse da parte sia della sinistra che del vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera, Giuliano Cazzola. I dettagli sono da discutere, ma una riforma di questo tipo potrebbe dare ai giovani speranza oltre la crisi e preparare l'Italia alle dure sfide della competitività internazionale con una maggiore coesione.

08 febbraio 2009
da corriere.it


Titolo: Mario MONTI. Un patto (vero) per l’Europa
Inserito da: Admin - Maggio 10, 2009, 06:10:53 pm
GERARCHIE TRA SISTEMI, RUOLO DEL PAESE

Un patto (vero) per l’Europa


«Nuova gerarchia in Europa». Così l'Economist, che dal 1843 promuove i valori del liberalismo anglosassone, descrive il sovvertimento causato dalla crisi nella gerarchia tra i sistemi economico-sociali in Europa. Attribuisce la prima posizione al modello francese e la seconda al modello tedesco, due varianti dell'economia sociale di mercato, mentre riconosce la caduta, almeno temporanea, del modello anglosassone. Questo rimescolarsi delle carte offre all'Europa un'inattesa opportunità per rilanciare l'integrazione su basi più solide, proprio in una fase in cui la crisi economica e le reazioni dei governi nazionali mettono a rischio il mercato unico e con esso l'integrazione realizzata finora. L'Italia può avere un ruolo importante nello spingere l'Europa in questa direzione. E' un compito per il governo, ma anche per l'opinione pubblica, soprattutto se si volesse discutere anche di Europa nella campagna per le elezioni europee. La crisi sta conducendo i Paesi che abbracciano il modello anglosassone, come gli Stati Uniti, il Regno Unito e l'Irlanda, a riconsiderarne alcune caratteristiche.

Essi si chiedono se non abbiano fatto troppo affidamento sui meccanismi di mercato e troppo poco sulla regolamentazione, se non abbiano fatto crescere eccessivamente il loro settore finanziario a scapito di quello manifatturiero e se abbiano dedicato sufficiente attenzione alle diseguaglianze e ai sistemi di welfare. Questi Paesi, come anche la Cina, guardano adesso con maggior rispetto ad alcuni Paesi europei, come la Germania e la Francia, che hanno a lungo seguito modelli di economia sociale di mercato. I Paesi anglosassoni, peraltro, non dovrebbero sentirsi in imbarazzo per la loro parziale conversione. Né i Paesi ad economia sociale di mercato dovrebbero inorgoglirsi troppo per la «rivincita» che si stanno prendendo. Dopo tutto, nel decennio precedente, furono essi a doversi muovere nella direzione anglosassone, introducendo riforme economiche per accrescere la competitività. Ed è necessario che continuino a farlo. Questa convergenza dei modelli economici nazionali verso un punto mediano offre alla comunità internazionale una inaspettata opportunità politica, che consentirebbe all'Unione europea e al G20 di affrontare le crescenti sfide sociali salvaguardando nel contempo l'integrazione. Nella Ue ciascuno dei due gruppi di Paesi ha una sua preoccupazione principale. I Paesi anglosassoni, ma anche i nuovi Stati membri, sono giustamente irritati con i Paesi ad economia sociale di mercato — soprattutto con la Francia ma anche con la Germania e altri — perché questi sono sempre più insofferenti verso le regole esistenti del mercato unico (comprese quelle in materia di concorrenza e aiuti di Stato), per non parlare dell'ulteriore sviluppo di tale mercato. I Paesi ad economia sociale di mercato lamentano, anch'essi a ragione, che l'opposizione dei Paesi anglosassoni e dei nuovi Stati membri a qualsiasi forma di coordinamento della fiscalità rende più difficile raggiungere gli obiettivi sociali attraverso la politica di bilancio.

I gettiti fiscali, ridotti a causa della concor­renza fiscale, spesso non permettono il finan­ziamento di programmi sociali. Inoltre, le ba­si imponibili mobili - il capitale, le grandi im­prese e i professionisti altamente qualificati ­tendono a spostarsi verso i Paesi con regimi fiscali favorevoli, determinando in tal modo una corsa all’abbassamento delle aliquote d’imposta. Invece il lavoro e le piccole impre­se, essendo meno mobili, sopportano un cari­co fiscale crescente. Per evitare frustrazioni in entrambi i gruppi di Paesi, e il conseguen­te risentimento contro «l’Europa» in genera­le e il mercato unico in particolare, la UE do­vrebbe cogliere l’occasione per promuovere un compromesso. La Commissione dovreb­be anzitutto mettere il Consiglio, il Parlamen­to europeo e l’opinione pubblica di fronte ad una valutazione realistica - vale a dire piutto­sto preoccupante - delle conseguenze che l’avanzare del nazionalismo economico po­trebbe avere sull’integrazione europea. Do­vrebbe quindi proporre un patto strategico che comprenda due elementi: 1) Un impegno rinnovato e vincolante sul mercato unico, in particolare adottando mec­canismi rafforzati per assicurare il rispetto delle sue regole e prendendo iniziative per re­alizzarlo, entro termini ben precisi, nei setto­ri in cui fa ancora difetto. 2) Un impegno a introdurre un pur mode­sto coordinamento della fiscalità. Dovrebbe trattarsi di alcune misure intese non già a conseguire un’armonizzazione fiscale com­pleta (obiettivo irrealistico e non necessa­rio), bensì a permettere agli Stati membri di conservare la loro sovranità fiscale cooperan­do su alcune parti di essa. Se invece preferi­ranno difendere individualmente il principio della sovranità fiscale, gli Stati assisteranno ad una continua erosione di fatto della loro sovranità ad opera di una incontrollata con­correnza fiscale.

Con un tale compromesso, i Paesi anglosassoni e i nuovi Stati membri fa­rebbero un’apertura in materia di coordina­mento fiscale (di cui potrebbero comunque aver bisogno, ora che intendono dare più spa­zio al welfare), ma metterebbero al sicuro il futuro del mercato unico. I Paesi a economia sociale di mercato, dal canto loro, dovrebbe­ro sì sottostare alle regole di un effettivo mer­cato unico, ma avrebbero più ampi margini per perseguire gli obiettivi sociali senza do­ver contravvenire alle regole di mercato. Entrambi i gruppi si avvicinerebbero ai Pa­esi nordici, che combinano il mercato e la di­mensione sociale in modo più efficace. Infi­ne, e soprattutto, il patto darebbe nuovo vigo­re al vacillante progetto europeo. Un proget­to che forse, in questo momento, nessuno dei Paesi considera prioritario. Ma tutti subi­rebbero conseguenze pesanti - anche solo sul piano economico - se, in mancanza di un rinnovato slancio, l’Europa ripiegasse su 27 mercati nazionali. La Ue dovrebbe promuovere il coordina­mento fiscale in seno al G8 e al G20. Il giro di vite su alcuni paradisi fiscali, deciso dal G20 in aprile, è importante. Ma esso mira soltan­to a combattere l’evasione fiscale, mentre l’elusione fiscale continua su vasta scala e in modo legale, in quanto la maggior parte de­gli Stati si fanno reciprocamente una concor­renza fiscale senza limiti. L’obiettivo di una globalizzazione governata e basata sul merca­to non può essere raggiunto se la sovranità fiscale dei governi è sempre più erosa dal mercato. Per conseguire i loro obiettivi socia­li, i governi devono poter fare un uso efficace dei loro bilanci; in caso contrario, essi faran­no abuso del mercato. L’Italia è in condizio­ne di esercitare un ruolo di spinta perché l’Europa faccia un passo avanti nella direzio­ne indicata. Ha una tradizione europeista, di­ventata nel tempo più consapevole dei con­creti interessi in gioco. Non coltiva la sovrani­tà come simbolo astratto ed è pronta a perse­guire pragmaticamente progressi che raffor­zino la costruzione europea, anche nel pro­prio interesse nazionale. Non è, come altri Pa­esi, ideologicamente sensibile alla primazia di un «modello», anche perché mutua ele­menti dall’uno e dall’altro dei due modelli do­minanti. E’ stata meno di altri colpita dalla crisi, ma ha, anche più di altri, bisogno di un’integrazione europea funzionante per re­cuperare dopo la crisi un ritardo, preesisten­te ad essa, in termini di competitività e di cre­scita. Queste condizioni oggettive, unite alla presidenza del G8 esercitata quest’anno e al­l’assenza di prossime scadenze elettorali na­zionali, come invece hanno Germania e Gran Bretagna, potrebbero favorire l’assunzione di una leadership nell’aiutare l’Europa a rende­re più solido il proprio futuro.

Mario Monti
10 maggio 2009

da corriere.it


Titolo: Mario MONTI. La doppia occasione
Inserito da: Admin - Giugno 07, 2009, 12:17:15 am
RUOLO DELL’ITALIA, G8 E CASO OPEL

La doppia occasione


Il governo è stato criti­cato per non avere so­stenuto efficacemen­te il tentativo di Fiat di acquisire Opel. Il gover­no tedesco e General Mo­tors, appoggiata dal gover­no americano, le hanno preferito un consorzio ca­nadese- russo. Sergio Romano ha nota­to che «il vertice telefoni­co fra Merkel e Obama mette implicitamente in evidenza l’assenza del go­verno italiano». Non so se al governo debba rimpro­verarsi qualcosa di specifi­co. Ma questo insuccesso deve indurre a ripensare due orientamenti seguiti dai governi Berlusconi fin dal 2001.

Il primo è la tendenza a privilegiare i rapporti di­retti con Stati Uniti e Rus­sia, rispetto al rafforza­mento della Ue. Sono rap­porti che si nutrono di sim­patia personale tra i lea­der, presentata in Italia co­me prova di intese politi­che profonde, e si ispira­no ad una docile subordi­nazione. Le relazioni con la Russia di Putin — ad esempio sulla Georgia — e soprattutto con l’Ameri­ca di Bush ne hanno offer­to frequenti testimonian­ze.

Un solido asse con gli Stati Uniti è fondamentale per l’Italia. Ma i governi di cui parliamo si sono distin­ti per non avere mai con­traddetto le impostazioni unilaterali dell’ammini­strazione Bush. Queste hanno ritardato l’avvio di una governance della glo­balizzazione e hanno con­tribuito alla crisi, ad esem­pio con il rifiuto di Washington di sottoporsi alle verifiche del Fmi sulla stabilità finanziaria.

Il governo italiano, che a volte sostiene di avere ca­pito prima di altri la crisi in arrivo, certo non ha mai fatto sforzi per convincere l’«amico» della Casa Bian­ca a rendere le politiche pubbliche meno succubi del mercato e ad accettare un loro coordinamento. E’ quasi una nemesi che toc­chi ora al governo italiano guidare il G8 verso un le­gal global standard. Spe­riamo che l’Italia riesca a far recuperare al governo della globalizzazione un po’ del tempo perduto an­che per l’acquiescenza del governo italiano a un pre­sidente americano di cui voleva il favore, mentre la Ue e altri governi erano meno remissivi. Del resto, il caso Fiat mostra che le scorciatoie italiane verso Washington e Mosca non sono pagan­ti. Obama, Merkel e Putin — leader peraltro non le­gati da grandi simpatie re­ciproche — non sembra­no avere prestato particola­re attenzione ai desideri italiani.

Il secondo orientamen­to da ripensare riguarda l’evoluzione della Ue. Il go­verno italiano osserva spesso, con una punta di soddisfazione, che la poli­tica sta riprendendo spazi rispetto al mercato e alle regole europee e che il ruo­lo delle decisioni intergo­vernative è in crescita ri­spetto a quello delle deci­sioni comunitarie. Queste due tendenze sono innega­bili. Ma l’Italia, Paese gran­de ma non sempre forte, dovrebbe preoccuparsene e adoperarsi per il rilancio dell’integrazione.

Qualche anno fa, prima che si indebolisse l’impian­to comunitario, Enel riu­scì ad acquisire Endesa malgrado la fiera opposi­zione della Spagna e le mi­re del gruppo tedesco E.on. Oltre all’abilità di Enel, è stata decisiva l’azio­ne della Commissione e della Corte di Giustizia. Oggi, Fiat e governo ita­liano dovranno vigilare, con strumenti legali se ne­cessario, affinché la stessa imparzialità venga applica­ta — pur in un contesto co­munitario indebolito — al controllo degli aiuti con­cessi dal governo tedesco a chi ha rilevato Opel.


Mario Monti
03 giugno 2009



Titolo: Mario MONTI. - La lezione verde di Cohn-Bendit
Inserito da: Admin - Giugno 14, 2009, 12:12:39 pm
AMBIENTE, EUROPA E WELFARE

La lezione verde di Cohn-Bendit


Come vivono, gli europei, la crisi economica? Ha an­cora senso che l’Europa punti allo «svilup­po sostenibile»? Può anco­ra permettersi questo «lus­so »?
I risultati delle elezio­ni europee offrono indica­zioni in proposito. Da anni la Ue si è data l’obiettivo dello sviluppo so­stenibile: crescita economi­ca, ma accompagnata da conseguenze sociali accetta­bili e condotta nella tutela dell’ambiente.

Con la crisi, ci si poteva attendere che l’ambiente scendesse di priorità, con perdite per i partiti ecologi­sti; e che la situazione socia­le favorisse le sinistre. E’ av­venuto il contrario. I Verdi — in particolare in Francia, ma anche in Germania e al­trove, con l’eccezione del­­l’Italia — hanno avuto una vistosa affermazione; le si­nistre, un pesante insucces­so. Questo risultato è stato oggetto di molte analisi. Ma non se ne è pienamente colta la connessione con il modello di integrazione fi­nora seguito dalla Ue.

La protezione sociale, il welfare, sono funzioni svol­te dagli Stati membri. A li­vello comunitario, viene in­vece coltivata l’integrazio­ne, fondata sul mercato uni­co. Questa è essenziale per la crescita e per l’occupazio­ne. Ma i cittadini vedono un’Europa che, mentre im­pone il rispetto delle regole del mercato, non «offre» il sociale. A farlo, sono gli Sta­ti. L’Europa, se mai, rende difficile questa funzione de­gli Stati, perché lascia gioca­re la concorrenza fiscale tra gli stessi Stati, che drena ri­sorse, avvantaggia i capita­li, penalizza il lavoro.

Se non si porrà freno a questa tendenza, non deve sorprendere che gli elettori si rivolgano a quei partiti che non spingono per l’inte­grazione e che vogliono un’Europa che protegga, che non ostacoli troppo gli Stati che proteggono i loro Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art. 1, c1, DCB Milano cittadini e le loro imprese, anche all’interno della stes­sa Ue. Posizioni di questo ti­po, oggi, si trovano in larga misura in certi partiti di de­stra, oltre che in partiti di­chiaratamente contrari al­l’integrazione.

La protezione dell’am­biente, invece, si è diffusa nei Paesi europei in gran parte per impulso della Ue. Varie direttive sull’ambien­te, la leadership sul piano internazionale per gli accor­di di Kyoto, il pacchetto sul­l’energia e sul cambiamen­to climatico adottato in di­cembre, sono tutte manife­stazioni di una Ue all’avan­guardia sul terreno ambien­tale, mentre essa appare in posizione di retroguardia sul terreno sociale.

Si capisce allora che Da­niel Cohn-Bendit possa tra­scinare un movimento eco­logista alla conquista di vo­ti con un programma che mira a rafforzare l’integra­zione economica e politica e con una campagna eletto­rale che, caso raro, ha parla­to di Europa, solo di Euro­pa.

E’ necessario riconciliare l’Europa e l’attenzione so­ciale come già sono in ar­monia l’Europa e l’attenzio­ne ambientale. E’ anche possibile? Sì, in due modi.

Un primo modo consiste­rebbe nel consentire, da parte della Ue, che ogni Sta­to si occupi delle istanze so­ciali senza riguardo all’aper­tura rispetto al resto della Ue, anche in violazione del­le regole del mercato uni­co. Forse l’Europa divente­rebbe meno impopolare, ma si avvierebbe a una rapi­da disintegrazione.

Un secondo modo, inve­ce, richiede che l’integrazio­ne prosegua, ma si estenda ad aspetti, come il coordi­namento della fiscalità, che permettano agli Stati di da­re grande attenzione al so­ciale pur rispettando il mer­cato unico. E’ la linea pro­posta su queste colonne il 10 maggio. I risultati delle elezioni ne mostrano l’op­portunità.


Mario Monti
14 giugno 2009

da corriere.it


Titolo: Mario MONTI. L’Italia ha bisogno di una scadenza
Inserito da: Admin - Giugno 28, 2009, 05:21:35 pm
TREMONTI, LA CRISI E LE RIFORME

L’Italia ha bisogno di una scadenza


Nei mesi scorsi ho espresso apprez­zamento al go­verno, in partico­lare al ministro Giulio Tre­monti, per la gestione, ac­corta e sicura, della difficile crisi finanziaria. Ho invece criticato lo stimolo apporta­to dallo Stato per contrasta­re la recessione, a mio giu­dizio insufficiente pur tenu­to conto delle cautele impo­ste dall'alto debito pubbli­co, e la pausa nel processo delle riforme strutturali.

I provvedimenti adottati venerdì dal Consiglio dei ministri, come ha osserva­to ieri Dario Di Vico, vanno nella giusta direzione e ri­spondono almeno in parte alla prima critica, sia pure con un certo ritardo.

Lo spazio per misure temporanee di rilancio, sen­za generare reazioni negati­ve sul mercato dei titoli di Stato, potrebbe essere si­gnificativamente maggiore se, accogliendo il secondo rilievo, si riavviasse con de­cisione il cammino delle ri­forme.

Vi è ampio consenso sul­la necessità, richiamata dal Governatore Mario Draghi, di «attuare quelle riforme che, da lungo tempo attese, consentano al nostro siste­ma produttivo di essere par­te attiva della ripresa econo­mica mondiale». È opinio­ne diffusa che tali riforme debbano riguardare in par­ticolare la riduzione struttu­rale della spesa pubblica corrente, anche attraverso la riforma delle pensioni, la formazione del capitale umano, le infrastrutture, una maggiore concorrenza per aprire i mercati e ridur­re le rendite, la liberalizza­zione dei servizi e special­mente dei servizi pubblici locali.

In questi campi, qualche passo è stato compiuto. Ma a una marcia più decisa ven­gono opposte due obiezio­ni. Siamo sicuri che l'Italia abbia davvero bisogno di ri­forme? È opportuno chiede­re uno sforzo di riforma du­rante una crisi? Su questo terreno, su queste due obiezioni, do­vrebbe secondo me concen­trarsi oggi il dibattito, per capire che corso debba prendere il nostro Paese. Un dibattito in buona fede, perché entrambe quelle obiezioni sono rispettabili e potrebbero essere fonda­te.

Sul primo punto, la mia radicata opinione è che le riforme siano necessarie af­finché l'Italia, dopo 15 anni di bassa crescita, conquisti una maggiore competitivi­tà, uno sviluppo più eleva­to e una società più equa. Rimango convinto di ciò pur considerando realisti­che e importanti le osserva­zioni spesso formulate dal ministro Tremonti su alcu­ni punti di forza della strut­tura sociale, del sistema produttivo e perfino del si­stema finanziario del no­stro Paese. Questi punti di forza sono stati a lungo tra­scurati dagli italiani, forse per qualche complesso di inferiorità; e dagli osserva­tori internazionali, per la frequente incapacità di leg­gere realtà complesse con modelli uniformi.

È bene prendere atto che certe peculiarità italiane hanno attutito l'impatto della crisi sul nostro siste­ma economico e sociale, adoperarsi per mantenerne gli aspetti positivi, non in­dulgere nella imitazione acritica di modelli altrui. Ma accanto a quelle peculia­rità esistono sacche di inef­ficienze, di rendite, di privi­legi. Se opportune riforme aprissero un po' di più al vento del mercato e della concorrenza questi orti chiusi, l'Italia ne trarrebbe vantaggio. Sarebbe assurdo pensare che questo maggio­re mercato debba essere re­spinto solo perché altri mercati, certi mercati finan­ziari lasciati colpevolmente senza vigilanza, hanno scre­ditato agli occhi di molti il mercato in sé.

Occorre dunque riprendere il cammino delle riforme. Ma è opportuno farlo durante la crisi, quando il Paese è già sottoposto a un pesante stress? Anche questa è un’obiezione apprezzabile. Ma deve essere superata, per due buone ragioni.

Se l’Italia si presenterà alla ripresa dell’eco­nomia mondiale appesantita dalla sua scarsa competitività, altri scatteranno più veloci ai blocchi di partenza. Inoltre, se ci si accinges­se alle riforme a crisi superata, lo si dovrebbe fare in un contesto politico nazionale verosi­milmente meno favorevole di quello odierno, che è caratterizzato da una maggioranza am­pia e ragionevolmente compatta e da una legi­slatura ancora nella fase iniziale, con elezioni politiche tra quattro anni.

A pensarci, è strano che un governo forte come quello attuale non sia ansioso di fare presto molte riforme strutturali. Ha un’occa­sione unica per lasciare la sua traccia profon­da nella storia del Paese. Se fossero riforme persuasive, probabilmente la stessa opposi­zione non avrebbe interesse a contrastarle.

Forse, ciò che manca perché questo accada è semplicemente lo sguardo al futuro. L’opi­nione pubblica italiana segue, divertita e sgo­menta, un’attualità politica quotidiana che è diseducativa non solo per i suoi contenuti, ma anche perché distoglie ogni attenzione, dei cittadini e del mondo politico, dal futuro. La Francia, la Danimarca, molti altri Paesi hanno in corso riflessioni, promosse dai go­verni, su quale sarà la loro posizione nel con­testo della competizione mondiale tra 10 o 20 anni. I capi di governo dell’Unione europea hanno creato un gruppo per riflettere sull’Eu­ropa al 2020-2030.

E l’Italia? Non mi risulta che sia in corso un analogo esercizio d’insieme, promosso dal go­verno, per capire come sarà il futuro dell’Ita­lia. Quale sarà, ad esempio, la posizione com­petitiva della nostra economia? Con quali con­seguenze sull’occupazione, sulla crescita, sul­la società, sui giovani? In che modo la posizio­ne dell’Italia sarà influenzata dalle politiche economiche e sociali che verranno poste in atto? Sono necessarie le riforme per diventa­re più competitivi e per crescere? Quali rifor­me? Come distribuirne i costi e i benefici? Che «programma» di medio-lungo termine è necessario? Con quali scadenze?

Nella vita pubblica italiana, le scadenze hanno sempre avuto un grande valore. Con­centrano gli sforzi, espongono al rischio di in­successo, spingono all’azione. È stato così con il «programma 1992», per la preparazio­ne dell’Italia al mercato unico europeo. È sta­to così per la preparazione all’euro, che richie­deva precisi risultati sul disavanzo pubblico e sull’inflazione entro il 1997. In entrambi i ca­si, l’Italia ha conseguito l’obiettivo, con un im­pegno collettivo favorito dalla scadenza.

E oggi? In assenza di una scadenza-chiave dataci dall’Europa, dovrebbe essere la comu­nità nazionale, guidata dal governo, a darse­ne una, per farvi convergere gli sforzi pubbli­ci e privati. Ma, se non sbaglio, l’unica data che ricorre, ogni tanto, nel dibattito pubblico italiano è il 2015, la data dell’Expo di Milano. È un evento di un certo rilievo, conquistato da Milano e dall’Italia con un notevole impe­gno comune, ma che sembra incontrare diffi­coltà, soprattutto per problemi interni alle forze della maggioranza di governo.

Se non altro, nel caso dell’Expo l’esistenza di una scadenza e l’attento scrutinio interna­zionale fanno sì che i problemi emergano e, si spera, siano risolti in tempo. Sul tema, in­comparabilmente più importante, della posi­zione dell’Italia nell’economia mondiale, for­se dovremmo darci noi, in modo esplicito, de­gli obiettivi e delle scadenze. Fare riflettere la comunità nazionale sul proprio futuro. Ispira­re a quelle riflessioni le decisioni sulle politi­che correnti

Mario Monti
28 giugno 2009

da corriere.it


Titolo: Mario MONTI. L'Aquila e Berlusconi
Inserito da: Admin - Luglio 12, 2009, 12:09:01 pm
UN PROGETTO PER LE RIFORME

L'Aquila e Berlusconi


Con il G8 il presidente del Consiglio ha ottenuto un importante successo, per l'immagine dell'Italia e per la propria leadership. Come lo utilizzerà?

A Berlusconi sono stati rivolti in questi giorni vari consigli: condivida il successo di politica estera con l'opposizione, lo trasformi in un atteggiamento più conciliante in politica interna. E' auspicabile che il premier sia sensibile a tali suggerimenti, anche se le sue prime dichiarazioni non vanno in questa direzione.

Al di là dello stile, quale progetto politico potrebbe dare al governo un colpo d'ala, sullo slancio e nello spirito dell'Aquila? Berlusconi dovrebbe ispirarsi proprio all'aquila: rapace di grande prestanza fisica, ma che ha il suo vero punto di forza nella vista, capace di fissare nitidamente obiettivi lontani. L'obiettivo: l'Italia del 2015-2020. Il progetto: un insieme coerente di riforme per la crescita dell'economia e della società.

Singoli ministri, di fronte alle resistenze che ogni riforma comporta, possono chiedersi se l'Italia, colpita dalla crisi meno di altri Paesi, abbia davvero bisogno di riforme; e se sia opportuno chiedere uno sforzo di riforma durante una crisi. Ma il capo del governo non può non vedere che la sua legacy, l'opinione che in futuro si avrà della sua opera, dipenderà dalla realizzazione o meno di un tale progetto, non da una serie di vittorie contingenti contro gli avversari.

Berlusconi ha saputo costruirsi un consenso vastissimo, tra gli italiani di oggi. Ma per avere quello degli italiani di domani, per essere considerato un giorno colui che avrà reso l'Italia più moderna e più giusta, non colui che avrà sprecato una grande occasione, deve trasformare in riforme il consenso che ha oggi, anche a costo di perderne un po'.

Riduzione strutturale della spesa pubblica corrente, riforma delle pensioni anche per rendere meno precario il lavoro dei giovani, riforme incisive nella scuola e nell'università, introduzione di una maggiore concorrenza per aprire i mercati e ridurre le rendite, liberalizzazione dei servizi e specialmente dei servizi pubblici locali: queste sono — lo ricordavo di recente («L'Italia ha bisogno di una data chiave» Corriere, 28 giugno)—alcune riforme necessarie.

Angelo Panebianco («I veri ostacoli alle riforme» Corriere, 6 luglio) ha osservato che l'assenza di incisive riforme in questi settori «obbliga da decenni l'economia italiana a funzionare a basso regime», ma d'altra parte «assicura al Paese condizioni di stabilità sociale e territoriale». Si chiede lucidamente Panebianco: «Ciò significa che non bisogna fare quegli interventi riformatori? Bisogna farli di sicuro, a meno che non ci si rassegni definitivamente all'idea che la democrazia italiana possa reggere solo se si accettano bassi tassi di crescita (anche a crisi superata) e forse, in prospettiva, un ulteriore impoverimento complessivo. Ma bisogna anche individuare le strategie utili per attutire gli inevitabili contraccolpi».

Questo è il dilemma che Berlusconi, rafforzato dopo l'Aquila sul piano interno e internazionale, ha di fronte a sé. Si propone di gestire l'Italia nello spirito di una buona amministrazione ordinaria? O si sente di dedicare i prossimi quattro anni a un programma straordinario che, con le opportune misure di accompagnamento, introduca radicali riforme affinché l'Italia non debba rassegnarsi e possa avere sia la democrazia sia la crescita?

Mario Monti
12 luglio 2009

da corriere.it


Titolo: Mario MONTI. - Quale presidente per l'Europa
Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2009, 03:43:44 pm
 IL PROFILO MIGLIORE PER UN COMPITO STORICO

Quale presidente per l'Europa


Se fosse un posto al­la Rai, il dibattito politico e mediati­co sarebbe già scate­nato. Invece, si tratta «so­lo » del presidente del Con­siglio europeo, la posizio­ne di vertice dell'Unione Europea. Appena il Tratta­to di Lisbona entrerà in vi­gore, i capi di Stato o di go­verno eleggeranno il loro presidente, per due anni e mezzo rinnovabili una vol­ta, ponendo fine alla rota­zione semestrale. Se fosse eletto uno di loro, dovrà la­sciare la carica nazionale.

Quasi nessuno dei 27 grandi elettori ha finora di­chiarato la propria prefe­renza. Il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, fa eccezione. Qualche mese fa aveva già espresso il proprio favore per l'ex primo ministro bri­tannico Tony Blair. Il 14 ot­tobre, con una lettera al «Foglio», l'ha confermato.

Il 6 ottobre in un'intervi­sta al «Corriere» il mini­stro degli Esteri, Franco Frattini, aveva dichiarato che il governo italiano vor­rebbe, quale presidente, «un sincero interprete di una visione europeista». Aveva aggiunto: «Abbia­mo espresso apprezzamen­to per Tony Blair, sapendo che vi è un blocco di Paesi con perplessità su di lui. Viene da un Paese che non adotta l'euro e non è nell' area Schengen. Siamo con­sapevoli di questi limiti, non li neghiamo».

Altri, sulla stampa inter­nazionale, hanno posto in luce i punti di forza e di de­bolezza del profilo di Blair. Tra i primi, il notevole cari­sma personale, la grande notorietà in Europa e nel mondo, le spiccate doti di comunicatore. Tra i secon­di, non aver saputo realiz­zare il suo principale pro­getto politico, quello di portare il suo Paese «nel cuore» dell'Europa; avere tenacemente spalleggiato - pur «socialista» - la fron­tale opposizione della City contro un'adeguata regola­mentazione e supervisione finanziaria, atteggiamento che ha concorso alla crisi; avere contribuito più di ogni altro a dividere l'Euro­pa sulla guerra in Iraq.

Colpisce che nel dibatti­to italiano si discuta po­chissimo di una scelta così importante. Ho ripreso questi elementi su Blair perché abbiamo appreso che è il «nostro» candida­to. Analoghe riflessioni do­vrebbero ovviamente esse­re fatte sui vari candidati di cui si parla in Europa, fermo restando che per quella posizione - benché nulla prescriva il Trattato ­occorrono personalità che siano state o siano capi di Stato, capi di governo o membri autorevoli di go­verni.

Ciò che il Trattato inve­ce chiarisce bene, è che il presidente «assicura la pre­parazione e la continuità dei lavori del Consiglio eu­ropeo, in cooperazione con il presidente della Commissione» e «si ado­pera per facilitare la coesio­ne e il consenso in seno al Consiglio europeo». E' au­spicabile che il presidente sia una figura riconoscibi­le e carismatica, ma ciò che determinerà il suo con­tributo al successo dell'Eu­ropa sarà soprattutto la sua capacità di guidare un lavoro di squadra e di dare nuovo impulso, in piena cooperazione con il presi­dente della Commissione, al metodo comunitario.

Tutti gli Stati membri hanno interesse a progredi­re verso un'Europa più for­te e coesa, non a regredire verso decisioni intergover­native. L'Italia è un grande Paese, ma non è uno Stato membro forte. E' suo inte­resse nazionale favorire, anche con la scelta del pre­sidente del Consiglio euro­peo, un'Europa comunita­ria, con una Commissione che sia arbitro autorevole, capace di imporre il rispet­to delle regole anche ai più forti.

Mario Monti

18 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Mario MONTI. - Un presidente per il consenso
Inserito da: Admin - Novembre 23, 2009, 03:23:55 pm
VAN ROMPUY E LE AMBIZIONI DELL’EUROPA

Un presidente per il consenso


La nomina di Her­man Van Rompuy a presidente del Consiglio europeo non ha suscitato entusia­smo. Questo atteggiamento accomuna due campi con­trapposti. Eppure, a mio pa­rere, non è ben fondato.

Coloro che non credono molto nella costruzione co­munitaria e privilegiano l’Eu­ropa degli Stati, hanno visto nella nomina la conferma di un’Unione europea che vola basso. Secondo loro, una personalità di alto profilo mondiale, come Tony Blair, avrebbe permesso all’Euro­pa di essere considerata una potenza mondiale, come gli Stati Uniti o la Cina.

Nel campo opposto, mol­ti sostenitori di un’Europa comunitaria, che però vor­rebbero protesa con più for­za e rapidità nell’integrazio­ne economica e politica, so­no anch’essi delusi dalla no­mina di un presidente rispet­tato, ma di basso profilo.

Gli uni e gli altri dimenti­cano, a mio parere, che non si trattava di scegliere il pre­sidente di uno Stato che già esista, ma il presidente di un processo di costruzione, se non di uno Stato unita­rio, di un insieme di Stati più integrati di oggi.

I critici del primo tipo — che preferiscono il concerto intergovernativo — hanno ragione a dolersi della nomi­na di Van Rompuy e soprat­tutto della mancata nomina di Blair. Con l’ex primo mi­nistro britannico alla guida del Consiglio europeo, quel tanto di Europa che già esi­ste avrebbe trovato una buo­na visibilità esterna. Ma, con loro soddisfazione, una spinta verso una maggiore integrazione comunitaria non ci sarebbe stata. Sia per­ché nella visione di Blair, al di là degli aspetti stretta­mente di mercato, l’obietti­vo dell’integrazione non è prioritario. Sia perché, pur dotato di una personalità forte, egli non è mai stato molto efficace nell’unire i governi e i popoli europei.

I critici del secondo tipo — i fautori dell’Europa co­munitaria — hanno meno ragione di essere delusi del­la nomina di Van Rompuy. Dovrebbero prestare atten­zione a quanto ha scritto nei giorni scorsi il loro «ca­poscuola » indiscusso, Jac­ques Delors: «Il presidente permanente dell’Unione sa­rà davvero utile se renderà più facile il dibattito al mas­simo livello sul futuro del­l’Europa. Non è proprio il ca­so di nominare un super ca­po di governo (...) Il Consi­glio europeo ha piuttosto bi­sogno di un presidente me­diatore, capace di creare consenso».

Se l’Europa non avanza, è spesso perché il Consiglio non riesce a trovare un ac­cordo sulle proposte della Commissione. Herman Van Rompuy sembra proprio avere la capacità di creare consenso. Nicolas Sarkozy ha sottolineato che «questo fiammingo è un uomo che nel suo passato non ha fatto che mettere d’accordo le persone intorno a lui». E non su soluzioni minimali­stiche: da ministro del bilan­cio del Belgio, prima di di­ventarne primo ministro, ha condotto con successo una difficile operazione di risanamento della finanza pubblica.

Magari sarebbe stato pre­feribile una persona con que­ste caratteristiche e, in più, un profilo di maggiore spic­co a livello internazionale. Non è ovvio che ci fosse e che fosse disponibile. Ma sa­rebbe certamente riduttivo dire, come molti hanno fat­to, che i capi di Stato e di go­verno hanno trovato l’accor­do su di lui perché si tratta di una figura che difficilmen­te li metterà in ombra. Stia­mo a vedere. Ma non mi sen­to affatto di dire che Angela Merkel e Nicolas Sarkozy avrebbero servito meglio l’in­teresse dell’Europa se avesse­ro fatto il «sacrificio persona­le » di nominare a loro presi­dente Tony Blair.

Mario Monti

22 novembre 2009(ultima modifica: 23 novembre 2009)© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Mario MONTI. - La bussola del Presidente
Inserito da: Admin - Gennaio 02, 2010, 11:50:02 am
La bussola del Presidente


Il Presidente della Repubblica non guida la politica del Paese. Ma può, restando nei suoi poteri, esercitare una leadership.
Con essa, può offrire orientamento ai cittadini e al mondo politico.

Ascoltando il messaggio di Giorgio Napolitano, sapevo di non potermi attendere l’annuncio di decisioni.
Cercavo una cosa più rara e importante, in un momento così confuso: l'orientamento, una visione nella quale riconoscersi, sull'Italia, la crisi, la politica. La visione mi è parsa nitida e forte. Ne ho colti quattro capisaldi.

L'atteggiamento.
A fine 2008 il Presidente indicava «l’atteggiamento da tenere dinanzi alla pesante crisi»: dobbiamo considerarla come «grande prova e occasione per aprire al Paese nuove prospettive di sviluppo». Rispetto a questo metro di valutazione, il suo giudizio dopo un anno appare incoraggiante, ma non soddisfatto. Grazie al «serio sforzo» compiuto dalla comunità internazionale e da quella italiana — «Paese» e poteri pubblici — «guardiamo con fiducia, con più fiducia del 31 dicembre scorso, al nuovo anno».
Ma sulle politiche per dare all'Italia nuove prospettive di sviluppo, «il discorso resta ancora interamente aperto».

Il Paese.
Risiede sul colle più alto, il Presidente, ma è un attento osservatore delle realtà locali. Ed è «guardando a quel che si è mosso nel profondo del nostro Paese» che nutre una fondata fiducia. «Nel tessuto più ampio e profondo della società si è reagito alla crisi con intelligenza, duttilità, senso di responsabilità». Con garbo, Napolitano sembra invitare i protagonisti della politica a posare anch’essi lo sguardo un po’ più in basso: «In realtà, non è vero che il nostro Paese sia diviso su tutto: esso è più unito di quanto appaia se si guarda solo alle tensioni della politica».

La politica.
Se il suggerimento verrà colto, si potrà avere «un ritorno di lucidità e di misura nel confronto politico», che gioverebbe alle stesse forze politiche. «Esse— diceva il messaggio di un anno fa— possono guadagnare fiducia solo mostrandosi aperte all’esigenza di un impegno comune, ed esprimendo un nuovo costume». Predica inutile? Non proprio. «Lo so bene— osserva Napolitano (con elegante understatement, se si pensa agli attacchi personali che ha ricevuto da più parti) — abbiamo vissuto mesi molto agitati sul piano politico, ma ciò non deve impedirci di vedere come si sia operato in concreto da parte di tutte le istituzioni, realizzandosi, nonostante i forti contrasti, anche momenti di impegno comune e di positiva convergenza».

Le riforme.
L’impegno comune è necessario per le riforme, chieste con vigore dal Presidente: quelle istituzionali e quelle, «da non rinviare», nel campo economico e sociale. «L’economia italiana deve crescere di più e meglio che negli ultimi quindici anni: ecco il nostro obbiettivo fondamentale». Egli registra positivamente le riforme annunciate dal governo sugli ammortizzatori sociali e sul fisco. Invita a presentare «un'analisi e una proposta d'insieme».

Quello di Napolitano non è un discorso di politica economica. Ma i temi sui quali sollecita l’azione — il Mezzogiorno, i giovani, l'equità sociale — sono legati da una stringente logica economica. Senza risultati su questi fronti, l’Italia sarebbe frenata nella crescita.

E non riuscirebbe neppure ad essere un'«economia sociale di mercato», per mancanza di «sociale» e conseguente rigetto del «mercato».

Mario Monti

02 gennaio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: MONTI -
Inserito da: Admin - Maggio 23, 2010, 05:18:29 pm
PROPOSTA MONTI E CONSENSO IN EUROPA

Il mercato che non fa paura



Il rilancio del mercato interno è più necessario che mai, ma anche più impopolare che mai.

Così Mario Monti ha sintetizzato su queste colonne il dilemma che l’Unione europea deve oggi fronteggiare. Per far ripartire le nostre economie occorrono più apertura economica e più efficienza. All’opinione pubblica, però, mercato e integrazione fanno paura: sono percepiti come minacce ai vari «modelli sociali» nazionali. I governi e le istituzioni europee si trovano perciò in un circolo vizioso da cui non è facile uscire.

Ricostruire il consenso per l’«Europa del mercato» è un’operazione complessa. Se alla radice del problema sta la paura, il punto di partenza è obbligato: occorre fornire rassicurazioni ai cittadini sul fatto che l’integrazione economica non è «nemica» della sicurezza sociale, ma è anzi una sua importante alleata. Nel suo «Rapporto sul rilancio del mercato interno » (commissionato da Barroso) Mario Monti ha formulato raccomandazioni volte non solo a promuovere più concorrenza ma anche a rispondere alle preoccupazioni «sociali» dei cittadini. Fra le proposte in questa seconda direzione, vi sono: misure contro la concorrenza sleale tra fornitori di servizi con base in diversi Paesi (la sindrome dell’«idraulico polacco»); la difesa dei pilastri portanti delle relazioni industriali (compreso il diritto di sciopero); un maggior coordinamento dei regimi fiscali degli Stati.

Quest’ultimo punto è importante perché la concorrenza fiscale sregolata non solo destabilizza il welfare, ma può creare effetti economici distorsivi. Le raccomandazioni di Monti sono preziose sul piano tecnico, ma potrebbero non bastare sul piano del consenso. Sarebbe perciò auspicabile inserirle in una cornice più ampia che chiarisca i rapporti fra integrazione economica sovranazionale e sistemi di welfare su base nazionale. Un primo elemento di questa cornice dovrebbe essere la valorizzazione di quell’«Europa sociale» che già esiste ma è poco conosciuta. Pensiamo alla tutela dei diritti fondamentali e di standard sociali inderogabili, alle norme Ue su pari opportunità e non discriminazione, alle politiche di coesione. All’opinione pubblica va ribadito chiaramente che l’Ue non è solo mercato e vincoli di bilancio, ma anche una comunità politica basata su nuovi diritti di cittadinanza per tutti i suoi residenti.

Il secondo elemento della cornice è più ambizioso. Si tratterebbe di accompagnare il rilancio del mercato interno con una qualche iniziativa di alto profilo, volta a confermare l’impegno dell’Ue anche sul versante sociale. Pensiamo a un possibile schema europeo di reddito minimo per le famiglie povere con figli piccoli (gli europei di domani). Il Parlamento Ue si è già espresso a favore di tale ipotesi. E, senza por mano ai Trattati, si potrebbe da subito istituire un «Sistema europeo di protezione sociale» per coordinare e incentivare la modernizzazione delle politiche nazionali di welfare.

Il messaggio di base di una simile cornice dovrebbe essere molto semplice: mercato e concorrenza sono strumenti per migliorare le condizioni di vita e le opportunità di scelta di tutti noi. Essi sono i migliori servitori del progresso, ma non devono diventarne i padroni. Erano le massime di Lord Beveridge, l’architetto del welfare state moderno ed esponente di una delle più nobili tradizioni del liberalismo europeo.

Maurizio Ferrera

19 maggio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_maggio_19/ferrera_8b1b485a-6304-11df-8b63-00144f02aabe.shtml


Titolo: Mario MONTI. Il silenzio sulla crescita
Inserito da: Admin - Settembre 05, 2010, 10:00:56 am
Un tema chiave di cui non si parla

Il silenzio sulla crescita


«L’ Italia è uscita bene dalla crisi finanziaria ma male dalla recessione, con una perdita di prodotto ben maggiore che negli altri Paesi» (Luigi Spaventa, Repubblica, 31 agosto). Dieci anni fa eravamo intorno ai livelli della Germania (o superiori) per prodotto pro capite e produttività del lavoro. Oggi registriamo un arretramento di circa dieci punti sia rispetto alla Germania sia rispetto all’area dell’euro.
Il Governatore Draghi ha chiesto che l’Italia segua l’esempio della Germania, con riforme che la rendano più produttiva e competitiva.

La politica economica italiana, sotto la regia del ministro Tremonti, ha avuto il grande merito di permettere all’Italia di attraversare la crisi finanziaria con danni molto inferiori a quelli di altri Paesi, pur considerati meno fragili. D’altra parte, i risultati insoddisfacenti dell’economia reale sono anch’essi attribuibili, in parte, a carenze della politica economica.

