Titolo: DIARIO TRI/VENETO (2) Inserito da: Admin - Settembre 02, 2007, 04:07:52 pm Domenica, 2 Settembre 2007
Si aspira al sacro non per diritto nè per dovere, ma come inevitabile bisogno esistenziale, quella necessità di sublimare e di spiegare le idee che transitando al di là dell'essere e al di là di ciò che la razionalità o la razionalizzazione da sempre dispiega e interpreta con o senza la complicità della scienza. Il sacro e la sacralità stanno dirimpetto alla spiritualità e allo spirituale e sono fortemente in antitesi con tutto il mondo dell'organizzazione e dell'interpretazione che sta all'interno delle religioni. Le tentazioni C'è inoltre il senso del sacro che si manifesta e si caratterizza per i simboli, i rituali, i dogmatismi che nella storia dell'umano sono stati veicolo della sua stessa origine. E oggi c'è tuttavia nel tessuto sociale e nei comportamenti un conflitto in atto tra il bisogno di sacralità e negazione e fallimento dell'immagine di riferimento, identificazione e testimonianza non solo della sacralità, ma della stessa spiritualità che è sia dogmatica che laica. Don Sante, la presunzione egocentrica di essere portatore esso stesso di un'idea di sacro intrisa di pulsioni, bisogni, diritti che nulla hanno a che fare con la spiritualità e le sue rappresentazioni, che se le sposi, se diventi sacerdote, mago, stregone, guru, è irrilevante il nome, ma di fatto se scegli di rappresentare la sacralità la devi conoscere, sostenere, amare, non declinarla nella sconfitta spesso pulsionale che nel corso della vita molti uomini, grandi o piccoli, rappresentanti della fede di tutti i tempi possono tradire, subire e modificarne le sue stesse iniziali passioni. È l'abito che non fa il monaco, mai massima fu più veritiera e mai come oggi è pesante la sconfitta per la fede, per le religioni, per le rappresentanze e si va dai pedofili americani a quelli nostrani, dagli innamoramenti urlati di forza e democraticità al delitto sociale planetario nei fondamentalismi. L'uomo si impossessa del sacro e lo violenta con un umanesimo consumistico che nulla ha a che fare con quei meccanismi interiori da un lato e ancestrali dall'altro e fa sì che l'individuo si emozioni di fronte all'incognita della vita, si intreccino gli universi emotivi dell'anima e del pensiero guardando il cielo e le stelle come la via della conoscenza, quella a cui si aspira da sempre, ma che non potendo essere intrappolata dalla ragione, dal razionale, dal certo e assoluto, diventa sacro, ossia l'inviolabilità della conoscenza dell'universalità della nostra stessa appartenenza. Il problema non è certamente il don Sante padovano di turno, con storia diversa dal più algido ed enigmatico Milinko, è in realtà il bisogno di lacerarne inconsciamente il tabù del sacro, violarlo e mutuarlo nella barbarie delle pulsioni, agognata aspirazione del relazionismo dell'ultimo nostro decennio, ma in realtà il tentativo di toglierci l'angoscia dell'esistenza educendo e facendo sì che l'individuo sia incapace oggi di potersi esprimere nella diversità proprio insita nella capacità di vivere di spiritualità andando oltre alla forma stessa molto più rassicurante dei nostri bisogni. E così se da un lato le religioni inseguono l'uomo, con la paura di perdersi e di perdere potere contrattuale oltre che spirituale, da un altro lato l'umanità è alla ricerca spasmodica proprio di sacralità dentro l'umanesimo, ma è il rigore, la capacità di rinunciare alle pulsioni, l'ascetismo caro alle grandi figure come Gandhi, i profeti, i santi che rinunciano alla paura riduttiva della morte, spiritualità ed eroismo dove la fede in realtà è la capacità di non invadere con l'ossessione della risposta e del controllo la nostra vita, la fede è un'occasione di affermare alternative alla nevrosi e alla fatica della vita stessa. Alla base della catastrofe del sacro, lacerato e condannato per ora all'esilio, c'è il meccanismo dell'onnipotenza, il dominare gli altri, il possedere lo stupore e l'ammirazione, meccanismi psicologici il cui danno l'ha vissuto persino madre Teresa di Calcutta e che la spiritualità è quella grande capacità di andare oltre se stessi e diventare così motivo e possibilità di identificazione e modello di vita indispensabile per renderla più sostenibile. È il peccato originale mai superato e ben compreso l'ossessione di tutti coloro che, per non condannare il disastro e l'incapacità, trasformano un fallimento in un'apoteosi dove l'amore non c'entra nella paternità, nella moralità, ma è un semplice beffardo trucco per non dire a chi ha bisogno di credere che l'errore e la debolezza, se guardati con coraggio, sono la vera via verso il sacro, che non è il tabù del nuovo millennio, ma l'autentica rivoluzione del futuro. Vera Slepoj da gazzettino.quinordest.it Titolo: ... Della sofferenza che la vicenda ha creato nei genitori del parroco... (!?) Inserito da: Admin - Settembre 03, 2007, 06:45:47 pm Don Contarini parla della sofferenza che la vicenda ha creato nei genitori del parroco
«Un incontro con il Vescovo per trovare il coraggio della verità» Aldo Comello Villani: nessuna speculazione con la Curia, la casa l’ho comprata altrove La vicenda del parroco di Monterosso fa venire in mente il film «Lo spretato», regista il francese Leo Joannon. Tratta un problema che, nell’ispirazione di Franois Mauriac, ha stuzzicato la sensibilità del cattolicesimo francese, con la profondità del sentimento, con la dignità dei voti sacerdotali, con la quotidiana bagarre tra fede e problemi del secolo. Non un capolavoro quello di Joannon: enfatico e melodrammatico con qualche sdrucciolata nel ridicolo. Ma ebbe comunque, ai suoi tempi, un impatto formidabile: il tema del prete che si innamora o che devia e getta la tonaca alle ortiche stimola curiosità e finisce per saltare a piè pari il mare di sofferenza che, di solito, caratterizza queste situazioni. Don Cesare Contarini, direttore della Difesa del Popolo, settimanale diocesano, sottolinea quell’aspetto doloroso che è rimasto fuori dall’occhio del ciclone mediatico. «La sofferenza del vescovo, profondamente addolorato, dei preti, dei laici, della comunità cristiana, dei genitori del sacerdote con i quali Mattiazzo si è incontrato. Un vulnere profondo è stato inferto all’immagine dei preti che si spendono in silenzio, offrendosi con dedizione e alla loro comunità». Di fronte all’effetto distruttivo di una notizia che si è gonfiata come una bubbone ed è esplosa in schegge del tutto marginali, in pettegolezzi, in commenti anche irridenti e irriverenti, secondo Contarini il rimedio sta nel trovare la misura del rispetto e il coraggio della verità. Sarà probabilmente risolutivo l’incontro tra Sguotti e il vescovo; finora il sacerdote si è negato, ma non potrà farlo a lungo. E l’esito dovrebbe essere di chiarezza. «Dal colloquio - dice Contarini - nasceranno le decisioni successive. In base alla presunta paternità e all’annunciato «fidanzamento», allo stile di rapporto tra un prete e il suo vescovo, al rispetto della comunità cristiana di Monterosso». E’ facile da prevedere il trasferimento di don Sguotti, magari per un periodo sabbatico, per rivedere tutta la situazione e recuperare tranquillità interiore. Punto cruciale: non si può non verificare se il bambino sia geneticamente figlio di don Sguotti e non magari figlio dell’anima, creatura su cui il sacerdote riversa sentimenti paterni. Su questo non devono esserci equivoci o doppie verità. Il celibato dei preti non è dogma, non è articolo di verità rivelata, nei vangeli non se ne parla. Il celibato ecclesiastico si affermò gradualmente, congruo alle esigenze spirituali e pastorali del sacerdozio, una sorta di patto di dedizione esclusiva al servizio. Esso fu fissato nel concilio di Elvira in Spagna all’inizio del quarto secolo, come condizione per essere ammessi alla consacrazione sacerdotale. Nel concilio romano del 386 papa Siricio promulgò una legge dello stesso segno per estendere l’obbligo del celibato a tutta la Chiesa. «Non è un dogma il celibato ecclesiastico - dice don Giancarlo Minozzi, presidente onorario della Fondazione Lanza e presidente del consiglio di amministrazione del gruppo editoriale della Difesa del Popolo - ma fa parte della normativa ecclesiastica, è legge della Chiesa, la consacrazione prevede il voto di castità che non può essere violato». E in effetti il procedimento disciplinare scatta anche senza la prova. Nella vicenda di Monterosso, poi, il fumus mediatico ha fatto assumere alla vicenda le dimensioni dello scandalo, ma nello stesso tempo ha messo in evidenza la dicotomia che minaccia di «mangiare» il prete: l’efficacia del suo apostolato, il suo carisma nella comunità di cui è guida, la dipendenza dalla gerarchia della Chiesa. Non è detto che il caso di don Sguotti sia sintomatico di un disagio più generalizzato che coinvolge parte dei pastori della Diocesi, e tuttavia una recente ricerca rende conto di una situazione di particolare delicatezza. La ricerca, con 319 questionari distribuiti tra 450 sacerdoti diocesani è stata realizzata dal docente di psicologia don Pierlugi Barzon, affiancato da Giorgio Ronsoni e Marcantonio Caltabiano, e pubblicata sulle pagine del settimanale diocesano. Dall’analisi risulta che le tipologie di moda (maggior frequenza) sono date dai 124 per cui tutto va bene e da altri 124 che risultano «bruciati» (il fenomeno si chiama burnout). Si trovano cioè in sofferenza di fronte a un impegno complesso per la spartizione tra esigenze della gente e direttive dell’autorità ecclesiastica, sviluppano una stanchezza cronica che si traduce in un collasso emotivo e nella graduale spersonalizzazione della propria attività. Secondo alcuni interpreti influisce anche, per certi caratteri, la solitudine affettiva connessa al celibato e l’implosione degli obiettivi. Sono in programma incontri formativi e un graduale ridisegno dei ruoli, provvidenze rivolte soprattutto ai sacerdoti più giovani. Don Sguotti è affetto dalla sindrome del buon samaritano deluso? (03 settembre 2007) da espresso.repubblica.it Titolo: Venezia = Splendida sfida al remo, pessimo dopo-gara. Lite furibonda sul palco. Inserito da: Admin - Settembre 03, 2007, 06:47:47 pm Splendida la sfida al remo, pessimo dopo-gara.
