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Forum Pubblico => L'ITALIA NON FATELA RIDURRE ad ARCIPELAGO di ISOLE REGIONALI E FEUDALI. => Discussione aperta da: Arlecchino - Ottobre 26, 2022, 11:27:56 pm



Titolo: Fine vita, il diritto (quasi) dimenticato nei programmi elettorali
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 26, 2022, 11:27:56 pm
Fine vita: chi lo affronta in campagna elettorale

"Luisa, la newsletter La 27 ora – Corriere della Sera" <corrieredellasera@publisher-news.com>

13 SETTEMBRE 2022   

Ciao,
ieri  è finito il Tempo delle Donne. Abbiamo passato quattro giorni davvero belli. Torniamo in redazione con tante idee e nuove connessioni –Luisa Pronzato ne sarebbe fiera –che portiamo anche qui.
A dodici giorni dalle elezioni, continuiamo con le inchieste sui diritti affrontati nelle campagne elettorali. Dopo l'approfondimento sui diritti lgbt+, e quello sulla genitorialità, oggi trovate l'inchiesta di Silvia Morosi sul fine vita con l'intervista a Filomena Gallo, avvocata cassazionista e Segretaria dell'Associazione Luca Coscioni, ospite del Tempo delle Donne.
Tornando al nostro Tempo, vi lasciamo con un commento di Vera Gheno, sociolinguista e protagonista della nostra festa-festival che quest'anno ci ha aiutato a riflettere sulle parole chiave per la nona edizione.

Infine, la rubrica Appunti per cambiare rotta, dove Silvia Morosi consiglia due libri e una canzone.
SCRIVETECI mandandoci suggerimenti, spunti, racconti a questo indirizzo mail: la27ora@corriere.it

a cura di Virginia Nesi e Greta Privitera
La27ora

Fine vita, il diritto (quasi) dimenticato nei programmi elettorali
di Silvia Morosi

Di economia, lavoro, imprese, energia promettono di occuparsi tutti. Tanto che, come ricordato sul Corriere della Sera anche da Sabino Cassese nell’editoriale di domenica 4 settembre, «un cittadino che leggesse i diversi programmi elettorali, senza conoscerne la provenienza, potrebbe con molta difficoltà stabilire da quale forza politica sono stati scritti». Difficile, invece, confondersi sul fronte dei diritti civili, grandi assenti non solo nei dibattiti organizzati in vista del voto del 25 settembre, ma anche nella maggior parte dei programmi. Pensiamo — ad esempio — alla dignità della morte e al fine vita, temi portati all’attenzione dell’opinione pubblica dalle battaglie di singoli e di associazioni, che vengono affrontati solo da uno degli schieramenti, mentre sono dimenticati, e in alcuni casi frenati, dagli altri.
Prima di osservare nel dettaglio quanto scritto dai singoli partiti, abbiamo chiesto a Filomena Gallo, avvocata cassazionista, Segretaria Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, di aiutarci a fare il punto sui principali cambiamenti normativi verificatisi nel panorama italiano intorno alle scelte di fine vita negli ultimi anni (qui le battaglie più celebri).

