LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => ESTERO fino al 18 agosto 2022. => Discussione aperta da: Arlecchino - Luglio 18, 2020, 09:19:45 pm



Titolo: RUSSIA, BIELORUSSIA.
Inserito da: Arlecchino - Luglio 18, 2020, 09:19:45 pm
Approfondimento Russia

Khodorkovskij: "Una rivoluzione per deporre Putin"
17 LUGLIO 2020

L'ex patron del colosso petrolifero Yukos e uomo più ricco di Russia prima che il suo Paese si ritorcesse contro di lui parla con "Repubblica" dal suo esilio londinese dopo il voto popolare che ha sancito la Costituzione voluta da Putin: "Gli emendamenti rimuovono l’avvicendamento legale del potere. Il cambio del regime sarà risolto in strada"

DI ROSALBA CASTELLETTI

 “La nuova Costituzione russa rimuove la possibilità di un avvicendamento legale del potere. Il che vuol dire che, presto o tardi, quando mai ci sarà un cambio di regime, avverrà con una rivoluzione”. A parlare è Mikhail Khodorkovskij, 57 anni, un tempo patron del colosso petrolifero Yukos e uomo più ricco di Russia prima che il suo Paese si ritorcesse contro di lui perché – parole della Corte d’Appello dell’Aja – “aveva dato segni di diventare un rivale politico” per Vladimir Putin. Dieci anni di carcere duro dopo le contestate condanne per frode, evasione fiscale e appropriazione indebita, non ne hanno fiaccato lo spirito.

Da Londra, dove vive dopo essere stato scarcerato nel 2013 grazie a un’amnistia, ha fondato Open Russia, organizzazione “non grata” nella Federazione, e la piattaforma di notizie Mbk Media. Ed è stato uno dei principali sostenitori della campagna “Njet”, No, per bocciare il voto del 1° luglio sugli emendamenti costituzionali che permetteranno a Putin di restare al potere almeno fino al 2036. Una battaglia persa in partenza: “Era chiaro che il Cremlino avrebbe aggiunto al conteggio finale qualsiasi numero di voti di cui avesse avuto bisogno”. Dopo quest’ultimo colpo di mano, insiste Khodorkovskij parlando su Zoom con La Repubblica dal suo esilio londinese, “Putin si è trasformato ufficialmente in un presidente illegittimo”.

Mikhail Borisovich, quali sono le principali conseguenze politiche della nuova Costituzione appena adottata per il futuro della Russia?
"Il più grande problema creato dagli emendamenti per la Russia è che è stata rimossa la possibilità di un legale avvicendamento del potere. Non solo perché Vladimir Putin ha esteso i suoi mandati al Cremlino, benché questo naturalmente sia il punto cruciale. Ma perché ha ufficialmente messo fine all’indipendenza della magistratura. Putin non sarà più obbligato a rispettare le decisioni dei tribunali internazionali o della Corte europea dei diritti umani. Se prima non adempieva alle sentenze della Corte europea a suo sfavore, adesso quello che era un dato di fatto è stato sancito dalla stessa Costituzione.

E poi ci sono i cambiamenti introdotti dalla "legge speciale" sulle nuove procedure elettorali. Il voto può durare più giorni e gli osservatori sono scelti tra persone selezionate dal Consiglio presidenziale. È così che il primo luglio le autorità sono riuscite a "iniettare" 22 milioni di voti falsi. È chiaro che sarà la procedura adottata in qualsiasi elezione futura. Di fatto non si potranno più cambiare legalmente governo o presidente".

Lei ha appoggiato la campagna “Njet”, per votare “no” alle urne, Aleksej Navalnyj invece ha invitato a boicottare il voto. Questa mancanza di una strategia comune dell’opposizione anche di fronte alla prospettiva di un Putin al potere per altri 16 anni non rischia di fare il gioco che avversate?
“Lei parte dal presupposto che l’opposizione avrebbe potuto condizionare l’esito del voto. Perché accadesse, si sarebbe dovuto tenere un voto regolare. Invece si è tenuta solo una sorta di parata svolta secondo regole non trasparenti. Circa la metà della gente voleva andare alle urne e dire “No” e l’altra metà riteneva che, come si dice da noi, bisognasse “votare coi piedi”, cioè boicottare. L’amministrazione presidenziale voleva aizzare le due parti, perché non discutessero della natura illegittima del voto e degli emendamenti. A parer mio, siamo riusciti a evitare questo conflitto. Sì, c’è stato un dibattito all’interno dell’opposizione, ma la gente ha capito che, sia votando “no”, sia boicottando le urne, avrebbero dimostrato che consideravano questi emendamenti e il voto illegali".

La revoca delle restrizioni anti-pandemia è stata accelerata pur di convocare le urne. Perché era così importante per Putin sancire la riforma con un voto sebbene non fosse necessario per la legge russa?
"Putin comprende che i suoi tassi di popolarità stanno crollando. Che lo scontento popolare sta crescendo. Che la crescita economica non migliorerà. Ha fretta di trovare soluzioni e di imporle prima che il malcontento esploda in strada".

Quali ragioni vede dietro a questo calo dei consensi?
"Penso che la pandemia sia stata una crisi di grande portata perché, invece di assumersi la responsabilità della situazione, Putin la ha delegata ai governatori territoriali. Per uno Stato federale come la Russia, il principio di per sé sarebbe corretto. Tuttavia per vent'anni Putin ha rivendicato di avere in mano la verticale del potere e ha rimpiazzato i governatori con politici impopolari e incompetenti nominati da lui. E una parte considerevole della popolazione credeva in questo: pensava che in tempi di crisi fosse necessario che il potere fosse concentrato in solide mani. Dico da anni che non c’è alcuna verticale del potere, che Putin non controlla nulla, ma la gente credeva che questa verticale esistesse e, quando Putin ha delegato ai governatori, si è sentita smarrita. La cosa peggiore successa a Putin è stata questa crisi di fiducia in lui".

In vista del corteo del 15 luglio a Mosca, soffocato negli arresti, la polizia ha fatto irruzione negli uffici di Open Russia e fermato vari attivisti del suo movimento. Come continua la sua lotta?
"È importante spiegare che Putin si è trasformato in un presidente illegittimo. È importante perché è chiaro che, dopo l'adozione della nuova Costituzione, la questione del potere sarà risolta solo in strada. Credo sia l'unica strategia che può far sì che Putin ceda lo scettro prima del 2036. Verrà un giorno in cui si porrà la questione: fino a che punto il potere è disposto a usare la forza pur di reprimere le proteste. È già successo in passato. La storia russa si ripete. Perciò mi chiedo: se questa gente ha studiato la storia, perché non capisce come andrà a finire. A dire il vero sarebbe già finita se l'annessione della Crimea non avesse resuscitato la legittimità del potere per breve tempo.

È interessante notare che gli esperti dell'opposizione e del regime concordano sul fatto che, se il sistema non cambia, l'unica crescita economica possibile nel futuro è tra lo 0,5% e l'1%. Ma dovrebbe essere come minimo intorno al 4% perché la popolazione stia meglio. Col regime attuale è impossibile. Il malcontento continuerà ad aumentare. E quando esploderà dipenderà da ragioni casuali. A scongiurare un sovvertimento rivoluzionario sinora è stata solo l'illusione che il regime abbia una qualche legittimità, ma ora quest'illusione è stata spazzata via".

Com'è cambiata la Russia da quando Putin è al potere?
"Non è una domanda facile come sembra. Se si guarda alla situazione sociopolitica del Paese, la Russia è arretrata notevolmente, ma allo stesso tempo è virata a destra. Se in passato siamo usciti da una dittatura di sinistra, adesso siamo a metà strada verso una dittatura di destra. La popolazione ha di nuovo paura. La politica sui media è identica a quella tedesca degli Anni '20. Passando all'economia, c'è stata una crescita non legata al suo regime, ma ai cambiamenti messi in atto prima del '99 e ai prezzi del petrolio, che poi si è fermata di colpo".

Sono trascorsi quindici anni dalla sua condanna al carcere al termine di quello che la Corte europea dei diritti umani, lo scorso gennaio, ha definito un processo non onesto. Com'è riuscito a sopravvivere 10 anni in carcere?
“Non lo definirei il tempo più felice della mia vita. Considero il regime attuale il mio nemico e me stesso un prigioniero di guerra. Non mi sono mai chiesto che cosa avessi fatto di male. Pensavo solo come poter fare del male ai miei nemici. E ho fatto di tutto per farlo".

Sembra che il suo "gioco dei troni" con il Cremlino non sia finito. Il "terzo affare Yukos" è in corso. E in marzo Putin l'ha definita un impostore le cui guardie sarebbero coinvolte in omicidi. Perché ha riacceso il conflitto con lei?
"Con Putin siamo in uno scontro aperto. Penso che il monopolio del potere e il monopolio statale dell’economia non possa portare la Russia da nessuna parte. E che, perché la situazione cambi, non basta che Putin vada via, deve cambiare l’intero sistema. La mia voce viene ascoltata. Per tre ragioni. Primo, ho perseverato 10 anni in prigione. Secondo, dopo vent'anni di Putin al potere, sono davvero pochi gli oppositori che possano dire che cosa fare e come farlo. Io ho esperienza. So come guidare grandi aziende, come risolvere i problemi di grandi città. Ho anche esperienza di scontri, compresi quelli armati a Mosca nel 1991 e 1993. Non significa che altri non possano fare meglio, ma non mi si può accusare di dire solo parole vuote non sostenute dai fatti. E infine, terzo: la retorica preferita da Putin riguardo agli oppositori è che le loro attività siano finanziate da governi esteri e che quindi non lavorino negli interessi della Russia. Sarebbe difficile accusarmi di questo, perché ho abbastanza soldi da me. Deve sapere che per Putin la cosa più importante nella vita sono i soldi. Non è vero, ma è quello che Putin pensa”.

Si sente al sicuro a Londra?
"Se Putin decidesse di uccidermi, non riuscirei a proteggermi. Ma non si può vivere nella costante paura".

Ogni volta che muore un oppositore russo, l’Occidente ci vede la “mano di Putin”. Putin è davvero così potente o è l’Occidente che esagera?
“Al momento in Russia non ci sono così tanti servizi speciali indipendenti. L’Occidente sa poco o ignora le torture e gli omicidi che subiscono decine di  attivisti nei territori. Conosce solo i russi uccisi in Occidente o figure molto note come Boris Nemtsov. Tuttavia solo un numero limitato di strutture potrebbero ucciderli. E agiscono necessariamente col consenso di Putin o dietro sue istruzioni dirette. Pensiamo a quello che è successo a Nemtsov. Non è chiaro chi lo ha ucciso? È chiaro. Non è chiaro chi ha dato l’ordine? È chiaro. È possibile che gli inquirenti non siano arrivati al mandante? Ci sono arrivati. Ma il mandante non li ha fatti entrare in casa sua. E quindi non ci sono entrati. E che cos’è successo al capo dell’inchiesta che aveva deciso di restringere le indagini ai soli esecutori dell’assassinio? È diventato il procuratore generale della Federazione russa. Di quale ulteriore prova c’è bisogno per legare quest’omicidio a Putin? L’avvelenamento di Serghej Skripal e della figlia nel Regno Unito oramai è una specie di barzelletta. Tutta la Russia canzona questi bravissimi Boshirov e Petrov. Tutti sanno perfettamente chi sono, dove lavorano e che hanno agito su ordini diretti. Invece quando Turciak, attuale segretario generale di Russia Unita, ha orchestrato l’attacco al giornalista Oleg Kashin, nessuno ha pensato a Putin. Si trattava di un affare personale. La gente conosce la differenza tra quando c’è o non c’è il diretto coinvolgimento di Putin”.

Putin rivendica di avere ridato alla Russia il rango di potenza globale. Glielo riconosce?
"Dividerò la risposta in due parti. Primo, perché lo fa? Non lo fa per "rendere la Russia di nuovo grande". Lo fa per legittimare se stesso e il suo entourage. Crea problemi ai governi occidentali e poi propone loro uno scambio: la soluzione dei problemi in cambio del riconoscimento della sua legittimità. Gli serve per aver campo libero in Russia. Secondo, Putin vuole una "Grande Russia", che cos'è la Grande Russia? Alcuni ritengono che sia una Russia di cui avere paura, ma un'altra parte del Paese – ed è una parte in aumento – pensa sia una Russia dove tutti hanno accesso a una buona assistenza sanitaria e scuole con i bagni interni, dove uno studente italiano o statunitense venga a studiare nelle Università russe e non solo a studiare il russo. Una guerra rende la Russia grande? Non penso".

In primavera ha pubblicato il libro "Gardarika" per presentare la sua visione di come dovrebbe essere la Russia del 21° secolo...
"Ho scritto questo libro perché penso che Putin, nel prossimo futuro, lascerà il palcoscenico e i russi saranno chiamati a fare una scelta. Una scelta di civiltà. Quando accadrà, sarebbe meglio avere le risposte. Che cosa vogliamo che diventi il nostro Paese: un'autocrazia o una democrazia? Vogliamo continuare ad avere un impero o preferiamo uno Stato dove le differenti etnie siano rappresentate? La mia risposta è nel libro ed ecco perché l'ho chiamato "Gardarika", "Regno di città", il nome che la Russia aveva centinaia di anni fa. Prima di tutto, penso che dovremmo preoccuparci dei nostri affari. Abbiamo tanto di cui occuparci: territorio, popolazione, cultura. Non abbiamo bisogno di altro. E poi penso che lo Stato russo vada rifondato a partire dalle regioni. Perché un solo centro, Mosca, che impone la sua volontà sul resto della Federazione può funzionare a Singapore, ma non in un Paese che si estende su nove fusi orari. Non possiamo costruire uno Stato democratico se restiamo un impero".

Quando pensa che verrà il tempo per questa nuova Gardarika?
"Non sono sicuro che vivrò abbastanza da viverci, ma sono convinto che vivrò abbastanza da vederla".

Da - https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/07/17/news/russia_mikhail_khodorkovskij_rivoluzione_mosca_deporre_putin-262233955/


Titolo: RUSSIA, BIELORUSSIA.
Inserito da: Arlecchino - Agosto 03, 2020, 07:18:29 pm
Bielorussia, arrestati 33 mercenari del Cremlino: "Volevano destabilizzare le presidenziali"

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Arlecchino Batocio

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In vista delle contestate elezioni del 9 agosto, Lukashenko agita lo spauracchio delle interferenze moscovite. Secondo gli osservatori, "un tentativo di https://www.repubblica.it/esteri/2020/07/29/news/bielorussia_arrestati_mercenari_wagner_russi_che_volevano_destabilizzare_presidenziali-263198698/

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Titolo: Schiaffo di Trump a Merkel: via 12 mila truppe dalla Germania.
Inserito da: Arlecchino - Agosto 03, 2020, 07:24:15 pm
Schiaffo di Trump a Merkel: via 12 mila truppe dalla Germania. Andranno anche in Italia

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L'annuncio del Pentagono dopo le frizioni tra i due leader per il G7 di Washington. I numeri: 6500 soldati torneranno in patria, 5400 in altri paesi europei. Il presidente Usa: "Berlino non spende abbastanza per la Difesa". Trattative per riposizionare le forze militari in altri Paesi come la Polonia e i Paesi Baltici - https://www.agi.it/estero/news/2020-07-29/usa-soldati-americani-germania-italia-9288199/

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Titolo: Bielorussia_aleksievic_il_mondo_non_ci_lasci_soli_contro_il_dittatore
Inserito da: Admin - Agosto 13, 2020, 06:21:21 pm
Bielorussia, Aleksievic: “Il mondo non ci lasci soli contro il dittatore” | Rep

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https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2020/08/12/news/bielorussia_aleksievic_il_mondo_non_ci_lasci_soli_contro_il_dittatore_-264444852/
 


Titolo: Tra Lukashenko e Putin un’alleanza di necessità
Inserito da: Admin - Agosto 17, 2020, 11:13:06 am
Tra Lukashenko e Putin un’alleanza di necessità | Rep

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Titolo: L'oppositore russo Navalnyj ricoverato in Siberia: "E' stato avvelenamento"
Inserito da: Arlecchino - Agosto 20, 2020, 11:33:27 am
L'oppositore russo Navalnyj ricoverato in Siberia: "E' stato avvelenamento"

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Principale voce critica contro Putin, il 44enne è stato ricoverato in Siberia dopo che il suo aereo ha effettuato un atterraggio di emergenza. La portavoce: "Hanno messo qualcosa nel suo tè"

https://www.repubblica.it/esteri/2020/08/20/news/l_oppositore_russo_navalny_ricoverato_in_ospedale_per_avvelenamento_-265025650/
 


Titolo: Il grido dei bielorussi che ci ricorda il valore della libertà
Inserito da: Admin - Agosto 22, 2020, 11:52:38 pm
Il grido dei bielorussi che ci ricorda il valore della libertà | Rep

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Titolo: Cosa vuole fare la Russia in Bielorussia Intervenire militarmente? ...
Inserito da: Admin - Agosto 24, 2020, 09:06:01 pm
MONDO
SABATO 22 AGOSTO 2020

Cosa vuole fare la Russia in Bielorussia

Intervenire militarmente? Stare a guardare? Appoggiare una transizione di potere per sostituire Lukashenko?

Un po' di risposte
Di Elena Zacchetti

 
Negli ultimi giorni, con l’aggravarsi della crisi bielorussa, si è cominciato a parlare della possibilità di un intervento militare della Russia a difesa del presidente Alexander Lukashenko, che governa la Bielorussia in maniera autoritaria dal 1994.

Russia e Bielorussia sono paesi amici, legati da trattati di vario tipo, anche di difesa. Domenica scorsa, sempre più in difficoltà a causa delle enormi proteste antigovernative che si tengono nel paese dalla diffusione dei risultati delle ultime elezioni, Lukashenko ha parlato al telefono per due volte con il presidente russo Vladimir Putin, chiedendogli aiuto. Putin ha assicurato Lukashenko che la Russia avrebbe fornito la «necessaria assistenza» al governo bielorusso di fronte a minacce provenienti dall’esterno: un modo per dire che la Russia non escludeva la possibilità di intervenire militarmente in Bielorussia, se lo avesse ritenuto necessario.

La risposta russa, pubblicata in una nota sul sito del Cremlino, ha allarmato diversi governi occidentali. Molti hanno ricordato quello che successe in Ucraina tra il 2014 e il 2015, con l’annessione russa della Crimea e la partecipazione di militari russi nella guerra contro l’esercito ucraino nell’est del paese, operazioni avviate per evitare di ritrovarsi un paese filo-europeo e filo-NATO ai suoi confini occidentali. Con la crisi sempre più profonda del regime di Lukashenko, che potrebbe non sopravvivere alle enormi proteste degli ultimi giorni, la domanda che hanno iniziato a farsi in molti è stata: toccherà alla Bielorussia, questa volta?

Parlare di una possibile invasione russa in Bielorussia non è fantapolitica.
Negli ultimi anni la Russia di Vladimir Putin ha mostrato di avere la volontà e la capacità di intervenire militarmente in altri paesi e di reagire con decisione a minacce – reali o percepite – provenienti dai suoi confini occidentali, soprattutto dai paesi della NATO. L’importanza della Bielorussia per la Russia è stata riconosciuta apertamente anche dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che mercoledì ha detto: «Quello che sta succedendo in Bielorussia ci preoccupa molto. Nessuno fa segreto del fatto che si stia parlando di una questione geopolitica, della lotta per il controllo dello spazio post-sovietico». E l’ipotesi dell’intervento militare ha già trovato sostenitori influenti in Russia, come Margarita Simonyan, direttrice di Russia Today, media controllato dal governo.

Nonostante le preoccupazioni, però, ci sono diverse ragioni per ritenere che l’opzione dell’intervento militare russo in difesa di Lukashenko non sia in cima alla lista dei desideri di Putin: sia perché nel corso dell’ultimo anno i rapporti tra i due presidenti si erano rovinati parecchio, sia perché sembrano esserci opzioni meno rischiose, che potrebbero ugualmente garantire alla Russia di continuare a esercitare una forte influenza sul suo alleato.

I problemi tra i due presidenti erano iniziati nel 2018, quando la Russia aveva ridotto gli sconti applicati sulla vendita di greggio alla Bielorussia. Putin, ha scritto tra gli altri l’analista russa Anna Arutunyan sul Moscow Times, non voleva più dare senza ricevere nulla in cambio, e aveva detto a Lukashenko che gli sconti sarebbero stati reintrodotti solo se la Bielorussia avesse accettato di accelerare l’integrazione nell’Unione Statale, organizzazione internazionale di cui fanno parte i due paesi. Lukashenko aveva accusato la Russia di interferire nella sovranità bielorussa e aveva espulso un diplomatico russo, mostrandosi allo stesso tempo più aperta a dialogare con l’Occidente.

Durante l’ultima campagna elettorale, inoltre, era successa una cosa piuttosto bizzarra. I servizi segreti bielorussi avevano arrestato 33 uomini sospettati di essere mercenari del gruppo Wagner, compagnia di sicurezza russa considerata vicina al presidente Putin che negli ultimi anni ha partecipato a operazioni militari in diversi paesi del mondo, tra cui Libia e Repubblica Centrafricana. Lukashenko aveva accusato la Russia di voler rovesciare il suo regime, secondo i russi con l’obiettivo di ottenere consensi tra i paesi occidentali in vista delle elezioni che si sarebbero tenute undici giorni dopo.

A quel punto «qualsiasi rimasuglio di fiducia rimasta a Mosca per Lukashenko è evaporato completamente», ha scritto l’analista russo Dmitri Trenin sul sito del think tank Carnegie Moscow Center.

La crescente diffidenza tra Putin e Lukashenko è uno dei motivi che stanno spingendo la Russia a cercare altre opzioni di intervento nella crisi bielorussa, al di là di un’operazione militare diretta, ma non è l’unico.

