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Forum Pubblico => CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. => Discussione aperta da: Arlecchino - Maggio 13, 2018, 05:47:15 pm



Titolo: Un Progetto di Governo avrebbe riguardato tutti gli Italiani ... mentre il ...
Inserito da: Arlecchino - Maggio 13, 2018, 05:47:15 pm
Un Progetto di Governo avrebbe riguardato tutti gli Italiani ... mentre il contratto di governo riguarda solo le due parti a "contratto".

Ricordiamocelo!

ggiannig

Da Fb del 13 maggio 2018


Titolo: Sergio Fabbrini Un Governo nuovo o un Paese diverso?
Inserito da: Arlecchino - Maggio 13, 2018, 05:55:06 pm
Un Governo nuovo o un Paese diverso?

    –di Sergio Fabbrini

Finirà come avrebbe dovuto finire. Anche se non è certo che finirà davvero. Si sta formando un governo politico tra le due forze (Cinque Stelle e Lega) che hanno molto in comune (e che, con la riabilitazione di Berlusconi, hanno un ostacolo in meno alla loro collaborazione). Entrambe, infatti, hanno avuto successo elettorale rivendicando la sovranità decisionale del nostro Paese in cruciali politiche pubbliche (come quella del bilancio e migratoria), mettendo in discussione le compatibilità macro-economiche e i vincoli macro-politici derivanti dalla nostra appartenenza al sistema europeo.

Non solamente i programmi dei due partiti sono convergenti, ma lo sono anche i loro elettorati. Secondo un sondaggio d’opinione condotto da Pierangelo Isernia e Gianluca Piccolino (per l’Istituto Affari Internazionali e l’Università di Siena), nel settembre del 2017 il 44 per cento degli elettori Cinque Stelle avrebbe votato per uscire dall’Ue e il 53 per cento per uscire dall’Eurozona (percentuali simili a quelle riscontrabili tra gli elettori della Lega, che erano rispettivamente del 54 per cento e del 59 per cento). Se si considera che meno del 10 per cento degli elettori del Pd avrebbe votato per uscire sia dall’Ue che dall’Eurozona, si comprende perché la convergenza tra Lega e Cinque Stelle ha solide basi sociali. Discuteremo, quando sarà il momento, il programma del nuovo governo. Ora, invece, occorre porsi un’altra domanda. Come è possibile che, in un Paese tradizionalmente europeista come l’Italia, sia emersa una maggioranza di elettori euro-scettici se non anti-europeisti? Chi ha sfiancato il nostro europeismo?

Come nei gialli di Agatha Christie, i sospettabili sono più di uno. Tre almeno. Vediamoli.

Il primo è la governance dell'Eurozona. L'esito delle elezioni del 4 marzo 2018 può essere considerato l'equivalente funzionale del voto referendario britannico a favore della Brexit del 23 giugno 2016. Tuttavia, se Brexit deriva da un sentimento nazionale tradizionalmente idiosincratico nei confronti dell'Europa, non si può certo pensare che un tale sentimento sia proprio anche dell'Italia.

Il nostro Paese è uno dei fondatori dell’Unione europea (Ue), è stato a lungo un baluardo dell’europeismo, è stato il promotore delle scelte più integrazioniste realizzate in Europa. Se ha dato la maggioranza a partiti sovranisti, vuole dire che c’è qualcosa che non ha funzionato nell’Eurozona. Eppure, solamente il presidente francese Macron (nel discorso tenuto ad Aquisgrana giovedì scorso) ha compreso il significato delle nostre elezioni. Gli altri leader europei le hanno rimosse. Addirittura il 5 marzo scorso, i governi di otto Paesi del Nord Europa hanno reso pubblico un documento che nega la necessità di riformare la governance dell’Eurozona. Il nuovo governo tedesco di Merkel e Scholz continua a opporre un’opposizione inflessibile persino al completamento dell’unione bancaria. Fino a quando la logica intergovernativa della governance dell’Eurozona non verrà riformata, e fino a quando l’Eurozona non disporrà di un proprio budget da utilizzare in funzione anti-ciclica e pro-investimenti, sarà difficile venire a capo del malessere italiano.

