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Titolo: Vittorino ANDREOLI: "Il Referendum? Una battaglia di isterici convinti che i ...
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 05, 2016, 12:47:09 pm
Intervista a Vittorino Andreoli: "Il Referendum? Una battaglia di isterici convinti che i problemi dell'Italia siano legati al Senato"

L'Huffington Post | Di Nicola Mirenzi
Pubblicato: 02/10/2016 16:18 CEST Aggiornato: 1 ora fa ANDREOLI

La campagna del sì e del no al referendum vista da Vittorino Andreoli: “È una battaglia tra isterici convinti i che i problemi dell’Italia siano legati alla definizione delle prerogative del Senato, mentre le persone impoveriscono, perdono il lavoro o non lo trovano mai”. La malattia da cui l’Italia deve guarire: “L’egocentrismo dei suoi cittadini e il masochismo degli elettori che scelgono persone incapaci di governarle”. La politica: “Un laboratorio interessantissimo per studiare la stupidità umana”.

Notissimo come psichiatra, celebrato come criminologo: pochi, invece, conoscono il lato di terapeuta “politico” del professor Vittorino Andreoli, raccontato insieme alla sua vita da scienziato puro e il suo amore per la scrittura ne “La mia corsa nel tempo” (Rizzoli, 556 pagine, 22 euro): “Romano Prodi – racconta all’Huffington Post – mi chiama dopo il primo duello televisivo con Silvio Berlusconi, da cui uscì sconfitto, e, in lacrime, mi chiede di sostenerlo mentalmente nella campagna elettorale, parlandomi della paura che aveva sentito nel trovarsi di fronte a un avversario disonesto e spregiudicato, e della delusione che la sua performance aveva provocato nella sua coalizione”. E ancora: “Durante Tangentopoli ho seguito ventisei o ventisette casi di uomini politici affetti dalla ‘sindrome dell’avviso di garanzia’, cioè il terrore che da un momento all’altro gli arrivasse quella cartolina che avrebbe rovinato improvvisamente la loro vita”, facendogli perdere il potere, ossia “la più grave delle malattie sociali”.

Addirittura, professore?
Io odio il potere, e sono consapevole che la parola odio sia un eccesso. Ma l’idea che io possa fare una cosa e dunque la faccia senza curarmi delle conseguenze che ha, è aberrante. Nega l’altro. Lo riduce a oggetto da dominare. Io, invece, credo nella relazione.

Michel Foucault, però, diceva che anche il potere è una relazione: c’è chi domina e chi si fa dominare.
Il potere ha bisogno dell’altro per esercitare il suo dominio. E, certo, riconosco che c’è un godimento anche nel farsi dominare. Ma è il potere, comunque, che ti obbliga a chinare il capo e obbedire.

Che malattie ha la politica oggi?
Dopo Tangentopoli, la politica ha creato un criterio di selezione della classe dirigente basato sul primato dei peggiori: meno si è dotati di capacità, umanità e generosità, più si è portati per farla. La politica è diventata un laboratorio interessantissimo per studiare la stupidità umana.

Possibile che siano tutti stupidi?
Sono persone povere, che non sanno sognare, capaci di guardare solo alla propria piccola dimensione. Personalmente, sono spaventato dall’idea che si ritenga qualcuno adatto ad amministrare la cosa pubblica semplicemente perché non ha mai rubato.

C’è della follia in questo?
La malattia è sofferenza. È fatta di una materia fragile, che è poi la materia che definisce la condizione umana. La politica oggi, invece, è priva di sentimenti. La destra, la sinistra: sono maschere dietro cui si cela la stessa identica vacuità. Siamo al trionfo della superficialità, del bisogno di dominare. Se lei ci fa caso, amano il potere anche quelli che dicono di odiarlo.

C’è un corrispettivo clinico di questa “sindrome”?
È delirio di grandezza, che al suo stadio massimo arriva alla paranoia, come accadde con Hitler, Stalin, Mussolini. I leader di oggi hanno di sé un’immagine enorme, che non corrisponde al loro reale valore.

La politica dei nostri padri era più alta?
Mio padre, per me, è rimasto un punto di riferimento anche dopo la morte. E sa perché? Perché non era un uomo di potere, bensì una persona autorevole. È questo che abbiamo perso: l’autorità. Che è guidata dal sentimento e dal desiderio di guidare gli altri. Il potere, invece, è un cinico calcolo aritmetico ed economico, di cui le banche sono un esempio. All’Italia servirebbe una classe politica disposta a dedicarsi a un paese smarrito, che ha bisogno di essere condotto nel futuro.

Lei ha scritto saggi che sono stati molto venduti. I suoi romanzi, invece, non hanno avuto lo stesso successo. Questo le dispiace?
La società ti cuce addosso delle categorie che rendono difficile mostrarsi per quello che si è. Io sono stato circondato da fama, sono uno degli psichiatri italiani più noti, un criminologo riconosciuto, eppure c’è una parte di me che non è mai apparsa al pubblico: è quella dello scrittore di romanzi, che è poi la parte di me più ricca di fantasia e fragilità, il mio più vero io. Purtroppo, la società dà una definizione di te – nel mio caso, psichiatra – e non è disposta ad accettare che tu sia anche altro. I miei romanzi, infatti, non sono stati né stroncati né esaltati: sono stati completamente ignorati.
Con internet le cose sono migliorate?
No, anzi. Pensi che navigando, una volta, ho scoperto che c’era qualcuno che sosteneva che io fossi nato in Calabria, ma siccome odio il sud ho sempre mentito, dicendo di essere nato a Verona. È assurdo che la tua identità venga così distorta. Internet è una cloaca. Rappresenta la fine della civiltà occidentale.

Non starà esagerando?
No, perché il web non applica più a logica razionale, che parte dal dubbio e genera delle ipotesi sulla realtà. Ha una logica binaria: o sì, o no. Perciò, fornisce delle pseudo-certezze. Dà stimoli che suscitano emozioni, ma non crea sentimenti, cioè legami.

Cos’è che l’affascina del crimine?
Nella mia vita mi sono trovato di fronte a persone come Donato Bilancia, che ha ucciso diciassette innocenti in sei mesi, e a Pietro Maso, un ragazzo di diciannove anni che ha ucciso il padre e la madre per comprarsi una BMW. Sono stato spaventato e attirato da loro. E mi sono chiesto cosa li avesse condotti fino a compiere quei gesti. È in questo che consiste il fascino: nel trovarsi di fronte a un caso estremo e cercare di comprenderlo.

E cosa ha capito?
Che anche nei territori più lontani, nei gesti più inaccettabili e nel criminale più sanguinario, si ha a che fare sempre con l’uomo.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/10/02/intervista-andreoli_n_12293492.html?utm_hp_ref=italy