A differenza di quello che successe nella crisi ucraina, infatti, finora le proteste in Bielorussia non sono state guidate da temi di politica estera, e non hanno riguardato la possibilità per il paese di cambiare schieramento internazionale, allontanandosi dalla sfera di influenza russa: non hanno mostrato nemmeno forti sentimenti nazionalistici anti-russi. «Quando un manifestante a Minsk ha sventolato una bandiera dell’Unione Europea, altri hanno iniziato a gridargli contro e a dirgli di metterla via», hanno scritto Henry Fox e Max Seddon sul Financial Times. La stessa opposizione a Lukashenko si è mostrata per nulla ostile nei confronti della Russia, anzi: Maria Kolesnikova, che fa parte del consiglio creato dalla leader dell’opposizione Svetlana Tikhanovskaya per gestire la transizione di potere, ha accusato direttamente Lukashenko di creare «tensioni e confitti» con la Russia, e ha assicurato che il consiglio si occuperà di costruire «relazioni di reciproco beneficio» con il governo russo.

C’è da considerare un’ultima cosa. A differenza di quanto successo durante la rivoluzione in Ucraina, le proteste in Bielorussia sono appoggiate da molti in Russia: per questo un intervento a favore della repressione potrebbe provocare proteste contro il governo e il presidente Putin.

Per tutte queste ragioni, l’opzione che sembra più praticabile ad oggi per il governo russo sembra essere quella di guidare una transizione che costringa Lukashenko a lasciare il potere, e che permetta di sostituirlo con qualcuno che gode della fiducia della Russia. Questo garantirebbe alla Russia di non rischiare di “perdere” la Bielorussia, magari tramite la formazione di un governo anti-russo o filo-occidentale. Ma chi mettere al posto di Lukashenko?

Secondo Trenin del Carnegie Moscow Center, Svetlana Tikhanovskaya e il marito, Sergei Tikhanovsky, che si trova in carcere, non sarebbero l’opzione preferita di Putin, a causa della mancanza di esperienza politica che non li renderebbe partner affidabili: «Oggi la migliore opzione per il Cremlino è sedersi e aspettare, ma allo stesso tempo prepararsi per gestire la successione di Lukashenko e l’arrivo di un governo che possa basarsi, a livello elettorale, sulla maggioranza russa della Bielorussa». Il problema sarebbe capire a chi affidare quel governo, ha scritto il Financial Times. A differenza di quanto successo in Ucraina, dove la Russia aveva passato decenni a coltivare legami con politici e oligarchi filo-russi, in Bielorussia la presenza di una figura dominante come Lukashenko, al potere dagli anni Novanta, ha prodotto una situazione diversa, senza alternative forti. Per questo non si può escludere che alla fine il governo russo continuerà ad appoggiare Lukashensko, pur assicurandosi che non ripeta gli errori già commessi.

Di fronte alla confusione dell’intera situazione, quindi, una delle poche cose certe è che non è chiaro cosa farà la Russia.

Come ha raccontato un dettagliato articolo di Meduza, sito online indipendente che si occupa di cose russe e che ha sede in Lettonia, il governo russo, diversamente da quanto succede solitamente in situazioni simili, non ha ancora dato indicazioni precise né ai politici né ai media su come trattare le proteste in Bielorussia. Il risultato è stato per esempio che televisioni e giornali nazionali controllati dal governo hanno raccontato le proteste ciascuno a modo suo: qualcuno mostrando le immagini dall’alto delle enormi manifestazioni di Minsk, la capitale bielorussa, qualcun altro definendo i manifestanti «banditi». «Tutto è stato lasciato alla discrezione dei giornali. Si è creato un certo livello di libertà di espressione», ha detto a Meduza una fonte rimasta anonima.

Un’altra fonte anonima citata da Meduza, e vicina al regime di Putin, ha detto che la relativa libertà sui media russi nel trattare le proteste in Bielorussia è possibile perché non c’è consenso all’interno dello stesso regime: la Russia starebbe aspettando di vedere se Lukashenko sarà in grado di tenere il potere.

Lo scenario che potrebbe prospettarsi in Bielorussia, ha scritto l’analista Andrey Kortunov, capo del think tank Russian International Affairs Council, è simile a quello della rivoluzione armena del 2018, cioè quello di uno stato dello spazio post-sovietico che rovescia il regime del proprio presidente ma che lo sostituisce con un leader che mantiene posizioni e politiche filo-russe. Della stessa idea è Anders Åslund, analista dell’Atlantic Council, che ha scritto che per capire la posizione della Russia in Bielorussia è più utile guardare all’Armenia del 2018, invece che all’Ucraina del 2014: «Inizialmente, Putin sembrava esitare, ma ora sembra essere piuttosto contento del popolare e democratico primo ministro armeno Nikol Pashinyan»; l’Armenia è rimasta infatti parte di organizzazioni internazionali con la Russia, e le grandi società statali russe sono arrivate a dominare completamente l’economia armena.

Anche questa è solo un’ipotesi, comunque, che alla fine potrebbe non essere considerata praticabile dal governo russo. Come ha detto Kortunov, infatti, nel caso della formazione di un governo democratico, la Bielorussia potrebbe diventare un motivo di crisi in Russia: «Con la democrazia, il rischio è che potresti avere un governo filo-russo a Minsk un giorno, e un altro diverso meno amichevole il giorno dopo»

Da - https://www.ilpost.it/2020/08/22/intervento-russia-bielorussia/


Titolo: L'incubo Bielorussia può aver spinto Putin alla mossa azzardata
Inserito da: Admin - Agosto 26, 2020, 11:14:17 am
L'incubo Bielorussia può aver spinto Putin alla mossa azzardata | Rep

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Arlecchino Batocio

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https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/08/20/news/aleksej_navalnyj_putin_avvelenamento_mosca_russia_bielorussia_lukashenko-265085560/

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Titolo: In piazza con i bielorussi: “Basta con Lukashenko”
Inserito da: Admin - Agosto 26, 2020, 11:54:34 am
In piazza con i bielorussi: “Basta con Lukashenko” | Rep

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https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/08/24/news/in_piazza_con_i_bielorussi_basta_con_lukashenko_-265321645/


Titolo: La "quarta dimensione" della Russia di Navalnyj
Inserito da: Arlecchino - Agosto 27, 2020, 11:36:51 am
La "quarta dimensione" della Russia di Navalnyj | Rep

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https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/08/26/news/mosca_russia_aleksej_navanyj_uarta_dimensione_ezio_mauro-265569852/
 


Titolo: Caso Navalnyj, i medici tedeschi: condizioni ancora "serie".
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2020, 04:30:45 pm
Caso Navalnyj, i medici tedeschi: condizioni ancora "serie".

Merkel: valutare una reazione europea - La Repubblica

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https://www.repubblica.it/esteri/2020/08/28/news/caso_navalnyj_i_medici_tedeschi_condizioni_ancora_serie_merkel_valutare_una_reazione_europea-265720462/
 


Titolo: Dalla Russia anni di interferenze e attacchi verso la Germania.
Inserito da: Arlecchino - Agosto 30, 2020, 09:39:53 pm
Dalla Russia anni di interferenze e attacchi verso la Germania. Ora su Navalnyj Merkel dice basta | Rep

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https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/08/24/news/anni_di_interferenze_e_attacchi_ora_la_cancelliera_dice_basta-265405133/


Titolo: Bielorussia, la rabbia degli operai anti-Lukashenko: "Basta ricatti e bugie"
Inserito da: Admin - Agosto 31, 2020, 11:40:04 pm
Bielorussia, la rabbia degli operai anti-Lukashenko: "Basta ricatti e bugie" | Rep

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https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/08/25/news/bielorussia_minsk_opposizione_sciopero_aleksandr_lukashenko-265478621/
 


Titolo: Walesa: "Tutta l'Europa aiuti la lotta di Minsk per la libertà"
Inserito da: Admin - Agosto 31, 2020, 11:46:29 pm
Walesa: "Tutta l'Europa aiuti la lotta di Minsk per la libertà" | Rep

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Titolo: Tikhanovskaja: “Ho creato un movimento popolare per amore di mio marito”
Inserito da: Admin - Agosto 31, 2020, 11:56:18 pm
Tikhanovskaja: “Ho creato un movimento popolare per amore di mio marito” | Rep

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Titolo: Caso Navalnyj. La sfida a Putin della cancelliera nel nome dell’Occidente
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2020, 11:04:32 am
Caso Navalnyj. La sfida a Putin della cancelliera nel nome dell’Occidente | Rep

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Titolo: Navalnyj, un blogger troppo popolare.
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2020, 11:05:42 am
Navalnyj, un blogger troppo popolare. Perché c’è la firma di Mosca dietro il gas “Novellino” | Rep

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Titolo: Wirecard come caso Snowden. Marsalek a Mosca protetto dai servizi segreti russi
Inserito da: Arlecchino - Settembre 03, 2020, 02:17:25 pm
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Titolo: MOVIMENTO DEMOCRATICO IN BIELORUSSIA Rinascita di una nazione europea
Inserito da: Admin - Settembre 06, 2020, 03:00:44 pm
MOVIMENTO DEMOCRATICO IN BIELORUSSIA
Rinascita di una nazione europea

Le proteste contro il regime di Aleksandr Lukašenko hanno visto una nazione addormentata svegliarsi e dimostrare in massa la sua opposizione all’” ultimo dittatore d’Europa”. Come dovrebbero reagire i paesi europei? L’analisi di Wojciech Przybylski.

Pubblicato il 2 Settembre 2020 alle 15:42
Wojciech Przybylski - Visegrad Insight (Warsaw)
Traduzione di Voxeurop

 Vladimir Khakhanov | Cartoon Movement |

Gli eventi che hanno scosso la Bielorussia nelle ultime settimane sono stati una sorpresa agrodolce per molti osservatori. Una nazione addormentata si è svegliata e sta dimostrando in massa la sua opposizione all’” ultimo dittatore d’Europa” con manifestazioni pacifiche. Il regime, invece, ha mostrato il suo volto peggiore, al punto che non è esagerato paragonarlo con le torture documentate – e ampiamente condannate – che avvengono nelle carceri siriane.

Come dovrebbe rispondere il resto d’Europa? Dovrebbe tener conto dei particolari della situazione bielorussa e, allo stesso tempo, il suo eventuale piano dovrebbe essere preparato e attuato rapidamente. Il momento cruciale del cambiamento potrebbe presentarsi solo tra una settimana o due; gli effetti a seconda di come verrebbe attuato potrebbero avere conseguenze per la Bielorussia e per l’intera regione per molti anni.

Vecchie, pessime abitudini
I passi compiuti dall’autoritario presidente Aleksandr Lukašenko e dalla sua amministrazione sono i soliti. Le accuse di aver fatto uccidere gli oppositori politici all’inizio del suo regno, i referendum falsificati che prolungano il suo regime e i metodi assassini per esercitare il controllo sociale, comprese le crudeli condanne a morte, non erano un segreto. Tuttavia, l’Occidente ha chiuso un occhio senza avere un chiaro interlocutore in seno alla società bielorussa – essa stessa era in letargo.

L’ideologia ufficiale – nella piena continuità con le menzogne dell’URSS e dell’integrazione politica formale con la Russia – sembrava aver definito la traiettoria politica di Minsk sul lungo periodo. Anche i recenti flirt verso l’Occidente, che hanno portato a incontri ad alto livello e a progetti di diversificazione energetica con l’aiuto di Stati Uniti e Polonia, sono stati a malapena una foglia di fico nella tendenza a sottomettere ulteriormente il paese alla volontà del Cremlino.

In questo contesto, tutti sono d’accordo per dire che l’Unione Europea può fare poco e continuare ad aspettare tempi migliori – e l’implosione dei sistemi politici o economici, sulla quale non c’è alcuna certezza. Anche se un tempo poteva sembrare una strategia ragionevole, i recenti sviluppi dimostrano quanto questo approccio sia stato sbagliato.

Oltre l’oppressione
Le dimensioni e il livello di auto-organizzazione della protesta devono ormai cambiare radicalmente la percezione che si ha dei bielorussi come società e come nazione, e vale quindi la pena cambiare approcio politico nei confronti del loro paese. Negli ultimi giorni, il classico paradosso di questa regione d’Europa è diventato evidente.

La coscienza sociale e nazionale di una moltitudine di persone si è risvegliata; nonostante il rischio per la loro incolumità personale, hanno cominciato con organizzare la sorveglianza delle elezioni in tutto il paese, documentando le irregolarità, hanno poi affrontato i manganelli del regime e infine hanno scioperi di massa nelle principali istituzioni statali; questa è la prova inconfutabile che abbiamo a che fare con una società civile che difende i diritti umani e civili sulla base dei valori europei – quelli dell’Occidente.

Nel frattempo il potere bizantino che domina questa società, le cui caratteristiche sono state descritte da Milan Kundera nel suo famoso saggio per la New York Review of Books, proviene da un ordine diverso – un ordine che l’Europa rifiuta.

Lukašenko non è e non sarà mai un garante della sovranità bielorussa. Da fuorilegge è a capo di una giunta illegittima che sfrutta questo paese. La sua avidità e le prebende distribuite ai suoi più stretti alleati sulle spalle di un’economia in perdita di velocità sono contrari all’interesse nazionale della Bielorussia e, molto probabilmente, alla volontà espressa dal popolo col voto.

Cambio di strategia
In una situazione di aperta opposizione, la cui portata nessuno – compreso il governo di Minsk – si aspettava, il re si è rivelato nudo, e il mantenimento di Lukašenko al potere è determinato solo da quanto è pronto a intimidire e a essere intimidito.

La posizione di Europa e Stati Uniti è stata finora che Lukašenko è un interlocutore e che l’attuale assetto politico in Bielorussia può anche fungere da utile ponte per il dialogo con la Russia nell’ambito degli “accordi di Minsk” sull’Ucraina.

Se l’opposizione non riuscirà a portare cambiamenti in tempi brevi, la situazione non farà che peggiorare. Ricordiamo il recente esempio del Venezuela, dove il regime di Nicolás Maduro ha perso la sua legittimità a governare, e anche dopo migliaia di proteste e notevoli pressioni internazionali, la situazione non è cambiata.

Certo, la Bielorussia non è il Venezuela, ma questo paragone va oltre un semplice parallelo. Negli anni 2000 e 2010 Hugo Chávez era regolarmente in contatto con Lukašenko, che lo consigliava su come truccare il suo referendum costituzionale, e in cambio Chávez sosteneva Minsk nei negoziati con Mosca. I tiranni e i nazionalisti sono beneficiari sovversivi della globalizzazione.

La posizione ambigua di Mosca in materia di relazioni internazionali indica che non ha ancora un piano per la Bielorussia, ma non illudiamoci: appena pronto, il piano sarà stabilito e attuato rapidamente.

Nei suoi tentativi di integrazione finora la Russia non ha mostrato alcuna attenzione per lo sviluppo economico della Bielorussia. Al massimo, alcuni oligarchi potrebbero ambire di appropriarsi dei resti dei beni statali del loro vicino.

Per parte sua, Lukašenko sapeva come gonfiare la sua posizione e la sua importanza di fronte a Putin quando, per esempio, ha recentemente invitato i rappresentanti della NATO a delle esercitazioni militari.

La situazione attuale, che vede i bielorussi affermarsi come società autonoma si è rivelato un vero rompicapo in Russia. Proprio come sotto Putin in Russia, una classe media globalizzata è finalmente emersa.

Tendenze sociali ed economiche
Come abbiamo scritto nel rapporto di Visegrad Insight sulle tendenze nei paesi del Partenariato orientale, le dinamiche sociali e la volontà di rafforzare il potere della società si fa sentire in tutta la regione. In Bielorussia in particolare è guidata dal progresso tecnologico e dalla cultura urbana.

Progetti digitali di punta come Viber o World of Tanks sono in prima linea nella crescente esportazione di servizi digitali e sono cresciuti in modo dinamico (nel 2017 hanno superato il 4% dell’insieme del commercio estero). Il tenore di vita di un piccolo gruppo di giovani intorno a Minsk ha cominciato a essere una fonte di ispirazione per i loro coetanei di tutto il paese. Basti pensare che la cultura digitale in Bielorussia e la penetrazione di Internet nel paese, anche ai tempi della rivoluzione democratica Euromaidan a Kiev, era maggiore che in Ucraina.

Concentrandosi sullo sviluppo di questo ramo dell’economia nelle condizioni di relativa autonomia (richieste dal settore digitale), Lukašenko si è in qualche modo dato la zappa sui piedi.

Eroi improbabili
La pandemia Covic-19 è diventata in modo inaspettato un catalizzatore per la società civile. Come sempre la consapevolezza dell’opinione pubblica occidentale è rafforzata dal senso di sicurezza personale e collettiva dei servizi pubblici. Quando il virus ha raggiunto la Bielorussia l’amministrazione ha commesso errori vergognosi ignorando la minaccia e lasciando che i cittadini se la sbrogliassero da soli. Di conseguenza, utilizzando i canali di informazione disponibili (internet), la società civile ha rapidamente posto le basi dell’autoorganizzazione e della solidarietà sociale che hanno infuso spirito alla rivoluzione nazionale che si sta svolgendo oggi sotto i nostri occhi.

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La società civile – un tempo considerata debole e sparuta – è diventata la depositaria della volontà nazionale, ed è difficile immagine come una simile presa di coscienza possa improvvisamente sparire.

I sindacati hanno ritrovato il loro vigore dopo 30 anni di letargo e sono ora elementi chiave di resistenza contro le menzogne e i metodi terroristici degli apparati di sicurezza. Questo, naturalmente, mentre si palesa la minaccia un disastro economico e mentre il mondo intero subisce una pandemia. Forse è per questo che i bielorussi dicono che quando è troppo è troppo. A questo punto va detto che i bielorussi stanno combattendo grazie alla sovranità dell’informazione che hanno ottenuto – e il cui primo e ultimo baluardo è l’applicazione di messaggistica Telegram. Non a caso la popolarità del marito dell’oppositrice Svetlana Tikhanovskaya si è costruita attraverso i social, poiché era uno dei vlogger più popolari su YouTube e sui social, al di fuori dei canali di distribuzione ufficiali dell’informazione.

Il sostegno richiesto
Tutto ciò evidenzia il potere di chi potere non ne ha, che consiste generalmente nella disobbedienza civile contro una menzogna autoritaria, e che Václav Havel ha definito “momento rivoluzionario”. Come hanno spiegato i nostri esperti bielorussi durante un recente incontro sul loro paese, le ultime settimane hanno creato una finestra di opportunità perché la Bielorussia cambi radicalmente rotta. È esattamente questo il momento in cui i bielorussi hanno bisogno di un sostegno ponderato e, soprattutto, rapido in diversi settori.

Prima di tutto, la società ha bisogno di conoscenze giuridiche e tecniche, nonché di strategie per denunciare tutti i casi di crimini, atti di terrore e tortura. I crimini contro la nazione bielorussa non devono essere dimenticati. Gli autori dei reati devono già sapere non solo che verranno trascinati dinanzi a un giudice, ma anche quali pene incorrono.

In secondo luogo è necessario un sostegno immediato per gli scioperanti che attualmente vengono intimiditi dal regime, che minaccia sanzioni penali. Le organizzazioni sindacali internazionali, così come le quelle nazionali, hanno le risorse per sapere come scioperare e come difendersi dalla repressione, e possono fornire un sostegno concreto andando incontro agli scioperanti e alle loro famiglie senza sollevare queste azioni a livello di governo. In altre parole, organizzazioni come il sindacato polacco Solidarnosć hanno un enorme debito nei confronti della solidarietà ricevuta dai sindacati stranieri trent’anni fa. È ora tempo di restituire il favore.

In terzo luogo il governo della Polonia e l’Ue non devono sperare di far pressione per il dialogo o tentare di comunicare alle spalle dei bielorussi.

Nazione rinata
Nessuno, tranne la società civile del paese, ha il diritto di decidere del suo futuro. Anche se ci viene chiesto di farlo, dovremmo evitare una formula nel quale diventeremmo il debole garante e l’ostaggio permanente di un processo politico farlocco.

Allo stato attuale delle cose, nuove elezioni non possono essere prese in considerazione, ed è difficile negoziare con i leader della giunta al potere. Secondo la legge, in caso di vacanza della presidenza, il primo ministro diventa capo dello stato. Sebbene sia una figura moralmente dubbia e strettamente legata a Lukašenko, non ci si può permettere di discutere con l’attuale presidente sotto al naso della Russia.

Ma cosa succede se a un certo punto tutti gli sforzi vengono finalmente ricompensati? Ricordiamoci che dopo gli eventi delle ultime settimane niente sarà più come prima in Bielorussia. La sua bandiera è tornata a essere il vessillo bianco e rosso della prima indipendenza dall’URSS e anche se la trasformazione del paese richiederà ancora molto tempo, la Polonia e l’Europa devono riconoscere la nazione bielorussa come il legittimo sovrano, e non devono dimostrare nessuna acquiescenza nei confronti del suo tiranno ormai scaduto.