 Dalla richiesta di una legge sull’eutanasia del 2006 da parte di Piergiorgio Welby, co- presidente dell’Associazione Luca Coscioni, i cambiamenti ottenuti nel nostro Paese sono legati alle battaglie che l’Associazione ha condotto con le persone che hanno voluto rendere pubblica la loro battaglia. Il non luogo a procedere nei confronti di Mario Riccio, il medico che nel rispetto della volontà di Welby previa sedazione, sospese i trattamenti di sostegno vitale che mantenevano in vita Piergiorgio ha fatto giurisprudenza, così come la battaglia di Beppino Englaro per affermare la volontà di sua figlia Eluana non più in grado di manifestarla perché in stato vegetativo da anni. Situazioni diverse ma con un unico obiettivo: essere liberi fino alla fine. Da quel momento in poi, evidenzia Gallo, «il dibattito innescato nel Paese ha fatto emergere la necessità di libertà delle persone in ogni fase della vita.
Circa 70mila persone hanno firmato nel 2013 una proposta di legge popolare per legalizzare l’eutanasia. Marco Cappato, Mina Welby e Gustavo Fraticelli nel 2015 dichiararono che avrebbero aiutato chi non vedeva affermata la propria scelta nel fine vita, per poi autodenunciarsi. Una disobbedienza civile. Fabiano Antoniani (Dj Fabo), con l’aiuto di Cappato ha raggiunto la Svizzera per essere aiutato a morire. Cappato, a seguito della sua autodenuncia, ha rischiato la reclusione fino a 12 anni e ha dovuto affrontare un processo perché imputato di istigazione e aiuto al suicidio (art. 580 del Codice penale). Chiaro ed inequivocabile è emerso che non vi era stata istigazione, ma solo aiuto».
Così, la Corte di Assise di Milano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale su quell’aiuto fornito a persona capace di autodeterminarsi, malata irreversibile, dipendente da sostegno vitale. «Nel contempo — prosegue Gallo — la grande attenzione del Paese su di una vicenda che vedeva coinvolti noi tutti perché parlava di vita ha portato (finalmente!) nel 2017 il Parlamento ad approvare la legge sul testamento biologico. La Corte costituzionale, pur invitando il Parlamento a legiferare su tutte le scelte di fine vita, nel rispetto della persona, dinanzi al silenzio del legislatore è intervenuta rendendo non punibile l’aiuto al suicidio a determinate condizioni. Questi cambiamenti hanno visto riscontro nelle vite delle persone che depositano le loro Dat (Disposizioni anticipate di trattamento) per dichiarare le loro scelte in materia terapeutica anche quando non potranno esprimerle.
Federico Carboni a giugno ha potuto procedere con il suicidio assistito a Senigallia grazie alla sentenza Cappato e alla nostra Carta costituzionale. Fabio Ridolfi a Fermignano avrebbe voluto procedere come poi ha fatto Federico ma i ritardi nelle risposte dell’Asl lo hanno portato a rifiutare i trattamenti di sostegno vitale in corso previa sedazione. “Antonio” sempre nelle Marche ha concluso il percorso di verifica previsto dalla sentenza Cappato e quando vorrà potrà procedere con il suicidio assistito».
Un quadro che permette di comprendere non solo cosa è possibile e cosa non è possibile fare oggi nel nostro Paese, ma anche quali concetti e argomenti avrebbero potuto essere citati nei programmi. «Perché vi sono diritti fondamentali che devono essere rispettati, affermati, e la giurisprudenza in questi anni ha creato diritto nel rispetto delle carte fondamentali. Il legislatore italiano ha la tendenza a non voler riconoscere che le libertà personali sono inviolabili e vanno rispettate e che le buone leggi garantiscono sia il diritto di chi vuole esercitare una scelta sul fine vita e nel contempo il diritto di chi quella scelta non vuole farla perché nessuno potrà imporre nullas», chiarisce Gallo. La legge 219/2017 sulle DAT ha disciplinato la possibilità per il malato di accettare, rifiutare o sospendere qualsiasi terapia, incluse quelle salvavita. Il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze. A tal fine, la legge prevede che sia sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente.

 
«Anche in Italia — evidenzia Gallo — è possibile richiedere al medico l’accesso al suicidio assistito. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 2019, è stato dichiarato “non punibile chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente». È vietata l’eutanasia attiva, punita ai sensi dell’articolo 579 del Codice penale che configura il reato di omicidio del consenziente.
Lo scorso anno un milione 240 mila persone hanno firmato per indire referendum al fine di rendere possibile anche questa scelta. Attualmente tale divieto esclude il rispetto della volontà di scelta dei malati totalmente immobili e impossibilitati ad autosomministrarsi un farmaco letale. Il referendum non è stato ammesso dalla Corte Costituzionale che nella sentenza ha evidenziato un intervento del legislatore con una legge. Vediamo, quindi, cosa dicono (o non dicono) i singoli partiti.

