LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. => Discussione aperta da: Admin - Novembre 24, 2007, 04:58:19 pm



Titolo: GENTILONI
Inserito da: Admin - Novembre 24, 2007, 04:58:19 pm
Gentiloni: ma quale orologeria, è stata violata la dignità del servizio pubblico

Natalia Lombardo


Accelerare «Il dialogo sulle riforme e le due leggi sul sistema tv, finora sottovalutate, possono procedere insieme. Rispettiamo l’impegno con gli elettori», afferma il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni.

Cosa ne pensa di questa rete segreta Rai-Mediaset?
«Dall’inchiesta emerge un quadro di collusioni allarmanti. Come esponente dell’opposizione in Commissione di Vigilanza ho denunciato centinaia di volte che il presidente del Consiglio dell’epoca controllava, di fatto, l’intero sistema televisivo. Oggi abbiamo le conferme: è grave tentare di ritardare l’impatto della sconfitta del centrodestra alle Regionali del 2005. La Rai fa bene a indagare e, nel caso, a prendere misure severe».

La sinistra in Vigilanza avrebbe potuto fare di più?
«Ci sono volumi di atti delle denunce mie, di Beppe Giulietti, Antonello Falomi e tanti altri: che la Rai affidasse, se pure con una gara, i sondaggi al coordinatore della campagna elettorale di Berlusconi; poi il ritardo sui risultati del 2005; la vicenda dell’agonia del Papa e il caso Biagi-Santoro-Luttazzi. Ma la Vigilanza non ha i poteri della magistratura...».

Berlusconi e altri sospettano che le intercettazioni siano venute fuori ora per bloccare il dialogo sulle riforme.
«Spesso, quando si vuole ridimensionare la gravità si dice: “è una notizia a orologeria”. Ma queste sono notizie gravi: allora fu violata la dignità di un servizio pubblico autonomo. I teorici del complotto, convinti che la pubblicazione di queste notizie mirino a impedire il dialogo sulle riforme fra i due schieramenti, saranno delusi».

Perché?
«Il dialogo sulla legge elettorale, andrà avanti. Deve procedere senza paura di un confronto con Berlusconi e tutto il centrodestra».

Il consiglio dei ministri ha deciso di accelerare l’iter della legge sul sistema tv proprio adesso.
«L’opinione pubblica ci chiede di procedere sia con la riforma che dà autonomia alla Rai dai partiti e dal governo, sia con quella che aumenta il pluralismo in tutto il sistema tv».

Il ddl sul sistema tv divide. È possibile sacrificarlo per il dialogo sulle riforme?
«Assolutamente no, il dialogo si fa nell’interesse del Paese, non di qualcuno».

Ma l’interesse di qualcuno impedisce il dialogo...
«Non credo. Oggi penso ci sia un genuino interesse di varie forze politiche, tra cui FI, ad una legge elettorale nel senso ipotizzato da Veltroni e ad alcune riforme istituzionali».

Quali riforme?
«Quelle sui regolamenti e sul numero dei parlamentari, sul bicameralismo e sul Senato federale: un “pacchetto” di norme che, unite a una legge proporzionale che conservi però il bipolarismo, può trovare una maggioranza in Parlamento».

Lei ha lamentato il ritardo dell’arrivo in aula alla Camera del ddl sulle tv, è stata data la precedenza ad altre riforme...
«Non vedo proliferare inciuci sotto il tavolo. Semmai vedo il rischio di una sottovalutazione politica dal centrosinistra: la consapevolezza dell’importanza del pluralismo televisivo si esprime a corrente alternata...: consapevolezza forte quando si è all’opposizione, troppo debole quando si è al governo. Sarebbe un errore che il nostro elettorato non ci perdonerebbe».

Anche la legge sul conflitto d’interessi va a rilento...
«Vale lo stesso discorso».

La maggioranza è compatta?
«È composita, la nostra maggioranza, ma i due ddl sulle tv sono stati varati all’unanimità dal Consiglio dei ministri».

Qual è più urgente?
«Entrambi: la riforma del sistema televisivo, come ci chiede l’Europa (che minaccia sanzioni, ndr) per ridurre nella fase di transizione al digitale le posizioni dominanti che minacciano il pluralismo, come ci ricordò il presidente Ciampi. L’urgenza della riforma Rai è lampante: se non si cambiano il funzionamento dei vertici e i criteri di nomina, il servizio pubblico rischia di sprofondare».

Si possono approvare subito, con uno stralcio, solo i criteri di nomina?
«Discuteremo in Senato. Il governo auspica il dialogo e tempi serrati».

È possibile? An non chiude.
«Sì, anche se FI al Senato ha presentato da sola 1200 emendamenti con un atteggiamento ostruzionistico. Eppure l’ispirazione potrebbe essere condivisa: autonomia della Rai e maggiore efficienza al vertice. Discutiamo, ma chi può difendere l’assetto attuale in cui la Rai è di proprietà del governo, ha un vertice espresso dai partiti e modalità decisionali che portano all’immobilità? La difesa dello statu quo è un’offesa alla Rai».

Sul sistema tv il dialogo è impossibile: Mediaset grida al killeraggio...
«Un sistema più aperto e pluralista va nell’interesse di tutti».

Cosa si aspetta da An e Udc?
«È importante che Fini, il leader del secondo parito d’opposizione, rilevi la necessità di una riforma complessiva del sistema tv, anche se non condivide la proposta del governo. Ne discuteremo alla luce del sole, in Parlamento».

Se si andasse al voto il potere mediatico di Berlusconi sarebbe intatto.
«Il governo dopo il passaggio della Finanziaria reggerà. Ma le riforme televisive sono essenziali».

Il Pd può aiutare il governo?
«Lo ha fatto finora. C’è un clima molto più ottimista, il cantiere del Pd prende corpo a gran velocità. Troppa velocità, forse, per le strutture dei nostri partiti, ma è una scelta obbligata per risalire la china. Insomma, in quattro settimane il Pd ha fatto miracoli. Verrà il tempo di un partito più stabile e articolato. Ma senza nostalgia per macchine vecchie. Piuttosto che chiedere congressi a un partito che non è ancora nato, tutti dovremmo accettare la sfida di un partito nuovo».

Pubblicato il: 24.11.07
Modificato il: 24.11.07 alle ore 12.59  
© l'Unità.


Titolo: Il ministro Gentiloni: "Quadro collusivo tra dirigenti e personalità politiche"
Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2007, 06:49:34 pm
POLITICA

Il presidente della Camera Bertinotti: "Degrado del sistema"

Il ministro Gentiloni: "Quadro collusivo tra dirigenti e personalità politiche"

Intercettazioni, la Rai si tutela

Cappon: "Azione disciplinare contro Saccà"


ROMA - La Rai corre ai ripari e, dopo la pubblicazione della telefonata ottenuta dall'Espresso e pubblicata sul sito del settimanale e su Repubblica.it., tra Silvio Berlusconi e Agostino Saccà, i vertici di viale Mazzini si muovono. "In questi giorni, prima di Natale, partirà una contestazione disciplinare nei confronti di Saccà" annuncia il direttore generale della Rai, Claudio Cappon. Dal presidente Claudio Petruccioli, invece, arriva una netta critica nei confronti del responsabile delle fiction: "Ho trovato l'etica, lo stile, l'atteggiamento della telefonata di Saccà a Berlusconi incompatibili con lo svolgimento della sua funzione di direttore nel servizio pubblico". Petruccioli, poi, lancia l'allarme per il il futuro del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia: "Siamo in un momento in cui o la classe dirigente e l'opinione pubblica decidono di avviare la ricostruzione del servizio pubblico e prendono le decisioni conseguenti del caso, o le tendenze spontanee vanno verso un disfacimento".

Bertinotti: "No all'uso politico delle intercettazioni". Da una parte critica la pubblicazione delle intercettazioni "che - dice il presidente della Camera, Fausto Bertinotti - sono tutte cattive e che non devono essere usate per scopi politici". Dall'altra ammette, però, che lo scenario che emerge dalla telefonata Berlusconi-Saccà, serve come utile "indicatore del costume di un paese" e come segnalatore di un "degrado del sistema". Invocando una riforma del servizio pubblico "non più rinviabile".

E proprio alla Rai Bertinotti dedica parte del suo ragionamento. Chiedendo una svolta: "Da anni il servizio pubblico non ha una politica e una linea culturale originale e autonoma che la differenzi dalla tv commerciale". Una situazione, insomma, che è necessario ridefinire. Una sfida "non è più rinviabile altrimenti il servizio pubblico entra in crisi irreparabile".

Gentiloni: "Quadro negativo". Ma è il mondo politico in generale a fare i conti con la pubblicazioni del colloquio Berlusconi Saccà. E mentre il centrodestra si schiera in difesa del Cavaliere, dal Governo arriva la riflessione preoccupata del ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni: "Viene fuori un quadro che conferma le maggiori preoccupazioni sul conflitto di interessi". Dalle intercettazioni, secondo Gentiloni, "affiora un quadro collusivo tra dirigenti e personalità politiche che hanno un rapporto con la televisione commerciale, un quadro molto negativo su cui bisogna fare chiarezza".

Mastella: "Serve una legge". Il Guardasigilli Clemente Mastella, invece, torna sull'uso delle intercettazioni. Ipotizzando un giro di vite sulla loro diffusione: "Serve una legge che ne regolamenti l'uso e che rispetti la privacy dei cittadini".

(21 dicembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Intercettazioni: no a leggi «d'impulso»
Inserito da: Admin - Dicembre 22, 2007, 11:37:49 pm
Fonti di Palazzo Chigi

Intercettazioni: no a leggi «d'impulso»

Il garante della privacy richiede ulteriori informazioni sull'inchiesta alla procura di Napoli


ROMA - Bisogna evitare che si prendano provvedimenti «d’impulso», ma dell’ipotesi di trasformare in decreto legge il disegno di legge sulle intercettazioni «se ne può discutere». Lo affermano fonti di Palazzo Chigi commentando la proposta del ministro della Giustizia, Clemente Mastella. «La forma del decreto non è al momento in esame», spiegano le fonti, «ma si può valutare per accelerare provvedimenti che possono evitare comportamenti scorretti, garantendo la libera informazione, il rispetto delle indagini e le prerogative dei cittadini», tanto più se parlamentari.

GARANTE - Inoltre il garante della privacy è intervenuto in merito alla pubblicazione delle intercettazioni delle telefonate tra il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, e il direttore di Rai Fiction, Agostino Saccà. Il garante «ha chiesto alla procura di Napoli ulteriori informazioni allo scopo di verificare se le registrazioni audio e le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche diffuse figurino tra il materiale depositato e messo a disposizione delle parti». Il garante, dice una nota dell'Authority, «coglie l'occasione per richiamare ancora una volta i mezzi di informazione al rispetto dei principi di essenzialità e proporzionalità dell'informazione, con particolare riguardo alla tutela della dignità e dell'immagine, personale e professionale, delle persone terze citate nelle conversazioni telefoniche».


21 dicembre 2007

da corriere.it


Titolo: Paolo Gentiloni: «Nonostante Saccà, forse la Rai si può risollevare»
Inserito da: Admin - Luglio 19, 2008, 07:22:57 pm
Paolo Gentiloni: «Nonostante Saccà, forse la Rai si può risollevare»

Silvia Garambois


Paolo Gentiloni, che da ministro aveva proposto di ridisegnare la Rai per liberarla finalmente dall’oppressione dei partiti, sembra convinto che - nonostante tutto - la tv pubblica abbia ancora nel suo Dna la forza per risollevarsi. Anche dopo le dichiarazioni del Governo, per il quale la Rai va bene così com’è. E soprattutto dopo le lacerazioni del caso-Saccà. La bocciatura della proposta di licenziamento del direttore di RaiFiction, avanzata per ragioni disciplinari dal direttore generale Claudio Cappon e sostenuta dal presidente Claudio Petruccioli, infatti, continua a far tremare il palazzo. Una vicenda che Carlo Rognoni, consigliere d’amministrazione ormai in prorogatio, ha sintetizzato addirittura con un «Addio alla Rai»… «Quello di Rognoni è un modo per sottolineare la serietà di quanto è accaduto. Ma la Rai ne ha viste tante, ha la pelle dura - dice Gentiloni, che per il Pd ora è responsabile dell’area della comunicazione - . Non sto minimizzando, sia chiaro: non c’è dubbio che è un problema grave, in un contesto grave, che rende più urgente la riforma».

È vero che è un vertice in proroga, ma lo stesso ruolo di Cappon sembra assai compromesso

«Il direttore deve decidere regole e comportamenti in rapporto con il suo consiglio d’amministrazione. Certo è che Cappon ha tenuto un comportamento coerente, non si è fatto influenzare dalla politica ma dalle evidenze aziendali. La proposta su Saccà è stata frutto di un procedimento disciplinare, a seguito di una istruttoria degli organismi interni. In modo coerente Cappon e lo stesso presidente Petruccioli hanno fatto prevalere la ragione aziendale, la bocciatura ha invece ragioni squisitamente politiche».

Petruccioli era intervenuto in modo molto netto, come mai prima d’ora, su questo caso: la bocciatura rischia di compromettere anche il suo ruolo di presidente, per il quale si è ipotizzato anche un mandato-bis…

«Petruccioli ha rilevato il quadro emerso dalle intercettazioni, giusto ho sbagliato che fosse utilizzarle e divulgarle (questo ha detto Petruccioli), comunque un quadro che non poteva essere ignorato. Non si tratta solo della fantasia delle cronache sui metodi indecorosi di casting - diciamo così… - ma il fatto di vedere i continui contatti con aziende concorrenti, su diverse materie e in diverse occasioni. E’ incredibile l’ingerenza continuata dell’attuale Presidente del Consiglio, dagli incarichi in Rai alle cose di natura più svariata. Petruccioli ha sostenuto che non si può far finta di non vedere queste cose solo perché critichiamo gli abusi nelle intercettazioni: ne ha fatto una ragione di principio e ha fatto bene».

Ha parlato del voto in Cda come "voto politico" del centrodestra. Ma anche Sandro Curzi, con la sua astensione, ha impedito il licenziamento…

«Non ho capito perché».

Ieri il sottosegretario Paolo Romani ha detto che il modello della legge Gasparri non è superato e che i criteri di nomina del Cda Rai sono quelli che lui stesso aveva proposto, e di cui è ancora convinto: in queste condizioni, come si può discutere di riforma?

«L’atteggiamento del Governo è stupefacente. Questa stessa settimana è intervenuta l’Authority sostenendo che la riforma non è rinviabile. E due giorni dopo il governo nelle sue linee programmatiche non ne fa neppure cenno. Non solo: Romani dichiara addirittura che assetto e regole vanno bene così! Proprio mentre le urgenze per gli scandali urlano l’esigenza di una riforma, per scrollarsi di dosso la politica, i partiti, i conflitti di interesse. Ma per chi va bene così? Per i telespettatori? No di certo. Come ripartire adesso? E’ lo stesso Calabrò a suggerire di isolare dal tema della riforma Rai alcune norme che riguardano l’assetto dei vertici, i criteri di nomina. Questo potrebbe essere il filo da cui ripartire per affrontare le tre malattie della Rai, la paralisi del sistema di governance, l’eccesso di invadenza dei partiti e l’attenuarsi delle differenze con la tv commerciale. Se c’è la disponibilità del Governo a seguire questa strada, noi siamo disponibili».

Pubblicato il: 19.07.08
Modificato il: 19.07.08 alle ore 10.38   
© l'Unità.


Titolo: GENTILONI: «Destra e sicurezza, tra clamore mediatico e fallimenti politici»
Inserito da: Admin - Aprile 23, 2009, 10:18:25 pm
Un anno fa lo stupro de La Storta: niente è cambiato ma l'emergenza sicurezza ora è sparita dai tg


«Destra e sicurezza, tra clamore mediatico e fallimenti politici»: è la chiave scelta dal responsabile comunicazione del Pd Paolo Gentiloni per lanciare un video che ripercorre, a un anno dalla violenza della Storta a Roma, la copertura che i telegiornali assicurarono alla vicenda, nei giorni delle elezioni per il Campidoglio.

Tra il 19 e il 21 aprile del 2008, ricorda, i tg si occuparono per 176 minuti della violenza ad una fermata nella periferia romana. La video-inchiesta di Gentiloni passa in rassegna testata per testata il tempo televisivo dedicato a quel crimine, gli approfondimenti sul degrado, la paura dei cittadini in una «escalation mediatica inarrestabile». «Minuti e minuti di servizi di fronte a decine di milioni di spettatori a quattro-cinque giorni dal voto. In quei giorni - sottolinea Gentiloni - Alemanno e il centrodestra non hanno risparmiato promesse che episodi del genere non si sarebbero ripetuti, ma purtroppo sappiamo che non è stato così».

A un anno dalla elezione di Gianni Alemanno a sindaco di Roma, secondo Gentiloni, i fatti di violenza non sono diminuiti, anzi, nella Capitale e in Italia; e chi aveva cavalcato l'onda dell'insicurezza e della criminalità dilagante non è riuscito a mantenere le proprie promesse. «Una cosa da allora è cambiata - osserva nel video Gentiloni - il peso che su episodi come questo viene dato nei telegiornali e nella televisione in generale».


23 aprile 2009
da unita.it


Titolo: Gentiloni giura al Quirinale, è il nuovo ministro degli Esteri: ...
Inserito da: Admin - Novembre 03, 2014, 05:17:55 pm
Gentiloni giura al Quirinale, è il nuovo ministro degli Esteri: "Governo dev'essere all'altezza"
La nomina è arrivata a sorpresa, dopo il nulla di fatto nella riunione di giovedì tra il Capo dello Stato e Renzi. Alle 18 il giuramento davanti a Napolitano. Sostituisce Federica Mogherini che ha rassegnato le dimissioni e da domani ricoprirà l'incarico di Alto rappresentante Ue per la Politica Estera e la Sicurezza
31 ottobre 2014
   
ROMA - Paolo Gentiloni è il nuovo ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale: alle 18 ha prestato giuramento nelle mani del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e davanti, in qualità di testimoni, al segretario generale della presidenza della Repubblica, Donato Marra, e il consigliere militare del presidente della Repubblica, generale Rolando Mosca Moschini. Era presente anche il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. "L'Italia è un grande Paese, e sugli equilibri globali, sul futuro politico dell'Unione Europea e sullo sviluppo dell'area del Mediterraneo il governo Renzi deve contribuire con sua politica ad essere all'altezza di questo Paese", ha detto una volta giurato al Quirinale.

Il premier oggi ha scelto anche due sottosegretari: Davide Faraone, alla Pubblica Istruzione, in sostituzione di Roberto Reggi (ora al demanio). Paola De Micheli, bersaniana di ferro, va all'Economia, in sostituzione di Legnini, ora vicepresidente Csm.

Gentiloni sostituisce Federica Mogherini che ha rassegnato oggi le sue dimissioni da ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale e da domani ricoprirà l'incarico di Alto rappresentante Ue per la Politica Estera e la Sicurezza.

La sua nomina è arrivata a sorpresa, dopo il nulla di fatto nella riunione di giovedì al Quirinale tra il Capo dello Stato e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. La decisione è "maturata nelle ultimissime ore", dicono amici e collaboratori di Gentiloni, "ancora ieri sera non ne sapeva nulla", riferiscono.  Gentiloni, 60 anni il 22 novembre, è il quarto ministro degli Esteri negli ultimi 18 mesi. Membro della commissione Esteri, ha un curriculum dal profilo non spiccatamente internazionale ma grande esperienza politica e uno stretto legame con Renzi.

Deputato del Pd, fa parte della Commissione Esteri. Giornalista professionista, ha lavorato al Comune di Roma come portavoce del Sindaco e assessore al Turismo e al Giubileo negli anni '90. Eletto in Parlamento dal 2001, è stato presidente della commissione di vigilanza Rai e ministro delle Comunicazioni nel biennio 2006-2008. Eletto a Roma, è presidente della sezione Italia-Stati Uniti dell'Unione Interparlamentare, oltre che componente della Direzione Nazionale del Partito Democratico. Laureato in Scienze Politiche ed esperto in comunicazione, è stato coordinatore della campagna dell'Ulivo per le elezioni politiche del 2001, tra i fondatori della Margherita nel 2002 e ha fatto parte del Comitato dei 45 fondatori del Pd nel 2007.