L’articolo originale su Visegrad Insight.
Leggi anche: La pandemia ha cambiato la Bielorussia per sempre
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Da - https://voxeurop.eu/it/bielorussia-rinascita-di-una-nazione/


Titolo: Kolesnikova, la flautista contro il dittatore bielorusso: “Impossibile fermare..
Inserito da: Admin - Settembre 08, 2020, 12:13:02 pm

Kolesnikova, la flautista contro il dittatore bielorusso: “Impossibile fermare la protesta: è più forte del singolo, me inclusa” | Rep

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https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/09/07/news/kolesnikova_la_flautista_contro_il_dittatore_bielorusso_impossibile_fermare_la_protesta_e_piu_forte_del_singolo_me_incl-266529822/
 


Titolo: La rivolta dei giornalisti della tv bielorussa.
Inserito da: Admin - Settembre 16, 2020, 08:25:52 am
La rivolta dei giornalisti della tv bielorussa. Il regime li caccia e sostituisce con professionisti moscoviti | Rep

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https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/09/06/news/la_rivolta_dei_giornalisti_della_tv_bielorussa_il_regime_li_caccia_e_li_sostituisce_con_professionisti_russi-266429957/
 


Titolo: Bielorussia: tornano a marciare le donne, scontri e arresti - Mondo - ANSA
Inserito da: Admin - Settembre 20, 2020, 10:52:40 am
Bielorussia: tornano a marciare le donne, scontri e arresti - Mondo - ANSA

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Arlecchino Euristico

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Ti suggerisco questo link:

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2020/09/19/bielorussia-tornano-a-marciare-le-donne-migliaia-a-minsk_616ce8d0-1473-40a6-acf8-0e3ead8889b7.html

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Titolo: Bielorussia, migliaia in corteo a Minsk. Testimoni: centinaia di arresti
Inserito da: Admin - Settembre 20, 2020, 10:54:07 am
Bielorussia, migliaia in corteo a Minsk. Testimoni: centinaia di arresti - La Repubblica

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Titolo: La crisi in Bielorussia: Putin al bivio della Storia
Inserito da: Admin - Settembre 21, 2020, 06:11:59 pm
La crisi in Bielorussia: Putin al bivio della Storia | Rep

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Arlecchino Euristico
12:34 (5 ore fa)
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https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/09/17/news/la_crisi_in_bielorussia_putin_al_bivio_della_storia-267671683/

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Titolo: L’OPPOSIZIONE IN BIELORUSSIA NON È TUTTA DALLA STESSA PARTE
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2020, 12:16:46 am
L’OPPOSIZIONE IN BIELORUSSIA NON È TUTTA DALLA STESSA PARTE

LETTERE E INTERVENTI
7 Settembre 2020

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Volodymyr Ishchenko, sociologo le cui ricerche si concentrano su proteste e movimenti sociali, rivoluzioni, politica di destra e sinistra, nazionalismo e società civile. L’articolo, pubblicato originariamente su LeftEast, è stato tradotto da Fabio Cescon.

Gli scioperi in Bielorussia della settimana scorsa hanno dimostrato che le proteste contro Lukashenko non sono una semplice “rivoluzione hipster”. Ma mentre i cittadini si uniscono alle proteste per vari motivi differenti, ci sono delle forze neo-liberali ben organizzate che si trovano in posizioni strategiche per imporre il proprio controllo.

Probabilmente non sapremo mai come hanno votato i Bielorussi il 9 agosto. Nessuno dubita che i risultati siano stati falsificati, ma nessuno ha provato che Aleksandr Lukashenko le abbia perse. Dei tentativi di estrapolazione dei voti basati su dei campioni non casuali di collegi elettorali hanno prodotto stime che vanno da 30% a 60% circa per Svetlana Tikhanovskaya. Di conseguenza i risultati disponibili non ci permettono di stabilire chi abbia vinto.

Tuttavia Lukashenko non vuole procedere a un nuovo conteggio dei voti o a nuove elezioni, poiché queste azioni innescherebbero delle defezioni del regime. Concedere una cosa del genere significherebbe concedere la propria sconfitta, come nel caso di Viktor Yanukovich dopo la Rivoluzione Arancione in Ucraina nel 2004.

Fino ad oggi la posizione di Lukashenko è stata categorica: lascia intravedere una lontana possibilità di nuove elezioni solamente dopo delle modifiche alla Costituzione, che indebolirebbero i poteri del prossimo presidente. Tutto ciò gli concederebbe del tempo e gli permetterebbe di ottenere alcune garanzie. Tuttavia i manifestanti sono uniti attorno alla richiesta di dimissioni immediate di Lukashenko. La radicalizzazione violenta ha preso fine la settimana scorsa – ma l’intransigenza aumenta le possibilità di un nuovo ciclo.

Proteste non-violente
Come avevo predetto, la violenza decentralizzata e poco coordinata dei giovani, la prima notte dopo le elezioni, non si è evoluta in qualcosa di comparabile al sollevamento armato in Ucraina nel 2014. Perché questo sia possibile è necessario che ci siano non solamente delle persone indignate ma anche delle organizzazioni più forti, con delle competenze in materia di violenza e strategia violenta.

In Bielorussia, l’utilizzo di bombe Molotov o di qualsiasi altro “strumento di violenza” è stato molto raro, i tentativi di barricate sono stati molto esitanti e non si è vista la nascita di nessuna organizzazione paramilitare. La polizia anti-sommossa era ben preparata, e nei casi in cui si trovava in inferiorità numerica, sembra che sia stata rinforzata da unità dell’esercito. Nell’ordine di grandezza, il numero di poliziotti feriti è inferiore a quello dell’operazione Maidan in Ucraina – e il numero di manifestati arrestati è superiore. I manifestanti non sono riusciti ad occupare e barricarsi in nessuno spazio specifico, rendendo impossibile la creazione di zone autonome che potessero perturbare l’ordine statale e che avrebbero potuto servire da punto di controllo per le attività di mobilizzazione.

Gli scontri sembravano già in declino a partire dalla terza notte. Poi, a metà settimana, le attività di protesta sono passate ad un repertorio non violento, con donne in vestiti bianchi incatenate con dei fiori e chiedendo di mettere fine alla violenza. Le marce di protesta e i raduni erano risolutamente non istigatori, non disturbando generalmente neanche il traffico, neanche in caso di forte affluenza, incontrando quindi poca repressione. I raduni non violenti hanno raggiunto il picco la domenica del 16 agosto, il più importante nella storia della Bielorussia post-sovietica.

Le interviste rapportate dai partecipanti mostrano che le elezioni rubate, la violenza poliziesca, gli arresti di massa e la tortura sono le principali motivazioni che spingono le persone a partecipare alle manifestazioni. Sembra che le eccessive violenze poliziesche della prima notte di protesta si siano rivoltate contro il potere – fenomeno che si è prodotto anche in varie altre manifestazioni – e abbiano alimentato la mobilitazione degli oppositori di Lukashenko. Tuttavia, sembra che i manifestanti non siano riusciti a colmare il divario e ad attirare nel loro campo un numero importante di sostenitori di Lukashenko o di cittadini esitanti.

Scioperi perturbatori?
Le agitazioni operaie in varie fabbriche bielorusse è uno sviluppo centrale. È senza precedenti, infatti, nel contesto delle proteste e delle rivoluzioni anti-governamentali post-sovietiche, nelle quali gli scioperi dei lavoratori atomizzati della regione non hanno giocato un ruolo significativo.

Nel caso del vasto settore pubblico bielorusso, degli scioperi supportati dalle principali aziende statali potrebbero sferrare un duro colpo al governo. [Gli scioperi] sono già diventati un’innovazione nel repertorio delle proteste politiche inn questa regione. Contrariamente alla violenza, gli scioperi sono un problema che il governo non è preparato ad affrontare – e questo ha probabilmente contribuito al passaggio alla riduzione della repressione della scorsa settimana.

Tuttavia, questi disordini operai sono ancora lontani da uno “sciopero generale”. Francamente, la maggior parte di queste attività non può neanche essere qualificata come sciopero in senso stretto. Si tratta principalmente di petizioni, di riunioni con la direzione e di raduni nei cortili fuori dai luoghi di lavoro e ai loro ingressi. A volte, dei gruppi importanti di lavoratori si sono uniti alle manifestazioni dell’opposizione in maniera organizzata. Esistono solamente dei rapporti contraddittori secondo i quali la produzione si sarebbe realmente fermata, anche se parzialmente, e, nel caso in cui lo fossero, solamente in poche fabbriche.

È possibile che questi scioperi crescano di scala. Tuttavia, non è ancora chiaro quanto saranno durevoli e portatori di cambiamento, se saranno coordinati solamente da dei comitati di sciopero spontanei e da un’opposizione formata da classe media e élites ugualmente inesperta, distante dalla vita dei lavoratori.

Come previsto, i sindacati ufficiali sono filo-governativi ed hanno perfino mobilizzato persone per dei raduni pro-Lukashenko. In linea di principio ci sono molti modi per dividere i lavoratori e spezzare gli scioperi. I soldi degli uomini d’affari e della diaspora, il crowd-funding organizzato attraverso i canali Telegram legati all’opposizione e il comitato di solidarietà, non riusciranno a sostenere migliaia di lavoratori durante uno sciopero sufficientemente lungo – e non può che discreditare gli scioperi, se sono percepiti come corrotti.

Un altro tema che solleva preoccupazione è l’assenza di qualsiasi rivendicazione socio-economica nella maggior parte delle petizioni di sciopero, la maggior parte delle quali è centrata sulle richieste politiche generali dell’opposizione. In questo caso è poco probabile che la grande quantità di lavoratori che non hanno votato per Tikhanovskaya si vergognino di non unirsi agli scioperi. I lavoratori entrano in politica non come una classe cosciente dei propri interessi distinti, ma come cittadini anti-Lukashenko che si trovano “per caso” nelle posizioni strategiche della produzione economica.

Questo pone la domanda di sapere perché anche una mobilitazione operaia così limitata non si sia prodotta in altre rivoluzioni post-sovietiche, in particolare durante il caso Maidan in Ucraina. In quel caso, l’opposizione ha indetto scioperi dal “giorno zero”. Tuttavia, quello che si è realmente materializzato durante i tre mesi della campagna, sono stati i raduni non-sovversivi organizzati dalle autorità locali pro-opposizione delle regioni occidentali o da alcune amministrazioni universitarie.

Una spiegazione può essere che, contrariamente ad altri dirigenti post-sovietici, Lukashenko ha preservato in maniera maggiore l’industria “sovietica” e le sue specifiche caratteristiche. Concentrati nelle città mono-industriali o nei quartieri industriali, i lavorati portano sul loro luogo di lavoro i problemi della collettività riguardo alla violenza poliziesca e scoprono spontaneamente il potere che vincola la direzione ad aprire un dialogo con loro. Dovremmo anche ricordarci degli importanti e sovversivi scioperi operai sovietici della fine degli anni ’80, all’epoca della Perestroika, che non si sono ripetuti immediatamente dopo il crollo industriale.

L’inizio decentralizzato e senza leader delle proteste bielorusse può fornire una seconda parte di spiegazione. In Ucraina, i dirigenti dei partiti dell’opposizione – i milionari rappresentanti dei miliardari – così come i militanti delle ONG della classe media e pro-occidentale non erano esattamente le persone capaci di ispirare delle rivolte operaie, soprattutto perché le grandi industrie sovietiche restanti erano concentrate nelle regioni del sud-est, maggiormente pro-russe.

Infine e soprattutto – e questo può spiegare anche perché neanche i lavoratori ucraini delle regioni occidentali non si sono uniti alle proteste in maniera organizzata – l’opposizione ucraina sembra che avesse scommesso piuttosto presto sulla crescente pressione su Yanukovich esercitata dall’Occidente e su una presa di potere violenta, cosa che potrebbe non essere un’opzione per l’opposizione bielorussa.

Leadership informale
La contestazione, inizialmente decentralizzata, si sta strutturando. Appaiono diverse iniziative mediatiche, mediche, di solidarietà e di comitati di sciopero. Tuttavia se qualcuno può pretendere alla direzione del movimento in questo momento è senza dubbio Tikhanovskaya (rifugiata a Vilnius) e la sua squadra elettorale.

Questa constatazione solleva una domanda riguardo quanto siano adeguati di fronte all’evoluzione delle proteste e chi prenderà il potere dopo Lukashenko, e quali sono i loro interessi e le loro idee. Le aspirazioni dei manifestanti della base sono un cattivo indicatore delle conseguenze della protesta. Ciò che è più importante è sapere chi sarà realmente in grado di presentarsi alle potenziali nuove elezioni e chi sarà in grado di fare pressione in favore di questi “veri cambiamenti” dopo il cambio di potere.

In questo contesto è inquietante che il “Consiglio di coordinazione per il passaggio di potere” di Tikhanovskaya sia formato principalmente dall’intelligentsiya nazional-democratica, da uomini d’affari e da militanti di partiti marginali dell’opposizione e di ONG con selvaggi programmi neo-liberali e nazionalisti, che sembrano un copia/incolla dello sviluppo in Ucraina dopo il 2014.

Oggi, l’opposizione tenta di prendere le distanze con il “pacchetto di riforme per la Bielorussia” che è stato sostenuto da varie ONG e alcuni partiti del Consiglio di coordinazione. Ogni rivoluzione costituisce una rivendicazione per un cambiamento realmente “rivoluzionario”. È importante sapere chi avrà abbastanza autorità e risorse per riempire questo vuoto, e con quali idee.

Divisioni nello Stato
Malgrado qualche defezione di basso rango e di bassa scala tra gli agenti di polizia, i giornalisti dei media filo-governativi e qualche funzionario, non c’è nessun segno di defezione di alto rango tra l’ élite, la polizia o l’esercito. Durante dei periodi di rivoluzioni, abbiamo spesso ottenuto prova delle crepe che si stavano formando dietro le quinte solamente settimane o anche mesi dopo, grazie a reports di giornalisti investigativi. Tuttavia, lo stile meno conflittuale e più focalizzato sul dialogo di alcune autorità locali e amministratori potrebbe riflettere non un cambiamento della loro lealtà ma una generale strategia di de-escalation – delle parole che fanno guadagnare tempo a Lukashenko.

È inoltre degno di nota che in tutto il paese si stanno organizzando delle manifestazioni altrettanto grandi in favore di Lukashenko.  I partecipanti delle manifestazioni pro-Lukashenko sembrano di media più vecchi e più poveri dei partecipanti dell’opposizione. Perfino secondo alcuni giornalisti dell’opposizione, la manifestazione pro-governativa a Minsk ha riunito circa trentamila persone. Era più piccola di quella organizzata dall’opposizione lo stesso giorno, e il trasporto verso Minsk o altre città era stato organizzato da strutture filo-governative. Tuttavia, i partecipanti sembravano genuini e entusiasti nel loro supporto per Lukashenko e esprimevano delle paure razionali di perdita di lavori, industria, e stabilità, e paure riguardo la violenza.

Questo è in netto contrasto con le manifestazioni pro-Yanukovich in Ucraina, che sembravano solamente rinforzare l’illusione dei manifestanti di Maidan, ovvero che qualsiasi cittadino cosciente sostiene Maidan e quelli che non la sopportano sono dei venduti, marginali e/o traditori. Lukashenko sta sfruttando intensamente la retorica patriottica de “la madrepatria in pericolo”, mentre l’opposizione ha ancora bisogno di trovare un modo di parlare dell’identità Bielorussa e non ripetere idee e retoriche nazional-democratiche impopolari.

Spettri russi
Le due previsioni opposte – ovvero (1) un’invasione russa della Bielorussia per salvare Lukashenko o (2) l’accettazione russa di qualsiasi risultato della rivoluzione, poiché la sua economia è così dipendente dalla Russia – sono basate su due confronti fuorvianti con l’Ucraina e l’Armenia.

La Russia si è in effetti astenuta da ogni invasione su grande scala del sud-est dell’Ucraina. Il costo dell’annessione della Crimea – una penisola con una popolazione simpatizzante, con un timore nel violento cambiamento politico nella capitale – è incomparabilmente inferiore a quello che emergerebbe dall’occupazione della Bielorussia – un paese molto più grande con vaste manifestazioni dell’opposizione già in corso.

Per quanto riguarda l’Armenia, si tratta di un piccolo stato schiacciato tra due stati più potenti e ostili (l’Azerbaigian e la Turchia) che bloccano la maggior parte dei suoi confini. Ciò che ha determinato la tolleranza di Putin nei confronti della rivoluzione armena due anni fa, fu molto più della dipendenza dell’economia armena dalla Russia.

D’altro canto, la debolezza di qualsiasi divisione nazional-identitaria in Bielorussia, contrariamente all’Ucraina, rende più difficile legittimare il sostegno in favore della repressione. Se in Ucraina, Putin poteva pretendere la legittimazione di “salvare” “la nostra” “popolazione russofona” da “Banderisti” [riferimento al nazionalista ucraino Stepan Bandera che collaborò in diverse occasioni con le forze naziste] alloctoni provenienti dalle regioni occidentali, in Bielorussia tutta la popolazione è “nostra” e non solamente una parte.

Nella stessa maniera non è “legittimo” agli occhi della popolazione Russa sostenere il governo che picchia il “nostro” popolo. Questo significa che il supporto russo potrebbe essere limitato e segreto. Nel caso in cui Lukashenko finirà per perdere il controllo, la Russia si imposterà probabilmente come mediatore per garantire i propri interessi in un compromesso negoziato. Un cambio di potere in Bielorussia dovrebbe essere “guidato” dalla Russia, per non essere percepito come una perdita per Putin. A tal fine, qualunque candidato serio per prendere il posto di Lukashenko dovrebbe fare di più per la Russia che semplicemente nascondere le proprie preferenze geopolitiche, come fa attualmente l’opposizione.

Minsk Maidan?
Un ultimo punto, riguardo ai riferimenti all’Ucraina nelle attuali discussioni sulla Bielorussia. Innanzitutto, delle affermazioni come “è come Maidan” o “non è affatto come Maidan” espresse dal governo o dai sostenitori dell’opposizione sono della stessa natura delle affermazioni di legittimazione/delegittimazione piuttosto tipiche come “questo è un pogrom, non è una rivoluzione”, “siamo partigiani, non terroristi”, “noi non siamo dei fascisti, solo dei patrioti”. Se il nostro obbiettivo non è quello di giocare a questi giochi ma di capire e illuminare quello che sta succedendo in Bielorussia, bisogna intraprendere un confronto minuzioso, piuttosto che accontentarsi di porre delle etichette.

Un confronto con l’Ucraina può non solamente aiutare a comprendere la Bielorussia, ma anche il contrario. Ora possiamo vedere meglio a cosa corrisponde una manifestazione veramente “spontanea”, “interamente nazionale”, “senza leader”, e che sembra molto differente dalla Maidan ucraina. L’impressione negativa lasciata dal presunto successo della rivolta ucraina del 2014 conduce a negare qualsiasi somiglianza.

Inoltre, la tendenza a parlare dell’Ucraina solamente nel contesto di nazionalisti radicali, scissioni regionali e di rivalità geopolitiche – e dunque a concludere che “niente di tutto ciò avviene in Bielorussia” – comincia a dare l’impressione che la persona che differenzia in tale maniera le due situazioni sia arrivato ad apprezzare i reportage estremamente negativi, tipici di Russia Today.

C’erano molti altri problemi seri con Maidan – il carattere vago delle sue esigenze, l’incapacità a costruire delle istituzioni, la polarizzazione delle classi subalterne e l’esclusività del suo nazionalismo civico – che sono molto pertinenti per il caso bielorusso. Si potrebbe dire che l’entusiasmo roseo riguardo alla Bielorussia poiché “ci sono dei lavoratori coinvolti” è della stessa natura che lo scetticismo cinico riguardo all’Ucraina perché “c’erano dei fascisti, laggiù”.

TAG: Bielorussia, Lukashenko
CAT: Geopolitica
Da - https://www.glistatigenerali.com/geopolitica/lopposizione-in-bielorussia-non-e-tutta-dalla-stessa-parte/


Titolo: Re: RUSSIA, BIELORUSSIA e dintorni, ...
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2020, 12:20:05 am
Il PD, cioè "partito" e "democratico"
Posted Sab, 15/06/2013 - 19:00 by Valerio
Un ragionamento sul Partito Democratico, in quattro parti.
1. Le ragioni semplici di un partito largo
Perché puntare ad essere un "partito largo"?
Primo. Non possiamo fare a meno di avere militanti e simpatizzanti, informati, effettivamente partecipanti, conseguentemente motivati, e quindi capaci di far vivere le nostre proposte e le nostre battaglie nei luoghi di vita e di lavoro. Questa capacità di prender parola positivamente e di contrastare le retoriche dell'avversario che tanti media si adoperano per far diventare senso comune è una leva a cui è impensabile rinunciare. Non solo una necessità di fronte a chi ha molti più mezzi di noi, ma una leva che tanto più è importante se l'avversario non ha la capacità di utilizzarla allo stesso livello.
Secondo. Oggi più che mai è grande la distanza tra la indicazione delle necessità, degli obiettivi di governo, e la/e concreta/e scelta/e per conseguire il risultato. La complessità è un dato delle società moderne, ma in Italia è particolarmente sottolineato per il degrado dei meccanismi di funzionamento a tutti i livelli. La bontà delle soluzioni non può venire da ambiti ristretti, è necessario il concorso di tanti saperi ed esperienze. E' uno dei punti principali su cui ruota anche il ragionamento di Fabrizio Barca. Va anche aggiunto che un processo di elaborazione largamente partecipato può essere molto più facilmente diffuso, spiegato e gestito in fase di realizzazione delle politiche.
Partito “largo” non vuole essere, per me, una nuova aggettivazione su cui forzare un'intera costruzione di profilo del partito, fino alla rappresentanza e all'identità. E' solo un criterio di verifica che mi pare efficace nel legare una serie di ragionamenti sul partito e sul suo funzionamento, con la speranza di poterne trarre dei punti fermi condivisi.
Mi capiterà di usare anche il termine “rifondazione”. Nel senso di ritrovare i fondamentali. E su questo filo ritrovare le persone capaci non solo di ritracciare la rotta ma anche di ristabilire le condizioni di agibilità e di attraenza della politica.
 