ALLEANZA VERDI E SINISTRA
Nel quinto punto (dei 18) del programma dell’Alleanza Verdi e Sinistra dedicato a «L’Italia libera» si ricorda la necessità di «una legge sul fine vita che ascolti le disperate richieste di tante e tanti di poter mettere fine alla propria vita con dignità».

 PARTITO DEMOCRATICO
«Vogliamo approvare una legge sul fine vita, per permettere a tutte e tutti di decidere per sé. La brusca interruzione della legislatura, a pochi mesi dal suo naturale completamento, ha impedito di portare a termine una serie di proposte legislative su questi temi. Da lì ripartiremo, nei prossimi cinque anni», si legge nella prima parte del programma del Pd, nel paragrafo dedicato al terzo pilastro del Piano Italia 2027 (1. Sviluppo sostenibile e transizioni ecologica e digitale; 2. Lavoro, conoscenza e giustizia sociale; 3. Diritti e cittadinanza). Intenzione che trova spazio anche nella Parte II del programma (Italia 2027: il Paese che vogliamo) quando viene ricordata l’intenzione di approvare «una legge sul fine vita, per difendere fino all’ultimo dignità e autodeterminazione, in linea con le indicazioni della Corte Costituzionale. Tutte le democrazie avanzate discutono del tema, abbiamo il dovere di fare lo stesso. La società ha dimostrato di essere più avanti della politica ed è nostra responsabilità dimostrare di essere in grado di interpretare un sentire diffuso».

+ EUROPA
Al secondo punto (di 18) del programma di Emma Bonino dedicato a “Diritti e cittadinanza” trova spazio il tema del fine vita, dopo una premessa nella quale si ricorda che quanto accade in Europa – in Paesi come Polonia e Ungheria, dove i diritti delle persone LGBTI+, delle donne e lo stesso Stato di Diritto sono sotto attacco – rappresenta l’ennesima conferma di quanto diritti e libertà individuali «continuino a essere a rischio e non possano essere mai dati definitivamente per scontati», ribadendo la necessità di creare «uno spazio in cui le diversità siano considerate un valore aggiunto e le responsabilità individuali sempre ribadite, dall’inizio alla fine della vita della persona». Quello che si propone il partito è allora «una legge che garantisca la possibilità di ricorrere all’aiuto medico alla morte volontaria e all’eutanasia per le persone capaci di intendere e di volere affette da patologie irreversibili che siano fonte di sofferenze insopportabili. Tale legge è necessaria per dare seguito alle pronunce della Corte Costituzionale nn. 207 del 2018 e 242 del 2019, senza introdurre ulteriori limitazioni alla libertà di scelta ma al contrario rafforzandola, permettendo di fare ricorso anche alle persone che rispecchiano gli altri criteri ma non sono tenute in vita tramite trattamenti di sostegno vitale, come i malati oncologici in fase terminale e inguaribile».

 IMPEGNO CIVICO
Nel programma di Impegno Civico non si trova alcun accenno al tema del fine vita. Il paragrafo dedicato a “Più sviluppo più diritto alla salute” fa riferimento — infatti — all’importanza di avere un sistema sanitario nazionale diffuso e radicato nel territorio, anche sull’onda della pandemia vissuta, sulla prevenzione e promozione della salute, l’investimento sulle politiche sportive e l’attenzione a nuovi fenomeni amplificati dal Covid come quello della Dca (Disturbo del Comportamento Alimentare), che colpisce in particolare i giovanissimi.

MOVIMENTO CINQUE STELLE
Nessun riferimento al tema del fine vita nemmeno nel programma del Movimento 5 Stelle, nonostante la proposta sul ddl fine vita del 2021 portasse la firma di centrosinistra e M5S.