LA SCHEDA - RNews Bei: "Ha prevalso la fedeltà a Renzi"
Le reazioni. "Buon lavoro a Paolo Gentiloni, ha il profilo politico giusto per fare la politica estera del nostro Paese", ha commentato Lia Quartapelle, uno dei nomi circolati negli ultimi giorni come possibile titolare della Farnesina.

I nomi più gettonati erano anche quelli di Marina Sereni, Lapo Pistelli e Elisabetta Belloni. Tre donne e un uomo, con Renzi che sembrava intenzionato a mantenere intatta la quota rosa nell'esecutivo.

A Facebook è affidato anche il commento di Francesco Rutelli.

"Non so quali siano le competenze di Paolo Gentiloni in materia di Esteri perché si è sempre occupato di altro. Gli auguriamo buon lavoro e speriamo che possa restituire all'Italia la capacità di essere più presente e con dignità sullo scacchiere internazionale", dice a Bologna Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d'Italia. "Ci sono tanti dossier aperti. Speriamo che Paolo Gentiloni voglia dare un segnale di discontinuità", ha aggiunto, in merito alla vicenda dei due Marò.

Al neo nominato ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, "dico buon lavoro: c'è molto da fare", afferma l'eurodeputato e consigliere politico di Forza Italia, Giovanni Toti, a margine di un incontro a Bologna.

"I miei migliori auguri a Paolo Gentiloni per il prestigioso incarico. In un periodo di grande evoluzione negli equilibri europei e di drammatiche tensioni internazionali, sono certo che la sua esperienza e le sue capacità saranno preziose per preservare e rilanciare il ruolo del nostro Paese", così in una nota il sindaco di Roma Ignazio Marino. Nel 2012 Gentiloni si candidò alle primarie del centrosinistra come Sindaco di Roma vinte proprio da Marino: in quell'occasione il neo ministro degli Esteri si classificò terzo con il 15% dei consensi.

I dossier. Quinto titolare della Farnesina in poco meno di un anno e mezzo (Giulio Terzi, Mario Monti per un mese, Emma Bonino e poi la Mogherini), Gentiloni dovrà concentrarsi su una serie di fronti caldi anche nella sua veste di presidente di turno dell'Unione Europea fino al prossimo 31 dicembre. La prima delle crisi aperte è quella ucraina: mentre è di oggi la notizia di un accordo tra Kiev, Mosca e Ue sulle forniture di gas, il nuovo ministro, nel solco di quanto fatto finora dalla Mogherini, dovrà lavorare, insieme ai partner europei, per incoraggiare le parti ad attuare gli accordi per una soluzione politica del conflitto, che porti alla fine delle sanzioni contro la Russia, di cui l'Italia resta un partner privilegiato.
Cinque sfide per il quinto ministro degli Esteri in 18 mesi

Poi il caos libico: nelle settimane scorse, su impulso del nostro Paese e con la mediazione delle Nazioni Unite, è stato avviato il dialogo per la riconciliazione tra le parti in lotta nel Paese che è vitale per le forniture di petrolio e per la gestione dei flussi migratori. Altro dossier aperto è quello dei marò, un dossier al quale Farnesina, ministero della Difesa e Palazzo Chigi lavorano incessantemente, ma mantenendo il basso profilo, per arrivare ad un'intesa con l'India a quasi tre anni dall'incidente per il quale sono stati arrestati Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Sul fronte mediorientale, come sempre, sono numerosi i focolai di crisi. Si va dalla minaccia posta dall'avanzata dello Stato islamico in Siria ed in Iraq, con l'allarme per i jihadisti partiti dai Paesi europei, tra cui l'Italia, e che potrebbero rientrare in patria per colpire i simboli dell'Occidente, al processo di pace in Medio Oriente, che procede, quando procede, a singhiozzo. Fino al dossier sul nucleare iraniano, in vista della scadenza del 24 novembre per arrivare ad un'intesa definitiva.

Il primo appuntamento internazionale del nuovo ministro, in attesa che nelle prossime ore venga definita la sua agenda, sarà a Bruxelles il prossimo 17 novembre, quando dovrà presiedere la riunione dei ministri degli Esteri dei 28.

© Riproduzione riservata 31 ottobre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/10/31/news/renzi_ministro_esteri-99422968/?ref=HREC1-5


Titolo: Paolo Valentino. Gentiloni: proseguirà il dialogo con Putin, ma l’Italia non...
Inserito da: Admin - Giugno 08, 2015, 05:27:15 pm
Gentiloni: proseguirà il dialogo con Putin, ma l’Italia non si smarcherà dai suoi alleati occidentali
Il ministro degli Esteri: «Dobbiamo prendere atto della dichiarazione del presidente Putin di non avere intenzioni aggressive. D’altra parte è singolare attribuirle alla Nato»

Di Paolo Valentino

«Io credo che la Russia vada rassicurata su un punto e cioè che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato non è una prospettiva realistica. Ma che la Nato difenda i propri confini fa parte della sua natura. Dobbiamo prendere atto della dichiarazione del presidente Putin di non avere intenzioni aggressive. D’altra parte è singolare attribuirle alla Nato, semplicemente perché consolida i dispositivi dell’alleanza, che è per definizione difensiva. La ferita aperta dalla crisi ucraina va rimarginata, applicando gli accordi di Minsk, nell’interesse strategico dell’Europa e a mio avviso anche della Russia». Paolo Gentiloni ragiona sull’intervista di Vladimir Putin al Corriere. Il ministro degli Esteri ieri era al Cairo, per un vertice con Egitto e Algeria.

Putin dice chiaramente che la Russia considera quello con l’Italia un rapporto privilegiato. È così anche per noi?
«L’Italia ne è consapevole e soddisfatta. Il rapporto privilegiato viene dalla constatazione che l’Italia fa la sua parte al fianco degli alleati europei e americani con coerenza e fermezza, ma al tempo stesso non vuole chiudere il dialogo con Mosca. È una linea politica che ha una storia. È dagli Anni Sessanta che l’Italia accoppia fedeltà e lealtà con i suoi alleati a un rapporto speciale, intenso anche sul piano economico, con la Russia. Queste due cose insieme giustificano l’idea delle relazioni privilegiate. La cosa più interessante è che né loro, né noi lo intendiamo come rapporto che rompe con le nostre alleanze tradizionali».

Lei ha accennato alla sua dimensione economica: è stata frenata dall’embargo?
«Nei settori non colpiti dalle sanzioni non ci sono ostacoli nella collaborazione economica con la Russia. Anzi la caduta dei corsi del petrolio spinge verso una diversificazione dell’economia russa e ciò offre nuove opportunità per le nostre imprese. Sicuramente c’è stato un calo dell’interscambio, ma la Russia resta un mercato di grandi potenzialità».

Come si declina il rapporto privilegiato nella vicenda ucraina?
«I russi sanno bene che l’Italia non scarta rispetto alle decisioni della Ue o a quelle prese di comune accordo con gli Usa. Piuttosto è una voce influente che oltre a tenere il punto sull’Ucraina, insiste nel tenere aperto un canale di dialogo con Mosca. Non credo che alla Russia interessi tanto che l’Italia rompa con i suoi alleati, anche perché sa che non accadrà».


Putin però insinua che gli americani non amino troppo un eccessivo riavvicinamento tra Europa e Russia.
«Dal punto di vista dell’attualità, non mi pare così. Credo che la missione di John Kerry a Sochi, se non significa affatto il ritorno al “business as usual”, segnala che anche l’Amministrazione è convinta della necessità del dialogo. Di cosa hanno parlato se non di cooperazione in diversi dossier internazionali, oltre naturalmente che delle divergenze forti che restano, lo dimostra l’intervista, sull’Ucraina? L’attualità ci dice che anche l’America associa fermezza e dialogo. Dal punto di vista strategico, penso che l’Europa nel suo complesso debba porsi il problema di recuperare un rapporto di collaborazione distesa con Mosca».

Sull’Ucraina Putin punta tutto su Minsk 2, come base di ogni soluzione pacifica. Ma accusa europei e americani di non premere abbastanza sul governo di Kiev, per far rispettare gli obblighi derivanti dall’accordo.
«Non condivido la ricostruzione che il presidente Putin fa della vicenda ucraina, come di un mix tra accerchiamento, complotto e golpe. Qualcosa sicuramente non ha funzionato nel rapporto con la Russia, quando si era alle soglie del Patto di Associazione tra Ue e Ucraina. Ma la crisi dipende completamente dalla reazione di Mosca, sia con l’annessione di fatto della Crimea, sia con il sostegno ai separatisti del Donbass. Questo riguardo al passato. Quanto al futuro, tutto dipende da Minsk. Purtroppo la tregua rimane fragile. E il freno di Mosca ai separatisti va dimostrato nei fatti. Molto resta ancora da fare su cessate il fuoco, ritiro delle armi pesanti, separazione delle parti, scambio dei prigionieri. Tuttavia so bene che la leadership ucraina è attesa a un compito difficilissimo: difendere contemporaneamente l’integrità del proprio territorio, fare le riforme economiche e costituzionali. La Russia deve sapere che l’Ue spinge perché ciò sia fatto».

Lei è in visita al Cairo, dove parla di crisi regionali in generale e di Libia in particolare. Quanto è importante il contributo russo alla soluzione delle varie crisi?
«Non c’è dubbio che su molti dossier, come nucleare iraniano, Siria, Libia, ambiente, disarmo, abbiamo bisogno di confrontarci con la Russia».

Oggi si conclude il G7 di Garmisch. Possiamo pensare che un giorno ridiventi G8 e la Russia ne torni a far parte?
«Oggi è inimmaginabile. Finché non si risolverà la crisi ucraina è difficile ricostruire. Ma in futuro può ridiventare possibile».

8 giugno 2015 | 07:55
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Titolo: Grecia, Gentiloni: «La colpa è di Atene, non dei tedeschi.
Inserito da: Admin - Luglio 12, 2015, 06:01:00 pm
L’INTERVISTA al ministro degli Esteri dopo la vittoria del «no» al referendum
Grecia, Gentiloni: «La colpa è di Atene, non dei tedeschi.
Ora però va evitata l’uscita dalla Ue»
«Le decisioni non si prendono in vertici bilaterali. Per arrivare a un’intesa serve un’altra Unione, solidale e più integrata. Grecia e Europa si pongano un obiettivo politico»

Di Paolo Valentino

«La situazione non si è risolta con la vittoria dei No al referendum greco: capisco gli elettori di Syriza quando festeggiano, un po’ meno i tifosi italiani. Il voto ha stabilito che Tsipras gode del sostegno della maggioranza dei greci. Ma questa non è la soluzione. Ora Grecia e Ue si pongano un obiettivo politico: evitare l’uscita di Atene con un piano sostenibile di riforme e rientro dal debito. Ed è questa la battaglia che farà oggi l’Italia. La vittoria politica di Tsipras lo renderà più forte per muoversi in questa direzione? Me lo auguro. Tocca a lui fare il primo passo».

Lo dice in un intervista al nostro giornale il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.

Qual è il rischio più grosso che stiamo correndo?
«Quello della totale inadeguatezza politica dell’Europa, quello di rispondere ai problemi semplicemente con l’applicazione di parametri numerici. Non dobbiamo sottovalutare la gravità specifica del problema greco, ma questo si risolve solo se l’Ue ritrova un orizzonte politico: sappiamo bene che la Grecia è fuori dai parametri e non per colpa dei tedeschi cattivi, ma per responsabilità delle leadership che si sono succedute ad Atene negli ultimi 15/20 anni. La Bce ha preso le sue decisioni, che non sono di competenza della politica. Ma i governi non possono scaricare il peso delle scelte sulle spalle per quanto robuste del governatore. La politica non può rinunciare al suo ruolo».

Perché tenere la Grecia nell’Unione è importante?
«Non ci sono solo ragioni culturali, sentimentali, storiche, ma anche forti argomenti geopolitici. La prospettiva della cosiddetta Grexit non può essere valutata solo dal punto di vista contabile, ma anche da quello strategico: alleanze internazionali, collocazione nel Mediterraneo. La Grecia è stata snodo decisivo delle scelte europee dopo la Seconda guerra mondiale. Che rimanga un Paese dell’Ue e della Nato non può essere elemento secondario della nostra valutazione. E dico questo senza alcuna giustificazione delle scelte fatte (o non fatte) da Atene in questi ultimi mesi. Ma un conto è criticarle, un altro è minimizzare in un’ottica riduttiva e miope gli scenari di una fuoriuscita».

E l’argomento secondo cui un’eurozona senza la Grecia sarebbe più omogenea e forte, mentre Atene potrebbe continuare a far parte dell’Unione?
«Penso che oggi rimettere insieme i cocci dopo l’azzardo del referendum sia difficile, ma penso anche che dobbiamo puntare a un accordo, piuttosto che a scenari inediti e densi di rischi. Temo che chi li persegue faccia un po’ da apprendista stregone».
Il referendum ha ridato voce ai populisti, europei e nostrani. Quelli che lei definisce i tifosi italiani del referendum tornano da Atene in cuor loro rafforzati.
«Non accetto che la dimensione di politica interna sia determinante, perché se lo facessi dovrei rispondere come una parte dell’establishment europeo e cioè: caro Tsipras, hai voluto il no, ora gestisciti le conseguenze, così evitiamo il contagio e l’impressione che il populismo paghi. Non ho alcuna indulgenza verso Syriza. Ma qui parliamo del destino di milioni di persone e di un Paese strategico per la storia e la geografia europea. Non c’è alcuna lezione da impartire, del tipo Tsipras va punito perché così ne educhiamo molti anche in casa nostra. Sono occhiali domestici deformanti».

Grillo dice che il referendum ha quantomeno permesso ai cittadini di esprimersi.
«Si, ma su cosa? Qui non si trattava di accogliere o rifiutare un’intesa. In questo caso, mi sembra che l’unico obiettivo fosse di dimostrare che il governo greco aveva il sostegno della maggioranza del popolo. Non mi unisco al coro degli entusiasti. Era una scelta contro l’Europa e l’euro? I leader greci hanno detto di no e li prendo in parola. Per questo mi aspetto da loro proposte nuove».

È mancata la leadership tedesca? Der Spiegel ha definito la cancelliera Merkel come una «signora delle macerie».
«Non possiamo lamentare un eccesso di ruolo della Germania e poi invocarne una maggiore leadership. L’Europa è un grande progetto, di cui Berlino è parte importante. Ma se c’è stata un’assenza in questi mesi, sulla vicenda greca e non solo, penso sia stata quella generale dell’Europa. È difficile arrivare a un’intesa sulla Grecia se non si profila un’altra Unione, responsabile, solidale, più integrata, capace di porre il tema della crescita in cima alle sue priorità».

Ma oggi è realistico darsi obiettivi ambiziosi, una prospettiva federalista per esempio, o bisogna avanzare lungo i sentieri possibili?
«È necessario porsi obiettivi più ambiziosi. I sentieri seguiti finora non hanno permesso di risolvere alcun problema. Abbiamo discusso per un mese sulla differenza tra obbligatorio, volontario, vincolante e consensuale. Sto parlando della ricollocazione dei migranti, problema significativo ma tutto sommato circoscritto, la cui soluzione non è stata certo aiutata da brutte immagini ai confini interni tra Paesi europei. Abbiamo davanti la prospettiva del confronto sulla possibile uscita del Regno Unito dalla Ue, la sfida del terrorismo e dell’instabilità nel Mediterraneo. Possiamo proseguire con un’Europa debole e tecnocratica, che decide in base a parametri e regolamenti, mentre fatica a prendere decisioni politiche?».

Ieri c’è stato un vertice franco-tedesco. Passa sempre e solo da lì ogni rilancio?
«Con tutto il rispetto per la collaborazione franco-tedesca, che nel caso dell’Ucraina ha prodotto risultati positivi, assolutamente no. Le decisioni in Europa si prendono oggi, non nei vertici bilaterali. E l’Italia nell’ultimo anno ha contribuito a portare a Bruxelles il confronto politico sull’economia e sull’immigrazione. Ma per uscire dal surplace, cioè dallo stallo, occorrono risultati più importanti. L’Italia farà la sua parte, ma io me lo aspetto da tutti quei Paesi e da quei cittadini europei per i quali è chiaro che un’Europa ferma oggi è destinata a fallire».

7 luglio 2015 | 07:35
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Da - http://www.corriere.it/economia/15_luglio_07/grecia-gentiloni-la-colpa-atene-non-tedeschi-ora-pero-va-evitata-l-uscita-ue-ccc16fd4-2468-11e5-8714-c38f22f7c1da.shtml


Titolo: GENTILONI: Serve un diritto d'asilo europeo valido per tutte le nazioni"
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2015, 10:29:54 am
Gentiloni: "L'orrore dei tir ha convinto i falchi. L'Europa ha capito, il dramma è di tutti"
Il ministro degli Esteri: "La strage in Austria dimostra che quella dei migranti non è solo una nostra emergenza.
I Paesi non siano ostaggio di chi semina la paura. Serve un diritto d'asilo europeo valido per tutte le nazioni"

Di GIAMPAOLO CADALANU
29 agosto 2015
   
Il sogno europeo che si trasforma in incubo, con una fine orribile nel cassone di un Tir. Ministro Gentiloni, questi morti sono sulla coscienza dell'Europa?
"Certamente pesano sulle nostre coscienze, come le vittime delle rotte mediterranee. Nelle ore in cui si scopriva la tragedia ero a Vienna, per un vertice di Europa e Balcani. Bastava guardare in volto i colleghi per capirlo: siamo tutti coinvolti. Fino a poco tempo fa c'era l'idea che fosse solo un'emergenza italiana e greca, nelle ultime settimane si è diffusa la consapevolezza che il problema investe l'Europa intera".

Ma quelle morti così atroci si potevano evitare?
"Queste tragedie si devono evitare. Noi ci stiamo lavorando da un anno e mezzo, con operazioni di ricerca e soccorso in mare, abbiamo salvato oltre centomila vite umane. L'Italia è additata ad esempio dalla comunità internazionale. E ora alle operazioni nel Mediterraneo partecipano assetti navali di altri Paesi. Ma anche se si salvano centomila vite umane, non sempre siamo in grado di salvare tutti".

La tragedia del camion è un nuovo segnale d'allarme?
"Indica che l'emergenza è ormai un problema europeo. Eventi tragici del genere si ripetono con troppa frequenza quasi ogni giorno in Macedonia".

Italia e Grecia stanno facendo la loro parte, ma restano indietro sul punto dei centri di registrazione. Ci sono state critiche dei partner?
"Assolutamente no. L'Italia fa la sua parte e, come ha ribadito anche la cancelliera Merkel, Roma e Berlino spingono perché tutti i punti in agenda siano rispettati".

Ma tutti i Paesi sono pronti a fare la loro parte?
"Negli ultimi due mesi la percezione è cambiata in modo significativo. Anche governi che avevano resistito al principio della distribuzione dei rifugiati, come quelli di Austria e Slovenia, stanno modificando le posizioni" (...)

Bisogna cambiare il trattato di Dublino?
In prospettiva serve un diritto d'asilo europeo valido per tutti i Paesi.

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29 agosto 2015

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2015/08/29/news/_l_orrore_dei_tir_ha_convinto_i_falchi_l_europa_ha_capito_il_dramma_e_di_tutti_-121813792/?ref=HREA-1


Titolo: GENTILONI Lettera italiana ai Paesi fondatori per costruire un’Europa a due ...
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 17, 2015, 05:37:39 pm
Il colloquio il ministro Gentiloni
«Lettera italiana ai Paesi fondatori per costruire un’Europa a due livelli»
Sui Tornado in Iraq «nessuna decisione».
E auspica la fine delle sanzioni a Mosca In Siria L’Italia ha sempre ritenuto un’illusione l’idea di cacciare Assad con le bombe La strada è quella di una transizione

Di Giuseppe Sarcina

«Non nascondo che nella nostra testa ci sia più Libia che Siria. Non c’è stata alcuna decisione di effettuare bombardamenti in Iraq. Tanto meno di nascosto e all’insaputa del Parlamento». Milano, via Solferino: nella casa del Corriere della Sera il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni tira le fila di una giornata lombarda cominciata con la partecipazione a una conferenza organizzata dall’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale.