2. Il superamento del dualismo iscritti/elettori
Iscritti ed elettori, è un dualismo che ci portiamo dietro dalla nascita. Sempre motivo di contrasti. Anche oggi, in vista del secondo congresso del PD, ritorna con la proposta di riservare ai soli iscritti il percorso congressuale, ovviamente contrastata da chi all'opposto vuole veder confermata quella seconda fase primariale. Questa volta addirittura con una terza variante-intreccio ancor più micidiale secondo la quale ci si chiude per benino a fare il congresso tra soli iscritti e poi si apre un percorso parallelo per la leadership di governo, in cui non contano tanto o solo i "nostri" elettori ma contano tutti i cittadini, in sostanza non più un passaggio di partito o di coalizione ma un pezzo di campagna elettorale, nella quale, per inciso, ognuno dei contendenti non si limiterà a caratterizzare il portato collettivo di elaborazione programmatica ma esporrà il "suo programma".
Il tutto per giunta a ridosso del voto, con evidenti conseguenze. E quindi anche con maggiori difficoltà di rapporto con eventuali alleati, sia in termini di partecipazione sia in termini di preventivo impegno a rispettare l'esito della contesa primariale.
La maledizione di quel dualismo, come sappiamo, nasce dalla fase costituente del PD quando, subito dopo la elezione di Veltroni, i lavori della Commissione statuto si trovarono di fronte alla proposta che prevedeva un partito senza iscritti, cosa ben diversa dalla positiva apertura agli elettori ascoltata al Lingotto. Dopo 40 giorni da brivido, alla fine ci ritrovammo con questa partizione in due mondi distinti, iscritti ed elettori. E tutti i nostri ragionamenti restano culturalmente e politicamente bloccati a quella mediazione, avvelenata da un contrasto profondo sul modello di partito.
Se vediamo la necessità urgente di una rifondazione radicale, dobbiamo andare oltre la maledizione di quel dualismo e tornare ad un ragionamento sui fondamentali.
Per farlo ci dovrebbe bastare un'operazione tutto sommato semplice, andare con la memoria alle file davanti ai gazebo, sia quelli del 14 ottobre 2007, sia quelli del 2009. Ci abbiamo parlato con quella gente in fila, no? C'erano gli iscritti, c'erano gruppetti trainati dai candidati nelle liste, c'era anche qualcuno che aveva "sbagliato fila", giovani attratti dalla proposta, e poi c'erano tutti gli altri, cioè la stragrande maggioranza. Qual era il profilo di quelle persone? Non erano volti "nuovi". Erano persone per le quali la parola "politica" era già nel vissuto, e molto spesso anche la parola "militanza". Se li abbiamo trovati lì e non dentro ad un circolo, è forse perché hanno problemi a versare trenta euro di tessera? O è perché non abbiamo saputo offrir loro altro che primarie? Erano lì per vivere un momento di spinta positiva, con la speranza di reincontrare un partito utile, che poteva essere il partito utile, unitario, incisivo, il PD. La domanda di trasparenza e di effettiva democrazia che ci viene dal nostro popolo è la stessa che chiediamo noi iscritti nei Circoli.
Superare intellettualmente quel dualismo, rifiutare una cristallizzata distinzione tra iscritti ed elettori che non esiste in natura. Non esiste guardando agli elettori, ma nemmeno esiste guardando agli iscritti se non vogliamo tapparci gli occhi di fronte al saliscendi del numero iscritti tra anni congressuali e non. Operare per essere un partito largo, sia nel modello, sia nei comportamenti territoriali. Offrire a tutto il nostro popolo un rapporto reale tra una primaria e la successiva.
Se davvero lo si vuole il partito largo, non è difficile disegnare un modello diverso di funzionamento. E poi quel modello lo si organizza; e lo si difende, invece di scaricarci sopra ogni volta il conflitto politico.
Ancora una volta, in queste settimane, vediamo invece che elementi del modello sono posti in discussione con evidenti torsioni tattiche legate ai posizionamenti congressuali o a visioni congiunturali, dalla coincidenza tra Segretario e candidato Presidente del Consiglio, alle modalità delle primarie (congressuali e non). Basta farsi male.
 
3. Il tempo, i servizi, internet, ovvero il SIP
Bel titolo ermetico ;-) . La sua forma esplicita potrebbe essere: costruiamo il partito curandone il funzionamento in forme tali che possa essere vissuto e partecipato dalla più ampia parte di militanti e simpatizzanti, forme abilitate da un uso appropriato della rete e attuando il “sistema informativo per la partecipazione” previsto nel nostro statuto.
Cominciamo dal tempo, quello che hanno a disposizione le "persone normali" per la politica. Dopo una giornata di lavoro, incombenze varie, pensiamo che una passione civile e politica possa impegnare un tempo mediamente superiore ai 20 minuti? E' poco? Dipende. Certo che se siamo organizzati in modo tale che solo per essere informati servono 2 ore al giorno non avremo mai un partito largo, avremo un partito stretto, pochissimi in grado di "far politica", pochissimi in grado di partecipare.
All'interrogativo sul quel tempo abbiamo risposto "dipende". Da cosa? Dalle nostre forme di relazione e dall'uso di "logiche di servizio".
Dalle nostre forme di relazione, da quanto, ad esempio, il confronto sia effettivamente svolto negli organi invece che in interviste su una decina di quotidiani e tante comparsate televisive. O dal vizio di produrre materiali che sono sempre all'estremo inferiore o superiore, o volantini con qualche slogan o documenti corposissimi e spesso mal sintetizzabili, con 4 o 5 mediazioni risolte su una parola o un aggettivo.
Dalle logiche di “servizio”. Perché comunque le quantità e i flussi di base sono rilevanti, rispetto al tempo dedicabile. E serve quindi il valore aggiunto di una resa in termini di servizio, a tutti i livelli, ricercabilità dei materiali, cura dei canali di conversazione, selezione e sintesi, ecc. La semplice trasparenza non basta. Servizi informativi, ma anche di interazione, regolati, dimensionati... mica basta aprire un canale.
Certo, i contenuti. Ma se hai regolato un flusso di domanda vedrai che escono anche i contenuti che servono. Detto per inciso, possibile che di fronte al martellare di "non è di destra né di sinistra" e il "sono tutti uguali", veri e propri assi sui quali siamo stati disarticolati e Grillo ha invece costruito il suo successo, non siamo stati capaci di produrre 2-3 paginette, non strumentali, veritiere e incontestabili, corredate dai link ai necessari supporti dimostrativi, sull'insieme delle diversità di proposte e comportamenti, parlamentari e non, tra “loro e noi”? Abbiamo cercato di farcele nei circoli, ma alla buona. Avrebbe dovuto essere il nostro mantra.
Nel sostenere la logica di servizi per la partecipazione, va esplicitato anche un corollario. Perché realizzare servizi è un gioco che chiede risorse, e non poche. Ma le risorse umane, che sono la gran parte, le abbiamo. E sono risorse volontarie. Non può essere però un apporto spontaneo. Questo tipo di volontariato va riconosciuto, ne va incardinata la funzione, e va conseguentemente organizzato. Non è un punto banale.  Se si preferisce che a lavorare siano risorse pagate, ritenute più sicure o meglio governabili, vuol dire ...che i servizi non si faranno. Meno partecipazione. Partito più stretto. E a maggior ragione tutto questo vale in condizioni di risorse finanziarie sempre più scarse.
Un sistema di servizi informativi e di relazioni partecipative. Dire che debba essere basato in rete è dire una ovvietà. Eppure abbiamo preferito indulgere alle battute su Grillo, avvalorando il concetto che il fattore rete possa prevedere il supporto ad un solo modello organizzativo, quello della democrazia diretta. O anche peggio. Ovviamente non è così. Ci siamo concessi qualche sbandata per i social network (tutt'altro film) e non abbiamo la visione degli usi possibili del fattore internet nell'organizzazione e nel funzionamento del partito (vedi successivo articolo).
Anche il “funzionamento”? Sì, anche parti del funzionamento. E' possibile. Questo non destruttura niente, non toglie i punti di responsabilità. Cambia il modo di esercitare quella responsabilità. Il “partito all'altezza degli occhi” è una metafora del modello, non il modello. Probabilmente chi ostacola preferisce i "metodi da partito piccolo". Non così diversi, nella sostanza, da quelli di Grillo, in rete.
Infine, SIP. Già, perché quel sistema di servizi e relazioni lo abbiamo addirittura nello statuto. Quel Sistema Informativo per la Partecipazione lo troviamo in art.1 (definizione), e poi funzionalmente negli artt. 22 (rapporto eletti-elettori), 27 (altre forme di consultazione e di partecipazione alla formazione delle decisioni del Partito), 39 (equiparazione dei rapporti all'interno di quel sistema telematico alla ordinaria vita di partito, paritariamente rilevanti per le competenze delle Commissioni di Garanzia).
Eccola quella definizione in art.1:
Il Partito Democratico assicura un Sistema informativo per la partecipazione basato sulle tecnologie telematiche adeguato a favorire il dibattito interno e a far circolare rapidamente tutte le informazioni necessarie a tale scopo. Il Sistema informativo per la partecipazione consente ad elettori ed iscritti, tramite l’accesso alla rete internet, di essere informati, di partecipare al dibattito interno e di fare proposte. Il Partito rende liberamente accessibili per questa via tutte le informazioni sulla sua vita interna, ivi compreso il bilancio, e sulle riunioni e le deliberazioni degli organismi dirigenti. I dirigenti e gli eletti del Partito sono tenuti a rendere pubbliche le proprie attività attraverso il Sistema informativo per la partecipazione.
Serve inventare altro o serve fare quel che già doveva essere fatto?
Il "partito nuovo", largo, funzionalmente largo per quanto l'uso della rete ci consente, lo facciamo o no?
 
4. Un partito descrivibile, agibile, le regole e le correnti
Una costante del far politica, anche nel nostro partito, è il fatto di non assumere il complesso regolativo (statuti, regolamenti, ecc.) come un preesistente condiviso e vincolante ma di farne oggetto stesso del conflitto nello svolgersi dell'azione politica.
Se le regole non tengono, saltano le garanzie per ogni apporto militante all'interno del collettivo. Una conseguenza, forse ancor più grave, sta nel fatto che non sono in grado, attraverso le regole, di indicare "come funziona il partito" ad uno che si avvicina per iscriversi e mi chiede, appunto, come funzioniamo.
Ma c'è anche un secondo motivo più forte per il quale le regole dichiarate non possono descrivere il funzionamento del partito. Parte del tutto rilevante dell'attività politica non passa infatti dai luoghi descritti dal nostro statuto. Gli stessi meccanismi congressuali, il cuore del funzionamento, oggi non si attiverebbero mai se non vi fossero a monte quelle aggregazioni dalle quali discendono candidature e liste. Volgarmente dette "correnti".
Un partito così impostato può essere attraente (ancora una volta largo/stretto)? Può riuscire a svolgere il ruolo che per sé dichiara nel panorama politico italiano, e nella società italiana, e al punto in cui siamo?
Anche chi ha scelto consapevolmente e legittimamente di partecipare attraverso una di quelle forme organizzate può davvero dirsi soddisfatto di come all'interno di quella determinata componente è selezionato il gruppo dirigente? E non è forse vero che non sono pochi coloro che dentro questo nostro partito saprebbero indicare validi dirigenti anche tra chi era diversamente schierato nell'ultimo congresso e sarebbero ben decisi a non concedere fiducia a qualcuno pur inserito nelle liste sostenute?
Non serve insistere con le motivazioni critiche. Nelle ultime settimane le critiche sono state formulate in modo netto, al livello più autorevole.
Ora però devono trovare una traduzione velocissima, perché la prossima settimana si riunisce la Commissione per il Congresso e nell'arco di una ventina di giorni si formeranno gli orientamenti sia per modifiche statutarie sia per le modalità specifiche di questa tornata.
E' un tempo molto breve, ed è facile immaginare che ci si concentrerà su poche cose. Ma le cose da toccare non sono poche se si pensa che non debba più ruotare tutto intorno alle correnti, è tutto un sistema di funzionamento che devi ricostruire, motivazioni, strumenti, profili di responsabilità negli organi, procedure di selezione, sistemi di garanzia, ecc.
Come sempre, non si fa tutto insieme. Serve che i primi passi spingano il processo nella giusta direzione.
Se il lavoro della Commissione dovesse confermare sic et simpliciter il meccanismo delle liste bloccate, architrave della riproduzione correntizia, vuol dire che staremmo scherzando. Se un metodo diverso lo si vuole cercare, si trova.
Il fatto che si proceda prima con i livelli regionali e territoriali e solo successivamente con il livello nazionale cambia lo scenario ma di per sé non risolve il punto.

 L'Italia di domani
 le proposte del partito democratico

L'indice delle pagine sul sito PD  -  Visualizza online la brochure

"L'Italia di domani" era anche il tema della Festa Democratica nazionale tenuta a Pesaro.

Puoi rivedere l'intervento conclusivo di Bersani su Youdem.tv o leggere il testo integrale sul sito nazionale.
 
 



Titolo: Caucaso, la guerra si sposta nelle città: "Rischio massacro"
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2020, 07:17:00 pm

Caucaso, la guerra si sposta nelle città: "Rischio massacro" | Rep

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ggiannig <ggianni41@gmail.com>
08:12 (11 ore fa)
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https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/10/04/news/caucaso_la_guerra_si_sposta_nelle_citta_rischio_massacro_-269480924/
 


Titolo: Il giallo del Tiergarten: l'ombra del Cremlino dietro l'omicidio del dissidente
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2020, 07:18:10 pm
Il giallo del Tiergarten: l'ombra del Cremlino dietro l'omicidio del dissidente georgiano-ceceno | Rep

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Arlecchino Euristico
19:04 (12 minuti fa)
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https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/10/05/news/il_giallo_del_tiergarten_l_ombra_del_cremlino_dietro_l_omicidio_del_dissidente_georgiano-ceceno-269478346/

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Titolo: Il leader dell'opposizione bielorussa chiede alla Merkel di aumentare la ...
Inserito da: Admin - Ottobre 05, 2020, 07:19:39 pm
Il leader dell'opposizione bielorussa chiede alla Merkel di aumentare la pressione su Lukashenko | Notizie dal mondo | Il guardiano

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ggiannig <ggianni41@gmail.com>
08:09 (11 ore fa)
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https://www.theguardian.com/world/2020/oct/04/belarus-opposition-leader-to-ask-merkel-about-upping-pressure-on-lukashenko-svetlana-tikhanovskaya
 


Titolo: Uglev il creatore del Novichok: Hanno usato il mio agente nervino, ma diluito..
Inserito da: Admin - Ottobre 08, 2020, 12:52:30 pm
Uglev, il creatore del Novichok: “Hanno usato il mio agente nervino, ma diluito con un’altra sostanza che ha salvato Navalnyj” | Rep

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ggiannig <ggianni41@gmail.com>
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Titolo: Sanzioni alla Russia. L’Europa unita sul caso Navalnyj
Inserito da: Admin - Ottobre 14, 2020, 05:25:06 pm

Sanzioni alla Russia. L’Europa unita sul caso Navalnyj | Rep

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Arlecchino Euristico
mar 13 ott, 15:31 (1 giorno fa)
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https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/10/12/news/sanzioni_alla_russia_l_europa_unita_sul_caso_navalnyj-270376688/

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Titolo: Sanzioni alla Russia. L’Europa unita sul caso Navalnyj
Inserito da: Admin - Ottobre 14, 2020, 05:31:22 pm
Sanzioni alla Russia. L’Europa unita sul caso Navalnyj | Rep

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Arlecchino Euristico
mar 13 ott, 15:31 (1 giorno fa)
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Titolo: Russian investigators target gay fathers
Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2020, 11:13:47 pm
Russian investigators target gay fathers

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ggiannig <ggianni41@gmail.com>
dom 18 ott, 11:40 (1 giorno fa)
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https://www.dw.com/en/russian-investigators-target-gay-fathers/a-55288588
 


Titolo: Russia, Navalnyj: "Conosco i nomi di chi ha cercato di uccidermi"
Inserito da: Admin - Dicembre 15, 2020, 03:49:30 pm
Russia, Navalnyj: "Conosco i nomi di chi ha cercato di uccidermi" - la Repubblica

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07:54 (7 ore fa)
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https://www.repubblica.it/esteri/2020/12/14/news/russia_navalnyj_conosco_i_nomi_di_chi_ha_cercato_di_uccidermi_-278363874/
 


Titolo: Nomine familiari e azioni in dote, tutti gli affari del clan Putin
Inserito da: Admin - Dicembre 23, 2020, 05:55:48 pm
Nomine familiari e azioni in dote, tutti gli affari del clan Putin | Rep

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https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2020/12/22/news/nomine_e_azioni_tutti_gli_affari_della_famiglia_segreta_di_putin-279518515/
 


Titolo: CAPIRE LA RUSSIA A NOI PUO' ESSERE MOLTO UTILE. (NdR siamo un buon boccone).
Inserito da: Admin - Gennaio 13, 2022, 07:19:16 pm
L’Unione sovietica non è mai crollata davvero

Trent'anni fa l'accordo di Belovezhy ha formalmente messo fine all'Unione Sovietica. Con l'eccezione dei paesi baltici, l'URSS si è disintegrata, dando vita a piccole entità post-sovietiche che portano l'eredità del totalitarismo. Il futuro non è più radioso, al contrario, scrive l'autore russo Sergej Lebedev.

Pubblicato il 13 gennaio 2022 alle 13:40

•   Sergej Lebedev
•   Traduzione di Alessandra Bertuccelli
 
Trent’anni fa, l’8 dicembre 1991, nel villaggio di Viskuli quasi al confine tra Bielorussia e Polonia, i presidenti delle Repubbliche Sovietiche di Russia, Ucraina e Bielorussia firmarono il cosiddetto Accordo di Belaveža, che formalizzò la fine dell’esistenza dell'Urss.
A distanza di tre decenni, proprio in questi luoghi, nella regione di Brest, nella foresta di Belaveža, al confine bielorusso-polacco è scoppiato un conflitto che non ha precedenti in questa regione e, probabilmente, in tutto il blocco dei paesi europei post-socialisti.
Il dittatore bielorusso Aleksandr Lukašenko, con l’evidente assistenza tecnica e militare, nonché il sostegno politico, della Russia ha usato i migranti – attirati e condotti in Bielorussia dall’Afghanistan, dalla Siria e da altri paesi orientali – per creare un “conflitto ibrido” ai confini dell'Unione europea. L’asprezza del clima invernale, la violenza delle forze di sicurezza bielorusse, che usano i migranti come ostaggi e diventata palese nelle operazioni di repressione delle proteste di massa cominciate nel 2020, e la dura posizione del governo polacco che ha sprangato il confine, è più che probabile che le perdite di vite umane saranno enormi.
Penso che questo conflitto, ambientato nelle gelide foreste di un territorio di confine, si possa anche leggere così: la dissoluzione dell’Unione Sovietica è tutt’altro che conclusa.


Archipelago Urss: a trent’anni dalla fine dell'Unione sovietica

L’accordo di Belaveža del 1991 stabilisce che “l'Unione Sovietica come soggetto del diritto internazionale e della realtà geopolitica ha cessato di esistere”. Oggi, più di un quarto di secolo dopo, la frase andrebbe ritoccata.
Come soggetto del diritto internazionale, l’Urss è in effetti scomparsa e questo nonostante Russia ne persistano residui: un movimento non ufficiale che nega la legittimità dell'accordo di Belaveža e che di conseguenza considera l’Urss un'entità ancora esistente (al suo interno si continuano a usare i suoi simboli, la moneta sovietica e i passaporti).
Tuttavia, come realtà geopolitica – intesa come l’insieme delle pratiche fondamentali della cultura politica, l’idea del rapporto tra i diritti dell’uomo e i diritti dello stato – l’Urss, come usavano dire di Lenin gli agenti della propaganda sovietica citando un verso majakovskiano, è più viva di tutti i vivi.

Penso che non sia un’esagerazione dire  che l’Unione Sovietica, con l’ovvia eccezione dei tre paesi baltici (Lettonia, Estonia e Lituania) che si è sciolta nel 1990-1991 dando vita a diverse piccole repubbliche socialiste, abbia  realtà creato  un’Unione Sovietica di dimensioni minori, entità statali-nazionali che conservano il germe fatale della nascita, il marchio di fabbrica totalitario, repubbliche dove, nella maggior parte dei casi, si è mantenuta una continuità delle classi dirigenti e delle strutture precedenti, il che spiega il loro facile incorrere in derive autoritarie.
E, sempre ad eccezione degli stati baltici, a prendere le redini delle repubbliche ex sovietiche sono stati i rappresentanti delle élite sovietiche, persone del passato: segretari di partito, ministri sovietici, generali del Kgb, persone che sono portatrici di una coscienza autoritaria. Praticamente in nessuna di esse ci sono stati movimenti alternativi e democratici sufficientemente convincenti in grado di plasmare e realizzare un nuovo corso democratico.

Cominciamo dalle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale: Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan. In tutte e quattro vi sono regimi autocratici, diversi per grado di libertà, evidentemente caratterizzati da un dispotismo all’orientale: statue dorate dei regnanti che si improvvisano autori di libri sacri, città ribattezzate in loro onore etc.. .
Guardiamo alle Repubbliche ex sovietiche transcaucasiche: Georgia, Armenia, Azerbaigian. Tardive rivoluzioni liberali avevano già avuto luogo in Georgia e in Armenia nel Ventesimo secolo, ma la tensione generale nella regione e il coinvolgimento nei continui conflitti militari non hanno permesso loro di affrancarsi completamente dall’eredità dell’autoritarismo sovietico.
Arriviamo infine alle repubbliche ex sovietiche europee: Ucraina, Bielorussia, Moldova. In Moldova il conflitto territoriale con la Transnistria non è ancora risolto; l’Ucraina è in uno stato di guerra non dichiarata con la Russia da sette anni e la Bielorussia di Lukašenko, dittatore che un anno fa ha brutalmente represso le pacifiche proteste dei cittadini, sta gradualmente perdendo la sua indipendenza e sta diventando un’appendice politica di Mosca.

Possiamo quindi dire che l’Unione Sovietica esiste e opera ancora: come un insieme di opportunità mancate alla trasformazione democratica, come una persistente eredità della politica comunista del Ventesimo secolo; come la contaminazione radioattiva dei luoghi dopo il disastro della centrale nucleare di Černobyl, che si protrarrà per decenni. Probabilmente, gli imperi hanno il loro periodo di “semideclino”, essi non scompaiono nel momento in cui viene firmato un trattato come quello di Belaveža, continuano a esistere come un complesso di pratiche politiche, peccati non redenti del passato, crimini lasciati impuniti, apatia sociale generalizzata. Ed è perciò necessaria una grande opera di cambiamento per far sparire tutto questo una buona volta e per sempre.
Si dà quasi per scontato che il crollo dell’Urss sia avvenuto senza spargimenti di sangue, a costo della vita di pochi. Se così fosse, il putsch di agosto e il trattato del dicembre 1991 si andrebbero a collocare nel contesto e nella sequenza delle rivoluzioni di velluto dell’Europa orientale, che davvero non hanno causato spargimenti di sangue o, comunque, hanno mietuto poche vittime, come nel caso dei coniugi Ceaușescu.
Purtroppo, non è vero. La politica nazionale del Partito comunista, lunga settant’anni, ha lasciato un’eredità esplosiva.