E ad alcuni dei protagonisti saltano i nervi Igor: «Cacciari, vieni qui». Il sindaco: «Questa la paghi» Lite furibonda sul palco. Il filosofo sbotta: «Basta, stavolta vanno fermati tutti per un anno» D’Este velenoso con i rivali: «Forse si sono stancati di vogare e allora ci rovinano» «Ehi, Cacciari! Non scappare, vieni qui». Igor Vignotto ha cominciato così, pochi secondi dopo il traguardo, il suo pesante attacco a organizzazione, giuria e rivali in quello che sarà ricordato come il peggior dopo gara della storia moderna della Storica. «D’Este-Tezzat non dovevano neppure gareggiare perché sono in attesa di giudizio. Ma la Commissione non si è riunita perché ha paura di D’Este», sbraita Igor in faccia a Cacciari. «D’Este-Tezzat non dovevano neppure gareggiare perché sono in attesa di giudizio. Ma la Commissione non si è riunita perché ha paura di D’Este», sbraita Igor in faccia a Cacciari. «Basta, avete finito di vogare! Vi avevo avvisato, ora avete superato ogni limite», ribatte coraggioso il sindaco prima che Igor scarichi la rabbia sulle bandiere per i vincitori, scaraventate in acqua, dopo aver aggredito pure Piero Rosa Salva. I Vignotto sono furiosi, ma mentre Rudy, nero in volto, rimane a poppa del gondolino, a sfogarsi per due è Igor che a un certo punto, assediato da giornalisti e vigili urbani, rischia di far affondare il pontiletto che per qualche secondo sbanda paurosamente. «E’ pazzesco, siamo arrivati ai peggiori livelli del calcio», aggiunge Cacciari con gli occhi fuori della testa mentre affiancato da un allibito Salvadori e dal vicesindaco Vianello che chiede lumi alla giuria. Alla fine arriva un giudice che spiega: «Abbiamo richiamato i Vignotto al paletto e D’Este-Tezzat a San Marcuola. L’arrivo ufficiale è quello che avete visto». Ma dalle scarne spiegazioni sembra di capire che la giuria è scontenta del comportamento di entrambe le coppie tanto che il sindaco sentenzia subito: «Vanno fermate tutte e due le coppie per un anno». Igor riprende: «Io tanto non vogo più. E’ uno schifo! Nel calcio le commissioni ci mettono 2 giorni a decidere e qui impiegano settimane». Dietro di lui D’Este ribatte: «Non chiedete a noi perché la giuria ha tempi lunghi. Piuttosto se Igor ha deciso che nessuno gareggi più, gli faccio i complimenti perché è riuscito nell’intento di rovinarci tutti. Ma forse è stanco di vogare...». «Andavano squalificati durante la gara e poi alla fine hanno tentato di agganciarmi col remo. La giuria ha visto tutto», aggiunge Tezzat. Questo l’assurdo epilogo di quella che è stata una delle più belle regate di sempre, col lungo testa a testa dei gondolini arancio e rosso addirittura affiancati, da San Stae fin quasi all’arrivo, dagli strepitosi Bertoldini-Vianello. «Abbiamo dimostrato d’essere al loro livello, ma non possiamo essere contenti per quello che è successo. Ormai - spiega Bertoldini - i Vignotto e D’Este-Tezzat vanno alla stessa velocità, c’è grande rivalità e agonismo e basta un niente per far scatenare le polemiche. Se la giuria ha perso il controllo delle regate? Forse un po’. Per evitare contestazioni si potrebbero cercare giudici assolutamente slegati dal mondo della voga». (03 settembre 2007) da espresso.repubblica.it Titolo: Vicenza fuori dall'Unesco Inserito da: Admin - Settembre 13, 2007, 10:19:58 pm Giovedì, 13 Settembre 2007
Istanza legata a Camp Ederle 2 Vicenza fuori dall'Unesco Rigoni Stern primo a firmare Vicenza Dopo mesi di intenso lavoro che ha mosso centinaia di persone da tutta la provincia di Vicenza per realizzare l'opera "The wandering cemetery", il cimitero itinerante, Alberto Peruffo, incontrerà i vicentini in corso Palladio e in piazza dei Signori per illustrare l'istanza "Vicenza fuori dall'Unesco", documenti scritto a più mani come estremo tentativo di informare i cittadini sui reali e immediati pericoli che corre la città con la messa in opera della base Dal Molin. Gli autori dell'istanza sono convinti che sia un difetto di informazione e di conoscenza della propria storia che porti a credere che la costruzione di una nuova base militare all'interno del tessuto urbano sia un vantaggio e un fatto irreversibile. Con documenti storici alla mano, l'istanza dimostra con logicità disarmante l'impossibilità per Vicenza di conservare il Patrimonio Mondiale dell'Unesco. L'istanza è rivolta a far riflettere tutti i vicentini, siano essi di destra o di sinistra, senza distinzione di clase, condizione e credo, che dovranno prendere atto dell'uscita di Vicenza dall'Unesco nel momento in cui sarà messa in opera la base Dal Molin, con i relativi e verificabili danni economici, sociali e culturali. Questo è ciò che dovrebbero capire i vicentini e tutti gli italiani, ovvero sia "nel convento altrui non si porta la propria regola", come ha siglato Mario Rigoni Stern, primo firmatario dell'istanza. La raccolta di firme procederà su più fronti, locali e nazionali, mentre otti alle 10.30 l'istanza verrà distribuita ai cittadini tra corso Palladio e piazza dei Signori. da gazzettino.quinordest.it Titolo: Rutelli è venuto a Schio ... Inserito da: Admin - Settembre 15, 2007, 10:43:16 pm Schio NOSTRO INVIATO «Toh... una pecora pacifista». Nella vecchia portineria della Fabbrica Alta della Lanerossi a Schio, diventata ormai un monumento dell'archeologia industriale tessile, il vicepremier Francesco Rutelli si ferma per un attimo, colpito dai colori del vello che ricopre l'ovino dall'aria mite, che lo guarda mansueto con i suoi occhi formati da un paio di bottoni verdi. È una delle molte copie variopinte delle pecore, che un tempo resero ricca di opifici questa terra, realizzate da decine di artisti per l'anniversario dei due secoli e mezzo di vita del Lanificio Conte. È l'opera di Matteo Gaule che ha utilizzato mille batuffoli di lana, dai colori dell'arcobaleno, che ora sembrano quasi irridenti visto che il ministro dei Beni Culturali sta per affrontare a Vicenza le contestazioni dei No-Dal Molin. Rutelli è venuto a Schio per prendere visione dei lavori di recupero del Teatro Civico e di ciò che rimane dell'architettura che nell'Ottocento disegnò una delle città famose in Italia per la produzione della lana. Ma dopo aver risposto alle richieste del sindaco Luigi Dalla Via, assicurando l'interessamento del Ministero per inserire tra i programmi il restauro del teatro, è inevitabile che risponda, in anticipo, ai motivi della contestazione. A Vicenza le hanno preparato un'accoglienza piuttosto rumorosa, anche perchè è il primo rappresentante del governo che arriva dopo il via libera ufficiale alla nuova base americana. «Io sono qui per valorizzare il teatro italiano e la cerimonia di consegna degli oscar al teatro Olimpico è un appuntamento importante, l'appuntamento più importante per tutto il teatro italiano». Ma da dieci giorni si stanno preparando a darle il benvenuto con pentole, coperchi e fischietti. «Penso che faccia parte della democrazia non condividere una scelta e protestare. Sono rispettoso di chi la pensa in modo diverso. Ma la scelta sul Dal Molin è stata ormai presa dal governo e dal parlamento». Un anno fa lei però aveva lasciato intravvedere qualche possibilità di stop al progetto. «Un anno fa venni nella stessa occasione e dissi che attendevamo il pronunciamento della città di Vicenza e del consiglio comunale. Così è avvenuto e noi abbiamo rispettato gli impegni internazionali assunti dall'Italia». Ma la contestazione non si è placata. «È in corso un lavoro molto serio affidato al commissario Paolo Costa. E mira a raggiungere tre obiettivi importanti». Il primo? «Mitigare l'impatto dell'opera con una localizzazione delle costruzioni che deve essere fatta in modo da incidere il meno possibile con la città e con la congestione del territorio». Il secondo? «Remunerare la città di Vicenza per questa decisione, con opere pubbliche attese e utili, come ad esempio la realizzazione della tangenziale». Infine? «C'è una questione di trasparenza. Bisogna spiegare che l'impatto della nuova base al Dal Molin è molto, molto, ma molto più ridotto di quanto si sia fatto credere alla cittadinanza. La maggioranza della popolazione ha diritto ad avere risposte in ordine a preoccupazioni e allarmi della città». Molti nel centrosinistra sono delusi. «I passaggi di questa vicenda sono sotto gli occhi di tutti. Ma se qualcuno è completamente contrario alla base, forse rimarrà tale». G. P. da gazzettino.quinordest.it Titolo: Guerra del racket, barca in fiamme a Venezia Inserito da: Arlecchino - Settembre 16, 2007, 07:28:04 pm Appartiene a Loris Trabujo, motoscafista di Cannaregio coinvolto nell’inchiesta sui presunti atti di illecita concorrenza con violenza e minacce al Tronchetto
Guerra del racket, barca in fiamme a Venezia Un lancione adibito al trasporto di turisti è stato incendiato nella notte nel canale del Fasiol dietro l’isola della Giudecca Venezia NOSTRA REDAZIONE «Correte, c'è una barca in fiamme». L'allarme è stato lanciato al "113" poco dopo le 2 dell'altra notte quando un cittadino si è accorto dell'incendio divampato nel canale del Fasiol, dietro la Giudecca, poco distante da Fusina. Il fuoco stava distruggendo un lancione Granturismo che prima si è spezzato in due e quindi è finito a picco sul fondo, adagiandosi, poi, su una secca. Ed ora si teme che questo possa essere solo il primo episodio di una serie di dispetti e ritorsioni consumati nell'ambito delle attività dei motoscafisti e degli intromettitori abusivi del Tronchetto, l'isola artificiale che funge da terminal auto per la città. Le cause dell'incendio, infatti, sono ancora al vaglio degli inquirenti, ma è stata esclusa subito l'idea dell'autocombustione e l'ipotesi dolosa è chiaramente quella più verosimile. Gli agenti della questura di Venezia, intervenuti sul posto con i vigili del fuoco lagunari che hanno domato le fiamme nel giro di un'ora, hanno fatto appena in tempo a scorgere, facendosi luce con il faro della Volante, il nome dell'imbarcazione, "Ammiraglio II", lunga 15-20 metri ed adibita al trasporto di passeggeri, circa una quarantina per ogni viaggio. Quindi del mezzo è rimasto soltanto lo scheletro senza nemmeno un numero identificativo di targa. Anche quest'ultima, infatti, è stata distrutta dalle fiamme. Dagli accertamenti effettuati, gli inquirenti ritengono che la barca incendiata sarebbe riconducibile a Loris Trabujo, motoscafista di Cannaregio, coinvolto nell'inchiesta sul Tronchetto portata avanti dal sostituto procuratore della Repubblica Stefano