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Titolo: Jean-Jacques_Rousseau Potere esecutivo e governo
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 29, 2017, 11:59:04 pm


Potere esecutivo e governo

Se l'aderenza alla volontà generale legittima il potere legislativo del popolo, d'altra parte nello Stato è necessaria un'autorità che, detenendo un potere esecutivo, abbia facoltà di far rispettare la legge nei casi particolari. Questa autorità spetta, secondo Rousseau, al governo, che egli separa nettamente dal sovrano: il primo detiene il potere di giudicare i casi particolari e di applicare puntualmente la legge, il secondo, invece, il potere di legiferare, cioè di esprimersi su casi di interesse generale. Il Governo quindi è un ministro, o magistrato, del Sovrano, un corpo intermedio tra il popolo in quanto sovrano e il popolo in quanto suddito. [[160]
La volontà generale, naturalmente, ha la facoltà di scegliere la forma di governo che ritiene più vantaggiosa e più adatta alle determinate caratteristiche storiche e geografiche del popolo.[152] Le tre forme fondamentali che Rousseau individua (e che possono essere combinate in innumerevoli forme miste) sono tradizionalmente classificate in base al numero di persone a cui il popolo delega il potere esecutivo:[161][162]

•   Se tale potere è detenuto da una sola persona, allora si ha una monarchia. Bisogna sempre tenere presente che la concezione rousseauiana della monarchia è diversa da quella che tradizionalmente il termine significa, dal momento che il potere legislativo è sempre direttamente esercitato dal popolo (e quindi, in base alle definizioni di Rousseau, lo Stato è comunque repubblicano) e il re non è che un suo ministro demandato alle questioni particolari; la carica peraltro può non essere (e in generale non deve essere) ereditaria, ma elettiva. La monarchia ha il vantaggio di avere la volontà "di corpo" della magistratura identificata con la volontà particolare del re, e quindi la rapidità e l'efficienza decisionale è massima; tuttavia, dato che la volontà particolare di un singolo si distacca dalla volontà generale con più facilità che quella di un gruppo, il potere monarchico è quello che ha più probabilità di degenerare in tirannia quando il re tenta di usurpare il potere legislativo.[152][163]

•   Se il potere esecutivo è detenuto da un gruppo di persone (che può variare da una coppia fino alla metà meno uno del popolo, in modo che comunque ci siano più semplici cittadini che magistrati) si ha un'aristocrazia; essa può essere naturale (laddove, per esempio, il potere è affidato ai più anziani), elettiva oppure ereditaria. Se l'ultima forma è, insieme alla monarchia ereditaria, la peggiore possibile, invece le aristocrazie elettive o naturali (queste ultime essendo però adatte solo a stati piccoli, dove gli anziani sono in numero non eccessivo) sono le migliori: infatti, benché la magistratura abbia un interesse di corpo (generale rispetto al corpo della magistratura ma particolare rispetto allo Stato) che la porta a fare il suo bene prima di quello pubblico, tuttavia il fatto che il potere esecutivo sia detenuto collegialmente rende meno facile la sua degenerazione.[152][164]

•   Se il potere esecutivo spetta al popolo, cioè se ci sono nello Stato più magistrati che semplici cittadini, si ha una democrazia. Questa condizione, in cui la volontà generale si confonde con quella del corpo dei magistrati, è la più retta perché coloro che amministrano le leggi sono gli stessi che le hanno fatte, e quindi l'aderenza alla volontà generale anche nelle azioni particolari è massima. Tuttavia questa forma non è la più efficiente (si ricordi che si parla di potere esecutivo, cioè di tutte le prassi di governo: Rousseau intende la democrazia in senso più "forte" di quello corrente) e si rischiano pericolose confusioni tra la sfera dell'esecutivo e quella del legislativo.[152] Inoltre, per Rousseau «va contro l'ordine naturale che la maggioranza governi e la minoranza sia governata.»[165] «Se esistesse un popolo di Dei – conclude l'autore – si governerebbe democraticamente. Un Governo così perfetto non è adatto a degli uomini.»[166]
Gli altri due punti fondamentali del Contratto sociale, accennati già nel secondo discorso, riguardano la proprietà e la religione civile. Le condizioni di legittimità che Rousseau individua per il diritto di proprietà sono il fatto che si prenda possesso solo di oggetti che non sono già di qualcun altro, il fatto che si possiedano tali oggetti solo nella misura in cui se ne ha necessità o bisogno, e il lavoro:[167] «In generale, per autorizzare su un qualunque terreno il diritto del primo occupante, occorrono le seguenti condizioni. In primo luogo che non sia ancora abitato da nessuno; in secondo luogo che se ne occupi solo quel tanto che è necessario per la sussistenza; in terzo luogo che se ne prenda possesso non con una vana cerimonia, ma con il lavoro e la coltivazione.»[168] Rousseau non nega del tutto la possibilità che, all'interno della società, la proprietà generi diseguaglianze, ma insiste sul fatto che i limiti del diritto di proprietà siano uguali per tutti e che la diseguaglianza non si possa spingere fino al punto in cui qualcuno è costretto a vendersi a un altro, tanto opulento da poterlo comprare.[152]


Sulla religione Rousseau si esprime in senso fortemente tollerante, e tuttavia riconosce al culto della divinità un'importante finalità a livello sociale (oltre che un'origine storica fondamentalmente sociale). Egli distingue, in sostanza, la religione dell'uomo dalla religione del cittadino: se (come risulterà massimamente chiaro da quanto contenuto nella Professione di fede del vicario savoiardo) a livello individuale nessuno può essere costretto nel determinato sistema di dogmi di una certa religione positiva e se ognuno ha il diritto di approdare a Dio in modo autonomo e razionale, invece a livello sociale è indispensabile che al corpo politico siano imposti alcuni fondamentali dogmi di carattere morale (e quindi strettamente legati all'utilità pubblica) che nessuno potrebbe negare senza scuotere le fondamenta stesse dello Stato: l'esistenza di un Dio onnipotente e buono, l'immortalità dell'anima (con la premiazione dei buoni e il castigo dei malvagi nell'altra vita), la sacralità del patto sociale e delle leggi.[169][170] Dopodiché Rousseau non si esprime direttamente né a favore né contro le rivelazioni, e riconosce a tutti il diritto di crederle o predicarle, a patto che nessuno vi sia costretto;[171] tutto si può dire, tranne «fuori della Chiesa niente Salvezza»[172] perché l'intolleranza teologica implica necessariamente l'intolleranza civile, che apre la porta al collasso dello Stato:[171][173] «Ovunque l'intolleranza teologica viene ammessa è impossibile che non abbia qualche effetto civile e, appena ne ha, il Sovrano non è più tale, neppure nel campo temporale; da quel momento i Preti sono i veri padroni e i Re niente altro che loro funzionari.»[172]



Da - https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Jacques_Rousseau#Lo_stato_di_natura_e_la_nascita_della_societ%C3%A0:_il_Discorso_sulla_diseguaglianza