Medio Oriente, Russia, ma anche Europa. Il numero uno della Farnesina racconta: «Ho inviato una lettera ai colleghi degli altri cinque Paesi fondatori della Comunità europea, Germania, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Proponiamo di rilanciare l’integrazione europea facendo leva sul blocco più omogeneo. Le prime reazioni sono positive e quindi penso che nei prossimi mesi organizzeremo a Roma questo incontro a sei».

L’avanzata dello Stato islamico
Gentiloni insiste sul ruolo di mediazione che l’Italia può ricoprire in una situazione «difficilissima». Iraq, Siria e Libia, in fondo, sono parte di una stessa emergenza: l’avanzata dello Stato Islamico, la catastrofe umanitaria dei migranti. Il ministro degli Esteri parte dalla notizia anticipata il 6 ottobre scorso dal Corriere della Sera: i quattro Tornado italiani di stanza in Kuwait si preparano a bombardare obiettivi Isis in Iraq. «Noi sosteniamo gli sforzi del premier iracheno al-Abadi, facciamo già parte dello “small group”, i 21 Paesi impegnati militarmente sul totale dei 63 che costituiscono la coalizione. E’ chiaro che se il governo iracheno vuole riconquistare la regione di Al Anbar, appena caduta nelle mani dello Stato Islamico, e poi riprendere Mosul ai terroristi, bisogna fare uno sforzo in più. Questo è il tema in discussione tra gli alleati e noi stiamo ragionando su cosa fare in più».

Da Bagdad a Damasco
Dal sostegno a un governo che chiede aiuto al difficile confronto con il dispotismo di Bashar Al Assad. «Fin dall’inizio della crisi il governo italiano ha sempre ritenuto un’illusione l’idea che fosse possibile mandare via Assad con qualche bombardamento. La strada giusta, l’unica realisticamente percorribile è quella di una transizione: “Assad change, not regime change”. Convincere Assad a lasciare il potere, senza però creare un vuoto in cui si inserirebbero facilmente i terroristi». La difficoltà, se mai, è capire come e quando sarà possibile emarginare Assad. In questo senso l’intervento dei russi è una variabile dalle conseguenze potenzialmente devastanti, capace di innescare, temono diversi osservatori, addirittura un conflitto mondiale. Gentiloni prova a tarare il rischio: «Fino a sette-otto giorni fa il coinvolgimento dei russi in Siria era vissuto come un contributo positivo, considerando lo stretto rapporto tra il presidente Putin e Assad. Anche Obama, dopo l’incontro con Putin nelle Nazioni Unite, sembrava pronto a cogliere la potenzialità di una cooperazione Stati Uniti-Russia in chiave anti-Isis in Siria. Certo gli ultimi fatti, gli sconfinamenti in Turchia, la mancanza di coordinamento sui bersagli da colpire stanno creando il rischio che l’attivismo russo si traduca in un ulteriore aggravamento della situazione. Perciò insisto sul processo di transizione, per altro proposto anche dall’inviato Onu per la Siria».

Russia significa anche Ucraina
A gennaio l’Unione europea dovrà decidere se confermare o cancellare le sanzioni economiche: «Io mi auguro fortissimamente che si possano cancellare le sanzioni. Ma non tiro la riga ai primi di ottobre. C’è tempo almeno fino a dicembre e le condizioni sono chiare: se la Russia non applicherà gli accordi di Minsk (tra l’altro restituzione dei confini orientali a Kiev ndr) noi saremo favorevoli alla conferma delle sanzioni».
Nello scacchiere siriano l’Italia non è in prima linea. E difficilmente lo sarà nei prossimi mesi «Non vi nascondo - dice Gentiloni - che stiamo pensando più alla Libia che alla Siria». Il premier Matteo Renzi ha rivendicato «un ruolo guida» per «la stabilizzazione» di Tripoli. Gentiloni segue il negoziato condotto dall’incaricato delle Nazioni Unite, Bernardino León, a Skhirat, in Marocco. «Sono stato lì pochi giorni fa: ho vissuto un clima ancora di grandi divisioni. Ma esiste anche la fondata speranza che a breve le fazioni libiche possano accordarsi sulla formazione di un governo di unità nazionale». Sarebbe quello «il punto di partenza» per un intervento internazionale. Si ipotizza da tempo una spedizione anti-scafisti autorizzata dall’Onu e, appunto, guidata dall’Italia. «Con i nostri alleati stiamo valutando diverse ipotesi, diciamo su una scala da 1 a 10, dove 10 non significa, però, l’invio di migliaia di soldati nel deserto libico. Del resto l’intesa con l’Iran ha allentato le tensioni tra le potenze regionali anche in Libia».

L’Unione a due cerchi concentrici
Le sofferenze dei conflitti sono arrivate in Europa con i volti dei profughi. Il ministro degli Esteri prende nota «con soddisfazione» che la cancelliera tedesca Angela Merkel apra al superamento degli accordi di Dublino, stando ai quali i richiedenti asilo devono essere ospitati dal primo Paese in cui arrivano. «Con gli ultimi vertici abbiamo fatto un pezzo di strada nella condivisione dello sforzo di accoglienza. Ora lavoriamo per raggiungere tre obiettivi nel medio periodo. Primo: rendere permanenti le quote volontarie di suddivisione dei profughi tra i 28 Paesi Ue; arrivare gradualmente a regole comuni sul diritto d’asilo; fissare politiche comuni di rimpatrio nei Paesi di provenienza per i migranti che non hanno diritto d’asilo». Anche per questo serve un’Europa più integrata, che stabilisca anche un nuovo patto con la Gran Bretagna, ma non rinunci ad andare avanti. «Sono cresciuto con l’idea di un’Europa a due velocità, mentre oggi forse è arrivato il momento di costruire un’Unione a due cerchi concentrici. Il nucleo della moneta unica è nelle condizioni di integrarsi su diversi piani, compreso quello militare». L’Italia ora propone di ripartire dai sei fondatori. Appuntamento a Roma, la città del primo Trattato.

9 ottobre 2015 (modifica il 9 ottobre 2015 | 09:12)
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_ottobre_09/lettera-italiana-paesi-fondatori-costruire-un-europa-due-livelli-68758416-6e50-11e5-aad2-b4771ca274f3.shtml


Titolo: GENTILONI: «Per stabilizzare la Libia non servono guerre lampo»
Inserito da: Arlecchino - Marzo 07, 2016, 05:00:54 pm
«Per stabilizzare la Libia non servono guerre lampo»

Di Gerardo Pelosi
6 Marzo 2016

È in contatto continuo con l’Unità di crisi sugli sviluppi della situazione a Sabrata e per il rientro dei due tecnici della Bonatti liberati venerdì. Sente su di sé tutto il peso e la responsabilità di queste ore misurando bene le parole e, più ancora, le decisioni che ci si attende da un Paese in prima fila come l’Italia nella lotta al terrorismo, nella crisi dei migranti e nella stabilizzazione della sponda Sud del Mediterraneo.

Ma su un punto il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, non sembra disposto a fare marcia indietro: non si può pensare di risolvere la crisi libica con una guerra lampo (una Blitzkrieg) e confondere le operazioni antiterrorismo con le missioni internazionali di stabilizzazione. Occorre evitare, insiste il responsabile della Farnesina, che la Libia «sprofondi nel caos dove possono proliferare episodi tragici come quelli che hanno coinvolto i nostri ostaggi».

Ministro, allora spieghiamo perché la scelta politico-diplomatica resta oggi l’unica possibile.
Deve essere chiaro che non ci sono scorciatoie illusorie, esibizioni muscolari. È vero, il tempo stringe, ma non c’è alle porte nessuna guerra lampo. Il governo è consapevole degli errori del passato e sta lavorando per creare le condizioni di stabilizzazione in Libia. E un’operazione politica prima che militare ed è questa la grande sfida della comunità internazionale che vede l’Italia in prima fila.

Ma perchè sulla Libia la Ue appare così divisa e assente?
Non è una novità che la Ue non disponga di un esercito comune ma sulla Libia si è mossa sempre con una dinamica unitaria, a partire dalla missione navale antitrafficanti. Ogni Paese può avere interessi specifici, ma non è vero che i 28 stiano andando in ordine sparso.

Sono passati molti mesi e un Governo di unità nazionale in Libia non vede ancora la luce. Non ritiene che l’ex inviato Onu per la Libia Bernardino Leon abbia perso tempo prezioso?
La diplomazia può superare gli ostacoli ma il tempo è necessario e l’impazienza pericolosa. La guerra in Siria dura da sei anni e per l’Iran deal ce ne sono voluti 13. Per la Libia a metà dicembre su iniziativa italiana e degli Stati Uniti la comunità internazionale nella Conferenza di Roma ha adottato un percorso che ha rappresentato un salto di qualità rispetto all’anno e mezzo precedente. Subito dopo abbiamo avuto l’accordo di Skhirat e poi la risoluzione 2259 delle Nazioni Unite. Il percorso è sempre stato definito da chi lo ha promosso assolutamente fragile ed è incompiuto perché c’è una maggioranza nel Parlamento di Tobruk per varare il governo di accordo nazionale ma a questa maggioranza finora non è stato consentito di esprimersi. Nelle prossime settimane Kobler, sostenuto anche dalla comunità internazionale, valuterà in che modo questa maggioranza possa esprimersi.

Cosa serve ancora per insediare il Governo?
Innanzi tutto che questa maggioranza possa esprimersi trovando il modo per sfuggire alle minacce degli estremisti. Ne ha parlato mercoledì scorso Martin Kobler al Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite. Serve inoltre l’inclusione nel processo di forze locali , tribali e legati alle milizie che finora sono state ai margini o ostili perché la nascita del nuovo governo deve puntare alla più vasta aggregazione possibile in un Paese che presenta un contesto molto frammentato. Il governo inoltre dovrà insediarsi quanto prima a Tripoli. Tutto questo è affidato a un intenso lavoro diplomatico a guida Onu ma non dimentichiamo che oltre a questo, tutto ciò è affidato soprattutto ai libici.

Quali sono i rischi di questo esercizio?
Si tratta di evitare che la Libia sprofondi nel caos dove possono proliferare episodi tragici come quelli che hanno coinvolto i nostri ostaggi diventando uno “Stato fallito” come la Somalia a poche centinaia di chilometri dall’Italia. Il nostro compito è aiutare la Libia a recuperare la sovranità, quello che gradualmente, ma dopo molto tempo, si sta realizzando in Iraq. Solo un Governo sovrano può prosciugare l’acqua in cui nuota Daesh, aiutarci a debellare il traffico di migranti, valorizzare le grandi risorse del Paese. Alle richieste di questo Governo l’Italia e la comunità internazionale sono pronte a rispondere anche sul piano della sicurezza. Ma su questa disponibilità non va alimentata troppa confusione.

Da dove viene questa confusione, forse dagli organi di informazione?
No, parlo dell’idea stessa che si possano risolvere problemi così complessi con qualche rullare di tamburi. Mi preoccupa perché alimenta pericolose aspettative. Qualcuno forse pensa di stabilizzare la Libia con qualche decina di raid aerei? Ma, dov’era nel 2011? Non ha inteso quella lezione? E poi qualcuno davvero pensa che delle truppe speciali francesi o inglesi o italiane o marziane possano controllare un Paese di 1,6 milioni di chilometri quadrati che ha 200mila uomini armati tra le varie milizie? So bene che la guardia contro la crescita di Daesh in Libia va tenuta alta ma se confondiamo il percorso necessario di stabilizzazione con operazioni mirate antiterrorismo prendiamo lucciole per lanterne. Sono cose diverse.

A Roma c’è stata una piena sintonia della comunità internazionale. Ma allora perché gli americani ci stanno precisando perfino quanti uomini dobbiamo schierare?
Non è così. La sintonia con gli Stati Uniti è totale: serve un Governo libico e l'Italia è pronta a coordinare la risposta alle sue richieste sul piano della sicurezza.


Sulla Siria, invece, si sta aprendo qualche interessante prospettiva di speranza?
Con tutta la sua fragilità ci troviamo di fronte a una finestra di speranza quasi miracolosa. Potrebbe chiudersi ma intanto da due settimane la cessazione delle ostilità che avevamo deciso a metà febbraio a Monaco è in atto. Se questa speranza non si spegne si potrebbe non solo alleviare la catastrofe umanitaria in atto ma, entro il 15 marzo, potrebbe ripartire il negoziato di prossimità tra le parti a Ginevra con l’inviato dell’Onu Staffan De Mistura. La telefonata di venerdì tra i leader europei Renzi, Merkel, Cameron e Hollande con il presidente russo Putin aveva proprio l’obiettivo di consolidare questa finestra di speranza coinvolgendo pienamente la Federazione russa nella cessazione delle ostilità.

Domani a Bruxelles sul tavolo dei capi di Stato e di Governo tornerà il dossier dei migranti. Cosa ci dobbiamo attendere?
L’Europa sta vivendo uno dei momenti più difficili degli ultimi 60 anni. La crisi migratoria, gli effetti della recessione economica che si fanno ancora sentire e che determinano una crisi di fiducia tra cittadini e politiche comunitarie e infine il referendum su Brexit che ci tiene con il fiato sospeso. Per questo il vertice europeo di domani prima con la Turchia e poi tra i 28 assume un’importanza particolare.

Il vertice riuscirà ad evitare il precipitare della crisi migratoria?
Come ho detto varie volte, per salvare Schengen dobbiamo gradualmente superare Dublino. L’idea si va facendo strada, c'è una prima proposta della Commissione e un documento condiviso dai ministri degli Interni di Italia e Germania. La stessa decisione di destinare risorse di assistenza e di emergenza alla Grecia riflette la consapevolezza che i Paesi di primo approdo non possono gestire da soli la situazione. Domani i leader europei saranno impegnati a rendere più gestibile la situazione delle rotte balcaniche riducendo i flussi con la collaborazione di Libano, Giordania e Turchia e scommettendo sul cessate il fuoco in Siria. La sfida è evitare che questo tentativo venga vanificato da azioni unilaterali che trasformino gli attuali controlli intensificati in vera e propria chiusura delle frontiere che, se avvenisse, metterebbe a repentaglio gli sforzi di gestione del fenomeno e farebbe saltare il meccanismo di libera circolazione delle persone. Nella seconda parte del 2015 la rotta balcanica ha fatto registrare un incremento eccezionale mentre è rimasto stabile il numero migranti che hanno utilizzato la rotte tradizionale dalla Libia.

C’è il rischio che rotta balcanica che ha registrato un forte incremento negli ultimi mesi possa coinvolgere l’Italia da Albania?
Il rischio non va ignorato ma la cooperazione da tempo attivata con il Governo albanese può impedire un’offerta di imbarcazione da parte dei trafficanti che è la base per dirottare la rotta balcanica verso l’Adriatico.

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-03-06/per-stabilizzare-libia-non-servono-guerre-lampo-093818.shtml?uuid=ACO2PniC&p=3


Titolo: "Se con Donald Trump migliorano i rapporti con Vladimir Putin è un vantaggio ...
Inserito da: Admin - Novembre 14, 2016, 05:22:48 pm
Paolo Gentiloni a In mezz'ora. "Se con Donald Trump migliorano i rapporti con Vladimir Putin è un vantaggio per noi"

L'Huffington Post
Pubblicato: 13/11/2016 14:47 CET Aggiornato: 3 ore fa GENTILONI

"Trump riuscirà ad avere rapporti più distesi con la Russia? Magari, è un gran vantaggio per l'Italia". Il ministro degli Affari esteri, Paolo Gentiloni, risponde così nel corso di In Mezz'Ora su Raitre alla domanda sulla possibilità che dopo l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca migliorino i rapporti con la Russia di Vladimir Putin. "Se Trump andrà contro la posizione dei repubblicani americani che spingono per una linea dura contro Putin, non sarà certo l'Italia ad averne danni e a mettersi di traverso".

Il trionfo di Trump "assolutamente no, non me la aspettavo - dice Gentiloni - Certamente avrei preferito un altro esito, ma dal momento che Donald Trump ha vinto le elezioni cambia tutto. È il presidente degli Stati Uniti, gli Usa sono i nostri principali alleati e collaboreremo" spiega Gentiloni. "L'America è nostro alleato da 70 anni, è l'America, non è questo o quel presidente. Dopo di che attenzione a pensare che le cose non cambino. Quando un presidente viene eletto con uno slogan che dice 'America First' dobbiamo capire esattamente cosa significherà tutto questo".

Il futuro delle relazioni internazionali è tornato centrale proprio dopo l'elezione di Donald Trump e dopo il giudizio tranchant di Jean-Claude Juncker sulle conseguenze funeste della sua nomina. L'Europa cercherà di tirare le fila e cominciare a ragionare sul significato dell'elezione del miliardario americano alla Casa Bianca già stasera, quando i ministri degli Esteri si vedranno nella sede del Seae a Bruxelles, l'equivalente del ministero degli Esteri europeo, per una cena informale su invito di Federica Mogherini. Ma non tutti i 28 si presenteranno: Boris Johnson ed il ministro ungherese, ad esempio, hanno già declinato l'invito. Anche il francese Ayrault non ci sarà, ma solo per problemi di agenda, e si farà rappresentare dall'ambasciatore permanente. Fonti diplomatiche europee definiscono la cena come "un'occasione per fare il punto in libertà sui possibili scenari".

Quanto alla frase di Juncker, dice Gentiloni, "consiglierei sempre molta prudenza. Ci vuole un'offerta di collaborazione, sarebbe ridicolo che gli Usa non avessero dall'Ue o dall'Italia un'offerta di collaborazione. Naturalmente alleati non vuol dire allineati. Noi abbiamo le nostre posizioni, che si ispirano certamente all'alleanza con l'America, certamente all'integrazione nell'Ue, ma anche al nostro interesse nazionale".


Quanto alla Nato, il ministro ricorda che è "un'alleanza fra le due sponde dell'Atlantico", ma rispetto al passato "è vero che gli Usa hanno un ruolo importante, ma anche noi facciamo la nostra parte. Non è una generosità dell'America nei nostri confronti, è un'alleanza che difende gli interessi di entrambe le parti. Dopo la Brexit, dopo l'elezione di Trump, il discorso di un'Europa più integrata, almeno una Schengen della difesa, è di grande attualità. È forse l'ultima chiamata, se l'Europa non reagisce, diventa difficile"

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/11/13/gentiloni-trump-putin_n_12939772.html?1479044882&utm_hp_ref=italy


Titolo: Governo Gentiloni, Luca Lotti resta a palazzo Chigi per gestire le nomine di pri
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 10, 2016, 11:28:49 am
Governo Gentiloni, Luca Lotti resta a palazzo Chigi per gestire le nomine di primavera.
E prova a raddoppiare sui servizi segreti

Pubblicato: 09/12/2016 20:32 CET Aggiornato: 2 ore fa

Nel bunker di palazzo Chigi c’è una casella incancellabile. Renzi potrà anche suonare la campanella col suo successore Paolo Gentiloni, ma chi non può traslocare è il suo taciturno braccio destro Luca Lotti. Proprio sulla sua permanenza nel ruolo di potente sottosegretario alla presidenza si consuma una frattura nel cuore del renzismo. Più di un parlamentare vicino a Graziano Delrio sussurrava: “Graziano poteva essere una soluzione al posto di Gentiloni, ma è inconciliabile con Lotti. Il conflitto tra i due determinò il suo trasloco alle Infrastrutture”.

L’ipotesi di un governo Delrio non è mai stata in piedi, ma queste parole confermano che a palazzo Chigi è l’ora dei falchi. Il mite Gentiloni riceverà l’incarico in quanto è l’unico che di cui il premier si fida e che può assicurare un governo a tempo, fino a primavera, per poi andare a elezioni anticipate. Ma il governo deve assicurare la continuità nella gestione del potere. Che ruota attorno a Lotti che sarà confermato sottosegretario e avrà in mano, d’intesa con Renzi, la partita delle nomine di primavera. E che, in queste ore, sta tentando di allargare la sua sfera di influenza. Puntando alle deleghe sui servizi in capo a Marco Minniti.