Ancilotto, per presunti atti di illecita concorrenza con violenza e minaccia, e con l'aggravante di avere utilizzato metodi mafiosi. La complessa indagine, che riguardava una ventina di persone (che ora sono in attesa che il giudice per le indagini preliminari si esprima sulle richieste di rinvio a giudizio formulate dal pubblico ministero), aveva messo in evidenza, in particolare, un'attività illecita, con tanto di intimidazioni sui dipendenti dei parcheggi dell'isola, ma anche dell'azienda di trasporti e dei consorzi di taxi con regolare licenza, per "intercettare" e accaparrarsi i turisti giunti in autobus e convincerli a salire sulle proprie barche per essere portati verso il centro storico e le altre isole della laguna. Soltanto giovedì scorso Trabujo aveva rilasciato ai giornali alcune dichiarazioni in cui, senza mezzi termini, sosteneva che tutta la vicenda giudiziaria sarebbe stata solo un tentativo di favorire chi avrebbe voluto detenere il controllo del trasporto acqueo a Venezia. Ma c'è di più. Lo stesso Trabujo, infatti, tempo fa era rimasto vittima di un analogo episodio quando era stata data alle fiamme un'altra delle sue imbarcazioni. Fino a ieri pomeriggio, però, le forze dell'ordine non avevano ancora ricevuto alcuna denuncia formale da parte del legittimo proprietario del natante bruciato e si ignora allo stato attuale dove fosse ormeggiato il lancione prima di essere incendiato. Ieri mattina la Scientifica ha effettuato anche un ulteriore sopralluogo nel canale del Fasiol alla ricerca di altri indizi utili alle indagini ed in un primo momento sarebbero dovuti intervenire anche i sommozzatori di cui si è poi deciso di fare a meno visto che la barca si era in pratica arenata sulla secca. Finora, comunque, non è stato trovato alcun innesco. Il mezzo è stato posto sotto sequestro preventivo e cautelativo, per permettere alla magistratura di effettuare gli accertamenti necessari per capire cosa possa essere accaduto. Roberta Benedetto da gazzettino.quinordest.it Titolo: Ma i venti indagati sono tutti in libertà Inserito da: Arlecchino - Settembre 16, 2007, 07:30:52 pm IL RETROSCENA
Ma i venti indagati sono tutti in libertà VENEZIA - Per colpa dell'endemica carenza di personale, la misura cautelare nei confronti di venti indagati nell'ultima inchiesta sul Tronchetto è scaduta mercoledì, prima che si riuscisse a fissare l'udienza preliminare. Così gli "abusivi" accusati di "illecita concorrenza e minaccia" per molteplici episodi ripresi e filmati in mesi di paziente lavoro da parte dei carabinieri del Ros possono nuovamente tornare sull'isola. In effetti, da qualche giorno l'attività dei motoscafisti abusivi è ripresa in modo abbastanza vigoroso anche se non con le stesse barche, che invece rimangono sotto sequestro e che con molta probabilità saranno pignorate. Chiusa in soli due mesi (tra marzo e maggio) dal sostituto procuratore della Dda veneziana Stefano Ancilotto, questa inchiesta rischia di fallire il suo scopo che era quello di ripulire l'isola dalle attività irregolari. Questa, comunque, è l'ultima di tante indagini compiute sul Tronchetto, un'isola che da più di trent'anni sembra godere dell'extraterritorialità. Nata con gli auspici di essere il nuovo centro direzionale veneziano nonché il terminal turistico per antonomasia, il Tronchetto sembra in realtà una grande opera incompiuta, che solo in questi ultimi mesi sta mutando aspetto con le nuove costruzioni. Oggi è tutta un fiorire di progetti e di cantieri sia pubblici che privati, ma per tanto tempo è rimasta un deserto di cemento, dove le forze dell'ordine non mettevano piede e il Comune rinunciava ad esercitare il suo potere. È così che tra gli anni Settanta e i primi anni Novanta il trasporto pubblico è finito nelle mani dei luogotenenti lagunari di Felice Maniero, il boss della mala del Brenta. Quell'attività però non rendeva abbastanza per l'organizzazione, così il territorio fu abbandonato ai nuovi arrivati, soggetti che presero il controllo del settore che nel frattempo era diventato molto più remunerativo, con l'arrivo quotidiano di centinaia di autobus dall'est europeo. Migliaia di persone che volevano arrivare a San Marco nel minor tempo possibile e che l'ingenuità di chi proviene da una dittatura trasformò in facili prede degli abusivi. A più riprese furono portate avanti inchieste e processi, ma la situazione ha continuato a pendere a favore dell'abusivismo. La fine degli anni Novanta, nonostante un muro iniziale di omertà, una prima inchiesta portò una nuova luce sul sistema di gestione dei flussi turistici al tronchetto. Il processo, però, non ebbe l'esito che la Procura e i carabinieri del Ros speravano. L'atmosfera era però cambiata e l'occupazione dell'isola da parte di istituzioni pubbliche e private che l'hanno scelta per impiantarvi i propri uffici ha messo per la prima volta l'illegalità in minoranza. Quando l'Actv (l'azienda di trasporto pubblico) vi impianterà il suo cantiere navale e il Comune finirà il centro d'interscambio merci non ci sarà più un metro libero per chi si pone fuori dalle regole. Michele Fullin da azzettino.quinordest.it Titolo: DIARIO VENETO - È a Mestre l'ospedale del futuro: bello e ipertecnologico Inserito da: Admin - Settembre 25, 2007, 04:23:23 pm Costruito a tempo di record: solo 4 anni di lavori.
Oltre il 50 per cento dei capitali è privato. Sarà il nuovo polo sanitario per l’Europa dell’Est. L’inaugurazione con Galan, Cacciari, la Turco e il commissario Ue Frattini È a Mestre l'ospedale del futuro: bello e ipertecnologico Inaugurazione in grande stile ieri a Mestre per quello che il governatore Giancarlo Galan ha definito «l'ospedale più bello d'Europa», la megastruttura disegnata dagli architetti Altieri e Ambasz. Il colpo d'occhio è eccezionale: una vela di vetro di 7mila metri quadri composta da 1100 "finestre" tutte diverse che aprendosi autoregolano il clima interno. Dentro l'enorme entrata una "serra" con 16 mila piante. E poi dieci piani di reparti all'avanguardia con 350 stanze per 680 pazienti, 21 sale operatorie, 71 ambulatori e 1100 posti auto nei tre piani sotterranei. Il ministro Turco, all'inaugurazione, ha detto che la sanità veneta è un modello virtuoso ed ha promesso 245 milioni per ammodernare gli altri ospedali. Mestre NOSTRA REDAZIONE Quattro anni di lavoro, 238 milioni di spesa, un milione di metri di cavi elettrici e fibre ottiche posati, 650mila metri cubi di terra movimentata, 3 milioni di ore di lavoro con una media di 450 operai, di 11 nazionalità diverse, ogni giorno in cantiere (700 nei periodi di punta): tutto questo per regalare a Mestre «l'ospedale più bello d'Europa», come è stato etichettato dal presidente della Regione, Giancarlo Galan, ieri all'inaugurazione. La struttura - Il Nuovo Ospedale di Mestre (il nome ancora non c'è), è alto 31 metri, ha una volumetria di 618.610 metri cubi, distribuiti su una superficie di 151.802 metri quadrati. Per rendere l'idea, è grande 5 volte il Palazzo Ducale di Venezia, ma tre piani sono sotto terra. È costituito da un corpo centrale (1100 posti nel garage sotterraneo), composto da due elementi: la piastra, costituita da due livelli fuori terra e uno interrato, e la torre delle degenze, che si eleva per sei piani al di sopra della piastra. I parcheggi, nella zona antistante l'ingresso, sono interrati divisi in tre piani (uno per il personale, con 537 posti, due per i visitatori 557 posti) collegati con ascensori e scale al corpo ospedaliero. L'obitorio si trova isolato verso via Paccagnella e collegato da un tunnel lungo 100 metri, mentre un altro edificio triangolare, grande 11.620 metri quadrati, ospita la Banca degli occhi, oltre al laboratorio per le cellule staminali corneali, un auditorium da 400 posti e un asilo aziendale per 30 bambini. I reparti - Al pian terreno si trova la piastra chirurgica con le 21 sale operatorie, il pronto soccorso, la radiologia e la rianimazione. Al primo piano, di fronte al grande ingresso centrale, c'è la cosiddetta piazza-giardino, dove si trovano negozi, bar, ristorante e servizi, oltre a scale mobili, ascensori e scale che portano ai piani superiori. Al secondo piano, sul grande ballatoio, si affacciano i 71 ambulatori e sempre lì è collocato il day hospital. A partire dal terzo piano e fino al settimo sono collocati i reparti di degenza, con un totale di 350 stanze capaci di ospitare 680 pazienti. Già decisa la divisione dei reparti: al 3. piano il dipartimento cardiovascolare, al 4. Ostetricia, Ginecologia e Pediatria e metà dipartimento chirurgico, al 5. il Dipartimento medico, toraco-polmonare, chirurgico, al 6. Neuroscienze, Ortopedia, Ematologia e Nefrologia, al 7. Malattie infettive Psichiatria e dozzinanti. Vela - La grande vela inclinata che chiude la facciata sul lato dell'ingresso, la "griffe" dell'ospedale come segno distintivo sotto il profilo architettonico, alta 31 metri, lunga 180 alla base e 160 alla sommità, è grande 7mila metri quadrati, sorretti da 22 puntoni. È costituita da 1100 tasselli di vetri, ognuno diverso dall'altro perchè ogni tassello ha una curvatura particolare. I pezzi di carpenteria metallica sono circa 10mila. Non è solo un elemento decorativo, ma serve a proteggere l'ospedale da intemperie e rumori: le aperture regolabili dei vetri, collegate a sensori, consentono di sfruttare al meglio la ventilazione naturale, mantenendo all'interno di questa specie di giardino d'inverno la temperatura ideale, riducendo l'uso degli impianti di climatizzazione. Verde - Al verde, altro segno distintivo dell'ospedale sono dedicati in tutta l'area circostante 110 mila metri, con 16 mila piante e 575 alberi, oltre a due laghetti, che serviranno anche da riserva idrica in caso di incendi. Gli impianti - Per consentire all'ospedale di funzionare sono stati stesi un milione di metri di cavi elettrici e fibre ottiche. Ogni giorno l'energia elettrica distribuita è pari a quella che alimenta un comune di 10mila abitanti, con un sistema controllato da una Centrale di emergenza attiva 24 ore su 24. Quattro cabine elettriche forniscono l'energia e in caso di black out altrettanti gruppi elettrogeni garantiscono autonomia per 24 ore. La centrale termica (tre caldaie) consuma 2400 metri cubi di gas l'ora che potrebbero riscaldare 3000 appartamenti di 100 metri quadri. La centrale idrica potrebbe alimentare 500 appartamenti con i doppi servizi. da gazzettino.it Titolo: Ma in Veneto c'è chi produce buona cultura (limitata ad una elite? ndr). Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2007, 06:34:05 pm Ma in Veneto c'è chi produce buona cultura