Nel decennio considerato sono state fatte alcune riforme strutturali, ma evidentemente non sufficienti. Dall’inizio della crisi, inoltre, il governo ha optato per una linea di grande cautela finanziaria (limitati interventi anticiclici) e politica (minore priorità alle riforme). Era stato suggerito di effettuare qualche maggiore intervento di sostegno, associato però a un’accelerazione delle riforme per mostrare che l’Italia non intendeva certo tornare alla leggerezza finanziaria. È difficile dire quale strategia sarebbe stata la migliore. Certo, la linea seguita ha valorizzato — se così si può dire — la performance del ministro delle Finanze più che quella del ministro dell’Economia.
Ciò accresce i compiti e le responsabilità del ministro dello Sviluppo. Con una punta di paradosso, c’è da chiedersi se la situazione attuale — con il presidente del Consiglio che è anche ministro dello Sviluppo — non sia quella ottimale. Purché, naturalmente, ciò avvenga a titolo definitivo e non più ad interim.

Per l’economia e la società italiana la priorità della crescita è tale che un impegno strategico in prima persona del premier sarebbe non meno importante, per il Paese, di quello che egli riserva ad altri temi di cui è costretto a occuparsi, o ha scelto di farlo. Del resto, quando l’assoluta priorità era quella finanziaria, è accaduto che il capo del governo riservasse a sé anche il ministero del Tesoro.

Come è noto (o forse ignoto, dato che in Italia non ne parla nessuno), entro fine anno va sottoposto all’Unione europea il piano nazionale di riforme, nell’ambito della «strategia Ue 2020». È l’occasione per guardare al futuro e per mettere in campo politiche concrete per la crescita e la competitività, unica speranza per l’occupazione. Il ministro per le Politiche comunitarie ci sta lavorando. Ma dov’è la visione strategica del governo, dove sono le eventuali visioni alternative dei partiti di opposizione, dov’è un dibattito nel Paese su questa, che è la questione più importante per i nostri figli? Materia, mi pare, per il presidente del Consiglio.

E poi, al ministro per lo Sviluppo — coincida o meno con il premier — compete la politica industriale. Il presidente Napolitano ha detto: «Credo sia giunto il momento che l’Italia si dia una seria politica industriale nel quadro europeo, cioè secondo le coordinate dell’integrazione europea e in ossequio ai fondamenti della libera competizione e ai principi dell’economia di mercato». Speriamo che qualcuno se ne occupi, in modo coordinato con il piano nazionale delle riforme.

Mario Monti

04 settembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_settembre_04/monti_72d478cc-b7e4-11df-927f-00144f02aabe.shtml


Titolo: Mario MONTI. Quanto tempo abbiamo perso
Inserito da: Admin - Ottobre 31, 2010, 09:15:48 pm
ULTIME OCCASIONI PER CRESCERE

Quanto tempo abbiamo perso


Il tragico entertainment quotidiano offerto dai politici, seguito con passione dai cittadini che pure lo disprezzano, consente agli uni e agli altri di distrarsi. Altrimenti, bisognerebbe occuparsi di questioni più noiose. Ad esempio, del fatto che in altri Paesi si sta lavorando per preparare ai propri figli un’economia e una società dinamiche, non un Paese di cui a volte, pur amandolo, ci si vergogna.

Si prenda a caso. In Germania, è in corso una forte crescita spinta soprattutto dalle economie emergenti, con le quali l’industria tedesca ha realizzato un’integrazione solidissima ed egemone. In Gran Bretagna, il governo ha annunciato un profondo ridimensionamento del settore pubblico e dei trasferimenti per il welfare. Si noti che la governance più stringente del Patto di stabilità, pur alla luce di alcuni elementi più ampi di valutazione introdotti su proposta italiana, potrà richiedere anche all’Italia qualche severo riesame del bilancio pubblico nei prossimi anni. In Polonia, Paese che cresce velocemente sul piano economico e che ha ormai un peso politico nella Ue spesso superiore a quello dell’Italia, il governo ha promosso un dibattito pubblico su come rafforzare la crescita e migliorare la società da qui al 2030, non solo al 2020 come chiede la Ue (www.Poland2030.pl).

L’Italia ha accumulato molto ritardo, nella preparazione del proprio futuro di economia competitiva appartenente all’Eurozona. La strategia di «programmazione delle riforme», suggerita da queste colonne nel 1997 subito dopo l’ingresso nell’euro, non è stata adottata con continuità né dai governi di centrosinistra (1998-2001 e 2006-2008), né da quelli di centrodestra (2001-2006 e dal 2008). Né nei primi, né nei secondi si è registrata la necessaria coesione culturale sull’obiettivo di far diventare l’Italia una moderna economia di mercato, con poteri pubblici forti e imparziali, capaci di fissare le regole del gioco e di imporne il rispetto. Quando, nel 2005-2006, avanzammo l’ipotesi che, per superare le forti resistenze corporative a difesa di privilegi e rendite e contro la concorrenza, potesse valere la pena di ricercare temporanee e trasparenti convergenze tra energie politiche riformiste presenti nei due schieramenti, l’idea venne giudicata severamente da destra e da sinistra perché avrebbe intralciato lo svilupparsi del bipolarismo, nel quale si riponeva grande fiducia.

Negli ultimi due anni, abbiamo richiamato l’esigenza di guardare sistematicamente al futuro, di lavorare su un progetto in modo condiviso, di darsi una scadenza. Abbiamo poi suggerito che la «Strategia Ue 2020» si sarebbe prestata bene a fare da contenitore e da stimolo. In particolare, l’Italia avrebbe dovuto presentare a Bruxelles entro novembre, come gli altri Stati membri, un «Piano nazionale delle riforme »: un’occasione importante — fino ad allora non sottolineata pubblicamente dal governo—per andare oltre un adempimento burocratico, per spingere la società italiana a non chiudere gli occhi di fronte al proprio futuro.

In un’ampia intervista (Repubblica, 4 settembre), il ministro Giulio Tremonti ha ripreso il tema del «Piano nazionale delle riforme », sul quale auspica anch’egli il contributo non solo del governo, ma del Parlamento e di tutte le forze sociali, economiche e ideali del Paese.

Quell’intervista è importante anche perché mette in luce una diversa, e a mio giudizio più matura, predisposizione intellettuale e politica alle riforme necessarie alla competitività, nonché all’Europa come facilitatore e stimolo per quelle riforme. Esponenti dell’attuale maggioranza avevano ingaggiato anni fa battaglie contro fattori che additavano come responsabili primari delle difficoltà dell’economia italiana. Ricordate l’euro, la Cina, la «burocrazia di Bruxelles»? Quelle battaglie avranno certo procurato consensi politici nel Paese ma sono state dei diversivi, hanno ritardato gli interventi di politica economica a livello nazionale necessari per affrontare le vere cause dei divari negativi della competitività e della crescita dell’Italia.

Sulla «burocrazia di Bruxelles », per esempio, è legittimo e utile che si pongano pressioni sulle istituzioni comunitarie contro eccessi di normativa e di controlli. Ciò incoraggerà in particolare la Commissione a moltiplicare gli sforzi già in atto per evitare tali eccessi. Ma quando una campagna di questo tipo viene fatta dal governo italiano, essa genera di solito due interrogativi critici. Perché l’Italia, al tavolo del Consiglio dei ministri della Ue, non si è impegnata di più (come hanno fatto altri) per frenare all’origine la produzione di quegli eccessi? E perché l'Italia non si impegna di più, a casa propria, per semplificare una selva normativa tra le più rigogliose e pesanti d’Europa?

E se si è al governo, sia pure con interruzioni, dal 1994, e si annette, giustamente, tanta importanza al tema dell’eccesso di regolazione, perché nel 2010 ci si trova ancora ad invocare, come fa il ministro Tremonti, una «rivoluzione liberale» (quando in materia di liberalizzazioni si è proceduto con minore slancio del precedente governo, forse in coerenza con la presa di distanza intellettuale dal «mercato»)? E se si dice, 16 anni dopo l’assunzione di poteri di governo, che la «rivoluzione liberale» è da introdurre con una modifica della Costituzione, non si fa una fuga in avanti benché tardiva, non si elude il grigio, pragmatico e utile lavoro concreto di semplificazione? Non converrebbe, a questo riguardo, potenziare le autorità indipendenti?

Devo dire che, come convinto sostenitore di un’«economia sociale di mercato altamente competitiva », quale è voluta dal Trattato di Lisbona, sarei un po’ preoccupato da un mercato privo, da un lato, di serie regole e di efficaci autorità di enforcement; dall’altro esposto a una più o meno esplicita «superiorità della politica »: terreno ideale, temo, per abusi privati, abusi pubblici e loro varie combinazioni.

Concludo. Vi sono ora l’occasione e la scadenza, con il «Piano nazionale di riforme». Si è raggiunta una visione più matura del rapporto con l’Europa, la quale perciò può esserci di aiuto e stimolo. Si è perso molto tempo: prima, perché per anni si sono aggrediti più i falsi obiettivi che le cause profonde dei problemi italiani; poi, perché si è ritenuto, a torto secondo me, che durante la crisi—gestita con accorta e meritoria prudenza — convenisse non muovere sulle riforme.

I tempi sono ora brevi. Ci aspettiamo di vedere all’opera, sul «Piano nazionale delle riforme », il ministro dell’Economia, il ministro delle Politiche comunitarie, il tanto atteso ministro dello Sviluppo e il governo nel suo insieme. Naturalmente con l’indirizzo e la guida del presidente del Consiglio, giorno e notte.

Mario Monti

31 ottobre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_ottobre_31/monti-quanto-tempo-perso_b76888f2-e4c6-11df-8ccb-00144f02aabc.shtml


Titolo: Mario MONTI. FIDUCIA E DISCIPLINA CON GLI E-BONDS
Inserito da: Admin - Dicembre 02, 2010, 12:17:29 pm
FIDUCIA E DISCIPLINA CON GLI E-BONDS

Il commento

I titoli europei

I mercati sono all'attacco, l'Unione Europea è in difesa. Essa ha vinto alcune battaglie, ma rischia di perdere la guerra. Le decisioni dei governi, riuniti nel Consiglio, non producono durevolmente sui mercati gli effetti sperati. La Banca Centrale Europea si vede costretta a rimediare con interventi a sostegno dei titoli di Stato. Alla lunga, essi riporterebbero alla subordinazione della politica monetaria alla politica di bilancio, con il pericolo dell'inflazione: due mali che l'unione monetaria pensava di avere debellato.
È urgente che la Ue riprenda l'iniziativa. Ha a disposizione uno strumento attivabile in tempi brevi, con due grossi vantaggi: aiuterebbe a superare la crisi dell'euro e, al tempo stesso, a sviluppare l'integrazione finanziaria. Si tratta dell'emissione in comune di titoli in euro E-bonds mediante un'Agenzia Europea per il Debito.
L'idea che la Ue emetta eurobonds per finanziare investimenti di interesse europeo non è nuova. Venne lanciata da Jacques Delors negli anni Ottanta e ripresa in varie occasioni - tra gli altri, autorevolmente, da Giulio Tremonti - però finora non ha trovato adeguata attuazione. Ma gli E-bonds di cui parlo risponderebbero a una logica diversa. Sarebbero uno strumento non per finanziare nuove spese di investimento, ma per mettere in comune una parte della gestione del debito pubblico dei diversi Stati.
Nel rapporto «Una nuova strategia per il mercato unico», presentato al presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso nel maggio scorso, proposi di ricorrere all'emissione in comune di E-bonds per ovviare alla frammentazione del mercato obbligazionario europeo. Con emissioni esclusivamente a livello nazionale, il mercato non ha la trasparenza e la liquidità che, data la sua dimensione complessiva, potrebbe avere. Ciò comporta inconvenienti per gli Stati, per i risparmiatori, per le imprese. Per ovviare alla frammentazione, si proponeva di creare un nuovo mercato europeo con una dimensione mondiale.
Il rapporto, predisposto nei mesi in cui esplodeva la crisi greca, teneva presenti aspetti che avrebbero poi assunto grande rilievo, in particolare nelle preoccupazioni della Germania. Qualsiasi soluzione deve evitare che i Paesi con una politica di bilancio responsabile siano costretti a salvare, in un modo o nell'altro, gli Stati «indisciplinati». In aggiunta a una vigilanza multilaterale più efficace, imponendo una disciplina di mercato più rigorosa ai governi meno oculati si gestirebbe meglio il moral hazard. L'assunzione di prestiti su vasta scala tramite un organismo europeo e la successiva erogazione di prestiti agli Stati membri possono rappresentare una soluzione equilibrata. I prestiti agli Stati membri non dovrebbero superare una determinata percentuale del Pil del Paese la stessa per tutti gli Stati membri di modo che, per il loro fabbisogno di finanziamento non coperto da questo meccanismo, i governi continuerebbero a emettere il proprio debito nazionale per il quale rimarrebbero individualmente responsabili.
Gli Stati membri che, grazie a questo meccanismo, avrebbero accesso a finanziamenti meno onerosi, considererebbero l'organismo europeo un creditore privilegiato rispetto ai detentori del loro debito flottante sul mercato e ciò aumenterebbe la possibilità di un'inadempienza limitata a quest'ultimo debito.
A sua volta, questo potrebbe aumentare la pressione di mercato (e il rendimento) sul debito flottante, dando agli Stati membri un maggiore incentivo a ridurre rapidamente tale debito mediante sane politiche di bilancio. In settembre, al convegno Ambrosetti di Cernobbio, Yves Leterme, primo ministro del Belgio, Paese che fino a fine anno esercita la presidenza del Consiglio Ecofin e degli altri Consigli, ha sostenuto questa proposta. Alla luce delle drammatiche vicende successive, si può ritenere che un percorso di uscita dalla crisi che utilizzi agli E-bonds avrebbe chiari vantaggi, rispetto al tortuoso meccanismo delle «clausole di azione collettiva» che, secondo le decisioni dell'Eurogruppo, dovrebbero applicarsi a tutte le emissioni di titoli degli Stati della zona euro che avverranno dal giugno 2013 in poi (chiarimento introdotto per rassicurare un po' i mercati, turbati dalle precedenti dichiarazioni del cancelliere Merkel). Vari studi, in particolare uno predisposto presso Bruegel, il think-tank con sede a Bruxelles, hanno nel frattempo approfondito gli aspetti tecnici e operativi degli E-bonds. Il tema è stato oggetto, nelle ultime settimane, di esame e discussione anche nelle sedi governative di vari Stati membri. Intervenendo al Parlamento europeo nei giorni scorsi, il presidente della Bce Jean-Claude Trichet ha detto di non escludere l'eventualità che i governi della zona euro emettano titoli in comune. Sotto l'impulso della crisi, e per dominarla in una logica di mercato ma senza cedere - come è in parte avvenuto finora - alle pressioni della speculazione, il Consiglio Ecofin e poi il Consiglio europeo del 15 dicembre darebbero un forte segnale se decidessero che, entro la fine del 2012, l'Agenzia per il Debito (che potrebbe operare presso la European Financial Stability Facility recentemente istituita) emetta E-bonds per un totale, ad esempio, del 40% del Pil di ciascun Paese. Ciò potrebbe avvenire annunciando che l'Agenzia finanzierà tutte le nuove emissioni fino a fine 2012, il che le isolerebbe dall'evoluzione del mercato secondario; e che l'Agenzia offrirà swaps nel mercato secondario tra i propri titoli e quelli in circolazione emessi dagli Stati membri, ovviamente mediante asta allo sconto. Ma potrebbe la Germania accettare un tale progetto? Il tema, cruciale, veniva già affrontato nel rapporto di maggio a Barroso. Anche alla luce degli avvenimenti successivi, non dovrebbe essere impossibile convincere le autorità tedesche di due vantaggi specifici per il loro Paese: non perderebbero, né in termini assoluti né in termini relativi, i vantaggi di cui godono oggi nel mercato come Stato più affidabile; e si troverebbero a guidare un processo di grande importanza politica ed economica per l'Europa, orientandolo in funzione del suo desiderio di garantire una disciplina di bilancio più rigorosa nella Ue.

Mario Monti

02 dicembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/10_dicembre_02/monti-titoli-europei_e962089e-fddd-11df-b89b-00144f02aabc.shtml


Titolo: Mario MONTI. Esistono in Italia due illusionismi.
Inserito da: Admin - Gennaio 02, 2011, 06:49:23 pm

L’ESEMPIO DI GELMINI E MARCHIONNE

Meno illusioni per dare speranza


Esistono in Italia due illusionismi.

Essi sono riconducibili, sia detto senza alcuna ironia, alla dottrina di Karl Marx e alla personalità di Silvio Berlusconi.


Marx ha alimentato a lungo un sogno sul futuro: la classe operaia un giorno avrebbe vinto il capitalismo e avrebbe governato come classe egemone in un sistema più equo. Fallito quel sogno, in quasi tutti i Paesi le rappresentanze della classe operaia e delle nuove fasce deboli hanno modificato le loro azioni e rivendicazioni, ispirandole all' esigenza di tutelare al meglio e pragmaticamente tali interessi nel contesto di economie di mercato che devono affermarsi nella competizione internazionale. Solo così possono creare lo spazio per dosi maggiori di socialità (adeguati servizi sociali, sistema fiscale redistributivo, ecc.) che, per essere effettivamente conquistate, richiederanno appunto quelle azioni e rivendicazioni.

In Italia, data la maggiore influenza avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale, si è protratta più a lungo, in una parte dell' opinione pubblica e della classe dirigente, la priorità data alla rivendicazione ideale, su basi di istanze etiche, rispetto alla rivendicazione pragmatica, fondata su ciò che può essere ottenuto, anche con durezza ma in modo sostenibile, cioè nel vincolo della competitività.

Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L'abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po' ridotto l'handicap dell'Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili.

Ma in molti altri casi, basta pensare alle libere professioni, il potere delle corporazioni ha impedito che le riforme andassero in porto o addirittura venissero intraprese. E lì non si tratta di tenaci fiammelle rivendicative fuori tempo (ma che almeno vorrebbero tutelare fasce deboli della società), bensì di corposi interessi privilegiati che, pur di non lasciar toccare le loro rendite, manovrano un polo contro l'altro: veri beneficiari del bipolarismo italiano!

Se Marx ha alimentato un sogno sul futuro, del quale in Italia sopravvivono tracce significative, Berlusconi ha fatto di più. Egli è riuscito ad alimentare, in moltissimi italiani, un sogno sul presente, per il quale la verifica sulla realtà dovrebbe essere più facile. Molti credono che oggi, in Italia, ci sia davvero un pericolo comunista (non solo quell'eredità di cui si è detto sopra, che ostacola le riforme). Molti credono che i governi Berlusconi abbiano davvero portato una rivoluzione liberale (come avevo sperato anch'io, incoraggiandolo da queste colonne ad un «Liberismo disciplinato e rigoroso», 8 maggio 1994).

Soprattutto, di fronte al magnetismo comunicativo del premier, molti credono che l'Italia — oltre ad avere, anche per merito del governo, riportato indubbiamente meno danni di altri Paesi dalla crisi finanziaria — davvero non abbia gravi problemi strutturali irrisolti, anche per insufficienze di questo e dei precedenti governi.

Ma, come ha detto il presidente Napolitano, «non possiamo consentirci il lusso di discorsi rassicuranti, di rappresentazioni convenzionali del nostro lieto vivere collettivo». L'illusionismo berlusconiano non fa sentire al Paese la necessità delle riforme, che comunque l'illusionismo marxiano e il cinismo delle corporazioni provvedono a rendere più difficili. Eppure, la riforma dell’università e la riforma della contrattazione indicano la strada, mostrano che è possibile percorrerla. Se si procederà così, le gravi tare dell'Italia elencate da Ernesto Galli della Loggia (Corriere, 30 dicembre) potranno essere rimosse in cinque o dieci anni, senza cedere al «disperato qualunquismo».

Mario Monti

02 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/editoriali/11_gennaio_02/monti-meno-illusioni-per-dare-speranza-editoriale_07bad636-1648-11e0-9c76-00144f02aabc.shtml


Titolo: Mario MONTI. Impegni reali non false promesse
Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2011, 04:34:12 pm
VERSO IL CONSIGLIO DEI MINISTRI DI MARTEDÌ

Impegni reali non false promesse


Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, con una lettera al Corriere (31 gennaio), ha proposto un «grande piano bipartisan per la crescita». Martedì 8 febbraio il Consiglio dei ministri dovrebbe adottare il piano.

Questa volta, non possiamo lamentarci della lentezza della politica italiana! In otto giorni avremo assistito a un capo del governo che — come folgorato sulla via di Damasco — si converte a una politica economica ben diversa da quella seguita finora; a opposizioni che, ricevuto l’inatteso invito a collaborare, lo rifiutano immediatamente; a un governo che, senza esperire altri tentativi, si precipita a decidere. Decisionismo esemplare? No, piuttosto la somma di una mossa spregiudicata e di una contromossa non meditata.

La mossa di Berlusconi è spregiudicata: senza spiegare perché la nuova linea sia stata abbracciata ora e non nel 1994, nel 2001 o nel 2008, cioè all’inizio dei suoi tre mandati, sembra tesa soprattutto a mostrare un presidente del Consiglio di nuovo concentrato sui problemi reali del Paese e ad addossare alle opposizioni la responsabilità della crescita insufficiente e della dilagante disoccupazione giovanile.

La contromossa delle opposizioni, in particolare del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, e cioè il secco rifiuto, è perfettamente comprensibile sul piano psicologico e della dignità. Ma non andare al «vedo», non approfondire i termini di un’eventuale collaborazione nel superiore interesse del Paese — subordinandola a condizioni programmatiche precise, a forti sistemi di controllo e, prima di tutto, a un esplicito riconoscimento da parte di Berlusconi delle carenze della politica economica finora seguita dal suo governo—rischia di facilitare quello scarico di responsabilità.

Ma qual era la proposta del presidente del Consiglio? «Portare la crescita oltre il tre-quattro per cento in cinque anni» dando «la più grande frustata al cavallo dell’economia che la storia italiana ricordi», «un’economia finalmente libera ». Il «grande piano» avrebbe avuto come «fulcro la riforma costituzionale dell’articolo 41, annunciata da mesi dal ministro Tremonti » (oltre a misure di collocazione sul mercato di patrimonio pubblico e di defiscalizzazione per imprese e giovani).

È un peccato che questo piano veda la luce così tardi e con una credibilità ridotta. Non mi riferisco alla credibilità personale di Berlusconi, in questa fase per lui complessa, ma alla specifica credibilità di questo suo piano. È infatti inevitabile chiedersi per quali ragioni già nei precedenti governi e poi nei primi due anni e mezzo dell’attuale governo egli non si sia impegnato a fondo nelle liberalizzazioni, nella promozione della concorrenza e nella lotta alle rendite di posizione. Soprattutto questo ci si attendeva da lui — un «liberismo disciplinato e rigoroso» — come aveva confermato presentandosi alle Camere nel 1994.

Né gli erano mancati inviti pressanti, anche da queste colonne, a orientare la sua guida politica del governo — nel metodo e nel merito — proprio nel senso al quale sembra aderire ora, improvvisamente e senza spiegare perché solo ora. Nel metodo, sotto due profili. In primo luogo, la disponibilità a un impegno bipartisan per le riforme al fine di vincere le resistenze corporative («Impegno bipartisan prima del voto», Corriere 3 gennaio 2006; «Berlusconi e le riforme », 28 gennaio 2007; «Un’agenda bipartisan», 3 febbraio 2008).

Questa disponibilità, sempre rifiutata da destra e da sinistra chiunque fosse al governo, viene ora manifestata da Berlusconi. Purtroppo ciò avviene in un momento di particolare tensione tra le parti, alla quale il presidente del Consiglio non ha certo mancato di contribuire (anche se nella lettera al Corriere auspica «un Paese più stabile, meno rissoso, fiducioso e perfino innamorato di sé e del proprio futuro»).

In secondo luogo, l’assunzione di una più visibile responsabilità di guida della politica economica e sociale, ferme restando le funzioni essenziali del ministro dell’Economia e delle Finanze. Senza un coordinamento sotto l’egida del presidente del Consiglio, si è qui sostenuto («Futuro dell’Italia e guida politica», 25 luglio 2010), è difficile che la politica di sviluppo riceva attenzione pari a quella, indispensabile, riservata alla disciplina di bilancio. Con la lettera al Corriere — ma di nuovo, perché solo ora? — Berlusconi sembra diventarne cosciente.

Nel merito, solo ora sembra esserci la presa di coscienza che la crescita in Italia è insoddisfacente, che ciò è legato a carenze nella competitività e richiede riforme strutturali, tra cui varie liberalizzazioni (ma anche, speriamo che non venga dimenticato, il rafforzamento delle autorità indipendenti a presidio del mercato). Finora, come si era rilevato («Il silenzio sulla crescita », 4 settembre 2010), l’accento non era stato messo sulla bassa crescita, anche perché si tendeva a diffondere una visione un po’ troppo «rasserenante»).

Nel complesso, è conseguita da quanto sopra una politica economica solida nella tenuta dei conti pubblici ma viziata da errori nella strategia complessiva («Quanto tempo abbiamo perso», 31 ottobre 2010).

Non potrà esserci, a quanto pare, l’auspicata impostazione bipartisan. Speriamo comunque che il Consiglio dei ministri di martedì, nel varare il «grande piano per la crescita», privilegi gli aspetti concreti e operativi delle misure previste, mostri chiaramente in che modo esse avrebbero impatto su competitività, crescita, occupazione.

È anche auspicabile che il piano non offenda l’intelligenza degli italiani. Se per esempio si intende proporre modifiche all’art. 41 della Costituzione, si argomenti perché lo si ritiene opportuno, eventualmente nel quadro di altre modifiche. Ma non si presenti questa come condizione necessaria, o quasi, per introdurre liberalizzazioni. Altri governi hanno introdotto varie liberalizzazioni pur in vigenza di tale articolo. Del resto, il governo attuale ha denunciato l’art. 41 come ostacolo alle liberalizzazioni solo l’anno scorso, benché il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia e delle Finanze abbiano avuto modo di misurarsi con questa tematica dal 1994.

Per coerenza, ci si deve anche attendere che, nel piano che verrà presentato martedì, il governo annunci che intende revocare la propria proposta, già approvata dal Senato, di reintroduzione dei minimi tariffari per gli avvocati. (Non sarebbe stato più costruttivo se le opposizioni, invece di rifiutare subito il dialogo bipartisan, avessero indicato questa revoca come una delle condizioni preliminari ad un lavoro bipartisan?).

Se si vuole essere seri sulle liberalizzazioni, si rivisiti pure la Costituzione, ma prima ancora si visiti Atene. Il 21 gennaio il governo Papandreou ha adottato una riforma di quelle che i Greci chiamano correttamente le «professioni chiuse» e noi pudicamente le «professioni liberali ». La riforma consiste nell’abolizione, per tutte le professioni, delle tariffe minime, del numero chiuso, delle restrizioni territoriali e del divieto di farsi concorrenza con la pubblicità. È lasciata agli ordini professionali la possibilità di dimostrare, ma avendo su di sé l’onere della prova, che l’una o l’altra di quelle restrizioni sono necessarie per la tutela di interessi pubblici, quali l’integrità nell’esercizio della professione o la tutela dei consumatori.

Mario Monti

06 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/editoriali/11_febbraio_06/monti


Titolo: Mario MONTI. L'EUROPA, LA CRESCITA E L'ITALIA
Inserito da: Admin - Marzo 28, 2011, 04:41:27 pm
L'EUROPA, LA CRESCITA E L'ITALIA

Il Patto per l'Euro

Le decisioni prese venerdì dal Consiglio Europeo renderanno un po' meglio governabile l'economia europea, in particolare quella della zona euro. La crisi finanziaria che ha colpito vari Paesi potrà essere fronteggiata con interventi più adeguati di quelli messi in campo finora. Il formarsi di nuovi focolai di crisi sarà meno probabile, grazie al rafforzamento della disciplina preventiva. Sarà più difficile per un singolo Paese persistere a lungo in situazioni squilibrate, e capaci di trasmettere gli squilibri agli altri Paesi, perché si è ora accettato un più intenso monitoraggio comune.

Se nel nuovo sistema di governance la stabilità resta indubbiamente l'obiettivo principale, quello della crescita entra in modo più incisivo che nel vecchio patto, il quale solo per omaggio verbale era stato denominato «Patto di stabilità e di crescita». Si è capito che una crescita insufficiente, oltre a creare evidenti problemi economici e sociali, è spesso una delle cause più rilevanti degli stessi squilibri finanziari. Nel nuovo «Patto per l'euro», sottoscritto dai 17 Stati della zona euro ma aperto anche agli altri 10 Stati membri della Ue (6 vi hanno già aderito), si delineano misure, e procedure di monitoraggio, intese ad accrescere la competitività e l'occupazione.

Rimane però un'asimmetria. Gli interventi che ogni Stato farà, e i risultati che otterrà, in tema di stabilità (sostenibilità della finanza pubblica e stabilità finanziaria) saranno sottoposti a controlli e sanzioni più cogenti di quelli applicabili agli interventi e ai risultati in tema di crescita. È perciò probabile che, in termini di effetti concreti, il nuovo patto conduca a rafforzare più la stabilità che la crescita.

Va comunque dato atto al presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, e a quello della Commissione, José Manuel Barroso, di avere notevolmente migliorato, e reso più accettabile agli altri Stati membri, l'originaria proposta formulata dalla Germania e dalla Francia. Oltre ad essere confuso, quel documento avrebbe avuto una scarsa credibilità. Infatti l'enforcement degli impegni presi sarebbe stato puramente intergovernativo, cioè rimesso al collusivo «scambio di favori» tra Stati membri, senza l'impiego dei poteri della Commissione e della Corte di Giustizia. In più, la proposta veniva proprio dai due Paesi che, dopo essere stati i principali genitori del primo «Patto di stabilità» nel 1997, l'avevano insieme mandato in frantumi nel 2003 quando, trovandosi essi in violazione, avevano esercitato pressioni sufficienti a far sì che il Consiglio Ecofin non seguisse le proposte di ammonimento presentate dalla Commissione. Anche nella versione adottata venerdì, comunque, si pone un problema di credibilità dell'effettivo enforcement, ma meno che nel progetto franco-tedesco.
Due elementi a favore della crescita, introdotti nel nuovo patto, meritano di essere segnalati. Si è finalmente riconosciuto che una delle poche leve concrete - e assistite da veri poteri di intervento della Ue sugli Stati membri - per stimolare la competitività, la crescita e l'occupazione è lo sviluppo del mercato unico. I capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio europeo si sono impegnati a sostenere le proposte che la Commissione - sulla base del Rapporto sul mercato unico, presentato al presidente Barroso nel maggio scorso - si appresta a formulare in aprile nel Single Market Act.

Inoltre, nel «Patto per l'euro», il Consiglio europeo ha aderito per la prima volta alla strategia di coordinamento della fiscalità, con l'impostazione pragmatica - e non antagonistica rispetto al desiderio degli Stati membri di conservare la sovranità fiscale (che essi, con qualche illusione, pensano di detenere tuttora) - raccomandata nel Rapporto citato. Si apre così un nuovo cantiere che sarà rilevante per semplificare gli adempimenti fiscali delle imprese, ma anche per porre un argine alla penalizzazione fiscale del lavoro rispetto a fattori di produzione come il capitale che, grazie alla maggiore mobilità, approfittano particolarmente di una concorrenza fiscale incontrollata. Per la crescita, per l'occupazione, per l'equità sociale e, in ultima analisi, per la stessa accettabilità dell'integrazione europea da parte dei cittadini, si aprono prospettive nuove.

Infine, una considerazione sull'Italia. Per il nostro Paese, il nuovo «Patto per l'euro» comporta l'esigenza di un percorso ancora più risoluto verso il riassorbimento dell'eccesso di debito pubblico, sia pure nel quadro di valutazioni che terranno conto di alcuni fattori compensativi, piuttosto favorevoli all'Italia. E possiamo essere certi che l'Ue sorveglierà l'adempimento di questa parte del patto in modo più attento e cogente di quanto farà per gli aspetti pro crescita che pure sono inclusi nel patto.
D'altra parte, l'Italia ha bisogno di aumentare la propria crescita più degli altri Paesi, sia perché da molti anni cresce meno, sia perché solo attraverso una maggiore crescita sarà possibile conseguire il plus di disciplina finanziaria che ci viene richiesto, senza che il Paese sprofondi in un ulteriore differenziale negativo di crescita.

Sarà perciò essenziale «aggrapparsi» il più possibile agli orientamenti che ci vengono dalla «Strategia Ue 2020» e ora dal nuovo «Patto per l'euro», radicarli pienamente nella coscienza del Paese, trasformarli in stimolo per accelerare le riforme strutturali necessarie. Speriamo che il «Piano nazionale di riforme», segnalato su queste colonne appena si profilò un anno fa come un riferimento europeo da prendere al volo per indurre il Paese a ragionare sul proprio futuro, venga ora dibattuto largamente e valorizzato pienamente. Manca qualche settimana a fine aprile, scadenza per la presentazione del piano a Bruxelles. Chissà se, con l'impulso del governo e con l'aiuto delle opposizioni, con l'apporto delle parti sociali e dei media, il Paese riuscirà ad alzare per un momento lo sguardo, a discutere del proprio avvenire.

Mario Monti

28 marzo 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/editoriali/11_marzo_28/


Titolo: Mario MONTI. Una strategia della crescita
Inserito da: Admin - Maggio 02, 2011, 03:37:02 pm
LE TENSIONI NELLA MAGGIORANZA

Una strategia della crescita


Il ministro Tremonti fa bene a resistere alle richieste pressanti che gli vengono dall'interno della maggioranza e del governo. Il recente attacco del ministro Galan è stato il più ruvido e diretto, ma ha dato voce a un'insoddisfazione condivisa da diversi ministri. Lo stesso presidente Berlusconi appare sempre più insofferente. Si chiede al ministro dell'Economia di riconoscere la necessità e l'urgenza di una maggiore crescita - esigenza economico-sociale per il Paese, esigenza anche politica per la maggioranza - e di facilitarla allentando un po' il controllo del disavanzo pubblico. Tremonti ha ragione. Non è creando più disavanzo che si genera una crescita solida. E non possiamo permetterci quel disavanzo in più, dato il nostro grande debito pubblico, lo sguardo severo dei mercati, la vigilanza più stretta introdotta dall'Unione Europea.

Ma anche i suoi critici hanno ragione. L'Italia ha davvero bisogno di crescere di più. Tra il 2000 e il 2007 il Pil è aumentato del 7 per cento (meno della metà del decennio precedente), mentre l'area dell'euro è cresciuta circa del doppio. Nel biennio 2008-09 la crisi ha determinato una riduzione del Pil di 6,5 punti percentuali, mentre gli altri Paesi dell'area ne perdevano in media 3,5. Il divario perdura nell'attuale fase di ripresa. Sbagliano, però, a premere su Tremonti perché faccia una politica di crescita con lo strumento, inutile e pericoloso, del disavanzo. E sbagliano anche coloro che, alla ricerca di un revamping della politica economica del governo, suggeriscono «scosse» o «frustate». La crescita sana e durevole si ottiene spiegando ai cittadini e ai mercati la politica economica alla quale il governo intende attenersi, mantenendola nel tempo e rendendola così credibile.
E qui si arriva, a mio parere, alla vera carenza dimostrata, sul terreno economico, dalla maggioranza di centrodestra nell'azione di governo condotta inizialmente nel 1994 ma soprattutto dal 2001 in poi, ad eccezione del 2006-08. Una carenza ben visibile in coloro che oggi sono insofferenti nei confronti di Tremonti perché fa seriamente e bene il ministro del Tesoro; ma visibile anche - mi permetto di dire - nello stesso Tremonti, se si guarda alla sua attività di regista della politica economica italiana, un ruolo accentuato dalla sua cultura, dalla continuità nell'incarico e dal relativo distacco mostrato dal Capo del governo.

Nel 1994, dopo decenni di consociativismo, che pure avevano dato anche risultati positivi, l'Italia aveva bisogno di una grande depurazione dalle incrostazioni corporative, destinate a pesare ancor di più nel contesto della competizione globale sempre più dura. All'inedita maggioranza di centrodestra sarebbe stato più facile operare in questa direzione, innovativa per l'Italia, di una moderna economia di mercato, con poteri pubblici meno invasivi che in passato, regole chiare e fatte rispettare da autorità pubbliche, ma indipendenti dalla politica.

Meno barriere all'entrata, meno privilegi e rendite per gli inclusi, più possibilità di ingresso per gli esclusi e per i giovani, più spazio al merito e alla concorrenza: questi gli ingredienti di un'economia più competitiva, di una maggiore crescita, di una società più aperta, più inclusiva, più equa. Purtroppo, questo impegnativo disegno non è stato voluto con continuità; ancor meno è stato realizzato. Questi nodi sono venuti al pettine nel «Programma nazionale di riforma», che il governo sta per presentare alla Ue nell'ambito della «Strategia 2020». Il documento, a firma Berlusconi-Tremonti, contiene analisi tecniche approfondite ma è carente, alquanto confuso, poco ambizioso e con una scarsa articolazione operativa, proprio in quello che doveva essere il suo cuore: la strategia politico-economica delle riforme.

È comunque, questa, un'occasione da cogliere per indurre gli italiani a guardare un po' di più al futuro del Paese, della società, dell'economia. È una riflessione che deve coinvolgere non solo i politici, ma l'intera classe dirigente. Le Commissioni Bilancio del Senato e della Camera, con una serie di audizioni, hanno dato un importante contributo iniziale. La stessa maggioranza, nell'approvare alla Camera il Programma, ha impegnato il governo «a favorire lo svilupparsi di un'ampia discussione pubblica sulle riforme strutturali necessarie ad incrementare la produttività, la competitività, l'occupazione e la crescita». Le mozioni delle opposizioni, pur con accenti molto critici, contengono anch'esse prospettive e proposte interessanti. Il Corriere della Sera, da oggi, darà un proprio contributo a questo impegno collettivo, animando un dibattito sulla Strategia 2020 e sulle riforme necessarie e possibili per rendere più competitiva l'economia e più inclusiva la società del nostro Paese.

Mario Monti

01 maggio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/editoriali/11_maggio_01/


Titolo: Mario MONTI. Quel che serve davvero al Paese: riorientare la politica economica
Inserito da: Admin - Luglio 14, 2011, 03:38:12 pm
Più coraggio

Quel che serve davvero al Paese: riorientare la politica economica

A lungo esorcizzata, la crisi dell'Eurozona ha finito per bussare, con una certa brutalità, anche alla porta dell'Italia.

A differenza della Grecia, da diversi anni l'Italia è riuscita a mettere il disavanzo pubblico sotto controllo.

Il rigore nei conti pubblici è stata una condizione essenziale per la sostenibilità e la graduale riduzione dell'alto rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo. A differenza dell'Irlanda, l'Italia ha visto le sue banche colpite solo moderatamente dalla crisi, il che ha evitato grossi oneri per salvataggi a carico del bilancio pubblico. A differenza della Spagna, dove la fine del boom edilizio ha causato una profonda recessione e dissesti finanziari, l'Italia non si era caratterizzata per un eccesso di espansione né nelle costruzioni né nell'indebitamento del settore privato.

Ma allora perché l'Italia, nelle ultime settimane, è stata colpita da improvvisa sfiducia, espressa con parole dalle agenzie di rating e con fatti dai mercati, in una pericolosa interazione tra i due? La risposta si trova, ritengo, nella combinazione di due fattori. Il primo è la tendenza ad andare alle calende greche, anche se questa si è manifestata, stranamente, più a Bruxelles che ad Atene. Il secondo fattore è stato un certo revival della commedia all'italiana, naturalmente a Roma.
Sarebbe ingiusto negare che la risposta dell'Unione Europea alla crisi greca sia stata vigorosa e abbastanza coordinata. Ma la cacofonia delle dichiarazioni dei leader dei principali Stati membri, dell'Eurogruppo e della Banca centrale europea, e la difficoltà di trovare un rapido accordo sulla strategia per risolvere la crisi accrescono nei mercati la voglia di mettere a prova su nuovi fronti la capacità di reazione dell'Ue.

Il nuovo fronte avrebbe potuto essere la Spagna. I problemi che essa presenta non sono certo inferiori a quelli dell'Italia. Se per ora il target è stato l'Italia - un target che, per dimensione e anzianità di appartenenza all'Ue, rappresenta un test più severo sulla capacità di resistenza del nucleo centrale dell'eurozona - lo si deve probabilmente alle crescenti fibrillazioni nella maggioranza che fa capo al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Per quanto spiacevoli e forse non pienamente giustificate dai fondamentali, le recenti prese di posizione delle agenzie di rating e dei mercati contro l'Italia hanno destato un immediato senso di urgenza, che ricorda certe crisi degli anni precedenti all'introduzione dell'euro. Ispirata e promossa dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la reazione è stata pronta e ispirata ad una coesione che non si vedeva da tempo. Dato che la «manovra» del ministro dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, pur criticata sotto altri profili, è dai più considerata necessaria per rassicurare l'Unione Europea e i mercati, i partiti di opposizione si sono impegnati a non ritardare la discussione parlamentare in modo che l'approvazione possa intervenire già domani, a velocità record anche sul piano internazionale. A sua volta, la maggioranza dovrebbe accettare alcuni emendamenti proposti dalle opposizioni.

È un peccato che ci sia voluto un «forte attacco» da parte di «una cospirazione di speculatori» - così ritengono molti italiani - perché il sistema politico avesse un soprassalto di consapevolezza dell'interesse generale e di senso di responsabilità comune. Ma certo si può dire che la reazione di cui ha dato prova l'Italia è stata davvero notevole. Tanto più in un Paese nel quale pochi avrebbero scommesso di vedere una reazione così mentre molti hanno in effetti «scommesso», muovendo i loro fondi contro l'Italia, che questa reazione non ci sarebbe stata.

Porrà questo fine alle pene dell'Italia? Certamente no, anche nel casi in cui la speculazione dovesse mostrarsi meno massiccia per qualche tempo. È necessario un riorientamento fondamentale della politica economica dell'Italia.

È essenziale insistere sulla linea della disciplina fiscale, che il ministro Tremonti sta perseguendo con determinazione e se mai assicurarsi che essa venga rafforzata nell'esecuzione. Ma è altrettanto essenziale abbandonare la politica, e perfino la filosofia, seguita dal ministro Tremonti nei tre governi Berlusconi a su un'altra questione decisiva: che è di importanza vitale per l'Italia far aumentare la produttività complessiva dei fattori produttivi, la competitività e la crescita; e ridurre le disuguaglianze sociali.

Ciò deve essere conseguito, ovviamente, non allentando la disciplina di bilancio - come esponenti autorevoli del governo e della maggioranza chiedono con insistenza al ministro Tremonti - ma rimuovendo gli ostacoli strutturali alla crescita. Essi sono numerosi e ben radicati in molti settori. Una cosa hanno in comune: derivano dal corporativismo e da insufficiente concorrenza. Questo è dovuto in parte al fatto che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, e altre autorità di regolazione, non hanno sufficienti poteri, indipendenza effettiva e risorse; in parte ad una fitta selva di restrizioni alla concorrenza introdotte negli anni da provvedimenti legislativi e amministrativi.

Tale strategia per la crescita - simile del resto a quella necessaria a livello dell'Ue, cioè non allentamento della disciplina di bilancio ma iniziative ambiziose per rendere l'economia europea più competitiva attraverso una maggiore integrazione dei mercati, compresi investimenti nelle interconnessioni per realizzare davvero il mercato unico - non è vista con favore dalle culture politiche tradizionali in Italia, di destra e di sinistra. Ma questa è la prossima grande sfida per l'Italia, come mette in luce anche la Commissione Europea nelle sue recenti raccomandazioni. Dopo tutto, perfino le agenzie di rating, che di solito privilegiano gli aspetti finanziari e di breve periodo, nei loro giudizi preoccupati sull'Italia hanno per la prima volta dato grande peso alla mancanza di adeguate politiche per la crescita, dato che questa è, tra l'altro, essenziale per rendere sostenibili i miglioramenti conseguiti nella finanza pubblica.