Basta pensare alle deportazioni di interi popoli sotto la dittatura di Stalin (ceceni, ingusci, tartari di Crimea, carachi e molti altri) e al loro successivo ritorno in una patria distrutta, nelle case occupate e nei santuari devastati: questo generò un’esigenza di giustizia e autonomia che si sarebbe manifestata anni dopo, un salato conto da pagare per Mosca.
Inoltre, quando le autorità sovietiche hanno agilmente ridisegnato i confini storici in funzione del momento, quando hanno creato, abolito, risubordinato entità quasi-politiche come le repubbliche autonome dell’Urss, di rango inferiore rispetto alle repubbliche dell’Unione, non hanno fatto altro che generare future dispute territoriali e speranze di autonomia.


L’Unione Sovietica è stata un’incredibile produttrice di simboli, probabilmente l’unico settore in cui è sempre riuscita a superare gli obiettivi di produzione

Esistevano, inoltre, anche vecchi conflitti nazionali d’epoca pre-sovietica, come quello tra l’Azerbaigian e l’Armenia.
L’Urss ha creato questo campo minato di conflitti in più modi e, grazie al suo potere autoritario, li ha congelati fino alla fase finale della perestrojka, ovvero fino a quando sono cominciati i tumulti nazionali praticamente in ogni repubblica autonoma o dell’Unione.

Il crollo dell’Unione Sovietica ha portato alla luce e ha innescato questi conflitti, che continuano a esplodere con enorme facilità.

Proprio per questo la storia post-sovietica è una storia di guerre, scontri etnici, conquiste territoriali, massacri di civili. La guerra civile in Georgia (1991-1993); la guerra civile in Tagikistan (1992-1993); le guerre in Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian (1992-1994, 2020), il conflitto osseto-inguscio nel 1992 e due guerre in Cecenia (1994-1996, 1999-2009) avvenute direttamente sul territorio della Federazione Russa; le guerre in Abkhazia (1992-1993) e Ossezia del Sud (1991-1992, 2008), e la guerra in Transnistria (1991-1992) sono avvenute con l’ingerenza della Russia; l’annessione armata della Crimea (2014) e l’aggressione russa nell’Ucraina orientale (del 2014 e ancora in corso) sono solo un elenco incompleto dei conflitti armati post-sovietici.
Il loro costo si eleva a centinaia di migliaia di morti, milioni di profughi; città distrutte, rapporti interstatali compromessi per decenni, il dilagare di una violenza che ha creato un circolo vizioso di impunità e che ha complicato ulteriormente già difficile passaggio verso la democrazia.

Per inciso, fin dalla presidenza di Boris Eltsin, la Russia era, per così dire, l’operatore e il beneficiario di molte delle guerre sopra citate; le usava per creare focolai di tensione controllata nelle sue ex repubbliche di recente indipendenza e per influenzare le loro politiche estere e interne.
Oggi tocca all’Unione europea sperimentare questo metodo sulla propria pelle. L’aggressione russa all’Ucraina è in corso a meno di mille chilometri dai confini europei; dalla Crimea ai confini del più vicino stato che fa parte della Nato, la Turchia, ci sono 260 chilometri. Una straordinaria vicinanza sia in senso militare che in senso socio-politico.

Penso sia plausibile dire che la cortina di ferro, come simbolo del conflitto tra occidente e oriente, sta tornando. Solo che ora si trova più a est: il confine tra Russia e Ucraina è un campo di battaglia, ci sono trincee, filo spinato, rapporti dal fronte, vittime nell’esercito ucraino; la Polonia sta rafforzando con manovre d’urgenza il confine con la Bielorussia, impone la chiusura dei posti di blocco alla frontiera, intensifica la fortificazione dei suoi confini e l’aumento di contingenti di polizia.
Il mondo europeo, di per sé già diviso, spaccato dal Covid che ha riattualizzato i confini europei, di cui ci si stava gradualmente dimenticando, si trova nuovamente in una situazione di tensione tra ovest ed est che non è pronto ad affrontare.

In Russia, inoltre, in questo momento si sta verificando un altro attacco, stavolta diretto non nello spazio, ma nel tempo. Lo scorso 28 dicembre la Procura generale della Federazione Russa ha chiesto la chiusura di Memorial, la più antica e di gran lunga più famosa e influente organizzazione in ambito civile in Russia.
Ci sono due Memorial: l’associazione storico-educativa, impegnata a preservare la memoria delle repressioni staliniane e di altri crimini del periodo sovietico e il Memorial Human Rights center, che indaga sulle violazioni dei diritti umani nella Russia di oggi, principalmente quelli commessi durante le due guerre cecene: esecuzioni sommarie, torture, rapimenti, pulizia etnica.
Creata nel 1989, Memorial è diventata il principale simbolo dell’impossibilità di un ritorno del passato repressivo sovietico e la più importante iniziativa civile russa che si prefigge di perpetuare la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche. L’esistenza stessa di Memorial è stata percepita da molti come un segnale, la dimostrazione che le pagine della storia sovietica erano chiuse per sempre.
________________________________________
Memorial è diventata il principale simbolo dell’impossibilità di un ritorno del passato repressivo sovietico
________________________________________Tuttavia, entrambi i Memorial sono stati dichiarati “agenti stranieri” in Russia già da diversi anni (il centro per i diritti umani lo è dal 2013, l’associazione dal 2016).
Questo termine è mutuato dal diritto statunitense, ma nel contesto russo ha una connotazione storicamente repressiva: molte delle vittime del tempo di Stalin venivano fittiziamente accusate di essere “agenti” dei servizi di intelligence stranieri e di forze politiche ostili all’Urss.
La Corte ha dato ragione all'accusa, che sosteneva che Memorial è colpevole di violazione sistematica della normativa sugli “agenti stranieri”, deliberatamente costruita in modo tale da essere persino tecnicamente e praticamente impossibile da adempiere (chi ne è accusato deve apporre la dicitura “agente straniero” su tutti i materiali, testi, lettere e pagine web prodotti), e per la cui assenza vengono inflitte multe gigantesche.
Memorial fu creato negli ultimi anni della perestrojka. La storia della sua creazione ha di per sé un significato sociale e simbolico: mostra le opportunità mancate di quell’epoca.

Leggi anche : In Russia la quarantena (politica) è la norma

La perestrojka e la glasnost svelarono l’esigenza, già da tempo soggiacente alla società sovietica, di far emergere la verità sul passato, di restituire giustizia alle vittime dei crimini sovietici.
Tuttavia, il Partito comunista dell’Urss (Pcus) e il Comitato per la sicurezza dello stato (Komitet gosudarstvennyj bezopasnosti, più noto come Kgb) si opponevano all’emergere di iniziative indipendenti in questo campo, non desideravano che questo processo diventasse incontrollabile, e perciò giocarono d’anticipo, impegnandosi ad arginarne il campo d’azione.
Furono concordi nel riconoscere l’esistenza di un gran numero di vittime, la necessità di rendere pubblici i loro nomi ed erigere monumenti, ma contemporaneamente fecero in modo di mantenere il discorso esclusivamente sui crimini sovietici del periodo stalinista, non sollevarono mai la questione della responsabilità legale degli organizzatori e degli esecutori dei crimini di massa sovietici, premendo loro, essenzialmente, la segretezza degli archivi del Kgb.

Si può fare la supposizione seguente: l’Urss è caduta non semplicemente a causa dell’erosione politica. È crollata sotto il peso eccessivo di un carico simbolico che gravava sulla coscienza individuale e generale

Alla creazione di Memorial, al suo punto cruciale, si aprirono due strade: tra i suoi iniziatori erano confluite anche persone che volevano instaurare una linea radicale e conflittuale, contrarie a collaborare direttamente con le autorità, favorevoli allo scioglimento del Kgb e al libero accesso ai suoi archivi, al perseguimento penale dei responsabili e alla politicizzazione del movimento. Proprio il libero accesso agli archivi, come dimostra la storia di molti paesi post-socialisti, è la chiave per ripristinare lo stato di diritto e attuare quel processo di identificazione ed esclusione dalla politica di chi aveva collaborato con i servizi segreti che prese il nome di ljustracija.

Ma in Russia non poteva che vincere la linea moderata: ci si sarebbe concentrati sugli aspetti commemorativi, sulla “rielaborazione del passato” ma secondo una versione mutilata e limitata, sulla ricerca storica e sull’istruzione, senza impegnarsi in politica. È interessante notare che questa linea non è stata rivista nemmeno dopo il 1991, dopo il crollo dell’Urss, quando si aprirono opportunità sociali e politiche molto maggiori, quando i sondaggi sociologici dimostravano l’esistenza di una significativa disponibilità da parte della società, il desiderio di punire legalmente i colpevoli e di fare i conti con il passato.
L’esempio dell’ex Repubblica Democratica Tedesca (o Germania Est) – dove i dissidenti e non i politici della Germania Ovest divennero la principale forza che si batté per conservare gli archivi della Stasi (il ministero per la sicurezza statale), per vedere compiuto quel processo chiamato ljustracija e per punire penalmente i responsabili delle violazioni dei diritti umani – mostra quanto possano essere imponenti e decisivi gli atti di “elaborazione del passato” se si trasformano in impellenti priorità politiche.

In tre decenni Memorial ha compiuto un colossale lavoro per ristabilire la  memoria delle vittime: le banche dati digitali contenenti più di tre milioni di nominativi sono diventate un fantastico strumento per semplificare le ricerche negli archivi, uno strumento che permette di riavvicinare passato e presente; Memorial, inoltre, ha promosso la celebrazione di cerimonie civili come quella del 30 ottobre, giornata della memoria delle vittime della repressione politica, ad oggi la più importante istituzione culturale che unisce la società civile.
Tuttavia, le principali opportunità di cambiamento che avrebbero potuto far emergere una cultura politica democratica in Russia e favorire l’alternanza al potere, furono mancate tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, quando la società civile di fatto rinunciò a politicizzare e concretizzare legalmente la rielaborazione del passato, come insegnava la Germania Est. Se tale tentativo non fosse stato abbandonato, forse le élite sovietiche e gli organi di sicurezza dello stato non avrebbero ripreso il potere.

Al governo russo oggi serve una visione completamente diversa del passato sovietico: una visione idealizzata, uno strumento di legittimazione del regime di Vladimir Putin

Memorial disturba l’attuale regime autoritario russo non in quanto potenziale protagonista di cambiamenti politici, ma perché al governo russo oggi serve una visione completamente diversa del passato sovietico: una visione idealizzata, uno strumento di legittimazione del regime di Vladimir Putin.
Non è esagerato dire che il passato nella Russia di oggi è una questione politica.
L’eredità simbolica del passato viene strumentalizzata per consolidare la nazione, per creare non una maggioranza politica (non ci sono libere elezioni in Russia), ma una nazione ideologizzata, indottrinata e, in questo senso, apolitica.
Pertanto, torniamo alla frase principale dell’accordo di Belaveža: “L'Unione Sovietica come soggetto del diritto internazionale e della realtà geopolitica ha cessato di esistere”. Questa definizione ammette una terza realtà dell’Urss, non legale o geopolitica, ma simbolica, costituita da oggetti culturali ideologicamente sacralizzati. Una realtà non regolamentata.
L’Unione Sovietica è stata un’incredibile produttrice di simboli, probabilmente l’unico settore in cui è sempre riuscita a superare gli obiettivi di produzione. Monumenti, strutture architettoniche, canzoni, film, libri, cerimonie solenni: l’Unione Sovietica li ha prodotti in massa, creando un orizzonte culturale chiuso, composto di culti che si completavano a vicenda. Il culto della rivoluzione, il culto del socialismo, il culto della vittoria nella Seconda guerra mondiale: la religione sovietica era politeista, composta da molti altari e pantheon di eroi.

Verso la fine degli anni Ottanta tutto questo complesso non venne più nutrito, andava scarnificandosi sempre più, fino a crollare, morente.
Si può anche supporre che l’Urss sia caduta non semplicemente a causa dell’erosione politica. È crollata sotto il peso eccessivo di un carico simbolico che gravava sulla coscienza individuale e generale; l’esperienza viva dei simboli come risorsa psichica si era ormai esaurita e si era trasformata nel suo contrario, in cinismo: gli eroi dei testi un tempo considerati sacri diventavano protagonisti delle barzellette, l’ultima fede nel futuristico progetto socialista era morta nelle lunghe file fuori dai negozi, che negli anni Ottanta erano all’ordine del giorno in ogni città sovietica.

Il passato forniva la spiegazione per tutti i mali e i problemi del presente sovietico, in uno qualsiasi dei suoi presenti; il futuro, invece, era il serbatoio di tutto il bene, che pareva già realizzato, già avvenuto

Adesso, trent’anni dopo, l’apparato simbolico sovietico sta vivendo una seconda nascita, postmoderna.
Sugli scaffali dei negozi russi sono apparsi prodotti pseudosovietici a giudicare dalle confezioni: nostalgia della fantomatica qualità del cibo sovietico. Il culto della “grande guerra patriottica” è diventato la principale giustificazione della politica estera aggressiva e militarista attuale, una fonte di perversa morale pubblica che glorifica il diritto dei forti. Viene nuovamente creato il pantheon degli eroi sovietici, le cui gesta, avvenute nella realtà o inventate dagli agenti della propaganda, dovrebbero sacralizzare il passato, renderlo immutabile e indiscutibile.
Allo stesso tempo, le discussioni storiche sul passato sono criminalizzate, alcuni argomenti, come la Seconda guerra mondiale, stanno gradualmente diventando tabù, dominio commemorativo dello stato.

Perché sta succedendo?
Ci troviamo davanti a un paradosso interessante in cui confluiscono tempo, storia e politica. Il progetto sovietico (nell’ambito di ciascuna delle sue epoche) respingeva il passato e si legittimava attraverso il futuro, attraverso un obiettivo futuristico e profetico: l’edificazione del comunismo. Il passato forniva la spiegazione per tutti i mali e i problemi del presente sovietico, in uno qualsiasi dei suoi presenti; il futuro, invece, era il serbatoio di tutto il bene, che pareva già realizzato, già avvenuto.

Effettivamente, questa legittimazione attraverso il futuro (le cose più importanti è lì che avverranno) durò fino alla fine dell’Urss. Ma la Russia di Putin ha un approccio completamente diverso con il tempo. La Russia di Putin è un progetto conservatore. Del futuro fondamentalmente non si parla con chiarezza, esso non è definito e non è desiderato. Il futuro è un insieme di cose che non dovrebbero venire; porta la corruzione, l’epidemia del liberalismo, il virus dei diritti umani. Il futuro manca totalmente di tratti positivi e non lo si vuole raggiungere, non si vuole vivere nel tempo.
Al contrario, l’era sovietica acquisisce sempre di più le fattezze di un’età dell’oro, di un periodo di grandi vittorie, un periodo in cui l’Unione Sovietica, per così dire, aveva ottime carte da giocare negli equilibri geopolitici; e non è un caso che Vladimir Putin una volta abbia definito il crollo dell’Urss come “la più grande catastrofe geopolitica del Ventesimo secolo”.
In questa logica, qualsiasi repubblica dell’ex Urss che costruisce un discorso storico a parte, che parla di occupazione sovietica, di crimini, che ha condotto o conduce un processo di decomunistizzazione, come l’Ucraina, dove sono stati abbattuti migliaia di monumenti di Lenin, si ritrova inevitabilmente ad essere considerata nemica della Russia.
Ma non si tratta di rispetto per Lenin in quanto tale, ai politici russi non importa niente di Lenin, il punto è un altro: l’aspirazione all’unità dello spazio simbolico, all’assenza di ogni critica storica che rischia di indebolire o minacciare l’impostazione del discorso storico sull’autoritarismo, che è diventato uno strumento politico interno ed esterno. Probabilmente, avremo a che fare ancora per decenni con la post-esistenza dell’Urss, con il lungo crollo dell’impero nelle nostre teste e non solo sulla mappa.

Negli anni Novanta i riformatori dell’economia speravano che bastasse il libero mercato per portare la Russia alla democrazia, per creare una società libera. Invece ne è nata un’economia semifeudale, dove il diritto alla proprietà privata è condizionato e può essere negato in qualsiasi momento a discrezione delle autorità, in cui prima dominavano gli oligarchi, e poi i siloviki, uomini di potere, che hanno privatizzato la risorsa del potere statale. È qui che nasce il loro bisogno di creare la nostalgia politica dell’Urss, il ritorno ai simboli sovietici: essi sono un mezzo per formare una maggioranza filogovernativa e manipolare politicamente gli stati vicini.
Inoltre, la storia del crollo dell’Urss mostra che tali cambiamenti, di per sé, nonostante la loro gigantesca portata, non garantiscono un cambiamento del corso politico. Quello che serve è un complesso di misure per “una giustizia di transizione” che, trent’anni fa, la società civile russa non ha avuto il coraggio di intraprendere.

E chiedersi se l’avrà il futuro rimane una domanda aperta, poiché in Russia la lezione del 1991 non è ancora stata appresa.


Articolo originariamente pubblicato su Weekendavisen.

Da - https://voxeurop.eu/it/urss-russia-lunione-sovietica-non-e-mai-crollata/


Titolo: L’Unione sovietica non è mai crollata davvero
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 19, 2022, 03:58:30 pm
L’Unione sovietica non è mai crollata davvero

Trent'anni fa l'accordo di Belovezhy ha formalmente messo fine all'Unione Sovietica. Con l'eccezione dei paesi baltici, l'URSS si è disintegrata, dando vita a piccole entità post-sovietiche che portano l'eredità del totalitarismo. Il futuro non è più radioso, al contrario, scrive l'autore russo Sergej Lebedev.

Pubblicato il 13 gennaio 2022 alle 13:40

•   Sergej Lebedev
•   Traduzione di Alessandra Bertuccelli
 
Trent’anni fa, l’8 dicembre 1991, nel villaggio di Viskuli quasi al confine tra Bielorussia e Polonia, i presidenti delle Repubbliche Sovietiche di Russia, Ucraina e Bielorussia firmarono il cosiddetto Accordo di Belaveža, che formalizzò la fine dell’esistenza dell'Urss.
A distanza di tre decenni, proprio in questi luoghi, nella regione di Brest, nella foresta di Belaveža, al confine bielorusso-polacco è scoppiato un conflitto che non ha precedenti in questa regione e, probabilmente, in tutto il blocco dei paesi europei post-socialisti.
Il dittatore bielorusso Aleksandr Lukašenko, con l’evidente assistenza tecnica e militare, nonché il sostegno politico, della Russia ha usato i migranti – attirati e condotti in Bielorussia dall’Afghanistan, dalla Siria e da altri paesi orientali – per creare un “conflitto ibrido” ai confini dell'Unione europea. L’asprezza del clima invernale, la violenza delle forze di sicurezza bielorusse, che usano i migranti come ostaggi e diventata palese nelle operazioni di repressione delle proteste di massa cominciate nel 2020, e la dura posizione del governo polacco che ha sprangato il confine, è più che probabile che le perdite di vite umane saranno enormi.
Penso che questo conflitto, ambientato nelle gelide foreste di un territorio di confine, si possa anche leggere così: la dissoluzione dell’Unione Sovietica è tutt’altro che conclusa.