Nomine e servizi, i dossier strategici nel bunker. Che rappresentano il cemento di qualunque governo. Nomine pesanti. Già si parla, per i primi mesi del prossimo anno, di un cambio dei vertici Rai e del direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via. E poi in primavera si passa ad Enel, Eni, Poste, Finmeccanica, Terna e tanti altri consigli di amministrazione. Gran finale, Banca d’Italia, col mandato di Ignazio Visco che scade nel 2017. In parecchi ricordano che proprio una analoga infornata di nomine produsse l’accelerazione che portò Renzi a palazzo Chigi al posto di Letta.

Poi, i servizi, il vecchio pallino “del Lotti”, come dicono i toscani. Non è un mistero che già all’inizio del governo Renzi puntò alle deleghe di Minniti, che però alla fine fu confermato (unico del Pd a stare sia nel governo Letta e sia nel governo Renzi). Allora il cambio era complicato perché l’ex lothar dalemiano, competente e stimato a livello istituzionale, era riuscito a mettere ordine e ad essere riconosciuto come capo da un po’ tutte le correnti del complesso mondo delle barbe finte. Allora furono proprio Renzi e Lotti a pensare a una struttura sul modello americano della NSA, la National Security Agency, da insediare a palazzo Chigi. E da affidare all’amico Marco Carrai. Bruciata nelle polemiche l’idea della struttura, nacque l’idea di una super-consulenza per l’amico Carrai.

Era la vigilia di un delicato “pacchetto” di nomine dei vertici della sicurezza, a partire dalle Fiamme Gialle. Ora col cambio di governo il “giglio magico” torna alla carica. Con le antiche ossessioni sugli “ascolti”, maturate sin da quando furono pubblicate dal Fatto le intercettazioni tra il premier e il generale della Finanza Adinolfi. Ecco, nella fase della battaglia finale, alcune postazioni si si possono cedere, altre no. La Boschi, volto del renzismo e madrina delle riforme, è stata travolta nelle urne assieme al suo ddl. Il Lotti, potente e taciturno, resta nel bunker. Insostituibile.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/09/governo-gentiloni-lotti_n_13534484.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: GENTILONI da oggi 12/12/2016 Presidente del Consiglio.
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 12, 2016, 03:05:15 pm
Chi è Paolo Gentiloni, prossimo presidente del Consiglio

Crisi di governo   

Storia di quel ragazzo che attraversò gli anni ’70 senza indossare l’Eskimo, la divisa dei giovani del movimento, ma un serissimo loden, una scoppola e una sciarpa

Il ’68 non fu solo Eskimo e il Loden non l’ha sdoganato Mario Monti. Ma che c’entra tutto ciò con il designato presidente del consiglio, Paolo Gentiloni Silverj, discendente dei Conti di Filottrano, di Cingoli e di Macerata? Aspettate un attimo e lo capirete.

Invece che partire dai gradi di nobiltà o dalle tappe della sua importante carriera politica in età matura, io vorrei partire da quel ragazzo che attraversò gli anni ’70 senza indossare l’Eskimo, la divisa dei giovani del movimento, ma un serissimo loden, una scoppola e una sciarpa. Era infatti questa la tenuta dei militanti romani del Movimento Studentesco di Mario Capanna, noti a Milano come i Katanga per i modi diciamo un po’ bruschi con i quali risolvevamo le diatribe interne al movimento, ma che a Roma, un po’ forse per diversa attitudine un po’ perché erano una esigua minoranza, erano molto meno brutali. Anzi non lo erano affatto, piuttosto dovevano subire le angherie dei gruppo dominanti nel movimento romano come Lotta Continua e poi Autonomia Operaia. Di quello sparuto drappello ricordo il gruppo di giovani del famosissimo Tasso, roccaforte romana del Movimento di Capanna: Andrea Ferri, Giovanni Luciani e, appunto, Paolo Gentiloni con Silvio Capponi a far loro da chioccia. Alle manifestazioni li riconoscevi perché erano elegantissimi, stretti, appunto, nei loro loden con la scoppola calata sugli occhi e la sciarpa attorno al collo. Erano ideologici, ma molto meno che a Milano, anche perché a Roma il carisma di Mario Capanna non faceva presa.

Moderato, pur se il termine a quei tempi aveva un senso del tutto diverso da oggi e per quanto ci si potesse definire tali nei movimenti degli anni ’70, Gentiloni lo era fin da allora. Capisco che se risentissimo oggi i nostri discorsi di allora faremmo fatica a definirli moderati, ma è così: Paolo, come me, che militavo nel Manifesto e frequentavo il mitico liceo Archimede, apparteneva a quella parte del movimento che a un certo punto comprese che era in corso una deriva estremista che sarebbe degenerata nella violenza armata e vi si oppose. Se necessario, bisognava allearsi anche con i figicciotti, contro i quali fino ad allora ci scagliavamo ritendendoli dei pavidi riformisti.
L’alleanza, era il 1973, fu sigillata in occasione della morte di Roberto Franceschi, militante del Movimento Studentesco ucciso nel gennaio di quell’anno dalla polizia che sparò contro i giovani che partecipavano a una protesta alla Statale di Milano. Ci separammo dagli altri gruppi extraparlamentari che cercavano lo scontro di piazza e indicemmo una manifestazione che con nostra grande sorpresa si rivelò oceanica e pacifica e si concluse davanti al ministero della Pubblica Istruzione con un comizio di un leader carismatico come Mario Capanna e di due giovanissimi liceali come Walter Veltroni e…il sottoscritto.

Nel 1970 Paolo scappa di casa per partecipare alle occupazioni studentesche a Milano e lì si lega al gruppo di Mario Capanna che era il leader della contestazione studentesca e aveva fondato un suo Movimento. Un atto radicale di rottura con una famiglia il cui nome è scritto nella storia del cattolicesimo italiano. L’esponente più noto della famiglia, Vincenzo Gentiloni, diede infatti il nome al patto stipulato in chiave antisocialista tra cattolici e liberali che segnò l’ingresso ufficiale dei cattolici nella vita politica italiana. Tuttavia, pochi ricordano che il Conte Domenico Silverj (il quale, rimasto senza eredi maschi stabilì che il marito della figlia, conte Aristide Gentiloni assumesse anche il cognome Silverj dando così il via alla nascita del casato Gentiloni Silverj) fu invece un fiero sostenitore della Repubblica Romana del 1848 e per questo subì un processo e fu espulso dalla Guardia Nobile. Possiamo immaginare che il giovane Gentiloni s’immaginasse emulo di quell’avo.

A Gentiloni, dunque, il termine moderato certo si addice se ci si riferisce al carattere mite nei modi anche quando militava nella sinistra più estrema, ma la sua storia non è politicamente quella di un moderato, bensì di un uomo che si è formato nella sinistra e che di sinistra è rimasto, pur con una forte evoluzione. Dopo gli anni del movimento entra a far parte della rivista Pace e Guerra diretta da Luciana Castellina e Michelangelo Notarianni, due dei fondatori del Manifesto, una sorta di think-thank del pacifismo degli anni ’80. Il primo vero cambiamento politico, una rottura con un certo ideologismo delle sue precedenti esperienze, avviene quando abbraccia la causa ambientalista e diventa direttore di Nuova Ecologia, emanazione della Lega Ambiente di Chicco Testa e Ermete Realacci. Negli anni ’80 l’ecologismo fu una vera e propria rivoluzione culturale a sinistra perché rompeva con l’industrialismo che, in un modo o nell’altro, accomunava la nuova sinistra e quella tradizionale. Così come il femminismo impone un cambiamento di paradigma nel modo stesso di pensare la società, l’ecologismo lo fa nel modo di pensare lo sviluppo. È in quel mondo e in quel momento che Gentiloni incontra il leader politico che sarà decisivo per la sua formazione e la sua ascesa politica: Francesco Rutelli. Il futuro sindaco di Roma, formatosi alla scuola di Marco Pannella, nei primi anni ’90 è il leader dei Verdi cui imprime una forte discontinuità, allontanandoli da quel marchio di estrema sinistra che, a differenza che in Germania e nel resto d’Europa, in Italia ne riduceva il campo di azione.
Così quando Francesco Rutelli diventa sindaco di Roma, Gentiloni lo segue e diventa una delle persone più influenti del suo staff, dapprima come responsabile della comunicazione nel cui ambito muove i primi passi un giovane che avrà un certo futuro: si chiama Filippo Sensi, in arte nomfup, futuro portavoce di Matteo Renzi. Poi diventa assessore al Turismo e al Giubileo, portando a compimento il Giubileo del 2000, considerato forse il più grande successo dell’era Rutelli. Di quegli anni ricordo un Gentiloni onnipresente e lavoratore stakanovista, ma quasi nell’ombra. Al fianco del leader, ma un passo indietro.

Il legame tra i due è saldissimo: sono coetanei, entrambi rampolli della buona società romana, sono di sinistra ma non provengono dalla tradizione comunista. Nel laboratorio romano sperimentano qualcosa che assomiglia molto al futuro Partito Democratico, ma i tempi non sono ancora maturi e così, dopo la cocente delusione del 2001, quando Rutelli tenta la scalata a Palazzo Chigi ma viene sconfitto da Berlusconi, lo segue prima nei Democratici di Romano Prodi e poi nella fondazione della Margherita, insieme ai Popolari. In verità non fu proprio un’esperienza indimenticabile, poiché più che gli elementi di innovazione ulivista sembrarono a tratti prevalere elementi di continuità post-democristiana. È in quegli anni però che incontra l’altro leader importante per la sua ascesa politica: Matteo Renzi, allora presidente della provincia di Firenze.

Diventa ministro delle comunicazioni nel 2006 con il governo di Romano Prodi. Quando nasce il Pd Gentiloni è tra i fondatori e non segue il suo antico mentore, Francesco Rutelli quando questi abbandona i dem. Nel 2013 corre nelle primarie per il Sindaco di Roma risultando terzo, dopo Ignazio Marino e Davide Sassoli. La delusione fu cocente, e molti ritengono che sarebbe stato un ottimo sindaco, forse il migliore possibile. Con il senno del poi, quella sconfitta è stata un formidabile colpo di fortuna, visto come sono andate le cose. È da allora che, partendo dalla condizione di alieno (tali erano allora i renziani a Roma) diventa uno dei punti fermi della galassia renziana: fuori dal giglio magico ma con una sua influenza sulle decisioni del leader, uomo di esperienza ma anche aperto al cambiamento. E infatti del governo Renzi occupa una casella prestigiosa, quella di ministro degli esteri. Di lui si potrà dire che è un po’ grigio, forse un po’ troppo low-profile, che il suo eloquio (fin dagli anni ’70 a dire il vero) non è proprio trascinante. Che non ha mai avuto una forte base di consenso personale.

Quel che non si può dire è che nelle sue scelte non ci sia coerenza, avendo dedicato tutta la sua vita politica da adulto alla costruzione di un soggetto politico riformista disincagliato dalla tradizione post-comunista. Ciò non gli attira certo le simpatie di quel mondo ma lo posiziona in un ruolo centrale nel Pd di oggi dove la componente egemone è proprio quella che non proviene dalla tradizione post-comunista. La sua scelta come successore di Matteo Renzi non può stupire: serve un politico leale, ma con una sua personalità. Leale con Renzi, dunque, in buoni rapporti con il Quirinale e circondato da un generale rispetto, ma consapevole dei limiti del suo mandato.

Starà ora a lui, come a Matteo Renzi, dimostrare di aver inteso la necessità di un cambio di passo dopo il voto referendario: una indispensabile attenzione al disagio sociale e alla sofferenza dei ceti esclusi dalla globalizzazione senza perdere il contatto con quel blocco innovatore e riformista che è il nerbo del Pd di oggi. Non è una sfida che possa essere giocata nei pochi mesi in cui Gentiloni guiderà l’esecutivo, ma certo potrà dare segnali in quella direzione. Diciamo che dovrà riuscire a mantenere la moderazione del carattere ma ispirandosi anche agli ideali della nostra gioventù e all’avo rivoluzionario che si schierò con la Repubblica Romana.

Da - http://www.unita.tv/focus/biografia-paolo-gentiloni-presidente-del-consiglio/


Titolo: Davide Giacalone. Gentiloni vs Renzi, alla faccia delle fotocopie la differenza
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 14, 2016, 04:53:26 pm
Gentiloni vs Renzi, alla faccia delle fotocopie la differenza c’è

Davide Giacalone
13 dicembre 2016

Tutti hanno notato le uguaglianze, ma il gioco consiste nel vedere e capire le differenze. Nel passaggio fra il governo Renzi e il governo Gentiloni la principale differenza consiste nel fatto che prima il Partito democratico e il governo erano la stessa cosa, ora sono potenzialmente cose opposte. Dopo la sconfitta referendaria, come è noto, Renzi ha evitato di tenere fede alla promessa di ritiro, ma ha rilanciato, chiedendo subito le elezioni politiche. Questo è il punto: Grillo, Renzi e Salvini chiedono le elezioni, mentre Gentiloni, il Quirinale e il Pd che s’è accorto della sconfitta referendaria, no. Grillo e Salvini, del resto, sanno che non si va a votare subito, tanto che i loro gruppi hanno già presentato proposte per la riforma del sistema elettorale. Neanche Forza Italia ha alcuna voglia di fare a cazzotti con la logica istituzionale, così come, forse, di mettere subito mano alle liste. Rimane solo Renzi, con i suoi, a reclamare le urne. Lui sarà il solo avversario del governo. Il solo che considererà sprecato ogni giorno della sua esistenza. Alla faccia delle fotocopie, la differenza c’è.

Qui, però, finisce quella che a me sembra una così solare evidenza da passare inosservata a chi ama le proprie opinioni e considera i fatti fastidiosi contrattempi. Il resto è buio. Così come è politicismo parolaio il sostenere che “la gente vuole le urne”, perché dubito vi siano masse in preda ad orgasmo elettorale, altrettanto è vaniloquio il supporre che la continuazione del nulla sia commestibile. Il problemi che abbiamo non consistono nel come e quando si vota, quelli sono problemi dei partiti, ma come e quando si riprende la via dello sviluppo, posto che il poco e niente fin qui avuto, dopo la recessione, è indotto da fattori esterni. Di altri mesi passati a dire scempiaggini sui successi o i disastri di questa o quella legge, non si sente alcun bisogno. Al contrario, invece, sarebbe urgente sapere dove si va a parare prima che si chiuda l’ombrello della Banca centrale europea. Per problemi seri e pesanti, come il nostro debito pubblico, la fine del 2017 è già domani mattina.

Giustamente il governo accompagnerà, ma non entrerà nel merito della nuova, e necessaria, legge elettorale. Tutto dipenderà da cosa sarà capace di fare nel frattempo. Molti ministri hanno già dimostrato d’essere non propriamente dei generatori di idee e azioni, sicché la cosa dipenderà dal presidente del Consiglio. Se non sarà capace di prendere direttamente in mano i temi economici e sociali, la sua sorte si ridurrà a qualche passerella internazionale, a coprire la spartizione delle nomine primaverili e a capitolare velocemente, per lasciare spazio a chi nelle urne vede il programma della propria vita, nonché la possibilità di continuare a guadagnarsi da vivere. Sarebbe un mesto epilogo. Ragionevole supporre che dal Colle e da Palazzo Chigi si daranno da fare, per evitarlo.

@DavideGiac

www.davidegiacalone.it

da - http://www.glistatigenerali.com/governo/fotocopie-ingannevoli/


Titolo: Stefano Minnucci Dopo Mps e Sud, Gentiloni rilancia il tema della ricostruzione
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 28, 2016, 11:44:08 pm
Focus
Stefano Minnucci  -  @StefanoMinnucci
24 dicembre 2016

Dopo Mps e Sud, Gentiloni rilancia il tema della ricostruzione

Il premier nelle zone del terremoto: “Incredibile gioco di squadra”. Nei primi giorni di attività il governo sta confermando tutte le priorità indicate al Parlamento

“Mentre prendiamo l’impegno a tenere in cima alla nostra agenda il tema ricostruzione dobbiamo anche essere molto ottimisti dopo aver fatto questa visita questa mattina, perché ho visto un gioco di squadra incredibile tra tutte le istituzioni coinvolte”. Così il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni in visita nelle zone colpite dal sisma: Amatrice, Norcia e San Ginesio. “Si lavora insieme, le forze armate, la Protezione civile, i volontari, i Vigili del fuoco, il personale sanitario, le Regioni. C’è un gioco di squadra all’italiana di cui dobbiamo essere orgogliosi”.

Nei primi giorni della sua attività, il governo sta confermando una alla volta tutte le priorità indicate al Parlamento, sulle quali ha ottenuto la fiducia delle Camere. Il premier, nel suo pragmatico discorso del 13 dicembre, aveva parlato di precise urgenze a cui far fronte: banche, Sud, sisma e lavoro. Va dato atto al nuovo esecutivo che in dieci giorni ha affrontato prima la vicenda di Monte dei Paschi di Siena, dando il via libera a un decreto che porterà un po’ di calma all’intero sistema creditizio italiano, poi (ieri) ha varato un decreto dedicato al rilancio e alla tutela sociale e sanitaria del Sud, con particolare attenzione all’area di Taranto.

E oggi, vigilia di Natale, ha visitato le zone del sisma per stare vicino alle popolazioni colpite, assicurando che le risorse per la ricostruzione ci sono e ringraziando tutte le istituzioni. “Non dobbiamo limitarci a riparare i danni – ha spiegato il premier –, a dare assistenza alle persone in difficoltà, a ripristinare i servizi essenziali con le scuole prima di tutto, ma dobbiamo pensare al futuro, immaginare che questa ricostruzione sia capace di valorizzare le vocazioni dei nostri territori”.

È ancora troppo presto per provare a fare un bilancio sull’azione di governo, questo è chiaro. È come se ci trovassimo ancora sulla scia del suo insediamento. Ma allo stesso tempo non si può nascondere la sua spinta propulsiva, a dispetto di quanto affermavano inizialmente alcuni osservatori. Si potrà infatti discutere sulla durata dell’incarico, ma non si potrà certo negare la sua concretezza nel prendere di petto le varie impellenze in questa complicata fase iniziale.

Da - http://www.unita.tv/focus/dopo-mps-e-sud-gentiloni-rilancia-il-tema-della-ricostruzione/


Titolo: GENTILONI Gentiloni difende i voucher in attesa della Consulta
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 03, 2017, 09:04:36 pm
Gentiloni difende i voucher in attesa della Consulta

Di GIANLUCA LUZI
    
L'Istat chiude il 2016 con una nota di ottimismo: la ripresa si sta consolidando. Incrociando i dati sulla fiducia dei consumatori con gli ordinativi dell'industria e l'aumento delle persone che cercano lavoro con la speranza di trovarlo, l'istituto statistico sottolinea che la ripresa è ancora fragile ma che sta cominciando a diventare una realtà concreta. È una base su cui il governo Gentiloni può lavorare per completare le riforme cominciate con il governo Renzi, di cui l'attuale è la prosecuzione senza strappi. Ma sul terreno del lavoro c'è il problema del Jobs act. In particolare dei voucher e dell'uso sempre crescente che alcuni datori di lavoro ne fanno. Il premier ha detto nella conferenza stampa di fine anno che certamente alcuni aspetti dell'uso dei voucher saranno rivisti, ma che non si può dare la colpa della mancanza di lavoro ai voucher che anzi sono uno strumento efficace per l'emersione del lavoro nero. Sul governo grava il pericolo del referendum promosso dalla Cgil contro il Jobs act. E all'interno della Consulta si profila un duello sulla ammissibilità del quesito referendario. Quella del lavoro, insieme alla Giustizia, al Sud, alle tasse e ai dipendenti pubblici è una delle riforme che terranno occupato il nuovo governo nei prossimi mesi. Ma tutti sanno che - pur non impegnando direttamente l'esecutivo - la riforma attorno a cui ruota tutto lo scenario politico è quella elettorale. In attesa che la Corte costituzionale si pronunci sull'Italicum il 24 gennaio la situazione vede Berlusconi attestato sulla richiesta di una legge proporzionale. Al contrario il Pd è la Lega vogliono il Mattarellum in tempi brevi per andare a votare in giugno. Posizioni inconciliabili anche sulla durata del governo Gentiloni che il leader di Forza Italia vorrebbe fino alla fine della legislatura, disposto ad appoggiarlo nei voti difficili al Senato, ora che può venire meno l'appoggio di Verdini, escluso dai ministeri e anche dalla partita dei sottosegretari.