Questo articolo viene pubblicato anche sul Financial Times

Mario Monti

14 luglio 2011 08:23© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/11_luglio_14/monti_quello-che-serve-al-paese_f3079586-addb-11e0-9787-0699da0a075e.shtml


Titolo: Prodi, Monti e l'incontro di Milano di ANGELO CALOIA
Inserito da: Admin - Luglio 26, 2011, 11:18:51 am
26/7/2011

Prodi, Monti e l'incontro di Milano

ANGELO CALOIA*

Gentile Direttore, replico - con ritardo - all’articolo di Fabio Martini pubblicato sul suo giornale domenica 24 luglio col titolo
«L’investitura di Monti per il dopo Berlusconi», nel quale si ricostruisce in chiave politica un incontro che si è tenuto lo scorso 18 luglio, presso la sede di Intesa Sanpaolo a Milano.

L’incontro in questione è avvenuto nell’ambito di un ciclo di appuntamenti che vanta ormai più di vent’anni di attività, animato dal Gruppo Cultura Etica e Finanza che ho l’onore di coordinare fin dalla sua fondazione. Scopo di questa attività è quello di discutere temi di attualità economica politica e sociale con alcuni dei più importanti protagonisti italiani e internazionali, dei più diversi orientamenti politici.

Negli anni più recenti hanno partecipato come ospiti e relatori delle nostre serate, tra gli altri, Giulio Andreotti, il card. Tarcisio Bertone, Pier Ferdinando Casini, Mario Draghi, Vaclav Havel, Enrico Letta, Gianni Letta, Mario Monti, Letizia Moratti, Maurizio Sacconi, Domenico Siniscalco, il card. Dionigi Tettamanzi, Giulio Tremonti. Lei stesso ci ha fatto il dono di un intervento.

Agli incontri del Gruppo Cultura Etica e Finanza vengono invitati, da me personalmente, professionisti, manager, imprenditori, uomini di cultura, giornalisti che rivolgono all’ospite domande e osservazioni alle quali egli risponde. Sono appuntamenti d’alto profilo, il cui unico scopo, da sempre, è quello di riflettere su temi di rilievo senza alcun scopo politico di qualsivoglia natura. Intesa Sanpaolo, che abitualmente mette a disposizione i suoi spazi per le nostre riunioni, non viene minimamente coinvolta nella concezione e nell’organizzazione di tali incontri.

Per tornare all’incontro di lunedì 18 luglio, l’intervento del prof. Prodi è stato incentrato su tematiche economiche con un’ottica prevalentemente internazionale. Ci ha parlato del ruolo di Cina, Europa e Stati Uniti nel pieno della crisi in corso e dei rischi che l’economia globale corre in assenza di decisioni politiche forti per la soluzione dei focolai di crisi finanziaria, in particolare nel nostro continente. Segnalo, di sfuggita, che nella discussione seguita alla sua relazione il prof. Prodi non ha voluto commentare temi di attualità politica nazionale, limitandosi a dire di ritenere improbabile una crisi di governo, stante i significativi margini di maggioranza di cui il premier può disporre in Parlamento.

Aggiungo che il prof. Monti, invitato come in altre occasioni, non è intervenuto nel dibattito e che, tra l’altro, al pari del prof. Bazoli e del dott. Passera, ha lasciato la riunione senza prendere parte al successivo rinfresco, quindi senza intrattenersi in conciliaboli o colloqui riservati. Questo è tutto quanto avvenuto nella serata di lunedì 18 luglio, alla presenza e sotto gli occhi di un centinaio di persone.

* Gruppo Cultura Etica e Finanza
da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9019


Titolo: Mario MONTI. Il podestà forestiero
Inserito da: Admin - Agosto 07, 2011, 12:23:31 pm
MERCATI, EUROPA E GOVERNO ITALIANO

Il podestà forestiero

Quanti strali sono stati scagliati contro i mercati e contro l'Europa da membri del governo e della classe politica italiana

I mercati, l'Europa. Quanti strali sono stati scagliati contro i mercati e contro l'Europa da membri del governo e della classe politica italiana! «Europeista» è un aggettivo usato sempre meno. «Mercatista», brillante neologismo, ha una connotazione spregiativa. Eppure dobbiamo ai mercati, con tutti i loro eccessi distorsivi, e soprattutto all'Europa, con tutte le sue debolezze, se il governo ha finalmente aperto gli occhi e deciso almeno alcune delle misure necessarie.
La sequenza iniziata ai primi di luglio con l'allarme delle agenzie di rating e proseguita con la manovra, il dibattito parlamentare, la riunione con le parti sociali, la reazione negativa dei mercati e infine la conferenza stampa di venerdì, deve essere stata pesante per il presidente Berlusconi e per il ministro Tremonti. Essi sono stati costretti a modificare posizioni che avevano sostenuto a lungo, in modo disinvolto l'uno e molto puntiglioso l'altro, e a prendere decisioni non scaturite dai loro convincimenti ma dettate dai mercati e dall'Europa.

Il governo e la maggioranza, dopo avere rivendicato la propria autonoma capacità di risolvere i problemi del Paese, dopo avere rifiutato l'ipotesi di un impegno comune con altre forze politiche per cercare di risollevare un'Italia in crisi e sfiduciata, hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza, un «governo tecnico». Le forme sono salve. I ministri restano in carica. La primazia della politica è intatta. Ma le decisioni principali sono state prese da un «governo tecnico sopranazionale» e, si potrebbe aggiungere, «mercatista», con sedi sparse tra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York.

Come europeista, e dato che riconosco l'utile funzione svolta dai mercati (purché sottoposti a una rigorosa disciplina da poteri pubblici imparziali), vedo tutti i vantaggi di certi «vincoli esterni», soprattutto per un Paese che, quando si governa da sé, è poco incline a guardare all'interesse dei giovani e delle future generazioni. Ma vedo anche, in una precipitosa soluzione eterodiretta come quella dei giorni scorsi, quattro inconvenienti.

Scarsa dignità . Anche se quella del «podestà forestiero» è una tradizione che risale ai Comuni italiani del XIII secolo, dispiace che l'Italia possa essere vista come un Paese che preferisce lasciarsi imporre decisioni impopolari, ma in realtà positive per gli italiani che verranno, anziché prenderle per convinzione acquisita dopo civili dibattiti tra le parti. In questo, ci vorrebbe un po' di «patriottismo economico», non nel fare barriera in nome dell'«interesse nazionale» contro acquisizioni dall'estero di imprese italiane anche in settori non strategici (barriere che del resto sono spesso goffe e inefficaci, una specie di colbertismo de noantri ).

Downgrading politico . Quanto è avvenuto nell'ultima settimana non contribuisce purtroppo ad accrescere la statura dell'Italia tra i protagonisti della scena europea e internazionale. Questo non è grave solo sul piano del prestigio, ma soprattutto su quello dell'efficacia. L'Unione europea e l'Eurozona si trovano in una fase critica, dovranno riconsiderare in profondità le proprie strategie. Dovranno darsi strumenti capaci di rafforzare la disciplina, giustamente voluta dalla Germania nell'interesse di tutti, e al tempo stesso di favorire la crescita, che neppure la Germania potrà avere durevolmente se non cresceranno anche gli altri. Il ruolo di un'Italia rispettata e autorevole, anziché fonte di problemi, sarebbe di grande aiuto all'Europa.

Tempo perduto . Nella diagnosi sull'economia italiana e nelle terapie, ciò che l'Europa e i mercati hanno imposto non comprende nulla che non fosse già stato proposto da tempo dal dibattito politico, dalle parti sociali, dalla Banca d'Italia, da molti economisti. La perseveranza con la quale si è preferito ascoltare solo poche voci, rassicuranti sulla solidità della nostra economia e anzi su una certa superiorità del modello italiano, è stata una delle cause del molto tempo perduto e dei conseguenti maggiori costi per la nostra economia e società, dei quali lo spread sui tassi è visibile manifestazione.

Crescita penalizzata . Nelle decisioni imposte dai mercati e dall'Europa, tendono a prevalere le ragioni della stabilità rispetto a quelle della crescita. Gli investitori, i governi degli altri Paesi, le autorità monetarie sono più preoccupati per i rischi di insolvenza sui titoli italiani, per il possibile contagio dell'instabilità finanziaria, per l'eventuale indebolimento dell'euro, di quanto lo siano per l'insufficiente crescita dell'economia italiana (anche se, per la prima volta, perfino le agenzie di rating hanno individuato proprio nella mancanza di crescita un fattore di non sostenibilità della finanza pubblica italiana, malgrado i miglioramenti di questi anni). L'incapacità di prendere serie decisioni per rimuovere i vincoli strutturali alla crescita e l'essersi ridotti a dover accettare misure dettate dall'imperativo della stabilità richiederanno ora un impegno forte e concentrato, dall'interno dell'Italia, sulla crescita.

Mario Monti

07 agosto 2011 10:40© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/editoriali/11_agosto_07/monti-podesta_1a5c6670-c0c4-11e0-a989-deff7adce857.shtml


Titolo: Mario MONTI. Un nuovo governo dell'economia
Inserito da: Admin - Agosto 14, 2011, 11:06:06 am
EMERGENZA, CRESCITA, EQUITA'

Un nuovo governo dell'economia

Venerdì il governo ha preso decisioni che avranno notevole impatto sull'economia e la società italiana e questa volta, come era atteso da tempo, anche sul settore pubblico. Le singole misure sono analizzate e commentate in altre parti del giornale. Qui vorrei mettere in luce una scelta di fondo di cui non si è parlato, ma che non deve essere stata facile per il Presidente del Consiglio. Una scelta che, per le sue implicazioni, potrebbe cambiare l'impostazione di politica economica del governo Berlusconi nella parte restante di questa legislatura.
Di fronte alle perentorie richieste dell'Europa e dei mercati, il governo ha dovuto scegliere tra la via dell'irredentismo e la via della redenzione.

Avrebbe potuto cercare di sottrarsi alle indicazioni del «podestà forestiero» (l'articolo di domenica scorsa, 7 agosto, ha dato luogo a un dibattito sul quale tornerò prossimamente) e rivendicare con spirito irredentista un maggiore spazio, quello che l'Unione Europea normalmente riconosce, per le scelte politiche nazionali. Invece ha deciso, con lucidità e rapidità, di imboccare una strada di redenzione o, in termini più asettici, di modifica di alcuni connotati di fondo che avevano caratterizzato, fin dall'inizio, l'impostazione di politica economica del governo.

E' comprensibile che l'inversione di rotta venga ora attribuita per intero all'aggravamento, innegabile, della crisi internazionale. Ma quei limiti - di natura politica, non tecnica - erano evidenti da molto tempo ed erano stati segnalati da più commentatori.

Il ministro dell'Economia, di cui molti tendono oggi a dimenticare il merito di aver saputo mantenere un certo rigore di bilancio con un governo e una maggioranza poco inclini a tale virtù, non ha affrontato, né forse valutato, adeguatamente i problemi della competitività, della crescita, delle riforme strutturali indispensabili per rimuovere i vincoli alla crescita (il federalismo fiscale, oggi oggetto di dibattiti accesi, è stato spesso presentato come la riforma strutturale introdotta da questo governo).

Il Presidente del Consiglio, da parte sua, non ha mai mostrato di considerare l'economia - tranne l'agognata riduzione delle tasse - come una vera priorità del suo governo, né ha mai assunto un visibile ruolo di coordinamento attivo e di impulso della politica economica, come fanno da tempo gli altri capi di governo. Essi lo esercitano soprattutto nel promuovere la crescita, assistiti da un ministro dell'economia reale o dello sviluppo di alto profilo, oltre che nel garantire copertura politica al ministro finanziario, nella sua azione rivolta prioritariamente alla disciplina di bilancio. Negli ultimi tempi, invece, Berlusconi pareva spesso infastidito dall'arcigno Tremonti e dai suoi «no» agli altri ministri, più che dedicarsi alla guida strategica dello sviluppo, in raccordo con l'Europa (due responsabilità a lungo lasciate scoperte di titolari).

Negli ultimi giorni, tutto pare cambiato. Il Presidente del Consiglio ha preso visibilmente la guida. Si è schierato, per amore o per forza, dalla parte del rigore. Almeno su questo, non dovrebbero più esserci contrapposizioni con il ministro dell'Economia.
Entrambi, dopo avere prestato scarsa attenzione alle raccomandazioni rivolte loro per anni dalla Banca d'Italia, si premurano di seguire ora le indicazioni - molto simili! - della Banca Centrale Europea.

È una svolta positiva e importante, pur se avvenuta nella precipitazione e perciò con due conseguenze negative. Le misure adottate, che potrebbero ben chiamarsi «tassa per i ritardi italiani malgrado l'Europa» e non certo «tassa dell'Europa», non hanno potuto essere studiate con il dovuto riguardo all'equità e gravano particolarmente sui ceti medi. Inoltre, la priorità crescita, pur sottolineata dalla Commissione europea e dalla Bce, rischia di essere vissuta come «meno prioritaria», nella situazione di emergenza in cui l'Italia, soprattutto per sua responsabilità, è venuta a trovarsi.

Crescita ed equità. Come molti osservatori hanno notato, è ora su questi due grandi problemi, trascurati nei primi tre anni della legislatura, che l'azione del governo, delle opposizioni e delle parti sociali dovrà concentrarsi, con un comune impegno come auspica il Presidente Napolitano. E ciò, ben inteso, non a scapito della finanza pubblica, ma anzi per rendere duraturi i progressi realizzati in quel campo.

Mario Monti

14 agosto 2011 09:24© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/editoriali/11_agosto_14/monti-nuovo-governo-economia_b8ac3b6a-c642-11e0-a5f4-4ef1b4babb4e.shtml


Titolo: Mario MONTI. False illusioni, sgradevoli realtà
Inserito da: Admin - Ottobre 17, 2011, 05:14:03 pm
L’ITALIA, I MERCATI E L’EUROPA

False illusioni, sgradevoli realtà

Silvio Berlusconi ha spesso sostenuto che, grazie alla personale autorevolezza riconosciutagli dagli altri capi di governo, l’Italia ha acquisito un peso maggiore, a volte determinante, nelle decisioni europee e internazionali.

In questi giorni, ciò rischia di essere vero. Ma è una verità amara. Nelle riunioni dell’Unione europea e del G20 che cercano di arginare la crisi dell’eurozona e di invertire le aspettative, l’Italia avrà il ruolo cruciale. Cruciale come fonte di problemi, purtroppo; non certo come influenza sulle decisioni da prendere, tanto più che siamo già oggetto di «protettorato » (tedesco-francese e della Banca centrale europea).

È ormai convinzione comune — in Europa, in America e in Asia — che non sarà la Grecia a far saltare l’eurozona, con le possibili conseguenze: disintegrazione dell’Unione europea, crisi finanziaria globale, grave depressione, crisi sociale drammatica. Potrebbero esserlo, per la loro dimensione, la Spagna o a maggior ragione l’Italia. La Spagna è più avanti nel processo di ripartenza politica ed economica volto a padroneggiare la crisi. L’Italia è più indietro. Lo mostrano anche i tassi di interesse sul debito pubblico: più alti per l’Italia che per la Spagna. (E ora, più alti per l’Italia che per la Polonia, benché questa, non facendo ancora parte dell’euro, presenti un esplicito rischio di cambio).

L’Italia è più indietro perché non c’è stato neppure il minimo riconoscimento di responsabilità da parte del governo. In Spagna, invece, il governo ha addirittura lasciato il campo e indetto nuove elezioni e, intanto, ha chiesto e ottenuto una collaborazione con l’opposizione per alcune misure essenziali. In Italia il governo e la maggioranza, pur avendo mancato di visione strategica sulla politica economica e avere indulto a lungo a un ottimismo illusionistico, preferiscono scaricare su altri le responsabilità. L’opposizione avrebbe «impedito al governo di lavorare» (accusa che peraltro accredita le opposizioni di un’identità politica e di un’efficacia di cui si stenta a vedere traccia). I magistrati avrebbero «costretto» il capo del governo a occuparsi soprattutto di loro, piuttosto che dell’economia o dei giovani senza futuro. La «sinistra », così evanescente come forza di opposizione, eserciterebbe però un’influenza assoluta sui corrispondenti a Roma della stampa estera; sarebbe per questo, solo per questo, che vengono scritti nel mondo tanti commenti critici sul presidente del Consiglio e sul governo.

Devo riconoscere che, spesso richiesto all’estero di giudizi sul presidente Berlusconi e sul suo governo, non ho mai assecondato le colorite espressioni usate dai miei interlocutori nel formulare la domanda e ho sempre sottolineato che, se c’è un «problema Berlusconi», deve essere un problema di noi italiani, che l’abbiamo democraticamente eletto tre volte. La prima volta, posso aggiungere, nella speranza di molti che emergesse anche in Italia una forza liberale.

Oggi, mi pare però importante che il presidente del Consiglio — al quale forse fanno velo un’ovattata percezione della realtà e una cerchia di fedelissime e fedelissimi che, a giudicare dalle apparizioni televisive, toccano livelli inauditi di servilismo — si renda personalmente conto di alcune sgradevoli realtà. In Europa e negli Stati Uniti (mi sembra anche in Asia, dove però non ho fonti dirette altrettanto esaurienti):
1) pur riconoscendo all’economia italiana punti di forza e un notevole potenziale, si nutre grande preoccupazione per un’Italia che, in mancanza di crescita economica e di riforme vere nel settore pubblico e nei mercati, potrebbe essere vittima (non innocente) di forti attacchi nei mercati finanziari;
2) si identifica proprio nell’Italia il possibile fattore scatenante di una crisi nell’eurozona di dimensioni non ancora sperimentate e forse non fronteggiabili. Il mondo, non solo l’Europa, potrebbe subirne gravi conseguenze;
3) le principali responsabilità di questa situazione vengono attribuite al governo italiano in carica da tre anni e mezzo;
4) la permanenza in carica dell’attuale presidente del Consiglio viene vista da molti come una circostanza ormai incompatibile con un’attività di governo adeguata, per intensità e credibilità, a sventare il rischio di crisi finanziaria e a creare una prospettiva di crescita;
5) queste valutazioni, comprese quelle riportate ai punti 3 e 4, vengono formulate anche —e con particolare disappunto e imbarazzo—da personalità politiche europee, inclusi alcuni capi di governo, appartenenti alla stessa famiglia politica (il Partito popolare europeo) del presidente Berlusconi e del suo partito.

A questo quadro di preoccupazione internazionale sull’Italia e di sfiducia nel governo in carica fa riscontro la recente riconfermata fiducia da parte del Parlamento. Solo quest’ultima, ovviamente, è rilevante per la legittimità del governo. Ma in un’Europa e in un mondo sempre più interdipendenti, sarebbe opportuno che quanti hanno dato il loro sostegno al governo Berlusconi (e riesce davvero difficile immaginarne uno diverso, nel quadro attuale) prendessero maggiore consapevolezza della realtà internazionale che rischia di travolgerci, di trasformare l’Italia da Stato fondatore in Stato affondatore dell’Unione europea, di rendere ancora più precario il futuro e la stessa dignità dei giovani italiani. Hanno salvato il presidente del Consiglio. In cambio, lo incalzino perché risparmi all’Italia, se non il ludibrio, almeno il biasimo per aver causato un disastro.

Mario Monti

16 ottobre 2011 08:51© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/editoriali/11_ottobre_16/monti-false-illusioni-sgradevoli-realta_068269c4-f7bf-11e0-8d07-8d98f96385a3.shtml


Titolo: Mario MONTI. Lettera al premier
Inserito da: Admin - Ottobre 30, 2011, 05:46:30 pm
L'EURO, LA CRISI E IL NOSTRO PAESE

Lettera al premier

Signor presidente del Consiglio,

mi permetto di richiamare la Sua attenzione su alcuni aspetti delle Sue dichiarazioni di venerdì sull'euro. Lei ha affermato: «L'euro non ha convinto nessuno. È una moneta strana, attaccabile dalla speculazione internazionale, perché non è di un solo Paese ma di tanti che però non hanno un governo unitario né una banca di riferimento e delle garanzie. L'euro è un fenomeno mai visto, ecco perché c'è un attacco della speculazione ed inoltre risulta anche problematico collocare i titoli del debito pubblico».
Di fronte alle vivaci reazioni suscitate, Lei ha in seguito precisato: «L'euro è la nostra moneta, la nostra bandiera. È proprio per difendere l'euro dall'attacco speculativo che l'Italia sta facendo pesanti sacrifici. Il problema è che l'euro è l'unica moneta al mondo senza un governo comune, senza uno Stato, senza una banca di ultima istanza. Per queste ragioni è una moneta che può essere oggetto di attacchi speculativi».

Sono dichiarazioni che meritano un'analisi a freddo, al di fuori di ogni visione di parte. A mio parere, esse contengono alcune affermazioni fondate e altre infondate. Nell'insieme, fanno sorgere, accanto ad una remota speranza, serie preoccupazioni. Mi auguro che, con le parole e ancor più con i fatti, Lei riesca a rafforzare quella speranza e a sgombrare il campo dalle preoccupazioni, così vive in Italia e in Europa. Non solo - La prego di credermi - presso i suoi «nemici».
È certamente vero che l'euro è «una moneta strana», «un fenomeno mai visto». È anche fondata, e condivisa dagli osservatori più seri, la Sua diagnosi: il principale problema dell'euro consiste nell'essere una moneta «senza un governo, senza uno Stato, senza una banca di ultima istanza». C'è sì la Banca Centrale Europea ma, come credo Lei voglia dire giustamente, essa non dà garanzia di intervento illimitato in caso di difficoltà.

Qui mi permetto di suggerirLe una considerazione. Se la condivide, potrebbe forse riprenderla in uno dei Suoi interventi. L'euro può soffrire della mancanza di un vero Stato alle sue spalle. Ma avere un vero Stato alle proprie spalle non porta necessariamente una moneta ad essere solida. La lira non era una moneta «strana». Ma era, il più delle volte, una moneta debole, proprio perché rifletteva le caratteristiche dello Stato italiano, dei governi e della Banca d'Italia (sempre autorevole ma, per lunghi periodi, arrendevole) che l'avevano generata. A parte un certo rialzo dei prezzi al momento della sua introduzione, la strana moneta euro, rispetto alla nostrana lira, ci ha portato negli ultimi 12 anni un'inflazione ben più bassa.

Se la Sua diagnosi coglie bene una gracilità di fondo dell'adolescente euro, mi sembra però che Lei la applichi a malanni che, in questo momento, il nostro adolescente non ha. Lei rappresenta un euro in crisi, a seguito di attacchi speculativi e aggiunge: «È proprio per difendere l'euro dall'attacco speculativo che l'Italia sta facendo pesanti sacrifici». Questo no, signor presidente.
L'euro non è in crisi. In questi 12 anni, e ancora attualmente, l'euro non manifesta nessuno dei due sintomi di debolezza di una moneta. È stabile in termini di beni e servizi (bassa inflazione) ed è stabile (qualcuno direbbe, anzi, troppo forte) in termini di cambio con il dollaro. Gli attacchi speculativi ci sono, spesso violenti. Ma non sono attacchi contro l'euro. E non è vero che «risulta problematico collocare i titoli del debito pubblico». Gli attacchi si dirigono contro i titoli di Stato di quei Paesi appartenenti alla zona euro che sono gravati da alto debito pubblico e che hanno seri problemi per quanto riguarda il controllo del disavanzo pubblico o l'incapacità di crescere (e di rendere così sostenibile la loro finanza pubblica) perché non hanno fatto le necessarie riforme strutturali. È questo il caso dell'Italia, dopo che in prima linea si erano trovati la Grecia e altri Paesi. Per questo, da qualche tempo, è diventato problematico collocare i titoli del debito pubblico italiano. E di una cosa, signor presidente, può essere certo: se l'Italia non fosse nella zona euro, emettere titoli italiani in lire sarebbe un'impresa ancora più ardua.

Che l'Italia stia facendo pesanti sacrifici, è vero. Essi sono più pesanti di come sarebbero stati se si fosse ammesso per tempo il problema di una crescita inadeguata. Ma non posso credere che Lei pensi davvero che l'Italia faccia questi sacrifici non per rimettersi in carreggiata e ridare un minimo di speranza ai nostri giovani, ma «per difendere l'euro dall'attacco speculativo». Mentre è vero se mai che la Bce, con risorse comuni, interviene a sostegno dei titoli italiani.
In Europa e nei mercati, affermazioni di questo tipo accrescono i dubbi sulla convinzione e la determinazione del governo italiano. Già due giorni dopo le decisioni di Bruxelles, i titoli italiani hanno fatto fatica a trovare collocamento. Ad ogni rialzo dei tassi, dovuto a scarsa fiducia nell'Italia, Lei finisce per imporre sacrifici ancora maggiori agli italiani. Anche le parole non sorvegliate hanno un costo.

Ma ho una preoccupazione ancora maggiore. Dopo le Sue dichiarazioni sull'euro, Fedele Confalonieri, Suo storico collaboratore, personalità rispettata nel mondo economico, se ne rallegra. Affermando che «l'euro è una moneta strana, che non ha convinto nessuno, Berlusconi ha detto una cosa che pensano tutti; solo che lui lo dice, perché non è ipocrita. E non c'è dubbio che il premier con questa battuta abbia toccato le corde di chi, dai tempi del cambio della lira, ha sempre storto il naso». Questo, secondo vari osservatori, fa ritenere che nella prossima stagione pre-elettorale, ormai non lontana, il tema in questione potrebbe diventare un Suo cavallo di battaglia.

Se questa fosse la prospettiva, e non voglio crederlo, ci avvieremmo ad una fase nella quale i severi provvedimenti che Lei si è impegnato a introdurre non potrebbero essere presentati in modo convincente ai cittadini, né potrebbero essere accettati con maturità, perché sarebbero accompagnati da scetticismo, se non recriminazioni, verso l'Europa. L'Italia non farebbe i passi avanti che le sono indispensabili e potrebbe rivelarsi il ventre molle dell'eurozona, con gravi fratture per l'Europa.
Parlavo, però, di una remota speranza. La Sua diagnosi - la moneta è incompiuta e «strana» senza un governo dell'economia e passi verso l'unione politica - è in linea con la migliore tradizione dell'europeismo italiano. Come Lei, forse con qualche turbamento, ha visto a Bruxelles alcuni giorni fa, il governo economico si sta creando. Ma sarebbe più ordinato, più equilibrato e più orientato alla crescita economica se potesse formarsi con un'Italia che con gli altri, Germania e Francia in primo luogo, concorresse attivamente a plasmarlo. Anziché, come sta avvenendo, con un'Italia costretta ad accettare passivamente forme di governo dell'economia che vengono improvvisate soprattutto allo scopo di «disciplinare» il nostro Paese.

Confido, signor presidente, che prevalga in Lei l'ambizione di riportare l'Italia nel ruolo che le appartiene in Europa, accelerando in silenzio il risanamento, rispetto a quella di un successo elettorale a tutti i costi per la Sua parte politica, ma in un Paese sempre più populista, distaccato dall'Europa e magari visto come responsabile di un fallimento dell'integrazione europea.

Mario Monti

30 ottobre 2011 09:44© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/editoriali/11_ottobre_30/lettera-premier_cbd7a006-02d0-11e1-8566-f96c33d2415f.shtml


Titolo: Mario MONTI. È l'ora dell'economia sociale di mercato
Inserito da: Admin - Novembre 11, 2011, 04:53:02 pm
Monti: «È l'ora dell'economia sociale di mercato»

10 novembre 2011

   
Giorgio Fiorentini intervista il presidente della Bocconi, probabile futuro premier

Questa intervista è uscita sul numero dell'inserto Cantieri pubblicato con Vita del 16 settembre. Giorgio Fiorentini, professore della Bocconi, è uno dei massimi esperi di economia sociale in Italia. Mario Monti, presidente dell'ateneo milanese, è il più probabile successore di Berlusconi alla Presidenza del Consiglio.

Nel “Single market act” si è ribadito un forte orientamento al sociale, come elemento indispensabile per mantenere la stabilità del mercato unico europeo. Un altro punto focale è che la riconciliazione del mercato con il sociale avviene attraverso attori, non comparse: le imprese sociali, nelle varie declinazioni, che danno ulteriore stabilità al sistema. Attori il cui ruolo sta molto a cuore di Mario Monti, attuale presidente dell’università Bocconi ed ex Commissario europeo.

Nel “Single market act” si parla di economia sociale di mercato, in cosa consiste?
I Trattati di Roma e Maastricht contengono spunti di economia sociale di mercato parlando di concorrenza, disciplina del bilancio pubblico, attenzione alla ridistribuzione del reddito, lotta all’inflazione. Da ultimo, nel Trattato di Lisbona del 2010 si dice formalmente per la prima volta che l’Ue ambisce ad essere un’economia sociale di mercato altamente competitiva. Il mercato ha in questo un ruolo essenziale, l’ha avuto fin dall’inizio dell’Ue. Il mercato comune è oggi entrato abbastanza in crisi in parte proprio perché la riconciliazione con l’aspetto “sociale” è apparsa problematica. Negli ultimi dieci anni vari fattori di tensione hanno mandato in crisi sia l’aggettivo (“unico”) che il sostantivo (“mercato”). Per l’aggettivo hanno inciso tensioni derivanti dalla stanchezza dell’integrazione, con Paesi riluttanti ad aprirsi ad altri Paesi. Per il sostantivo, l’avvento della crisi finanziaria, dal 2008, ha fatto crollare la fiducia nell’economia di mercato, traballante in Europa più che altrove. Ora l’Europa deve dare slancio alla propria competitività rispetto al resto de mondo, non si può permettere di  rinunciare al mercato unico, all’economia di scala, non è auspicabile la frammentazione del mercato unico.

E il “sociale” quale ruolo dovrebbe assumere?
Entra in gioco proprio a questo punto: non solo molti, tra la popolazione e le forze politiche, vorrebbero un’Europa più sociale, ma ora riconoscere spazio al sociale diventa una priorità, come spiego nel rapporto che ho presentato a Barroso, e va visto come una riacquisizione di un più vasto consenso nell’avanzamento della costruzione del mercato stesso. Occorre quindi cambiare marcia nella costruzione del mercato: non certo frenare, ma conciliare meglio gli aspetti del mercato e quelli sociali.

Le imprese sociali oggi sono ancora considerate utili solo per combattere la povertà?
Se il mercato è unico e le risorse si muovono, i capitali si muovono ancora più facilmente, e se non c’è coordinamento fiscale tra Stati membri c’è concorrenza fiscale e il capitale se ne avvantaggia andando dove è meno tassato. Gli Stati, facendosi concorrenza, permettono la diminuzione delle tasse su capitali e l’aumento di quelle sul lavoro: per questo il mercato unico potrebbe essere visto addirittura come nemico del sociale. Ecco perché l’Ue sta cercando di ottenere un coordinamento della fiscalità. In questo contesto gioca un ruolo importante l’impresa sociale: nel tessuto economico dell’Ue va lasciato spazio sia al settore pubblico sia alle imprese a proprietà pubblica (se rispettano le regole della concorrenza), sia al privato sia all’impresa sociale, vista non come mera dicitura verbale ma come creatura vivente con possibilità di crescita. Nel mio rapporto, poi diventato base legislativa per il “Single market act”, si nota molto questa sensibilità verso il sociale, con proposte concrete. L’Act va oltre il Libro verde e le consultazioni: allo stato attuale si attende che i due poteri dell’Ue (Parlamento e Consiglio) deliberino con una fast track, una procedura veloce data l’urgenza del tema. Per esempio sul tema delle fondazioni bancarie, l’Italia si è comportata meglio della Germania, per una volta. Vent’anni fa per entrambi c’era un vasto settore bancario di proprietà pubblica nazionale o locale. L’Italia ha poi seguito, con le leggi Amato e Ciampi e l’ispirazione del ministro Andreatta, la via di una distinzione chiara tra impresa bancaria e fondazione bancaria, vedi soprattutto le Casse di risparmio: la fondazione è azionista dell’impresa, riceve profitto e lo eroga secondo la sua visione. In Germania il mondo politico non è stato abbastanza lucido per fare la distinzione, c’è ancora un sistema ibrido, nonostante le ripetute osservazioni della Commissione europea: qui il fondo per il sociale viene erogato nelle pieghe dell’azienda bancaria, con poca trasparenza e una commistione tra politica e finanza che provoca problemi.

da - http://www.vita.it/news/view/114879


Titolo: MARIO MONTI Prima conferenza stampa di fine anno da Presidente del Consiglio
Inserito da: Admin - Dicembre 29, 2011, 04:34:03 pm
29 dicembre 2011 A - A DIRETTA VIDEO

DIRETTA TWITTER

Prima conferenza stampa di fine anno da Presidente del Consiglio oggi per il neo Premier Mario Monti.

Con grande attenzione anche, all'indomani del lungo consiglio dei ministri che ha discusso la «fase due» del governo, per le prossime misure destinate a rilanciare la crescita e lo sviluppo.



Cita Berlusconi, poi servirono 5 manovre...
Mario Monti non nega che la manovra 'salva Italia' abbia potuto anche produrre effetti recessivi, come ha denunciato l'ex premier Silvio Berlusconi, ma tiene a precisare che senza farla «il sistema sarebbe esploso» quindi ricorda come sono andate le cose nell'ultimo anno: «Il mio predecessore, Berlusconi, il 23 dicembre 2010 disse: 'non servirà una manovra correttiva', le cose poi sono andate diversamente - ha detto il presidente del Consiglio -, nel frattempo sono state necessarie cinque manovre e solo l'ultima porta la mia firma. Berlusconi disse anche 'serve un bagno di ottimismo, nella crisi il fattore psicologico è importantissimo' perciò invitò i giornali a non dare solo notizie negative. Io sono sicuro che questo sforzo che facciamo di spiegare le cose in una prospettiva positiva - ha concluso Monti - giustifica un moderato ottimismo».

Ministri liberi di esprimere visioni politiche personali.
«Tengo i miei ministri impegnati nello svolgere le loro attività dei ministri, sono pur sempre cittadini, hanno la loro visione», sottolinea  Monti. «Lederei i principi della Costituzione italiana se impedissi ai ministri di parlare a titolo personale e di esprimere le proprie opinioni», prosegue il presidente del Consiglio. «Se il loro intervento sul dibattito pubblico può pregiudicare la principalissima missione di questo governo farei presente le mie perplessità, ma non vedo nessun rischio. La libertà di dichiarazione è ampiamento usata da tutti, anche da parte del governo e dei suoi membri».

Scadenza mandato in mano forze politiche
«La scadenza di questo Governo è nelle mani delle forze politiche che ne sono padrone». Così il presidente del Consiglio, durante la conferenza stampa di fine anno.

Omaggia Crozza, premier-robot
«Questo è un governo fatto di persone: efficacemente rappresentate in tv come robot ma pur sempre persone».
A sorpresa, durante la conferenza stampa di fine anno, il premier Mario Monti cita la parodia di Maurizio Crozza, che rappresenta il presidente del consiglio come un robot.

Piano nazionale delle riforme
«Quest'anno vorremmo fare del Piano nazionale delle riforme» che l'Italia deve presentare all'Europa insieme al Programma di stabilità, «il focus centrale, perchè le nostre riforme strutturali trovino lì il punto di riferimento e manifestazione e sinergia».
Lo ha detto il presidente del consiglio Mario Monti, annunciando che forse il Piano verrà anticipato rispetto alla scadenza di aprile che viene indicata dall'Ue.

I ritmi del governo
«C'è un calendario molto fitto che riguarda le prime tre settimane di gennaio per alcune deliveries e poi un ritmo 'andante con brio' per quelle successive».

Dialogo con i partiti
Il governo proseguirà nella strada del dialogo con le forze politiche che lo sostengono. Lo ha assicurato il premier Mario Monti nella conferenza stampa di fine anno. «L'appoggio delle forze politiche mi sembra che ci sia e ci sarà finchè andiamo avanti. Siamo grati che ci mettano in grado di svolgere il compito che ci è stato affidato e continuerò a dialogare nelle modalità che vogliono con i rappresentanti e i leader delle forze politiche perchè è naturale e fisiologico e continuerò ad avere nel Parlamento il riferimento chiave».

Riforma mercato del lavoro entro Eurogruppo febbraio
«Visto che l'asse logico del nostro sforzo è quello europeo ci sarà una prima tranche di provvedimenti presi, che discuteremo con le forze politiche e sociali e professionali, in vista del 23 gennaio a Bruxelles». Ma «non si potrà fare tutto», chiarisce il premier, in particolare la riforma del mercato del lavoro. Ci sarà quindi, osserva Monti, un «secondo traguardo per l'eurogruppo di febbraio».

«Non penso al Quirinale»
«Non è un tema al quale penso minimamente». Così il premier, Mario Monti, ha risposto durante la conferenza stampa di fine anno a una domanda su una sua possibile candidatura al Quirinale. Di questo dossier, ha spiegato Monti, «ho avuto ancora meno tempo di occuparmi, del resto non saprei come impostare il dossier perchè non mi risulta esistano candidature al Quirinale».

Liberalizzazioni e riforma del lavoro
«Lavoreremo in parallelo sulle liberalizzazioni e sul mercato del lavoro: è un parallelismo che ci è consentito dal fatto che le nostre risorse umane non sono le medesime da dispiegare su un fronte e sull'altro».  Monti ha inoltre spiegato che «Fornero si occuperà del mercato del lavoro e il sottosegretario Catricalà, assieme a diversi ministri e io stesso, che non ho dimenticato completamente la materia della concorrenza, saremo molto incalzanti sul tema delle liberalizzazioni e della concorrenza e questo spiega perchè non abbiamo fatto le pensioni e la riforma del lavoro contemporaneamente: pur essendo la Fornero una donna dinamica, dispone - scherza Monti - di 24 ore».

Il premier sul rialzo dello spread
«Per me quello sgradevole rialzo dello spread dopo il 5-6 dicembre è attribuibile alla delusione dei mercati per i risultati del Consiglio europeo, non per i mancati e limitati interventi della Banca centrale a sostegno dei titoli di stato italiani». Lo ha detto il presidente del consiglio Mario Monti, aggiungendo che la salita dello spread di quest'estate «era più allarmante» di quella «frastagliata» avvenuta in periodo recente.

Catasto, più equità e stop abusi
«Ho approfondito la questioione del catasto che è molto importante», e nella riforma che il governo sta portando avanti ci saranno «meccanismi per conoscere la realtà, è sempre auspicabile la conoscenza della realtà e la riforma del catasto, che richiederà qualche tempo, va in questa direzione e ciò vuol dire porre fine agli abusi anche se involontari e avere una maggior aderenza tra il fisco e la realtà», ha detto il premier  nella conferenza stampa di fine anno. Monti garantisce che non ci sarà «un aggravamento dell'imposizione sulla casa ma una maggiore equità sull'imposizione», ricordando che «l'aliquota per la prima casa nel nuovo sistema Imu è dello 0,4% e il numero delle case esenti è di 6 milioni. Non credo che si possa dire che la tassazione è maggiore di quella che c'era prima».

Lavoro, riformare alcuni istituti a favore dei giovani
Nella riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali che il governo intende varare c'è la necessità che «alcuni istituti vengano riformati per favorire il lavoro non precario per i giovani». L'obiettivo finale è quello di «alcune tutele rafforzate» e «maggiore flessibilità».

Taglio contributi editoria, «difficile scegliere ma necessario»
«La cosa difficile è scegliere, ma è necessario farlo. I contributi veranno mantenuti, ma stiamo lavorando per avere dei criteri obiettivi, il più possibile persuasivi, per scegliere, selezionare ciò che da un punto di vista generale ci sembrerà più meritevole del contributo». Così il presidente del Consiglio, Mario Monti, risponde alla domanda di un giornalista, durante la conferenza stampa di fine anno, che gli faceva notare il taglio ai contributi statali all'editoria che rischia di far chiudere trenta testate giornalistiche il prossimo anno per insufficienza di risorse. Monti ha aggiunto che quella dei contributi «è un'operazione difficile, il Governo ci sta lavorando», sottolinenando che «ci saranno anche criteri di tipo quantititativo, per esempio l'impiego di capitale umano cioè di giornalisti, per esempio la diffusione».

Italia, grande sforzo di cambiamento
«Più diamo la sensazione di essere uniti e focalizzati sull'obiettivo» di risolvere la crisi «più questo aiuterà il resto del mondo e dell'Europa a capire che l'Italia sta facendo un grande sforzo di cambiamento e cerca di recuperare una serenità di vita e una speranza nel futuro su basi meno effimere di quelle che tante volte in passato hanno caratterizzato il surfing degli italiani verso un'apparenza di benessere con onde che però diventavano sempre più alte e che si sarebbero scaricate sulle generazioni future».  «Siamo tutti impegnati nel modificare dei pregiudizi sbagliati che l'Europa e il mondo hanno nei confronti dell'Italia, noi sappiamo che sono sbagliati ma dobbiamo convincere anche loro», conclude il premier.

Riforme, spero che il Parlamento le faccia
«Spero che il Parlamento faccia le riforme, aituterebbero il Paese».

Auguri a Napolitano e ai politici
«Vorrei esprimere gli auguri per il nuovo anno all'Italia e per tutti al Presidente della Repubblica, che così eloquentemente e semplicemente interpreta il senso di unità nazionale ed è riuscito ad infonderlo a tutti noi cittadini italiani nel 150/mo dell'Unità d'Italia», ha detto il premier Mario Monti. E ai politici : «l'augurio di «lavorare bene il prossimo anno e soprattuto una cosa che solo loro possono fare», ossia «trovare una vie d'uscita per il paese» con «riforme istituzionali che darebbero respiro e sarebbero complementari al lavoro più modesto che cerchiamo di fare».

Negozioato con parti sociali
Sulla riforma del mercato del lavoro «ci sarà il negoziato con le parti sociali che richiedono più negoziato del sistema pensionistico ma tutto dovrà essere condotto con una certa rapidità».

Agli economisti: rovinoso non attuare impegni Ue
«Era assolutamente impensabile rimettere in discussione gli impegni sottoscritti con l'Europa» dal precedente governo. Nella conferenza stampa di fine anno, il premier Mario Monti si rivolge, senza rinunciare a qualche critica e a un po' di ironia, ai «colleghi economisti»: «Sono grato dell'attenzione che stanno riservando con accenti diversi a questo governo e voglio rassicurarli che conosco anch'io un minimo di economia» e so «dei molti inconvenienti, in particolare delle critiche sul fatto che l'Italia ha assunto l'impegno di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 e si è assunta il vincolo di ridurre di 5 punti percentuali all'anno l'eccesso nel rapporto pil-debito, signori economisti e signore e signori in generale non è questo governo - sottolinea Monti - che ha sottoscritto questi impegni ma altri governi.

Conosco anch'io un minimo di economia...»
Non sto prendendo una posizione favorevole o critica ma dico solo che ci siamo trovati il 16 novembre incaricati di operare in Italia e Europa col tentativo di ristabilire dignità e autorevolezza e stabilità di un paese che aveva accettato quegli obiettivi e in particolare il pareggio di bilancio accettato nel corso dell'estate anche come particolare diligenza richiesta dall' Europa in particolare all'Italia dopo le difficoltà dei mesi precedenti». Ebbene, conclude Monti, «è possibile che un nuovo governo possa rimettere in discussione gli impegni europei sottoscritti anche come contropartita morale nei confronti della Bce? Era assolutamente impensabile, quindi tengo molto a sottolineare che stiamo dando credibilità agli impegni già presi che non vogliamo nè possiamo discutere nel merito».

Pareggio di bilancio
«Si vede criticamente il fatto che l'Italia si sia assunto un impegno di conseguire il pareggio di bilancio nel 2013 e di ridurre di 5 punti percentuali all'anno l'eccesso nel rapporto Pil/debito. Signori economisti e signori e signore in generale non è questo Governo che ha sottoscritto questi impegni: altri Governi hanno sottoscritto questi impegni».