di Franco Miracco * Caro direttore, qualche giorno fa i dati dell'Osservatorio sul Nord Est pubblicati dal Gazzettino relativi ai consumi culturali hanno consentito che si potesse scrivere un titolo assai deprimente: "Cultura in declino, in flessione il numero delle persone che in Veneto e in Friuli frequentano mostre, cinema e concerti, teatro in coda". Il sondaggio telefonico, avvenuto tra il 27 giugno e il 3 luglio 2007, ha raccolto in tre fasce le risposte. Di conseguenza ci troviamo di fronte alle seguenti categorie: inattivi, attivi, impegnati. Tra Veneto e Friuli gli inattivi raggiungerebbero il 55\% degli intervistati, persone cioè che in nessun caso frequentano biblioteche, musei, mostre d'arte, cinema, concerti, teatri. Pare non fosse così in anni precedenti, di qui l'affermazione che "la cultura è in declino" nel Nord Est.Dati più confortanti provengono comunque dalla voce "frequentazione di biblioteche", che si attesta sul 23\%, nonché dalla constatazione che in Veneto i musei non statali sono quasi 500 e 916 le biblioteche aperte al pubblico. E sempre al Veneto viene riconosciuto il merito di investire, per modernizzare strutture e servizi offerti, nel settore bibliotecario. Dunque, stando a ciò che potremmo chiamare "i fondamentali" del comparto cultura, non staremmo poi tanto male, soprattutto sapendo che nuove strutture sono prossime all'apertura e che altre seguiranno. Lo Stato Consente un rapido rientro nei parametri di Maastricht, la cessazione dei poco graditi rimbrotti internazionali e la liberazione di risorse per la riduzione degli ingenti oneri finanziari attualmente pagati, i quali possono essere ancorati sia a una simultanea detassazione o stanziati per effettuare quegli investimenti infrastrutturali la cui carenza grava sulla competitività delle nostre merci. Oggi, politicamente e anche economicamente, è meglio la prima destinazione che la seconda. Per far ciò lo Stato deve però cedere il suo patrimonio mobiliare e immobiliare, come è costretto a fare qualsiasi debitore a corto di reddito. La stima più attendibile è che il loro valore di realizzo possa essere di circa 450 miliardi di euro. Se non è disposto a farlo, le proposte sono solo chiacchiere, molto di più di quanto non sia l'invocazione a ridurre le spese. Esistono tecniche finanziarie di pronta liquidabilità del patrimonio pubblico con effetti positivi immediati sullo sviluppo. Il problema non è questo, ma quello che aggrappati a questo patrimonio vi sono interessi privati il cui onere è ancora maggiore dei costi della politica e le cui conseguenze sono nefaste per lo sviluppo e la giustizia sociale. Paolo Savona Ma in Veneto Questo è avvenuto o avviene a Padova, Vicenza, Venezia, Verona, Rovigo, Cortina, Asiago, Feltre, Treviso, Caldogno, Bassano, Schio, eccetera. In effetti, dicendo eccetera alludiamo a realtà locali che stanno lavorando per dotarsi di teatri o di contenitori polivalenti. Così a Caorle, oppure a Villafranca di Verona, Pieve di Soligo, Valle di Cadore, Monselice. Appunto: eccetera. Il Veneto dei contenitori di cultura e dei produttori culturali sta procedendo però in un modo che non mi sembra corrisponda alle percentuali in calo sui consumi culturali rilevate dall'Osservatorio.Mentre le storiche città capoluogo della nostra regione si stanno dotando, o lo faranno, di nuovi contenitori destinati a produrre cultura, spesso impegnando in questo considerevole sforzo gli esponenti migliori dell'architettura contemporanea, nelle città d'arte "minori" o in quelle di antica o di più recente industrializzazione sono in corso esperienze che, nel consentire "il salto tra la vecchia cultura e la nuova", si aprono su orizzonti culturali verso cui guardano o guarderanno fasce sempre più ampie di nuovi consumatori culturali. Consumatori di "cose" materiali e immateriali, che non rientrano affatto negli interessi e nei luoghi oggetto del sondaggio compiuto per l'Osservatorio sul Nord Est. Ciò che s'intende dire è che esiste una "complessità" in questa regione, anche in campo culturale, frutto di un'energia "profondamente veneta", che nel 1983 Goffredo Parise intuì essere "una forza barbarica, forte, produttiva". In sintesi, nel Veneto ho l'impressione che si preferisca percorrere le strade che portano a creare condizioni materiali migliori al fine di poter produrre cultura: cultura nuova per nuovi consumatori culturali, tutti soggetti che non rientrano, almeno per il momento, in sondaggi di sicuro validi, ma che non colgono per intero la "complessità" di realtà culturali assai articolate e dinamiche. Cultura nuova o cultura altra, ma quale?Secondo uno studio recente pubblicato nel Quarto rapporto annuale di Federculture 2007, anche in Veneto appare assai interessante il dato che riguarda, nei siti minori, l'attrattività esercitata dalle cosiddette manifestazioni locali (tipiche e tradizionali o meno, di tipo enogastronomico, storico-rievocativo, religioso e così via). E' vero, quasi ovunque in Veneto vengono organizzate manifestazioni, che a volte durano settimane, e che dispongono di bacini d'utenza molto vasti, entro cui è difficile "definire il numero di fruitori/visitatori/partecipanti". Che significa? Significa che ci troviamo di fronte a migliaia e migliaia di persone definibili, di volta in volta, come operatori culturali, fruitori, partecipanti. Da noi, se ci si pone all'ascolto di ciò che fanno decine e decine di Consorzi Proloco, scopriremmo che è assurdo mostrarsi culturalmente spocchiosi quando si è invitati a constatare l'interesse e la partecipazione di massa per itinerari, che portano a conoscere preziosissimi contesti naturalistici, accanto ai quali però si entra in rapporto con gli affreschi del Crosato o del Tiepolo o con i capolavori di Andrea da Murano, Lotto, Pietro Damini o con le Ville di Palladio, Scamozzi o con il senso autentico di ciò che significa il graticolato romano. Insomma, tra le centinaia e centinaia di Associazioni culturali e di volontariato e le immancabili trattorie, sempre di più si estendono spazi riservati alla scoperta, alla tutela, al restauro, alla valorizzazione e quindi alla conoscenza di ciò che chiamiamo bene culturale. Sono inoltre moltissimi i Comuni o le Biblioteche che curano la pubblicazione di saggi, studi, ricerche, grazie ai quali vengono salvate e pertanto fatte conoscere memorie e testimonianze, senza le quali, perderemmo le affascinanti "microstorie" di una terra attraversata, come poche altre, dagli eventi della cosiddetta storia alta, della storia nota più o meno a tutti. Da ultimo, una notizia. La Regione del Veneto si è fatta promotrice di un innovativo progetto di mappatura e ricerca condotto sull'intero territorio regionale sulla base del modello del distretto culturale evoluto da un gruppo di ricerca dell'Università Iuav di Venezia. Il distretto culturale evoluto si fonda sull'assunto che la cultura possa arrivare a costituire la piattaforma privilegiata di comunicazione tra tutti i soggetti economici e sociali presenti in un determinato territorio, allo scopo di far emergere le sue reali vocazioni. A breve si darà conto degli esiti finali della ricerca, ma intanto si può dire che fino ad ora, nel corso del 2007, nelle sette province venete si sono avute 2371 attività e sono stati utilizzati ben 1951 contenitori. Le tipologie di contenitore individuato sono: archeologia industriale, beni archeologici, beni architettonici, biblioteche/archivi, centri di formazione non universitari, centri di ricerca, centri culturali, gallerie, industrie innovative, istituzioni di rappresentanza culturale, musei, spazi espositivi, teatri, teatri/cinema, televisioni e radio, università. Le attività individuate, e che testimoniano una "complessità" che caratterizza il rapporto decisivo tra cultura e sviluppo del territorio nella fase post-industriale sono le seguenti. Pubblicità, architettura, arte e antichità, artigianato, design, moda, film e video, software d'intrattenimento, musica, arti performative, editoria, software produttivo, televisione e radio. Per concludere, noi siamo portati a credere che fruitori e produttori di cultura vivano ormai in spazi e creino linguaggi che vanno molto al di là delle "categorie" fissate dal sondaggio in questione. Ciò che stiamo facendo, o meglio, che stiamo tentando di fare è il cercare e sostenere le nuove identità culturali e creative del Veneto contemporaneo. Franco Miracco * Portavoce del presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan e consigliere della Biennale di Venezia Titolo: DIARIO VENETO (2) - Giaretta: "Lezione di politica" Inserito da: Admin - Ottobre 16, 2007, 12:03:35 pm Abbiamo dato la parola ai cittadini e loro hanno risposto
Giaretta: "Lezione di politica" La nostra sarà una forza veneta unitaria e federata intervista a Paolo Giaretta Senatore Paolo Giaretta, il Partito Democratico nasce con una grande spinta popolare: tutto come previsto? "E' andata davvero molto meglio del previsto. Le primarie segnano una partecipazione straordinaria di cittadini, in un momento difficile per la sinistra e la maggioranza di governo, messa alla prova in parlamento ad ogni votazione: il PD sarà un grande elemento di stabilità. Le code di ieri ai seggi sono la risposta più nobile alla ventata di antipolitica e alle offese di Grillo, che aveva parlato di primarie delle salme: questo comico che spesso sconfina nell'insulto ora deve chiedere scusa a oltre 3 milioni di cittadini, che si sono messi in fila ore e ore per scegliere il futuro leader del PD. E tutto questo a pochi giorni di distanza dal referendum sul welfare, che ha visto la partecipazione di oltre 5 milioni di persone sul delicato accordo di luglio che regola le pensioni. Questa è vera democrazia, non gli insulti di piazza o via Internet a chi fa politica, senza dover mai rendere conto a nessuno". C'è quindi una lezione da trarre dal boom di partecipazione popolare? "Certo, bisogna avere più fiducia del potere di scelta dei cittadini. Ho passato l'intera domenica a girare tra i seggi e a rispondere alle e-mail di scrutatori che segnalavano persone in coda fin dalle 8 del mattino. C'è chi ha preteso che venisse prolungato l'orario di apertura dei seggi. E' stata una grande lezione per tutti, su cui meditare. Il PD si candida a diventare la colonna portante del processo di riorganizzazione bipolare a sinistra