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Archipelago Urss: a trent’anni dalla fine dell'Unione sovietica
L’accordo di Belaveža del 1991 stabilisce che “l'Unione Sovietica come soggetto del diritto internazionale e della realtà geopolitica ha cessato di esistere”. Oggi, più di un quarto di secolo dopo, la frase andrebbe ritoccata.
Come soggetto del diritto internazionale, l’Urss è in effetti scomparsa e questo nonostante Russia ne persistano residui: un movimento non ufficiale che nega la legittimità dell'accordo di Belaveža e che di conseguenza considera l’Urss un'entità ancora esistente (al suo interno si continuano a usare i suoi simboli, la moneta sovietica e i passaporti).
Tuttavia, come realtà geopolitica – intesa come l’insieme delle pratiche fondamentali della cultura politica, l’idea del rapporto tra i diritti dell’uomo e i diritti dello stato – l’Urss, come usavano dire di Lenin gli agenti della propaganda sovietica citando un verso majakovskiano, è più viva di tutti i vivi.
Penso che non sia un’esagerazione dire  che l’Unione Sovietica, con l’ovvia eccezione dei tre paesi baltici (Lettonia, Estonia e Lituania) che si è sciolta nel 1990-1991 dando vita a diverse piccole repubbliche socialiste, abbia  realtà creato  un’Unione Sovietica di dimensioni minori, entità statali-nazionali che conservano il germe fatale della nascita, il marchio di fabbrica totalitario, repubbliche dove, nella maggior parte dei casi, si è mantenuta una continuità delle classi dirigenti e delle strutture precedenti, il che spiega il loro facile incorrere in derive autoritarie.
E, sempre ad eccezione degli stati baltici, a prendere le redini delle repubbliche ex sovietiche sono stati i rappresentanti delle élite sovietiche, persone del passato: segretari di partito, ministri sovietici, generali del Kgb, persone che sono portatrici di una coscienza autoritaria. Praticamente in nessuna di esse ci sono stati movimenti alternativi e democratici sufficientemente convincenti in grado di plasmare e realizzare un nuovo corso democratico.
Cominciamo dalle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale: Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan. In tutte e quattro vi sono regimi autocratici, diversi per grado di libertà, evidentemente caratterizzati da un dispotismo all’orientale: statue dorate dei regnanti che si improvvisano autori di libri sacri, città ribattezzate in loro onore etc.. .
Guardiamo alle Repubbliche ex sovietiche transcaucasiche: Georgia, Armenia, Azerbaigian. Tardive rivoluzioni liberali avevano già avuto luogo in Georgia e in Armenia nel Ventesimo secolo, ma la tensione generale nella regione e il coinvolgimento nei continui conflitti militari non hanno permesso loro di affrancarsi completamente dall’eredità dell’autoritarismo sovietico.
Arriviamo infine alle repubbliche ex sovietiche europee: Ucraina, Bielorussia, Moldova. In Moldova il conflitto territoriale con la Transnistria non è ancora risolto; l’Ucraina è in uno stato di guerra non dichiarata con la Russia da sette anni e la Bielorussia di Lukašenko, dittatore che un anno fa ha brutalmente represso le pacifiche proteste dei cittadini, sta gradualmente perdendo la sua indipendenza e sta diventando un’appendice politica di Mosca.
Possiamo quindi dire che l’Unione Sovietica esiste e opera ancora: come un insieme di opportunità mancate alla trasformazione democratica, come una persistente eredità della politica comunista del Ventesimo secolo; come la contaminazione radioattiva dei luoghi dopo il disastro della centrale nucleare di Černobyl, che si protrarrà per decenni. Probabilmente, gli imperi hanno il loro periodo di “semideclino”, essi non scompaiono nel momento in cui viene firmato un trattato come quello di Belaveža, continuano a esistere come un complesso di pratiche politiche, peccati non redenti del passato, crimini lasciati impuniti, apatia sociale generalizzata. Ed è perciò necessaria una grande opera di cambiamento per far sparire tutto questo una buona volta e per sempre.
Si dà quasi per scontato che il crollo dell’Urss sia avvenuto senza spargimenti di sangue, a costo della vita di pochi. Se così fosse, il putsch di agosto e il trattato del dicembre 1991 si andrebbero a collocare nel contesto e nella sequenza delle rivoluzioni di velluto dell’Europa orientale, che davvero non hanno causato spargimenti di sangue o, comunque, hanno mietuto poche vittime, come nel caso dei coniugi Ceaușescu.
Purtroppo, non è vero. La politica nazionale del Partito comunista, lunga settant’anni, ha lasciato un’eredità esplosiva.
Basta pensare alle deportazioni di interi popoli sotto la dittatura di Stalin (ceceni, ingusci, tartari di Crimea, carachi e molti altri) e al loro successivo ritorno in una patria distrutta, nelle case occupate e nei santuari devastati: questo generò un’esigenza di giustizia e autonomia che si sarebbe manifestata anni dopo, un salato conto da pagare per Mosca.
Inoltre, quando le autorità sovietiche hanno agilmente ridisegnato i confini storici in funzione del momento, quando hanno creato, abolito, risubordinato entità quasi-politiche come le repubbliche autonome dell’Urss, di rango inferiore rispetto alle repubbliche dell’Unione, non hanno fatto altro che generare future dispute territoriali e speranze di autonomia.


L’Unione Sovietica è stata un’incredibile produttrice di simboli, probabilmente l’unico settore in cui è sempre riuscita a superare gli obiettivi di produzione

Esistevano, inoltre, anche vecchi conflitti nazionali d’epoca pre-sovietica, come quello tra l’Azerbaigian e l’Armenia.
L’Urss ha creato questo campo minato di conflitti in più modi e, grazie al suo potere autoritario, li ha congelati fino alla fase finale della perestrojka, ovvero fino a quando sono cominciati i tumulti nazionali praticamente in ogni repubblica autonoma o dell’Unione.
Il crollo dell’Unione Sovietica ha portato alla luce e ha innescato questi conflitti, che continuano a esplodere con enorme facilità.
Proprio per questo la storia post-sovietica è una storia di guerre, scontri etnici, conquiste territoriali, massacri di civili. La guerra civile in Georgia (1991-1993); la guerra civile in Tagikistan (1992-1993); le guerre in Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian (1992-1994, 2020), il conflitto osseto-inguscio nel 1992 e due guerre in Cecenia (1994-1996, 1999-2009) avvenute direttamente sul territorio della Federazione Russa; le guerre in Abkhazia (1992-1993) e Ossezia del Sud (1991-1992, 2008), e la guerra in Transnistria (1991-1992) sono avvenute con l’ingerenza della Russia; l’annessione armata della Crimea (2014) e l’aggressione russa nell’Ucraina orientale (del 2014 e ancora in corso) sono solo un elenco incompleto dei conflitti armati post-sovietici.
Il loro costo si eleva a centinaia di migliaia di morti, milioni di profughi; città distrutte, rapporti interstatali compromessi per decenni, il dilagare di una violenza che ha creato un circolo vizioso di impunità e che ha complicato ulteriormente già difficile passaggio verso la democrazia.
Per inciso, fin dalla presidenza di Boris Eltsin, la Russia era, per così dire, l’operatore e il beneficiario di molte delle guerre sopra citate; le usava per creare focolai di tensione controllata nelle sue ex repubbliche di recente indipendenza e per influenzare le loro politiche estere e interne.
Oggi tocca all’Unione europea sperimentare questo metodo sulla propria pelle. L’aggressione russa all’Ucraina è in corso a meno di mille chilometri dai confini europei; dalla Crimea ai confini del più vicino stato che fa parte della Nato, la Turchia, ci sono 260 chilometri. Una straordinaria vicinanza sia in senso militare che in senso socio-politico.

Penso sia plausibile dire che la cortina di ferro, come simbolo del conflitto tra occidente e oriente, sta tornando. Solo che ora si trova più a est: il confine tra Russia e Ucraina è un campo di battaglia, ci sono trincee, filo spinato, rapporti dal fronte, vittime nell’esercito ucraino; la Polonia sta rafforzando con manovre d’urgenza il confine con la Bielorussia, impone la chiusura dei posti di blocco alla frontiera, intensifica la fortificazione dei suoi confini e l’aumento di contingenti di polizia.
Il mondo europeo, di per sé già diviso, spaccato dal Covid che ha riattualizzato i confini europei, di cui ci si stava gradualmente dimenticando, si trova nuovamente in una situazione di tensione tra ovest ed est che non è pronto ad affrontare.

In Russia, inoltre, in questo momento si sta verificando un altro attacco, stavolta diretto non nello spazio, ma nel tempo. Lo scorso 28 dicembre la Procura generale della Federazione Russa ha chiesto la chiusura di Memorial, la più antica e di gran lunga più famosa e influente organizzazione in ambito civile in Russia.
Ci sono due Memorial: l’associazione storico-educativa, impegnata a preservare la memoria delle repressioni staliniane e di altri crimini del periodo sovietico e il Memorial Human Rights center, che indaga sulle violazioni dei diritti umani nella Russia di oggi, principalmente quelli commessi durante le due guerre cecene: esecuzioni sommarie, torture, rapimenti, pulizia etnica.
Creata nel 1989, Memorial è diventata il principale simbolo dell’impossibilità di un ritorno del passato repressivo sovietico e la più importante iniziativa civile russa che si prefigge di perpetuare la memoria delle vittime delle repressioni sovietiche. L’esistenza stessa di Memorial è stata percepita da molti come un segnale, la dimostrazione che le pagine della storia sovietica erano chiuse per sempre.

Memorial è diventata il principale simbolo dell’impossibilità di un ritorno del passato repressivo sovietico
Tuttavia, entrambi i Memorial sono stati dichiarati “agenti stranieri” in Russia già da diversi anni (il centro per i diritti umani lo è dal 2013, l’associazione dal 2016).
Questo termine è mutuato dal diritto statunitense, ma nel contesto russo ha una connotazione storicamente repressiva: molte delle vittime del tempo di Stalin venivano fittiziamente accusate di essere “agenti” dei servizi di intelligence stranieri e di forze politiche ostili all’Urss.
La Corte ha dato ragione all'accusa, che sosteneva che Memorial è colpevole di violazione sistematica della normativa sugli “agenti stranieri”, deliberatamente costruita in modo tale da essere persino tecnicamente e praticamente impossibile da adempiere (chi ne è accusato deve apporre la dicitura “agente straniero” su tutti i materiali, testi, lettere e pagine web prodotti), e per la cui assenza vengono inflitte multe gigantesche.
Memorial fu creato negli ultimi anni della perestrojka. La storia della sua creazione ha di per sé un significato sociale e simbolico: mostra le opportunità mancate di quell’epoca.

Leggi anche : In Russia la quarantena (politica) è la norma
La perestrojka e la glasnost svelarono l’esigenza, già da tempo soggiacente alla società sovietica, di far emergere la verità sul passato, di restituire giustizia alle vittime dei crimini sovietici.
Tuttavia, il Partito comunista dell’Urss (Pcus) e il Comitato per la sicurezza dello stato (Komitet gosudarstvennyj bezopasnosti, più noto come Kgb) si opponevano all’emergere di iniziative indipendenti in questo campo, non desideravano che questo processo diventasse incontrollabile, e perciò giocarono d’anticipo, impegnandosi ad arginarne il campo d’azione.
Furono concordi nel riconoscere l’esistenza di un gran numero di vittime, la necessità di rendere pubblici i loro nomi ed erigere monumenti, ma contemporaneamente fecero in modo di mantenere il discorso esclusivamente sui crimini sovietici del periodo stalinista, non sollevarono mai la questione della responsabilità legale degli organizzatori e degli esecutori dei crimini di massa sovietici, premendo loro, essenzialmente, la segretezza degli archivi del Kgb.

Si può fare la supposizione seguente: l’Urss è caduta non semplicemente a causa dell’erosione politica. È crollata sotto il peso eccessivo di un carico simbolico che gravava sulla coscienza individuale e generale

Alla creazione di Memorial, al suo punto cruciale, si aprirono due strade: tra i suoi iniziatori erano confluite anche persone che volevano instaurare una linea radicale e conflittuale, contrarie a collaborare direttamente con le autorità, favorevoli allo scioglimento del Kgb e al libero accesso ai suoi archivi, al perseguimento penale dei responsabili e alla politicizzazione del movimento. Proprio il libero accesso agli archivi, come dimostra la storia di molti paesi post-socialisti, è la chiave per ripristinare lo stato di diritto e attuare quel processo di identificazione ed esclusione dalla politica di chi aveva collaborato con i servizi segreti che prese il nome di ljustracija.

Ma in Russia non poteva che vincere la linea moderata: ci si sarebbe concentrati sugli aspetti commemorativi, sulla “rielaborazione del passato” ma secondo una versione mutilata e limitata, sulla ricerca storica e sull’istruzione, senza impegnarsi in politica. È interessante notare che questa linea non è stata rivista nemmeno dopo il 1991, dopo il crollo dell’Urss, quando si aprirono opportunità sociali e politiche molto maggiori, quando i sondaggi sociologici dimostravano l’esistenza di una significativa disponibilità da parte della società, il desiderio di punire legalmente i colpevoli e di fare i conti con il passato.
L’esempio dell’ex Repubblica Democratica Tedesca (o Germania Est) – dove i dissidenti e non i politici della Germania Ovest divennero la principale forza che si batté per conservare gli archivi della Stasi (il ministero per la sicurezza statale), per vedere compiuto quel processo chiamato ljustracija e per punire penalmente i responsabili delle violazioni dei diritti umani – mostra quanto possano essere imponenti e decisivi gli atti di “elaborazione del passato” se si trasformano in impellenti priorità politiche.
In tre decenni Memorial ha compiuto un colossale lavoro per ristabilire la  memoria delle vittime: le banche dati digitali contenenti più di tre milioni di nominativi sono diventate un fantastico strumento per semplificare le ricerche negli archivi, uno strumento che permette di riavvicinare passato e presente; Memorial, inoltre, ha promosso la celebrazione di cerimonie civili come quella del 30 ottobre, giornata della memoria delle vittime della repressione politica, ad oggi la più importante istituzione culturale che unisce la società civile.
Tuttavia, le principali opportunità di cambiamento che avrebbero potuto far emergere una cultura politica democratica in Russia e favorire l’alternanza al potere, furono mancate tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, quando la società civile di fatto rinunciò a politicizzare e concretizzare legalmente la rielaborazione del passato, come insegnava la Germania Est. Se tale tentativo non fosse stato abbandonato, forse le élite sovietiche e gli organi di sicurezza dello stato non avrebbero ripreso il potere.

Al governo russo oggi serve una visione completamente diversa del passato sovietico: una visione idealizzata, uno strumento di legittimazione del regime di Vladimir Putin
Memorial disturba l’attuale regime autoritario russo non in quanto potenziale protagonista di cambiamenti politici, ma perché al governo russo oggi serve una visione completamente diversa del passato sovietico: una visione idealizzata, uno strumento di legittimazione del regime di Vladimir Putin.
Non è esagerato dire che il passato nella Russia di oggi è una questione politica.
L’eredità simbolica del passato viene strumentalizzata per consolidare la nazione, per creare non una maggioranza politica (non ci sono libere elezioni in Russia), ma una nazione ideologizzata, indottrinata e, in questo senso, apolitica.
Pertanto, torniamo alla frase principale dell’accordo di Belaveža: “L'Unione Sovietica come soggetto del diritto internazionale e della realtà geopolitica ha cessato di esistere”. Questa definizione ammette una terza realtà dell’Urss, non legale o geopolitica, ma simbolica, costituita da oggetti culturali ideologicamente sacralizzati. Una realtà non regolamentata.
L’Unione Sovietica è stata un’incredibile produttrice di simboli, probabilmente l’unico settore in cui è sempre riuscita a superare gli obiettivi di produzione. Monumenti, strutture architettoniche, canzoni, film, libri, cerimonie solenni: l’Unione Sovietica li ha prodotti in massa, creando un orizzonte culturale chiuso, composto di culti che si completavano a vicenda. Il culto della rivoluzione, il culto del socialismo, il culto della vittoria nella Seconda guerra mondiale: la religione sovietica era politeista, composta da molti altari e pantheon di eroi.
Verso la fine degli anni Ottanta tutto questo complesso non venne più nutrito, andava scarnificandosi sempre più, fino a crollare, morente.
Si può anche supporre che l’Urss sia caduta non semplicemente a causa dell’erosione politica. È crollata sotto il peso eccessivo di un carico simbolico che gravava sulla coscienza individuale e generale; l’esperienza viva dei simboli come risorsa psichica si era ormai esaurita e si era trasformata nel suo contrario, in cinismo: gli eroi dei testi un tempo considerati sacri diventavano protagonisti delle barzellette, l’ultima fede nel futuristico progetto socialista era morta nelle lunghe file fuori dai negozi, che negli anni Ottanta erano all’ordine del giorno in ogni città sovietica.

Il passato forniva la spiegazione per tutti i mali e i problemi del presente sovietico, in uno qualsiasi dei suoi presenti; il futuro, invece, era il serbatoio di tutto il bene, che pareva già realizzato, già avvenuto

Adesso, trent’anni dopo, l’apparato simbolico sovietico sta vivendo una seconda nascita, postmoderna.
Sugli scaffali dei negozi russi sono apparsi prodotti pseudosovietici a giudicare dalle confezioni: nostalgia della fantomatica qualità del cibo sovietico. Il culto della “grande guerra patriottica” è diventato la principale giustificazione della politica estera aggressiva e militarista attuale, una fonte di perversa morale pubblica che glorifica il diritto dei forti. Viene nuovamente creato il pantheon degli eroi sovietici, le cui gesta, avvenute nella realtà o inventate dagli agenti della propaganda, dovrebbero sacralizzare il passato, renderlo immutabile e indiscutibile.
Allo stesso tempo, le discussioni storiche sul passato sono criminalizzate, alcuni argomenti, come la Seconda guerra mondiale, stanno gradualmente diventando tabù, dominio commemorativo dello stato.
Perché sta succedendo?
Ci troviamo davanti a un paradosso interessante in cui confluiscono tempo, storia e politica. Il progetto sovietico (nell’ambito di ciascuna delle sue epoche) respingeva il passato e si legittimava attraverso il futuro, attraverso un obiettivo futuristico e profetico: l’edificazione del comunismo. Il passato forniva la spiegazione per tutti i mali e i problemi del presente sovietico, in uno qualsiasi dei suoi presenti; il futuro, invece, era il serbatoio di tutto il bene, che pareva già realizzato, già avvenuto.
Effettivamente, questa legittimazione attraverso il futuro (le cose più importanti è lì che avverranno) durò fino alla fine dell’Urss. Ma la Russia di Putin ha un approccio completamente diverso con il tempo. La Russia di Putin è un progetto conservatore. Del futuro fondamentalmente non si parla con chiarezza, esso non è definito e non è desiderato. Il futuro è un insieme di cose che non dovrebbero venire; porta la corruzione, l’epidemia del liberalismo, il virus dei diritti umani. Il futuro manca totalmente di tratti positivi e non lo si vuole raggiungere, non si vuole vivere nel tempo.
Al contrario, l’era sovietica acquisisce sempre di più le fattezze di un’età dell’oro, di un periodo di grandi vittorie, un periodo in cui l’Unione Sovietica, per così dire, aveva ottime carte da giocare negli equilibri geopolitici; e non è un caso che Vladimir Putin una volta abbia definito il crollo dell’Urss come “la più grande catastrofe geopolitica del Ventesimo secolo”.
In questa logica, qualsiasi repubblica dell’ex Urss che costruisce un discorso storico a parte, che parla di occupazione sovietica, di crimini, che ha condotto o conduce un processo di decomunistizzazione, come l’Ucraina, dove sono stati abbattuti migliaia di monumenti di Lenin, si ritrova inevitabilmente ad essere considerata nemica della Russia.
Ma non si tratta di rispetto per Lenin in quanto tale, ai politici russi non importa niente di Lenin, il punto è un altro: l’aspirazione all’unità dello spazio simbolico, all’assenza di ogni critica storica che rischia di indebolire o minacciare l’impostazione del discorso storico sull’autoritarismo, che è diventato uno strumento politico interno ed esterno. Probabilmente, avremo a che fare ancora per decenni con la post-esistenza dell’Urss, con il lungo crollo dell’impero nelle nostre teste e non solo sulla mappa.

Negli anni Novanta i riformatori dell’economia speravano che bastasse il libero mercato per portare la Russia alla democrazia, per creare una società libera. Invece ne è nata un’economia semifeudale, dove il diritto alla proprietà privata è condizionato e può essere negato in qualsiasi momento a discrezione delle autorità, in cui prima dominavano gli oligarchi, e poi i siloviki, uomini di potere, che hanno privatizzato la risorsa del potere statale. È qui che nasce il loro bisogno di creare la nostalgia politica dell’Urss, il ritorno ai simboli sovietici: essi sono un mezzo per formare una maggioranza filogovernativa e manipolare politicamente gli stati vicini.
Inoltre, la storia del crollo dell’Urss mostra che tali cambiamenti, di per sé, nonostante la loro gigantesca portata, non garantiscono un cambiamento del corso politico. Quello che serve è un complesso di misure per “una giustizia di transizione” che, trent’anni fa, la società civile russa non ha avuto il coraggio di intraprendere.
E chiedersi se l’avrà il futuro rimane una domanda aperta, poiché in Russia la lezione del 1991 non è ancora stata appresa.
Articolo originariamente pubblicato su Weekendavisen.

Da - https://voxeurop.eu/it/urss-russia-lunione-sovietica-non-e-mai-crollata/


Titolo: Non essendo e non fingendo di essere un'esperta, offro una mia personalissima pr
Inserito da: Admin - Marzo 10, 2022, 11:35:09 pm
Post della sezione Notizie

Veronica Liga  senza speranza.
 
Non essendo e non fingendo di essere un'esperta, offro una mia personalissima previsione. La guerra lampo in cui sperava il Voi-sapete-chi, annebbiato dal senso d'onnipotenza - probabilmente basandosi sui rapporti mendaci sulle condizioni dell'esercito e sugli umori degli ucraini... La guerra lampo è fallita. L'esercito russo non è in quelle splendide condizioni, tanti investimenti sono stati intascati per strada. Investimenti nell'esercito - e nei mercenari mandati in Ucraina per fomentare i conflitti interni. Muoiono migliaia di soldati russi, il numero esatto è incognito anche perché vengono bruciati nei crematori mobili mentre le madri li aspettano. Molte forze militari sono impiegate nell'oppressione delle proteste. Invece gli ucraini non accolgono "i nostri" con i fiori, come si aspettava. Non li vedono come "liberatori". Li vedono come invasori, come fascisti. Li maledicono, li odiano. Quelli che, comodamente seduti davanti al PC, ragionano sulla necessità di pace a ogni costo e accusato Zelenskij di indurre il proprio popolo a un suicidio... evidentemente non conoscono nessun ucraino. Quelli sono inferociti e decisi di combattere fino all'ultima goccia di sangue. Io leggo i post dei conoscenti ucraini e... sto male. Perché l'odio fa male. Perché, pur non sentendomi tanto legata alla Russia (ho sempre detto che sento più legame con la mia città, molto diversa dal resto del paese), sto male leggendo le maledizioni contro la nazione alla quale dopotutto appartengo de facto e de iure.
E io dico che l'odio crescerà come una palla di neve.
I più intelligenti capiranno che la Russia non è uguale Putin. Ma la maggioranza sarà travolta da questa onda dell'odio. Un odio da sempre attirato su di sé dagli stati invasori. Un odio irrazionale eppure perfettamente prevedibile, perfettamente in linea con le dinamiche sociali.
E poi quei pochi che, come me, riflettono su queste dinamiche, diranno che paradossalmente è normale e che la colpa è della guerra e di chi l'ha voluta. Ma la maggioranza guarderà il dito e non la Luna. Il dito immerso poi nella propaganda xenofoba che in Russia ho notato da anni su tutti i livelli, proposta quotidianamente in una maniera capillare.
La maggioranza dirà: "Il mondo ci odia perché il mondo è cattivo". E per reazione odierà tutto il mondo.
Intanto la guerra andrà avanti per altri mesi se non anni. Se pure riuscissero a "conquistare" l'Ucraina, il fuoco non cesserà, continueranno con la resistenza, con gli atti terroristici, probabilmente sul territorio russo per vendetta.
Intanto il paese diventerà sempre più povero, tagliato fuori dal mercato mondiale. Ma daranno colpa alle sanzioni, agli occidentali cattivi. E l'odio crescerà.
Crescerà da entrambi i lati, in proporzione geometrica. Sarà alimentata l'immagine del nemico come già era successo nel passato, per 70 anni. Avete presente le macchiette tipo Ivan Drago? Succederà da entrambi i lati.
E durerà. La Germania fu odiata da tutti ma si è ripresa relativamente presto. Sia perché hanno preso le distanze dal nazismo - mentre la Russia non prenderà le distanze: tanti protestano ma chi sostiene resta sempre la maggioranza. Sia perché aveva da offrire al mondo qualcosa come BMW, Adidas, Bosch, Siemens. La Russia di oggi cosa ha da offrire? A parte gli scrittori e i compositori dell’Ottocento...
L'ho scritto la mattina del 24 febbraio: "Ci siamo sputtanati e maledetti per secoli". E per ora vedo che avevo ragione.
Non voglio avere ragione. Spero di non avere ragione.