Fase crescita equa
«Non esiste consolidamento sostenibile dei conti pubblici se il Pil non cresce adeguatamente. La politica di crescita che proporremo al paese nelle prossime settimane non fa molto uso di denaro pubblico perché ce n'è poco ma fa molto uso equità come leva», ha sottolineato Monti.

«Ora al lavoro per pacchetto Cresci Italia»
Da oggi inizia la fase 'Cresci Italia': non ho obiezioni se decidete di chiamarla così»: così Monti ai giornalisti.

«Da oggi atti voluti»
«La manovra atto dovuto, da oggi atti voluti»

«Non serve altra manovra»
«In questa nuova fase, dopo la manovra, l'esigenza dei conti pubblici e dell'equità saranno altrettanto presenti». Lo garantisce, nella conferenza stampa di fine anno, il premier Mario Monti, che aggiunge: «nessuno pensi nè che occorra un'altra manovra nel senso classico della costrizione, nè, che siccome è stata fatta una manovra pesante e robusta, ora significhi larghezza finanziaria».

Al via il discorso di Monti
«Non mi sfugge la fondamentalissima importanza della stampa libera, indipendente e articolata per la nostra democrazia, per la democrazia del nostro Paese». Lo ha detto il presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, durante la conferenza stampa di fine anno.

Jacopino a Monti: in Inpgi neanche un centesimo da Stato
«Nel nostro istituto di previdenza non c'è neanche un centesimo dei fondi dello stato». Lo ricorda il presidente dell'ordine dei giornalisti Enzo Jacopino, al premier Mario Monti in conferenza stampa. Il tema era stato oggetto di dibattito dopo le parole del ministro Elsa Fornero, che aveva parlato dei giornalisti come di privilegiati vicini alla politica. «Non siamo privilegiati», dice oggi Jacopino al cospetto del premier.

da - http://www.unita.it/italia/monti-la-conferenza-stampa-tutte-le-novita-1.366829


Titolo: MONTI a Sarkozy: da noi grande sforzo, ora agisca la Ue
Inserito da: Admin - Gennaio 07, 2012, 11:28:30 am
Monti a Sarkozy: da noi grande sforzo, ora agisca la Ue

dal nostro inviato Gerardo Pelosi

7 gennaio 2012

PARIGI. Sono gli interessi di un Paese che ha svolto fino in fondo i suoi "compiti a casa" e si attende ora di vedere ricompensati i sacrifici fatti in termini di tassi di interesse più bassi e maggiore crescita quelli rappresentati ieri a Parigi dal premier italiano Mario Monti. L'Italia ha fatto la sua parte – ha spiegato Monti prima a colazione con il premier francese – Francois Fillon, poi in un convegno economico del ministro dell'Industria, Eric Besson, infine in un faccia a faccia con il presidente, Nicolas Sarkozy. Il nostro Paese - ha argomentato Monti - ha accettato sacrifici «senza pari» in Europa.

Gli italiani hanno accolto senza battere ciglio le decisioni necessarie per rimettere in carreggiata i conti pubblici. Alle misure già prese, altre ne seguiranno «nel giro dei prossimi due mesi». Con tutto questo «treno di misure» l'Italia viaggia verso un bilancio in pareggio nel 2013 e un avanzo primario del 5% rispetto al Pil. Ora però, ha spiegato Monti ai suoi interlocutori, gli italiani «si attendono che la situazione evolva positivamente in modo che possano averne anche dei benefici in termini di riduzione dei tassi di interesse» e di misure a favore della crescita.

Argomenti e linguaggio, quelli di Monti, accolti positivamente dal presidente francese alla vigilia del vertice franco-tedesco di lunedì prossimo a Berlino in vista dell'Eurogruppo del 23 e del Consiglio europeo del 30. In mezzo, il minivertice a Roma tra Monti, Merkel e Sarkozy. La cancelliera tedesca si incontrerà mercoledì anche con Monti e il tono dei ragionamenti sarà molto simile a quello usato da Sarkozy. Un pressing indispensabile su Berlino per chiudere il cerchio di un accordo che salvi l'Eurozona dagli attacchi della speculazione internazionale, eviti le divisioni tra Paesi del Nord e del Sud e sappia ritrovare la forza di crescere.

Nel frattempo tra Parigi e Roma si è di fatto consolidata un'alleanza per rendere più equilibrato il testo del "fiscal compact" relativo alla disciplina di bilancio nei Trattati (ieri si è svolta la seconda riunione tecnica a Bruxelles) e su margini di operatività più ampi per la Bce. Nulla di strano, dunque, se alla fine del faccia faccia Sarkozy e Monti sottolineino la fiducia e «l'identità di vedute» sulle misure per superare la crisi. «Francia e Italia – ha messo in chiaro Monti – e sono sicuro anche altri Stati membri vogliono lavorare mano nella mano per obiettivi estremamente concreti e vitali». Infatti per Monti «nella situazione attuale non è sufficiente che ogni Paese faccia bene i suoi compiti a casa, è necessario rafforzare la credibilità dell'insieme della zona euro; io sono fiducioso ma i mercati non sempre lo sono e la responsabilità di chi governa in Europa è di fare in modo che anche i mercati lo divengano».

L'obiettivo, ha spiegato poi al convegno "nuovo mondo", è che «sparisca dalla mente di chi decide le scelte di investimento, il fondo di investimento di Singapore piuttosto che quello di Dubai, che non seguono tutto il giorno le sottigliezze degli accordi europei, il rischio relativo alla permanenza dell'euro». Ed è questo, afferma Mario Monti, il timore principale che chiunque dovrebbe avere.

Per il premier l'Europa è di fronte a una sfida e «il destino è tutto nelle sue mani», proprio come un «alpinista» che si trova «su un crinale pericoloso» ma può ancora raggiungere la meta. Meta che passa anche attraverso un rafforzamento del fondo Salva-Stati. L'Italia e anche altri Paesi europei secondo Monti «si trovano ad avere tassi di interesse tuttora molto elevati: non è in discussione ciò che fa o non fa la Bce, il problema è che i governi hanno il dovere di mettere in opera meccanismi di intervento con sufficienti munizioni che possano essere usate in modo sufficientemente rapido e credibile».

Infine, prima di lasciare Parigi, il premier si è concesso qualche riflessione più specificatamente italiana in un'intervista esclusiva alla tv France 24. «La solidità del sistema bancario italiano è fuori discussione – ha detto Monti riferendosi alle difficoltà di Unicredit che si appresta ad aumentare il capitale in una difficile situazione dei mercati –. Quello italiano è un sistema fra i più solidi si è impegnato molto meno di altri in operazioni ardite negli anni precedenti». Poi un accenno alla anomala situazione politica venutasi a creare con il crollo del berlusconismo. «Il governo è sostenuto da tre blocchi – ha spiegato Monti ai telespettatori francesi –: il partito di Berlusconi, il Partito democratico e il Terzo polo», e ognuno trova «qualcosa che gli piace e qualcosa che non gli piace» nelle misure sottoposte al Parlamento. «Il compito consiste nel creare pacchetti bilanciati – è la conclusione –. Per esempio la riforma delle pensioni o del mercato del lavoro non sarà applaudita molto dalla sinistra, ma le liberalizzazioni non piacciono al centro-destra».

Il Sole 24 ORE - Notizie (1 di 42 articoli)

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da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-01-06/monti-sarkozy-grande-sforzo-224005.shtml?uuid=Aac8fUbE


Titolo: Mario MONTI scrive sulle polemiche dopo il suo intervento: ...
Inserito da: Admin - Marzo 30, 2012, 05:39:17 pm
La lettera del premier

I dubbi e le riserve all'estero sul futuro del nostro Paese

Mario Monti scrive sulle polemiche dopo il suo intervento: i partiti dimostrano senso di responsabilità. Italiani maturi


Caro Direttore,

vedo solo ora che alcune considerazioni da me fatte in una conferenza tenuta l'altro ieri a Tokyo presso il giornale Nikkei hanno suscitato vive reazioni in Italia. Ne sono molto rammaricato, tanto più che quelle considerazioni, espresse nel corso di un lungo intervento in inglese, avevano l'obiettivo opposto a quello che, fuori dal contesto, è stato loro attribuito. Volevano infatti sottolineare che, pur in una fase difficile, le forze politiche italiane si dimostrano vitali e capaci di guardare all'interesse del Paese.

La mia visita in Corea, Giappone e Cina ha lo scopo di spiegare ai governi e agli investitori asiatici ciò che l'Italia sta facendo per diventare più competitiva, anche nell'attrarre investimenti esteri.

Comincia a diffondersi l'apprezzamento per ciò che il nostro Paese ha saputo fare in pochi mesi in termini di riduzione del disavanzo, riforma delle pensioni, liberalizzazioni.

Il presidente del Consiglio Mario Monti con il primo ministro giapponese Yoshihiko Noda (Kajiyiama/Epa)Il presidente del Consiglio Mario Monti con il primo ministro giapponese Yoshihiko Noda (Kajiyiama/Epa)
Ma restano una riserva, una percezione errata, un forte dubbio. La riserva, comprensibile, riguarda il mercato del lavoro. Con quali tempi il Parlamento approverà la riforma proposta dal governo? La sua portata riformatrice verrà mantenuta sostanzialmente integra o verrà diluita? La percezione errata è quella che porta ad attribuire essenzialmente al governo («tecnico») il merito dei rapidi cambiamenti in corso. Il forte dubbio discende da quella percezione: è il dubbio che il nuovo corso possa essere abbandonato quando, dopo le elezioni parlamentari, torneranno governi «politici».

Finché la percezione errata e il dubbio non saranno dissipati, la fase attuale verrà considerata come una interessante «parentesi», degna forse di qualche investimento finanziario a breve termine. Ma le imprese straniere, come del resto quelle italiane, saranno riluttanti a considerare l'Italia un luogo conveniente nel quale investire e creare occupazione.

Non è facile modificare le opinioni su questi due punti. Ma credo sia dovere del presidente del Consiglio cercare di farlo con ogni interlocutore. Gli argomenti che ho utilizzato a Tokyo, riportati correttamente dai corrispondenti italiani presenti, ma «letti» in Italia fuori contesto, sono stati i seguenti.

Se da qualche mese l'Italia ha imboccato risolutamente la via delle riforme, lo si deve in parte al governo, ma in larga parte al senso di responsabilità delle forze politiche che, pure caratterizzate da forti divergenze programmatiche, hanno saputo dare priorità, in una fase di emergenza, all'interesse generale del Paese.

E lo si deve anche alla grande maturità degli italiani, che hanno mostrato di comprendere che vale la pena di sopportare sacrifici rilevanti, purché distribuiti con equità, per evitare il declino dell'Italia o, peggio, una sorte simile a quella della Grecia.

E dopo le elezioni? Certo, torneranno governi «politici», come è naturale (perfino in Giappone, ho dichiarato che il sottoscritto sparirà e che il «montismo» non esiste!). Ma ritengo che ciò non debba essere visto come un rischio.

Le forze politiche sono impegnate in una profonda riflessione al loro interno e, in dialogo tra loro, lavorano a importanti riforme per rendere il sistema politico e istituzionale meno pesante e più funzionale.

Ho anche espresso la convinzione che il comportamento delle forze politiche dopo questo periodo, del quale le maggiori di esse sono comunque protagoniste decisive nel sostenere il governo e nell'orientarne le scelte, non sarà quello di prima. Infatti, stiamo constatando - anche i partiti - che gli italiani sono più consapevoli di quanto si ritenesse, sono pronti a esprimere consenso a chi si sforzi di spiegare la reale situazione del Paese e chieda loro di contribuire a migliorarla.

«La mia fiduciosa speranza - ho detto a Tokyo - è che questo sia un anno di trasformazione per il Paese, non solo sul fronte del consolidamento di bilancio, per la crescita e per l'occupazione, ma anche perché i partiti politici stanno vedendo che gli italiani sono molto più maturi di quello che pensavamo: la gente sembra apprezzare un modo moderato e non gridato di affrontare i problemi». A sostegno di questa tesi, fiduciosa nella politica e indispensabile per dare fiducia nell'Italia a chi deve aiutarci con gli investimenti, a offrire lavoro ai nostri giovani, ho ricordato che, per quel che valgono, i sondaggi sembrano finora rivelare un buon consenso al governo, che pure è costretto a scelte finora considerate impopolari.

In questo modo mi sto impegnando per presentare, a una parte sempre più decisiva dell'economia globale, un'Italia che si sta trasformando, grazie all'impegno di politici, «tecnici» e, soprattutto, cittadini. Trasformazione che proseguirà anche dopo il ritorno a un assetto più normale della vita politica.

Mario Monti

30 marzo 2012 | 8:03© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_marzo_30/monti-lettera-meriti-partiti_8d600a74-7a27-11e1-aa2f-fa6a0a9a2b72.shtml


Titolo: MARIO MONTI. - Monti tende la mano ai partiti ...
Inserito da: Admin - Marzo 30, 2012, 06:09:34 pm
le mie parole travisate, dopo i tecnici tornerà un Governo politico

30 marzo 2012

Mario Monti si dice «rammaricato» per le polemiche suscitate dalle sue parole pronunciate a Tokyo sui partiti e il consenso, quelle nelle quali diceva di avere la fiducia degli italiani, contrariamente ai politici. In una lettera al Corriere della Sera il premier sostiene che il montismo «non esiste», e dopo il voto, dice, tornerà a governare un esecutivo politico.
Il presidente del Consiglio oggi continuerà il suo road show in Cina, prima tappa a Pechino e poi al Boao Forum for Asia nell'isola di Hainan, con l'obiettivo di convincere le istituzioni a investire nel nostro Paese.

La politica e gli italiani
Quanto alla politica in questi mesi sta mostrando «senso di responsabilità» così come gli italiani, che sono «maturi» e anche «più consapevoli di quanto si ritenesse» della necessità di fare adesso dei sacrifici. Mario Monti, ancora impegnato nel tour in Asia, sottolinea come all'estero «comincia a diffondersi l'apprezzamento per ciò che il nostro Paese ha saputo fare in questi mesi» ma «restano una riserva, una percezione errata, un forte dubbio» su tempi e modi della riforma del mercato del lavoro e sul fatto che «il nuovo corso possa essere abbandonato quando, dopo le elezioni parlamentari, torneranno governi politici».

Sulla riforma del lavoro
Il premier si dice «molto rammaricato» delle reazioni alle sue frasi sul consenso di esecutivo e partiti prese «fuori dal contesto» perchè l'intento era di sottolineare che «pur in una fase difficile le forze politiche italiane si dimostrano vitali e capaci di guardare all'interesse del Paese». Però gli investitori stranieri, al momento, hanno da un lato la «riserva» appunto sulla tenuta della riforma del lavoro («con quali tempi sarà approvata? La sua portata riformatrice verrà mantenuta o diluita?») e dall'altra il «forte dubbio» sul ritorno dei partiti. Hanno poi «la percezione errata che porta ad attribuire sostanzialmente al governo (tecnico) il merito dei rapidi cambiamenti in corso». Finchè «non verranno dissipati - aggiunge il premier - la fase attuale verrà considerata come una interessante parentesi» ma le imprese «resteranno riluttanti a considerare il nostro Paese un luogo conveniente nel quale investire e creare occupazione».

Ma gli argomenti che il premier ha portato a Tokyo mettono in evidenza come l'aver imboccato la via delle riforme «si deve in larga parte al senso di responsabilità delle forze politiche» che «hanno saputo dare priorità in una fase di emergenza all'interesse generale del Paese». E «lo si deve anche alla grande maturità degli italiani, che hanno mostrato di comprendere che vale la pena di sopportare sacrifici rilevanti purchè distribuiti con equità, per evitare il declino dell'Italia, o peggio, una sorte simile a quella della Grecia».

Infine il ritorno dei politici «non deve essere visto come un rischio» perchè «le forze politiche sono impegnate in una profonda riflessione al loro interno» e «in dialogo tra loro lavorano a importanti riforme per rendere il sistema politico e istituzionale meno pesante e più funzionale». La «trasformazione» del Paese, conclude Monti, «proseguirà anche dopo il ritorno a un assetto più normale della vita politica».


Il Sole 24 ORE - Notizie (1 di 5 articoli)

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Titolo: MARIO MONTI. - Lavoro, Monti spiega la riforma ai cinesi "Concilia flessibilità
Inserito da: Admin - Aprile 02, 2012, 05:05:30 pm
Boao

Lavoro, Monti spiega la riforma ai cinesi "Concilia flessibilità e sicurezza"

Il premier interviene al Forum for Asia, spiega le scelte anticrisi dell'Ue e le strategie del governo: "L'Eurocrisi è passata anche grazie all'Italia. L'interesse degli investitori cinesi sarà uno degli indicatori del nostro successo"


BOAO (CINA) - "Sono volato in Asia per chiedervi di rilassarvi un po' circa la crisi dell'Eurozona" che è "superata", anche grazie al "più solido sentiero imboccato dall'Italia". Lo ha detto il premier Mario Monti concludendo l'intervento al 'Forum for Asia' a Boao, una sorta di Davos d'Oriente.

Davanti a una platea di oltre duemila delegati, Monti ha fatto una lunga analisi della crisi. Ha ricordato la "preoccupazione" internazionale per la crisi dell'Eurozona e l'attenzione con cui si osservava il suo governo, visto con un "misto di "apprensione e speranza", perchè l'Italia "era osservata come una possibile fiamma nell'incendio" della zona euro, nonostante la situazione dei "fondamentali economici" fosse "sostanzialmente solida" anche a novembre.

Monti ha quindi ricordato le riforme strutturali, il consolidamento di bilancio, le liberalizzazioni, la riforma delle pensioni e quella del lavoro. Parlando di "sostegno inusuale e non convenzionale da parte dei partiti e di un largo sostegno della pubblica opinione". Ha quindi riferito quanto avvenuto a livello europeo, "Abbiamo lavorato duro specialmente verso la Germania per un innalzamento e rafforzamento dei firewall' contro il contagio. "Siamo stati molto tedeschi nell'applicazione della disciplina di bilancio - ha detto - , ma eravamo più vicini alle preoccupazioni di Stati Uniti, Asia e Fmi nel chiedere con urgenza all'Europa di agire collettivamente per meglio equipaggiarsi contro le crisi finanziarie".

E alla fine, grazie al "passo credibile" dal punto di vista del consolidamento di bilancio, "i tassi di interesse hanno cominciato a scendere" e con essi lo spread. Monti ha detto che il governo ha iniziato quindi a lavorare per la crescita puntando a riforme strutturali. Tra queste la riforma del lavoro "mirata a modernizzare la rete di sicurezza sociale per i lavoratori" e che "aumenta sensibilmente la flessibilità per le aziende nella gestione della forza lavoro. Questa riforma attende ancora di essere approvata dal parlamento e spero che ciò avvenga rapidamente".

Monti ha concluso con una rassicurazione, tesa a far tornare gli investimenti asiatici in Europa e Italia: "Abbiamo due indicatori per verificare il successo della nostra politica uno è certamente lo spread, l'altro è quanto saranno interessate le imprese cinesi, finanziarie e industriali, all'Italia".

(02 aprile 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/04/02/news/monti_eurocrisi_passata_grazie_a_italia-32603451/


Titolo: MONTI
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2012, 10:09:08 am
Politica

10/07/2012 - IL CASO

Monti: non governerò dopo il 2013

Bersani: torniamo un Paese normale

Napolitano: ma le forze politiche devono procedere con il rigore

Roma

Mario Monti si chiama fuori: dopo il 2013 nessun altra «esperienza di governo», tecnico o politico che sia, ma, come detto altre volte, il ritorno all'accademia e un ruolo in Parlamento come senatore a vita. Il presidente del consiglio, dopo giorni di voci rincorse e amplificate nei palazzi della politica, fa chiarezza sul suo futuro. Ma non abbastanza da stoppare tra i partiti ipotesi e suggestioni su governi di larghe intese. Scenari che non piacciono affatto a Pier Luigi Bersani per il quale dopo i tecnici tocca alla politica e «ad un confronto elettorale che è la democrazia».

Tra riforme elettorali, che faticano a trovare forma, e provvedimenti economici difficili da far digerire agli elettori, i partiti cercano la strada per il 2013, quando i tecnici lasceranno la palla ai politici. Ma la strada per il risanamento dell'Italia e l'uscita dalla crisi è ancora lunga tant'è che oggi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è detto «convinto», e ha auspicato, che «i partiti sono determinati a dare un conseguente sviluppo, anche dopo le elezioni del 2013, a politiche di maggiore integrazione» contro il debito e la crescita. L'agenda Monti «anche dopo il 2013» è necessaria anche per un gruppo di deputati Pd che chiedono che «obiettivi e principi ispiratori del governo Monti possano travalicare i limiti temporali di questa legislatura e permeare di sé anche la prossima». Parole che ipotizzano un Monti bis ed il ritorno della `strana maggioranza´ Pdl-Pd-Udc. Che, però, non sono affatto piaciute al segretario Pd, più che mai convinto che con l'elezioni il testimone deve tornare alla politica e, negli auspici, al Pd. «Non mi occupo di problemi metafisici ma dei problemi sul tappeto», taglia corto Bersani aggiungendo che all'assemblea di sabato prossimo del partito parla e chiude lui, come a dire che tocca a lui, e non ad altri, indicare il programma post 2013 dei democratici.

Se Bersani non ha alcuna intenzione di «rinunciare allo schema democratico» delle elezioni e dell'alternanza, più cauto sembra l'ex premier Silvio Berlusconi che, al momento, in attesa di capire come evolverà il Pdl, non esclude alcuno scenario. Ottica possibilista che Maria Stella Gelmini fa sua: «Saranno gli elettori a decidere con il loro voto se c'è una maggioranza che può governare. Un governo di larghe intese nasce quando, dopo le elezioni, si verifica che non ci sono i numeri per costruire una maggioranza politica». Elezioni o larghe intese che siano, sembra ormai chiaro, però, che Monti non sarà della partita. «Escludo di considerare una esperienza di governo - mette in chiaro al termine dell'Ecofin - che vada oltre la scadenza delle prossime elezioni. Naturalmente sono, e resterò anche dopo di allora, membro del Parlamento in quanto senatore a vita».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/461948/


Titolo: BERSANI pensi a CAMUSSO, VENDOLA, FASSINA per il nostro futuro? Poveri noi!
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2012, 10:12:30 am
DOPO L'ECOFIN

Monti: «Salvare la moneta unica Serve vigilanza bancaria unificata»

Il premier a Bruxelles dopo l'Ecofin: «Arduo pensare che l'Italia non abbia bisogno di aiuti. Ma non governerò dopo il 2012»


Dall'Eurogruppo di lunedì e dall'Ecofin «è arrivato un importante segnale per i cittadini e per i mercati». Lo ha detto il premier Mario Monti, a Bruxelles dopo l'incontro dei ministri dell'Economia e delle Finanze dell'Europa a 27. La crisi «ha evidenziato la vulnerabilità del sistema bancario in Europa, con conseguenze per l'intera economia». E ha ribadito «l'urgenza di un sistema di vigilanza bancaria unificata»

SALVARE L'EURO -C'è la «volontà di fare tutto ciò che è necessario per salvaguardare la nostra moneta e far progredire il progetto politico europeo» ha sottolineato Monti. Che ha spiegato di essere «convinto dell'importanza delle proposte delineate nel "rapporto dei quattro"». Ovvero nella relazione di Draghi, Barroso, Van Rompuy e Juncker. «Lo spread non è una torta amara che si possa ripartire a fette e che possa essere attribuita a una dichiarazione, a un'incertezza, a un ritardo nell'adottare una misura».

UNA GENUINA INTEGRAZIONE ECONOMICA - «Questo processo dovrà condurci verso il traguardo di una vera e propria - genuina come dice il testo inglese - unione economica e monetaria. L'aver posto questo obiettivo è di per sè un importante segnale per i cittadini e i mercati sulla volontà di fare tutto ciò che è necessario per salvaguardare la nostra moneta e far progredire il progetto politico europeo». Del resto, ha osservato Monti, «più si va a fondo per risolvere i problemi più gravi e immediati e più si vede che è difficile farlo senza muovere un passo verso l'unione economica e monetaria».

«NON GOVERNERO' DOPO IL 2013» - «L'Italia - ha proseguito Monti - ha ritenuto le raccomandazioni indirizzate al nostro Paese dure, come dura è la situazione della politica economica che stiamo gestendo, ma ci siamo riconosciuti in quelle raccomandazioni». Ed è arduo dire che: «l'Italia non avrà bisogno di aiuti». Il premier si è poi soffermato sulle prospettive politiche del suo esecutivo: «escludo di considerare una mia candidatura dopo il 2013».

Redazione Online

10 luglio 2012 | 20:18© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/12_luglio_10/monti-discorso-diretta-ecofin_12acdb84-ca92-11e1-bea1-faca1801aa9d.shtml


Titolo: Monti: "Iniziato duro percorso di guerra"
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2012, 11:12:31 pm
CRISI

Monti: "Iniziato duro percorso di guerra"

Visco: "Italia ancora in recessione, Pil -2%"

Il presidente del Consiglio e il governatore di Bankitalia intervengono durante l'assemblea annuale dell'Abi: "Dobbiamo combattere i pregiudizi contro l'Italia".

Mussari elogia la spending review, ma chiede riforme urgenti: "La tassazione è troppo alta"


MILANO - L'Italia ha intrapreso "un percorso di guerra durissimo". Di più: "Siamo all'interno di un tunnel. I primi risultati arriveranno nel 2013. Il mio successore vedrà risultati". Per il presidente del Consiglio, Mario Monti, intervenuto all'assemblea annuale dell'Abi, si tratta di "una guerra contro i diffusi pregiudizi sull'italia, contro le ciniche sottovalutazioni di noi stessi, una guerra contro le eredità, cioè il grande debito pubblico, contro gli effetti inerziali di decisioni del passato e contro vizi strutturali della nostra economia".

In questo percorso, il punto più basso, secondo Monti, è stato toccato lo scorso anno, al G20 di Cannes 1, dove Berlusconi "fu sottoposto a una pressione sgradevolissima per lui e per il paese, prossima all'umiliazione", in quello che era soprattutto "un tentativo di far cedere all'Italia parte della sua sovranità". "L'Italia - ha continuato Monti - è un paese che è tra i più pronti alla condivisione di pezzi di sovranità con altri, ma credo che avendo avuto una storia di dominazione coloniale diversa, il paese sia riluttante a una cessione di sovranità su base secca".

La strada per uscire dal tunnel, però, è ancora lunga e a certificare la difficoltà del percorso italiano è intervenuto anche il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, che ha gelato la platea: "L'economia italiana è ancora in recessione e nella media di quest'anno il Pil diminuirebbe di poco meno di due punti percentuali". Secondo il governatore, "al peggioramento dello scenario concorrono l'aumento del costo e il deterioramento della disponibilità di credito indotti dalla crisi del debito sovrano". E per questo "l'Italia deve proseguire nell'azione intrapresa sul duplice fronte della finanza pubblica e delle riforme strutturali".

Anche per questo Monti ha rivendicato i passi in avanti in settori "nei quali la tradizione italiana era di debolezza e non di forza; in particolare è stato fatto un rilevantissimo progresso nel disavanzo pubblico, nel percorso verso il pareggio di bilancio nel 2013". Il presidente del Consiglio è quindi tornato a parlare della "fase drammatica" che sta attraversando il Paese, avvertendo che "la drammaticità non dovrebbe uscire troppo rapidamente dalla nostra memoria". E in questo senso ha voluto rimarcare il suo pensiero: "Esercizi profondi di concertazione in passato" con le parti sociali "hanno generato i mali contro cui noi combattiamo e a causa dei quali i nostri figli e nipoti non trovano facilmente lavoro".

Secca e immediata è arrivata la replica del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso: "Credo che non sappia di cosa sta parlando. Vorrei ricordargli che l'ultima concertazione nel nostro Paese è quella del 1993. Un accordo che salvò il Paese dalla bancarotta, con una riforma delle pensioni equa, al contrario di quella fatta dal suo Governo". Di più: "Le lezioni di democrazia sono sempre utili. Le rappresentanze sociali sono elette e misurate sulla base del consenso. Prendere lezioni di democrazia da chi è cooptato e non si è misurato col voto è un pò imbarazzante per il futuro democratico del Paese. Farlo nella platea delle banche e degli interessi bancari nella crisi meriterebbe una riflessione".

Abi. Spending review, tasse e unione bancaria. Da qui è partito invece l'intervento a tutto campo di Giuseppe Mussari, presidente dell'Associazione bancaria italiana. "L'Abi - ha detto Mussari - plaude alla spending review approvata dal governo", ma le risorse derivanti dai risparmi "devono essere destinate alla riduzione della pressione fiscale che ha raggiunto livelli insostenibili per imprese e famiglie". Secondo Mussari, è necessaria una riforma fiscale: non "epocale", ma servono "alcuni fondamentali tasselli che consentiranno di risolvere questioni importanti e che restituiranno competitività alle imprese operanti in Italia".

"La reazione di Mussari coglie un giusto metodo di governo - ha commentato Monti - . Si può fare crescita senza spendere, ma per fare questo occorrono riforme. "Se c'è un'innovazione che il nostro governo sta apportando è nel metodo di governo dell'economia - continua Monti -: le parti sociali devono avere ogni occasione per il proprio punto di vista ma pensiamo che sulla gran parte delle materie in quanto coinvolgono interessi pubblici le parti sociali devono restare parti, vitali e importanti, ma non soggetti nei confronti dei quali il potere pubblico attui una sorta di outsourcing delle responsabilità".

Banche. Tornado alla banche, Mussari sottolinea come "in media, negli ultimi dieci anni" abbiano "sopportato quasi 15 punti di pressione fiscale in più rispetto all'Unione europea. A tale livello - ha detto il presidente dell'Abi - contribuiscono in misura rilevante la parziale indeducibilità degli interessi passivi e delle rettifiche e perdite sui crediti. Responsabilmente le banche italiane non hanno più sollevato la questione fiscale, ma la penalizzazione si traduce in una minore capacità di capitalizzarsi andando ad incidere sia sulla redditività del capitale investito, sia sulla capacità di generare autofinanziamento, sia sul costo del credito erogato".

Unione bancaria. Anche per questo le banche italiane dicono sì all'unione bancaria che vuol dire "regole comuni applicate e sanzionate in modo coerente, regole comuni per la gestione delle crisi bancarie e schema di garanzia dei depositi europeo". Nel suo intervento Mussari definisce "fondamentale" il tema dell'unione bancaria e sottolinea come sia necessario "dare prontamente attuazione" alle decisioni prese dal Consiglio europeo di fine giugno.

Debito pubblico. L'Italia "non deve deflettere dalla severa azione di risanamento" in corso: il rigore di bilancio "è una conditio sine qua non e non esiste un modello di crescita basato sul debito". Ne è convinto il presidente dell'Abi secondo cui le riforme in campo "sono quelle giuste e vanno rafforzate: il governo ha fatto molto, in condizioni difficili ma molto vi è ancora da fare". E' vero comunque che queste riforme hanno consentito di migliorare "all'estero l'idea dell'Italia e della sua stabilità"; ciononostante, occorre fare di più "per convincere i mercati di una cara verità: il debito pubblico italiano è sicuro e l'Italia onorerà ogni suo impegno".

Credito. Mussari torna a chiedere anche lo scioglimento del nodo della valorizzazione delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in mano soprattutto alle banche. Dalla valorizzazione delle quote, dice il presidente dell'Abi, "trarrebbero beneficio i patrimoni delle banche, aumenterebbe la nostra capacità di erogare credito. Si porrebbe fine ad illazioni tanto infondate quanto pretestuose". Mussari chiede inoltre di rimuovere una previsione, mai attuata, contenuta nella legge sul risparmio del 2005: quella del trasferimento delle quote delle banche nel capitale di Banca d'Italia a enti pubblici. E sempre in tema di credito l'Abi segnala che dalla moratoria sottoscritta a febbraio è scaturita una liquidità aggiuntiva per le Pmi pari a 440 milioni di euro: "Nei soli due primi mesi di piena operatività della nuova moratoria - dice Mussari - sono state accolte oltre 10mila domande di sospensione per un ammontare del debito residuo pari a 3,6 miliardi di euro".

(11 luglio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/finanza/2012/07/11/news/abi_mussari_tasse-38868066/


Titolo: MONTI
Inserito da: Admin - Luglio 31, 2012, 04:53:14 pm
MONTI E LA CRISI

Monti: «La fine del tunnel si avvicina»

Il premier: «La Germania resta un riferimento essenziale»


«È un tunnel, ma la fine sta cominciando a illuminarsi, e noi e il resto d'Europa ci stiamo avvicinando alla fine del tunnel». Lo ha detto il premier Mario Monti, intervenendo telefonicamente a «Radio Anch'io», su Rai Radiouno, prima di partire per Parigi, dove inizierà un giro di incontri con i leader europei. Il presidente del consiglio ha parlato anche della legge elettorale, spronando i partiti a «evitare la rissa permanente». «Lo scenario peggiore, - ha spiegato - quello che voglio esorcizzare, sarebbe quello di elezioni alla scadenza naturale, e quindi non anticipate, ma a cui si arrivasse senza una riforma elettorale e in un clima di disordinata rissa tra i partiti». Una combinazione che darebbe ai cittadini «la sensazione, forse fondata - ha precisato il premier - che la politica ha fatto grandi sforzi per sostenere in Parlamento questo governo, che ha preso decisioni impopolari, ma non ha fatto i compiti in casa propria riformando se stessa. E i mercati internazionali - rileva - sarebbero legittimati a nutrire scetticismo su quello che viene dopo questo governo».

SPENDING REVIEW - Monti insomma segue la linea del Colle e avverte che quello «scenario peggiore» sarebbe appunto arrivare alle elezioni renza la riforma delle legge elettorale. Sul lavoro dell'esecutivo, il presidente del consiglio ha sottolineato: «Non è una manovra - riferendosi alla spending review - e non sono tagli lineari fatti in modo cieco. Il governo ha fatto un'analisi di dettaglio, sulla base del lavoro del commissario Bondi, e si sono individuati gli eccessi di spesa».

Redazione Online

31 luglio 2012 | 9:28© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/12_luglio_31/monti-tunnel-crisi-germania_c8bf297a-dade-11e1-8089-ce29fc6fe838.shtml


Titolo: Monti va all'attacco: «con Berlusconi spread a 1.200»
Inserito da: Admin - Agosto 07, 2012, 04:47:34 pm
L'elogio del quotidiano, mentre Monti va all'attacco: «con Berlusconi spread a 1.200»

Wsj con Monti: «Parole dure per salvare l'Euro»

E il premier attacca il precedente governo

Secondo il quotidiano Monti si trova però «in un circolo vizioso» con i partiti che «minacciano di toglierli l'appoggio»


«Se il precedente governo fosse ancora in carica, ora lo spread italiano sarebbe a 1200 o qualcosa di simile»: lo ha detto il premier Mario Monti in un'intervista rilasciata il mese scorso al Wall Street Journal e pubblicata sul sito. Fonti di Palazzo Chigi, interpellate in merito all'intervista del premier Monti al Wsj, precisano che comunque non c'è alcuna intenzione polemica nei confronti del passato esecutivo e che la stima di uno spread a 1200 viene da una proiezione degli effetti della speculazione sul nostro paese se non si fossero dati segni di discontinuità con il passato.

LO SPREAD - È infatti noto - spiegano - che lo spread in sei mesi era salito dai 150 punti base di maggio ai 550 di novembre. Le stesse fonti ricordano che anche per tale motivo si ricorse al governo tecnico, che potesse raccogliere consensi parlamentari tali da poter mettere mano a riforme fondamentali per il paese oltre che per far approvare misure anche impopolari ma non più procrastinabili.

LA MENTALITA' - Il premier ha poi aggiunto: «Spero che il mio governo possa aiutare gli italiani a modificare la loro mentalità». «Questo non vuol dire - ha aggiunto - che io voglio sostituire la mentalità degli italiani con quella dei tedeschi. Ma ci sono alcuni aspetti dei comportamenti italiani, come per esempio la solidarietà spinta fino a livello di collusione, che sono alla radice di cose come l'evasione fiscale, che il mio governo sta combattendo con impegno e strumenti senza precedenti».

GLI ELOGI - E così a pochi giorni dalla bufera scatenata da un'intervista a Der Spiegel, per Mario Monti è il momento di incassare un po' di sostegno. L'elogio arriva in un articolo «The italian job: Premier Talks Tough to Save Euro»: «Il compito dell'Italia: il premier parla duro nel tentativo di salvare l'euro», spiega il quotidiano che dedica due pagine al presidente del Consiglio.

L'ANOMALIA- Secondo il quotidiano finanziario americano, il professore è «un'anomalia in Europa: un leader non eletto chiamato a realizzare impopolari cambiamenti nei cui confronti i politici del Paese erano riluttanti. Monti fa affidamento sulla tolleranza dei principali partiti politici italiani e non ha un suo potere di base, ad eccezione della sua credibilità personale».

«CIRCOLO VIZIOSO»- «La sua natura disciplinata è più tedesca che italiana», prosegue il Wsj, mentre il suo senso dell'umorismo «è decisamente più britannico». Da questa estate il presidente del Consiglio italiano si trova però «in un circolo vizioso», sottolinea il panegirico del quotidiano, a firma Alessandra Galloni e Marcus Walker, visto «che più propone misure impopolari, più i partiti politici minacciano di ritirare l'appoggio al suo governo». Per il Wall Street Journal, «lo spettro dell'instabilità politica ha scosso i mercati e ha spinto ulteriormente verso l'alto i costi dell'indebitamento dell'Italia. A Monti serviva più aiuto dall'Europa per portare l'Italia fuori dal mirino dei mercati, ma nessuno è stato disponibile. La Germania ha invece chiesto riforme interne più dure».

Redazione Online

7 agosto 2012 | 15:51© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/12_agosto_07/wsj-elogio-monti-euro_a93ff362-e052-11e1-8d28-fa97424fa7f2.shtml


Titolo: MONTI al salone del tessile: ho contribuito alla crisi. ...
Inserito da: Admin - Settembre 11, 2012, 10:16:29 pm
Monti al salone del tessile: ho contribuito alla crisi. Era l'unico modo per dare un futuro all'Italia.

Squinzi: serve piano nazionale per promozione all'estero

11 settembre 2012

«Quando leggo titoli che dicono "Monti ha contribuito alla recessione" io rispondo "Certo": solo uno stolto può pensare di incidere su elementi strutturali che pesano da decenni senza provocare, almeno nel breve periodo, un rallentamento dovuto al calo della domanda». È la provocazione lanciata dal presidente del consiglio, Mario Monti, nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione della XV edizione di Milano Unica, il salone italiano del Tessile. «Solo in questo modo - ha aggiunto - si può avere speranza di avere più in là sanate queste situazioni» per favorire una crescita sostenibile e duratura.

La spending review è «pesantissima»
«Il governo ha affrontato nodi essenziali che per anni erano stati trascurati o in cui si era intervenuti in modo parziale e non risolutivamente efficace», ha continuato Monti. Il premier cita la riforma delle pensioni e la spending review fatta «con una difficilissima opera di incisioni chirurgiche delicatissime da fare e pesantissime da ricevere, come ci stiamo accorgendo». Non solo, i tagli vanno ad «intaccare tessuti in cui le commistioni tra politica e amministrazione avevano nei decenni creato spesa pubblica e opacità».
video

Monti: ridurre il costo del lavoro per aumentare la produttività; necessario sforzo congiunto di imprese e sindacati

Imprese e sindacati devono fare di più
«Incoraggeremo le parti sociali a procedere le une con le altre e ci aspettiamo, così come sta facendo il governo, direi esigiamo a nome del paese e dei cittadini che imprese e sindacati riescano a fare qualcosa di più con il loro diretto impegno».

La casta siamo noi
«La casta siamo tutti noi cittadini italiani che ci siamo abituati a dare prevalenza più ai particolari che al generale e che poi ci lamentiamo se il generale funziona male».

Oggi si discuterà del cuneo fiscale con i sindacati
«Il cuneo fiscale sarà sul tavolo di oggi con i leader sindacali», a Palazzo Chigi. «È importante guardare bene dentro quel cuneo se vogliamo dare più competitività alle imprese italiane».

Squinzi: l'Italia deve rimanere un grande paese
«L'Italia é grande paese e merita di continuare ad essere tale». Così il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, nell'intervento con cui ha aperto il salone. Ribadita la «sfida della crescita, ripartendo dalla politica industriale che sta alla radice delle iniziative da percorrere». L'attuale recessione, ha sottolineato invece il presidente del Consiglio, è una tappa del percorso del risanamento a lungo termine avviato dal Governo.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-09-11/squinzi-confindustria-italia-grande-121726.shtml?uuid=AbQGdqbG


Titolo: Monti incontra i sindacati a Palazzo Chigi "Fare di più, momento carico di ...
Inserito da: Admin - Settembre 11, 2012, 10:17:42 pm
CRISI

Monti incontra i sindacati a Palazzo Chigi "Fare di più, momento carico di tensione"

Il presidente del Consiglio in mattinata esorta le parti sociali ad affrontare il tema della produttività, poi riceve i segretari di Cgil,Cisl e Uil ed esprime le sue preoccupazioni. Ma ammette: dietro i pessimi risultati del Pil ci sono anche le recenti misure adottate dal governo.
La Cgil avverte: "Produttività non dipende solo da noi"

ROMA - "Ci vediamo in un momento carico di tensioni e di preoccupazioni, vorremmo ragionare con voi e con il vostro contributo di produttività come uno degli elementi essenziali della crescita e dell'occupazione". Secondo quanto riferiscono alcuni partecipanti al confronto, Mario Monti usa toni concilianti nel corso del vertice pomeridiano a Palazzo Chigi con i sindacati. Recuperare la competitività delle imprese, avrebbe detto ancora, è ora una sfida del paese da prendere in considerazione, forse ancora più importante dello spread.

Superati dai Pigs. Non a caso il Professore avrebbe fatto notare che "mentre la Grecia, la Spagna, l'Irlanda e il Portogallo hanno aumentato la produttività è diminuito il costo unitario del lavoro invertendo il trend negativo, l'Italia non ha migliorato la produttività e ha peggiorato il costo del lavoro".

L'accordo disatteso. Più fermo il presidente del Consiglio lo era stato in mattinata, quando dalla Fiera del tessile di Milano non aveva risparmiato toni critici nei confronti delle parti sociali, industriali compresi. "Esigiamo nel nome dell'interesse generale - aveva sottolineato - che le imprese e i sindacati riescano a fare qualcosa di più. Serve uno sforzo congiunto delle parti sociali che prevalga sui particolarismi". "Ci chiediamo - ha proseguito - se siano stati fatti tutti gli sforzi necessari per mettere in atto gli accordi del 28 giugno 2011" siglati tra
l'ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e i sindacati. Il presidente del Consiglio ha anche sottolineato la necessità non di "moderazione ma di modernizzazione" dei rapporti tra imprese e sindacati, come avviene in altri Paesi europei.

Il dossier nelle mani di Passera. Concetti che avrebbe poi ribadito anche nel pomeriggio al tavolo con i rappresentanti sindacali. Per il premier, "il ruolo del governo è quello di cogliere il problema e farlo cogliere alle parti sociali e all'opinione pubblica. Facilitare le due parti a confrontarsi su questo tema e seguire le modalità". Monti nel corso dell'incontro a Palazzo Chigi aveva annunciato infine che "data la materia, sarà il ministro Passera ad occuparsi di questo confronto, come è accaduto con il ministro Fornero per il mercato del lavoro. "Ci sono margini per mettere più soldi in tasca alla gente", avrebbe sostenuto il ministro dello Sviluppo economico, spiegando però che "senza aumenti di produttività, aumenti salariali saranno impossibili".