 AZIONE- ITALIA VIVA
Nessun riferimento al fine vita si trova, poi, nel programma di Azione-Italia Viva.

FRATELLI D’ITALIA
Non stupisce non trovare nessun riferimento nemmeno nel programma di Fratelli d’Italia (come in quello della coalizione di centrodestra). Già lo scorso anno il fronte del centrodestra si era dimostrato compatto e contrario in occasione della discussione alla Camera del ddl, rafforzato anche dallo stop della Corte costituzionale al referendum sull’eutanasia attiva

FORZA ITALIA
Nessun riferimento al fine vita si trova, poi, nel programma di Forza Italia.

 LEGA
Nessun riferimento al fine vita si trova, poi, nel programma della Lega.


Insomma, l’idea di Pd, +Europa e Verdi-Sinistra è quella di continuare il percorso legislativo iniziato nel 2019 per estendere la possibilità di ricorrere all’aiuto medico alla morte volontaria e all’eutanasia. Mentre né M5S, né Azione-Italia Viva e neppure il centrodestra inseriscono un punto a riguardo nei loro documenti. Pur nella concomitanza di valori difficili da conciliare, non è (più) auspicabile sfuggire alla discussione. «Quello che dicono i partiti sui programmi è poco rilevante, quello che hanno fatto in questi anni lo è molto di più. Cioè da una parte avversano qualsiasi tipo di riforma, dall’altra si muovono senza convinzione riducendo le possibili riforme a piccole modifiche che finiscono per non dare una risposta concreta sulle situazioni di fine vita che le persone vivono», conclude Gallo.
«Le persone vivono con consapevolezza la propria condizione. Quello che non accettano, e per questo non si può aspettare, è il dover emigrare per poter esercitare il diritto di scegliere su come morire. Se il diritto di scelta sul proprio corpo non rientra nel dibattito politico, vuol dire che la politica abdica alla propria funzione. Sarebbe utile che i politici che ci chiedono un voto per essere legislatori nel prossimo Parlamento, parlassero con le persone, con i malati, in modo da poter dare loro tutti gli strumenti per vivere al meglio la propria condizione, per vivere liberi anche alla fine della loro vita».

Parole e realtà devono restare sulla stessa dimensione
di Vera Gheno
Impatto. E divisivo, fluidità, sostenibilità, equità, cura. Sei termini che sanno di contemporaneità: sono le parole chiave scelte per descrivere questa edizione del Tempo delle Donne. Per me che ho potuto analizzarle una per una, si tratta di sei gemme linguistiche: sei ganci verso mondi di significati, concetti sui quali oggi è doveroso riflettere, come esseri umani singoli e come collettività.
Quando si parla di certi temi, succede che determinate parole diventino «di moda»; per un certo periodo, sembra che non abbiano sinonimi, che siano imprescindibili. Talvolta, in conseguenza a ciò, succede che tali termini inizino a risultare indigesti perché inflazionati: pensiamo alla reazione di fronte a resilienza. Nella scelta di una serie di parole chiave, il rischio che questo succeda è ancora più alto. A mio avviso, l’unico modo per evitarlo, a parte non abusare delle parole (e quindi usarle in maniera responsabile, come se fossero spezie dal sapore intenso), è quello di mantenerle fermamente intrecciate alla realtà, senza separare i due piani.
In un presente che tende a creare discussioni polarizzate su qualsiasi argomento (sì/no, bianco/nero, giusto/sbagliato), una delle tante dicotomie create a tavolino è quella tra fatti e parole. Per me, che sono linguista e quindi mi occupo di parole per lavoro, l’accusa di stare perdendo tempo in cose poco rilevanti perché «sono i fatti a contare» è giornaliera. In realtà, non esiste alcuna opposizione tra realtà e lingua; anzi, queste si alimentano a vicenda, si influenzano, in un circolo che può essere vizioso oppure, al contrario, virtuoso.
La realtà influenza la lingua, ma la lingua ha il potere di influenzare il modo in cui vediamo determinati aspetti della realtà, dato che quando qualcosa viene nominato, semplicemente lo si vede meglio: ne possiamo parlare. Dunque, prendiamo queste parole chiave come punto di partenza: non forniamo risposte, ma cerchiamo di creare il desiderio di farsi più domande; infatti, è solo a partire dalla comprensione dei limiti della propria conoscenza che si può ambire a costruire altro sapere.