P.S. E non riuscirò più a frequentare almeno una metà delle persone che frequentavo prima. Perché in alcuni casi non si tratta solo di "un'opinione diversa da rispettare".

Da fb del 10 marzo 2022


Titolo: L’allineamento al regime di Putin della Higher School of Economics – ateneo ...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 09, 2022, 12:55:42 pm
La Russia senza fortochki

MARIA CHIARA FRANCESCHELLI

L’allineamento al regime di Putin della Higher School of Economics – ateneo simbolo della transizione post-sovietica, un tempo aperto alle posizioni di dissenso – è una cartina di tornasole del picco di repressione istituzionale nei confronti della società civile che la Russia sta attraversando in queste settimane.

Nel passaggio a un’economia di mercato, nel 1991, la Russia si trovò completamente sprovvista di categorie analitiche adatte a pianificare il futuro socioeconomico del Paese. Nel periodo immediatamente postrivoluzionario, gli studi economici furono orientati alla pianificazione della Nuova politica economica e la sociologia fu accantonata con disprezzo dal potere sovietico. Alla ricerca sociologica fu sostituito un rigido inquadramento degli insegnamenti, della produzione teorica e, più in generale, del dibattito filosofico-politico entro le categorie marxiste-leniniste. Fu lo stesso Lenin, infatti, a inaugurare la stagione del disprezzo per la sociologia, in quanto proprio i suoi confini sfumati e ondivaghi, volti al proprio superamento e in costante tensione dialettica con le proprie istanze, non la rendevano uno strumento efficace alla costruzione dell’“uomo nuovo” sovietico. Questo approccio prettamente strumentale alle scienze sociali, che escludeva la possibilità di portare avanti una ricerca il cui fine non fosse quello di riaffermare l’ideologia del regime, si conservò lungo tutto il periodo sovietico, pur assumendo talvolta sembianze diverse.

Non mancò, certo, ciò che Masha Gessen paragonò alle fortochki nella sua opera di non-fiction “Il futuro è storia” (Sellerio 2020). Le fortochki erano un marchingegno sviluppato dall’architettura russa. Per consentire di mantenere temperature confortevoli durante il rigido inverno russo, le finestre delle case rimanevano costantemente sigillate. Senza un ricambio di ossigeno adeguato, l’aria delle abitazioni sarebbe ben presto diventata irrespirabile e claustrofobica. La fortochka, una finestrella nella parte superiore della finestra, ricavata all’interno di una lastra più grande, consentiva di mantenere un ricircolo adeguato senza far entrare troppo freddo. A filtrare un po’ di ossigeno nell’aria stagnante degli studi sociali sovietici erano personaggi del calibro di Jurij Levada, poi caduto in disgrazia, Tat’jana Zaslavskaja e Lev Gudkov, che oggi dirige il centro di ricerca sociale intitolato proprio a Levada.

Tuttavia, l’ossigeno apportato da questi personaggi non era certo sufficiente a sostenere la completa riprogrammazione economico-sociale del Paese degli anni Novanta. Egor Gajdar, tra i comandanti in capo della transizione a un’economia di mercato della presidenza El’cin, riconobbe immediatamente la falla strategica nella drammatica arretratezza delle scienze sociali nel contesto delle molte università russe, isolate, peraltro, dalle scolarship internazionali. Grazie a fondi europei e a contributi della Soros Foundation e del governo francese, il 27 novembre 1992 Egor Gajdar firmò il decreto governativo con cui venne fondata la Higher School of Economics. Inizialmente pensata come un think tank, l’ateneo raccolse attorno a sé un gruppo di economisti e sociologi di orientamento liberale che cominciarono ben presto a intrattenere intensi scambi con studiosi occidentali, in particolare olandesi e francesi. La Higher School of Economics fu il primo ateneo russo a entrare nel Bologna Process, nel 1993, e…



NOURY: “LE BATTAGLIE PER REGENI, ZAKI E ASSANGE E IL NOSTRO FUTURO”
La nona intervista del ciclo “La politica che (non) c’è” è a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International. Al centro, l’attivismo, le mobilitazioni della società civile, la crisi della rappresentanza e la voglia di partecipazione dei giovani, a partire dalla questione ambientale.

Aprile 7, 2022
L’ESERCITO, LE MINORANZE E IL SEPARATISMO IN RUSSIA: ASPETTI POLITICO-RELIGIOSI. IL CASO CECENO
La frustrazione delle minoranze russe (ceceni, daghestani, ecc.) per le condizioni di inferiorità e sfruttamento in cui versano – alto è il tributo di vittime che stanno pagando nella guerra in Ucraina – potrebbe indurle a riaprire il fronte interno del separatismo.

Aprile 7, 2022
I TESORI PERDUTI DELL’AFGHANISTAN
Dai famosi Buddha di Bamiyan distrutti dai talebani al prezioso sito archeologico di Ai Khanum. Dalle rovine del centro monastico di Hadda alla Pompei orientale di Mes Aynak. Tra incuria, conflitti armati, saccheggi e ondate iconoclaste, l’incredibile e dolorosa storia moderna dell’archeologia afghana.

Aprile 7, 2022
Oggi più che mai MicroMega ha bisogno di te
MicroMega rinasce libera e indipendente. In un panorama di democrazia pluralistica, che va pericolosamente restringendosi, la tua partecipazione e il tuo sostegno saranno fondamentali per il futuro stesso della rivista. Grazie al tuo contributo potremo proseguire nel nostro impegno.

Da - https://micromegaedizioni.net/2022/04/07/russia-senza-fortochki/


Titolo: Il Cremlino: la stragrande maggioranza dei russi a favore dell'intervento
Inserito da: Arlecchino - Aprile 20, 2022, 11:31:16 pm
11:58
Il Cremlino: la stragrande maggioranza dei russi a favore dell'intervento

"La stragrande maggioranza dei cittadini russi, oltre il 75%, e questo è dimostrato da statistiche e sondaggi, sostiene l'operazione speciale in Ucraina, sostiene il presidente della Federazione russa". Lo ha assicurato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, sottolineando che si tratta di "un fatto inconfutabile".

    Peskov ha auspicato che la "minoranza" dei russi che non è d'accordo "capisca cosa sta succedendo". "E' molto importante che coloro che non sono d'accordo inizino a orientarsi nei flussi di bugie che provengono dall'Occidente su ciò che sta accadendo e capiscano che non tutto quello che viene pubblicato come notizia è la verità".

Da - https://www.agi.it/estero/news/2022-03-21/diretta-guerra-ucraina-russia-zelensky-16083649/#tr_16088849


Titolo: La Russia di Vladimir Putin è tornata ieri a minacciare implicitamente un ...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 26, 2022, 11:44:25 am
Nonostante la vittoria di Emmanuel Macron su Marine Le Pen domenica, l'Unione europea si prepara ad altri due mesi di batticuore in vista di quello che in Francia chiamano “il terzo turno delle presidenziali”. I francesi torneranno alle urne il 12 e 19 giugno per eleggere la nuova Assemblea nazionale. Il terzo turno delle presidenziali sono i due turni delle elezioni legislative. Con la nuova configurazione emersa dal voto presidenziale, con tre poli costituiti dal centro, dall'estrema destra e dall'estrema sinistra, la paura è che Macron si ritrovi costretto alla coabitazione con un governo antisistema o con un'Assemblea senza maggioranza. “La coabitazione sarebbe un problema per l'approvazione di alcune misure faro della legislatura europea”, ci ha detto ieri una fonte dell'Ue. La Francia si troverebbe rappresentata da Macron al Consiglio europeo e da ministri di tendenze completamente diverse al Consiglio dell'Ue, che deve approvare le singole misure legislative. “Il pericolo è la paralisi”, ci ha spiegato la nostra fonte. Un esempio: è difficile immaginare che un governo guidato da Marine Le Pen o Jean-Luc Mélenchon accetti di dare il via libera a un accordo di libero scambio concluso dall'Ue. Ma il pericolo appare fortemente esagerato.

Il primo sondaggio sul terzo “turno delle presidenziali” è stato realizzato da Harris Interactive per Challenges. Al primo turno delle legislative, La République En Marche di Macron dovrebbe ottenere il 24 per cento, davanti al Rassemblement National di Le Pen con il 23 per cento e la France Insoumise di Mélenchon con il 19 per cento. Più indietro arrivano i gollisti dei Républicains con (8 per cento), i Verdi (8 per cento), la Reconquete di Eric Zemmour (7 per cento) e il Partito socialista (3 per cento). Il risultato in termini di seggi potrebbe sembrare sorprendente alla luce del primo turno delle presidenziali, ma non per chi conosce le meccaniche elettorali in Francia. Ci sono due scenari. Nel primo, senza alleanze tra i vari partiti dei tre poli, La République En Marche otterrebbe tra i 328 e i 368 seggi. Il Rassemblement National si fermerebbe a 75-105 seggi. I Républicains avrebbero 35-65 seggi. La France Insoumise strapperebbe solo 25-45 seggi, poco più del Partito socialista con 20-40 seggi. Nel secondo scenario, con alleanze compatte attorno ai tre poli, i centristi di Macron (con i gollisti) otterrebbero tra i 326 e i 366 seggi. Il polo di estrema destra attorno a Le Pen (con Zemmour) avrebbe 117-147 seggi. Il polo di estrema sinistra di Mélenchon (con i socialisti e i Verdi) si fermerebbe a 73-93 seggi. Sul Foglio Mauro Zanon racconta come alle legislative destra e sinistra radicali vogliono la rivincita contro Macron. Ma, in entrambi gli scenari, Macron avrebbe la maggioranza assoluta all'Assemblea nazionale.

Due mesi sono lunghi e tutto può cambiare. Ma anche a livello europeo i timori di Macron con le mani legate da una coabitazione potrebbero essere esagerati. Il presidente siede comunque al Consiglio europeo e ha libertà di scegliersi il primo ministro e il ministro degli Esteri. La politica estera e i grandi orientamenti sull'Ue rimarrebbero di prerogativa di Macron. Sul Foglio spieghiamo che la rielezione di Macron apre le porte a un nuovo periodo di ristrutturazione dell'Ue. Ci sono i cantieri già aperti su impulso del presidente francese. Anche i più scettici si sono convinti della necessità dell'autonomia strategica. Ci sono nuovi cantieri da aprire, compresa l'ipotesi di una riforma dei trattati sull'onda della Conferenza sul futuro dell'Europa. In campagna elettorale, Macron non ha delineato le sue intenzioni europee. Le nuove proposte di Macron sull'Ue potrebbero arrivare il 9 maggio, festa dell'Europa e giorno di chiusura della Conferenza sul futuro dell'Europa. Il momento è doppiamente simbolico, e probabilmente dunque anche i contenuti. Quel giorno Vladimir Putin farà sfilare i carri-armati per le strade di Mosca per celebrare la Giornata della Vittoria in piena guerra contro l'Ucraina.

Nel frattempo in Francia si discute molto di come sarà il secondo mandato di Macron sul piano nazionale. Sul Foglio Paola Peduzzi spiega come il presidente ambisca al monopolio dei cuori percorrendo la strada dei dibattiti per ricucire una Francia a pezzetti. Sempre sul Foglio Marina Valensise ha interrogato Nicolas Baverez: il politologo spiega che per federare le anime diverse dei francesi e colmare le fratture della società serve meno Jupiter e più proximité. Fuori dai confini francesi e dell'Ue, il premier britannico, Boris Johnson, ieri ha lasciato intendere di volere un reset delle relazioni con Macron. "Condividiamo una prospettiva comune, molto simile, e l'unità dell'Occidente, l'unità della Nato, è assolutamente vitale per la posizione che abbiamo preso contro Putin. E questo ora continuerà", ha detto Johnson. Ma non sarà una nuova intesa cordiale. "La nostra prima sfida non è la relazione tra il Regno Unito e la Francia", ha già detto il ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire.


Sono David Carretta e questa è Europa Ore 7 di martedì 26 aprile, realizzato con Paola Peduzzi e Micol Flammini, grazie a una partnership con il Parlamento europeo.


La Commissione aspetta il nuovo governo in Slovenia prima di congratularsi - Contrariamente a quanto accaduto per Emmanuel Macron, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, non ha inviato un messaggio di congratulazioni al vincitore delle elezioni in Slovenia. Robert Golob, con il suo neonato Movimento per la libertà, è riuscito a cacciare il premier nazionalista, Janez Jansa, liberando l'Ue di un orbaniano. Una fonte ci ha spiegato che la Commissione intende aspettare la formazione del nuovo governo sloveno prima di congratularsi. Così vuole la prassi. Il caso francese è diverso perché l'elezione del capo dello stato avviene per suffragio universale diretto e non c'è bisogno di un voto di fiducia in Parlamento.
 
Per Lavrov il pericolo di un conflitto nucleare è "reale" - La Russia di Vladimir Putin è tornata ieri a minacciare implicitamente un conflitto nucleare con l'occidente per il suo sostegno all'Ucraina, come sempre a modo suo, attribuendo ad altri la responsabilità. "Non voglio alzare questi rischi artificialmente. Molti lo vorrebbero", ha detto il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, in un'intervista televisiva, secondo la trascrizione fornita dal suo ministero. "Il pericolo è serio, reale. E non dobbiamo sottovalutarlo", ha detto Lavrov, aggiungendo che la Russia vuole ridurre i rischi di conflitto nucleare. Sul Foglio Cecilia Sala spiega che nel Donbas l'offensiva della Russia va a rilento, in una ripetizione degli errori della prima fase della guerra di Putin.
 
Esplosioni in Transnistria - Alcune esplosioni hanno colpito ieri la sede dei servizi di sicurezza della Transnistria, due giorni dopo che la Russia ha parlato della possibilità di un intervento in questa regione separatista della Moldova denunciando l'oppressione dei russofoni. La Transnistria è controllata da separatisti pro-russi e ospita basi e depsoiti di armi russe al confine occidentale dell'Ucraina. Sul Foglio Micol Flammini spiega i rischi di trascinare anche la Moldova nella guerra contro l'Ucraina.
 
La candidatura di Finlandia e Svezia alla Nato a metà maggio - La guerra della Russia contro l'Ucraina sta spingendo Finlandia e Svezia a correre sempre più veloce per proteggersi sotto l'ombrello di sicurezza della Nato. Secondo il quotidiano finlandese Iltalehti, i governi di Finlandia e Svezia potrebbero presentare la loro domanda di adesione alla Nato a partire dal 16 di maggio per poter ottenere il via libera al vertice dell'Alleanza atlantica di giugno. Nel frattempo, secondo il giornale svedese Aftonbladet, la Svezia avrebbe ottenuto da Stati Uniti e Regno Unito garanzie di sicurezza nel lasso di tempo che interverrà tra la domanda di adesione e l'ingresso effettivo nella Nato.

La leader della Spd chiede a Schröder di dimettersi dal partito - La leader della Spd in Germania, Saskia Esken, ha chiesto all'ex cancelliere Gerhard Schröder di lasciare il partito, dopo che in un'intervista al New York Times l'ex cancelliere ha confermato di non avere l'intenzione di dimettersi dalla presidenza di Rosneft e Nord Stream. Dimettersi da questi incarichi "sarebbe stato necessario per salvare la sua reputazione di ex cancelliere", ha detto Esken alla Deutschlandradio: "Purtroppo non ha seguito questo consiglio". A Esken è stato chiesto se Schröder debba rinunciare alla sua iscrizione alla Spd. "Dovrebbe", è stata la risposta. Secondo Esken, "Schröder ha agito per diversi anni come uomo d'affari e dobbiamo smettere di considerarlo come un vecchio statista, un ex cancelliere. Ha guadagnato soldi con il lavoro per le imprese di stato russe e la sua difesa di Vladimir Putin dall'accusa di crimini di guerra è assolutamente assurda", ha spiegato Esken, che condivide la leadership della Spd con Lars Klingbeil. In un editoriale Il Foglio spiega che la Spd si è finalmente svegliata su Schröder, ma dovrebbe svegliarsi anche su Olaf Scholz.

Un nuovo mandato a Eurojust per i crimini di guerra - La Commissione ieri ha proposto di modificare il regolamento Eurojust per dare all'agenzia la possibilità di raccogliere, conservare e condividere prove di crimini di guerra. La proposta arriva nel contesto della guerra della Russia contro l'Ucraina. Secondo la Commissione, a causa del conflitto, è difficile stoccare e conservare le prove in sicurezza in Ucraina ed è dunque meglio portarle fuori dal paese per permettere di sostenere le inchieste e i procedimenti delle autorità giudiziarie europee e internazionali contro i responsabili di crimini di guerra. “Dobbiamo rafforzare Eurojust affinché disponga degli strumenti necessari per far fronte all'ampiezza delle atrocità commesse in Ucraina”, ha detto la vicepresidente della Commissione, Vera Jourová. Il mandato di Eurojust sarà modificato anche per permettere all'agenzia di cooperare direttamente con la Corte penale internazionale.

Von der Leyen corteggia l'India con la carta rivalità con la Cina - L'esito della guerra della Russia contro l'Ucraina “non determinerà solo il futuro dell'Europa, ma avrà un impatto profondo anche sulla regione Indo-Pacifico”, ha detto ieri la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, in una visita a Nuova Delhi per rafforzare i legami tra l'Ue e l'India. Nei suoi incontri con il premier Narendra Modi e in un discorso pubblico, von der Leyen ha giocato la carta della rivalità con la Cina per cercare di allontanare l'India dalla Russia. “La Russia e la Cina hanno forgiato un patto senza restrizioni”, ha spiegato von der Leyen: “Hanno dichiarato che la loro amicizia è senza limiti (…)”. Ue e India “sono le due più grandi democrazie al mondo” e “dobbiamo tutti scegliere se vogliamo che una Terra Nova sia un luogo selvaggio, pericoloso e invivibile o una casa migliore per tutta l'umanità. Sono convinta che le democrazie avranno un ruolo cruciale da svolgere nella definizione del mondo di domani”, ha detto von der Leyen nel suo discorso al Raisina Dialogue.

Von der Leyen offre a Modi un Consiglio commercio e tecnologia - Nel loro incontro di ieri von der Leyen e Modi hanno annunciato un accordo per lanciare un Consiglio Ue-India per il commercio e la tecnologia. Fatto simbolico: “Questo è il secondo Consiglio commercio e tecnologia dopo quello con gli Stati Uniti”, ha spiegato la portavoce della Commissione: “Questo dimostra l'importanza che diamo alla relazione con l'India”. Questo meccanismo di coordinamento strategico dovrebbe consentire a entrambi i partner di discutere le sfide legate al commercio, alle nuove tecnologie e alla sicurezza sicurezza, rafforzando in tal modo la cooperazione in questi settori. Secondo il comunicato della Commissione, von der Leyen e Modi hanno “riconosciuto come il rapido evolversi del contesto geopolitico evidenzi la necessità di un impegno strategico congiunto e approfondito” tra Ue e India: “L'istituzione del Consiglio Ue-India per il commercio e la tecnologia è un passo fondamentale nella direzione di un partenariato strategico rafforzato”. Il portavoce della Commissione, tuttavia, non ha precisato quando e come verrà lanciato il nuovo Consiglio Ue-India.

Il Twitter di Musk alla prova del Dsa - Elon Musk da ieri sera è il nuovo e unico proprietario di Twitter, dopo che il consiglio di amministrazione del social network ha accettato un'offerta da 44 miliardi di dollari. Musk ha subito twittato il suo programma: "La libertà di parola è il fondamento di una democrazia funzionante, e Twitter è la piazza digitale dove questioni vitali per il futuro dell'umanità sono dibattute". Musk vuole migliorare Twitter con nuove funzioni, rendere gli algoritmi open source per aumentare la fiducia, sconfiggere i bot che spammano e autenticare tutti gli utenti umani. "Twitter ha un potenziale tremendo", ha detto Musk. Ma sulle due sponde dell'Atlantico c'è preoccupazione che la libertà di parola versione Musk si trasformi in libertà di disinformazione, propaganda e odio. La trasformazione di Twitter con Musk potrebbe rivelarsi il primo banco di prova del Digital Services Act (Dsa), su cui Parlamento europeo e governi hanno appena trovato un'intesa. "Ci sono cose interessanti in quello che Musk vuole fare per Twitter, ma ricordiamo che il Dsa - e dunque l'obbligo di lottare contro la disinformazione, l'odio online, eccetera - si applicherà a prescindere dall'ideologia del suo proprietario", ha detto il segretario di stato francese per la Transizione digitale, Cédric O.

La Commissione approva 2 miliardi di aiuti di stato per la 5G in Italia - La Commissione ieri ha approvato un regime da 2 miliardi di euro di aiuti di stato che l'Italia ha messo a disposizione attraverso il piano nazionale per la ripresa e la resilienza per la diffusione di reti mobili 5G ad alte prestazioni. Grazie a questi aiuti “i consumatori e le imprese potranno accedere a servizi 5G di alta qualità, contribuendo alla crescita economica del paese e agli obiettivi strategici dell'Ue relativi alla transizione digitale”, ha detto la vicepresidente della Commissione, Margrethe Vestager. Gli aiuti, validi fino al 2026, assumeranno la forma di sovvenzioni dirette a favore dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica per finanziare la realizzazione di reti di backhaul e delle stazioni di base necessarie alla fornitura di servizi mobili 5G.