Da - http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-3


Titolo: Gentiloni: “Poteri straordinari a Protezione civile e Vasco Errani per il Centro
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 23, 2017, 11:17:21 am
Gentiloni: “Poteri straordinari a Protezione civile e Vasco Errani per il Centro Italia”
Il presidente del Consiglio difende i soccorsi: «Attenzione alla voglia di trovare capri espiatori.
Temo un Paese incattivito». «Il mio governo punta al reddito di inclusione»


Pubblicato il 22/01/2017 - Ultima modifica il 22/01/2017 alle ore 21:42

Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni per la sua prima uscita televisiva come capo del governo ha scelto il salotto di Che tempo che fa. Fabio Fazio, dopo avere chiesto rassicurazioni sul suo stato di salute («Sto bene, ma devo dire, senza farmi sentire dai medici, che ho saltato la convalescenza»), ha iniziato l’intervista parlando dell’emergenza in Centro Italia. Gentiloni ha annunciato che per gestire al meglio la situazione si devono dare poteri straordinari a chi gestisce emergenza e ricostruzione, ovvero alla Protezione Civile e al commissario per la ricostruzione Vasco Errani.
 
«Nei prossimi 3-4 giorni ci concentriamo, e lo faremo con l’Anac e con il Parlamento, su quali possono essere questi poteri straordinari, non possiamo avere strozzature burocratiche, dobbiamo dare un segnale di accelerazione forte e chiaro» ai cittadini, tra i quali «si è diffusa la disperazione».

«La paura di quelle popolazioni è che questa diventi un’emergenza cronica», ha spiegato, per poi ammonire: «Abbiamo un doppio nemico: la lentezza e la corruzione». Ma «attenzione a scatenare questa voglia di trovare capri espiatori. Temo di lasciarci andare, temo un Paese incattivito che cerca subito il giustiziere e il capro espiatorio. La verità serve a far funzionare le cose meglio, non a cercare vendette». La difesa dei soccorsi è netta: «La reazione all’emergenza straordinaria, a mio avviso, è stata straordinaria. Noi abbiamo un sistema di Protezione civile tra i migliori del mondo».
 
“Non metteremo le mani in tasca ai pensionati al minimo” 
La conversazione si è poi spostata sui temi economici, su Trump, immigrazione ed elezioni, con Gentiloni che ha detto che «la rigidità sugli zerovirgola non ha senso, troveremo una soluzione con Bruxelles nei prossimi mesi, forse attorno alla stesura del Def; se un aggiustamento è necessario, faremo in modo che non deprima la crescita ma aiuti a crescere» Ma «non recupereremo tra i pensionati al minimo o con pensioni basse quegli euro in più che erano stati dati in base alle previsioni di un inflazione maggiore. Mettere le mani in tasca ai pensionati che guadagnano cinque o seicento euro al mese sarebbe stato scandaloso».
 
“Lavoreremo con Trump ma abbiamo valori diversi” 
Rispondendo alla domanda sui rapporti con il nuovo presidente degli Usa, ha detto «Abbiamo lavorato con Kennedy e con Nixon, con Bush e con Obama, lavoreremo anche con Trump ma abbiamo dei valori nei quali noi, come governo italiano ed Europa, ci riconosciamo e ai quali non rinunceremo». Perché «per noi il protezionismo non è una soluzione, per noi l’immigrato e il diverso devono certamente accettare regole ma devono essere accolti non semplicemente respinti», ha aggiunto il premier, «per noi la società aperta è un valore, è paradossale che a Davos ne parlasse il presidente cinese dato che la Cina non è un modello da questo punto di vista. Noi europei, Trump o non Trump, abbiamo questi valori e li dobbiamo difendere».
 
“Confido in un accordo sulla legge elettorale” 
Per quanto riguarda, invece, il ritorno alle urne, «c’è molto da fare. In quanto tempo non lo decide Paolo Gentiloni, lo deciderà il Parlamento Le elezioni non sono una cosa che decido io, noi lavoriamo fino a che c’è la fiducia del Parlamento. L’importante è non mettersi nella disposizioni di chi si sente già alla fine». «Mi auguro - è il suo auspicio - che, a prescindere dalla durata del governo, tra le forze parlamentari ci sia in modo tempestivo un dialogo per leggi elettorali per Camera e Senato possibilmente non troppo disarmoniche, questo è un requisito di efficienza del sistema democratico. Confido nel fatto che dopo la decisione della Corte tra le forze politiche si arrivi ad un’intesa». 
 
“Lavoriamo su chi è danneggiato dalla globalizzazione” 
Prima del voto, però, quali sono gli obiettivi del governo Gentiloni? «Non so se sia mai esistito il renzismo. Se è la spinta di Renzi per le riforme la rivendico, C’è molta continuità con il governo precedente. La discontinuità è ovvia, io non sono Renzi anche perché non ho l’età. Voglio dare attuazione delle riforme del governo precedente. Già abbiamo dato attuazione a scuola e unioni civili. Ora lavoriamo su tre cose: primo su chi è danneggiato dalla globalizzazione, pensiamo al reddito di inclusione. Poi dobbiamo accompagnare la ripresa e ci sono mille misure da prendere, dalla giustizia alla concorrenza. Infine il lavoro, concentrandosi soprattutto su giovani e Sud». «Chi pensa allo Stato sociale come relitto del Novecento si sbaglia di grosso - è la precisazione del presidente del Consiglio -. Lo Stato sociale è una caratteristica del futuro non un relitto del passato. Noi abbiamo bisogno di efficienza e capacità delle strutture pubbliche, ma questo stato sociale ha a che fare con un modo di lavorare e di vivere diverso da quando ero ragazzo. Abbiamo a che fare con una realtà più mobile». Infine: «Abbiamo tante lentezze burocratiche ma non abbiamo un cattivo sistema sociale. L’Italia non parte troppo indietro. Non abbiamo, in generale, una cattiva scuola». 
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/22/italia/politica/gentiloni-poteri-straordinari-a-chi-gestisce-lemergenza-in-centro-italia-gVjRa23JMsWvaYZ3lv8hpN/pagina.html


Titolo: Gentiloni: "Avanti con le riforme, ma con il Def dobbiamo accelerare
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 26, 2017, 12:30:53 am
Gentiloni: "Avanti con le riforme, ma con il Def dobbiamo accelerare
Il premier al termine della riunione dell'esecutivo: "Forse Bruxelles non ha colto del tutto il lavoro che sta facendo il governo italiano"
23 febbraio 2017

"Il governo prosegue nel suo cammino sulle riforme e lo ha fatto con decisioni molto rilevanti, dalla tutela del risparmio alla sicurezza urbana alle diverse misure sul terremoto". Lo ha detto il premier Paolo Gentiloni al termine del Consiglio dei ministri. "Lavoriamo - ha aggiunto - per completare le riforme del governo Renzi. Lo abbiamo fatto sulla scuola, lo stiamo facendo sul bando delle periferie. Il governo, lo dico oltre che agli italiani anche a Bruxelles, è al lavoro. Con determinazione forse non colta del tutto da qualcuno ma che per quanto ci riguarda è molto chiara", ha aggiunto, replicando indirettamente alle polemiche sollevate nell'acceso dibattito politico degli ultimi giorni.

"Oggi abbiamo preso decisioni molto rilevanti - ha sottolineato il presidente del Consiglio - il completamento, con le ultime deleghe, della legge di riforma della P.A, una operazione complessa di grandissimo valore strategico e molto attesa anche in Europa e che al suo interno comprende anche misure di riassetto del comparto sicurezza e delle Forze Armate". Inoltre il Cdm ha approvato il "decreto correttivo al codice degli appalti per una maggiore semplicità e trasparenza e per cercare di dare un contributo alla ripresa degli appalti e dei lavori pubblici".
 
L'Italia "mostra perduranti difficoltà economiche" ma anche "segnali positive molto incoraggianti": ci sono "dati straordinari su commercio, risultati molto importanti sull'evasione fiscale e dati contradditori su lavoro, fondamentalmente positivi quelli resi noti oggi", ha detto Gentiloni sottolineando che il tasso di crescita "ha lasciato il segno meno e anche lo zero virgola". Insomma, secondo il premier, "segnali di crescita" che il governo è impegnato a "sorreggere, incoraggiare e sostenere, non certo a deprimere e dissipare. Il governo si dedica con tutte le sue energie e con lungimiranza a questo: ad un percorso per dare più crescita e sicurezza. Il messaggio" che voglio dare è proprio quello "di un governo impegnato al lavoro con grande determinazione, forza e sicurezza". "Sarebbe un errore politico micidiale - ha aggiunto - se il governo deprimesse o dissipasse questi segnali".

"Le operazioni che dobbiamo fare nelle prossime settimane, con il Def, chiedono un'ulteriore accelerazione del ritmo delle riforme ed è quello che faremo", ha sottolineato il premier. "Il governo italiano, lo dico oltre che ai concittadini anche ai nostri amici a Bruxelles, è a lavoro, con determinazione forse non colta del tutto da qualcuno ma per quanto ci riguarda molto chiara".

© Riproduzione riservata 23 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/23/news/governo_gentiloni_riforme-159037016/?ref=HREC1-2


Titolo: Gentiloni a Berlino: “Guido il governo, non mi occupo di alleanze future”.
Inserito da: Arlecchino - Marzo 13, 2017, 12:33:29 pm
Gentiloni a Berlino: “Guido il governo, non mi occupo di alleanze future”.
Il premier a margine di un incontro con Martin Schulz: “Partiti fratelli e visione europeista comune”
Pubblicato il 12/03/2017 - Ultima modifica il 12/03/2017 alle ore 20:34

«A me tocca il compito di guidare il Governo, e non mi occupo delle alleanze delle prossime legislature». Lo ha detto il premier Paolo Gentiloni a Berlino, a margine di un incontro con Martin Schulz alla Willy Brandt Haus. Rispondendo alla domanda se vi saranno coalizioni di sinistra in Italia, Gentiloni ha affermato: «Vedremo... Molti dicono che in Italia ci potrebbe essere un’alleanza alla tedesca, altri ne auspicano di sinistra». 

A proposito dell’evento berlinese socialista, Gentiloni ha spiegato: «C’è un incontro dell’Alleanza dei progressisti, che racchiude i Socialisti europei, altre forze progressiste europee, ma anche altre forze progressiste americane e di altri continenti». «Il tentativo è quello di andare oltre le forze socialiste e le forze dell’Internazionale socialista», ha aggiunto. 

L’appoggio a Schulz 
«Abbiamo ottime relazioni con l’attuale Governo tedesco, ma abbiamo sempre apprezzato il ruolo di Martin Schulz» ha detto il premier Gentiloni incontrando il candidato alla Cancelleria del Spd. A una domanda sull'appoggio ha spiegato: «naturalmente noi non ci intromettiamo nelle vicende interne degli altri Paesi, ma siamo partiti “fratelli”, e facciamo parte dello stesso partito in Ue». Il presidente del Consiglio conferma «l’impegno europeista comune, perché se c’è una cosa chiara di un uomo come Schulz è - rimarca - la sua convinzione europeista. Oggi per me è stata un’occasione per avere un aggiornamento sulle sue posizioni e sulla campagna elettorale in Germania. Certo apparteniamo a partiti “fratelli” e quindi è molto importante scambiare opinioni sull'andamento della situazione». 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/12/italia/politica/gentiloni-a-berlino-guido-il-governo-non-mi-occupo-di-alleanze-future-skWzRhFzeVjiIOihMGfqmL/pagina.html


Titolo: Gentiloni: “Non mi rassegno a tirare a campare”
Inserito da: Arlecchino - Marzo 16, 2017, 05:18:46 pm
Gentiloni: “Non mi rassegno a tirare a campare”
Il premier, a tre mesi dalla nascita del suo governo, incontra per la prima volta i deputati del Pd riuniti in assemblea a Montecitorio

Pubblicato il 14/03/2017 - Ultima modifica il 14/03/2017 alle ore 22:19

«Non mi rassegno a un governo e una maggioranza che tirano a campare. Non è così e non lo sarà». Paolo Gentiloni, a tre mesi dalla nascita del suo governo, incontra per la prima volta i deputati del Pd riuniti in assemblea a Montecitorio. «Mai avrei pensato di essere qui da premier...», si schernisce tra i sorrisi dei colleghi. E tiene un discorso programmatico che prima ancora dei contenuti, con la tanta carne al fuoco del governo, mira a segnare un punto politico: da qui a fine legislatura si sente investito, spiega, di una «personale missione compiuta» che è «preparare una nuova stagione» positiva per il Pd portandolo alle elezioni «nelle migliori condizioni possibili». Gli applausi dei deputati lo interrompono diverse volte e alla fine nessuno interviene in replica, anche gli esponenti delle mozioni congressuali non renziane che avevano preventivato di farlo.

 Gentiloni arriva alla Camera poco dopo le 20, al termine di una giornata aperta da un Cdm che ha fissato la data del referendum sul Jobs act per il 28 maggio. Si lavorerà per evitare quel passaggio «correggendo» le norme sui voucher, conferma ai deputati. Ma non dice di più, perché il lavoro dovrà essere condiviso: «Ne discuteremo nel gruppo», afferma. E il suo ruolo di `servizio´, lo sottolinea in diversi passaggi del suo intervento. Fino al 2018 o comunque finché ci saranno «le condizioni» per portare avanti la legislatura, il governo non si «limiterà a tenere a galla la barca» e provare a «concludere dignitosamente una stagione» ma si darà «obiettivi ambiziosi che vanno oltre l’attuazione del programma di riforme». E in questo ha bisogno dell’apporto del Pd, «architrave della maggioranza».
 
In mattinata, alla presentazione di iniziative del Fai, il premier cita Gaber: «Libertà è partecipazione». In serata al gruppo Dem cita con un sorriso Cocciante: «Io non posso stare fermo...». Ettore Rosato, che apre la riunione, ricorda che in Parlamento le cose si sono fatte più complicate dopo la scissione del Pd, anche alla Camera dove i numeri sono ampi. E Gentiloni lo dice in modo ancor più chiaro: «Il quadro politico - sarebbe miope non riconoscerlo - è più frammentato di quanto non fosse a novembre. Gli italiani vogliono essere rassicurati», sottolinea. «Ho le mie idee e molti di voi sanno come la penso da molti anni ma lo sforzo di questi mesi sarà tenere il governo per quanto possibile al riparo dalle tensioni politiche».
 
Quanto all’agenda delle cose da fare, cita il terremoto (al Salone di Milano saranno presentati i primi progetti di Casa Italia), l’immigrazione, i diritti civili come il biotestamento e il Sud (a Matera ad aprile ci sarà un «grande evento» sul tema), la povertà («Sono quasi pronti i decreti attuativi». E poi la battaglia in Europa, dove nel 2018 potrebbe esserci «un’implosione» dell’Ue, ma anche l’avvio di un periodo di «grande cambiamento» se Macron vincerà in Francia e Schulz in Germania.
 
Non ignora, il premier, che il tema più atteso è quello economico, con il Def e la `manovrina´ da varare ad aprile. Ma rinvia a un altro momento: «I conti, di cui certamente parleremo, non sono tutto. Abbiamo grandi priorità che vanno al di là delle leggi di bilancio dei prossimi 7-8 mesi», sottolinea. E aggiunge che tanto è stato fatto, anche se non è emerso a causa della «dieta mediatica che mi sono imposto e penso fosse utile dopo mesi di campagna» referendaria.
 
Gli applausi più forti sono per il passaggio dedicato, senza mai citarli, ai Cinque stelle: «La denigrazione delle istituzioni è una delle malattie del nostro Paese e una delle cause della crisi italiana. Ho il privilegio di non partecipare al talk show ma la campagna continua di denigrazione della politica e del Parlamento non la dobbiamo subire, la dobbiamo contrastare con la forza della politica come fanno Renzi e gli altri leader candidati alla guida del Pd».

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/14/italia/politica/gentiloni-non-mi-rassegno-a-tirare-a-campare-eKtQHxbp7IeLD4Tepq7gJJ/pagina.html


Titolo: GENTILONI “Modello Ue sotto attacco, ripartire dalla fiducia”
Inserito da: Arlecchino - Marzo 23, 2017, 11:12:53 pm
“Modello Ue sotto attacco, ripartire dalla fiducia”
L’intervento del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni

Pubblicato il 23/03/2017

PAOLO GENTILONI

«Non ci sono disfatte se non quelle che si accettano» così Jean Monnet, uno dei fondatori dell’Europa unita, commentava, anni dopo, quella che all’epoca era sembrata una battuta d’arresto decisiva dell’integrazione europea: il fallimento del progetto di difesa comune, nel 1954. Per molti, una débâcle dalla quale era quasi impossibile ripartire. Ma non per Monnet, non per Gaetano Martino, che poco dopo diventò ministro degli Esteri dell’Italia, o per il suo omologo belga Paul-Henri Spaak, o per il cancelliere tedesco Konrad Adenauer. Loro, e altri, non vollero accettare quella sconfitta. E grazie alla loro tenacia e alla loro intelligenza politica, il 25 marzo del 1957, Italia, Belgio, Germania, Francia, Lussemburgo e Paesi Bassi si riunirono a Roma per firmare i Trattati con i quali è iniziato davvero il nostro progetto di integrazione. 
 
Quel giorno, con la nascita della Comunità economica europea, è partito il viaggio che ci ha portati, col tempo, al Mercato Comune e poi all’Unione Europea e che ha consentito al nostro modello di esprimere tutte le sue potenzialità. 

Una «European way of life» costruita sulla pace, la libertà, la democrazia. Sulla scelta vincente del più grande mercato unico al mondo e radicata nei nostri sistemi di welfare, che hanno creato società più giuste ed eque. 
 
Non possiamo nascondere, però, che ora questo modello vincente è sotto attacco: il mancato completamento del governo politico dell’euro e la lentezza nel dare risposte coordinate ai flussi migratori ci hanno messi di fronte ai punti deboli della nostra azione. Il calo della fiducia nelle istituzioni europee attraversa le nostre società e le nostre opinioni pubbliche. Non bastano gli aggiustamenti momentanei o le risposte a singoli eventi come Brexit. Dobbiamo ripartire. 
 
Vogliamo farlo da Roma, il 25 marzo, quando con i Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea celebreremo il sessantesimo anniversario di quei Trattati: non solo con una «foto di famiglia», ma con l’obiettivo di tracciare la strada da percorrere nei prossimi dieci anni e oltre. Partendo da alcuni punti fondamentali: abbiamo l’urgenza di rispondere alla domanda di crescita economica, di investimenti e di lavoro. Crediamo nelle riforme strutturali sul piano interno, ma è il momento di un forte impegno comune per uscire dalla crisi, per ridurre i livelli di disoccupazione, soprattutto giovanile. I Millennial della Ue sono la generazione meglio istruita e formata della nostra storia. Servono risposte per assicurare loro un futuro che sia degno delle loro speranze e aspettative.
 
E dobbiamo affrontare le sfide della crescita recuperando il meglio della tradizione sociale dell’Europa, del suo modello di welfare. Mettendo al centro la protezione sociale, la riduzione delle disuguaglianze e della povertà, per non lasciare indietro nessuno. Solo così potremo anche rafforzare la fiducia nei confronti delle istituzioni comunitarie. Sappiamo che il contesto mondiale è mutato: gli scenari di crisi nel Mediterraneo, il rischio terrorismo e l’accresciuta instabilità dell’ordine internazionale ci impongono di assumere responsabilità maggiori, con azioni europee più coese e integrate sulla difesa e sulla sicurezza. E servono efficaci politiche comuni sull’immigrazione: non per accontentare una richiesta dell’Italia, ma per rispettare le decisioni già prese insieme a livello europeo. Dobbiamo collaborare nel rispetto dei diritti umani e della democrazia, per conservare una conquista fondamentale come la libera circolazione delle persone. 
 