e abbiamo l'obbligo di avere più fiducia nella saggezza del popolo. Il nostro elettorato è purtroppo molto, ma molto esigente. Guai a dimenticarlo. Esce sconfitto non solo Grillo, ma anche la destra più becera". A chi si riferisce? "La manifestazione di sabato al Colosseo di Alleanza Nazionale con l'esibizione dei reperti del vecchio linguaggio fascista di Fini, è un segnale d'allarme: l'antipolitica non porta da nessuna parte, semina solo la deriva qualunquista. La svolta di An preoccupa, ma sta cambiando lo scenario del centrodestra: si aprirà una fase di competizione per la leadership. Noi abbiamo effettuato le primarie, con quasi 3 milioni di persone ai seggi: nessun partito in Europa e al mondo è mai nato con una consultazione popolare così vasta. Questa è democrazia, la destra cosa pensa di fare? Mi auguro che scelga un percorso simile al nostro, nell'interesse esclusivo del Paese: il rispetto del consenso popolare è alla base della dialettica istituzionale". Senatore, lei rappresenta un caso unico in Italia: è stato eletto segretario regionale con il consenso di tutte e tre i candidati. E' felice di aver preso, in Veneto, molti ma molti più voti di Veltroni? "Qui abbiamo capito che per non restare confinati eternamente all'opposizione, non aveva alcun senso dividersi per la conquista della segreteria regionale. Il Veneto è stato il regno della Balena bianca e da tempo i cattolici democratici hanno saputo ben integrarsi con la sinistra riformista. Il PD veneto non deluderà le attese". Parliamo di programmi: Veltroni in Veneto ha presentato le proposte di modifica del fisco. Lei cosa chiederà al futuro leader? "Mi sembra che la domanda sia mal posta: il PD Veneto non ha nulla da chiedere a Veltroni, vogliamo fare da soli, in piena autonomia. Il modello di partito federale è l'unico che possa garantire un futuro alla sinistra riformista. Si apre quindi una stagione nuova, il centralismo fa parte della storia dei Ds e un po' meno della Margherita, ma il PD sarà completamente diverso. Figlio dell'Ulivo, ma autonomo e federalista". Che ne pensa del risultato di Rosy Bindi? "Mi pare che a suo favore abbiano pesato tre fattori: lei è una donna e il 50% di presenza femminile nelle liste l'ha favorita. Poi ha intercettato gran parte del consenso del movimento dei girotondi. Terzo fattore. La storia, l'identità. Veltroni è erede della sinistra e il mondo cattolico ha preferito riconoscersi nella Bindi. Ma il Veneto sarà un modello di gestione unitaria a livello nazionale". Albino Salmaso da www.paologiaretta.it Titolo: DIARIO TRI/VENETO - Illy: non ho votato, ma è un gran segnale Inserito da: Admin - Ottobre 16, 2007, 12:05:29 pm LE PRIMARIE DEL PD
Illy: non ho votato, ma è un gran segnale Paolo Mosanghini «Dico bravo a Bruno. Moretton? Resterà mio vice, sapeva che avrebbe dovuto optare» Maran (Ds): forte partecipazione Pertoldi (Dl): spinta verso il nuovo Strizzolo (Dl): subito al lavoro Pegorer (Ds): preconcetti finiti UDINE. Il presidente della Giunta regionale Riccardo Illy non ha votato per scegliere i segretari nazionale e regionale del Partito democratico. «Ero, sono e rimarrò indipendente», conferma. Ma per Illy «il dato sull’affluenza è molto positivo perchè questo vuol dire che tanti pronostici che erano stati fatti non erano fondati. Le persone che si erano impegnate in queste primarie e per quelle del presidente del Consiglio sono partecipi della politica nazionale e anche di quella regionale». Nella scelta del segretario regionale la vittoria va all’ormai ex segretario dei Ds Bruno Zvech, da oggi segretario del Pd. Sconfitto invece l’uomo forte della Margherita, il pordenonese Gianfranco Moretton, vicepresidente della Giunta regionale. «In lista c’erano più candidati e ha vinto quello preferito - continua il presidente della Giunta Illy -. Moretton continuerà così a fare il vicepresidente, tra l’altro sapeva benissimo che il ruolo di segretario sarebbe stato incompatibile con quello di assessore regionale. È stato un bel confronto, tutti i candidati hanno fatto belle campagne elettorali; mi sono piaciuti i messaggi degli ultimi giorni, gli appelli, che hanno manifestato sì un aperto confronto ma anche la volontà di ricompattarsi dopo il voto - continua -. Così dal confronto esce un Pd forte, sostenuto da migliaia e migliaia di cittadini che hanno votato per le primarie, e un segretario altrettanto forte che sarà sostenuto anche dagli altri candidati in futuro. Adesso è necessario mettersi al lavoro subito per completare il programma in Regione e prepararsi alle elezioni regionali del 2008», conclude Illy. Soddisfazione anche tra i parlamentari dell’Ulivo. «Prendiamo atto di questo risultato importante che evidenzia la straordinaria partecipazione soprattutto nei centri più importanti. E questa è una prima risposta alla cosiddetta antipolitica», sono le parole del parlamentare della Margherita Ivano Strizzolo. «Penso che su questa partecipazione e anche sui risultati si possa costruire sicuramente un forte Partito democratico in Italia e nella nostra regione. Se Zvech ha vinto sarà comunque il segretario di tutti; abbiamo davanti scadenze impegnative e dobbiamo lavorare al massimo per recuperare tutta la coesione possibile in vista degli appuntamenti delle elezioni regionali, del capoluogo friulano e probabilmente anche della Provincia di Udine - continua l’onorevole diellino -. I risultati dimostrano una vivacità e un radicamento importante di questo soggetto politico anche nella nostra regione», conclude Strizzolo. «C’è stata una grande partecipazione al voto e vanno ringraziati le elettrici e gli elettori che hanno partecipato in modo così cospicuo, cosciente», dice il senatore diessino Carlo Pegorer. «L’epicentro di una possibile difficile prestazione di Bruno Zvech poteva essere il Friuli per la presenza dell’ex sindaco Enzo Barazza. Invece il risultato di Veltroni da un lato e quello di Zvech dall’altro dimostrano che è passata molta acqua sotto i ponti rispetto a una preclusione di un partito nei confronti dell’altro. È chiaro che adesso incomincia un’altra fase - è ancora il giudizio di Pegorer -. Adesso dovremo lavorare con spirito unitario, costruire il Pd affinchè assuma anche in questa regione il profilo di riferimento per chi crede nella politica». Anche il deputato ds Alessandro Maran sottolinea il risultato straordinario dell’affluenza. «Mi colpisce - dice - che nonostante il brutto momento che sta passando la politica ci sia comunque una maggioranza che continua a pensare positivo e che quando ha l’occasione per partecipare e anche cambiare la politica lo fa volentieri; la vittoria di Zvech - sottolinea - è un risultato per me di soddisfazione e lo so che contribuirà in maniera positiva alla costruzione di questo nuovo progetto». Evidenzia il risultato del voto, andato oltre le aspettative, e sottolinea che «con questo risultato Veltroni si conferma come candidato ideale per il Pd», è questo il giudizio dell’onorevole dei Dl Flavio Pertoldi. «Nessuno avrebbe pensato a una partecipazione di queste proporzioni, e ciò conferma che c’è una gran parte di cittadini che vuole partecipare alla vita politica, vuole stabilità di governo. Sull’esito regionale indubbiamente la competizione ha fatto bene in termini complessivi perchè ha mosso le energie migliori e ha chiamato al voto i cittadini che due anni fa parteciparono alle primarie - continua Pertoldi -. La scelta di Zvech conferma nella nostra regione la volontà degli elettori verso una spinta all’innovazione nella politica e nell’amministrazione, guardando positivamente alla primavera del 2008, adesso costruiamo il Pd», conclude. (15 ottobre 2007) da espresso.repubblica.it Titolo: DIARIO TRI/VENETO Successo a doppio taglio a Roma e a Nordest Inserito da: Admin - Ottobre 16, 2007, 11:46:57 pm Successo a doppio taglio a Roma e a Nordest
di Ario Gervasutti I sorrisi del centrosinistra dopo l'inattesa partecipazione alla nascita del Pd sono giustificati. Ma è nell'interesse di Prodi e Veltroni che la sbornia da successo si esaurisca presto, e che si faccia attenzione anche ai problemi che un risultato simile può portare al Premier e al neo segretario. Non è necessario essere maliziosi per leggere nell'affluenza così massiccia anche una forte volontà di cambiamento. È stato certamente un voto di centrosinistra, ma è difficile credere che sia stato un voto a favore di questo Governo. Perciò la vittoria è un'arma a doppio taglio: con alle spalle tre milioni e mezzo di persone che gridano la propria voglia di cambiamento, Prodi è a questo punto "costretto" ad assumere una linea fortemente riformatrice, cambiando rotta a un Governo che per un anno e mezzo ha viaggiato con la zavorra dei diktat della sinistra. Ora è lui a dover alzare la voce se non vuole disperdere il patrimonio di aspettative della larga maggioranza della coalizione che lo sostiene. Ma è oggettivamente un'operazione rischiosa: alzare la voce con la sinistra significa rischiare di spezzare il sottile legame che ha tenuto finora in piedi l'alleanza. E a quel punto, il compito di riformare il Paese toccherebbe al vincitore di elezioni inevitabili. Veltroni si troverebbe così costretto ad andare alla sfida con il centrodestra senza aver avuto il tempo di "costruire" il Partito e sull'onda di un'altra, cocente disillusione per gli elettori di centrosinistra. Il segretario del PD è quindi nella scomoda posizione di dover scegliere quale rischio correre: quello di venir meno alla promessa di spingere sulla svolta riformatrice, deludendo i 3 milioni e mezzo di sostenitori, o quello di battere i pugni sul tavolo della sinistra anche a costo di romperlo. Di sicuro, non può più tergiversare. Prodi e Veltroni sono poi accomunati da un altro problema: il fatto che il sindaco di Roma abbia vinto largamente dappertutto, anche in regioni come il Veneto dove la componente della Margherita era più forte, dimostra che questo risultato ha una forte impronta diessina. Walter ha ottenuto molto più della somma dei voti di Rosy Bindi ed Enrico Letta. E anche questo successo è un'arma a doppio taglio: restando al Veneto, dove il PD è riuscito a presentare un candidato unitario credibile come Paolo Giaretta, ha votato più dell'80\% di coloro che avevano partecipato alle primarie di Prodi. Una media superiore a quella raggiunta in altre parti d'Italia: ma frutto di consensi indirizzati alla Bindi e a Letta, andati qui molto meglio che altrove. Eppure Veltroni è salito