Veicoli a motore e giocattoli in cima alla lista dei prodotti pericolosi - Il commissario alla Giustizia, Didier Reynders, ieri ha presentato la relazione annuale sul Safety Gate, il sistema di allarme rapido dell'Ue per i prodotti non alimentari pericolosi. In base alle segnalazioni notificate nel 2021, per la prima volta le automobili figurano in cima all'elenco dei prodotti pericolosi, seguite dai giocattoli e dagli apparecchi e dispositivi elettronici. Lo scorso anno, le segnalazioni nel sistema Safety Gate sono state 2.142. Per i veicoli a motore si è fatto prevalentemente ricorso al richiamo del prodotto a causa di problemi tecnici, mentre per i giocattoli ci si è incentrati sulla presenza di sostanze chimiche pericolose e di pile a pastiglia. I problemi più comuni segnalati per gli apparecchi e dispositivi elettrici riguardavano parti in tensione esposte e surriscaldamento. Inoltre, secondo la Commissione, nel contesto della pandemia di Covid-19, i dispositivi di protezione come le mascherine rappresentano ancora una parte considerevole dei prodotti pericolosi. In questo contesto, e dato il ruolo che giocano le piattaforme nelle vendite online, la Commissione  anche annunciato un nuovo strumento di vigilanza elettronica chiamato "web crawler" che aiuterà le autorità nazionali a intercettare le offerte online dei prodotti non sicuri segnalati nel Safety Gate.

La produzione nel settore delle costruzioni in crescita in febbraio - Da gennaio a febbraio la produzione nel settore delle costruzioni è cresciuta del 1,9 per cento nell'area euro e dell'1,1 per cento nell'Ue a 27, secondo i dati pubblicati ieri da Eurostat. Tra gli stati membri, gli aumenti maggiori sono stati registrati in Ungheria (+13,3 per cento), Slovenia (+8,4 per cento) e Austria (+5,3 per cento). L'Italia ha segnato un aumento del 3,9 per cento. Per contro la produzione nel settore delle costruzioni è scesa in Svezia (-11,4 per cento), Polonia (-6,0 per cento) e Germania (-0,7 per cento).


Da - https://mailchi.mp/ilfoglio/ue-terzo-turno-francia?e=fbfc868b87


Titolo: La Russia guarda a Cina e Africa per cercare nuovi partner contro le sanzioni
Inserito da: Admin - Aprile 28, 2022, 11:00:27 am
La Russia guarda a Cina e Africa per cercare nuovi partner contro le sanzioni
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Arlecchino Euristico
10:11 (47 minuti fa)
a me

Mosca sta cercando alleati per attenuare l'impatto delle sanzioni economiche imposte da Usa e Ue, in risposta alla guerra in Ucraina e prova a fare leva su chi condivide una posizione di conflittualità con Washington -

https://www.agi.it/estero/news/2022-04-28/russia-cina-africa-ricerca-nuovi-partner-contro-sanzioni-16531268/

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Titolo: Il Cremlino: la stragrande maggioranza dei russi a favore dell'intervento
Inserito da: Arlecchino - Maggio 05, 2022, 10:48:47 pm
Il Cremlino: la stragrande maggioranza dei russi a favore dell'intervento

"La stragrande maggioranza dei cittadini russi, oltre il 75%, e questo è dimostrato da statistiche e sondaggi, sostiene l'operazione speciale in Ucraina, sostiene il presidente della Federazione russa".
Lo ha assicurato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, sottolineando che si tratta di "un fatto inconfutabile".

Peskov ha auspicato che la "minoranza" dei russi che non è d'accordo "capisca cosa sta succedendo". "E' molto importante che coloro che non sono d'accordo inizino a orientarsi nei flussi di bugie che provengono dall'Occidente su ciò che sta accadendo e capiscano che non tutto quello che viene pubblicato come notizia è la verità".

Da - https://www.agi.it/estero/news/2022-03-21/diretta-guerra-ucraina-russia-zelensky-16083649/#tr_16088849


Titolo: La Federazione Russa, contro di noi Occidentali, Europei e Italiani.
Inserito da: Admin - Giugno 04, 2022, 12:05:43 pm
Gianni Gavioli ha condiviso un link.
Amministratore
Esperto del gruppo
  · dotoreSsnpa676t8til3l31u09ff9lala08h1t3 75  ·

Putin è umano, almeno nella precarietà della Salute, ma l'invasione e i massacri in Ucraina, sono il frutto della volontà guerrafondaia della Confederazione Russa, nel suo insieme, ma anche dell'odio antioccidentale che abbiamo accumulato in oriente, nel tempo.
Quindi la bramosia di un uomo, ne ha solo colto il Pretesto facendone motivazione nella sua ben studiata strategia Malefica.

Molto altro c'è da conoscere e valutare se, come normali cittadini del mondo, vogliamo capire dove ci hanno condotto i Potenti occidentali che da sempre, nel dopoguerra, hanno pensato ad altro che capire cosa stessero alimentando contro di noi.

Grave mancanza di visione sul futuro e immorale cinismo comportamentale.
Oggi ne pagheremo il conto, tutti.
ggiannig
DA FB del 2 maggio 2022


Titolo: Catherine André fino a che punto i cittadini russi sono complici dei loro leader
Inserito da: Admin - Giugno 16, 2022, 05:57:54 pm
24 Marzo 2022

 Catherine André
fino a che punto i cittadini russi sono complici dei loro leader nell'invasione dell'Ucraina e nella violenza scatenata dall'esercito di Vladimir Putin? Qualche settimana fa, lo scrittore Sergej Lebedev ha parlato di "indifferenza" e persino di "disincanto" dei russi nei confronti delle autorità; le poche migliaia di coraggiosi che hanno sfidato la repressione e dimostrato la loro ostilità all'"operazione militare speciale" non hanno cambiato radicalmente la situazione. Per lo storico Nikolaj Koposov, i russi sono stati semplicemente privati per decenni della capacità di prendere liberamente decisioni che li riguardano collettivamente – questo naturalmente non giustifica il sostegno mostrato da molti di loro per questa guerra.
 
L'invasione dell'Ucraina ha influenzato anche lo svolgimento della Conferenza sul futuro dell'Europa, la cui ultima assemblea dei cittadini si è svolta a Dublino, come riferisce la giornalista Emanuela Barbiroglio.
 
Infine, cominciamo una collaborazione con un gruppo di coraggiose studentesse di Lviv (Leopoli), che scrivono per noi un diario da questa città nell’ovest dell’Ucraina, che sembrava essere stata relativamente risparmiata dagli attacchi russi.
 
Buona lettura e alla prossima settimana!

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In questo momento è fondamentale che i giornalisti possano continuare a fare il loro lavoro in Ucraina. Puoi sostenerli con una donazione alle diverse iniziative che si sono create negli ultimi giorni. Ne abbiamo selezionate Tre:
 Keep Ukraine’s media going
Support for journalists in Ukraine
Safety fund for journalists in Ukraine

Da - https://3s845.r.ag.d.sendibm3.com/mk/mr/cr6qcVBE6tr1uPvnJJ3YrxABLc4Es5CW6uAAH7k4lShXHfbCmVv4uB0Zoj7GgaGZIWtCsoYiaDPcHfB7nr2dQxFuoeh3T03QXsS6hRZbI9-SvTEDv3vb-G-OgcZRLFGRwW8iGZ4Z7-N_


Titolo: Massimiliano Bondanini LUMI Piccole idee per schiarire il mondo intorno a noi.
Inserito da: Admin - Giugno 20, 2022, 11:36:33 am
Massimiliano Bondanini
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Michele Lebotti
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LUMI
Piccole idee per schiarire il mondo intorno a noi.

La solitudine dello Zar.
Ma chi è veramente Vladimir Putin e quali sono gli scenari che verosimilmente ci (e lo) attendono?
“Se conosci il nemico e conosci te stesso, in cento guerre da combattere non sarai mai vinto”. Così scriveva Sun Tzu, nel celeberrimo: “L’Arte della Guerra”, più di 2500 anni fa, attualissimo.
E allora cerchiamo di capire chi è il nemico pubblico numero uno dei nostri giorni. Anzi, partiamo da quello che sicuramente NON è.
Non è un pazzo furioso, non è un ideologo, non è Hitler, non ha scritto nessun Mein Kampf.
Niente di più lontano.
Estrazione, qui da noi diremmo piccolo borghese, madre operaia, padre funzionario (di polizia). Cresce, studia, si laurea (in legge-diritto internazionale-praticamente un collega..) e fa l’accademia militare a San Pietroburgo. Giovane promettente viene assunto nell’ azienda più florida, efficiente e ricca dell’Unione Sovietica: il KGB. E viene spedito nella filiale più importante, il posto più caldo in una guerra freddissima: la DDR. È li che impara, alla perfezione, il tedesco. Il ragazzo fa strada, mantiene tutte le promesse (quella di mantenere le promesse è una sua ossessione..) e viene notato da Boris Eltsin. Notato e apprezzato. Talmente tanto che non solo è inserito nella lunga lista dei candidati alla sua successione, ma viene addirittura scelto. Una svolta nella Storia.
Putin eredita un paese allo sbando, una guerra sanguinosa e irrisolta, un secondo default finanziario, un esercito impegnato a vendersi il proprio arsenale, un’aspettativa di vita media, che è per i maschi, di 56 anni. La Russia è un paria dello scenario internazionale. Ma VP salva il paese prendendolo per i capelli e ricompone, pazientemente, il puzzle andato in pezzi. Risolve la guerra in Cecenia affidandosi soprattutto a Ramzan Kadirov (le cui famigerate squadracce ritroveremo poi in ogni conflitto successivo e purtroppo anche in questi giorni a Kiev) a cui affida ogni lavoro sporco e naturalmente le chiavi (e la presidenza) della piccola repubblica caucasica. Ricostruisce e ammoderna pezzo per pezzo l’esercito, la marina e l’aviazione. Di nuovo secondi a nessuno, lo si è visto in Siria. Inventa con Shoigu e Gerasimov le brigate Wagner che fanno il bello e il cattivo tempo in Africa e in Medio Oriente.
In campo diplomatico si affida a due Principi della diplomazia, cresciuti a pane e trattati, Primakov e Lavrov. Fa riflettere che probabilmente, l’ultimo ministro degli Esteri con cui avrà parlato Sergey Lavrov è un ex venditore di bibite italiano diventato poi ministro, una sorta di nemesi, gli scherzi della storia.
Calcolatore, cinico, opportunista, a VP non interessano i mezzi, interessano i fini. Sul fronte interno manda in galera, nel migliore dei casi, chi gli si oppone.
Lascia spazio ad un’economia di mercato che consente il formarsi, soprattutto a Mosca e nelle principali città, di una classe media. Lascia crescere anche gli oligarchi. Purché non rompano. E loro, a cui non piace il polonio come dolcificante, naturalmente, si adeguano.
Usa il petrolio e il gas non solo come volano economico ma anche come arma di ricatto per le assetate economie occidentali (fra cui la nostra, la Russia copre il 40% del fabbisogno energetico italiano).
“Time” in diverse occasioni ha attribuito ad Angela Merkel il titolo di donna più potente del
mondo, è inutile che vi scriva a chi venisse attribuito il titolo relativo alla figura maschile.
Ma la differenza fra Putin e la Merkel è che VP nel suo agire non ha mai avuto nessuno scrupolo, nessun ideale. La sua unica fonte di ispirazione si chiama Real Politick. L’unica direttrice della sua azione è data dai rapporti di forza. Non c’è altro.
Lo stiamo vedendo oggi, tutti. Anche chi non se n’era mai accorto prima, come qualche ex
ministro italiano pronto a scambiare due Mattarella per mezzo Putin.
Ma veniamo ad oggi e a..domani..
I carri armati russi prima o poi entreranno a Kiev. Forse è questione di ore. Speriamo che Zelensky si salvi. I Russi piazzeranno il loro burattino.
Eppure, Vladimir Putin, con questa invasione che sicuramente risulterà vittoriosa (fino a quando terranno le difese ucraine?) sembra proprio aver segnato la propria fine.
Il maestro dei calcolatori ha sbagliato il calcolo finale, la somma non torna.
È stata la risposta compattissima, e durissima dell’occidente a scombinare tutto. La messa al bando degli oligarchi, invitati neanche troppo gentilmente a togliersi dalle palle. Immaginiamo sicuramente non felicissimi, sicuramente non soddisfatti, gli Abramovich, i Potanin, gli Usmanov, i Prokorov. Dovranno accontentarsi della Crimea per i loro super yacht quest’estate?
Aeroflot non gradita nei cieli europei, in gran parte già chiusi all’aviazione civile russa. Sospeso il finanziamento del debito sovrano russo. Una stretta violenta sul rilascio del visti. E poi la fine di North Stream 2 e soprattutto l’esclusione dal sistema SWIFT, che ha dal punto di vista finanziario, l’effetto di una bomba atomica. Anche se si trattasse di un’esclusione parziale, anche se i Russi dovessero mettersi a commerciare usando il sistema di pagamento dei..cinesi..
Non credo che VP, forte del suo gas, e
e dei suoi apparati di disinformazione, si aspettasse una reazione del genere.
Ma c’è molto di più.
Vladimir Putin con l’Occidente ha chiuso. Nessun leader gli stringerà più la mano, nessuno sarà più disposto ad incontrarlo. Finanche una Marie Le Pen, finanche un Matteo Salvini. Se un giorno la Federazione vorrà tornare a dialogare con l’Occidente la sua voce non sarà quella di Putin. E allora a VP non resta che l’abbraccio con la Repubblica Popolare. Il pitone giallo che si avvolge intorno all’orso.
Non è tutto. C’è il fronte interno. I Russi non sono più quelli di 70 anni fa. Vivo a Mosca da 15 anni. Ho conosciuto gente disperata perché durante la pandemia non poteva andare a farsi le vacanze in Sardegna e doveva accontentarsi della Crimea. Bevono prosecco, amano guidare macchine tedesche, vanno a vestirsi a Milano. O nei centri commerciali delle grandi città russe dove comprano manifattura europea, americana, giapponese, coreana. Se la società civile sovietica educata a pane e socialismo accettava di buon grado le ristrettezze di un’URSS isolata, quella di oggi, cresciuta a pane e Instagram non lo farà mai. Mai. In altri termini quanto maggiore sarà l’isolamento russo, in cui Putin avviterà il paese, tanto maggiore sarà il discontento della società civile russa. La cui parte migliore già oggi, ieri, è scesa in piazza.
Allo Zar non rimarranno che la repressione (1800 arresti in queste giornate) e i viaggi a Pechino.
Lo Zar è solo, lo Zar ha vinto, lo Zar ha perso.
Da Fb del 19 giugno 2022


Titolo: La Russia esulta per la crisi di governo in Italia? La verità secondo Maria Z.
Inserito da: Arlecchino - Luglio 16, 2022, 10:37:28 pm
La Russia esulta per la crisi di governo in Italia? La verità secondo Maria Zakharova

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Arlecchino Euristico
15 lug 2022, 16:29 (1 giorno fa)
a me

Penso che potrebbe interessarti questa notizia, che ho trovato su Microsoft News: La Russia esulta per la crisi di governo in Italia? La verità secondo Maria Zakharova -

https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/la-russia-esulta-per-la-crisi-di-governo-in-italia-la-verit%C3%A0-secondo-maria-zakharova/ar-AAZBvbN?ocid=winp1taskbar&cvid=2a9c25b2982a442dbd021f5a9bb60cd3

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Titolo: Putin non ha il dito sul pulsante. Il mondo nucleare dopo l’invasione
Inserito da: Arlecchino - Agosto 14, 2022, 06:12:28 pm
Putin non ha il dito sul pulsante. Il mondo nucleare dopo l’invasione | Il Foglio

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ggiannig <ggianni41@gmail.com>
11:14 (6 ore fa)
a me

https://www.ilfoglio.it/il-foglio-internazionale/2022/08/08/news/putin-non-ha-il-dito-sul-pulsante-il-mondo-nucleare-dopo-l-invasione-4308937/
 


Titolo: Gli Italiani non sanno praticamente nulla della Russia e delle sue condizioni...
Inserito da: Arlecchino - Agosto 16, 2022, 06:17:30 pm
Gli Italiani non sanno praticamente nulla della Russia e delle sue condizioni economiche.
Credono che la Russia sia una grande nazione, una superpotenza sia dal punto di vista finanziario che tecnologico che militare. Pensano anche che la Russia sia una grande nazione dal punto di vista culturale, intellettivo.
La verità non è solo diversa, è completamente l’opposto. Oltre a questo, la Russia è composta da 85 entità federali 22 delle quali sono repubbliche con un certo grado di indipendenza, parlamenti, presidenti o governatori, forze dell’ordine. Il PIL della Russia come è stato ribadito ormai più volte è a livello di quello spagnolo, inferiore a quello dell’Italia, ovvero tutt’altro che superpotenza. Oltre a questo, le esportazioni (e quindi anche il PIL) vengono generate quasi totalmente dall’estrazione di gas e petrolio. Va notato che la quasi totalità di questi preziosi combustibili arriva dalle Repubbliche che non hanno voce in capitolo a Mosca. Si tratta delle zone povere del paese che non capitalizzano i benefici del loro stesso sottosuolo. Esiste molto malcontento da parte di questi cittadini ma è una cosa di cui non si parla mai. In USA, per esempio, gli abitanti dell’Alaska ricevono ogni anno un dividendo dai guadagni statali del petrolio. Come se questo non bastasse nella grande Russia se leviamo le città importanti come Mosca, Leningrado ecc. gli stipendi sono bassissimi. Insegnanti, operai, tecnici prendono dai 200 ai 300 dollari al mese. Io stesso ho avuto dipendenti in Russia, uno di loro aveva la moglie insegnante che guadagnava qualche anno fa $200 al mese. Questo comporta che nelle zone lontane dalle 4-5 città più importanti si cerchino lavori alternativi e più remunerativi che magari anche a costo di rischi possano portare a guadagnare 4/500$ al mese. È da queste persone che viene formato l’esercito “professionale” Russo.

Questo significa che se siete un cittadino della Repubblica del Nord Ossezia o di quella di Sacha (mai sentite vero?) vi sottraggono i beni de sottosuolo dandone tutti i benefici agli Oligarchi ed a Putin e poi quando c’è da morire per la nazione saranno i vostri figli e nipoti a farlo, non i moscoviti.
In questo momento quasi tutti i morti ed i feriti che tornano dal fronte ucraino fanno parte delle zone rurali o delle repubbliche periferiche. In pratica Mosca continua tuttora la pratica dello zar, ovvero sfruttare in tutti i modi i Russi che non sono delle grandi citta`, depredandoli e mandandoli a morire.
La Russia pur avendo poco più di 150 milioni di cittadini ha solo 4 milioni di studenti universitari.

Per fare un paragone gli USA con circa il doppio dei cittadini hanno 20 milioni di studenti universitari. Ovviamente anche in USA ci sono industrie agricole e di estrazione del gas e del petrolio ma immaginate cosa produce in 50 anni una simile quantità di laureati e la differenza che si proietterà nello sviluppo tecnologico e finanziario delle due rispettive nazioni, l’incremento del PIL e la ridistribuzione della ricchezza.
Dal Punto di vista tecnologico la Russia è un nano. È a livelli di paesi estremamente arretrati. Ha un numero di brevetti originati in Russia che è letteralmente infimo, non ha industrie di semiconduttori, non ha Fab per produrli. Persino l’industria degli armamenti deve comprare i microchip da USA, Europa e Cina ma i Cinesi hanno circa dieci anni di gap per i microchip prodotti internamente. La Cina perlomeno è in grado di produrre microchip disegnati da loro a Taiwan (per ora) ma la Russia non ha nemmeno le capacità progettuali. Tabula rasa.

La Russia ha operato una manovra del tutto di facciata per sostenere il rublo che nominalmente si è riposizionato a valori persino superiori a quelli pre-guerra. In realtà è un’operazione di immagine. I paesi che comprano idrocarburi non li stanno pagando in rubli e del resto non potrebbero farlo perché` i rubli non circolano fuori dalla Russia. Sfiderei chiunque a provare ad acquistare 1000 euro in rubli dalla propria banca per le vacanze a Mosca. Gli acquirenti hanno aperto un conto in dollari ed uno in Rubli presso la Gazprom Bank, pagano in dollari come sempre e questi dollari vengono convertiti in Rubli per pagare la Gazprom industria di idrocarburi. In pratica chi ci ha perso è la Gazprom che prima deteneva conti in dollari con cui faceva quello che voleva, oggi questi dollari vengono subito presi dal governo Russo che in cambio fornisce carta (rubli). Il flusso inverso non avviene con tanta facilita` per cui i prezzi dei beni in vendita non stanno diminuendo. Le automobili costano il doppio di quello che costano in Europa ed anche il triplo di quello che costano in US mentre i prodotti alimentari, il vestiario ecc. sono circa al doppio dei prezzi vecchi ad eccezione di prodotti fatti da industrie governative che calmierano i prezzi perché` compongono il paniere su cui si calcola l’Inflazione. E` stato annunciato che in Russia l’inflazione nel 2022 sarà del 23% ma questo è vero solo se si vive con i beni del paniere mentre se si vive all’occidentale siamo circa intorno allo 80-90%. Figuriamoci con pensioni da $150 che sono le tipiche pensioni russe per chi ha fatto un lavoro pesante per 40 anni.

La Russia è in fase di demolizione, presto le repubbliche sfruttate non ce la faranno più`. Ci saranno sorprese.

Gli unici a non saperlo sono certi italiani che sono male informati o disinformati o semplicemente ignoranti.

Gabriele Sartori

da Fb del 16 agosto 2022