Accanto a questi impegni, servirà una riflessione comune sulle forme del nostro stare insieme. L’Italia - assieme a Francia, Germania, Spagna e altri Paesi - ha mandato negli ultimi tempi un segnale forte su questo. Crediamo sia arrivato il momento di una Ue più coesa, ma che possa, allo stesso tempo, consentire diversi livelli di integrazione. È giusto che i Paesi possano avere ambizioni diverse e che a esse ci siano risposte diverse. È una strada già prevista nei nostri Trattati, ed è uno strumento che dobbiamo utilizzare per avere un’Unione Europea più semplice, più efficace, più in grado di rispondere alle sfide del presente, che permetta a chi ne ha intenzione di andare più veloce e più lontano.
 
La spinta delle forze nazionaliste e anti europeiste non è affatto irresistibile, ce lo hanno dimostrato le recenti elezioni olandesi. E con un atto di fiducia nel futuro possiamo ridare slancio al nostro progetto comunitario. Con questa stessa fiducia, i fondatori dell’Europa hanno compiuto le scelte che hanno donato al nostro continente decenni di benessere e di sviluppo. Se a partire da Roma saremo capaci di recuperare questo spirito, il progetto di integrazione europea avrà ancora molto da dare.

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Titolo: GENTILONI La lezione di Mark Twain
Inserito da: Arlecchino - Giugno 22, 2017, 09:07:22 pm

La lezione di Mark Twain

Pubblicato il 22/06/2017

Paolo Gentiloni

«La verità è la cosa più preziosa che abbiamo. Per questo dovremmo cercare di farne economia». E’ uno degli aforismi più graffianti di Mark Twain, che esalta il valore di ciò che sembra negare: l’importanza della verità.

E l’importanza di avere accesso a informazioni accurate e affidabili.

Oggi molti protagonisti illustri del mondo del giornalismo e dell’editoria si sono scambiati opinioni sulle loro esperienze e le diverse situazioni che devono affrontare in questo momento. Le grandi sfide che il mondo del giornalismo sta vivendo offrono una prospettiva utile per interpretare le molte trasformazioni in corso in tutto il mondo.

La nuova era di Internet, con l’avvento degli smartphone e dei social network, ha portato molte nuove opportunità al mondo dell’editoria. Ma ha anche coinciso con l’inizio della crisi delle vendite scoppiata all’inizio del nuovo millennio.

Questa crisi si è aggiunta al calo dei ricavi pubblicitari: le stime per il 2016 sono del meno 9%.

Sembra chiaro che ci troviamo ad affrontare un grande paradosso a livello mondiale: grazie a Internet e alla diffusione di nuovi strumenti la capacità dei giornali di raggiungere il pubblico non è mai stata così alta. Ma allo stesso tempo è sempre più difficile trasformare quest’opportunità in un modello commerciale.

In generale, molti editori stanno riorganizzando i propri processi. In Italia, la fusione del Gruppo Espresso con l’Itedi guidata da La Stampa è un’operazione importante che apre strade interessanti e rende il nostro Paese fiero di ospitare uno dei più grandi gruppi editoriali in Europa.

Stiamo quindi assistendo a un grande sforzo creativo. Chi ha a cuore il mondo dei giornali segue con curiosità e attenzione il tentativo di reinventarsi che è in atto.

Purtroppo, c’è anche un lato negativo che non possiamo dimenticare, cioè l’impatto sull’occupazione. Le statistiche del Pew Research Center sugli Stati Uniti, ma indicative della situazione in tutto il mondo, ci dimostrano che il numero delle persone impiegate nelle redazioni è diminuito di oltre il 35% dal 2004. Si tratta di una tendenza che desta preoccupazione tra quanti hanno a cuore la democrazia che è resa più solida e più funzionale dal prezioso lavoro svolto quotidianamente dai giornalisti in tutto il mondo. Sarà quindi importante assicurarsi che l’attuale transizione sia quanto più sostenibile possibile.

Le sfide che sta vivendo il mondo del giornalismo, così importanti per noi, riflettono le situazioni che stanno attraversando molti altri settori produttivi in fase di ristrutturazione.

Viviamo in un momento delicato della storia umana, definito «l’era dell’accelerazione». Un’epoca in cui, per la prima volta nella storia, c’è un divario tra la velocità del cambiamento e la nostra capacità di adattamento.

Non dobbiamo essere presi alla sprovvista da questo divario: noi stessi l’abbiamo generato, è la prova della straordinaria vitalità delle nostre economie, delle nostre imprese, delle incredibili capacità delle nostre Università e dei nostri centri di ricerca.

Naturalmente, questo ritardo nell’adattamento, insieme agli effetti della crisi economica, ancora visibili, hanno avuto un impatto globale. Siamo tentati di mettere in discussione molti dei nostri successi passati, i pilastri dell’economia e della società aperta che hanno sostenuto decenni di pace e prosperità.

Siamo cercando di rispondere a tutti questi interrogativi a livello internazionale: l’abbiamo fatto in occasione dell’ultimo vertice G7 di Taormina. Non sono tempi facili e le difficoltà economiche seguite alla crisi economica hanno colpito la nostra società e la classe media in particolare. Tuttavia, non dobbiamo tornare indietro rispetto ai progressi fatti negli ultimi anni. Il protezionismo non è un’opzione, abbandonare l’idea di una società aperta e tollerante non è una soluzione al disagio: in realtà, creerebbe danni peggiori.

C’è un concetto più ampio che credo possa essere applicato anche al mondo del giornalismo di oggi. Un concetto che ho utilizzato spesso nel contesto internazionale, quando ho avuto l’opportunità di parlare delle sfide economiche che ci troviamo ad affrontare nell’era della globalizzazione. Mi riferisco alla necessità di continuare a scommettere sulla nostra identità e sulle nostre specificità.

Questa è la lezione fondamentale della globalizzazione. Contrariamente alle prime, superficiali interpretazioni, la globalizzazione rende più importanti le caratteristiche nazionali. E queste includono la cultura, l’economia, le attitudini e i valori sociali.

Come governo italiano, abbiamo condotto un programma economico basato su questi principi, e i dati recenti mostrano che avevamo ragione. Non abbiamo seguito un piano di riforma astratto. Siamo intervenuti in materia di politica del lavoro, politica finanziaria e politica industriale, tenendo presente le esigenze specifiche del nostro sistema economico, in gran parte basato su produzioni di valore.

Abbiamo investito nella cultura e nella scuola per massimizzare le opportunità per gli individui e sfruttare al massimo il nostro capitale umano. Abbiamo investito nelle nostre città e nelle nostre zone rurali, perché il nostro Paese continuerà a prosperare se ci prendiamo cura dei nostri beni più preziosi, che comprendono tanto le aree urbane così come la nostra diversificata e ricca agricoltura.

L’innovazione funziona quando si evolve la tradizione. E la tradizione può evolversi solo se un Paese, o una professione, riesce a utilizzare nel modo migliore i nuovi strumenti a disposizione.

Questo è quello che il giornalismo deve fare ora e sta già facendo in molti casi. In particolare, il futuro del giornalismo e la sua capacità di adattarsi al nuovo mondo dipendono dal «fattore umano».

Possiamo realizzare un software in grado di scrivere un articolo sulle previsioni del tempo? Probabilmente sì.

Possiamo far sì che lo stesso software compili un articolo sul punteggio di una partita di baseball o di calcio? Sì, e in effetti è già accaduto.

Possiamo chiedere a un robot di fare lo stesso lavoro di Carl Bernstein o Bob Woodward? Credo di no - anche se non vorrei che suonasse come una sfida ad alcuni intelligenti ingegneri a farlo davvero!

Il punto è che tutti noi siamo invitati a chiederci: che cosa mi riesce meglio, qual è il cuore del mio lavoro, la mia specializzazione insostituibile? I migliori tra i giornalisti aprono per noi nuove finestre e nuove porte. Ci aiutano a collegare i puntini. Ci rendono chiare cose che ci risultano oscure, a volte con acute capacità investigative. Abbiamo sicuramente bisogno di più cose di questo genere in momenti come questi. E ne avremo bisogno ancora di più in futuro, mentre l’eterogeneità aumenta all’interno delle nostre società.

L’indipendenza e la forza del giornalismo devono continuare a essere un punto di riferimento per le nostre democrazie, non malgrado, ma a causa delle molte e complesse trasformazioni del mondo di oggi.

Pertanto, il dibattito odierno sul futuro dei giornali non riguarda solo modelli di sviluppo. Chiama in causa il ruolo dell’informazione nell’era delle nuove tecnologie, la possibilità di continuare ad avere fiducia in chi svolge questo ruolo, la capacità di orientare l’opinione pubblica in modo positivo e costruttivo.

Ci sono spesso interpretazioni pessimistiche di queste tematiche, con il conseguente grande dibattito sulla «post-verità» un termine decretato parola dell’anno per il 2016 dall’Oxford Dictionary.

Il risultato della proliferazione di notizie false è certamente un dato grave, come riconosciuto dai grandi giganti di Internet, che stanno sollevando il problema di come contrastare questo fenomeno.

Ma dobbiamo cercare di evitare interpretazioni catastrofiche. La mia generazione si ricorda di un tempo, non molto lontano, caratterizzato da una tale contrapposizione ideologica da distorcere spesso anche l’interpretazione dei fatti.

D’altra parte, credere che abbiamo vissuto in «un’età dell’oro della verità», ora perduta per sempre, può essere una tentazione confortante di fronte a molti eventi del tempo presente, ma probabilmente significherebbe forzare la mano alla storia.

Probabilmente, invece di inseguire il mito dell’assoluta imparzialità, sarebbe importante cercare un modello di giornalismo «radicato nei fatti», piuttosto che completamente privo di opinioni.

Occorre la volontà di superare le divisioni e andare oltre le proprie posizioni, uscire dalle nostre «bolle» di consenso per riuscire a curare le ferite delle nostre società. L’idea degli «Stati generali dell’editoria» lanciata oggi da Carlo De Benedetti, può sicuramente contribuire in modo significativo a questo dibattito.

Sotto questo aspetto il ruolo del giornalismo nel Ventunesimo secolo continuerà a essere fondamentale per orientarci nel mare delle fonti di informazione che rischia di soverchiarci, per affinare le nostre capacità di discernimento ed essere in grado di distinguere il «segnale» dal «rumore». Consapevoli che, nel nostro tempo segnato da contraddizioni e incertezze - per citare George Orwell - «vedere ciò che si trova davanti al nostro naso richiede un impegno costante».

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Da - http://www.lastampa.it/2017/06/22/cultura/opinioni/editoriali/la-lezione-di-mark-twain-nUdlAh5LVBrMw6So5FpQjM/pagina.html


Titolo: Attesa per Gentiloni al Meeting di Rimini.
Inserito da: Arlecchino - Agosto 27, 2017, 08:59:17 pm
POLITICA

Attesa per Gentiloni al Meeting di Rimini.
Il premier super moderato riporta dentro Cl la speranza di un nuovo centro
Quest'anno il Meeting di Comunione e Liberazione si riprende la vetrina che gli compete

 20/08/2017 13:03 CEST | Aggiornato 8 ore fa

GentiloAnni in sordina. Anni in cui si è pagato il pegno della fine dell'era del berlusconismo e della conseguente diaspora dei propri leader. Anni in cui si è guardato altrove, al mondo, agli ultimi, alle grandi questioni sociali insolute. Anni in cui Cernobbio e persino l'happening organizzato dai francescani ad Assisi le avevano rubato lo scettro di kermesse regina della ripresa della stagione politica. Tutto archiviato. Quest'anno il Meeting di Comunione e Liberazione si riprende la vetrina che gli compete. Complice Paolo Gentiloni.

Ad aprire i lavori nella nuova Fiera di Rimini sarà un presidente del Consiglio che è un leader calmo, inclusivo, abile con il cacciavite più che con la ruspa. Con le scarpe ben piantate nella terra di quel cattolicesimo sociale che ascolta e non rottama, che non richiede secche scelte di campo ma dialoga allo sfinimento, come tanto piace ai vertici del movimento di don Luigi Giussani. Un leader che si presenta in riviera ormai liberatosi dalle scorie dell'essere considerato una mera fotocopia, che si proietta a gestire i complicati mesi della legge di stabilità e del traghettamento verso le urne (e magari di una legge che non prefiguri il caos del giorno dopo) e di una situazione internazionale drammaticamente difficile dopo gli attentati degli ultimi giorni.

L'Italia che verrà, il terremoto, i difficili dossier immigrazione e terrorismo, l'Europa e la sfida del rilancio dell'economia, i giovani e il lavoro saranno i temi principali attorno a cui si discuterà dal 20 al 26 agosto. Come spiega la presidente della Fondazione Meeting per l'amicizia fra i popoli Emilia Guarnieri, l'obiettivo è "lanciare messaggi costruttivi, mettendo in relazione mondi diversi". Le beghe politiche per Guarnieri devono quindi restare lontane dalla riviera romagnola: "Niente alchimie, nessun tifo per le larghe intese", ha detto in un'intervista a Repubblica. Intenzione nobile quanto velleitaria. Le carte in tavola, quelle vere, le piazza però Giorgio Vittadini, anima della Fondazione per la Sussidiarietà: "Vorrei le larghe intese alla tedesca, basate sui contenuti", ha affermato al Corriere della Sera. Presa di posizione importante. Perché dopo l'eclissi della sbornia forzitaliota e la conseguente caduta, anche personale, del naturale asse Berlusconi-Formigoni, è lui la guida di fatto di Cl per tutto quel che non concerne l'aspetto ecclesiale. E dopo anni di bracci di ferro che l'hanno visto rimanere attento nelle retrovie, e dopo l'assoluta assenza di empatia che tutto l'universo ciellino ha coltivato (ricambiato) nei confronti di Matteo Renzi, è tornato a tessere la tela di quell'ecumenismo politico che può trovare solida sponda in Gentiloni.

È la storia del Meeting, quella che pesca in un passato che non c'è più così come quella recentissima. Da Rimini si era guardato con estremo interesse ad Enrico Letta (l'unico a mettere in piedi un tentativo vero sia pur obbligato di grande coalizione), sommerso dagli applausi di un Auditorium da 6mila posti che lo aveva accolto come un proprio capo carismatico. Così come si era subito lo smacco del leader rottamatore, che nel 2014 dopo un lungo e tira e molla aveva dato forfait, scontando la scelta – definita sgarbata e sprezzante dai vertici ciellini – l'anno successivo. Stesso palcoscenico di Letta, applausi freddini per una platea che tramontato il teatro di Berlusconi ha sempre mal digerito gli one-man-show. Nel 2016, per dire, tanto governo, molti renziani, con una Maria Elena Boschi, altrove cercata, carismatica, blandita, passata quasi in sordina.

La scelta di Cl è chiara. Se nel 2016 i ministri ospiti erano tutti renziani, quest'anno la musica cambia. Il meeting farà il pieno di quei titolari di dicastero che dal segretario del Pd sono considerati tra i più distanti. Fra tutti poi il ministro Carlo Calenda, secondo alcuni rumors possibile candidato premier, che porta in dote tutte le skill che lo fanno leader amabile da Cl. Si siederà insieme a imprenditori di aziende italiane e parlerà di sviluppo economico, tema principe di anni di attività di Vittadini. Ospiti anche il ministro dell'Istruzione, Valeria Fedeli, e quello del Lavoro, Giuliano Poletti.

Un carnet in cui figurano il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che ha sfidato l'ex premier alla segreteria del Pd, e poi il ministro degli Affari esteri, Angelino Alfano, in freddo con Renzi da quando ci fu lo scontro sulla legge elettorale e leader di quell'Alternativa popolare in cui è confluito un pezzo di classe politica ciellina, Maurizio Lupi fra tutti.

Personalità dialoganti, portate per indole e calcolo a includere e non a escludere. Un segno dei tempi e delle preferenze di rapporti coltivate dalla dirigenza del movimento. La quale, interrotto il cordone ombelicale che la legava ad Arcore, ha sostanzialmente tagliato dai propri panel esponenti di Forza Italia e della Lega. Saranno della partita Giovanni Toti e Roberto Maroni, più perché guide di due feudi storici di Cl – la Lombardia, soprattutto, e la Liguria – che per convinzione politica. Diluiti in un incontro fra leader di autonomie regionali a cui prenderanno parte anche il presidente dell'Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini e quello della Provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi,

A "Cambiamento d'epoca: la crisi come passaggio", un ciclo di incontri curati da Luciano Violante (insieme a Fausto Bertinotti diventato amico del Meeting in un rapporto consolidatosi da tempo), prenderà parte anche il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco. Venerdì, per riflettere su lavoro e persona, sono attesi il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, e il segretario della Cisl, Annamaria Furlan, assieme al responsabile della divisione Banca dei territori di Intesa Sanpaolo, Stefano Barrese. Ulteriore segno che il mondo del lavoro e quello della sussidiarietà in economia rimangono le bussole sociali, ancor prima che politiche, degli uomini di don Giussani.

Dopo la pioggia di polemiche da ambo le parti dell'anno scorso nessun esponente del Movimento 5 Stelle solcherà i padiglioni della Fiera. L'esperienza di Mattia Fantinati, autore di un durissimo intervento altrettanto duramente fischiato (e i fischi sono rari come mosche bianche da quelle parti) hanno sancito anche empiricamente l'incomunicabilità tra i due universi. Quello di Cl rifugge da sempre lo spartito dell'antipolitica, del contro a tutti i costi, crogiolandosi, dalla fine del regno di Silvio, nel terzismo purissimo (Bersani che commenta un libro di Giussani, remember?). Non a caso oggi èil giorno di Paolo Gentiloni, attorno al quale si sta radunando una classe politica che vede in lui il perno delle larghe intese anche in vista delle prossime elezioni. Sono aperte le scommesse: a che livello arriverà l'applausometro?

Da - http://www.huffingtonpost.it/2017/08/20/attesa-per-premier-al-meeting-di-rimini-il-premier-super-modera_a_23154840/?utm_hp_ref=it-homepage


Titolo: Visco, Gentiloni studia una lettera con la richiesta di una “fase nuova”
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 23, 2017, 10:41:37 pm
Visco, Gentiloni studia una lettera con la richiesta di una “fase nuova”
Il presidente del Consiglio ipotizza un mandato condizionato.
L’ipotesi alternativa è l’attuale direttore generale Rossi

Pubblicato il 21/10/2017 - Ultima modifica il 21/10/2017 alle ore 09:41

ALESSANDRO BARBERA
ROMA

All’ora di pranzo Ignazio Visco è davanti al computer nella stanza ad angolo fra via Nazionale e via Mazzarino. Da qualche giorno lavora al discorso per la Giornata del risparmio, la gran cerimonia che riunisce a Roma i vertici delle Fondazioni bancarie. Ironia della sorte vuole che l’evento quest’anno cada nell’ultimo giorno del mandato da governatore della Banca d’Italia iniziato nell’ormai lontano novembre 2011, quando sfiorammo il default finanziario e a Palazzo Chigi arrivava Mario Monti. 

