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Titolo: Elisabetta Rosaspina. - L'ultimo no di Nabila e Fariba vittime del codice ...
Inserito da: Admin - Marzo 13, 2013, 11:40:09 am
L'ultimo no di Nabila e Fariba vittime del codice d'onore afgano.


di Elisabetta Rosaspina

Uno spolverino chiaro, un abito color malva, una maglietta in tinta, due scialli, uno a righe e l’altro a fiori rosa. Non resta molto altro di Nabila e Fariba, due giovani sorelle afgane di Mazar -i-Sharif, nel nord del paese, ai loro disperati genitori. La tradizione, ancora lei, impone alla famiglia di regalare gli effetti personali dei morti, salvo un paio di vestiti. E la tradizione, sempre lei, aveva messo le due sorelle una contro l’altra. La più piccola, Nabila, 17 anni, difendeva con la forza dell’illusione il suo diritto a innamorarsi.

Meglio: a innamorarsi di chi voleva, come aveva visto accadere alle sue eroine in tivù. La più grande, Fariba, sapeva già che non sarebbe stato possibile, che quel ragazzo incontrato da Nabila fuori dai circuiti tradizionali non avrebbe superato l’esame dei genitori e che prima si fosse interrotta la relazione, meglio sarebbe stato per tutti.

Nabila e Fariba si volevano molto bene, anche quando litigavano a pieni polmoni.

Però in Afghanistan la tradizione, di nuovo lei, non consente alla sorella minore di rimbeccare la maggiore, di mancarle di rispetto. Così, senza nemmeno conoscere i termini della disputa, la madre delle due ragazze era intervenuta a sedare la lite secondo le regole vigenti: due schiaffi alla piccola insubordinata.

Magari era successo altre volte, magari tutto si sarebbe appianato prima di sera, se Nabila non avesse sentito bruciare, sulle sue guance in fiamme, il suo orgoglio di piccola donna; e le sue speranze di cambiare un destino già scritto. Chissà, forse ci sarebbe riuscita invece. Forse il capo famiglia, Mohammed Gul, uno stimato pubblico ministero di ampie vedute, e i suoi fratelli avrebbero ascoltato le sue ragioni, e i suoi sentimenti. Come avevano accettato i loro blue jeans, i loro telefonini, quel velo di trucco.

Invece Nabila ha preso dalla dispensa del padre la scatola del veleno per topi e ha fatto quello che centinaia di ragazze come lei hanno cominciato a fare negli ultimi anni in Afghanistan: «La maggioranza di loro non muore, ma tutte ricorrono al veleno e perlomeno minacciano di uccidersi. È il loro grido di protesta» ha raccontato al New York Times il primario di Medicina Interna, dottor Khowaja Noor Mohammad, dell’ospedale in cui è morta Nabila.

E poche ore più tardi sua sorella Fariba. Nabila ha probabilmente sbagliato dose, voleva soltanto spaventare la sua famiglia; Fariba no. Non voleva vivere con il senso di colpa che sua madre, con disinvolto voltafaccia, le aveva già addossato: «Se Nabila muore, la responsabilità è tua». E per uccidersi, allo stesso modo, Fariba ha scelto il pavimento immacolato della Moschea Blu, il monumentale santuario al centro della città, luogo perfetto per espiare.

Al padre, colto da infarto alla morte di Nabila, della quale aveva tenuto la mano durante tutta l’agonia, è stata nascosta la fine della figlia maggiore fino al momento delle esequie, quando si è trovato di fronte due bare, anziché una. Per la società afghana più illuminata, cui anche lui appartiene, quel moltiplicarsi di feretri è diventato un simbolico campanello d’allarme: le due sorelle Gul rappresentano tutte le giovani donne che preferiscono morire come topi piuttosto che vivere in una gabbia. E che non hanno paura di contorcersi dal dolore, anche sapendo di sopravvivere, piuttosto che accettare di piegare la testa per sempre.

da - http://27esimaora.corriere.it/articolo/lultimo-no-di-nabila-e-faribavittime-del-codice-donore-afgano/