Camusso respinge le accuse. Alle sollecitazioni del premier, ha replicato Susanna Camusso. "La crescita non può dipendere da quello che le parti sociali possono fare in termini di produttività aziendale", ha osservato la segretaria della Cgil. Occorrono piuttosto "nuove norme sulla legalità e sulla corruzione che incidono pure sulla produttività". Posizione condivisa dal responsabile economico del Pd. "Tutti dobbiamo fare il massimo possibile, ma il governo non può delegare lo sviluppo alle parti sociali, ci deve mettere del suo", avverte Stefano Fassina.

Bonanni disponibile. Più conciliante invece il leader della Cisl Raffaele Bonanni. "Siamo disposti a lavorare insieme sugli elementi che ostacolano la maggiore produttività per alzare i salari", oggi "troppo bassi", ha detto. "Bisogna migliorare la produttività con un gioco forte tra potere centrale e locale e parti sociali" e "la responsabilità di ciascuno".

L'ammissione di Monti. Ma a colpire nell'intervento alla fiera milanese del premier era stato anche un altro passaggio: "Le nostre decisioni hanno contribuito alla recessione", aveva ammesso, chiarendo poco dopo il senso della sua affermazione. Una recessione a breve termine, come quella fotografata impietosamente dai dati economici diffusi ieri 1, ha osservato, è il prezzo inevitabile da pagare per mettere in piedi una opera di "risanamento duraturo".

"Io penso - ha spiegato il Professore - che in parte le nostre decisioni abbiano contribuito ad aggravare la situazione congiunturale. E' ovvio, solo uno stolto può pensare di incidere su un male strutturale, nato da decenni, senza determinare un aggravamento nel breve periodo che deriva da una riduzione della domanda interna". Monti è "convinto" che le parti sociali "se ne rendano conto, solo così si può avere qualche speranza di aver lavorato per un risanamento durevole".

Siamo tutti casta. Monti aveva poi avvertito che "casta siamo tutti noi cittadini italiani che continuiamo a dare prevalenza più al particolare che al generale e poi ci lamentiamo che il generale funziona male".

(11 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2012/09/11/news/monti_recessione_a_breve_per_risanamento_duraturio-42334588/?ref=HREA-1       



Titolo: MONTI: "Servizio sanitario nazionale a rischio"
Inserito da: Admin - Novembre 27, 2012, 06:03:42 pm
Monti: "Servizio sanitario nazionale a rischio"

ll presidente del Consiglio lancia l'allarme: "Potremmo non riuscire più a garantirlo se non si trovano nuove forme di finanziamento"


ROMA - "Il nostro Sistema sanitario nazionale, di cui andiamo fieri, potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove modalità di finanziamento". Lo dice Mario Monti intervenendo in collegamento a Palermo durante l'inaugurazione di un centro biomedico della fondazione Ri.Med. E, rammaricandosi di non aver potuto partecipare "dal vivo", il presidente del Consiglio ha aggiunto: "Non sono tante le occasioni per me e per i ministri per guardare l'oggi con conforto e il domani con grande speranza, anche per questo mi dispiace non essere stato lì con voi".

Vedere la luce. "Il momento è difficile - ha premesso il premier - la crisi ha colpito tutti e ha ci ha impartito lezioni. E il comparto medico non è stato esente né immune" dalla crisi. "Il governo - ha continuato Monti - è però un vostro alleato prezioso". L'obiettivo, adesso, è quello di rivedere la luce "dopo una fase in cui abbiamo rischiato di essere travolti dall'emergenza finanziaria". Secondo il professore il nostro Paese deve dunque al più presto "andare in avanti verso la costruzione del proprio futuro, che non è scindibile dal futuro della comunità internazionale".

Il merito per battere la mafia. Il presidente del Consiglio si è poi soffermato sulla valorizzazione della meritocrazia come antidoto contro la mentalità mafiosa. "L'iniziativa della Fondazione RiMed ha rilevanza internazionale - ha spiegato- in grado non solo, in ossequio al merito, di trattenere i migliori talenti italiani ma di attrarne". La mafia condiziona il futuro delle persone oneste, "ma la si vince affermando un modello alternativo che costituisca un ambiente sfavorevole alle logiche mafiose. Indispensabile in questo modello è il merito". Il merito, per Monti, "è l'esatta antitesi delle clientele, della raccomandazione e delle opacità  in cui prendono piede i germi della corruzione. Una rivoluzione culturale in cui le istituzioni devono essere parte attiva adottando comportamenti coerenti", ha spiegato il premier. "Chi crede nel merito - ha aggiunto - è più esigente nei confronti della scuola chiedendo insegnanti presenti e programmi aggiornati, chi crede nel merito non ha paura del confronto ma lo sollecita".

La ricerca crea occupazione. "La ricerca e l'innovazione nel campo delle scienze della vita sono i presupposti per un sentiero di crescita virtuoso, in grado di generare investimenti esteri, miglioramenti, e occupazione di qualità" ha poi sottolineato Monti.  Si tratta, ha detto il premier, di un "processo di sviluppo che tutti sottoscriverebbero come miglior lascito per le future generazioni".

(27 novembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/11/27/news/monti_servizio_sanitario-47544859/?ref=HRER1-1


Titolo: MONTI :
Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2012, 05:17:53 pm
politica

04/12/2012 - cerimonia sull’invecchiamento attivo

Monti: “Sanità da ripensare”

 Napolitano: “Patto fra generazioni”


Per il premier occorre “imparare a gestire il divenire del processo demografico in corso” Per il Capo dello Stato “serve un patto fra giovani e meno giovani foriero di un modello di sviluppo sostenibile per la costruzione di una società più giusta, più coesa e più inclusiva”

«La nostra sanità pubblica è chiamata a ripensarsi in vista di una rimodulazione e adattamenti di cui dobbiamo avere consapevolezza.
Dobbiamo imparare a gestire il divenire del processo demografico in corso in modo più efficiente»: lo afferma Mario Monti alla cerimonia
sull’invecchiamento attivo.  


Per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è in corso «Una grande sfida di solidarietà che intende superare particolarismi ed egoismi attraverso un patto fra le generazioni che sia foriero di un modello di sviluppo sostenibile per la costruzione di una società più giusta, più coesa e più inclusiva».  

Il presidente della Repubblica, per il tramite del Segretario generale della Presidenza della Repubblica, Donato Marra, in occasione della cerimonia di chiusura dell’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni, ha espresso l’apprezzamento per la manifestazione promossa dal Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi «che si inserisce tra le iniziative promosse nell’ambito dei programmi di Europa 2020 e che vedrà anche la presentazione della Carta nazionale predisposta su questi temi».
«Il processo di invecchiamento della popolazione registrato nei paesi occidentali, e in modo rilevante in Italia, induce ad una approfondita riflessione - prosegue il messaggio - sulle iniziative possibili per offrire agli anziani un sempre maggior grado di autonomia e di sicurezza nelle quotidiane scelte di vita, così evitando situazioni di emarginazione ed esclusione sociale e valorizzando il patrimonio di esperienza e di conoscenza maturato nel corso della loro vita. Come ha più volte sottolineato il Presidente Napolitano, l’attuale grave congiuntura economica impone un ulteriore impegno delle istituzioni e della collettività nel difendere e nel salvaguardare la vita e la dignità delle persone anziane, oggi ancor più impegnate a mantenere salda la tenuta sociale del Paese. Si tratta di una grande sfida di solidarietà che intende superare particolarismi ed egoismi attraverso un patto fra le generazioni che sia foriero di un modello di sviluppo sostenibile per la costruzione di una società più giusta, più coesa e più inclusiva», conclude

da - http://lastampa.it/2012/12/04/italia/politica/monti-sanita-da-ripensare-napolitano-patto-fra-generazioni-F9pl40bjiaEjtpDB2RgTQI/pagina.html


Titolo: Re: Monti: “Sanità da ripensare” Napolitano: “Patto fra generazioni”
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2012, 04:07:27 pm
politica
17/12/2012

Monti: “Servono persone preparate”

Messaggio agli studenti al Gr1

«Oggi bisogna essere consapevoli che ogni rinuncia è una perdita grave. Non possiamo e non dobbiamo permettercela, bisogna reagire, non dobbiamo essere rinunciatari neanche nelle circostanze più difficili. Abbiamo messo in sicurezza il paese nel 2012 e ora dobbiamo ripartire. Occorreranno sempre più persone preparate, serie, capaci di leggere il cambiamento e di saperlo guidare». Lo afferma il premier Mario Monti in un messaggio agli studenti trasmesso dal Gr1.

 

«Il governo che mi è stato affidato un po’ più di un anno fa - ha spiegato Monti - ha fatto proprio della questione giovanile una priorità e sono sicuro che chiunque verrà dopo di noi dovrà impegnarsi per rendere più efficiente e più moderno il sistema scolastico, le università e insieme a favorire l’accesso al mercato del lavoro. Sono convinto che se questo non verrà fatto, se non aprissimo per voi nuove possibilità di occupazione, nuove opportunità di affermazione sociale, la partita del futuro sarebbe persa non solo per voi ma per tutto il paese». 

 

Per Monti «Bisogna fare di più e meglio».«Per ripartire si potrebbe proprio cominciare da un investimento straordinario in capitale umano al quale concorrano tutte le forze del Paese e soprattutto le imprese, perché se lo Stato da solo non può risolvere ogni problema questo non significa che non possano riuscirci gli italiani nel loro insieme come paese, non solo come Stato, e soprattutto quelli più giovani, se sapremo affrontare uniti i problemi che abbiamo di fronte». 

 

«Avete certamente ragione quando affermate che bisogna fare di più e meglio, sono il primo a dire che non basta enunciare per voi la speranza ed esortarvi a coltivarla, occorre organizzare la speranza, stimolare una creatività più fresca, una fantasia più liberante, la gioia turbinosa dell’iniziativa, dobbiamo convincerci che per crescere occorre spalancare la finestra del futuro, progettare insieme, osare insieme, cambiare insieme», dice tra l’altro il premier. 

 

Mario Monti auspica poi che il 2013 «possa essere finalmente l’anno in cui l’Italia ricominci a vedere una concreta prospettiva di crescita, a guardare al futuro con speranza e non con timore, ad essere protagonista di una ripresa economica che ridia qualche certezza soprattutto a voi giovani che vedete sempre più avvicinarsi il tempo delle scelte e cercate un’occupazione stabile e dignitosa». «Nel 2012 l’Italia ha fatto uno sforzo straordinario proprio per porre le premesse di un 2013 e di anni successivi più capaci di soddisfare le aspirazioni che tutti abbiamo -spiega il presidente del Consiglio . I problemi che voi ragazzi vi ponete per il vostro futuro, sono gli stessi che si pongono per il futuro dell’Italia, perché un paese che non ascolta che non indirizza le nuove generazioni è un paese stanco e che difficilmente riuscirà a vincere le sfide alle quali è chiamato».

da - http://lastampa.it/2012/12/17/italia/politica/monti-servono-persone-preparate-18QJyFJI98fqoTVpqSISPL/pagina.html


Titolo: MONTI E a Bersani dice: il vero progressismo non è quello della Cgil
Inserito da: Admin - Dicembre 24, 2012, 07:01:22 pm
In economia Monti riparte da eguaglianza, mercato e crescita.

E a Bersani dice: il vero progressismo non è quello della Cgil

commento di Fabrizio Forquet con articoli di Dino Pesole e Emilia Patta

23 dicembre 2012

Un radicalismo riformista di centro per contrastare le nuove diseguaglianze senza frenare la crescita. È nella citazione dell'editoriale dell'Economist la chiave dell'agenda economica che Mario Monti propone al Paese. In quell'articolo si parla di «vero progressismo» in una chiave tipicamente liberale. La priorità si dice è l'attacco ai monopoli e alle barriere protettive, «che siano le grandi imprese di Stato in Cina o le grandi banche di Wall Street». Perché - dice l'Economist - non è possibile che l'uomo più ricco del mondo sia Carlos Slim, che ha accumulato il suo patrimonio nel settore protetto delle telecomunicazioni messicane.
Lotta alle posizioni di rendita, trasparenza, buon funzionamento del mercato, dunque, in primissimo piano. Un riformismo moderno, invoca Monti. E si capisce subito qual è il suo cruccio e il messaggio che vuole dare: la crescita economica può venire dalle riforme fatte da una politica che non si nasconde, che non si svende per farsi rieleggere, che non si mette sotto la protezione dei gruppi di interesse.

È anche un modo di rileggere questo anno di governo. L'aver dovuto fronteggiare l'emergenza finanziaria ha avuto un impatto inevitabilmente negativo sulla crescita, dice Monti. Ma certamente si poteva fare di più. Si poteva fare di più e meglio sulle liberalizzazioni, frenate in Parlamento e nell'attuazione dal peso delle lobby. Si poteva fare di più sulle semplificazioni. Si doveva, soprattutto, fare di più e meglio sul lavoro.
Eccolo il punto centrale. Qui l'obiettivo polemico è stato forte e chiaro: la Cgil e una certa sinistra che pensano di difendere il lavoro attraverso «un arroccamento nel passato su tutele che oggi in realtà penalizzano i lavoratori». L'auspicio di Monti è che quelle forze evolvano, «perché così danneggiano i lavoratori italiani».

Torna quindi il concetto di «vero progressismo». E sul lavoro Monti non potrebbe essere più chiaro nell'elencare le priorità: semplificazione delle leggi e delle regolamentazioni che ingessano il mondo del lavoro, superamento del dualismo tra lavoratori protetti e non protetti, spostamento della contrattazione verso i luoghi di lavoro collegando le retribuzioni alla produttività.

La vicinanza alle ricette di quel Pietro Ichino che rischia oggi l'emarginazione definitiva nell'ambito del Pd è evidente. Monti sembra quasi parlare a Bersani: il vero riformismo è su queste ricette, non in quelle della Cgil. Qui l'operazione di Monti si fa anche politica, perché è evidente la volontà di collaborare con il Pd dopo il voto (non con il Pdl di Silvio Berlusconi, costante obiettivo polemico della conferenza stampa), ma possibilmente un Pd depurato dai vincoli delle ideologie più di sinistra e da un rapporto asfissiante con la Cgil. Per un «vero progressismo», appunto.

Resta un dubbio: può questa battaglia di riformismo moderno contro le posizioni di rendita camminare sulle gambe di piccole forze politiche tradizionalmente vicine alla spesa pubblica indiscriminata e a un certo assistenzialismo clientelare al Sud?
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©RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-12-23/economia-monti-riparte-eguaglianza-151631.shtml?uuid=AbAYshEH&cmpid=nl_7%2Boggi_sole24ore_com


Titolo: MONTI & Agenda per l'Italia e l'Europa
Inserito da: Admin - Dicembre 29, 2012, 07:50:43 pm
   
"Ridurre tasse, più carico sui grandi patrimoni sì al salario minimo di sostentamento"

Venticinque pagine, con i "titoli" di ogni capitolo che il premier dimissionario affronta, definendo così la sua "Agenda per l'Italia e l'Europa".

Dal fisco, all'Europa la ricetta del professore



ROMA - "Cambiare l'Italia, riformare l'Europa". Con questo titolo il professore mette il suo programma sul web a disposizione delle forze politiche che vorranno farne il cardine della loro campagna elettorale e che il professore si dice pronto a guidare, "se richiesto". L'agenda consiste in 25 pagine di proposte centrate sull'idea di non disperdere i risultati ottenuti dal governo nei 13 mesi di vita e di proseguire sulla strada delle riforme strutturali.

Europa. E' il punto numero uno dell'agenda. Monti sostiene che bisogna costruire "un 'Europa piu' integrata e solidale, contro ogni populismo". Per il premier l'Italia "deve battersi per un'Europa più comunitaria e intergovernativa, più unita e non a più velocità ". Ma per contare di più in Europa "non serve battere i pugni sul tavolo". Bisogna guadagnarsi la credibilità; solo così l'Italia può chiedere all'Europa "politiche più orientate alla crescita".

Crescita. Il conseguimento della crescita non può essere realizzato ricorrendo al debito pubblico. Il primo atto, al contrario, è avere "finanze sane". Questo significa: attuare il pareggio di bilancio dal 2013 e ridurre lo stock del debito pubblico di un ventesimo all'anno a partire dal 2015.

Tasse. La riduzione del debito consente di agire sulla leva fiscale. Per Monti, se si mantiene la rotta, "ridurre le tasse è possibile". Si comincerà con la riduzione del carico fiscale su lavoro e impresa. Per farlo si potrà intervenire sui grandi patrimoni e sui consumi di lusso.

Liberalizzazioni. Monti propone di continuare su quella strada e di "intensificare l'apertura dei mercati". Parallelamente va resa più efficiente la pubblica amministrazione. La spesa pubblica deve  essere riqualificata, la spending review deve diventare un metodo permanente.

Impresa. L'agenda prevede il decentramento contrattuale, la riduzione del costo dell'energia, la facilitazione dell'accesso al credito per le imprese. Bisogna puntare a portare il livello degli investimenti stranieri in Italia al livello della media europea.

Lavoro. dopo la riforma Fornero e quella sul mercato del lavoro "non si può fare marcia indietro". Monti propone  di semplificare ulteriormente la normativa, di spostare la contrattazione collettiva a livello aziendale, di varare un piano per l'occupazione giovanile , con incentivi per chi assume gli under 30.

Lotta alla povertà. Monti pensa a un reddito di sostentamento minimo, subordinato alla frequenza di corsi di formazione e inserimento professionale.

Legge elettorale. Secondo Monti il "primo atto" del nuovo Parlamento deve essere la riforma della legge elettorale per ridare ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti.

Casta. Con lo slogan "meno casta meno costi" Monti propone una drastica riduzione dei contributi pubblici ai partiti e ai gruppi parlamentari, con l'obbligo di bilanci trasparenti e un tetto ai finanziamenti privati.

Evasione e corruzione. "Tolleranza zero per corruzione, evasione e attività sommerse". Monti prevede una stretta sul falso in bilancio e sulla legge anti-corruzione. Va rivista la disciplina sulle prescrizioni per colpire più efficacemente i reati.

Conflitto interessi. Monti auspica l'adozione di una più robusta disciplina di prevenzione  dei conflitti di interesse.

Incandidabilità. Il provvedimento appena approvato è un segnale importante ma bisogna "andare oltre" e prevedere norme ancora più stringenti.

(23 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

http://www.repubblica.it/politica/2012/12/23/news/ridurre_tasse_pi_carico_sui_grandi_patrimoni_riforma_elettorale_e_riduzione_finanziamento_partiti-49367304/?ref=HREA-1


Titolo: MONTI A TUTTO TONDO I SOTTOBANCHISTI SONO IN DIFFICOLTA'...
Inserito da: Admin - Gennaio 03, 2013, 06:12:23 pm
Monti a Bersani: "Tagliare le ali estreme sarebbe una buona cosa"

Il premier dimissionario, ospite di Uno Mattina, prospetta un'alleanza con il Pd, a patto che vengano esclusi "quegli elementi estremisti e conservatori" che impediscono di spingere a fondo con le riforme.

E attacca di nuovo a sinistra Stefano Fassina e la Cgil, a destra Renato Brunetta.

Spunta il nome della lista che potrebbe essere "Con Monti per l'Italia"


ROMA - "Tagliare le ali è una brutta espressione ma tagliare gli estremismi è una buona cosa". Lo dice Mario Monti ospite di Uno Mattina a proposito di possibili alleanze con il Partito democratico. L'apertura a Bersani sarebbe dunque possibile, a patto però che il segretario si liberi delle "frange estreme" - da Stefano Fassina a Nichi Vendola, a Cgil e Fiom - ferme su posizioni conservatrici e che impediscono di spingere a fondo con le riforme. E loda la "considerevole parte riformista del Pd", rappresentata ad esempio da esponenti come Pietro Ichino, "che addirittura ha lasciato il Pd per venire nel nostro movimento, ma anche Morando, Tonini, Vassallo che hanno scritto una lettera a un quotidiano rivendicando che il Pd stia con Monti". Ma poi affonda: "Spero che Bersani convinca ma non vinca".

La statura 'accademica' di Brunetta. Monti critica anche il Pdl dove, a suo avviso, ci sono delle "lobby che hanno impedito di andare avanti con la liberalizzazione di alcune professioni". E annovera Renato Brunetta tra coloro che hanno ostacolato le riforme per favorire più concorrenza. Il Professore sottolinea che "ci sono molte posizioni nel Pdl che hanno impedito riforme per iniettare più concorrenza nei mercati delle libere professioni. Per esempio, dal punto di vista economico generale, penso all'onorevole Brunetta" ed all'ex ministro della Pa, Monti si riferisce osservando che "sta portando, con l'autorevolezza di un professore di una certa statura - sottolinea con impercettibile ironia- 'accademica', il Pdl su posizioni piuttosto estreme e, se posso permettermi di dire, settarie". "Nel Pdl - aggiunge Monti - c'è molta vicinanza agli ordini professionali, ad esempio di farmarcie e altre professioni, e questo ha impedito di andare un pò più avanti nelle liberalizzazioni".
 
Il nome della lista. "Il mio nome non sarà quello di una persona che prende l'iniziativa per diventare presidente del Consiglio - continua il premier dimissionario -. Non ci sarà una lista 'Monti presidente' ma rappresenterà un movimento di cittadini, di organizzazioni della società civile e del volontariato per coinvolgere me, e ci sono riusciti, e per fare insieme qualcosa per Italia". Il Professore non rivela l'effettiva denominazione ma spiega che "sarà, quindi qualcosa tipo 'con Monti per l'Italia'".

Un caso di coscienza. "Non avevo nessuna intenzione di continuare un'esperienza politica dopo quella atipica di questo governo - spiega poi Monti in risposta a Berlusconi che ieri lo ha accusato di non aver mantenuto la promessa di non candidarsi - e sarebbe stata nella mia natura stare nella mia posizione di senatore a vita ed eventualmente essere disponibile a certi incarichi se si fossero profilati, ma mi sono posto un caso di coscienza, perchè sollecitato da tanta gente che ci ha detto 'andate avanti'". "Mi sono chiesto - ha aggiunto - se nel mio piccolo posso contribuire a trasformare l'Italia in un paese moderno per cercare di portare nella politica quelle energie che ci sono ma che hanno guardato la politica con distanza. Allora ho cercato di scendere dalla mie altezze e salire in politica per fare questo".

Berlusconi? Giudizi volatili. Il Professore replica poi a Silvio Berlusconi e ricambia il "poco credibile" arrivatogli ieri, definendo invece il leader Pdl "persona che ha mostrato una certa volatilità di giudizio sulle vicende umane e politiche negli ultimi tempi".

Fassina? Si aggiorni. "E' simpatica la definizione di 'lista rotary' che ha offerto l'onorevole Fassina - si difende poi Monti -  Ha immaginazione, io non la conosco ancora la lista Monti". E sottolinea di essere ricordato in Europa per le sue battaglie contro le grandi lobby e i poteri forti, come quando da commissario alla Concorrenza multò la Microsoft con una sanzione record.
 
Non sono un tassatore cattivo. "Vorrei che ci fosse qualcosa di simile a un governo 'Monti due'  - spiega il presidente del Consiglio - per far vedere che nel mio volto non c'è la cattiveria del tassatore ma che ho fatto delle cose per il bene degli italiani". E sulle questioni fiscali aggiunge: "I redditi sono già abbastanza tassati". In merito alla possibilità di una patrimoniale, il Professore ha spiegato che "tutta la nostra agenda mira a smitizzare luoghi comuni, non si possono fare slogan. Già oggi esistono elementi di tassazione patrimoniale come l'Imu, introdotta dal governo Berlusconi che abbiamo avuto noi l'onore di battezzare. Credo che non è un discorso che debba essere evitato come se fosse il diavolo. Ho la forte convinzione - ha chiosato Monti - che il sistema fiscale debba avere la sua funzione di distribuzione".
 

(03 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/03/news/monti_a_bersani_tagliare_le_ali_estreme_sarebbe_una_buona_cosa-49842844/?ref=HREA-1


Titolo: MONTI A TUTTO TONDO E RICOMPARE LA CAMUSSO...
Inserito da: Admin - Gennaio 03, 2013, 06:19:48 pm
Monti a Bersani: "Tagli le ali estreme"

Il leader Pd: "Non chiudo la bocca a nessuno"

ll premier ancora in tv. Da Uno Mattina messaggio al Pd: "Tagli ali estreme e silenzi Fassina".

La risposta del segretario: "Chiedo rispetto". Al Pdl: "Accuse di lobby".

Camusso: "Da lui poche proposte e molte critiche".


ROMA - "Tagliare le ali è una brutta espressione, ma tagliare gli estremismi è una buona cosa". Lo dice Mario Monti ospite di Uno Mattina a proposito di possibili alleanze con il Partito democratico. L'apertura a Bersani sarebbe dunque possibile, a patto però che il segretario abbia il coraggio di "silenziare" le "frange estreme" - da Stefano Fassina a Nichi Vendola, a Cgil e Fiom - ferme su posizioni conservatrici e che impediscono di spingere a fondo con le riforme. Pronta la risposta del segretario: "Chiedo il rispetto per tutto il Pd - dice Bersani - Noi siamo un partito liberale che non chiude la bocca a nessuno e troverà sempre la sintesi".

Il premier loda invece la "considerevole parte riformista del Pd", rappresentata ad esempio da esponenti come Pietro Ichino, "che addirittura ha lasciato il Pd per venire nel nostro movimento, ma anche Morando, Tonini, Vassallo che hanno scritto una lettera a un quotidiano rivendicando che il Pd stia con Monti". "Spero che Bersani convinca, ma non vinca", dice infine. Il "messaggio" al Pd, per quanto non nuovo, è forse la parte più rilveante del discorso del premier nell'intervista a "Unomattina". Poi c'è stata la replica al Pdl.

La statura accademica di Brunetta. Monti critica il Pdl dove, a suo avviso, ci sono delle "lobby che hanno impedito di andare avanti con la liberalizzazione di alcune professioni". In testa a tutti, il premier mette Renato Brunetta. Il Professore sottolinea che "ci sono molte posizioni nel Pdl che hanno impedito riforme per iniettare più concorrenza nei mercati delle libere professioni. Per esempio, dal punto di vista economico generale, penso all'onorevole Brunetta che "sta portando, con l'autorevolezza di un professore di una certa statura accademica - sottolinea il premier con impercettibile ironia - il Pdl su posizioni piuttosto estreme e, se posso permettermi di dire, settarie". "Nel Pdl - aggiunge Monti - c'è molta vicinanza agli ordini professionali, ad esempio di farmarcie e altre professioni, e questo ha impedito di andare un po' più avanti nelle liberalizzazioni".
 
Il nome della lista. "Il mio nome non sarà quello di una persona che prende l'iniziativa per diventare presidente del Consiglio - continua Mario Monti - . Non ci sarà una lista 'Monti presidente', ma rappresenterà un movimento di cittadini, di organizzazioni della società civile e del volontariato per coinvolgere me, e ci sono riusciti, e per fare insieme qualcosa per Italia". Il Professore spiega che "sarà, quindi qualcosa tipo 'con Monti per l'Italia'".

Un caso di coscienza. "Non avevo nessuna intenzione di continuare un'esperienza politica dopo quella atipica di questo governo - spiega poi Monti sollecitato a rispondere alla accusa di Berlusconi che ieri gli aveva contestato la promessa mancata di non candidarsi - e sarebbe stata nella mia natura stare nella mia posizione di senatore a vita ed eventualmente essere disponibile a certi incarichi se si fossero profilati, ma mi sono posto un caso di coscienza, perché sollecitato da tanta gente che ci ha detto 'andate avanti'". "Mi sono chiesto - ha aggiunto - se nel mio piccolo posso contribuire a trasformare l'Italia in un paese moderno per cercare di portare nella politica quelle energie che ci sono ma che hanno guardato la politica con distanza. Allora ho cercato di scendere dalla mie altezze e salire in politica per fare questo".

Berlusconi? Giudizi volatili. Un'altra replica con ironia a Berlusconi che lo ha definito "poco credibile": "Un giudizio autorevole", dice Monti, anche se viene da una "persona che ha mostrato una certa volatilità di giudizio sulle vicende umane e politiche negli ultimi tempi".

Fassina? Si aggiorni. "E' simpatica la definizione di 'lista rotary' che ha offerto l'onorevole Fassina - si difende poi Monti - . Ha immaginazione, io non la conosco ancora la lista Monti". E sottolinea di essere ricordato in Europa per le sue battaglie contro le grandi lobby e i poteri forti, come quando da commissario alla Concorrenza multò la Microsoft con una sanzione record.
 
Non sono un tassatore cattivo. "Vorrei che ci fosse qualcosa di simile a un governo 'Monti due'  - spiega poi il presidente del Consiglio - per far vedere che nel mio volto non c'è la cattiveria del tassatore, ma che ho fatto delle cose per il bene degli italiani". Sulle questioni fiscali aggiunge che "i redditi sono già abbastanza tassati" e che, pur non guardando alla patrimoniale come fosse il diavolo, non è quello il discorso che intende affrontare.

"Tutta la nostra agenda - dice - mira a smitizzare luoghi comuni, non si possono fare slogan. Già oggi esistono elementi di tassazione patrimoniale come l'Imu, introdotta dal governo Berlusconi (con il d. lgs. n. 23 del 14 marzo 2011 che ne stabiliva la vigenza a partire dal 2014, limitatamente alle seconde case, ndr), che abbiamo avuto noi l'onore di battezzare. Ho la forte convinzione - dice - che sui redditi il sistema fiscale debba avere la sua azione di redistribuzione, e quindi ha ragione Obama. E' molto meglio - spiega - che una certa attività redistribuitiva, che ogni Stato si propone di fare, avvenga con lo strumento proprio del fisco, che non interferendo con il funzionamento del mercato".

Le reazioni. "Chi ha deciso di candidarsi alle elezioni dovrebbe discutere dei suoi programmi", commenta il leader della Cgil, Susanna Camusso. "Trovo che Monti abbia poche proposte e molte critiche". Il Pd reagisce con ironia alle parole di Mario Monti che chiede a Bersani di 'silenziare' Stefano Fassina (foto). Sul sito dei democratici, i fermi immagine presi da varie trasmissioni alle quali ha partecipato Monti. E cinque righe di corsivo sull'invito a "silenziare" rivolto a un partito che si chiama "democratico".

Nichi Vendola parla di "respingere l'arroganza" del premier: "Monti è sceso pesantemente in campo - dice il leader di Sel - con la presunzione di chi vuole partecipare ma vuole anche sentirsi arbitro della partita e decidere chi ha vinto questa partita: l'ha vinta lui. C'è un elemento di arroganza che va respinto".

Anche il Pdl critica la scelta del verbo "silenziare" riferita anche a Brunetta e l'"alterigia" del Professore. Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, accusa Monti di sembrare "non più un tecnico un demagogo alla caccia dei voti". Mentre per Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl al Senato, "la presunzione di Monti sta diventando intollerabile". Brunetta definisce il premier su Fabebook "un tecnocrate autoritario e pasticcione" e polemizza contro il termine "silenziare" rivolto da Monti a lui e Fassina: "Tutto mi divide sul piano dei contenuti da stefano Fassina- aggiunge-, ma farò ogni sforzo perchè nessuno possa ridurre lui o altri al silenzio. Abbiamo toccato il fondo, prof. Monti. Intimare il silenzio a qualcuno mentre si ricopre il ruolo del capo del governo non ha cittadinanza in democrazia, ma ci riporta a tempi bui e dolorosi".

Anche Massimo Donati, cofondatore di Centro democratico, giudica infelice la scelta del verbo "silenziare": "Monti, nominato premier in circostanze eccezionali, dovrebbe essere più attento alle regole della democrazia e fare ammenda dell'intollerabile arroganza verbale di chi vuole silenziare chi la pensa diversamente. Silenziare qualcuno -conclude- è un linguaggio inaccettabile soprattutto per un leader politico. Monti dimostra di essersi lasciato prendere la mano da un estremismo tecnocratico che pretende di essere verità assoluta".

(03 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/03/news/monti_a_bersani_tagliare_le_ali_estreme_sarebbe_una_buona_cosa-49842844/


Titolo: MONTI svela il simbolo: 'Scelta civica per l'Italia'
Inserito da: Admin - Gennaio 05, 2013, 04:18:32 pm


Monti svela il simbolo: 'Scelta civica per l'Italia'

Alla Camera tre liste: una del Professore, senza ex parlamentari, una dell'Udc e una di Fli

04 gennaio, 23:23

Mario Monti a Otto e mezzo


Agenda per un impegno comune di Monti


 
A sostegno di Mario Monti "ci sarà una Lista unica per il Senato. Per la Camera in coalizione ci saranno tre distinte liste: una della società civile senza parlamentari, una dell'Udc immagino col nome Casini, una di Fli immagino col nome Fini": lo annuncia il premier uscente in una conferenza stampa.
 
"Con Monti per l'Italia - Scelta civica". E' il testo contenuto nel simbolo della Lista Monti per la Camera mostrato alla stampa dal presidente del Consiglio. Al Senato, dove sarà presentata una lista unica, scomparirà dal simbolo la scritta 'Scelta civica'. Arriveranno nei prossimi giorni i nomi dei candidati della lista Monti, annuncia poi il premier a Otto e Mezzo. Alla domanda se i nomi saranno annunciati martedì prossimo, come il Pd, Monti risponde: "I tempi sono quelli". Monti glissa invece tutte le domande su chi saranno i suoi candidati, su quanti ministri ci saranno, se lo chiederà anche a Passera e se candiderà Frattini o altri ex berlusconiani.
 
Il Professore annuncia inoltre severi criteri di candidabilità. E anticipa che anche per Udc e Fli verrà applicato un tetto al numero dei mandati già svolti: ci saranno "limiti legati all'attività parlamentare pregressa con un massimo di due deroghe per ciascuna lista". "I criteri di candidabilità ai quali saranno tenuti coloro che intendono partecipare e senza distinzione di lista saranno più esigenti rispetto a quelli attuali sulla candidbilità", afferma il premier. "I criteri riguarderanno condanne e processi in corso, conflitto di interesse, il codice deontologico antimafia, limiti legati all'attività parlamentare pregressa con un massimo di due deroghe per ciascuna lista (per quelle liste cui sono ammesse persone che hanno già svolto attività parlamentare)".
 
"Sono lieto di dare atto dell'entusiastico apporto manifestato da Italia Futura, Verso la Terza Repubblica, da altre associazioni, dall'avvocato Montezemolo, da Casini, Fini, Riccardi e da tantissime espressioni della società civile e della vita politica. Segnalo come interessante e meritevole di attenzione l'interesse dimostrato da parlamentari non solo di Udc e Fli ma anche del Pdl e del Pd", sottolinea Monti.
 
Alla fine alla Camera ci sarà dunque una lista Monti, "accompagnata" da quelle dei partiti che sostengono il ritorno del professore a Palazzo Chigi. Il premier uscente ha presentato il simbolo in una conferenza stampa organizzata dopo averne parlato in un vertice blindatissimo con Casini e Fini.
 
Gli incontri iniziati ieri tra Mario Monti ed i rappresentati dei partiti e delle associazioni della "società civile" sono proseguiti senza sosta. Anche oggi il professore ha proseguito nel suo tentativo di sintetizzare le proposte che arrivano da una parte e dall'altra e, soprattutto, di mettere d'accordo esigenze spesso contrapposte. Lunghi incontri sui quali c'è il diktat di mantenere il massimo riserbo.
 
"Le riunioni sono convocate ad horas. Si lavora senza sosta perché ormai il tempo stringe", spiega chi sta lavorando alle liste. Monti è pressato dalle richieste dei rappresentanti dell'associazionismo, contrari all'ingresso dei 'politici' in una lista con il suo nome. Ma vuole tener conto anche dell'insofferenza dell'Udc che teme di rimanere penalizzata dalla concorrenza alla Camera di una lista Monti. Per questo forse, ma anche per il timore che la mancanza di chiarezza sulle liste possa creare disorientamento tra gli elettori, si è scelto di presentare velocemente il simbolo con la convocazione di una conferenza stampa all'ultimo momento, fortemente voluta da ItaliaFutura. I partiti, intanto, lavorano alle proprie liste. Alla Camera Gianfranco Fini ha riunito i suoi per fare il punto: i posti disponibili sono pochi.
 
MONTI A CAV, NON RINUNCIO A CARICA SENATORE A VITA - "No, non lo prendo in considerazione. Non vedo i motivi e non lo prendo in considerazione". Così Mario Monti, ospite di 'Otto e mezzo' replica a Silvio Berlusconi che lo ha invitato a dimettersi da senatore a vita. "Ma... ha detto veramente quella cosa?", aggiunge il premier sottolineando di non "aver notato" la richiesta.
 
"Per me è questione morale: posso lasciare la scena come senatore a vita ma sarei servito all'Italia non credo. Così posso servire all'Italia? Spero", dice Monti. "Non mi andava di lasciare campo a una situazione polarizzata su posizioni un po' populiste che non vivono in modo naturale appartenenza dell'Italia in Europa e che danno più peso a interessi breve periodo".
 
"Mi sarei sentito a disagio andando nella mia dorata nicchia al senato e vedere dissipare buona parte di quello che l'Italia ha costruito in quest'anno", aggiunge. "Mai pensato nella mia vita di candidarmi a qualcosa, più che titubante ero decisamente contrario, per la prima volta scelgo nella vita una cosa al di fuori della mia natura", dichiara.
 
MONTI, SILENZIARE? VERBO INFELICE MA PRESO DA BLOG FASSINA - "Silenziare... Essendo io un noto dittatore, un despota e intollerante alla democrazia... Il termine l'ho preso dall'onorevole Fassina, dal suo blog dove ha scritto che ha silenziato il grillismo. Forse ho usato un verbo infelice". Lo afferma Mario Monti, ospite di 'Otto e mezzo' su La7.
 
MONTI, SI' A CONFRONTO TV A TRE CON BERSANI E BERLUSCONI - Un confronto a tre con Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi? "Sì, è utile. Se sarò invitato, verrò volentieri. Mi auguro che vangano pure loro". Lo dice a Otto e Mezzo il premier uscente Mario Monti a proposito di un confronto tv tra gli sfidanti alle elezioni.
 
"Sto forzando la mia natura, non chiedetemi troppo. Sarebbe bello provare ma non chiedetemi troppo", risponde Monti a Lilli Gruber che gli chiede se farà "comizi in piazza durante la campagna elettorale".
 
ICHINO, SARO' CAPOLISTA LOMBARDIA IN SENATO - Per il Senato sarò capolista in Lombardia. Lo scrive Pietro Ichino su Twitter parlando della lista Monti il cui simbolo tra poco sarà presentato ufficialmente nel corso di una conferenza stampa con il premier uscente.
 
CASINI, COMPETIZIONE E' FRA BERSANI E MONTI - "La competizione è fra Bersani e Monti. Poi vinca il migliore". Lo afferma il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini a Uno mattina, sottolineando come il Pdl sia in "uno stato confusionale e come Berlusconi non abbia realizzato neanche l'unità intorno a sé.
 
"Noi giochiamo per vincere e non abbiamo alcun complesso di inferiorità e le polemiche concentriche da sinistra e destra sono la certificazione della novità rappresentata da Monti". E' quanto sottolinea il leader centrista. "Tutti i riformatori, di sinistra e di destra - aggiunge - scelgono il rinnovamento" e dunque l'Agenda Monti. ''E' un successo se si vince, altrimenti è magari un'ottima affermazione ma non è un successo. Dopodiché il giorno dopo, dell'intelligenza, del prestigio e della capacità di Mario Monti questo Paese avrà sempre bisogno"
 
ALFANO,CALO SPREAD CON DIMISSIONI MONTI DIMOSTRANO IMBROGLIO - "Cade il governo e cala lo spread. Ma le dimissioni di Monti non dovevano impaurire i mercati? Ô successo il contrario". Lo scrive il segretario del Pdl, Angelino Alfano su Twitter hashtag "grandeimbroglio
 
DI PIETRO, NOI SOSTENIAMO INGROIA PREMIER, E GRILLO? - "Io ho grande rispetto per il M5S che non è solo Grillo. La differenza tra loro e noi è che noi vogliamo costruire una alternativa, non solo sfasciare la baracca. Il nostro candidato premier è Ingroia, un magistrato che ha messo a nudo un problema gravissimo, la trattativa Stato-mafia, e adesso si sta scoprendo che ad essere sotto controllo non erano i delinquenti ma i magistrati che facevano indagini sui delinquenti e che ora compie un atto di responsabilità. Sapete forse chi è il candidato premier del M5S?". Lo chiede il leader di Idv Antonio DiPietro in una videochat su 'La Stampa'. "Io - rileva - non sono contro il Pd ma voglio capire che ci sta a fare con il centrodestra visto che Monti non ha fatto niente di diverso rispetto a Berlusconi. Una cosa è certa: non decidono i cittadini, faranno il grande inciucio il giorno dopo", conclude, aggiungendo: "Si sono mesi d'accordo perché il premier sia Bersani e Monti presidente della Repubblica. Con una spartizione basata su un accordo sulle spalle degli elettori".
 
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da - http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2013/01/04/Monti-18-conferenza-stampa-simbolo-lista-_8026652.html


Titolo: Monti svela le carte per la «salita in campo»
Inserito da: Admin - Gennaio 05, 2013, 04:24:33 pm
LA «SALITA» IN POLITICA DEL PREMIER: «non mi dimetto da senatore a vita»

Monti svela le carte per la «salita in campo»

«Tre liste alla Camera, unica al Senato»

A Montecitorio il professore sarà sostenuto da liste Udc, Futuro e Libertà e della società civile: «Obiettivo è il Monti-bis»


MILANO- Lista unica al Senato, tre liste alla Camera. Ecco la formula scelta dal premier uscente Mario Monti per la corsa alla rielezione.
In una conferenza stampa all'Hotel Plaza di Roma ha presentato alla stampa i simboli e anticipato i criteri per le candidature.

REGOLE SEVERE PER CANDIDARSI -A Montecitorio il professore sarà sostenuto da una lista dell'Udc che fa riferimento a Casini, un'altra di Futuro e Libertà collegata a Fini e da una terza composta da esponenti della società civile («non saranno parlamentari» ha spiegato Monti). Il simbolo con un tricolore al l'interno ha come slogan: «Scelta civica con Monti per l'Italia» per la Camera, mentre al Senato ci sarà un logo uguale ma senza la dicitura «Scelta Civica». Entro tre giorni si sapranno i criteri per chi vorrà candidarsi, ma Monti anticipa regole severe «ancora di più di quelli vigenti con riferimento a processi in corso su conflitto di interessi, sull'antimafia e sui limiti legati ad attività parlamentari pregresse di un massimo di due deroghe per lista».

LE DOMANDE SU TWITTER- Appena il tempo di finire la presentazione e Monti attraverso il suo account su Twitter annuncia che sabato alle 11.15 risponderà alle domande inviate dei cittadini. Una scelta che arriva dopo la brevissima conferenza stampa - meno di 10 minuti- alla quale i giornalisti non hanno avuto la possibilità di fare domande al candidato premier.

L'INTERVISTA - Poi Mario Monti è stato anche protagonista di un'intervista a Otto e mezzo. Subito dopo aver presentato la sua lista ha risposto alla Gruber di volere «salire» in politica anche per superare le resistenze delle lobby, auspicando di attuare le riforme per il Paese e per i giovani. Il Professore ha però detto di voler rifiutare le facili promesse, ma di proseguire nel cambiare la politica, incapace in questi ultimi anni di rispondere alle esigenze dei cittadini, per «un insano scollamento» tra classe dirigente e società civile. Monti ha anche motivato la sua scelta di entrare nell'agone politico, perché aveva il timore di «vedere dissipare quanto costruito» in un anno di governo.