Di qui al 31 l’agenda di Visco non prevede nessun altro intervento pubblico: quello successivo sarà quasi certamente di fronte alla Commissione di inchiesta parlamentare sui crac bancari, anche se nel frattempo dovesse lasciare. Chi l’ha incontrato ieri l’ha trovato stanco ma sereno, consapevole di essere diventato il parafulmine della tempesta perfetta scatenata da Matteo Renzi su Palazzo Koch. Le conseguenze del rovescio renziano sono tuttora visibili: il Quirinale irritato con Renzi per le procedure irrituali della Camera lesive delle sue prerogative, Gentiloni irritato con Renzi e la Boschi per il blitz, il malumore di Visco per aver scoperto fuori tempo massimo di essere diventato oggetto di un mercanteggiamento dell’ultim’ora. Fino a qualche settimana fa Visco non sembrava entusiasta dell’ipotesi di un altro mandato, o almeno così faceva raccontare all’esterno dagli emissari. Ma in assenza di accordo su una valida alternativa, e nonostante tre anni complicatissimi iniziati con il crac di Banca Etruria e finiti con il salvataggio di ciò che restava delle banche venete, Quirinale e Palazzo Chigi gli avevano fatto capire che sarebbe toccato di nuovo a lui. A differenza di Renzi, Mattarella e Gentiloni gli riconoscono di aver gestito lealmente una macchina che qua e là ha mostrato di aver risposto in grave ritardo a quel che stava accadendo fra Arezzo, Siena e Vicenza. L’inattesa tempesta ha cambiato lo scenario.
 
Le certezze quirinalizie attorno al suo nome stanno cedendo sotto i colpi della politica. Nonostante i molti attestati di solidarietà da parte di ministri, ex premier ed ex presidenti, la lista dei partiti schierati contro la riconferma è sempre più difficile da gestire. Prima i Cinque Stelle, Sinistra italiana, la Lega, il Pd, Forza Italia. Fatta eccezione per l’Mdp, tutti chiedono l’avvicendamento. Non solo: c’è chi - ieri Matteo Salvini - fa capire di non essere contrario al compromesso possibile, ovvero la successione interna. Per Mattarella e Gentiloni non sarà semplice cavarsi d’impaccio. La procedura che chiama in causa governo, Consiglio superiore della Banca d’Italia e infine il Quirinale, è troppo complessa perché non si sia trovato preventivamente il nome giusto. Il primo passo è del premier con la lettera in cui formalizza la candidatura al Consiglio superiore. Secondo quanto si sussurra nei palazzi, Gentiloni starebbe accarezzando due opzioni. La prima è quella di indicare nella lettera il nome di Visco, sottolineando però la richiesta di rinnovamento avanzata da più parti in Parlamento. Si tratterebbe di assecondare «il partito di maggioranza relativa» (così il premier ha definito ieri il Pd a Bruxelles) chiedendo allo stesso Visco di aprire una fase nuova sulla vigilanza bancaria. 
 
La seconda ipotesi prevede un passo indietro formale dello stesso Visco che eviterebbe a Quirinale e Palazzo Chigi di dare l’impressione di aver ceduto alla richiesta dei partiti. A quel punto nella lista di Mattarella e Gentiloni rimarrebbe un solo nome, quello del numero due Salvatore Rossi. La storia di Rossi è molto simile a quella di Visco: già capo dell’ufficio studi, più che di banche è un grande esperto di economia italiana. Le sue quotazioni crescono di ora in ora: ben visto a sinistra (ha scritto decine di libri per l’editore Laterza), gode di buona reputazione anche a destra. Nello scontro di questi mesi con le autorità europee ha tenuto il punto sulle ragioni italiane senza però mettersi in contrapposizione con Francoforte come invece è toccato a Fabio Panetta in qualità di membro italiano nel Consiglio della vigilanza unica. L’unico difetto che gli viene imputato è l’età: nato nel 1949, va per i 69 anni. Peccato sia solo di qualche mese più anziano del collega Ignazio Visco. 

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Titolo: L’attuale premier Gentiloni è al primo posto nel sondaggio e sarebbe anche ...
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 03, 2017, 06:27:49 pm
Gentiloni è il leader preferito. Di Maio e Berlusconi più vitali
Alla prova del marketing elettorale spunta Grasso, Renzi seduttivo

L’attuale premier Gentiloni è al primo posto nel sondaggio e sarebbe anche l’unico candidato del Pd a far vincere il suo partito

Pubblicato il 01/12/2017 - Ultima modifica il 01/12/2017 alle ore 07:59

NICOLA PIEPOLI

Nell’ambito della competizione elettorale noi italiani siamo abituati a una «gara tra partiti». Ciò significa che mettiamo in secondo piano una gara interna al sistema elettorale che riguardi i singoli candidati. Nel corso degli ultimi anni tutti noi abbiamo constatato che i candidati pesano nelle intenzioni di voto e nella decisione su che partito votare. 
 
Questa settimana abbiamo fatto un esperimento concernente il peso che i singoli candidati portano in termini di voti con la loro presenza in questo o quel partito.
 
Per dare un senso numerico all’importanza dei singoli candidati abbiamo creato quattro «tracciati mentali», non dissimili da quelli che noi utilizziamo normalmente nelle ricerche di marketing. Abbiamo quindi trattato i singoli candidati alla presidenza del Consiglio come se fossero veri e propri «prodotti» sugli scaffali di un normale supermercato.
 
Il risultato di questa elaborazione è il seguente: 
1) Indicatore di fiducia: non diverso filosoficamente da un indicatore di «Customer Satisfaction» (soddisfazione del cliente). Al primo posto si segnala l’attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, seguito più o meno a ruota dal presidente del Senato, Pietro Grasso, dal ministro Dario Franceschini, dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, e in quinta posizione da Matteo Renzi, attualmente Segretario de Pd.
 
2) Indicatore di «attrazione»: si tratta di un indicatore concernente la vitalità del prodotto e in questo caso del candidato, in termini di propria «probabilità espansiva» sul mercato politico di riferimento. Qui al primo posto troviamo Luigi Di Maio, leader del 5 Stelle, seguito dal leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, da Matteo Salvini, leader della Lega, e da due personaggi già citati, cioè Paolo Gentiloni e Pietro Grasso.
 
3) Indicatore di «seduzione»: cioè il singolo elettore quanto si sente «attratto» e «sedotto» dal candidato? Qui l’elenco sia apre con Matteo Renzi, seguito a ruota da Paolo Gentiloni, Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Dario Franceschini.
 
4) Ultimo, ma non ultimo, dei quattro indicatori è l’intenzione effettiva di voto per un candidato premier e su questa intenzione l’attuale presidente del Consiglio Paolo Gentiloni batte tutti, anche se hanno una notevole forza attrattiva Dario Franceschini, Matteo Renzi, Pietro Grasso e Luigi Di Maio.
 
Facendo una media di questi quattro indicatori il primo posto tocca all’attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che stacca di ben cinque punti Pietro Grasso e Luigi Di Maio, mentre al quarto posto si pone Franceschini, al quinto Salvini, seguito, con punteggi inferiori, da Matteo Renzi, Berlusconi, Boldrini, Meloni, Pisapia e Bersani.
In un certo senso è un vero e proprio «sistema solare» che abbiamo creato. Tale sistema passa dal Sole rappresentato da Gentiloni a una meteora laterale ai pianeti che ha il volto del leader di Mdp, Pierluigi Bersani.
 
A questo punto ci siamo anche domandati che tipo di influenza avrebbero questi personaggi con i punteggi sopra riportati in termini di cambiamento delle quote dei Partiti di cui sono in servizio.
 
Abbiamo anche creato un modello matematico da cui risulterebbe che la presenza di Gentiloni come candidato presidente del Consiglio del Pd ne aumenterebbe la quota di 3 punti ponendo il Pd come leader dei Partiti italiani, anche nei confronti del M5S e indebolendo percettibilmente l’area di destra. Tutti gli altri candidati Pd provocherebbero la leadership del M5S e una certa ristrutturazione positiva del centrodestra in Italia. 
 
Ovviamente si tratta di un sistema predittivo ancora tutto da approfondire, per cui chiederei la collaborazione di qualche esperto in statistica tra gli amici lettori che possa darci una mano alla costruzione di un modello elettorale predittivo da sperimentare nelle prossime elezioni.
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/12/01/italia/politica/gentiloni-il-leader-preferito-di-maio-e-berlusconi-pi-vitali-aeiODyebRSCfzH9vebmTCJ/pagina.html


Titolo: GENTILONI: “Un anno a Palazzo Chigi come su un otto-volante.
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 13, 2017, 05:10:19 pm
Gentiloni: “Un anno a Palazzo Chigi come su un otto-volante. Lascio un’Italia più stabile”

Il premier rivendica i suoi risultati e chiede a chi verrà di “non disperdere gli sforzi fatti”

Pubblicato il 12/12/2017 - Ultima modifica il 12/12/2017 alle ore 10:33

FABIO MARTINI
ROMA

Le poche volte che Paolo Gentiloni percorre a piedi le strade di una città italiana, puntualmente si ripete lo sketch dell’altro giorno, nei 400 metri che il premier ha percorso tra il Tempio di Adriano e palazzo Chigi: «Presidente, continui così», «presidente si ricorda i bei tempi della Margherita?», «presidente una foto con mia figlia!». E lui, rivolto alla ragazzina: «Come ti chiami?». Lei: «Sabrina…». Gentiloni: «Va bene, Sabrina: almeno tu una foto con me te la vuoi fare…». Sempre minimalista Paolo Gentiloni, il massimo che concede a chi lo pressa per strada, è un cortese «da dove venite?». Se quelli arrivano da lontano, abbozza un romanesco: «Ammazza…» e se ne va. Nulla a che vedere col ciclone Renzi, che cercava il contatto fisico, la battuta, il selfie. 

Anti-eroe era e anti-eroe resta, Paolo Gentiloni, un anno dopo quel 12 dicembre 2016, quando entrò - in punta di piedi e sospinto dall’amico Matteo Renzi - nello studio del presidente del Consiglio. Sorride Gentiloni: «Quel giorno sono salito sull’ottovolante e sono accadute tante cose che era difficile immaginare». Un anno dopo, curiosamente ma non troppo, l’uomo non è stato neppure sfiorato dalla tentazione di una (pur rituale) conferenza stampa di bilancio del governo. Ai suoi occhi, un evento che rischiava di virare sull’auto-celebrativo. Una “esposizione” che chissà come sarebbe stata interpretata dal sempre vigile amico Matteo.   

Per 365 giorni Paolo Gentiloni ha costruito la sua fortuna (come attestano i sondaggi che lo danno sempre sopra a Renzi) senza travestirsi e anche nei suoi ultimi discorsi ha continuato ad allontanare come un demone la tentazione della retorica. Ogni volta che dalla sua voce avverte affiorare un po’ di enfasi, la stempera nell’humour, «be’, non esageriamo…». Ma dopo un anno di governo è anche consapevole del lavoro fatto e lo sintetizza così a “La Stampa”: «Lasciamo un’Italia più stabile», un Paese più forte che, pur con tanti problemi aperti, «ha superato la sua crisi più grave e che non deve disperdere gli sforzi fatti in comune». Poche parole con le quali, certo, rivendica il lavoro fatto dal suo governo e da quello guidato da Renzi ma aggiunge un ponte sul futuro. Con quell’accenno a non disperdere gli sforzi «fatti in comune». Dunque, dagli italiani tutti. Ma anche dalle forze oggi all’opposizione. «L’Italia – dice Gentiloni - non va verso un periodo di instabilità, perché le sue scelte fondamentali, a partire da quelle europee, resteranno: c’è continuità nelle posizioni dei governi del nostro Paese». Dunque, con tutti i governi, compresi quelli guidati da Silvio Berlusconi.

 
E qui si apre il capitolo del futuro. Paolo Gentiloni non è tipo da brigare per conquistarsi un posto al sole. Da mesi sa che il Pd – e dunque lui, oltre a Renzi - avrà chances di rivendicare palazzo Chigi soltanto se la sua coalizione avrà preso un voto in più degli altri. Sa che gli equilibri post-elettorali sono incertissimi, ma in caso di grande coalizione sa pure di avere una carta pesante da giocare: il suo professionismo politico, per motivi diversi, è apprezzato dal Capo dello Stato, ma anche da due personaggi agli antipodi: Romano Prodi e Silvio Berlusconi. Racconta uno dei pochi parlamentari che conosce gli umori del Cavaliere: «Non immaginatevi nessuno scambio o chissà quali rapporti particolari. Berlusconi apprezza come si è mosso il governo, Calenda e Gentiloni, sulla difesa degli interessi delle aziende italiane. È il minimo sindacale. Ma rispetto al passato, è già molto». 

Con Prodi, che con Renzi continua ad avere un rapporto difficile, Gentiloni non aveva mai interrotto i rapporti e li ha proseguiti a palazzo Chigi. E il Professore ricambia con una definizione pennellata: «Paolo il freddo? No, Paolo il calmo». E quanto al Capo dello Stato il rapporto è molto solido, è stato Mattarella a volere che il governo non si dimettesse e restasse in carica, anche in vista di un lungo dopo-elezioni. 

In vista di marzo, non prevedendo un lancio come star del Pd da parte di Renzi, il presidente del Consiglio parteciperà alla campagna elettorale, senza dar spettacolo, in continuità con un «understatement voluto e spontaneo che in un anno lo ha portato a partecipare ad un solo talk show», dice l’amico di una vita Ermete Realacci. Intanto nelle ore che precedono il primo compleanno del suo governo, Gentiloni si gode il risultato che ha pubblicamente rivendicato: «L’Italia è tornata a crescere, si attesterà su un dato tra l’1,5 e il 2%». Omette di sottolineare che si tratta di un raddoppio della crescita, passata in un anno dallo 0,9 ad un probabile 1,8%. Anche se il presidente del Consiglio, passeggiando per Roma, come al solito, minimizza: «Vedremo quale sarà il dato finale. Ma per stare tra l’1,5 e il 2, basta arrivare all’1,76…».

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Titolo: Gentiloni: «Clima questione centrale, rischi non più opinabili»
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 17, 2017, 08:41:18 pm
PRIMA INIZIATIVA DELLA LISTA “INSIEME”

Gentiloni: «Clima questione centrale, rischi non più opinabili»

16 dicembre 2017

Unire gli sforzi per sostenere il Patto per il clima (Cop21), firmato a Parigi a fine 2015, «innanzitutto nei confronti di chi sottovaluta o nega addirittura la centralità della questione». Questo ha chiesto oggi il premier Paolo Gentiloni intervenendo a Roma al convegno “Patto per il Clima”. La centralità del dossier clima non è «sentitissima quanto dovrebbe nel nostro Paese», ha ammesso Gentiloni, rivendicando gli sforzi dell'Esecutivo nell'ultimo anno, anche se «dobbiamo fare di meglio e di più». La questione del cambiamento climatico, in altre parole, «deve essere considerata come una delle questione centrali della nostra politica economica, strategica, internazionale. I rischi legati non sono più opinabili, sono rischi presenti».

«Ritiro Usa aumenta nostre responsabilità du Cop21»
La strategia per contrastare il cambiamento climatico e, più in generale gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile del Patto per il clima solennemente approvato due anni fa sono oggi a rischio per il passo indietro della presidenza Trump, da sempre fredda su questi temi. Per Gentiloni, «il fatto che gli Usa si siano tirati fuori dalla cornice del Cop21 non diminuisce ma moltiplica la responsabilità degli altri Paesi. L'Italia e l'Europa devono mantenere gli impegni, fare la loro parte in modo efficace. Prendiamo atto della decisione degli Usa ma non della possibilità che a livello internazionale si faccia qualche passo indietro dall'applicazione» di Cop21, ha poi sottolineato il premier.

«In politica abbiamo bisogno della spinta ecologista»
Il convegno, organizzato dai Verdi, è la prima iniziativa della lista “Insieme” aveva l’obiettivo di trattare tutte le tematiche legate ai cambiamenti climatici per trasformare le proposte scaturite in punti programmatici per la coalizione di centrosinistra. «Considero importante il fatto che una delle radici dell'Ulivo e del centrosinistra decida di impegnarsi» in vista delle Politiche 2018», ha proeguito Gentiloni, che a 30 anni dalla sua prima manifestazione considera «l'attualità dell'impegno ecologista è tutt'altro che assorbita: abbiamo bisogno della spinta ecologista in politica».

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-12-16/gentiloni-clima-questione-centrale-rischi-non-piu-opinabili-124857.shtml?uuid=AEHRSYTD


Titolo: Gentiloni: 'E' tempo di non disperdere i risultati ottenuti' 'Lavoriamo per...
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 12, 2018, 12:12:45 pm
Gentiloni: 'E' tempo di non disperdere i risultati ottenuti' 'Lavoriamo per sfruttare congiuntura favorevole'.

Grandi manovre in vista del voto. Ad Arcore vertice del centrodestra.
Intanto all'Ergife a Roma si riunisce l'assemblea di Liberi e Uguali

Redazione ANSA
07 gennaio 2018

Intanto dalla Festa del Tricolore a Reggio Emilia il premier Paolo Gentiloni invita a non disperdere i risultati ottenuti. Mentre dalle pagine del Corriere il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan non esclude una sua candidatura.

"Non è la stagione delle cicale quella che abbiamo davanti - dice Gentiloni - non può esserci una chiusura impaurita nel piccolo mondo antico delle paure quotidiane: è il tempo di non disperdere i risultati ottenuti". Questo, per il premier Paolo Gentiloni, deve essere l'obiettivo "di tutta la politica in vista prossime elezioni".

"E' il momento di lavorare con convinzione" - ha detto Gentiloni - perché "la congiuntura economica finalmente favorevole possa tradursi in conseguenze positive dal punto di vista sociale e non solo in constatazione di numeri incoraggianti".

"Oltre al testo della Costituzione rendiamo omaggio ai costituenti: a una generazione politica che, uscendo dalla Resistenza e dalla Guerra, discutendo apertamente e liberamente, arrivò a sintesi unitarie che mantengono una straordinaria utilità e attualità, e lo fecero per servire Paese. E' una lezione per tutti noi".

Punti di sintesi nella Carta di cui ricorre il 70/o anniversario, ha detto il premier, furono trovati da persone "che avevano contrapposizioni enormi fra di loro sul piano ideologico, molto più grandi di quelle che vediamo nella politica di oggi". Questo, cioè la capacità dei costituenti di elaborare il testo, fu "il miracolo democratico", da cui il premier auspica si possa prendere spunto anche nell'Italia di oggi.

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Da - http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2018/01/07/gentiloni-e-tempo-di-non-disperdere-i-risultati-ottenuti_8bb7bd88-9557-48b9-98cd-4fdbe8667566.html


Titolo: M. GALLUZZO Gentiloni, via alla campagna soft: L’Italia non giochi a Rischitutto
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 12, 2018, 12:18:12 pm
ELEZIONI 2018

Gentiloni, via alla campagna soft: «L’Italia non giochi a Rischiatutto»
Il premier in tv: noi la migliore squadra di governo. Ho rasserenato il clima, mi chiamano «er moviola». E sull’abolizione del canone Rai lanciata da Renzi: «Se riusciamo a far pagare meno, come in Inghilterra, alcune fasce sociali sia una cosa giusta»

Di Marco Galluzzo

«Gli italiani hanno 3 opzioni davanti a loro, noi, il centrodestra e il partito di Grillo, ed è molto rilevante quello che decideranno. Io confido che possa essere il centrosinistra di governo a vincere questa sfida, rischio di essere spocchioso ma nessuno ha una squadra di governo come la nostra». Paolo Gentiloni in prima serata su Rai1 da Fabio Fazio, ospite a Che Tempo fa, lancia alcuni messaggi e si schermisce sul proprio futuro: «L’impegno che ho preso finisce con le elezioni. Il 4 marzo ci sarà una sfida con tre grandi blocchi e mi auguro che il Pd possa essere il primo, insieme ad i suoi alleati».

Lo scenario di Gentiloni ha una diretta conseguenza, anche questa all’insegna della prudenza istituzionale: se il centrosinistra dovesse vincere «penso che ci possa essere una buona fiducia in questo Paese, poi chi farà il presidente del Consiglio lo deciderà il presidente della Repubblica». Alleanze? Se il Pd non fosse autonomo con chi preferirebbe un accordo, con Berlusconi e con gli altri partiti che stanno a sinistra? «Gli elettori devono essere consapevoli che la scelta è nelle loro mani, in 3 possono avere i numeri per governare, mi auguro che l’Italia non giochi a rischiatutto». C’è anche la consapevolezza del risultato che gli riconoscono gli analisti: «Sono orgoglioso di aver contribuito a un certo rasserenamento del clima politico. Credo che un Paese che litiga troppo e che fra le sue forze politiche non condivida nemmeno alcuni valori fondamentali sia un Paese a rischio. A Roma mi chiamano er moviola, non mi dispiace. E spero che la campagna non sia un festival di paura ma una campagna seria. Se accade credo che il centrosinistra abbia ottime chance di vincere».