in Veneto per ben tre volte, ha puntato forte sull'area più sviluppata del Paese, ha giocato il "jolly" della sua campagna elettorale: ha raccolto però un risultato inferiore a quello ottenuto nel resto del Paese. Merito della forza dei due candidati della Margherita, o il sindaco di Roma non ha convinto del tutto? È urgente che il neo segretario dia una risposta a questa domanda. Soprattutto a se stesso. A differenza del Veneto, in Friuli-Venezia Giulia il Partito Democratico è nato da una sfida tra apparati ben definiti: Ds da una parte, Margherita dall'altra. Hanno prevalso i primi, e a Bruno Zvech tocca il compito che a livello nazionale Veltroni spera di evitare: andare subito alla sfida delle elezioni con un partito ancora da plasmare. E lo fa in una regione dove il presidente e papabile candidato alla riconferma, Riccardo Illy, è rimasto alla finestra nella costruzione del PD. Zvech si ritrova tra le mani un puzzle da completare in tempi stretti, perché le regionali si svolgono in primavera. E per costruire la squadra che sfiderà il centrodestra dovrà andare a confrontarsi non con un capo del Governo indebolito o in difficoltà, ma con un osso poco malleabile come Illy. A Roma, in Veneto o in Friuli-Venezia Giulia, il tempo delle feste è già finito. Ario Gervasutti ---------------------------- C'è un'Italia Sono tanti, troppi, per pensare che l'Italia si sia rassegnata alla disperazione di una classe politica da liquidare in blocco. Troppi per non pensare che la sana indignazione è un sentimento ancora avvertito e che può trascinare verso novità importanti. C'è voglia d'impegno, i partiti dovrebbero intercettarla e trasformarla in una reazione positiva. L'Italia come laboratorio politico, originale, perché questo è il momento giusto: i modelli sono in crisi, la gente si attende qualcosa. Il "grillismo" non va demonizzato e nemmeno sottovalutato. Non è il vecchio qualunquismo, non ha il respiro del populismo; forse è un altro aspetto trasversale della reazione di un Paese. Può pungere al punto da far sentire dolore e provocare la reazione allergica sana. Da una parte l'antipolitica, dall'altra questa inattesa vivacità democratica. Certo, emerge sempre un'Italia divisa, nella quale i partiti organizzati (Ds e An lo sono, come per altri aspetti i sindacati) possono muovere una massa di manovra che fa la sua impressione e che spinge sull'impegno. Esprimono realtà ben strutturate, hanno alle spalle tradizione e storia, appaiono esasperatamente contrapposti in una fase di permanente insoddisfazione per come il principio di democrazia popolare è tradotto in realtà. Emerge lo scetticismo nei confronti della politica, quasi la constatazione che neppure quella che è stata definita la "rivoluzione di Mani pulite" sia riuscita a garantire il ricambio vero della classe dirigente. In questi quindici anni si sono alternati più governi di centrosinistra e di centrodestra, ma la gente ha avuto la sensazione che nulla sia cambiato. Un po' per la trasversalità di alcune urgenze sociali, molto per la confusione della politica italiana. Tanto, infine, perché quella classe politica - indipendentemente dal colore del governo - non ha rinunciato ai privilegi, compresi quelli più offensivi per la gente comune. Ha conservato le cattive abitudini e non mostrato le virtù richieste; ha ostentato i favoritismi talvolta vergognosamente in faccia alla gente. Ha continuato a sprecare le risorse pubbliche e a votare leggi a favore di pochi. Quando non si vedono sbocchi, le reazioni rischiano di essere radicali, possono portare al discredito dell'intera classe dirigente, senza distinzioni. Come se tutti fossero sporchi della stessa sporcizia. Attraverso operazioni come quelle di questi giorni (la protesta, le primarie) passa la speranza di riscatto della politica. È difficile, comunque, non sottolineare le preoccupazioni di una politica che non riesce a intercettare i giovani. Probabilmente il movimento di Grillo coglie in questo momento meglio le istanze giovanili, usa gli stessi strumenti informatici, sa come far funzionare il canale degli Sms e utilizza le risorse del web. Non solo, quello dei giovani è un aspetto sul quale il centrosinistra deve interrogarsi ancora più del centrodestra: l'apertura ai sedicenni nelle "primarie" è stata un mezzo fallimento, è rimasta senza risposta; meglio accolta l'apertura agli immigrati. Di più: il "bamboccioni" riferito ai trentenni dal ministro Padoa Schioppa ha sì sollevato un problema reale (troppi giovani vivono a carico dei genitori), ma non ha tenuto conto della realtà del precariato. È il futuro quello che spaventa i giovani, molto più del presente nel quale in qualche modo si sentono protetti se non rassicurati dalla famiglia. Prodi e Berlusconi non fanno parte del loro orizzonte, popolato invece dall'incubo di una pensione che non ci sarà e di un lavoro forse più precario che flessibile. Va bene l'Italia laboratorio della politica, ma devono seguire risposte precise e immediate sia a sinistra sia a destra. O quel mezzo milione di persone in piazza la prossima volta diventerà la metà e così pure quei tre milioni in coda per votare. La nascita di un partito nuovo, anche col difetto d'origine del verticismo, rappresenta la sfida non soltanto all'antipolitica, ma anche qualcosa che accomuna la sinistra europea. Così come la trasformazione costante di An può rappresentare un riferimento per la destra europea. Non siamo l'Inghilterra di Blair o la Francia di Sarkozy, ma abbiamo tradizione e storia che ci mettono al riparo dai rigurgiti e dagli uomini della provvidenza. I residui delle culture di partiti che hanno scelto di scomparire in nome del nuovo possono costituire il terreno di crescita di una sfida. Si va verso la razionalizzazione del sistema politico italiano e contro la tendenza alla frammentazione. La spinta indica la strada del bipolarismo e forse del bipartitismo. Tutto questo impone scelte e risposte all'altezza della situazione. Veltroni, per esempio, deve scegliere subito strategia e programmi, non può continuare a dire di sì a tutti. Deve dimostrare che è un leader nazionale, non più soltanto il sindaco di Roma. Ha ragione Casini: deve subito dichiarare con chi intende allearsi. E deve spiegare come garantirà la stabilità al governo Prodi, a incominciare dal tema del welfare. Dall'altra parte, Fini deve spiegare come intende arrivare al partito unico del Centrodestra e cosa deve fare per la riforma di una legge regionale che ha trascinato il Parlamento sull'orlo dell'abisso.Le parti più avvertite e più disposte a rischiare di sinistra e destra devono far capire in che cosa consiste il cambiamento e come raccolgono l'impegno della gente. Mettere insieme mezzo milione di persone che gridano contro Prodi può non richiedere lo sforzo di un programma, uno passa e si aggrega perché qualcosa contro il governo lo trova sempre. Come si trova sempre uno che grida "vaffanculo". Raccogliere tre milioni di militanti più o meno motivati che per un euro possono scegliere un segretario può non richiedere un programma. Il problema è che le ricette del passato ora non reggono più. Edoardo Pittalis ---------------------------------- Il Nordest Dai dati, molto interessanti, dell'Osservatorio del Nordest sembra che i veneti siano diventati meno bravi in questa trasformazione soggettiva, in questa iniezione di senso alla fatica. Non è una bella notizia, perché lo stress ha molti correlati negativi, che vanno al di là della specifica attività stressante, e finiscono per colpire tutti i meccanismi di difesa fisiologici dell'organismo, rendendoci più vulnerabili a mali che potrebbero sembrare avere altra origine, come ad esempio varie forme di tumore. E veniamo ai dettagli della ricerca.Il primo punto fermo è una tendenza crescente a sentirsi più stressati "nel corso della vita quotidiana". Ma non è un peggioramento condiviso. Dal 2002 al 2007, aumenta, non di molto, ciascuno dei due estremi: sia la minoranza che non prova mai stress, sia quel terzo della popolazione che dice di subirlo "frequentemente". L'effetto combinato è una forbice crescente, di più di quattro punti percentuali dal 2002 al 2007, tra chi dichiara di non essere mai stressato e chi ne è frequentemente vittima. I dati illustrano la natura di questa forbice. Nel Nordest lo stress non si origina dalla famiglia, cioè dall'indebolirsi di quei valori impalpabili che rendono riposante il clima domestico, il "privato" rispetto al "pubblico". E' fuori di casa che le cose non vanno. Felicità privata e felicità pubblica, recitava un bel libro del grande sociologo e filosofo Albert Hirschman. Ebbene, in Veneto, quel che non funziona è la "felicità pubblica". Lo stress è sulle strade, è nel traffico, denunciati come primo fattore di disagio. Inoltre, per alcune categorie professionali, non funziona molto bene neppure il mondo del lavoro.Il risultato più preoccupante è quel che dicono di se stessi i liberi professionisti. In teoria avremmo potuto supporre che si tratti della categoria più libera di scegliersi tempi e modi di lavoro. E invece abbiamo un "effetto Mark Twain". Il fatto che le scelte lavorative dipendano da noi ha un effetto malefico e non benefico, quando queste scelte sono sempre più ostacolate dal contesto (trasporti, burocrazia, etc.). La presunta libertà dei professionisti accentua, per contrasto, la percezione degli ostacoli esterni.Se lo stress venisse considerato come una torta da dividere - secondo l'illusione delle tabelle che, lette frettolosamente, ci inducono a credere che si tratti di una quantità totale pre-fissata, di cui ognuno deve prendersi una fetta - forse ne "daremmo" meno alle casalinghe, che dichiarano uno "stress familiare" più che doppio dei pensionati. Le casalinghe, ovviamente, lavorano sia in casa sia, spesso, fuori di casa.Al di là delle comparazioni dei dati, questa bella ricerca ci permette di giungere ad una conclusione più generale.Alcuni credono che l'origine dello stress sia nella testa delle persone, e che quindi ci voglia uno psicologo o, comunque, qualcuno che "ci dia ascolto o aiuto". Nulla di tutto ciò. Non abbiamo bisogno di interventi a supporto delle persone. O, meglio, in alcuni casi possiamo anche averne bisogno. Ma, se vogliamo eliminare in modo massiccio lo stress percepito, dobbiamo partire non dalle persone, ma dalle cose. In primis, da sistemi più efficienti, in un nord-est che è diventato una rete interconnessa, che costringe a muoversi "per" e "durante il" lavoro.Recentemente si è giustamente richiamata la quantità di incidenti mortali sul lavoro. Ma le statistiche INAIL mostrano che quasi la metà di questi incidenti avvengono sulle strade, che siamo costretti ad usare per recarci al lavoro o per spostarci da un posto all'altro, sempre per motivi professionali. Il Nord-est, purtroppo, non fa eccezione. Nel numero dell'Economist, che è in edicola questa settimana, si racconta come si sia cercato, negli Stati Uniti, di migliorare le prestazioni scolastiche dei bambini svantaggiati (per vari motivi), con un programma sperimentale di arricchimento cognitivo condotto da diecimila insegnanti. L'efficacia si è rivelata dubbia. In analogia con i dati qui commentati, il problema non era "dentro le scuole". Era fuori. Era nelle famiglie dei ragazzi, e nelle condizioni di vita di quei tre milioni di insegnanti americani che lavorano nelle scuole pubbliche. Ancora una volta, a poco servono interventi mirati, di natura sociale o mentale. Dato che sarei uno psicologo, non voglio negare in assoluto questo piano di intervento. Ma non è un compito delle agenzie pubbliche. Non si può infatti puntare, per i grandi numeri, su incentivi "interni" (mentali), sperando così di supplire all'assenza di quelli esterni (extra-mentali).Questa lezione vale anche per il Nordest. Speriamo che le tendenze, qui commentate, smettano di accentuarsi, per di più creando una forbice di disuguaglianze. Altrimenti, in un futuro che spero non vedere, lo stress percepito intaccherà forse anche l'ultimo rifugio: "a casa, in famiglia".Paolo Legrenzi * docente psicologia IUAV Venezia da gazzettino.quinordest.it Titolo: DIARIO TRI/VENETO - Ecco perché non è «normale» quella parcella da 4 milioni Inserito da: Admin - Ottobre 20, 2007, 06:36:12 pm GLI ESPERTI
Ecco perché non è «normale» quella parcella da 4 milioni È normale una parcella da quattro milioni di euro, come sostengono gli amministratori della Serenissima? Se lo chiedono in molti dopo aver appreso del pagamento di una simile cifra da parte della società autostradale Brescia-Padova. Ovviamente gli interessati glissano, o magari si appellano alla ingiudicabilità di un compenso per una prestazione che può essere assimilata a quella di un artista: un quadro può essere valutato un euro o decine di milioni, a insindacabile giudizio di chi lo vende e di chi lo acquista. Giustificazione che regge fino a un certo punto: perché i soldi in ballo non appartengono a un privato cittadino, ma sono soldi pubblici amministrati da una società il cui capitale è per il 60\% pubblico. E in ogni caso il bilancio nel quale quei 4 milioni vengono iscritti è mantenuto in equilibrio (precario) grazie ai soldi dei cittadini che pagano il pedaggio viaggiando sulla Brescia-Padova. Quindi qualche ragione per domandarsi se la cifra è congrua o meno, c'è. E la risposta non può che essere tecnica. La presidente del Cda di Serenissima, Manuela Dal Lago, ha spiegato che si è «affidata ai tecnici che mi hanno spiegato che per il tipo prestazione e la conclusione a cui deve portare ci sono anche parcelle più alte». Ma autorevoli amministrativisti sostengono il contrario. E mettono in evidenza alcune incongruenze in tutto l'iter della vicenda. A partire dalla mancata richiesta di un preventivo di spesa scritto; banche o enti di norma sono obbligati a richiederlo quando si tratta di importi di una certa consistenza. Invece l'incarico affidato dal consiglio di amministrazione nella seduta del 30 giugno 2006 non contiene alcun preventivo di spesa. Nel caso in questione poi, si è di fronte a un'attività stragiudiziale, ovvero che non comporta un dibattimento davanti a un tribunale; rientra quindi nelle prestazioni che secondo il tariffario forense sono definite di "consulenza" o di "assistenza". Le prestazioni di "assistenza" comportano un mandato più ampio, come appare quello svolto dal legale incaricato dalla Brescia-Padova di seguire l'iter per la proroga della concessione autostradale in sede europea e al ministero delle Infrastrutture. Le tabelle del tariffario forense per questo tipo di intervento legale contengono parcelle minime e massime suddivise per ciascuna possibile operazione che un avvocato è chiamato a svolgere nell'esercizio della sua funzione. L'avvocato in questione, il veronese Guglielmo Ascione, secondo quanto riferito al Consiglio di amministrazione avrebbe giustificato l'entità della somma considerando una percentuale del piano finanziario da 3.200 milioni di euro. Ma l'applicazione automatica delle percentuali si applica nei casi di vendita o di passaggi di proprietà a valori determinati, con tassi che variano tra lo 0,5 e il 5\%. Però questo tariffario viene applicato solo fino a operazioni da 5 milioni di euro. In questicasi dunque non si possono superare i 250mila euro. In situazioni di particolare delicatezza, tale cifra può anche essere moltiplicata per due o tre volte con il consenso delle parti e in deroga al tariffario: ma in ogni caso si resta ben lontani dai 4 milioni in questione. Nel caso della Serenissima però è stato preso a riferimento il valore del piano finanziario che è ben superiore ai 5 milioni di euro: è appunto di 3.200 milioni. E comunque si tratta di una cifra impossibile da determinare con esattezza, perché l'intera operazione dovrebbe tener conto anche di altri valori ( quelli immobiliari, per esempio),. Comunque sia, in situazioni analoghe, il peso della controversia viene definito come "indeterminato". E le parcelle per affari dal valore "indeterminato" sono deterimate a trattativa diretta in sede di preventivo. Che qui non c'è stato. Allora cosa avviene in questi casi? Cosa fanno ad esempio i Comuni o altri enti pubblici quando hanno per le mani una vicenda così imponente? Si procede alla liquidazione della parcella attraverso il Consiglio dell'Ordine degli avvocati. Ovvero, ci si rivolge all'Ordine per chiedere ad esso di stabilire la congruità del conto presentato. A scanso di equivoci. Ario Gervasutti da gazzettino.quinordest.it Titolo: A Treviso i penalisti difendono l’indulto e stroncano il "pacchetto sicurezza" Inserito da: Admin - Ottobre 22, 2007, 09:16:38 am «Troppa politica nei tribunali»
A Treviso i penalisti difendono l’indulto e stroncano il "pacchetto sicurezza" Treviso NOSTRO INVIATO «I magistrati ritornino al loro posto»: è quasi un grido di rabbia quello degli avvocati penalisti che ieri hanno concluso il loro congresso straordinario nazionale a Treviso. Ad ascoltarli c'era il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ed è facile immaginare quanto lui sia d'accordo, soprattutto in questi tempi. Anche per questa sorta di solidarietà trasversale il Guardasigilli si è guadagnato ben cinque-applausi-cinque, dopo i fischi che il giorno prima in sua assenza erano stati riservati al complesso dell'azione di governo. Nel mirino dei penalisti in particolare c'è il "pacchetto sicurezza" che dovrebbe essere varato martedì. Frutto, secondo i legali, di pressioni indebite di magistrati e opinione pubblica: «La magistratura ha travalicato i propri limiti - attacca il presidente dell'Unione camere penali, Oreste Dominioni - e teorizza la necessità di supplire ai vuoti della politica. Il problema di Mastella, come di numerosi altri ministri, è che al ministero della Giustizia è prigioniero dei magistrati che occupano l'intero ministero. Tanto che la politica della giustizia è fatta scarsamente dal ministro della Giustizia ma largamente dai magistrati che, posti fuori ruolo, svolgono questa funzione impropria di fare politica. Le conseguenze si vedono da tempo e sono tutte negative. Faccio fatica a comprendere come la magistratura accetti di essere presente nei luoghi della politica, fare politica, e fare scelte in luogo dei politici». Ad esempio, cavalcando la percezione di insicurezza dei cittadini e invocando legislazioni d'emergenza: «La politica non può farsi guidare dalla piazza - avverte Dominioni - e la percezione di insicurezza non si contrasta per via giudiziaria, ma con il controllo del territorio». Sulla graticola quindi oggi non c'è Mastella, bensì Giuliano Amato; e Antonio Di Pietro (che Dominioni ricorda «quando ai tempi di Tangentopoli si affacciava dai balconi del palazzo di giustizia di Milano mostrando la camicia rossa sotto la toga»). Insomma, secondo i penalisti ci sarebbe un gioco di sponda tra magistrati e certa stampa da una parte, e dall'altra la "piazza" suggestionata da episodi che nulla hanno a che fare con le lacune dell'ordinamento giudiziario. Tant'è vero che il vicepresidente dei penalisti, Beniamino Migliucci, si spinge a dire che «l'indulto è l'unica cosa giusta che ha fatto Mastella. È vergognoso che si cavalchino le paure della gente, noi ci rifiutiamo di confondere la certezza della pena con una pena anticipata a prima del processo. Questa non è la certezza della pena, ma dell'ingiustizia». Mastella ovviamente ringrazia e in cambio rassicura che la riforma degli ordinamenti delle libere professioni non comprenderà quella forense, che avrà una sua autonoma e specifica normativa. Ma sulle norme del "pacchetto sicurezza", che prevedono la custodia in carcere e l'immediato processo per alcuni reati gravi, non fa passi indietro. «Gli effetti benefici della legislazione "premiale" sono maggiori degli inevitabili danni; i cittadini però reclamano certezza della pena, quindi gli arrestati per reati gravi potranno essere tenuti in carcere fino al processo, a patto che questo avvenga in tempi stretti». A. G. ------------ Treviso NOSTRO INVIATO L'uomo è solo, ma ci scherza su: «Tra poco avrò bisogno di voi...», dice il ministro Clemente Mastella agli avvocati penalisti riuniti in congresso a Treviso. «Ci faccia un fischio», risponde ridendo il presidente degli avvocati Oreste Dominioni. Non si può dire che il Guardasigilli sia di buon umore, anche se ha appena saputo che l'inchiesta di Catanzaro che lo vede indagato è stata tolta al Pm Luigi De Magistris e avocata dal Procuratore capo: ma, almeno a parole, è sereno. «Lo sono sempre stato in attesa di un giudizio. Bisogna che ognuno rispetti la legalità e i principi; nessuno oltrepassi la linea di demarcazione dei principi legali». Oggi però è di un'altra "linea di demarcazione" che tutti parlano: quella che separa il Governo dal baratro. E Mastella vuol essere chiaro: «Ho solo fatto una mia diagnosi, come un medico: non credo sia responsabilità del medico se un organismo è malato, ho solo preso atto. Quando