LA CARICA - L'ex presidente del Consiglio ha comunque precisato di non essere candidato alle elezioni, perché è e resterà a senatore a vita. Replicando alle accuse di Silvio Berlusconi che lo aveva invitato a lasciare la carica onoraria: «No, non lo prendo in considerazione. Non vedo i motivi e non lo prendo in considerazione», ha risposto piccato chiedendo alla Gruber se davvero il Cavaliere avesse fatto questa richiesta. E lo indirettamente attaccato ricordando di «sorridere poco rispetto ad altri, che invece hanno contribuito a far andare male l'Italia». L'ex presidente della Bocconi ha indicato che il suo obiettivo è un Monti-bis, di fatto smentendo l'ipotesi di un eventuale carica di ministro dell'Economia in un governo di centro-sinistra.

PRONTO A UN CONFRONTO TV- Niente comizi in piazza -«sarebbe bello provare ma non mi ci vedo»- sì a un confronto in televisione con gli altri candidati Bersani e Berlusconi. «Se invitato parteciperò» ha detto Monti rispondendo a una domanda di Lilli Gruber, «mi auguro lo facciano anche loro». Il senatore a vita ha anche chiesto alla Rai di pubblicare i dati sulle presenze dei politici in televisione per fare chiarezza sulle reali partecipazioni. «Ho una lunghissima lista per quanto riguarda il mio predecessore, sono sicuro che la Rai lo farà».

Redazione Online

4 gennaio 2013 | 22:32© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_gennaio_04/lista-monti-presentazione_9dda5336-5696-11e2-9534-ad350c7cbb97.shtml


Titolo: MONTI -
Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2013, 07:25:20 pm
Il premier racconta i retroscena della «salita in politica».

«Troppe tribù in questo Paese»

Monti: «Togliamo l'Italia agli incapaci»

Lavoro, possibili cambi alla riforma Fornero

Nella nuova Agenda possibili modifiche alla riforma Fornero



La domanda è una sola. Semplice. Perché ha deciso di «salire in politica»? Quali sono le vere ragioni di una scelta che chi scrive, pur conoscendola da molto tempo, mai avrebbe immaginato? Monti fa un grande sospiro. Siamo nel suo ufficio a Palazzo Chigi, in una piovosa mattinata romana. «Credo di aver fatto una cosa giusta, non quella più utile per me». Il racconto del presidente suddivide il suo periodo di governo in due parti. La prima, la più drammatica, con l'incubo quotidiano di restare senza i soldi per pagare gli stipendi pubblici («Quando incontravo Angela Merkel sapeva esattamente quanti titoli di Stato avevamo bisogno di vendere»). Poi i primi risultati, l'emergenza che si allontana. «Allora, pensavo che, dopo aver contribuito a salvare il Paese, restando al di sopra delle parti avrei svolto tranquillamente le mie funzioni di senatore a vita, in attesa che qualcuno, forse, mi chiamasse».

E invece no. «A un certo punto, con l'avvicinarsi delle elezioni, le riforme incontravano ostacoli crescenti, erano sempre più figlie di nessuno. La strana maggioranza cambiava pelle sotto i miei occhi. Il Pdl ritornava ad accarezzare l'ipotesi di un nuovo patto con la Lega, non con il Centro, ed emergeva un fronte populista e antieuropeo; il Pd alleandosi esclusivamente con Sel riscopriva posizioni radicali e massimaliste in un rapporto più stretto con la sola Cgil». E che altro poteva aspettarsi, professore? Che i partiti si suicidassero tutti sull'altare del rigore? «Ho intravisto due rischi. Uno a breve, che il governo cadesse prima che i partiti si accordassero finalmente su una riforma elettorale; uno più a lungo termine, e assai più grave, ovvero che sei mesi dopo le elezioni si dissipassero tutti i sacrifici che gli italiani avevano fatto, con grande senso di responsabilità, per sottrarre il Paese a un sicuro fallimento. Tutto inutile, pensavo. Sarebbero tornati al governo i vecchi partiti, i vecchi apparati di potere, veri responsabili del declino dell'Italia. In quello stesso periodo si erano poi moltiplicati gli incoraggiamenti di molti leader europei e internazionali, da Barack Obama a François Hollande, che però - chiarisco subito - non sono stati determinanti». Nemmeno l'incoraggiamento del Papa? «Non trasciniamo il Santo Padre nelle nostre vicende così terrene...». L'appoggio della Chiesa? «Gli auspici sono stati autorevoli, ma sono anche venuti da espressioni più semplici, parroci per esempio. Il mondo cattolico è articolato e composito. Va ascoltato e rispettato, non strumentalizzato». Il Partito popolare europeo? «Una scelta di campo significativa, soprattutto se si tiene conto che non appartengo a nessun partito, mentre il Pdl di Berlusconi è uno dei partiti più grandi nel Ppe».

Insomma, alla fine il dado è stato tratto. «È cambiata in me la percezione di che cosa sarebbe stato moralmente più giusto. Un amico milanese, che lei conosce bene, direttore, ma di cui non le dirò il nome, mi disse in un lungo colloquio che con il passare del tempo la bilancia delle valutazioni morali, dentro di me, sarebbe cambiata. Avrebbe pesato meno il piatto di ciò che io ritenevo in linea con il mio stile, di persona al di sopra delle parti; sarebbe invece aumentato il peso del senso del dovere, il dovere di fare in modo che i sacrifici che avevo dovuto chiedere agli italiani per salvare il Paese non venissero dissipati e costituissero invece la base di un'Italia più solida, capace di tornare a crescere, dopo tanti anni». La bilancia si è mossa e lei, professore, ha fatto il gran passo. Una scelta immorale, secondo D'Alema. «Ma sarebbe stato immorale se io avessi pensato a me stesso, non trova? Gratificazioni di prestigio non sarebbero mancate. Così, invece, rischio tutto». Il presidente della Repubblica non ha apprezzato. (Lungo silenzio). «Credo di averlo sorpreso, questo sì, ma penso che oggi abbia compreso le ragioni della mia scelta. Veda, il nostro è un rapporto di reciproca e profonda stima, e di grande riconoscenza da parte mia. Ma anche di pudore sui nostri personali sentimenti. Quando cominciai a dirgli che sentivo qualcosa cambiare in me, non mi sconsigliò, mi diede ascolto...».

La linea di confine fra l'immagine del tecnico super partes e del politico necessariamente «in erba», viene tracciata dalla sua conferenza stampa del 23 dicembre, poi dalla cosiddetta Agenda, con la quale nasce un nuovo soggetto politico, Scelta Civica, una lista che si apre alla società civile per farla finita con la vecchia politica, giusto? «Sì, e sa qual è stata l'altra considerazione di fondo che mi ha spinto a salire in politica?». Quale, presidente? «Anche dopo aver celebrato il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, questo Paese continua ad avere bisogno di essere unificato. Oggi, più di qualche decennio fa, sembriamo a volte non un Paese, con un senso del bene comune, ma quasi un insieme di tribù, di corporazioni, di fortini intenti a difendere interessi di parte, di incrostazioni clientelari. La mia iniziativa politica è stata sollecitata dalla società civile. E alla società civile io mi rivolgo, noi ci rivolgiamo. La risposta si sta rivelando straordinaria». E vi siete alleati con Casini e Fini che nella politica tradizionale hanno sguazzato per anni, mah... «Certo, può apparire una contraddizione, ma entrambi hanno avuto il merito di vedere per tempo quali guasti producesse un bipolarismo incompiuto e conflittuale. E nell'ultimo anno sono stati più disponibili del Pdl e del Pd a sostenere anche i provvedimenti sgraditi agli ambiti sociali a loro vicini. Infine, hanno accettato di sottoporre anche le loro liste ai criteri più esigenti da me richiesti. Quanto alla nostra lista per la Camera, Scelta Civica, faccio notare che è la prima volta che viene proposta agli elettori, su base nazionale, una formazione che non include alcun ex parlamentare, ma solo esponenti di valore del volontariato, del mondo dei lavoratori dipendenti, delle professioni, dell'associazionismo, dell'imprenditoria, della scienza, gente capace, persone che hanno scelto di rischiare, con coraggio e avendo fatto rinunce significative. Quanti colloqui, quante telefonate, quanti dubbi, quante crisi di coscienza. Ma quanta gioia, mi ha dato fare questa esperienza di mobilitazione! Li ringrazio tutti perché dimostrano una cosa importante, vitale». Quale? «Un'altra delle ragioni della scelta che anch'io ho fatto. Un tempo potevamo dire: io aiuto il mio Paese facendo bene e con onestà il mio mestiere, la mia parte. Oggi non basta più. Se non ci impegniamo direttamente, se non sacrifichiamo qualcosa di personale, questo Paese non avrà futuro e su di noi cadrà una colpa grave. Una colpa che non avrà prescrizione».

Presidente, Berlusconi dice che nessuno, dopo Mussolini, ha avuto tanti poteri come lei. «È evidente l'improponibilità storica del paragone. Ogni provvedimento proposto dal mio governo si avviava verso le Camere in perfetta solitudine. Zero deputati, zero senatori (o uno, il sottoscritto). Il mio governo partiva sempre da zero, doveva convincere volta per volta una maggioranza chiamata a decidere spesso qualcosa di contrario alla natura dei partiti che la componevano, ma necessario per salvare l'Italia». E dunque, ha ragione il Cavaliere a invocare riforme straordinarie che attribuiscano all'esecutivo maggiori prerogative? «La nostra è una repubblica parlamentare. Si può snellire la funzionalità del Parlamento, ma è soprattutto la composizione politica del Parlamento che va cambiata, con le elezioni, se vogliamo che vi siedano persone con la cultura del cambiamento e non della conservazione, delle riforme e non delle clientele». Ma non le conveniva, sul piano più squisitamente politico, accettare l'offerta di essere lei il federatore dei moderati, sotto l'egida del Partito popolare europeo? «Io apprezzai molto quell'offerta di Berlusconi. Ma gli dissi subito che, se mai, all'Italia sarebbe occorso un federatore dei riformisti, finora domiciliati in tre poli diversi e perciò incapaci di dare un maggiore impulso alle riforme di cui il Paese, i giovani hanno bisogno. È quello che ora mi propongo di fare». Le sollecitazioni e le offerte di attuali parlamentari sono state numerose? «Sì, sia dal Pdl che dal Pd, molti deputati, senatori e parlamentari europei sono venuti a dirmi: vorrei stare con lei, sono pronto. In alcuni casi non è stato possibile trovare una piena convergenza, in molti altri sì».

La Banca d'Italia, nel suo bollettino, afferma - e certo questo può essere letto anche come una critica autorevole e circostanziata al governo dei tecnici - che gli effetti dell'austerity sul prodotto interno lordo, previsto in calo dell'1 per cento anche quest'anno, sono maggiori del previsto. Il rigore non è una dieta. Per molte imprese, specie quelle piccole, e per tante famiglie, assomiglia a un drammatico digiuno. «Noi stiamo vedendo, al contrario, qualche risultato positivo grazie al sacrificio degli italiani: sui tassi d'interesse, sulle esportazioni, sull'andamento dei titoli pubblici. E dobbiamo sempre chiederci che cosa sarebbe accaduto se quelle decisioni non fossero state prese e se ci fossimo trovati nei panni dei greci. La Banca d'Italia non credo sostenga che bisognasse fare meno risanamento. Ma più riforme strutturali. Ha ragione. È anche per questo che oggi a Bergamo dirò che non possiamo rimettere l'Italia nelle mani degli incapaci, che l'hanno portata al novembre 2011. La vecchia politica non deve tornare. Il governo tecnico non sarebbe stato chiamato se la gestione della cosa pubblica fosse stata nelle mani di politici capaci e credibili». Lei è ormai un ex tecnico, presidente, non lo dimentichi. «D'accordo. Oggi gli italiani hanno di fronte una straordinaria opportunità con una proposta politica seria e del tutto nuova». A voler essere precisi le novità sono diverse, compreso il Movimento 5 Stelle. L'ha mai conosciuto Grillo? «No, ma non avrei difficoltà ad incontrarlo. La sua discesa nei consensi credo abbia a che vedere con la nostra iniziativa. Scelta Civica pesca molto, e bene, fra gli indecisi o fra coloro che pensavano, sbagliando, di astenersi. Noi e Grillo siamo due espressioni differenti dell'insofferenza popolare. Iconografia della rabbia la sua, gestuale, vivace ma temo inconcludente. Seria, composta, con tante persone capaci, e ormai con esperienze di governo, in Italia e in Europa, la nostra».

A Bergamo verrà scritta, o meglio aggiornata, anche l'Agenda Monti. Il professore è riservato su questo punto. Ma il piatto forte sarà costituito da una nuova, e dalle indiscrezioni dirompente, proposta sul mercato del lavoro. L'idea di trasformare, all'insegna della flexicurity , ovvero flessibilità più sicurezza, all'inizio in forma sperimentale, i contratti precari in contratti a tempo indeterminato per i quali l'articolo 18, quello famoso sui licenziamenti, verrebbe sospeso almeno nei primi due o tre anni. Una riforma che prevederebbe anche il reddito minimo di cittadinanza. E una sicura collisione con il Pd e con la Cgil. Anche, chiedo al presidente una sconfessione della legge Fornero, o no? «Da lei, direttore, sto apprendendo molte cose. Varie persone stanno lavorando ad affinare l'Agenda. Per ora non c'è, su questa materia specifica, nessun orientamento deciso».
La nuova Agenda conterrà anche alcune proposte in tema di giustizia e una posizione più ferma sulla lotta alla corruzione, segno che la legge approvata si è rivelata del tutto insufficiente. «Una constatazione corretta». E la già annunciata riformulazione dell'Imu con beneficio dei piccoli proprietari.
Sul finire di questa lunga conversazione, chiedo al presidente del Consiglio e al leader di Scelta Civica se su liberalizzazioni, privatizzazioni e terapie antidebito non fosse, anche lì, il caso di fare di più. E la risposta è positiva. «Qualche timidezza da parte nostra, è probabile; e qualche ostacolo imprevisto in quel Parlamento che a dispetto dei voti di fiducia, si è rivelato piuttosto refrattario alle vere riforme». E se non sia il caso di parlare di più alla gente comune, alle famiglie, alle piccole imprese che non tirano la fine del mese e che esprimono una più che giustificata insofferenza. «Un governo che avesse di fronte a sé cinque anni e non l'ultimo anno di una legislatura; un governo che nascesse in una situazione finanziaria tranquilla e non nell'allarme rosso, potrebbe e dovrebbe permettersi una ben maggiore attenzione al sociale. Nel novembre 2011 era diverso. Bisognava mettere gli italiani di fronte a verità colpevolmente negate fino al giorno prima. I finti buoni li avrebbero portati al fondo del precipizio, dal quale ci siamo fortunatamente allontanati. Oggi possiamo guardare alla crescita con maggiore ottimismo ed è possibile parlare, senza alcuna incoerenza, di una graduale riduzione delle tasse. Con senso di responsabilità. Senza esagerare in promesse che non si possono mantenere».

Ferruccio de Bortoli

20 gennaio 2013 | 10:47© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_gennaio_20/monti-lavoro-nuova-agenda_dac2c90e-62d0-11e2-b1d5-38c6a83a1ea2.shtml


Titolo: MONTI: La riforma Fornero è ancora un cantiere aperto.
Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2013, 07:32:39 pm
Monti: La riforma Fornero è ancora un cantiere aperto. Vogliamo andare più avanti ma nulla è deciso

20 gennaio 2013


«Sul lavoro, vogliamo andare più avanti di quanto una strana e a volte responsabile maggioranza, non la voglio disprezzare, abbia consentito di fare l'anno scorso». Soprattutto per via di un «blocco socio-sindacale prevalentemente di sinistra». Lo stesso, «con ostacoli che in questo caso sono venuti prevalentemente da destra, anche per ragioni storiche e personali che conosciamo, vogliamo fare nel campo della giustizia, della trasparenza, della lotta alla corruzione».

Mercato del lavoro, niente di deciso: «Siamo un cantiere aperto»
Questo uno dei passaggi in cui il premier uscente, Mario Monti, ha delineato oggi gli obiettivi della nuova coalizione centrista da lui guidata, prendendo la parola alla presentazione dei candidati di Lista Civica presso il parco scientifico tecnologico Kilometro Rosso, a Bergamo. Al suo discorso è subito seguita una conferenza stampa, in cui lo stesso Monti ha voluto frenare sull'idea di un ripensamento dei centristi sulla riforma del lavoro Fornero. Per ora, ha tenuto a precisare, «non c'è nessun orientamento deciso, siamo in un cantiere aperto». Sul tema mercato del lavoro stanno riflettendo «diverse persone molto esperte», che hanno «angolature diverse e complementari».

Io alla guida dei moderati? «Occorre federare i riformatori!»
In apertura del suo intervento, Monti aveva spiegato il suo no alla richiesta di Berlusconi di guidare i moderati: «Non si tratta di federare i moderati, l'Italia non ha bisogno di moderazione o di mezze misure, ha bisogno di riforme radicali per coloro che sono al di fuori dei fortini protetti delle corporazioni, per i giovani. Occorre federare i riformatori e i riformisti».

«Non prendetemi per un politico», ma «mi è venuta la passione»
Quando è salito sul palco della kermesse Monti è stato accolto da un lungo applauso. Tanti anche in piedi. E lui ha sfoggiato la sua ironia. «Non vorrei - ha detto - che mi aveste preso per un politico. Oggi abbiamo parlato di speranza e di una cosa che sarebbe un po' assente in noi, la passione. Vi assicuro che a me è venuta la passione».

Costi della politica, servono facce nuove per cambiare le cose
Uno dei temi centrali del discorso è stato quello dei costi della politica, cosa, ha spiegato il Professore, «Non amo di sventolare come un panno rosso per aizzare gli istinti di deresponsabilizzazione della società». anche se «Ci sono costi e mancanze di efficienza dell'apparato pubblico che abbiamo appena cominciato ad intaccare», pur dovendo fare i conti con un Parlamento dove «si annidano resistenze che rendono difficilissimo andare avanti». Per questo, ha spiegato, «Vogliamo che nel Parlamento ci sia un afflusso di nuove persone e nuova cultura che favorisca un'evoluzione e non faccia resistenza».

Ddl costituzionali per taglio parlamentari e riforma Titolo V
Monti immagina anche di rispondere a una domanda su cosa intende fare al primo Consiglio dei ministri, nel caso sia chiamato di nuovo a fare il premier. « Direi senz'altro un ddl di riforma costituzionale per ridurre il numero dei parlamentari - spiega - e un ddl di riforma costituzionale per un riassetto dello Stato che lo renda meno costoso e più proficuo». Non solo: all'ordine del giorno «anche un ddl costituzionale per rivedere la riforma del Titolo V della Costituzione, adottata qualche anno fa a fin di bene, come sempre quando si interviene su questo fronte....ma che ha di fatto paralizzato la capacità dell'Italia di essere competitiva con infrastrutture rispettose dell'ambiente», ma anche con politiche energetiche adeguate e un settore turismo che non sia penalizzato dalla dispersione delle competenze.

Autocritica per collaborare con Vendola: «Ma scherziamo?»
Parlando dal palco di Bergamo, Monti trova anche spazio per replicare con parole inequivocabili alla richiesta avanzata dal leader di Sel Nichi Vendola di fare autocritica come condizione per collaborare dopo il voto. «Vendola ieri ha dichiarato, dopo una serata molto operativa sulla drammatica questione Ilva, "in fondo potremo anche collaborare con Monti e suoi per le riforma costituzionali purché faccia autocritica". Ma scherziamo? Ci sono a sinistra importanti e apprezzabili impulsi liberalizzatori, relativamente recenti, c'è stato un apprezzabile avvicinamento, ma noi li abbiamo dagli anni Novanta e dovremmo rinnegarli dopo che, con sforzi, una parte della sinistra arriva a questo?», ha detto Monti.

Commozione nel finale pensando ai nipoti
Nelle battute finali del suo discorso, Monti ha ricordato che «C'è una terza coalizione rispetto alla quale crediamo di essere migliori: quella dei non votanti, che pensano di fare un dispetto alla politica non andando a votare». Non volete fare una scelta politica? Ha quindi chiesto il premier, concludendo: «Fate la scelta civica». Con riferimento al nome della sua lista centrista. Al termine il presidente del Consiglio si é commosso ricordando i nipoti. «Pensando ai miei quattro e presto cinque nipotini - ha detto Monti - e dopo questo impegno civico-militare di tredici mesi, ormai, avrei voluto occuparmi più di loro, ma avrei fatto torto a loro e ad altri tanti nipoti italiani. Non fatemi commuovere... Ora vi chiedo di raddoppiare lo sforzo da qui al 24 febbraio».

Sul dopo voto: «Non parteciperò a governi che non siano riformisti»
Ma alla conferenza stampa successiva al discorso che il Monti politico riserva ulteriori indizi sulla direzione che intende dare alla nuova coalizione centrista. Dopo aver chiarito che sui possibili cambiamenti alla riforma Fornero lo stadio è quello di un «cantiere aperto» che coinvolge vari studiosi con idee diverse, Monti chiarisce il suo atteggiamento sulle alleanze politiche post elettorali: «Non parteciperò a Governi che non hanno un forte orientamento riformista, questa sarà la cartina tornasole», rifiutando di pronunciarsi «in termini di alleanze».

Da escludere una nuova manovra di bilancio
Monti esclude anche, apparentemente da tecnico, l'ipotesi di una nuova manovra di bilancio: «Il fatto che la congiuntura vada meno bene non implica la necessità di una manovra aggiuntiva. Abbiamo dato corso agli impegni presi con l'Europa da Berlusconi con l'obiettivo di pareggio di bilancio nel 2013. Obiettivo introdotto nell'estate del 2011 come richiesta europea per dare un segno di volontarismo. Ho ritenuto doveroso per non compromettere questo obiettivo mettere in opera tutte le azioni necessarie -ha concluso Monti- per consegnare il pareggio di bilancio strutturale e riteniamo di essere sulla strada di questo obiettivo».

Rimodulazione Imu «Ipotesi da valutare»
Quanto alla proposta Pd di rimodulare l'Imu, alleggerendo il carico fino allo zero per i patrimoni immobiliari più modesti e compensando sui grandi patrimoni «è una ipotesi da valutare anche quantitativamente. Singole misure di politica fiscale possono essere prese in considerazione, ma è il pacchetto che conta, è difficile dare un giudizio su un elemento del pacchetto», ribadendo quindi un concetto già emerso nel suo discorso: «non è contraddittorio che chi ha fatto parte di un Governo che ha dovuto esser piuttosto rigido sulle imposte in prospettiva possa proporre una graduale riduzione» delle stesse.

Voto studenti Erasmus, il 22 gennaio Cdm
L'incontro di Bergamo è anche l'occasione per annunciare novità alla sua agenda politica. Intanto una nota di Palazzo Chigi segnala che il premier ha invitato il ministro dell'Interno e quello degli Affari Esteri «a fare tutto quanto è possibile per consentire il voto» agli studenti Erasmus. Lo si legge in una nota di palazzo Chigi in cui si aggiunge: «Sul tema i due Ministri riferiranno al Consiglio dei ministri convocato per martedì 22».

Possibili modifiche alla legge Fornero
Alcune anticipazioni di queste novità sono apparse sul Corriere della Sera. «Non possiamo rimettere l'Italia nelle mani degli incapaci, che l'hanno portata al novembre 2011», ha detto Monti al direttore del quotidiano di via Solferino, Ferruccio de Bortoli. Segnalando poi i lavori in corso sull'agenda degli impegni per la prossima legislatura «"Varie persone stanno lavorando ad affinare l'Agenda», anche se per ora «su questa materia specifica, non c'è nessun orientamento deciso». «L'idea è di trasformare, all'insegna della flexicurity, ovvero flessibilità più sicurezza, all'inizio in forma sperimentale i contratti precari in contratti a tempo indeterminato per i quali l'articolo 18, quello famoso sui licenziamenti, verrebbe sospeso almeno nei primi due o tre anni. Una riforma che prevederebbe anche il reddito minimo di cittadinanza».

Bombassei: priorità per lavoro e occupazione
«Lavoro e occupazione» sono due delle priorità che dovrà avere il governo, secondo Alberto Bombassei, patron della Brembo e già vicepresidente di Confindustria, candidato alla Camera nella lista Monti. Bombassei oggi partecipa all'incontro con il premier al Kilometro rosso. «Credo che lo sforzo - ha aggiunto Bombassei - debba essere corale per far diventare il Paese più competitivo».

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da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-20/monti-prepara-agenda-prossima-124744.shtml?uuid=Ab8xJDMH&p=3


Titolo: Re: MONTI - “Noi siamo il vero nuovo”
Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2013, 07:48:34 pm
Politica
20/01/2013 - l’analisi

Un ruolo a Nord e società civile

Monti: “Noi siamo il vero nuovo”

La sfida del Professore da Bergamo

Michele Brambilla

Mario Monti ha aperto oggi la sua campagna elettorale a Bergamo, al «kilometro rosso» dell’imprenditore Alberto Bombassei, che correrà per un posto in parlamento. L’ha aperta davanti ai suoi candidati: ma il messaggio che ha voluto lanciare è diretto a tutto il Paese. Ed è un messaggio che vuole innanzitutto ricordare quanto di buono ha fatto il suo governo, un governo che oggi - con argomenti diversi ma per motivazioni identiche - sia la destra che la sinistra, che pure l’avevano appoggiato, rinnegano. 

Monti ha voluto ricordare che il Paese davvero era sull’orlo del fallimento, e ha rivendicato con orgoglio i risultati ottenuti. Ma il premier ha voluto soprattutto guardare al futuro. Ha voluto dire che il prossimo governo non dovrà, come il suo, partire da una situazione di allarme rosso, proprio perché il pericolo di un default non c’è più, e quindi «non è per nulla incoerente» che lui oggi parli di una «graduale riduzione delle tasse». Monti ha voluto guardare avanti soprattutto presentando i candidati della sua lista «Scelta civica», dei quali nessuno è mai stato parlamentare. «Noi siamo il vero nuovo», ha insomma voluto dire Monti, perché tutti i candidati vengono davvero dalla società civile. Ma anche e soprattutto perché nuova è l’anima di questa sua formazione, che vuole superare davvero i vecchi schemi di destra e sinistra.

Ha voluto partire dal Nord, il premier. «Dalla mia Lombardia», ha detto. E poi ha parlato della «sua» Varese. Territori che vent’anni fa hanno dato origine ad altre avventure nate dalla società civile o dal popolo, e quindi fuori dalla politica come fuori dalla politica è l’origine di Monti e dei suoi candidati. Forza Italia e la Lega, insomma. Le quali però, ha detto Monti, hanno tradito, portando avanti promesse vuote e illusorie. La sfida partita oggi a Bergamo è proprio questa: ridare un ruolo al Nord e alla società civile con un altro stile, con altri obiettivi e con un’altra politica.

da - http://lastampa.it/2013/01/20/italia/politica/un-ruolo-a-nord-e-societa-civile-monti-noi-siamo-il-vero-nuovo-Jz11idydqrDOcogPcUMzWP/pagina.html


Titolo: MONTI - Monti risponde a Ft e attacca ancora i partiti: "Con i loro apparati...
Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2013, 07:54:31 pm
Monti risponde a Ft e attacca ancora i partiti: "Con i loro apparati riforme impossibili"

Per il Professore, definito "poco adatto a governare l'Italia" in un editoriale di Wolfgang Munchau, l'autore "ha una vecchia polemica con Merkel e vorrebbe che tutti dessero colpi d'ariete per far saltare l'Eurozona".

Poi il Professore rincara sulle riforme: "Società civile si impegni in prima persona. Questo è il mio obiettivo"


ROMA - "Senza il nostro risanamento in tempi così brevi e la nostra azione di spinta per lo scudo anti-spread, anche la Bce non avrebbe potuto fare il molto che poi ha fatto". Così Mario Monti, in un'intervista al Tg 2, replica all'editoriale del Financial Times in cui viene definito come "poco adatto" a governare l'Italia. Per Monti, l'autore dell'editoriale è animato da "una vecchia polemica con Merkel".

"Non me l'aspettavo dal Financial Times, ma da Wolfgang Munchau (il nome dell'autore, ndr) sì, uno specifico editorialista che ha una vecchia polemica con Merkel e vorrebbe che tutti dessero colpi d'ariete per far saltare l'eurozona" ha spiegato il Professore al Tg2. "Domani sul Financial Times - anticipa Monti - ci sarà una lettera che fa capire a Munchau perché le sue frustrazioni verso la Germania non sono necessariamente da scaricare su chi in condizioni difficili ha governato l'Italia".

Monti è poi tornato sulla giornata di ieri, con l'apertura della sua campagna elettorale e la presentazione dei 400 candidati della lista "Scelta Civica" al Kilometro Rosso di Bergamo. "Ieri è stato un passaggio faticoso ma doveroso per l'Italia, perché per dare lavoro ai giovani servono riforme molto incisive. Riforme che nell'ultimo anno ho constatato che possono essere avviate, ma non portate fino in fondo con i partiti e i loro apparati" ha ribadito Monti, richiamando un passaggio del suo discorso a Bergamo.

"Per questo - ha aggiunto il Professore - è necessario che la società civile si impegni di più in prima persona. Questo è il mio obiettivo e la presentazione delle liste ieri mi ha incoraggiato". Il ritorno alla crescita "è possibile, necessaria - ha avvertito Monti - ma non con la continuazione delle politiche degli ultimi 20 anni. Ecco perché mi sono deciso a questo passo".

(21 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/21/news/monti_ribatte_a_financial_times-51012923/?ref=HRER2-1


Titolo: MONTI - Mps, Monti: "Il Pd c'entra, ha avuto influenza".
Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2013, 11:15:09 pm
Mps, Monti: "Il Pd c'entra, ha avuto influenza".

Ira di Bersani. Grilli: "Dirò tutto martedì"

Il presidente del Consiglio uscente attacca il Partito democratico sulla vicenda del Monte Paschi.

Vendola: "Parole sgradevoli". Il segretario: "Il Professore per un anno è stato zitto, adesso ci critica quotidianamente"


ROMA - E' sul caso Montepaschi che si combatte in queste ore la campagna elettorale. E ad aprire le danze è, di prima mattina, il premier dimissionario Mario Monti. "Non voglio attaccare Bersani, ma il Pd c'entra nella questione Mps. Critico piuttosto la commistione fra banche e politica", dice ospite a Radio Anch'io su Radio Uno, in merito alla vicenda della banca di Siena. E Pierluigi Bersani risponde dall'assemblea della Cgil: "Monti adesso trova un difetto al Pd tutti i giorni, mentre per un anno non ne ho mai sentiti". Il premier uscente alla radio sottolinea che "Il Partito democratico è coinvolto in questa vicenda perchè ha sempre avuto grande influenza sulla banca attraverso la sua fondazione e il rapporto storico con il territorio culturale e finanziario senese". Per Monti "il fenomeno antico della commistione tra banche e politica è una brutta bestia che va sradicata", che siano poi i partiti a puntarsi l'indice l'uno contro l'altro: "Lascio ad altri le corride elettorali", sentenzia.

Il governo non ha colpe. "Il governo non ha responsabilità - aggiunge il leader di Scelta Civica-  ma deve evitare che ci siano problemi nel sistema bancario italiano e assicurare il buon funzionamento delle autorità indipendenti".  I risparmiatori italiani,
messi a dura prova nei loro nervi, "devono sapere che le banche italiane sono state tra le più solide durante la crisi finanziarie", sottolinea Monti.

L'Imu non è un regalo a Mps. Quanto alle polemiche sollevate da chi ha accusato il governo di aver introdotto l'Imu per salvare il Monte dei Paschi, Monti replica: "I soldi dell'Imu vanno al settore pubblico, ci vanno e ci restano. C'è una nuvola terroristica circa gli importi relativi alla questione su Mps diventati oggetti di corride politiche". Il governo, precisa il premier, "non ha fatto alcun regalo al Monte dei Paschi di Siena: si tratta di un prestito di 2 miliardi, con un interesse molto oneroso pari al 9 per cento, mentre i restanti 1,9 miliardi sono rimborsi dei precedenti Tremonti bond". E chiarisce che il prestito "è stato previsto non di iniziativa italiana ma dall'autorità bancaria europea che ha modificato i criteri per l'adeguatezza di tutte le banche in Europa e ha richiesto una maggiore capitalizzazione di Mps". L'Ue, infatti, ha delle regole che disciplinano gli aiuti di stato e i prestiti fatti dalle banche a tassi inferiori sarebbero aiuti di stato e incorrerebbero nella disciplina Ue: questo rende più oneroso il prestito e tranquillizza il contribuente, "perché non si tratta di regali - specifica il Professore - o assegnazioni a fondo perduto ma di prestiti a tassi onerosi in fondo convenienti per lo stato". In ogni caso Monti ha "piena e totale fiducia nella Banca d'Italia e nei confronti del governatore Ignazio Visco, così come nel ministro dell'Economia Vittorio Grilli". Grilli che, dopo le tensioni delle ultime ore con Bankitalia, ora prende tempo: "Tutto quello che ho da dire lo dirò nell'audizione che martedì avrò in Parlamento in Commissione finanze". E prova a smorzare le polemiche: "L'unica cosa che mi preme dire è che ho letto interpretazioni in cui alcuni mi attribuiscono critiche sulla autorità di vigilanza. Ribadisco la mia assoluta fiducia e stima sulla Banca d'Italia di ieri e di oggi".

Le reazioni dei leader politici. Il primo a rispondere a Monti sulla questione del presunto coinvolgimento del Pd nella vicenda del Monte Paschi è Nichi Vendola. "E' sgradevole sentire che Monti dà lezioni al Pd di buona finanza", sostiene il leader di Sel all'assemblea della Cgil, e sulla questione Monte dei Paschi, "farebbe bene a tacere". Vendola ha sottolineato che per anni il centrosinistra ha denunciato i rischi "della finanza dei derivati e non ha mai avuto in Monti un interlocutore attento". Il governatore della Puglia racconta di aver scritto al Professoresollecitando una maggiore regolamentazione sui vari strumenti della finanza. "Ma - sottolinea- ogni volta che si tratta di intervenire sulla base della piramide sociale lo si fa con una grande velocità mentre quando si deve intervenire sul vertice ci sono problemi tecnici. Evidentemente la tecnica è competente sui deboli non sui più forti". Pier Ferdinando Casini, invece, chiama in causa il 'rottamatore': "Se c'è una responsabilità politica? Sì, come ha detto Renzi, che è il sindaco di Firenze e conosce bene Siena, ci sono responsabilità evidenti della sua parte politica. Se lo dice Renzi faccio fatica a non dirlo io". Per il capogruppo Pdl al Senato Maurizio Gasparri tra Monti e Bersani si assiste a "uno scaricabarile indecoroseo", mentre Francesco Storace, segretario de La Destra, si chiede su Twitter: "Spariscono 4 miliardi di euro da una banca. Il partito di riferimento farfuglia, la magistratura sta ferma. Ma le manette non scattano?". Il caso Monte Paschi per Giorgia Meloni è "un triste esempio dell'operato di Monti" e per Gianpiero Samorì, imprenditore e candidato alle elezioni con il Mir, lo Stato dovrebbe intervenire per togliere il controllo del Monte dei Paschi dalla Fondazione, e far diventare l'istituto una banca pubblica.

(25 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/25/news/mps_monti_il_pd_c_entra_ha_avuto_influenza-51240951/


Titolo: MONTI - E il Prof apre al Pdl ma senza Berlusconi
Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2013, 11:16:25 pm
Il Pd a Monti: "Solo ora ci trovi dei difetti?"

E il Prof apre al Pdl ma senza Berlusconi

Il premier durissimo con Pd e Pdl: "Per venti anni hanno rovinato l'Italia".

Ma manifesta disponibilità ad accordi con la destra senza il Cavaliere.

La replica del segretario dei democratici


ROMA - La misura è colma e il Pd sbotta contro Mario Monti. Il crescendo di attacchi del Professore ai democratici ha assunto oggi toni molto duri. Il leader di Scelta civica, ospite di Radio Anch'io su Radio Uno, ha prima accusato il partito di Pierluigi Bersani di essere coinvolto nella vicenda del Monte dei Paschi di Siena. Poi ha lanciato critiche sia destra che a sinistra, colpevoli di aver messo l'Italia in ginocchio negli ultimi vent'anni, e ha aperto al tempo stesso uno spiraglio su un'ipotetica alleanza con il Pdl ma senza Berlusconi. La reazione del Partito democratico non si è fatta attendere. Il segretario, dal palco dell'assemblea Cgil, ha replicato con sdegno: "Monti per un anno è stato zitto, solo ora ci trova un difetto al giorno". Una risposta poi rafforzata anche dal tweet di Dario Franceschini: "Ascolto Monti attaccare Parlamento e Pd - scrive il capogruppo dei democratici alla Camera - e mi chiedo se è lo stesso premier che abbiamo sostenuto o un suo sosia a caccia cinicamente di voti".

Pd e Pdl hanno messo l'Italia in ginocchio. Il leader di Scelta Civica, alla radio, dopo essersi lasciato alle spalle la questione Mps, parla dapprima di un ipotetico accordo con il Pd. "Dipenderà da quali politiche l'onorevole Bersani riterrà di mettere in campo", risponde Monti. "Se sono quelle che vengono espresse con piena legittimità dalle componenti più massimaliste - aggiunge - non ci sarà proprio la possibilità di un lavoro comune". Poi l'apertura al Pdl:  "Poniamo che il Pdl, magari non sempre guidato dall'onorevole Berlusconi... si potrebbe benissimo immaginare una collaborazione con quella parte, una volta mondata ed emendata dal tappo che impedisce le riforme". Del resto, per il Professore, "chi è contento di quello che è successo negli ultimi vent'anni, ha la scelta facile: basta che voti o il Pd collegato con l'estrema sinistra o il Pdl collegato con la Lega, che hanno tenuto in piedi o in ginocchio per vent'anni l'Italia". Per Monti Scelta Civica è l'unica novità nel panorama politico dell'ultimo ventennio: "'Ho voluto dare agli italiani una possibilitò nuova", osserva.

Costi della politica. "Abbiamo proposto di fare molto di più" sui costi della politica, ma per quanto riguarda le regioni e altro "gran parte del nostro lavoro è stato bloccato in Parlamento", sostiene il premier uscente, che aggiunge: "Occorre ridurre anche di molto i costi della politica" ma sarebbe necessaria "una maggioranza formata" da persone meno legate agli apparati. Il leader di Scelta Civica ribadisce poi che tra i primi atti parlamentari ha intenzione di presentare un disegno di legge per modificare la legge elettorale visto che sul Porcellum le forze parlamentari hanno fatto "solo moine".

Andrò nelle piazze. Monti infine annuncia l'avvio del suo tour elettorale. "Girerò per l'Italia con i limiti che derivano dal fatto che sto gestendo un governo ancora in carica.

Domani sarò a Milano, anche nelle strade e nelle piazze".

(25 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/25/news/monti_destra_e_sinistra_hanno_rovinato_l_italia_accordo_con_il_pdl_ma_senza_berlusconi-51247523/


Titolo: MONTI - «Giù l'Imu dal 2013 e Irpef e Irap dal 2014»
Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2013, 11:33:50 pm
Il premier ospite di Omnibus

Fisco, Monti promette: «Giù l'Imu dal 2013 e Irpef e Irap dal 2014»

«Più detrazioni su prima casa e figli. Escludo manovra bis ma dipende dal voto».

A Bersani: «Se parlo di Mps mi sbrana»


Mario Monti, ospite di Omnibus, illustra il suo programma in materia fiscale. A cominciare dall'imposta sulla casa: «Imu ridotta dal 2013, e cioè accrescere la detrazione sulla prima casa da 200 a 400 euro e il raddoppio delle detrazione da 100 a 200, per ciascun figlio e anziano a carico fino a un massimo di 800 euro». «Il costo stimato - ha detto il leader di Scelta Civica - è due miliardi e mezzo; la copertura viene dal contenimento della spesa corrente primaria pari a circa 3 miliardi. Sull'Irap, il programma prevede, una "riduzione favorevole al lavoro dal 2014" con "l'eliminazione del monte salari dalla base imponibile dell'Irap"». Il totale, ha spiegato, «sarà pari al dimezzamento dell'attuale carico fiscale sul settore privato, circa 11,5 miliardi di imposta in meno in cinque anni sulle imprese». Infine il capitolo Irpef: «Meno Irpef dal 2014, vogliamo ridurre il peso dell'imposta a partire dai redditi medio bassi attraverso l'aumento delle detrazioni per i carichi familiari e la riduzione delle aliquote a partire da quelle più basse, complessivamente nella legislatura ridurremo il gettito Irpef di 15,5 miliardi».

ESCLUDO MANOVRA BIS - Il presidente del Consiglio ha anche escluso «per ora» la necessità di una manovra bis. Per il momento una manovra correttiva dei conti pubblici per il 2013 «io la escludo, ma naturalmente non escludo niente dopo l'esito del voto». Quindi per Monti questo dipende dall'esito del voto del 24 febbraio. «Anche se nel 2013 il Pil andasse peggio di quanto previsto tempo fa, e se fosse negativo, questo non porterebbe la necessità di una manovra, perché l'obiettivo di bilancio è in termini strutturali, non per ciclo. Quindi io escludo la manovra, ma non escludo niente in certi casi di esiti del voto», spiega Monti.

I FISCHI - «I pochi fischi domenica è normale che fanno notizia, ma sono stati meno di quelli che io mi aspettavo». Il candidato di Scelta Civica, ha sottolineato come «tra i candidati premier solo Oscar Giannino è stato in Emilia nei luoghi colpiti dal sisma, gli altri si sono astenuti, mentre io ho pensato fosse giusto avere il mio primo contatto da lì e sono contento di averlo fatto perchè ho dato alcune spiegazioni ricordando che in quel periodo ci fu anche un terremoto finanziario che ci ha molto legato le mani». Il premier ha detto di aver trovato «sintonia» con le popolazioni locali per «le reazioni di iniziativa che hanno posto in atto dopo il terremoto». Poi ha aggiunto: «Ho notato che viene chiesto l'abbonamento Rai e cose del genere ai cittadini che hanno perso la casa; ovviamente mi occuperò oggi stesso di questi aspetti».

BERSANI - Monti ha anche risposto ad una domanda di Antonio Padellaro, che gli aveva chiesto se la vicenda Mps potesse in qualche modo significare che il segretario del Pd abbia più rapporti con i «poteri forti» di quanti non ne abbia eventualmente il premier. Bersani e i poteri forti? «Se rispondessi alla sua domanda rischieremmo di essere sbranati in due. Oggi invece è il suo turno».

BERLUSCONI - Monti torna poi sulle parole di Silvio Berlusconi su Mussolini, pronunciate domenica all'inaugurazione del Memoriale della Shoah a Milano. «Quella di Berlusconi, se è stata una battuta infelice, è stata davvero infelice per il luogo e l'occasione in cui è avvenuta».

QUIRINALE - Poi Mario Monti ammette che la sua elezione al Colle non è irrimediabilmente compromessa dalla sua candidatura alle elezioni politiche. Il premier uscente spiega che la presidenza della Repubblica non era tuttavia un suo obiettivo. «Se fosse stato un mio obiettivo - osserva - mi sarei regolato diversamente». Ma a questo punto lo si può considerare un obiettivo precluso? «Dipende da altri, non da me».

Redazione Online

28 gennaio 2013 | 9:56© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_gennaio_28/monti-casa-detrazioni_ac4935a4-6924-11e2-a947-c004c7484908.shtml


Titolo: MONTI su Berlusconi e le lodi a Mussolini "Davvero infelice, se è ...
Inserito da: Admin - Gennaio 29, 2013, 10:35:20 pm
Monti su Berlusconi e le lodi a Mussolini "Davvero infelice, se è stata una battuta"

Il premier uscente commenta le frasi del Cavaliere sul "buon operato" del Duce "eccetto le leggi razziali".