Il secondo sospettabile è il sistema decisionale nazionale. Il nostro malessere sociale ha un’origine endogena e non solo esogena. L’Italia non cresce quanto crescono i Paesi che pure sono sottoposti ai nostri stessi vincoli di bilancio, il debito pubblico non diminuisce così come sarebbe necessario per rassicurare i mercati (e i nostri figli), la nostra amministrazione pubblica continua a essere insensibile alla valutazione dei risultati (preoccupata solamente del rispetto delle procedure). Lo Stato è prigioniero di corporazioni che utilizzano il bilancio pubblico a fini particolaristici. Ciò sottrae risorse agli investimenti e quindi alla crescita. La debole crescita impedisce di promuovere una società più inclusiva. Le diseguaglianze sociali attivano a loro volta il rifiuto dello Stato e di chi lo governa. Con il paradosso che quel rifiuto è espresso da gruppi e individui che fanno parte delle stesse corporazioni che soffocano lo Stato oppure che gli sottraggono le risorse necessarie per agire. Tale circolo vizioso può essere interrotto solamente da governi stabili, che stanno in carica un tempo sufficiente per introdurre riforme senza temerne gli immediati costi elettorali. Ma ogni tentativo di riforma ha incontrato resistenze diffuse. Fino a quando il nostro sistema pubblico non verrà riformato, e fino a quando non daremo vita a un sistema di governo capace di garantire stabilità interna e autorevolezza esterna, sarà difficile venire a capo del malessere italiano.

Il terzo sospettabile è l’opinione pubblica. Negli ultimi anni si è registrato un vero e proprio degrado del dibattito pubblico nel nostro Paese. I media scritti e visivi, combinandosi con la rete dei social media, hanno contribuito alla formazione di una cultura politica faziosa, approssimativa, personalistica. Ma soprattutto provinciale. La riforma dei vitalizi dei parlamentari è divenuta la nostra priorità nazionale. Si è affermato un populismo dall’alto che ha alimentato il populismo proveniente dal basso. Invece di dare voce agli interessi permanenti del Paese, pezzi della nostra classe non-dirigente si sono affrettati a dare voce agli umori contingenti dell’uno o dell’altro partito populista (sperando di averne, naturalmente, qualche vantaggio personale). Invece di difendere le priorità dell’agenda nazionale, come la riforma dell’Eurozona o la modernizzazione dello stato, si è indirizzata la rabbia popolare verso i privilegi di qualche ex-parlamentare spesso ottuagenario. Da tempo si sarebbe dovuta trovare una soluzione al problema, senza perdere il senso di ridicolo. Fino a quando il Paese non maturerà una cultura pubblica responsabile, e fino a quando la sua classe dirigente non capirà quali sono le priorità nazionali, sarà difficile venire a capo del malessere italiano.

Insomma, sono diversi i sospettabili dello sfiancamento dell’Italia europeista. L’euro-scetticismo, se non l’anti-europeismo, degli elettori dei due partiti che formeranno il governo è l’espressione di un malessere strutturale, non già di una visione ideologica. Se a quel malessere non si darà una risposta, è plausibile che si trasformerà in un modo di pensare. La risposta non può essere tecnicistica, come pretende il paternalismo democratico. Occorre affrontare il malessere nel merito, proponendo soluzioni alternative più efficaci e credibili di quelle sovraniste. Se vogliamo che il nuovo governo non conduca a un Paese diverso, cioè euro-scettico come non lo è mai stato, allora occorre un sussulto di responsabilità nelle leadership europee e nella classe dirigente italiana.

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    Sergio Fabbrini. Sergio Fabbrini è professore di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Luiss, direttore della Luiss School of Government ed editorialista del Sole 24 Ore. ...