Appunti per cambiare rotta

di Silvia Morosi
Oggi, due libri e una canzone
Le parole, di per sé, non sono sbagliate. Il modo in cui le mettiamo insieme e le usiamo per esprimere i nostri pensieri, può - però - trasformarsi in un’arma di offesa. Il rispetto passa anche dall'uso che facciamo delle parole. Le parole sono dei corpi attraverso cui passa il potere. Le parole hanno un corpo. Buona lettura.
 
Toni Morrison, La misura delle nostre vite, Sperling & Kupfer, 2020
Già con Luisa avevamo pensato di raccontare quest’autrice incredibile, e questo testo-antologia di poco più di cento pagine mi dà la possibilità di rispettare quella promessa. Al centro, infatti, ci sono le parole – non ostili – e il loro valore, un tema caro a La27ora (qui il nostro decalogo, scritto insieme in un pomeriggio del 2017). Parole da utilizzare con cura, quasi chirurgica, per evitare che l’impoverimento del lessico favorisca il diffondersi non solo di superficialità, ma anche di diseguaglianze. Non a caso la Premio Nobel per la Letteratura nel 1993, l’autrice - tra le più importanti voci femminili della cultura afro-americana contemporanea – ha sempre sottolineato il ruolo e il potere degli scrittori che con la penna possono rendere un servizio all’umanità. Dando voce anche al dolore della segregazione, alla lotta per l’emancipazione, al valore inestimabile della libertà. «Moriamo. Forse è questo il significato della vita. Ma produciamo il linguaggio. E forse è questa la misura delle nostre vite». Qui il ricordo di Morrison scritto da Zadie Smith.
 
Antoine Dole (illustrazioni di Magali Le Huche), Bruttina a chi?, Rizzoli, 2022
A scuola dicono che Claudia è bruttina, anzi, che è la più brutta di tutte. I compagni l’hanno soprannominata «Claudia Skiffer». Lei, però, non si abbatte e affronta ogni giorno con il sorriso. Quando si guarda allo specchio vede una bimba piena di talento, idee e sogni da realizzare. Che si tratti – lo raccontano bene le immagini – di diventare una scienziata geniale, una dottoressa, un’astronauta, una domatrice di belve feroci, una pasticciera o una pittrice visionaria. Perché la ricchezza sta nella diversità e nell’imparare ad amarsi, senza farsi influenzare da giudizi e cattiverie. In libreria da oggi… grazie alla casa editrice per l’anteprima di lettura!

 Aretha Franklin, Respect
Composta nel 1965 da Otis Redding, questo brano è diventato un successo senza tempo nella versione del 1967 di Aretha Franklin. Se nel testo originale l’autore chiede alla propria compagna di essere rispettato e preso in considerazione, la «Regina del Soul» reinterpreta la canzone che diventa un inno universale della battaglia per i diritti delle donne e delle minoranze in generale. E così, solo per fare un esempio, parole vagamente maschiliste come «Ti chiedo solo un po’ di rispetto quando torno a casa la sera» si trasformano in una rivendicazione di uguaglianza, dentro e fuori le mura domestiche («Ti chiedo solo un po’ di rispetto quando torni a casa la sera»). Lasciamo che quella straordinaria voce fluisca ed esploda ancora, senza freni.

da – corriere della sera