Parole inappropriate "per il luogo e la circostanza" in cui sono state pronunciate.

Berlusconi al tg5: "Speculazione politica". Brunetta difende il Cavaliere: "Da Berlusconi parole di buonsenso nel momento sbagliato".

Ue: "Leader politici prendano posizione contro chi nutre odio razziale"


ROMA - "La battuta di Berlusconi, se è stata una battuta, è stata veramente molto, molto infelice per il luogo e la circostanza in cui è stata effettuata". Così il premier uscente Mario Monti, ospite di Omnibus su la7, commenta le frasi di ieri di Silvio Berlusconi su fascismo e legge razziali che hanno provocato un diluvio di critiche da più parti, anche per la coincidenza con le commemorazioni del giorno della memoria, anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. "Certi focolai potrebbero ripetersi - ha aggiunto il premier uscente - Per questo bisogna guardarsi soprattutto dall'indifferenza".

Dalla Ue si eleva invece la voce della commissaria Cecilia Malmstrom, che a precisa domanda sulle dichiarazioni di Berlusconi sul fascismo risponde: "Nelle politiche europee, nei parlamenti europei e persino in alcuni governi ci sono partiti e voci che nutrono questo tipo di odio. E' preoccupante. Per questo è necessario che tutti i leader politici prendano posizione contro".

Di fronte alla sollevazione, Silvio Berlusconi si difende al Tg5: "Nè una gaffe nè un ragionamento elettorale.
Ho detto con chiarezza inequivocabile che le leggi razziali sono un marchio infamante di Mussolini. Non si possono avanzare dei dubbi sulla mia posizione se non per imbastire una speculazione politica. Quale leader italiano, se non il sottoscritto, è stato definito dal primo ministro in carica in Israele come l'amico migliore d'Israele? Mi rivolgo a tutti gli italiani di buon senso, è una polemica montata ad arte per la campagna elettorale".

Per l'ex ministro Renato Brunetta, Berlusconi ha espresso parole di "buonsenso" in una circostanza sbagliata, come la giornata della memoria. "Il pensiero comune italiano è quello espresso da Berlusconi, vale a dire che Mussolini è un dittatore che ci ha portato in guerra e ha fatto le leggi razziali, che sono un abominio. Che però il regime fascista negli anni '20 abbia prodotto un welfare per le masse senza democrazia, di cui alcune cose, come l'Inps, durano ancora oggi, simile a quello prodotto in Unione sovietica, gli italiani lo sanno. Questo non può giustificare nulla di quella dittatura, però descrivere senza demonizzazioni e senza strumentalizzazioni è possibile - ha spiegato ancora Brunetta -. Abbiamo un presidente della Repubblica che ha giustificato le invasioni sovietiche, possiamo benissimo avere un ex premier che, in maniera corretta, dica esattamente cos'è stata la dittatura di Mussolini". 

Berlusconi frainteso, secondo Maria Stella Gelmini: "Credo che il presidente Berlusconi sia stato frainteso. Il giudizio che noi diamo sul fascismo è un giudizio negativo. Lo ha detto il presidente Berlusconi stesso. Purtroppo si è alimentata una polemica sul tema più sbagliato nel giorno più sbagliato e di questo siamo evidentemente tutti molto dispiaciuti".

In difesa del Cavaliere anche Renata Polverini, candidata del Pdl alla Camera e presidente dimissionaria della regione Lazio. "Berlusconi ha sempre dato segnali contro ogni forma di dittatura - osserva su Skytg24, è sempre stato ottimo amico dello stato di Israele. Forse ieri gli è venuta male la battuta ed era il giorno meno adatto per parlare in quei termini di Mussolini".

Chi non accetta la ricostruzione della "battuta" è Giulia Bongiorno, candidata Udc-Fli alla presidenza della regione Lazio, che durante il forum online a Repubblica Tv attacca: "Monti ha detto che si è trattato da parte di Berlusconi di 'una battuta infelice', io vorrei andare oltre: è un fatto grave e non è una battuta". "Berlusconi gioca molto sul 'ci fa o ci è' - prosegue Bongiorno -. Io credo che non sia una battuta, ma sia un suo convincimento. Ed è di una gravità inaudita. Se una persona aspira a essere premier deve essere consapevole di quello che dice. Non è la prima volta che fa una battuta del genere".

Duro anche Italo Bocchino, vicepresidente di Futuro e Libertà: "Berlusconi è un uomo di spettacolo, di televisione, suonava sulle navi, cantava, poi si occupava di come doveva stare la gente dietro le telecamere.
L'approfondimento storico non appartiene alla sua cultura e lo si evince anche dalla sua ultima dichiarazione. Quando un sistema politico arriva a un orrore come le leggi razziali, non può più essere giudicato per nessun altro atto".

Guido Crosetto e Umberto Ambrosoli, entrambi ospiti di Agorà su Raitre, leggono nelle parole del Cavaliere una mossa dettata da un tornaconto elettorale. "E' un calcolo fatto dalla persona che meglio di tutti conosce l'incidenza della televisione nelle case e nelle famiglie - spiega il cofondatore di Fratelli d'Italia-Centrodestra nazionale -. Da una parte si tratta di un giudizio popolare, che dato nel giorno della Memoria assume un significato politico diverso, dall'altra è un'operazione di marketing, cioè parlare a tutto quell'elettorato che sta al di là e al di fuori della sinistra".

Per Ambrosoli, candidato alla presidenza della regione Lombardia per il centrosinistra, la frase su Benito Mussolini "è tutta studiata e mira a coinvolgere un determinato elettorato. Il che significa che, secondo Berlusconi, ancora oggi in Italia un'affermazione di quel genere porta consenso".

Il sindaco di Torino, Piero Fassino, evidenzia la gravità delle parole di Berlusconi ricollegandole al il ritrovamento di una svastica su una lapide della città che ricorda i nomi di quattro partigiani uccisi dai nazifascisti: "Gesto squallido che si commenta da sè. A maggior ragione, proprio di fronte ad episodi di questo genere, risulta incomprensibile ed inaccettabile che uno dei principali politici del nostro paese trovi il modo di esaltare Mussolini e il fascismo".

(28 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/28/news/monti_berlusconi-51434728/


Titolo: MONTI - "Fischi in Emilia? Meno di quanti me ne aspettassi"
Inserito da: Admin - Gennaio 29, 2013, 10:38:53 pm
Monti: "Fischi in Emilia? Meno di quanti me ne aspettassi"

La visita del premier nella Bassa


Il premier sull’accoglienza riservatagli dalle popolazioni delle zone colpite dal sisma: “Tra i candidati premier solo Oscar Giannino si e’ presentato in quei luoghi, gli altri che io sappia si sono astenuti. Credo fosse giusto iniziare da lì il primo contatto di massa di questa campagna". Poi ha annunciato che il governo interverrà sul differimento di alcune imposte nelle zone terremotate
Modena, Mario Monti in visita a Concordia

Modena, 28 gennaio 2013 - “I fischi e le contestazioni fanno notizia, ma quelli che ho ricevuto sono stati meno di quelli che mi aspettavo”. Lo ha affermato Mario Monti, ospite di Omnibus su La7, sull’accoglienza riservatagli ieri dalle popolazioni delle zone colpite dal sisma in Emilia. “Tra i candidati premier solo Oscar Giannino si e’ presentato in quei luoghi, gli altri che io sappia si sono astenuti. Credo fosse giusto iniziare da li’ il primo contatto di massa di questa campagna”.

“Ho potuto dare rassicurazioni e ho potuto spiegare - ha aggiunto il premier - che e’ arrivato dopo che tutta Italia era stata colpita da un grave ‘terremoto finanziario’”. Quanto all’operazione condotta in Europa per accedere ai fondi comunitari, e’ stata complicata dopo la “grande perdita di credibilita’ in cui l’Italia era in corsa in Europa dopo la gestione del terremoto de L’Aquila. Mi riferisco alle inchieste e a taluni scandali”.

“Per quanto riguarda certi pagamenti fiscali, dobbiamo rimontare questa grande perdita di credibilita’. Si parte da un muro, a Bruxelles sono molto attenti. Mi riferisco alla gestione e alle diverse inchieste. Mi sembra di ricordare taluni scandali che sono avvenuti. Ma noi italiani saremo molto pronti a protestare se in occasione di un terremoto l’Europa consentisse ad un altro paese aiuti che vanno al di la’ del danno subito”, ha aggiunto Monti.

Poi ha annunciato che il governo interverra’ sul differimento di alcune imposte nelle zone dell’Emilia colpite dal terremoto. “Per quanto riguarda i differimenti delle tasse - ha sottolineato il premier- ho notato che viene chiesto il pagamento dell’abbonamento Rai a chi ha perso la casa. Mi occupero’ oggi stesso di questi aspetti...”. A proposito delle imposte nelle aree terremotate, Monti ricorda che “la settimana scorsa e’ stato adottato il provvedimento che aumenta dall’80 al 100% il rimborso” per le imprese che ne avevano diritto.

da - http://www.ilrestodelcarlino.it/modena/cronaca/2013/01/28/837010-mario-monti-contestazioni-mirandola-concordia-fischi.shtml?utm_source=mrsend&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter


Titolo: Monti: "Riforma del lavoro, ostacolati da Cgil"
Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2013, 07:39:24 pm
Monti: "Riforma del lavoro, ostacolati da Cgil"

E la Ue mette l'Italia in mora sui diritti sindacali

Da Davos, nuove bordate del Professore alle forze della "vecchia politica" che ne hanno frenato l'azione: il sindacato della Camusso che ha impedito a Fornero di fare di più, l'ostruzione del Pdl nella lotta a corruzione e conflitto d'interesse.

La Commissione Ue dà all'Italia due mesi perché anche i precari siano considerati nel calcolo dei rappresentanti sindacali


ROMA - Mario Monti, candidato premier di "Scelta Civica", rinnova il suo attacco alle forze della "vecchia politica" che hanno, a suo dire, ostacolato la sua azione riformatrice del governo tecnico. Questa volta, l'attacco frontale del Professore è portato contro la Cgil. Intervenendo al World Economic Forum di Davos, in Svizzera, Monti ha affermato che sulla riforma del lavoro c'è ancora molto da fare, perché nonostante l'operato del ministro Elsa Fornero "non siamo andati abbastanzi lontani" a causa della Cgil, che "è considerevolmente resistente al cambiamento". Ma l'Europa non si limita ad ascoltare la campana del premier. Ed ecco la Commissione europea procedere al secondo passo nella procedura di infrazione contro l'Italia per la mancata applicazione della direttiva Ue sulla rappresentanza sindacale per i contratti di lavoro a tempo determinato: dare all'Italia due mesi di tempo per adeguare le norme sulla rappresentanza sindacale.

Monti a Davos: "Tutta colpa di un sindacato". A Davos, durante una tavola rotonda con altri primi ministri, a Monti viene chiesto cosa farebbe contro la disoccupazione in Italia, soprattutto quella giovanile. Il Professore risponde: "Due cose. La prima, misure specifiche per i giovani. E nonostante le difficoltà di bilancio, già abbiamo iniziato ad aiutare fiscalmente le imprese che assumono i giovani, ma molto può essere ancora fatto in una prospettiva di cinque anni, ora che abbiamo una situazione di finanza pubblica molto più solida".

Il secondo ingrediente della ricetta Monti è la riforma del lavoro "che abbiamo varato". "Non è andata avanti abbastanza per colpa di un sindacato che ha resistito decisamente al cambiamento e non ha firmato accordo che gli altri (Cisl e Uil, ndr) avevano firmato" ha spiegato il candidato premier centrista durante il panel del forum economico svizzero, con un implicito riferimento alla Cgil. "Va cambiata questa cultura" ha aggiunto il premier dimissionario.

Secondo Monti, uno dei temi cruciali della campagna elettorale "è quale configurazione politica è più in linea con il bisogno di riforme". "L'idea che promuoverei se fossi nella posizione di farlo - ha quindi spiegato il Professore -, è in sostanza di unire le forze pro-riforme che sono disperse nei vari schieramenti, così da avere più energia dietro le riforme". Quindi, se da un lato Monti ha attaccato la Cgil, dall'altro ricorda come in Italia "il partito di destra (il Pdl, ndr) ha resistito sulle leggi anti corruzione o sul conflitto di interessi: abbiamo fatto qualcosa, ma dobbiamo unire le forze riformiste per fare di più e dare nuova vita all'economia italina. I primi beneficiari sarebbere giovani e disoccupati".

Rappresentanza e contratti a termine, Italia messa in mora. Nella procedura di infrazione aperta a carico dell'Italia per la mancata applicazione della direttiva Ue sulla rappresentanza sindacale per i contratti di lavoro a tempo determinato, l'esecutivo di Bruxelles ha inviato un "avviso motivato" che dà a Roma due mesi per comunicare le misure adottate per la trasposizione integrale della legge europea del 1999. La direttiva prevede che i lavoratori con contratto a termine siano presi in considerazione per il calcolo dei rappresentanti sindacali. Le norme italiane prevedono che si tenga conto solo dei contratti con durata superiore a nove mesi.

Secondo una nota della Commissione "ciò implica che i lavoratori con contratti di durata inferiore non sono presi in considerazione nel calcolo necessario a determinare se un'impresa è sufficientemente grande per dover avere organi di rappresentanza sindacale". "Se l'Italia non rispetterà i due mesi concessi "la Commissione potrebbe decidere di deferire il nostro Paese davanti alla Corte di Giustizia Ue".

(24 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/24/news/monti_cgil-51191001/


Titolo: Monti: «Noi avversari della sinistra di Vendola,ma nessuna alleanza col Pdl»
Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2013, 07:40:18 pm
Il premier dimissionario: «si allontana un mio coinvolgimento nella vita pubblica»

Monti: «Noi avversari della sinistra di Vendola,ma nessuna alleanza col Pdl»

«Nessuno dei due poli dà garanzie riformiste per scrostare l'Italia dagli interessi corporativi»



Mario Monti ha assicurato che il suo impegno in politica non mira a un coinvolgimento nel futuro governo. «Non siamo entrati per andare al governo», ha detto il premier nel corso di una conferenza stampa a Milano per la presentazione dei candidati di Scelta Civica, anzi «sto facendo la cosa che più di altre allontana un mio futuro coinvolgimento nella vita pubblica, ma coglie l'unica possibilità utile per il Paese».

«AVVERSARI DELLA SINISTRA» - E ha confessato qual è la linea programmatica del suo "centro" (e quali i suoi avversari politici): «Siamo elettoralmente avversari della sinistra e a maggior ragione della sinistra di Vendola, e ci preoccupa la forte influenza della Cgil sullo schieramento di Bersani».

IMPRONTA RIFORMISTA - «Non vorremmo partecipare a nessun governo che non avesse una forte impronta riformista o nel quale fossero presenti o influenti forze con intonazione populista o anti-europea», ha poi rincarato Monti. Né il polo con la destra e la Lega né quello del Pd «con l'estrema sinistra» danno garanzie di andare avanti «con le riforme per scrostare l'Italia dagli interessi corporativi delle categorie», ha accusato il premier dimissionario.

LE (FUTURE) ALLEANZE - «Quando il Parlamento sarà insediato si potrà parlare di alleanze», è possibilista sul futuro Monti, ma non sul presente. Il premier ha sgombrato il campo da ogni insinuazione rispetto a possibili coalizioni con uno o l'altro schieramento. «Non c'è il disegno di
un' alleanza con il Pdl, ma un dialogo sui contenuti che esiste con alcuni schieramenti del Pdl come del Pd» ha detto Monti.

IL CASO MPS - E il Professore si è anche espresso sulla candidatura di Alfredo Monaci, ex membro del cda di Monte dei Paschi durante la gestione Mussari, alla Camera nella Lista Monti: «Il nostro candidato, che non conosco, è stato segnalato dal territorio e non sapevo che fosse stato del Pd nè di quale ala del Pd fosse». «So solo che lui, come tutti i candidati - ha proseguito - ha firmato la dichiarazione di non avere condanne passate in giudicato».

IL RAPPORTO CON BERLUSCONI - Monti ha avuto modo di affrontare anche il rapporto con uno dei suoi competitor per la corsa alla guida del Paese: Silvio Berlusconi. «Lui è una persona i rapporti personali sono molto facili e mi dispiace quando dice, magari essendone convinto lui stesso, che abbiamo rovinato l'economia italiana».

Redazione Online

26 gennaio 2013 | 17:00© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_gennaio_26/monti-elezioni-sinistra-vendola_e5b2a458-67c9-11e2-8a76-cd5e3242e53f.shtml


Titolo: MONTI a Bruxelles: «Mai detto a Italiani che austerità è colpa dell'Europa»
Inserito da: Admin - Gennaio 31, 2013, 07:16:39 pm
Monti a Bruxelles: «Mai detto a Italiani che austerità è colpa dell'Europa»


BRUXELLES - L'Unione Europea «è stata concepita per il lungo periodo, deve e può permettersi una visione di lungo termine», ma è vero che «nell'esercizio di alcune delle sue funzioni troppo spesso si è ripiegata sul breve periodo».
A dirlo è stato il premier Mario Monti, che a Bruxelles, nella sede del Palazzo delle belle arti (Bozar), ha presentato il suo libro, «La democrazia in Europa», scritto insieme all'europarlamentare francese Sylvie Goulard. «Bisogna guardare più lontano e questo anzitutto a livello nazionale», ha esortato Monti, sottolineando come «le democrazie nazionali hanno tutta una serie di grandi vantaggi», ma la tendenza al breve periodo «è quella più pericolosa».

«Io non cambierei il sistema democratico che abbiamo in Europa e negli Stati Uniti con un sistema meno democratico come quello che hanno i cinesi - ha continuato Monti, parlando ad una platea di oltre duemila persone, che l'hanno accolto al Bozar a Bruxelles con un'ovazione - ma credo che il loro sistema abbia comunque il grande vantaggio di permettere una pianificazione di più lungo termine».

È proprio guardando al lungo termine che il Consiglio europeo del giugno scorso ha fatto registrare «un grande progresso», ha ricordato il premier, citando l'adozione, tra l'altro, di «un pacchetto di misure per la crescita e la decisione di dotarsi di meccanismi per la stabilizzazione dei titoli sovrani».

«L'Europa è più capace di dare risposte alla crisi degli Stati nazionali», ha detto argomentando che l'Ue «negli ultimi 12 mesi è stata capace di uscire in modo ordinato da una crisi molto dolorosa, cosa che molti non credevano possibile». «Ho fatto il massimo», ha aggiunto «per far capire agli italiani che l'austerità non era colpa dell'Europa». «Non ho mai detto al Parlamento che certe cose ce le chiede l'Europa, ma che erano per l'interesse dei nostri figli». Monti ha poi osservato che la frattura tra cittadini ed Europa «diventa grave quando i responsabili nazionali attribuiscono tutti i mali all'Europa».

«Penso che il Regno Unito abbia perso un'opportunità quando negoziammo il "fiscal compact"», continua il premier Monti ricordando la rottura con Londra nella trattativa al vertice europeo di dicembre 2011. «Cameron ci ha chiesto qualcosa che non potevamo accettare» ha aggiunto spiegando che il premier britannico «aveva la pressione della City» ma che «se avesse fatto una proposta per più integrazione nel mercato unico sarebbe stato difficile per noi dire di no». Monti ha poi rivelato che alla fine del lunghissimo vertice, Sarkozy «esplose dicendo "abbiamo finalmente posto fine a 40 anni di ipocrisia"».

«Non vado dalla Merkel nè per chiedere consigli per la campagna elettorale nè per chiarimenti sull'Europa, ma per parlare di bilancio Ue, su cui prenderemo una decisione al di là di tutti gli appuntamenti elettorali», ha infine precisato Monti rispondendo a una domanda di Cohn-Bendit sul suo viaggio di domani a Berlino. E poi afferma: Angela Merkel «ha avuto un'evoluzione positiva» negli ultimi mesi. La leadership è legata alla capacità di esercitare un'influenza sull'opinione pubblica» e che la cancelliera tedesca «è stata più proattiva nello spiegare i vantaggi dell'Europa» per la Germania.

Mercoledì 30 Gennaio 2013 - 22:01
Ultimo aggiornamento: 22:43

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da - http://www.ilmessaggero.it/primopiano/politica/monti_bruxelles_austerit_europa/notizie/248144.shtml


Titolo: Gli industriali dal premier Monti: summit e lista delle richieste
Inserito da: Admin - Febbraio 11, 2013, 12:22:12 am
LA POLITICA VERSO LE ELEZIONI

Gli industriali dal premier Monti: summit e lista delle richieste

Verona, pranzo con Tomat e i leader territoriali veneti Presenti molti big, da Rosso a Bauli. Dolcetta: «Io lo voto»


VERONA—Non sarà un endorsement vero e proprio, ma il gruppo di big dell’industria radunato attorno alla tavola per un incontro riservato e la contingenza elettorale del momento non possono passare inosservati: Mario Monti, ieri a Verona, ha pranzato con il Gotha dell’imprenditoria veneta, dai più alti rappresentanti della Confindustria regionale fino a pezzi da novanta come Rosso e Rana. Un appuntamento per conoscersi e scambiarsi opinioni reciproche sui provvedimenti di cui necessita il sistema imprenditoriale del Nordest. Ben sapendo che Monti, oltre che come presidente del Consiglio in carica, era lì anche in qualità di leader di «Scelta Civica» e della coalizione centrista che si presenta alle prossime elezioni. L’incontro non rientrava nell’agenda pubblica del premier. I cronisti, che lo aspettavano in Fiera a Verona per l’appuntameto elettorale di «Scelta Civica», hanno visto le auto blu del corteo presidenziale, in arrivo dall’autostrada, sfrecciare verso il centro lasciando tutti con un palmo di naso.

La mattinata veronese di Monti, infatti, ha avuto anche un prologo imprevisto: mentre i «suoi» lo attendevano, il Professore correva verso il Vescovado, per un incontro, breve ma significativo, col vescovo Giuseppe Zenti. Incontro blindato, ma pur sempre un segnale importante. La Chiesa quindi. Ma non solo. Perché, poche ore più tardi, il premier uscente si è presentato all’appuntamento - riservato pure questo - per tentare di convincere quegli imprenditori del Nordest che il suo rivale Silvio Berlusconi ha sempre considerato amici (ed elettori). E così, dopo il convegno in Fiera, Monti è stato ospite di Gaetano Marzotto nella splendida abitazione veronese dell’imprenditore della dinastia di Valdagno. E attorno al tavolo, c’era il fior fiore dell’imprenditoria veneta: oltre al padrone di casa, c’erano il presidente regionale uscente di Confindustria Andrea Tomat, Giovanni Rana, Alberto Bauli, Renzo Rosso e quasi tutti i presidenti provinciali dell’organizzazione confindustriale, con le eccezioni del veronese Andrea Bolla, costretto a letto da una fastidiosa influenza, e del padovano Massimo Pavin, impegnato altrove. A nome di tutti i colleghi, Tomat ha illustrato al premier la situazione imprenditoriale dell’intera regione. Monti, da parte sua, ha ribadito i punti essenziali del suo programma, e durante gli interventi dei capitani d’industria si è diligentemente annotato alcune osservazioni. In conclusione, spiega il padrone di casa Gaetano Marzotto, «è stata un’occasione importante di dialogo, soprattutto sui temi economici, ma anche su quelli politici più attuali». L’impressione finale? «Decisamente positiva - assicura Marzotto - perché il Professore ha parlato chiaro, senza nascondere le difficoltà e le sfide che abbiamo davanti. E poi ci ha saputo ascoltare, che è una cosa importante. Perché noi imprenditori sappiamo bene una cosa: chi sa cosa vuole il cliente, ha già un vantaggio importante sulla concorrenza...». Intorno alla tavolata, insomma, si è palesato un’asse tra industriali (o almeno alcuni dei più importanti tra loro) e Mario Monti.

Il patron di Diesel, Renzo Rosso, nel pomeriggio non ha rinunciato a pubblicare sul proprio profilo Facebook una foto che lo ritrae accanto al premier uscente, durante il pranzo veronese. «Non voglio entrare in politica e non appartengo ad alcun partito, volevo solamente dare al nostro attuale presidente del Consiglio i miei punti di vista per migliorare l’Italia», ha spiegato Rosso su Twitter a chi, tra i suoi follower, già si aspettava una scelta di campo dell’imprenditore vicentino. Chi invece darà il proprio appoggio convinto a Monti è certamente Stefano Dolcetta, amministratore delegato del Gruppo Fiamm, la multinazionale di Montecchio Maggiore (Vicenza) leader nel settore degli avvisatori acustici e delle batterie industriali. Ieri mattina il premier ha fatto visita allo stabilimento di Lonigo, in provincia di Vicenza, e l’imprenditore ha ammesso: «Mario Monti mi ha convinto, voterò per lui». Una presa di posizione importante, visto che Dolcetta è vicepresidente nazionale di Confindustria, anche se il diretto interessato si è subito affrettato a precisare: «Dico la mia intenzione di voto in veste di privato imprenditore, non certo di vicepresidente degli industriali. Naturalmente Confindustria si mantiene neutrale».

Andrea Priante
Lillo Aldegheri

07 febbraio 2013© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://corrieredelveneto.corriere.it/vicenza/notizie/politica/2013/7-febbraio-2013/gli-industriali-monti-summit-lista-richieste-2113887505867.shtml


Titolo: Monti: «È tornata Tangentopoli, ho ereditato il governo da cialtroni»
Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2013, 12:00:13 pm
Il premier in tv: «Italia caduta nel ridicolo per l'atteggiamento di qualcuno in passato»

Monti: «È tornata Tangentopoli, ho ereditato il governo da cialtroni»

«Le tangenti? Non sono ineluttabili».

E svela: «Mi è stato offerto il Quirinale per non candidarmi»


«Purtroppo sì». Così il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha risposto ad Agorà su Rai 3 a chi gli ha chiesto se con gli arresti di questi giorni si può parlare di un ritorno di Tangentopoli. «L'evidenza - ha spiegato Monti - è molto simile ma la speranza è minore. Nel '92-93 c'era quella che veniva percepita come un'azione liberatoria: si pensava che l'azione della magistratura e la coscienza dei cittadini avrebbero portato alla fine del fenomeno. Invece l'azione della magistratura è andata avanti, la coscienza degli italiani e soprattutto politici si è molto seduta e siamo qui di nuovo».

BERLUSCONI - Il candidato premier di Scelta Civica ha proseguito il suo ragionamento: «Dopo tanti anni di governo Berlusconi non c'è una legge anti-corruzione». «L'Italia - ha aggiunto Monti - è un paese importante, è un paese del G8, e certo può anche cadere nel ridicolo come è accaduto per l'atteggiamento ridicolo tenuto da qualcuno in passato». Monti ha ricordato come il suo governo «ha fatto fatica, a causa della resistenza del Pdl, a far approvare un'adeguata legge anti-corruzione». Questa norma è arrivata dopo che, «dopo tanti anni di governo Berlusconi», non ne era stata approvata ancora una. Queste normative sul piano interno, ha spiegato ancora Monti, vanno accompagnate con azioni a livello internazionale: «Uno che ha governato tanti anni come Berlusconi doveva fare qualcosa a livello internazionale. L'Italia è un Paese importante, è nel G8, e certo può anche cadere nel ridicolo come è accaduto per l'atteggiamento ridicolo tenuto da qualcuno in passato». È stato quindi chiesto a Monti a chi si riferisse: «Non ho bisogno di ricordare - ha replicato - le pressioni ricevute in questi giorni».

LE TANGENTI - A Berlusconi che giovedì aveva giustificato l'esistenza di commissioni nell'ambito di trattative con «Paesi del Terzo Mondo», con riferimento alla vicenda giudiziaria che riguarda Finmeccanica, Monti ha replicato: «Che le tangenti esistano frequentemente negli affari, soprattutto in certi Paesi, è realtà, che debba essere visto come necessario e ineluttabile lo rifiuto». Monti ha quindi ricordato che «dopo tanti anni di Governo Berlusconi, non c'era una legge anticorruzione e non stiamo parlando di Terzo Mondo». E ha aggiunto: «I nostri colossi possono comportarsi secondo gli standard in uso nei paesi nei quali anche per l'interesse dell'economia italiana lavorano, ma se è possibile evitando certi fenomeni di ritorno come le tangenti ai partiti italiani o a chi li ha messi in quelle posizioni. Questo flusso non è una prassi e se in Italia ci fosse stata una seria legge contro la corruzione sarebbe stato più difficile». E attacca con decisione: «Se vincesse il centrodestra l'Italia tornerebbe a rischio come nel novembre 2011 e si fermerebbero le riforme in grado di far crescere il Paese. Se vincesse il Pd con Vendola, invece, i conti sarebbero più al sicuro, ma non si proseguirebbe sulla strada delle riforme strutturali».

ALLEANZA - Su una possibile alleanza precisa: «Non abbiamo avuto nessun dialogo né con la destra né con la sinistra al momento, andiamo avanti con le nostre proposte. Poi vedremo. Con Sel e Pd minori rischi di fiamme finanziarie, ma resistenze sulla diminuzione spesa pubblica. Per poter fare compagine comune il centrosinistra» deve lavorare «per un mercato del lavoro più aperto». «Ma non c'è maggiore probabilità di alleanza col centrosinistra che col centrodestra senza Berlusconi - aggiunge Monti - alleati con Bersani? Dipende dai programmi».

I CIALTRONI - Infine un'apertura e una bacchettata al Pdl: «Se Silvio Berlusconi è pronto a cedere il passo ad Angelino Alfano «la redenzione è possibile per tutti. Se ci fosse anche soltanto una parvenza di tentativo di rispetto una delle promesse fatte - aggiunge poi riferendosi ad un'eventuale vittoria del centrodestra - prevedo seri problemi per i tassi di interesse e scarsa ulteriore strada per le riforme per la crescita». Ma si lascia andare a una dura reazione: «Sono molto più ferito quando dei cialtroni dicono di aver lasciato l'Italia in buone condizioni nel 2011 e che io l'avrei portata sul baratro, che non inorgoglito quando ricevo i complimenti di Obama».

OFFERTA QUIRINALE - «Se ci sarà un governo Bersani lei entrerà nella compagine?», gli chiedono: «Dipende se nel programma ci sono le riforme che noi vogliamo e per le quali io ho compiuto l'insensatezza di rinunciare a posizioni che mi venivano prospettate». Il Quirinale? «E non solo, perché ci tengo a fare queste riforme». Alle insistenze del conduttore su cosa gli è stato offerto oltre al Quirinale, Monti spiega che «non si trattava di un pacchetto cumulativo», ma di «posizioni di quasi vertice o di vertice nel governo», ma erano conversazioni». Questo se avesse scelto in anticipo una coalizione diversa dalla sua? «Non con certezza ma era una possibilità» aggiunge Monti che alla domanda questo glielo ha chiesto Bersani, replica: «Esiste anche uno spazio privato nelle conversazioni...».

Redazione Online

15 febbraio 2013 (modifica il 16 febbraio 2013)© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_febbraio_15/monti-tangentopoli_1aaac7a2-7743-11e2-a4c3-479aedd6327d.shtml


Titolo: MONTI - «L'Ue certifica la fine della recessione Adesso meno precarietà per ...
Inserito da: Admin - Febbraio 22, 2013, 07:13:56 pm
SALIRÀ DI UN ALTRO PUNTO PERCENTUALE NEL CORSO DEL 2013

Monti: «L'Ue certifica la fine della recessione Adesso meno precarietà per i giovani»

Peggiora la disoccupazione anche nell'Eurozona, che a causa della «debolezza dell'attività economica» nel 2013 raggiungerà il 12,2%


Il premier uscente Mario Monti assicura che entro giugno l'italia uscirà dal tunnel della recessione. «Il tunnel c'era, era lungo e lo sapevamo, anche se ci si sforzava per dare una speranza - ha spiegato durante un comizio a Firenze - La Commissione Europea venerdì mattina ha annunciato due cose: una che per l'Italia è prevista l'uscita dalla recessione a partire dalla metà del 2013; l'altra che l'Italia ha corretto il deficit di bilancio nei tempi stabiliti e che anche nei prossimi anni rispetterà gli obiettivi». Monti ha poi aggiunto: «Abbiamo eseguito ciò che Berlusconi ha promesso e penso che lui sia il più lieto di come la sua volontà è stata tradotta in atto».
IL PACCHETTO D'URTO - Nel suo intervento al Teatro della Pergola il premier uscente ha guardato anche alle misure «per rimettere in moto il Paese», partendo da alcune leve fiscali, tra le quali l'eliminazione dell'Irap dal costo del lavoro: «Serve un impegno straordinario contro la precarietà e per una occupazione stabile. Per questo lancio la proposta di un pacchetto d'urto con alcuni punti precisi, a partire dal taglio del costo del lavoro per le nuove assunzioni a tempo indeterminato». Inoltre, Monti ha indicato come misure necessarie la riduzione dell'Irap sul costo del lavoro, nuove forme di contratti di apprendistato e nuovi contratti a tempo indeterminato più flessibili per i nuovi assunti.

CONTRASTO ALLA PRECARIETÀ - Monti infatti sottolinea che l'Italia ora ha «le carte in regola» rispetto agli impegni presi con l'Unione europea, e come questo consenta oggi di ritenere possibile presto «una limitata, graduale riduzione delle imposte». Questo potrà avvenire attraverso una serie «di azioni concrete che possono rimettere in moto il Paese», scegliendo «bene le priorità». E una di queste è, appunto, «l'impegno straordinario per lottare contro la precarietà», non una promessa elettorale ma «un impegno concreto che io posso prendere».

CHIEDERE IL PERMESSO - «Oggi che abbiamo le carte in regola in Europa io posso andare a Bruxelles e chiedere che ci permettano di fare queste cose anche con un po' più di disavanzo pubblico - ha osservato Monti - perché producono crescita e al tempo stesso sono da considerarsi riforme strutturali. Siccome abbiamo raggiunto un equilibrio non precario dei conti pubblici è il momento di trasformare questo in una minore precarietà».

STIME UE NERE PER LA DISOCCUPAZIONE - Venerdì mattina, però, l'Unione europea aveva diffuso le stime sull'occupazione, rivedendo al rialzo i dati dello scorso novembre: «Nel 2013, sulla base della nuova contrazione dell'economia, la disoccupazione in Italia aumenta di un altro punto»: dal 10,6% del 2012 sale a 11,6% e nel 2014 toccherà il 12%. Previsioni negative anche per la Francia (da 10,7% di disoccupati nel 2013 a 11% l'anno successivo), Cipro (da 13,7 a 14,2%), Lussemburgo (da 5,4 a 5,7%), Olanda (da 6,3 a 6,5%) e Slovenia (da 9,8 a 10,0%), con gli altri paesi invece in miglioramento e con una media dell'Eurozona che prevede una flessione fino al 12,1% (a fronte delle precedenti stime di 11,8% e 11,7%).

PIL, ANCORA FLESSIONE - La Commissione Ue prevede ancora una netta flessione per il Pil italiano: per il 2013, calerà dell'1%, (precedentemente la stima era -0,5%), mentre il recupero è confermato allo 0,8% nel 2014. Il Pil stimato per il 2012 è in calo del 2,2%, in seguito a una significativa flessione della domanda interna e al conseguente «collasso» delle importazioni mentre le esportazioni sono aumentate grazie alla domanda sostenuta da parte dei paesi non Ue. I conti pubblici invece migliorano con l'arrivo del pareggio di bilancio strutturale. Secondo il vicepresidente della Commissione Ue Olli Rehn «la piena e coerente attuazione delle misure già adottate dovrebbe permettere all'Italia di raggiungere quest'anno un pareggio di bilancio strutturale: per ora non sembrano necessarie misure aggiuntive». L'Italia «sembra sulla giusta strada per il rientro dalla posizione di deficit eccessivo,» ha aggiunto Rehn.

Redazione Online
22 febbraio 2013 | 17:12
© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/13_febbraio_22/disoccupazione-ue-italia-crescita_61985600-7cdb-11e2-a4ef-4daf51aa103c.shtml


Titolo: MONTI - Il suo 10% lo libera da catene partitiche.
Inserito da: Admin - Febbraio 26, 2013, 05:23:08 pm
Elezioni, Monti irrilevante ma contento: "Sono soddisfatto, ora serve un governo"

Le parole del premier stridono però con la delusione di Casini, che prende atto del cattivo risultato e sembra spiegare la disfatta con la rimonta del Cavaliere: "Come animale elettorale si conferma il numero uno".


ROMA - Da ago della bilancia a irrilevante. Se tutto lascia intendere che alla fine a vincere sarà stata l'ingovernabilità, nessun dubbio invece che tra i perdenti va messo innanzitutto il centro guidato da Mario Monti. Le tre formazioni che si sono coalizzate attorno alla figura del presidente del Consiglio escono fortemente ridimensionate.

In termini percentuali l'obiettivo era quello di raccogliere un consenso pari a circa il 15%. In termini politici l'ambizione era invece quello di condizionare i giochi, soprattutto al Senato, obbligando il centrosinistra dato per vincente a trattare la formazione di una coalizione ed erigersi a custodi della governabilità. Traguardi entrambi falliti, con i dati che su scala nazionale inchiodano i centristi a quota 10,5% alla Camera e 9,1% al Senato.

Percentuali sufficienti ad entrare in Parlamento, ma insufficiente, una volta ripartita su base regionale, a ottenere al Senato più di una manciata di seggi, 18 per l'esattezza, comunque troppo pochi per garantire il contributo necessario a far nascere un governo guidato da Bersani così come uno guidato da Alfano o Berlusconi. 

Il premier si sforza però di mostrare buon viso a cattivo gioco. "E' stato un risultato soddisfacente, da alcuni ipotizzato superiore, ma io sono molto soddisfatto alla luce di alcuni elementi, a cominciare dai tempi, appena 50 giorni da quando abbiamo deciso di presentarci, partendo da zero", afferma Monti incontrando in serata la stampa. "I nostri elettori - aggiunge - hanno fatto una scelta coraggiosa, votando in più di tre milioni per qualcosa che prima non esisteva, e lo hanno fatto nell'interesse generale, e non proprio: era questo l'appello che avevamo rivolto loro".

Sugli scenari futuri, visti i risultati, il centro avrà una capacità di influenza molto minore di quanto si ipotizzava, ma il Professore esprime comunque un auspicio forte. "Un governo al Paese va garantito - dice - è prematuro immaginare qualsiasi scenario e non tocca comunque a me farlo, ma è necessario usare massima trasparenza da parte delle forze politiche, va assicurato un governo al Paese, con trasparenza, alla luce del sole".

La delusione è invece tutta nel volto e nel tono mesto di Pierferdinando Casini quando rilascia la sua prima dichiarazione. "Nella vita si vince e si perde. Abbiamo dato tutto noi stessi per un progetto di governabilità del Paese", ammette il leader dell'Udc. "Abbiamo pensato che la soluzione di parlare all'Italia venisse premiata. Mi sembra lo sia stato molto parzialmente ma siamo molto sereni. Si è sereni quando si fanno le cose giuste", aggiunge.

Casini spiega di non voler fare recriminazioni e più che in casa propria guarda altrove per cercare il motivo della disfatta. "Bisogna riconoscere che Berlusconi ha fatto una grande campagna elettorale. Lo abbiamo criticato e lo criticheremo ma come animale elettorale si conferma il numero uno", dice il leader centrista quasi a voler segnalare che se le cose non sono andate come sperava il motivo va cercato nell'incredibile rimonta del Pdl.

Altro grande sconfitto è il presidente della Camera uscente Gianfranco Fini. Il suo (presente solo alla Camera) ha ottenuto solo lo 0,5% dei voti, non avvicinandosi nemmeno alla soglia di sbarramento del 2%. Così per la prima volta dopo molte legislature, Fini non siederà in parlamento.

(25 febbraio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2013/2013/02/25/news/risultati_monti-53406997/?ref=HREC1-1


Titolo: MONTI : Governo: Matteo Renzi incontra Mario Monti: "Scambio di opinioni ...
Inserito da: Admin - Marzo 05, 2013, 05:17:29 pm
 Governo: Matteo Renzi incontra Mario Monti: "Scambio di opinioni sulla situazione politica"


L'Huffington Post  |  Pubblicato: 05/03/2013 13:11 CET  |  Aggiornato: 05/03/2013 15:42 CET


Uno "scambio di opinioni sulla situazione politica", oltre a una questione strettamente legata all'attività di sindaco di Firenze come il maggio fiorentino. Questi i temi del colloquio tra Mario Monti e Matteo Renzi, secondo quanto riferiscono fonti di palazzo Chigi.

Un incontro, affermano le stesse fonti, concordato ben prima del voto, e precisamente al concerto in Vaticano del 4 febbraio: "In quella occasione si erano incontrati e avevano deciso di rivedersi dopo le elezioni".

All'uscita dall'incontro il sindaco di Firenze ha poi confermato che domani parteciperà alla direzione del Pd. "Sì, sarò alla riunione", ha risposto il sindaco di Firenze ai cronisti al termine dell'incontro a Palazzo Chigi con il premier Mario Monti.

da - http://www.huffingtonpost.it/2013/03/05/governo-matteo-renzi-incontra-mario-monti_n_2810247.html?1362485679&utm_hp_ref=italy


Titolo: MONTI - "Flessibilità contro i populismi"
Inserito da: Admin - Marzo 15, 2013, 11:31:07 pm
Monti ai partner europei: "Flessibilità contro i populismi"

Strategia in tre punti additata dal premier uscente: affrontare i nodi della disoccupazione, sfruttare al massimo i fondi europei e ricompensare I Paesi che si impegnano in riforme strutturali. Merkel: "Giusto dare all'Italia più spazio per gli investimenti".

In linea di massima c'è l'accordo per contemperare rigore e crescita, ma i punti concreti latitano.

 
MILANO - La flessibilità "controllata" sfruttando appieno i margini di manovra esistenti nel patto di stabilità e nel patto fiscale sulle politiche di bilancio, l'adozione di misure efficaci per la crescita e contrastare la disoccupazione di lunga durata e giovanile "sarebbe il miglior messaggio per contrastare la marea montante del populismo e la disaffezione nei confronti dell'Enione europea". E' questa l'indicazione centrale contenuta nella lettera che il premier uscente, Mario Monti, ha consegnato ieri sera ai 26 "colleghi" del Consiglio europeo nella sua ultima uscita da capo del governo. In cinque pagine, Monti rievoca il percorso dell'italia sotto il governo tecnico, i risultati raggiunti e i rischi che corre l'Europa se non dimostra capacità di innovazione politica. Da parte del Professore è arrivato una sorta di avvertimento ai suoi connazionali, quando ha ricordato che il caso italiano "impressiona" e "preoccupa" ed è anche ora - in questa fase di incertezza politica - molto seguito.

Monti sottolinea che "l'esperienza italiana dimostra che la pressione dei mercati e gli imperativi di finanza pubblica rappresentano una spinta necessaria per avviare riforme a lungo rinviate, ma che è necessaria una strategia più articolata per garantire il successo di un processo di aggiustamento economico che si dipana lungo un arco temporale prolungato". Il confronto tra i capi di Stato e governo va focalizzato "su una nuova nozione di 'consolidamento orientato alla crescita' esplorando modalità atte ad ampliare i margini di manovra nelle politiche di bilancio, preservando nel contempo la credibilità del percorso di risanamento delle finanze pubbliche". Tre i terreni di azione immediata: strumenti più efficaci per affrontare i costi sociali della crisi soprattutto l'alto tasso di disoccupazione e in particolare quella giovanile; mobilitare tutte le leve finanziarie Ue, in particolare i fondi strutturali; procedere nel confronto sugli 'accordi contrattuali' tra gli Stati e la Ue per "ricompensare" chi si impegna ad attuare riforme difficili.