Anche la Rai è materia dell’intervista. Renzi ha rilanciato l’abolizione del canone, Gentiloni lo reinterpreta così: «Io credo che se riusciamo a far pagare meno, come in Inghilterra, alcune fasce sociali sia una cosa giusta». Un accenno anche alla vicenda Regeni: «Continueremo a cercare la verità, lo faremo nei confronti del governo egiziano e di qualche paese europeo» non del tutto trasparente. Gentiloni aggiunge di essere «innamorato del nostro Paese». Nel pomeriggio, a Reggio Emilia, aveva detto che l’Italia «è ripartita», ma sarebbe «una responsabilità gravissima» promettere una «stagione delle cicale», perché invece è il momento di trasformare il consolidamento dell’economia «in conseguenze positive dal punto di vista sociale».

7 gennaio 2018 (modifica il 7 gennaio 2018 | 22:44)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/18_gennaio_08/pd-elezioni-2018-gentiloni-via-campagna-soft-l-italia-non-giochi-rischiatutto-rai-95e4cf1e-f3f1-11e7-aa70-8e209e058724.shtml


Titolo: Gentiloni non è così "depresso" come vuole si pensi chi sceglie le sue foto.
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 19, 2018, 12:15:01 pm
Ho conosciuto, di persona, Gentiloni anni fa (per il forum ulivo.it) ovviamente era più giovane.

Gli anni passano per tutti ma so per certo che non è cambiato e non è così "depresso" come vuole si pensi chi sceglie le sue foto.
Soprattutto da quando è il Presidente del Consiglio.


Invito i suoi collaboratori ad una maggiore attenzione e cura.

Seguitare nell'inganno lo si potrebbe considerare una "voluta denigrazione" alla sua persona e una simil-bufala per noi lettori di parole e di immagini.   

ciaooo

Da FB del 18/01/2018


Titolo: Gentiloni e il raid di Macerata: "Giustificazione del fascismo è fuori da ...
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 12, 2018, 06:53:24 pm
Gentiloni e il raid di Macerata: "Giustificazione del fascismo è fuori da Costituzione"

Il presidente del Consiglio è intervenuto all'apertura della campagna elettorale della federazione Pd di Ascoli Piceno.

"Non scambiamo la situazione migratoria che stiamo affrontando con quella della sicurezza"

09 febbraio 2018

Elezioni, Bonelli: "Su Macerata centrosinistra troppo timido. Destra riporta a epoca rastrellamenti ebrei"

SAN BENEDETTO DEL TRONTO - "Il dibattito politico è libero, la giustificazione del fascismo è fuori dalla Costituzione italiana". Lo ha detto il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, durante l'apertura della campagna elettorale della federazione Pd di Ascoli Piceno parlando del raid anti-immigrati a Macerata dopo la morte di Pamela Mastropietro. Il premier ha parlato alla vigilia del corteo antirazzista che si svolgerà domani nella cittadina Marchigiana con la partecipazione dell'Anpi e all'indomani degli incidenti con i militanti di Forza Nuova.

"Abbiamo bisogno di una Immigrazione regolare e sicura. Non è una minaccia", ha detto il premier parlando anche della questione sicurezza e della gestione dei fenomeni migratori. "Non consentiremo e nessuno di minimizzare comportamenti criminali: sono ingiustificabili nell'Italia del 2018. Lo Stato giudicherà con fermezza i colpevoli", ha aggiunto il premier. "Non scambiamo la situazione migratoria che stiamo affrontando con quella della sicurezza", ha poi detto. "Chi soffia sul fuoco trova spazio. Ma noi lavoriamo dalla parte opposta. E se lo faremo avremo la maggioranza dei cittadini".

"C'è bisogno di un governo che non ignori la questione della sicurezza facendo finta che alle preoccupazioni si possa rispondere snocciolando i dati sulla diminuzione dei reati, ma non scambiamo la questione immigrazione, che stiamo gestendo in modo giusto finalmente, con la delinquenza o la criminalità - ha detto il premier -. Oltre alla sfida per una società più giusta dobbiamo fare nostra la sfida della libertà e della società aperta. Io non mi rassegno alla prospettiva di un ritorno dei nazionalismi e delle chiusure. Io non sto dicendo che chi soffia sul fuoco e alimenta la paura non possa trovare un terreno per sviluppare questi veleni. Sto dicendo che noi dobbiamo lavorare contro questi veleni".

L'Italia, per il presidente del Consiglio Gentiloni, ha "davanti una sfida per la libertà". "In modo più sofisticato - ha spiegato - porteremo parole di sfida alla società aperta, libera, con capacità di dialogo e di confronto con culture diverse. Non mi rassegno che questo sia solo un lusso del secolo scorso. Oggi, assistiamo al ritorno di nazionalismi e protezionismi, ma io non mi rassegno a questa prospettiva".

Inevitabile poi per il presidente Gentiloni soffermarsi in particolare sui tragici fatti di Macerata. "Nel rendere regolare il fenomeno migratorio dobbiamo sgombrare il campo dalla questione drammatica dei comportamenti criminali, delle ideologie naziste e razziste che abbiamo visto manifestarsi recentemente a Macerata già colpita dalla terribile vicenda di Pamela Mastropietro - ha spiegato Gentiloni -. A quei fenomeni criminali, a chi spara per strada, rispondiamo con la forza della legge, perché lo Stato c'è e questi comportamenti verranno puniti con severità e rispondiamo con vicinanza a comunità maceratese".

Nessuna giustificazione all'aggressore che ha ferito sei persone secondo il presidente del Consiglio. "Non consentiamo a nessuno di minimizzare o giustificare comportamenti criminali di questa natura - ha concluso -. In Italia questi comportamenti non sono giustificabili da nessun punto di vista. La discussione politica è aperta e libera. La giustificazione di comportamenti criminali e razzisti è fuori dalla Costituzione".

© Riproduzione riservata 09 febbraio 2018

Da - http://www.repubblica.it/politica/2018/02/09/news/gentiloni_e_il_raid_di_macerata_la_giustificazione_del_fascismo_e_fuori_dalla_costituzione_-188455689/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1


Titolo: Napolitano lancia Gentiloni: "Essenziale per la governabilità"
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 22, 2018, 05:45:09 pm
Napolitano lancia Gentiloni: "Essenziale per la governabilità"

L'endorsement del presidente emerito al presidente del Consiglio: "Ha attitudine all'ascolto e al dialogo"

21 febbraio 2018

MILANO - "Paolo Gentiloni è divenuto punto essenziale di riferimento per il futuro prossimo e non solo nel breve periodo della governabilità e della stabilità politica dell'Italia". Lo ha detto il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano alla consegna al premier del premio Ispi, istituito in ricordo dell'ambasciatore Boris Biancheri. Napolitano ha poi sottolineato le "doti decisive" del presidente del Consiglio: "Un'attitudine all'ascolto e al dialogo e uno spirito di ricerca senza preclusioni da ministro degli Esteri e poi da presidente del Consiglio".

Non più di quattro giorni fa a sostenere pubblicamente Paolo Gentiloni era stato Romano Prodi: da una parte l'ex presidente del Consiglio ha rivelato di non votare Pd ma la lista collegata di centrosinistra 'Insieme', dall'altra ha investito, di fatto, il premier Paolo Gentiloni come il più adatto a guidare l'Italia "in un momento difficile, in cui abbiamo bisogno di mostrare un Paese sereno, con idee chiare, che riconosce propri limiti e i propri meriti in Europa e ricostruisce il suo ruolo. Un'Italia che vogliamo sana forte vigorosa".

© Riproduzione riservata 21 febbraio 2018

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2018/2018/02/21/news/napolitano_gentiloni_governo-189381616/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S2.4-T1


Titolo: Gentiloni: "Pd unico pilastro per le riforme"
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 22, 2018, 05:47:41 pm
Gentiloni: "Pd unico pilastro per le riforme"

Il premier durante un incontro a Milano a sostegno del candidato dem Giorgio Gori alla presidenza della Lombardia: "Invece che buttare a mare i risultati raggiunti bisogna fare meglio"

20 febbraio 2018

ROMA - "Vogliamo che il Pd sia protagonista con i nostri alleati nella prossima legislatura" della "seconda fase di riforme". "L'unico pilastro per questa stagione di riforme sono il Pd e i suoi alleati". A dirlo è il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni durante un incontro a Milano a sostegno del candidato del Pd alla presidenza della Lombardia. "Questa - ha aggiunto - è l'unica possibile strada per Italia che non va indietro ma avanti con le sue sfide".

"Sarebbe una follia dopo gli sforzi fatti da lavoratori e imprese per tirarsi fuori dai guai, andare fuori strada e buttare a mare i risultati raggiunti in questi anni: non possiamo permettercelo come Paese". Le riforme fatte durante il governo passato "sono risultati che sono solo una base preliminare per gli obbiettivi che dobbiamo proporci - ha proseguito - guai se confondiamo le cifre del Pil con la situazione delle nostre periferie e comunità". Infatti, in quella che il premier definisce la "seconda stagione di riforme", "per quante cose siamo risulti a fare, anche straordinarie nel campo della di lavoro, ambiente, inclusione sociale e diritti, il catalogo delle cose da fare rimane comunque enorme". La sua esortazione è ad essere "impegnati in una prospettiva futura e non solo nella rivendicare dell'azione svolta fin qui".

Il premier ammette un ritardo culturale sui temi ambientali. "Dobbiamo recuperare un ritardo culturale che non può essere un ritardo del Pd. Il Pd è partito democratico se considera centrale i valori dell'ambiente nei nostri quartieri, con la mobilità sostenibile" porta ad esempio Gentiloni, evidenziando che "su questo temi sono i giovani più avanti di noi".

Sposta poi l'attenzione sulla sicurezza delle periferie. "La qualità del vivere nei quartieri periferici è la condizione fondamentale per recuperare il valore della sicurezza e per contrastare le paure che ci circondano". Le paure dei cittadini vanno "guardate in faccia: inutile immaginare che non ci siano", esse infatti non si limitano ad essere "solo una percezione", secondo il premier, che ha ribadito: "Guardiamole in faccia e diamo delle risposte". Gentiloni ha poi ricordato l'impegno del suo e degli altri governi a guida Pd "contro la criminalità e a favore delle forze dell'ordine sul tessuto urbano", e ha aggiunto: "Abbiamo cercato di sostenere e rafforzare le forze dell'ordine con provvedimenti mai presi prima".

© Riproduzione riservata 20 febbraio 2018

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2018/2018/02/20/news/gentiloni_pd-189330806/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.6-T1


Titolo: Gentiloni in campo, ma oltre il Pd Martina verso la conferma
Inserito da: Arlecchino - Giugno 22, 2018, 06:02:44 pm
POLITICA

21 GIUGNO 2018
Il Sole 24 Ore

L’attivismo dell’ex premier

Gentiloni in campo, ma oltre il Pd Martina verso la conferma
Da quando è uscito da Palazzo Chigi Paolo Gentiloni non si è fermato un attimo. In vista dei ballottaggi di domenica è stato ed è invitatissimo, pressoché unico tra i big del Pd in un momento in cui il “brand” non gode di buona salute. Ieri era a Spoleto, e oggi sarà a Pisa - la roccaforte dem più a rischio - assieme al fondatore del Pd Walter Veltroni, che ha pubblicamente auspicato che Gentiloni prenda la guida del Pd per «ricostruirlo». Un attivismo che va interpretato come una discesa in campo? Per la verità Gentiloni è già in campo. Ma che voglia impelagarsi ora nella gestione del Pd post-sconfitta è tutta altra questione. L’ex premier (che si schermisce con i suoi limitandosi a dire di voler «dare una mano») pensa a se stesso piuttosto come ricostruttore di una larga coalizione di centrosinistra che raccolga tutte le forze “repubblicane” alle prossime elezioni, e magari come candidato premier quando sarà il momento.
Quanto al Pd, il prossimo mese (probabilmente il 7 luglio, anche se c’è chi parla di slittamento a settembre) l’assemblea nazionale deciderà finalmente il percorso da seguire per la scelta del nuovo segretario dopo le dimissioni di Matteo Renzi: o elezione direttamente in assemblea o avvio del congresso anticipato (la scadenza naturale è il 2021) con primarie a fine 2018/inizio 2019. Fino a poche settimane fa la maggioranza renziana sembrava orientata per l’avvio del congresso. Ma in queste ore si sta andando verso un accordo generale - sostenuto anche da Renzi - per la conferma del reggente Maurizio Martina senza scadenze precostituite. In molti tra i dem, infatti, pensano che il governo giallo-verde potrebbe non durare oltre le elezioni europee della prossima primavera. E se si vota tra meno di un anno - è il dubbio - il Pd può trascorrere mesi a litigare per via del congresso? Assieme alla mancanza di candidati forti per le primarie da contrapporre a Nicola Zingaretti (Graziano Delrio, gradito a Renzi, non ha sciolto la riserva), il timore di nuove inutili lacerazioni spinge i vari big nella direzione di una conferma di Martina. Dopo le europee, se il governo andrà avanti, si vedrà.

Emilia Patta

Da – ilsole24ore.com


Titolo: Il primo libro di Paolo Gentiloni, La sfida impopulista, è soprattutto due ...
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 03, 2018, 04:07:16 pm
Davide De Luca
GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2018

La versione di Paolo

Il primo libro di Paolo Gentiloni, La sfida impopulista, è soprattutto due cose: un racconto dei suoi anni da ministro degli Esteri e da presidente del Consiglio e un manifesto per trovare una soluzione a quella che lui chiama la “tempesta populista”.  Tra le due cose è più la prima che la seconda (ed è una fortuna).

Gran parte delle sue 230 pagine sono di fatto un memoriale, dove, come in un realistico romanzo, Gentiloni ripercorre gli episodi salienti degli ultimi anni. Il primo capitolo, ad esempio, si apre con il racconto di quando il paese rischiò di trovarsi orfano del suo presidente del Consiglio poiché un gabbiano era stato risucchiato nei motori dell’Airbus presidenziale che da Ciampino avrebbe dovuto portarlo al Forum di Davos, in Svizzera.

A volte, lo stile incalzante e gli argomenti trattati fanno sembrare il libro del pacato Gentiloni un romanzo d’azione di Tom Clancy. Ad esempio quando racconta il complicato insediamento del governo libico di al-Sarraj, organizzato per mesi dalla diplomazia e dall’intelligence italiane:

È il martedì dopo la Pasqua del 2016. Alle 23.09 ricevo un sms di Giorgio Starace, il mio bravissimo inviato speciale per la Libia: il Consiglio presidenziale, guidato da al-Sarraj, ha preso il largo da quindici minuti. Dopo aver inutilmente tentato per alcuni giorni di raggiungere l’aeroporto di Tripoli, fatto chiudere dal leader islamista Nuri Busahmein che presiede il Congresso generale nazionale (GNC) di Tripoli e controlla la zona dell’aeroporto, al-Sarraj ha deciso il giorno di Pasqua di muoversi via mare dal porto tunisino di Sfax. Il nostro ambasciatore a Tunisi De Cardona collabora creando un contatto con un armatore per provvedere un’imbarcazione di appoggio a quella di al-Serraj. Si tratta sul prezzo. L’arrivo a Tripoli, che toglie il governo di accordo nazionale dalla condizione di governo in esilio è rocambolesco. Un guasto meccanico al largo lo ritarda di alcune ore. Un nostro drone sorveglia dall’alto.

Oppure quando Gentiloni racconta uno dei maggiori momenti di tensione tra governo e PD, quando quest’ultimo iniziò a chiedere che il governatore di Banca d’Italia Vincenzo Visco non venisse riconfermato (come poi invece accadde).

«Mi dicono che il PD vuole presentare una mozione contro Visco…che facciamo?». Alle 13.03 di martedì 17 ottobre da questo sms di Pier Carlo Padoan scopro l’esistenza di un’iniziativa che provocherà una certa tensione nei rapporti tra governo e PD. La mozione in realtà è già stata presentata. Faccio sapere tramite Anna Finocchiaro [ministro per i rapporti con il Parlamento, ndr] che il parere del governo sarà contrario e lo comunico per telefono anche a Matteo Renzi, il quale mi dice di non saperne un gran che.

Non siamo certamente abituati a sentire raccontare i fatti politici dai loro protagonisti in questa maniera realistica e dettagliata ed è un peccato che ad ogni episodio vengano dedicate al massimo una decina di pagine. I lettori saranno attirati dallo spiraglio che Gentiloni apre sul recente passato, ma rimaranno frustrati se sperano di vedergli spalancare la porta. È un difetto inevitabile del libro, dovuto in parte al carattere dell’autore, riservato e poco incline alla polemica (anche se non mancano gli attacchi a Matteo Renzi ad esempio sulla legge elettorale e sulla gestione della vicenda bancaria), ma anche al momento storico in cui è stato scritto.

Le grandi figure politiche del passato si sono dedicate alle loro memorie a fine carriera. Giorgio Napolitano attese fino al 2005, quando oramai tutto ciò che gli rimaneva da fare era essere eletto presidente della Repubblica, prima di pubblicare le sue memorie. E a quel punto, non solo tutti gli altri principali protagonisti della sua storia erano morti, ma era defunto persino il partito di cui aveva fatto parte.

Gentiloni invece, incalzato dai tempi della moderna editoria e dalla velocità dei cicli politici, ha pubblicato il suo libro mentre i protagonisti di cui racconta le vicende sono ancora vivi e politicamente attivi, oltre che impegnati in complesse vicende partitiche (un congresso in cui lo stesso Gentiloni si è schierato apertamente per uno dei contendenti, Nicola Zingaretti). Lui stesso non sembra avere intenzione di ritirarsi dalla scena politica e quindi deve dosare con cura le indiscrezioni che fa ai suoi lettori, ben cosciente che potrebbe presto tornare a lavorare dietro quelle quinte in cui ci ha fatto sbirciare.

Tutti gli eventi narrati sono uniti dal filo rosso che dà il titolo al libro: il tentativo di elaborare una pratica politica alternativa al “nazionalpopulismo”, il vero avversario politico che Gentiloni individua nell’Italia di oggi. «L’onda nazionalpopulista può essere fermata», scrive nella breve conclusione in cui riassume le sue tesi politiche. Bisogna individuare un “blocco democratico” che abbia al suo centro il PD, ma che sia composto anche da altre realtà provenienti dalla società civile.

Questo “blocco democratico” deve abbandonare la narrazione comunicativa dedicata esclusivamente ai “vincenti”, come ha fatto il PD negli ultimi anni, e tornare a occuparsi degli “sconfitti dalla globalizzazione”, riscoprendo almeno una parte della sua anima sociale e solidale, ma senza spostarsi troppo a sinistra. È un punto su cui Gentiloni torna spesso nel libro e che non è nuovo nemmeno nel resto del PD: chi sostiene che la sconfitta del partito sia dovuta a “fake news” e divisioni interne è oramai una minoranza.

La “sfida impopulista” di Gentiloni, quindi, è solidamente radicata nella riflessione politica italiana e internazionale, come dimostrano le innumerevoli citazioni di saggi e studi politici disseminati in tutto il libro (e particolarmente concentrati nell’ultima parte, in maniera forse persino eccessiva: un minor numero di citazioni e una maggiore rielaborazione originale di quei temi avrebbero forse giovato alla scorrevolezza della parte più difficile del libro).

Il contributo originale che Gentiloni porta al dibattito è quello tratto dalla sua esperienza di governo, il suo tentativo (per quanto breve e incompiuto) di rispondere da un lato ai timori degli elettori (è sotto il suo governo che i flussi migratori sono stati di fatto bloccati e che vengono approvati sussidi contro la povertà come il REI), dall’altro di offrire un linguaggio diverso, pacato e rassicurante, alle intemerate dei nazionalpopulisti, ma anche a quelle di una parte del suo stesso partito.

Davide De Luca
Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca

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