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Titolo: Fulvia Caprara. Slow Food, la rivoluzione si fa mangiando
Inserito da: Admin - Maggio 08, 2013, 05:39:33 pm
spettacoli
08/05/2013 - il caso

Slow Food, la rivoluzione si fa mangiando

La rivoluzione di Slow Food arriva al cinema

Il film di Sardo sull’epopea di Carlin Petrini

Fulvia Caprara

Roma


L’importante è la nonna. Ma anche la stufa a legna «dove si scaldava l’acqua per cucinare e per fare il bagno nella tinozza», la «zuppa al latte con il pane raffermo», «l’amaro della pellicina dei pomodori» che solo l’«amorevolezza» di quelle antiche signore riusciva a far digerire ai bambini di un tempo. Oltre che fondatore di Slow food, leader carismatico del movimento del nutrirsi bene, condottiero capace di guidare le sue truppe all’insegna della gastronomia buona e giusta, da Bra fino all’altro capo del mondo, Carlo Petrini è un grande affabulatore. Nei suoi racconti, il cibo, la Terra, le «carote che in Italia costano 7 centesimi al chilo», le «sementi autoctone» e le «baguette» francesi che invano hanno tentato di stabilire la loro supremazia nel caldo africano, diventano protagonisti di un affascinante romanzo d’appendice. Una storia infinita che parla di noi, della possibilità di sopravvivere nonostante l’incuria, la miopia e la voracità con cui finora è stato trattato il pianeta dove siamo nati: «In questo momento di crisi c’è bisogno di nuove riflessioni. Pensare al cibo significa rendersi conto dell’insensatezza dell’aver chiesto alla nostra terra sempre di più, senza riflettere sulle conseguenze. Abbiamo perso specie animali, tipi di frutta e di verdura, e, tra pochi anni, mancherà l’acqua...I beni alimentari fanno parte della cultura del nostro Paese , bisogna cambiare l’economia, mettere questi temi all’ordine del giorno, come già avviene in America.Purtroppo, per ora, lì si fa la rivoluzione e qui si dorme».

 

Per dire tutto questo, e per spiegare come è nata, 25 anni fa, e poi cresciuta, la battaglia del mangiare lento, Stefano Sardo, nato a Bra, come Petrini, nel 1972, ha girato Slow Food Story, 73 minuti di interviste, testimonianze, immagini dedicate all’«avventura di un gruppo di amici di provincia, fatta di “bischerate”, passioni politiche, ristoranti, riti contadini riesumati, vino, viaggi, scommesse». Una vicenda, soprattutto, di «costanza, perchè per fare una cosa come l’hanno fatta loro bisogna proprio essere testoni». Petrini, che ha il dono raro di volare alto, ma anche di saper planare velocemente verso il basso, minimizza e la spiega così: «In fondo il film ci è costato poco, solo una confezione di savoiardi. Ma devo dire che quei biscotti ci hanno reso tantissimo». Un attimo dopo, ai giornalisti interdetti, chiarisce: «Sì, la solita scatola di savoiardi che si porta alle puerpere e ai malati, noi l’abbiamo regalata alla madre del regista quando è nato, ed ecco il risultato». 

 

Presentato in anteprima nella sezione Kulinarisches Kino dell’ultima Berlinale, Slow food story arriva nelle sale il 30 maggio distribuito da Tucker Film e Indigo Film che l’ha prodotto. Dopo andrà in tv, a «Doc3», una collocazione di nicchia, nell’unica rete Rai, la terza, che ha accettato di programmare il documentario. E questo nonostante il tripudio di cuochi e gare gastronomiche che inonda il piccolo schermo negli ultimi tempi. Insomma, un’opera così poteva sicuramente meritare di più: «Ci hanno detto di no - risponde il produttore Nicola Giuliano -. In televisione c'è una sola legge, ed è quella di quante persone s’immagina vedranno un programma. Tutto il resto non conta, è la politica culturale del nostro Paese, tendente alla de-alfabetizzazione e al non vedere mai oltre il proprio naso». Petrini, convinto che invece il film farebbe ascolti, sostiene che quell’orgia televisiva di chef, cappelli bianchi e fornelli, in realtà, non serve a niente: «Per cambiare le cose bisogna fare le alleanze, oggi, in America Latina, i grandi chef sono impegnati in quella che io chiamo “gastronomia della liberazione”, ovvero rigenerazione del cibo, praticata anche andando a cucinare nelle favelas». E poi, prosegue il «lider maximo» di Slow food, «questi nuovi cuochi trattati come “maître à penser” non rendono giustizia alle donne che da sempre, in ogni parte del mondo, hanno saputo preparare piatti con la sapienza e con il poco». Partendo da loro si arriva ovunque. Ma piano, dolcemente, come la lumaca di Slow food.

da - http://www.lastampa.it/2013/05/08/spettacoli/slow-food-la-rivoluzione-si-fa-mangiando-GHZT7jy78Hieg1Y40gBjvL/pagina.html