La ricetta di Monti è stata condivisa da Angela Merkel, che nella conferenza stampa di conclusione ha detto di trovare "pienamente giusto che l'Italia con un deficit pubblico sotto il 3% possa avere maggiore spazio sugli investimenti come stabilito dalla parte preventiva delle regole del patto di stabilità". La cancelliera ha poi detto di non essersi mai espressa sul tipo di coalizioni di governo italiane e che si augura, in ogni caso, che il paese abbia un governo "il più rapidamente possibile".

Sul terreno della crescita - però - la prima giornata di vertice si era conclusa senza grandi passi avanti. Come atteso, infatti, i capi di Stato e governo hanno raggiunto un accordo per un equilibrio tra il rigore di bilancio e azioni pro crescita, pur senza specificare in che cosa questo si tradurrà. Viene riconosciuta la possibilità di sfruttare i margini di manovra per non tenere conto della spesa per certi investimenti pubblici quando si valuta la posizione di bilancio dei paesi con un deficit sotto il 3% del Pil e vicino al pareggio. Su questo Monti ha dato battaglia in questi mesi. Il vero negoziato sui termini di questa apertura è però tutto da fare. In ogni caso, si tratta dello stesso principio già affermato al vertice di tre mesi fa.

(15 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2013/03/15/news/monti_ai_partner_europei_flessibilit_contro_i_populismi-54601262/?ref=HREC1-8


Titolo: MARIO MONTI. - Mario Monti proporrà a Napolitano un governo di scopo, aspettando
Inserito da: Admin - Marzo 20, 2013, 10:59:04 pm
 Consultazioni, Mario Monti proporrà a Napolitano un governo di scopo, aspettando le mosse di Bersani.

Ma già pensa al secondo giro

L'Huffington Post  |  Di Martina Cecchi de Rossi   Pubblicato: 19/03/2013 19:04 CET  |  Aggiornato: 19/03/2013 20:07 CET


Quello che serve all'Italia è un Governo che faccia le riforme, che tenga la barra del rigore e resti saldamente ancorato alle linee Ue. Un esecutivo di scopo, con che non abbia un respiro troppo corto e una base troppo marcata, ma il consenso più ampio possibile. E' questa, a grandi linee, la posizione base di Scelta civica, che sarà illustrata a Napolitano alle consultazioni. Linea su cui certo si aprirà una discussione domattina nella riunione degli eletti ma che non avrà troppe aperture in avanti: "In questo momento c'è molta tattica, l'unica cosa certa è che Bersani ha il cerino. Bisogna aspettare", si ripete tra le fila di centristi e montiani. Wait and see.

"Il nome di colui che dovra' tentare di formare un governo dovrà venire su indicazione del capo dello Stato. Di certo noi pensiamo che serva un governo, perché l'Italia ha bisogno non di elezioni ma di azioni" dice Mario Mauro, neo capogruppo di Scelta civica al Senato. E se sarà per Pier Luigi Bersani il 'primo' incarico, non ci sono preclusioni di sorta, anche perché passata la tempesta sul tentativo di Monti di approdare alla Presidenza di Palazzo Madama, ai montiani preme che i democratici tengano un filo di dialogo. Ma conta molto cosa Bersani raccoglierà tra le forze politiche, con quali proposte si presenterà nelle sue consultazioni post incarico: Scelta civica non appoggerebbe un Governo di forte matrice bersaniana, mal digerisce il tentativo di cercare un asse con M5s e resta piuttosto attenta alle mosse della Lega (è un "segnale" - si ragionava stamani - la scelta del Carroccio di salire al Colle il delegazione con il Pdl ma anche la convinzione espressa da Maroni che un Governo serva).

Ma ci sono molti dubbi che l'operazione del segretario Pd possa andare a segno, per questo l'attesa è - in primis - sulla possibilità che Bersani indichi a Napolitano i punti su cui lavorare per un'agenda di Governo dando contestualmente la disponibilità a fare un passo indietro a favore di un altro nome. E altra cosa ancora, si ragiona tra montiani e centristi, è il secondo incarico che - fallito il tentativo Bersani - Napolitano dovrà conferire. E' insomma l'eventuale secondo giro la vera partita per Scelta civica, perché è quello che allontana di più la prospettiva di un ritorno immediato alle urne: "e lì bisognerà capire su quale nome cadrà la scelta del Presidente".

In ogni caso peserà, nel dibattito di domani e dei giorni futuri, la difficile alchimia tra le varie anime di Scelta civica, le divisoni e sottodivisioni emerse oggi nell'elezione del capogruppo alla Camera. Una scelta, quella su Lorenzo Dellai, di mediazione e passata a maggioranza (30 voti contro 15 tra schede nulle e bianche): sul suo nome si sono compattati i montiani di Scelta civica (l'area che fa capo ad Andrea Riccardi ed Andrea Olivero), l'Udc (che ottiene, come al Senato, una vice presidenza con Giuseppe D'Alia), ma anche parte della stessa Italiafutura di cui Romano è stato Presidente. Malumore quindi per il ritiro della candidatura di Romano, scelta fatta chiedendone una analoga a Dellai per far convergere i consensi su un altro nome di Italiafutura, quello di Irene Tinagli. Linea alla quale Dellai si è opposto, lasciando in piedi una candidatura che ottiene un'ampia maggioranza - ma non l'unanimità - solo grazie al supporto Udc.

da - http://www.huffingtonpost.it/2013/03/19/consultazioni-mario-monti_n_2909298.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: Caro MONTI dovevi parlare più con la gente ... e farti capire.
Inserito da: Admin - Marzo 21, 2013, 04:33:05 pm
Monti furibondo con i suoi deputati: "Disgustose le illazioni contro di me"

Il premier riunisce i parlamentari di Scelta civica e si dice "amareggiato" per le critiche "sui miei supposti interessi personali".

Avviso a Pd e Pdl: dalla crisi si esce solo con governo del presidente


ROMA - "Disgustato". Avrebbe usato parole forti Mario Monti per espremire la sua amarezza nei confronti delle critiche piovutegli addosso dall'interno della sua stessa formazione politica. Secondo quanto riferito da diversi presenti nel corso di una riunione con i deputati, è stato il presidente del Consiglio in prima persona a dar conto della propria amarezza per quanto letto su alcuni organi di stampa.
I giornalisti colorano, sarebbe stato il senso del ragionamento del premier, ma è evidente che qualcuno fornisce loro validi spunti. Monti avrebbe però ritrovato lo spunto per il suo stile lievemente ironico.

"So di essere considerato in via d'estinzione, ma non vorrei essere estinto da chi ho contribuito a portare qui", avrebbe sottolineato, aggiungendo che "alcune dichiarazioni che ho letto sui miei supposti interessi personali sono disgustose" e di aver persino pensato di disertare l'incontro.

Il vertice, oltre che allo sfogo del Professore, è servito a mettere a punto la posizione dei centristi nel proseguio della difficile fase politica. Puntuale il messaggio sull'atteggiamento da tenere nei confronti dei democratici: "Il Pd non dia nulla per scontato, nessuno ha intenzione di schiacciarsi sul Partito democratico, ma è chiaro che in questo momento serve stabilità e governabilità".
 
Monti dal canto suo continua infatti ad auspicare un governo del presidente, l'unico in grado scongiurare allo stesso tempo "qualsiasi deriva
massimalista che possa essere rappresentata da un esecutivo a trazione Pd-M5S o Pd-Sel", ma anche "un governo con un Pdl interamente impegnato ad occuparsi dei guai giudiziari del suo leader". Il tema giustizia va affrontato, ha sottolineato il Professore, ma guardando all'interesse collettivo, non certo dei singoli, e portare così a compimento la tanto attesa riforma della giustizia.

(20 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/20/news/monti_amareggiato_illazioni-54991020/?ref=HREC1-3


Titolo: MARIO MONTI: «C'è chi governa per un obiettivo e non per il consenso»
Inserito da: Admin - Marzo 25, 2013, 04:35:19 pm
La lettera

Monti: «Io, la sfida del Centro e la vera leadership senza demagogie»

Il presidente del Consiglio uscente replica a Galli della Loggia: «C'è chi governa per un obiettivo e non per il consenso»



Caro direttore, ho letto con il consueto interesse, nel Corriere di ieri, l'editoriale di Ernesto Galli della Loggia («Ciò che il Centro non ha capito»). Concordo con un punto importante: sarebbe stato un errore «contrapporsi frontalmente e sprezzantemente all'elettorato che fino ad allora era stato della Destra». Dissento invece, con grande rispetto verso l'autore, da tutte le altre asserzioni contenute nell'articolo.

Esse mi fanno ritenere che l'autore non abbia colto le motivazioni del progetto politico di Scelta civica, né i vincoli entro i quali questa atipica esperienza politica si è collocata.

Prima c'è stato, per il governo nato nel novembre 2011, come Galli della Loggia riconosce, il duro vincolo imposto dalle circostanze: salvare l'Italia dalla crisi finanziaria. L'autore ci rimprovera, forse giustamente, di non avere avuto «la capacità di parlare ai cuori più che alle menti». Quella capacità l'avevano, e l'hanno molto esercitata, i precedenti governi di Centro-sinistra e di Centro-destra, che però per 15 anni, sempre pensando alle prossime elezioni, non avevano fatto né le riforme necessarie per la crescita e l'occupazione, né quelle necessarie per una finanza pubblica sostenibile. Poi ci siamo dati noi un vincolo, proponendo agli elettori la prosecuzione di un percorso, capace certo di far fruttare i molti sacrifici in una crescita a medio termine, ma fondato sul realismo e sulla responsabilità, non sulle illusioni.

Parrà incomprensibile a un politologo che ci sia chi governa per realizzare non il consenso ma ciò che ritiene essere, in un dato momento, l'obiettivo vitale per la sopravvivenza del Paese e per la sua sovranità, senza cederla a una troika di occupazione (quella sì) tecnocratica. Ma non crede che l'avere spiegato ai cittadini che l'Italia ce l'avrebbe fatta da sola, senza chinare il capo e chiedere prestiti all'Europa o al Fondo monetario internazionale - come la Grecia, il Portogallo, la Spagna - abbia «invogliato al riscatto, mosso alla tenacia, all'orgoglio»? Perché in Italia, a differenza che in quei Paesi, i durissimi sacrifici non hanno portato alla rivolta sociale o di piazza?

Parrà ancora più incomprensibile a un politologo che ci sia chi proponga alle elezioni un progetto che non concede nulla al populismo e alla demagogia, pur in un «Paese percorso dalle performance di Grillo» e di un redivivo, formidabile Berlusconi. E che insiste su riforme, come quelle sul mercato del lavoro, indigeste alla Sinistra ma essenziali, con altre, per dare lavoro e speranza ai giovani. Così come propone di proseguire le azioni contro l'evasione fiscale e la corruzione che hanno trovato ostacoli a Destra durante il governo che sta per chiudersi.
Ma questa Scelta civica - penserà il politologo - ha fatto proprio di tutto per perdere le elezioni! Come se non bastasse, è stata così ingenua da rivendicare i «meriti» del governo uscente, che ha dovuto prendere i provvedimenti più impopolari della storia repubblicana, invece di prenderne le distanze come hanno fatto le altre forze che avevano approvato quei provvedimenti, platealmente il Pdl, in modo meno chiassoso il Pd.

Chi governa così, chi si presenta alle elezioni così, secondo Galli della Loggia denota «scarsa capacità di leadership». Non tocca certo a chi viene giudicato di giudicare il giudice. Ma sarebbe interessante capire meglio che cosa debba intendersi per leadership. È migliore leader chi cerca, magari facendo molti errori perché è un politico inesperto, di guidare il Paese verso quello che considera l'interesse generale e cerca il consenso degli elettori su ciò che è poco gradevole ma utile a più lungo termine; o chi cerca, magari non facendo nessun errore perché è il più abile dei politici, di assecondare gli elettori proponendo proprio ciò che essi vogliono vedersi proporre perché è più gradevole anche se dannoso a più lungo termine? È meglio, per un Paese, avere dei leader non perfetti o dei perfetti follower? Ai politologi l'ardua sentenza.

Forse, il professor Galli della Loggia ha in mente il secondo scenario, quando emette le sue sentenze liquidatorie: «il fallimento del Centro», «il fallimento del personale di governo alla guida del Paese per oltre un anno», il Centro è diventato «un attore politico di terz'ordine». Siano consentite due osservazioni.

Centro. Si direbbe, con l'uso di questo termine come sinonimo di Scelta civica, che l'autore non abbia prestato nessuna attenzione allo sforzo fatto da Scelta civica per spiegare la propria identità. Non si tratta di qualcosa di intermedio tra la Sinistra e la Destra lungo l'asse, a nostro giudizio screditato, di un inconcludente bipolarismo italiano, che alla fine ha avuto bisogno di un governo tecnico per fare alcune riforme che sapeva necessarie, senza mai trovare la forza politica per farle. Si tratta di un impegno nuovo, per unire volontà riformatrici ed europeiste, prima disperse nei due poli contrapposti.
Fallimento. Non ho mai parlato di successo di Scelta civica.

Trovo però curioso che si parli di fallimento per un'entità politica nuova, costruita nella scia di un governo che non aveva fatto proprio nulla per non essere impopolare, portata avanti dall'impegno generoso di molti ma certo senza l'esperienza e la professionalità dei partiti tradizionali o l'articolazione del M5S; e che tuttavia in cinquanta giorni è riuscita a raccogliere tre milioni di voti laddove il Pd e il Pdl hanno perso molti milioni di voti. Se non vi fossero stati quei voti a Scelta civica, provenuti in particolare dalla Destra, la coalizione Pdl-Lega sarebbe ora in grado di formare il governo e, dal 15 aprile, di eleggere il presidente della Repubblica.

Concludo con il punto, importante, sul quale il mio pensiero coincide con quello di Galli della Loggia. Sarebbe stato un errore «contrapporsi frontalmente e sprezzantemente all'elettorato che fino ad allora era stato della Destra». Ha ragione l'autore quando, pur con cattiveria eccessiva, scrive «Uno stereotipo tanto più potente perché in sostanza pre-politico, attinente al bon ton civil-culturale. Con la Destra dunque l'élite italiana non vuole avere nulla a che fare: per paura di contaminarsi ma soprattutto per paura di entrare nel mirino dell'interdizione della Sinistra». Per parte mia, forse perché ho idee mie ben radicate, non ho mai condiviso la paura di contaminarmi con la Destra. Sono orgoglioso di aver fatto cooperare per il bene del Paese, nella «strana» maggioranza, Bersani e Berlusconi (oltre a Casini). Né temo l'interdizione della Sinistra, che pure ho sperimentato, in alcuni suoi alti esponenti politici e culturali detentori della moralità, per il solo fatto di avere promosso un movimento politico.

Ma Scelta civica, caro professor Galli della Loggia, non ha compiuto quello che lei e io consideriamo un errore: non si è contrapposta agli elettori della Destra. Anzi, ne ha sollecitato il voto. E sono sorpreso che tanti abbiano scelto Scelta civica e non il Pdl, che pure recava nella scheda il profumo dei soldi, il rimborso dell'Imu.

Quello che non ho fatto, qui lei ha ragione, è accettare l'invito di Berlusconi ad essere il «federatore dei moderati». Per questo invito, che mi ha fatto piacere, ho ringraziato Berlusconi. Ma non l'ho accettato non per sprezzo degli elettori di Destra, ma per due diverse ragioni. In primo luogo, mi sembrava più importante unire i riformatori che federare i moderati. In secondo luogo, avrei forse potuto federare i moderati ma solo se Berlusconi si fosse davvero ritirato dal progetto che cortesemente mi offriva. Non avrei voluto trovarmi nella situazione di Alfano.

Presidente del Consiglio
Mario Monti

25 marzo 2013 | 9:48© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_marzo_25/monti-io-il-centro-e-la-vera-leadership_e430e330-9512-11e2-84c1-f94cc40dd56b.shtml


Titolo: MARIO MONTI. - "Ripresa se Italia fuori da procedura Ue".
Inserito da: Admin - Aprile 10, 2013, 06:40:37 pm
Monti: "Ripresa se Italia fuori da procedura Ue".

Per Rehn "è molto probabile". Debito/Pil al 130%

Il Consiglio dei ministri approva il Documento di economia e finanza: debito/Pil al 130,4% nel 2013, mai così alto dai tempi del fascismo.

Il deficit rivisto al 2,9%, poi scenderà all'1,8% l'anno prossimo.

Grilli: "Se non si rinnova l'Imu, pareggio di bilancio a rischio". Per il premier dalla crisi "non si esce con i populismi"


MILANO - "Solo se L'Italia resta fuori dalla procedura di deficit eccessivo potrà avere spazi per sostenere in modo intelligente e focalizzato la ripresa economica". Così il premier Mario Monti alla presentazione del Documento di economia e finanza - dopo l'approvazione in Consiglio dei ministri - che aggiorna i picchi di debito del Paese. Le decisioni che verranno prese a Bruxelles - con la quale è iniziata una dialettica dopo la decisione di sbloccare 40 miliardi di crediti per le imprese, che peseranno sul deficit italiano - saranno dunque fondamentali per il futuro dell'Italia. Monti ha comunque espresso la speranza che "l'Italia a maggio esca" dal novero dei "Paesi con problemi di finanza pubblica e entri tra i Paesi virtuosi". Su questo versante, un segnale positivo arriva dal commissario agli Affari economici, Olli Rehn, secondo il quale è "molto probabile" che l'Italia uscirà dalla procedura dopo la conferma dei dati da parte di Eurostat prevista per il 22 aprile.

Quanto ai numeri, il Cdm ha approvato il documento che presenta gli aggiornamenti del quadro macroeconomico italiano. "Il Def non può non riflettere le circostanze che caratterizzano l'avvio di legislatura", ha spiegato Monti, definendo l'aggiornamento "un work in progress". Nel testo si legge che il pareggio di bilancio strutturale è confermato per il 2013 e il rapporto tra il debito e il Prodotto interno lordo (Pil) "inizierebbe a ridursi velocemente già a a partire dal 2014".

Il debito pubblico italiano salirà quest'anno al 130,4% del Pil, record storico dall'avvento del fascismo: bisogna tornare ai primi anni '20 del secolo scorso per trovare situazioni simili. Le precedenti stime sul debito erano pari al 126,1% e 123,1% per 2013 e 2014. Il debito scenderà al 129% nel 2014 e al 125,5% l'anno successivo. Il debito pubblico in percentuale sul Pil aveva toccato quote vicine al 160% negli anni immediatamente precedenti e successivi all'avvento del fascismo mantenendosi poi sempre su livelli inferiori a quelli attuali.

Il rapporto deficit/Pil, come anticipato nei giorni scorsi alla luce della valutazione dell'impegno per il pagamento dei debiti pa verso le imprese, sarà al 2,9% quest'anno per poi scendere all'1,8% nel 2014. Il governo, oltre a quelli sul debito, ha annunciato anche i nuovi dati relativi all'avanzo primario che sarà del 2,4% nel 2013 per poi salire al 3,8% nel 2014 (3,8% e 4,4% rispettivamente le precedenti stime). Quanto all'andamento del Pil, questo è previsto a -1,3% nel 2013,+1,3% nel 2014 e +1,4% nel 2015. Sul punto, Monti ha detto che si tratta di "stime prudenziali", ma il Paese può far meglio. Grazie ai pagamenti dei debiti della Pa, la crescita sarà di 0,2 punti percentuali nel 2013 e di 0,7 punti nel 2014.

In conferenza stampa il premier ha anche lanciato una stoccata alle tante voci che chiedono di allentare l'austerity: "Si invocano inversioni di rotta e iniezioni di denaro per far fronte alla congiuntura: a nostro giudizio bisogna invece tenere alta la guardia della disciplina delle finanze anche nei prossimi anni altrimenti si rischia di far ripiombare il Paese in una crisi anche peggiore". Non da ultimo, è stato il Fondo monetario internazionale a chiedere alla Bce un atteggiamento più "aggressivo" in quanto a politica monetaria. Per Monti "dalla crisi non si esce con i tatticismi e i populismi. Non bisogna coltivare illusioni sulla possibilità di ritornare al passato e alla negazione dei problemi", il suo monito.

Per avviare la crescita il premier ha invocato "riforme strutturali"; quelle adottate nel 2012 porteranno ad una crescita aggiuntiva del Pil di 1,6 punti percentuali nel 2015 e di 3,9 nel 2020. Dal 2015, però, verrà a mancare il contributo dell'Imu e sul punto il Def specifica che "qualora la fase sperimentale dell'Imu non dovesse essere confermata, futuri governi dovranno provvedere alla sostituzione dell'eventuale minor gettito con interventi compensativi". Lo stesso titolare delle Finanze, Vittorio Grilli, ha detto che senza il balzello "il pareggio di bilancio è a rischio".

(10 aprile 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2013/04/10/news/approvazione_def_monti-56345471/?ref=HREA-1


Titolo: MARIO MONTI. - Attacca: «Crisi? Colpa di sindacati e imprese»
Inserito da: Admin - Aprile 14, 2013, 11:10:32 pm
L'intervista a «che tempo che fa»: «ma non voglio essere segretario o presidente»

Monti: «Non abbandono "Scelta Civica"»

E attacca: «Crisi? Colpa di sindacati e imprese»

Il premier smentisce le voci di una sua decisione di prendere le distanze dalla politica e dal partito


Nessun addio al movimento. L'impegno di Mario Monti all'interno di «Scelta Civica» continuerà e su questo non c'è alcun dubbio. Il premier mette fine alle indiscrezioni di stampa che parlavano della sua decisione di prendere le distanze dalla politica e dal partito che ha fondato. Lo ha chiarito rispondendo a una domanda di Fabio Fazio durante la registrazione del programma «Che Tempo che Fa».

VITA PUBBLICA - «Abbandonare Scelta Civica? - ha detto il premier - assolutamente no. Continuerò a modo mio ad interessarmi alla vita pubblica italiana». In questo momento, secondo Monti, c'è soltanto Scelta Civica che si occupa di fare politiche di «accompagnamento e sostegno a iniziative per le riforme, per l'Europa e contro il bipolarismo conflittuale».
Monti poi pero spiega che restare con Scelta Civica non comporta proporsi come l'esponente che la guiderà formalmente: «Non ho voglia nè bisogno di essere segretario o presidente di una forza politica».

CRISI - Monti si è poi soffermato sulle responsabilità della crisi: «Se l'Italia non cresce cio è dovuto a lacune della politica, ma moltissimo anche a sindacati e imprese». Secondo Monti sindacati e imprese «devono cambiare, non possono chiamarsi fuori».
Monti ha sottolineato che «il mondo del capitalismo non ha saputo ammodernarsi e il mondo dei sindacati ha responsabilità storiche nell'arretratezza». «Mi fa piacere che ora sindacati e Confindustria prendano posizioni comuni - ha proseguito - ho dedicato buona parte del 2012 a ottenere questo».

Redazione Online

14 aprile 2013 | 20:05© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - corriere.it


Titolo: MARIO MONTI. - Sc, Monti si dimette poi ci ripensa.
Inserito da: Admin - Agosto 02, 2013, 11:01:47 am

Sc, Monti si dimette poi ci ripensa.

Il partito a un passo dall'implosione

Scelta Civica sarà guidata da un comitato di presidenza dopo che l'ex premier ha ottenuto il passo indietro del coordinatore Andrea Olivero, difeso dai deputati cattolici. Lo scontro ha portato stanotte alle dimissioni, poi ritirate, del professore. La resa dei conti prevista a settembre

di ALBERTO D'ARGENIO


Sc, Monti si dimette poi ci ripensa. Il partito a un passo dall'implosione Mario Monti, leader di Scelta Civica (ansa)
Sono le due di notte quando Mario Monti si dimette da presidente di Scelta Civica. E’ il penultimo atto di una riunione fiume che probabilmente segna la fine del partito dell’ex presidente del Consiglio. L’epilogo è il passo indietro del leader, che ritira le dimissioni. Ma la frattura tra laici e cattolici, addirittura accusati di «necrofilia», ormai sembra definitiva. Si parla di settembre come mese del big bang. Anche se qualcuno ieri sera ha già annunciato le dimissioni dal partito. Che ora sarà retto dal comitato di presidenza che prende il posto del coordinatore Andrea Olivero, silurato da Monti. A poco sono serviti gli sforzi dei pacificatori guidati dal ministro Mario Mauro.

Per capire come sono andate le cose bisogna tornare indietro di una settimana, a venerdì scorso, quando alcuni deputati cattolici di Sc hanno organizzato un convegno con i colleghi dell’Udc. Il partito di Casini ha rotto l’alleanza con Monti e i suoi parlamentari presto usciranno dai gruppi comuni di Camera e Senato. Il coordinatore Andrea Olivero, dalla nascita di Sc fedelissimo di Monti, ha partecipato all’incontro facendo letteralmente infuriare l’ex premier, che lo ha accusato di tradimento. Tra i laici di Sc infatti Casini è sospettato di voler rubare parlamentari cattolici del partito per fare gruppi autonomi a Montecitorio e Palazzo Madama. Ieri due incontri tra Monti e Olivero, che da giorni ripete di essere andato al seminario per tenere uniti i civici, non sono riusciti a rasserenare gli animi. Monti chiedeva le sue dimissioni, ma poi consapevole che rischiava la scissione (i cattolici a quel punto minacciavano di andare davvero con l’Udc) ha provato una mediazione. Così in serata con il suo staff l’ex premier ha preparato un comunicato che sarebbe dovuto uscire subito dopo l’assemblea dei parlamentari. «Entro le dieci di sera», garantiva il suo più stretto collbaoratore. Ma quel comunicato è uscito solo stamattina. Nel mezzo l’inferno.

La riunione slitta e inizia dopo le dieci. Monti (accusato poi di toni sprezzanti ed eccessivi) attacca i cattolici, in particolare il capogruppo alla Camera Dellai, e propone: soppressione della carica di coordinatore (Olivero), gestione collegiale da parte del Comitato di presidenza del quale fa parte anche Olivero. Che guiderà anche un “Progetto di Cultura politica” per dare un’identità a un partito dilaniato dalle correnti. Olivero accetta ma ammonisce: se non troviamo una sintesi andare avanti non sarà possibile. Allude alla scissione. Tutti guardano a settembre, quando ci sarà un seminario ad hoc sull’identità del partito. O al più tardi al Congresso di ottobre.

Quando tutto sembrava risolto con una vittoria di Monti, ecco il caos. Prendono la parola i parlamentari cattolici che non ci stanno, difendono Olivero, chiedono che resti coordinatore. Il sottosegretario Mario Giro parla di «purghe staliniane». Sberna, uomo di Sant’Egidio annuncia che lascerà il partito. Dellai rimanda al mittente le critiche dell’ex premier. L’onorevole Gigli chiede di azzerare tutti gli organi del partito per riequilibrarne il peso politico, visto che senza Olivero coordinatore i cattolici non si sentono più garantiti. Anche il motezemoliano Di Maggio attacca Monti: dov’è la democrazia interna? Sei inadeguato. C’è chi chiede all’ex premier di domandarsi come mai ha rotto con tutti i soci fondadori del partito (Casini, Riccardi, Montezemolo) e perché voglia far fuori l’ultimo, ovvero Olivero. I laici - si registra una parziale saldatura tra montiani doc e i montezemoliani di Italia Futura - rispondono. Causin arriva a dire che chi vuole andare con l’Udc è «un necrofilo».

Si va avanti fino alle due di notte, quando un Monti definito furioso dice che «molti interventi che ho ascoltato questa sera sono sgradevoli. Sono disgustato, vergognatevi». E ne trae le conseguenze: si dimette da presidente di Scelta Civica. In sala cala il gelo. Tutti sanno che è la fine del partito. E sanno anche che i ministri e sottosegretari civici a quel punto si dovrebbero dimettere, mandando nel caos il governo proprio nel giorno della sentenza Berlusconi. Bombassei prende da parte Monti e cerca di convincerlo a tornare sui suoi passi. Non è il solo. Pochi minuti dopo Monti ritira le dimissioni e il deputato siciliano Andrea Vecchio, imprenditore antimafia, si alza e riconoscente gli bacia platealmente la mano. Ma i cattolici sospettano che le dimissioni siano state un gesto studiato per metterli nell’angolo.

La riunione si chiude dopo le due di notte. Ma in molti questa mattina danno ormai il partito per morto. «Non possiamo restare a lungo qui, ora ci servono i tempi tecnici per organizzarci», confessa più di un cattolico.Un parlamentare vicino a Olivero dice che «ora noi cattolici e i liberali dovremmo avere capito che Monti non è più il garante del partito, non è la persona tramite la quale si controlla il movimento. Abbiamo un mese per cercare un accordo tra noi da far accettare a Monti oppure dividerci. Ma sono scettico». Probabilmente il divorzio arriverà a settembre, con la nascita di un nuovo soggetto forse composto da Casini e transfughi montiani e una Scelta Civica ridimensionata nei numeri, con Monti che poggerà sui fedelissimi e sui parlamentari che provengono da Italia Futura.


(01 agosto 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/08/01/news/sc_monti_si_dimette_poi_ci_ripensa_il_partito_a_un_passo_dall_implosione-64099028/?ref=HRER2-1


Titolo: MARIO MONTI. - Monti: patto di coalizione o usciamo dalla maggioranza
Inserito da: Admin - Settembre 17, 2013, 11:13:08 pm
POLITICA
15/09/2013

Monti: patto di coalizione o usciamo dalla maggioranza

Cresce il malumore dell’ala Udc, Casini lancia il “Partito popolare”

CAORLE (VENEZIA)

Bisogna rafforzare il governo con un patto di coalizione, per impedire che Pd e Pdl lo facciano galleggiare in una campagna elettorale «estenuante». Altrimenti le ragioni della nostra presenza nella maggioranza verrebbero meno. L’intento è quello di puntellare l’esecutivo Letta, ma per farlo Mario Monti usa lo stesso strumento per cui biasima Silvio Berlusconi: la minaccia. Nel suo intervento di chiusura della festa di Scelta Civica, il professore conferma l’intenzione di non «collocare» il suo partito né a destra, né a sinistra. Gelando così Casini che da Chianciano propone a montiani e centristi di Pd e Pdl di far nascere un nuovo soggetto politico che si ispiri al popolarismo europeo. 
 
«Decideremo democraticamente», ma «serenamente» senza essere «ossessionati» dalla fretta di schierarsi, scandisce l’ex premier dal palco di Caorle, punzecchiando quanti dentro Sc continuano a premere per risolvere il nodo delle alleanze. «La nostra collocazione - li frena Monti - è già definita» nella formula impressa nel trattato di Lisbona che afferma come l’Ue debba essere un’«economia sociale di mercato competitiva». Il faro da seguire, avverte, è quello, non alleanze con partiti che, peraltro, non hanno «modelli culturali» chiari. Strategia condivisa da Mario Mauro: «Chi vuole farci diventare il cagnolino di compagnia di Pd o Pdl non fa il bene» di Scelta Civica. Anche se, aggiunge il ministro della Difesa facendo capire quale esito preferirebbe, «nel Pd passano dal centralismo democratico al centralismo carismatico, ma senza affrontare i problemi». Sul fronte europeo, però, Mauro sostiene che una collocazione naturale Sc ce l’ha, ed è quella del Ppe. Ma anche su questo il professore frena, ricordando che spetterà al partito decidere, senza cercare «coperture di vergogne interne al di fuori di noi stessi». 
 
Quanto al governo, il professore ritorna su una posizione già espressa prima dell’estate: serve un cambio di passo che impedisca a Letta di rimanere impantanato nella palude di una campagna elettorale «permanente» destinata a logorare i conti pubblici e qualsiasi speranza di ripresa. È convinto che Berlusconi non staccherà la spina ed eviterà al Paese una pericolosa crisi di governo, ma sottolinea anche di non essere «interessato» ad un esecutivo che «avesse solo il sostegno tattico di Pd e Pdl». Per risolvere i problemi del Paese serve una «strategia duratura» ed in particolare un «patto di coalizione». Ipotesi sulla quale, assicura, Letta si è detto d’accordo. Questa, aggiunge sapendo bene che i voti di Sc non sono comunque indispensabili al governo, e una «condizione della nostra permanenza in maggioranza». Ovviamente, come ricorda il capogruppo dei senatori Gianluca Susta sono parole che non vanno «strumentalizzate» contro il governo. Anzi, come ricorda lo stesso Monti, l’obiettivo è semmai quello di «rafforzare» Letta. L’intento del Professore appare chiaro: incalzare l’esecutivo. «Perché noi», a differenza di chi «ricatta» l’esecutivo, siamo «moderati» ma vogliamo riforme «radicali». Anche a costo di inimicarci i «cosiddetti salotti buoni» dell’economia italiana che certo non hanno apprezzato alcune misure varate un anno fa, a cominciare dal divieto di «incroci» nei Cda di banche e assicurazioni. 
 
Sembra quindi sempre più inevitabile il divorzio con l’Udc. Casini, strozzato dall’esito elettorale e irrigidito dal “grande freddo” con Monti, cerca nuovi sbocchi. A destra, dove tenta le colombe del Pdl prevedendo il lento defilamento del Cavaliere. A sinistra, per chi nel Pd soffre l’invisibilità di un partito che volge «al personalismo». E soprattutto al centro, puntando all’area popolare e sfidando silenziosamente la leadership di Monti. Operazione forse ambiziosa e di certo difficile che ha entusiasmato i militanti della festa di Chianciano ottenendo, a caldo, solo stroncature e scetticismi da Pdl e Sc. Eppure, gli scudocrociati lavorano da tempo al progetto, con un orizzonte temporale dichiarato, le elezioni europee del prossimo anno, e uno più velato, l’eventuale appoggio ad un Letta-bis d’emergenza: quel premier che ieri ha avuto un lungo colloquio con Casini e Cesa e che sembra poter contare ciecamente sui parlamentari centristi. «Non c’è tempo da perdere, l’Italia ha bisogno della politica migliore», ha tuonato Casini lanciando l’ennesimo strale al M5S: «rinnovamento non vuol dire occupare i tetti» e prevedendo quell’«atto di grande responsabilità» da parte di Silvio Berlusconi che si identifica con le dimissioni da senatore e con le sue inevitabili conseguenze politiche. 
 
Perché Casini, nel lanciare il nuovo progetto popolare - che potrebbe concretizzarsi entro fine anno - guarda «a Sc e alle parti del Pdl interessate», laddove Cesa, abbozzando già il nuovo nome («magari Partito Popolare o Popolari per l’Europa») non esclude che ci sia spazio anche nel Pd. Due i pilastri attorno al quale ruota la proposta: il sostegno all’attuale governo, così convinto da indurre Casini a escludere qualsiasi «alleanza con chi farà cadere Letta» e il Ppe, del quale l’Udc rivendica di essere la proiezione italica. Pilastri che per ora, non trovano terreno morbido. 

da - http://www.lastampa.it/2013/09/15/italia/politica/monti-patto-di-coalizione-o-usciamo-dalla-maggioranza-sspouIVPvqJRQmjNT4H3dJ/pagina.html


Titolo: MARIO MONTI. - SCELTA CIVICA A PEZZI.
Inserito da: Admin - Ottobre 20, 2013, 11:24:33 pm
SCELTA CIVICA A PEZZI.
VERSO UN NUOVO GRUPPO "POPOLARI" AL SENATO
Monti: «No a piccolo progetto polveroso»
Casini: «Dal Professore atteggiamento rissoso»
Borletti Buitoni contro il ministro Mauro: «Ha usato il partito pensando a un altro progetto»

Altro che sobrietà. Resta altissimo il livello della polemica all'interno di Scelta Civica . Dopo la rottura consumata giovedì, l'ex premier Monti ribadisce le sue «dimissioni irrevocabili» dal partito mentre il ministro Mauro, indicato proprio da Monti come causa del suo clamoroso passo indietro, nega che il suo appoggio al governo sia ispirato ad un'operazione pro-Berlusconi. E intanto però circola la voce sempre più insistente che stia per nascere un nuovo gruppo al Senato.
NUOVO GRUPPO AL SENATO - Il nuovo gruppo,che attrarrebbe la maggioranza dell'attuale gruppo Sc (compresi Mauro e Casini), dovrebbe avere la parola "popolari" nel nome.
Tra Casini e Monti ormai d'altronde volano gli stracci. «Le accuse di Monti nei miei confronti sono semplicemente ridicole», scandisce a Matrix il leader dell'Udc. Che fa di più fino da definire «atteggiamento rissoso sull’azione dell'esecutivo» quello di Monti perché «questi continui distinguo, non sono accettabili». Quanto alle dimissioni di Monti, Casini taglia corto: «Non gli chiederò di ritirarle perché questo non mi riguarda».
REPLICA - «Il rigore intellettuale e l’autorità morale del presidente Casini sono tali che non mi permetto certo di commentare le sue importanti parole», replica Monti sul fatto che il leader dell’Udc aveva definito «ridicole» le accuse che gli aveva mosso.
MONTI NON TORNA INDIETRO - «Le mie dimissioni sono irrevocabili. Io non sono più iscritto a Scelta Civica», ribadisce dal canto suo Monti, parlando a margine di un convegno sul Ppe a Palazzo Giustiniani. «Alcune personalità autorevoli all'interno di Scelta civica», ha aggiunto il Professore, «hanno travisato la natura del nostro movimento». Quindi tranchant ricorda che in Scelta Civica, nei giorni scorsi, «stavo ultimando» una serie di contati per chiedere «l'adesione al Ppe, cosa che evidentemente non farò più» perché «non mi interesso più di Scelta Civica».
Scelta Civica «non è nata per questi vecchi giochi politici. Non posso permettere che questo avvenga», ed è per questo che ha voluto «sollecitare la coscienza e l’attenzione delle grandi forze vitali, liberali e popolari, ma serie, che ci sono in Sc contro questo piccolo progetto di vecchio sapore di polvere». Monti ha detto che ha così voluto «far venire alla luce un progetto di una minoranza nel partito» che mirava al superamento di Scelta Civica «verso una entità non particolarmente ben definita ma di cui si è capito che dovrebbe o potrebbe farne parte il Pdl non ancora deberlusconizzato».
I FEDELISSIMI DI MARIO - Se Monti usa le parole con il contagocce sono i suoi fedelissimi a esprimere pubblicamente il dissenso contro la linea adottata da Sc. Ilaria Borletti Buitoni, deputata del partito , va giù piatta: «Io sono con Monti e soprattutto condivido del presidente Monti la critica costruttiva che lui fa nei confronti del governo per spingerne l'azione riformista, cosa che peraltro fa parte integrante del programma di Scelta Civica». Quindi attacca frontalmente Mauro che «ha usato Scelta civica pensando ad un altro progetto che non è Scelta civica». «Ho l'impressione - rincara Borletti Buitoni - che nella nostra formazione politica ci fossero persone, e per fortuna sono la maggioranza, che erano disposte a questo progetto riformista e ci sono persone che hanno ritenuto questo partito un traghetto versi altri lidi politici. Siamo arrivati ad un chiarimento interno che non escludo possa essere anche positivo».

LA POSIZIONE DI ICHINO - Mentre Pietro Ichino, altra figura storica di Sc, sembra intenzionato a voltare pagina. In un editoriale pubblicato sul suo sito spiega che «nonostante le dimissioni di Mario Monti, Sc ha ancora il dovere di proporsi come forza politica capace di dare voce in modo inequivoco, in Parlamento e nel Paese, alla grande area di opinione che guarda all’integrazione del nostro Paese nella nuova Unione Europea e vede nelle vecchie pratiche politiche il rischio di un appannamento di questa prospettiva».
18 ottobre 2013
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Redazione Online

Da - http://www.corriere.it/politica/13_ottobre_18/monti-scelta-civica-non-mi-interessa-piu-fedelissimi-vanno-attacco-mauro-d18a3600-37fb-11e3-91d2-925f0f42e180.shtml


Titolo: MARIO MONTI: «Sull’Imu il governo Letta si è inginocchiato al Pdl»
Inserito da: Admin - Ottobre 28, 2013, 09:28:00 am
Monti: «Sull’Imu il governo Letta si è inginocchiato al Pdl»

L’ex premier a «In mezz’ora»: «In economia a volte si scrive Letta ma si legge Brunetta. Vorrei un governo del fare, non del disfare»

Sull’Imu «il governo Letta si è inginocchiato al Pdl, con la conseguenza di una manovra non adeguata sul cuneo fiscale e facendo aumentare l’Iva». L’ex premier Mario Monti, intervenendo a In mezz’ora su Raitre, avvisa che senza un contratto di coalizione chiaro, in futuro accadrà ancora quello che è successo per la manovra.

GOVERNO DEL FARE, NON DEL DISFARE - Non si tratta, però, di rinnegare la scelta di appoggiare questo esecutivo - sottolinea Monti: «Questa formula e questo presidente del consiglio sono la miglior cosa che questo Paese possa avere. Ma vorrei che fosse veramente il governo del fare, ma per l’atteggiamento di Pd e Pdl sta diventando il governo del disfare». Con Monti però il premier dovrebbe incontrarsi nel corso della prossima settimana, che per il numero uno di palazzo Chigi si preannuncia piena di appuntamenti.
IL CONTRATTO DI COALIZIONE - Appena lasciato il suo movimento, Scelta Civica, l’ex premier e ora senatore a vita non rinuncia comunque alla politica: «Ovviamente Scelta Civica non minaccia niente, ma abbiamo il dovere di indicare qual è secondo noi la strada giusta e il presidente Letta ha concordato che un contratto di coalizione ci voglia. Altrimenti finirà ancora ad inginocchiarsi davanti al Pdl, come fatto con l’Imu».
«SI SCRIVE LETTA, SI LEGGE BRUNETTA» - Non rinuncia, comunque, al gusto della battuta, Monti: «Certe volte il governo si scrive Letta ma si legge Brunetta, specialmente sulla politica economica». Ringuardando, infatti, alla vicenda Imu, sottolinea: «Dal Pdl arrivano diktat quotidiani».
BERLUSCONI E LA DECADENZA - Affrontando, poi, il tema della decadenza del suo predecessore a Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi, Monti afferma di non avere pregiudizi. Il voto non è stato ancora calendarizzato, ma il senatore a vita sa già cosa farà: «Voterò in base alla relazione che la giunta del Senato manderà in aula. Per me non è il giudizio su una persona, ma è l’applicazione di una legge uscita un anno fa e allora non contestata. Qui vediamo se in Italia c’è o no lo Stato di diritto». Dopodiché, probabilmente, la palla passerebbe al presidente Napolitano. E «se venisse usata la grazia io non mi scandalizzerei».
L’ACCORDO CON IL PDL «DEPURATO» - Non si tratta nemmeno di un pregiudizio sul centrodestra, comunque: «Io avrei fatto volentieri un accordo con il Pdl, depurato però. E non è solo Berlusconi e non voglio fare lista di nomi», ha specificato l’ex premier a Lucia Annunziata.
L’ADDIO A SC, GLI ELETTORI E CASINI- Monti ha lasciato Scelta Civica, che pure aveva fondato, dopo una specie di sfiducia interna da parte di 11 senatori casiniani. Adesso, alla domanda se l’alleanza con Casini abbia penalizzato Sc alle urne, risponde: «Può essere che avessero ragione» gli elettori che non hanno votato proprio per quel motivo. «Trovo curioso che (il ministro Mario, ndr) Mauro e Casini, che stanno facendo aperture al Pdl, critichino Scelta Civica accusandola di minare la stabilità del governo.Penso che lo facciano perché vedono uno spazio elettorale più ampio da quella parte».

20 ottobre 2013
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Redazione Online

http://www.corriere.it/politica/13_ottobre_20/monti-sull-imu-governo-letta-si-inginocchiato-pdl-9c96435c-3987-11e3-893b-774bbdeb5039.shtml