c'è una componente del Governo che di fatto scende in piazza contro il Governo, e anche contro il sindacato, è una cosa paradossale. A questo punto diventa difficile stabilire un modo con il quale si possano ricomporre situazioni che appaiono, ad ora, irricomponibili». Insomma, la diagnosi del "dottor" Mastella è che la malattia di cui soffre il Governo sia incurabile. In questo caso, l'eutanasia può essere ammessa e l'accanimento terapeutico va evitato: «Se cade questo Governo è giusto che si vada ad elezioni - spiega il ministro -. Senza indulgere a prerogative che sono del Capo dello Stato, laddove fosse proposta l'idea del Governo tecnico si sappia che io sono contrario». Nessuna "ritorsione" da parte sua per i continui attacchi ai quali viene sottoposto «senza sentire solidarietà da parte degli alleati»; e lui non pensa a dimissioni: «Ricorderete cosa successe quando D'Alema ebbe un avviso di garanzia, Berlusconi fu rinviato a giudizio e quanto accaduto a Prodi, che è in una condizione analoga alla mia. Sono cambiati i tempi: si è stabilito che l'avviso di garanzia è certezza, appunto, di garanzia della persona indagata e non che sia condannata. Se poi quando avranno spiegato le tangenti che avrei preso, i traffici in sede europea, in sede sovrannazionale e mondiale, e gli abusi che avrei determinato, per quanto mi riguarda sarò io a prendere la valigia e andrò via». Mastella è tranquillo, quindi. Ma lo è anche Prodi per quanto riguarda le sorti del suo Governo: e allora, come la mettiamo? «Ma mica dipende da lui. È lui l'oggetto della caccia. A dire il vero, anch'io sono oggetto di caccia, ma a me più tranquillamente potrebbero dire "fatti da parte"». E si dimetterebbe? Per rispondere cita una storiella raccontata da Antonio Gramsci: «Un castoro aveva nelle "parti basse" alcuni liquidi che servivano per fare medicinali, e per questo era inseguito dai cacciatori. Per evitare di essere ammazzato, il castoro le gettò in testa ai cacciatori. Se qualcuno mi ritiene un capro espiatorio, facciamo prima che io getti qualcosa indietro». Di sicuro non getterà la spugna, almeno senza combattere fino in fondo. Non fosse altro che per l'amarezza con la quale sottolinea la sua "solitudine": «Sono rimasto l'unico a spiegare le ragioni che portarono all'indulto e sembra che l'abbia firmato solo io. Quanti marciatori pro-indulto, come il sindaco di Roma (Veltroni, ma non lo nomina,ndr), adesso fanno marcia indietro». Ma quando si intrecciano politica e giustizia, si sa che c'è poco da stare allegri. Nel caso dell'inchiesta di Catanzaro, per esempio... «Non so se dietro ci sia una manovra politica; però è strano che da ultimo entrato in questa vicenda, ora sono il primo con Prodi, mentre degli altri non si parla. Non vedo altri sottoposti a un giudizio che per noi è già arrivato, perché nessuno avrà le prime pagine dei giornali come me e Prodi. I fatti accerteranno che il ministro si è comportato con riguardo e tolleranza, ma rivendicando il primato della giustizia. Io non ho problemi, ma mi dispiace per il mio Paese. Leggo di cose assurde che mi toccherebbero, sull'Unione europea, sull'appartenenza a logge massoniche oscure. Mi sono sempre assunto le mie responsabilità di ministro, senza temere il dissenso e correndo anche il rischio di bere qualche calice amaro». Amaro come quello che si aspetta di bere al prossimo Consiglio d'Europa quando i suoi colleghi ministri della Ue commenteranno con la solita strafottente ironia il guazzabuglio politico-giudiziario: «Diranno "i soliti italiani". Questo mi dispiace non per me, ma per il mio Paese». E non lo consola certo il fatto che se la sua "diagnosi" sul Governo sia giusta: sarà uno degli ultimi "calici" che dovrà sorbirsi. Ario Gervasutti da gazzettino.quinordest.it Titolo: I vicentini dicono sì al nucleare. Inserito da: Admin - Ottobre 22, 2007, 09:17:51 am IL CITTADINO E L’AMBIENTE
Domani pomeriggio apre nella sede di Confindustria la tre giorni di confronti e approfondimenti sul rapporto tra i vicentini e le risorse naturali sulla base dell’indagine svolta dall’ist. Rezzara «Sì al nucleare, ma anche a tutte le comodità» Mons. Dal Ferro: «Emergono comportamenti contradditori: si chiedono politiche rigorose e non si è disposti a fare alcuna rinuncia» I vicentini dicono sì al nucleare. È questa una delle sorprese emerse dalla recente indagine condotta dall'istituto di scienze sociali "Nicolò Rezzara" che, attraverso quasi 3mila questionari, ha voluto capire come sono percepiti e vissuti i problemi dell'ambiente dai cittadini berici. Lo ha fatto con una ricerca che ha interrogato 1198 ragazzi tra i 15 ed i 24 anni e 1668 over 55 e che verrà presentata ufficialmente durante la tre giorni di incontri promossa dal Rezzara ed ospitata, a partire da domani pomeriggio, nella sede di Confindustria di corso Palladio. Il tema? Il cittadino e l'ambiente. E questo è, appunto, anche l'argomento affrontato dall'istituto guidato da monsignor Giuseppe Dal Ferro attraverso la sua ricerca. Il quadro che ne esce è, a tratti, contraddittorio: i vicentini sono attenti all'ambiente, chiedono politiche coraggiose e non dicono più "no al nucleare" o "no agli inceneritori" ma, dall'altro lato, si mostrano poco propensi a rinunciare alle comodità quotidiane. DEGRADO DELL'AMBIENTE Inquinamento dei mari, deforestazione e buco dell'ozono: sono questi i fenomeni più pericolosi secondo i vicentini. Ma a preoccupare è anche l'esaurimento delle fonti di energia tanto che il 64.5\% degli intervistati si dice favorevole, a precise condizioni e pur ritenendole pericolose, alla costruzione di centrali termo-nucleari in Italia. Con una distinzione tra giovani e adulti: i primi dicono sì all'energia atomica con una percentuale del 50.6\% mentre gli adulti arrivano al 75.6\%. Le energie alternative, invece, piacciono più alle donne che agli uomini e il 50.8\% del campione intervistato ritiene che sia necessario investire soprattutto nell'energia solare. Carbone e legna infondono poca fiducia come fonti energetiche, al contrario di centrali idroelettriche (31.3\%) e gas (24.8\%) che possono, secondo i vicentini, fornire il loro contributo. E gli intervistati dimostrano di avere le idee chiare anche su come poter rimediare agli sprechi di energia: incentivi economici e severi controlli, abitudini famigliari ed educazione scolastica. L'82\% di loro dichiara di evitare, sia per principio che per una questione di risparmio, gli sprechi di energia elettrica e l'81.9\% dice di ridurre nella vita di tutti i giorni gli sprechi di gas per il riscaldamento. CONSUMO DEL TERRITORIO «Il numero alto di abitanti nel Veneto e l'industrializzazione decentrata hanno portato, negli ultimi decenni, a una consistente trasformazione del territorio in area urbanizzata», spiega Dal Ferro, «ciò ha finito per alterare il rapporto ottimale tra aree fabbricate e verde pubblico». Il risultato è che i vicentini adesso reclamano «più attenzione per il territorio e il verde», ma questo senza rinunciare «all'innovazione e allo sviluppo». Il 65.4\% del campione intervistato non vede di buon occhio la creazione di agglomerati industriali, a eccezione delle fabbriche a rischio salute: il 55.8\%, infatti, chiede di concentrarle in zone specifiche e con particolari forme di protezione. Il 69.5\% delle persone, poi, non considera positiva la tendenza di abbandonare campagna o montagna per la città. Insomma, il modello veneto la fa da padrone e i vicentini dicono no all'aumento dell'urbanizzazione e sì al decentramento dei servizi. L'utilizzo del territorio per scopi di pubblica utilità viene accettato di buon grado se a servizio di nuove autostrade (76.8\%), per la canalizzazione delle acque (72.5\%) e per la costruzione di rotatorie (65\%). I consensi cominciano a scendere quando si parla della presenza dei centri commerciali: il 61.8\% li ritiene eccessivi. Cartellino rosso anche per le piste ciclabili che sono considerate insufficienti dal 53.6\% della popolazione. Due le priorità apparse nette agli occhi degli intervistati: la qualità della vita (80.4\%) e la tutela dei beni storico-artistici (93.1\%). Ma anche il rispetto del paesaggio (95\%) e il giusto connubio tra verde e costruzioni (95\%). PROGRESSO E QUALITÀ DELLA VITA L'inquinamento? È colpa delle fabbriche (95.8\%) e del trasporto privato (82.9\%). Ma alla domanda se si usa la propria macchina senza limiti il 27.8\% risponde di sì e sono soprattutto i giovani a non voler rinunciare alla quattro ruote: il 41.1\% confida di usare l'auto in ogni occasione contro il 17.1\% degli adulti. Tutti, però, chiedono depuratori dei fiumi per le fabbriche (95.8\%), incentivazione dell'uso dei mezzi pubblici (86.9\%) e controlli sul riscaldamento (72.7\%). Il 74.2\% delle persone dichiara di usare la bicicletta quando possibile e l'85.7\% di fare un uso controllato del riscaldamento domestico. E i vicentini si mostrano virtuosi anche per quanto riguarda la raccolta differenziata: il 95.4\% assicura di praticarla e il 78\% dice di essere favorevole agli inceneritori. «Dalla ricerca - conferma Dal Ferro - sono risultati relativizzati alcuni assiomi assoluti del passato: "no al nucleare" e "no agli inceneritori", pur con gravi riserve. Un altro aspetto interessante è rappresentato dalla particolare preoccupazione emersa nei confronti di un mercato che con additivi di conservazione altera la genuinità dei prodotti». La ricerca del gusto e della genuinità nell'acquisto dei cibi è prioritaria per gran parte degli intervistati e se l'81.8\% esprime notevoli riserve proprio nei confronti dei conservanti, l'86.9\% che guarda con sospetto i prodotti transgenici. Roberta Labruna ------------------------------ Ecco tutto il programma (ro.la.) Ecco il programma del XIV simposio, promosso dall'istituto Rezzara di Vicenza, sul tema "Il cittadino e l'ambiente". Lunedì 22 ottobre: ore 15.30 "Uomo e ambiente, una relazione inscindibile" (prof. Gabriele Zanetto, università di Venezia); "Dequalificazione ambientale e salute" (prof. Guido Perin, università di Venezia). Martedì 23 ottobre: ore 15.30 "I problemi dell'ambiente percepiti dai cittadini" (prof. Giuseppe Dal Ferro, Istituto Rezzara); "Le imprese e i problemi dell'ambiente" (Dott. Renato Cimenti, responsabile area ambiente Confindustria Vicenza). Mercoledì 24 ottobre: ore 15.30 "Produzione, prevenzione e disinquinamento" (prof. Alessandro Peressotti, università di Udine); "Politiche per la tutela ambientale" (prof. Stefano Soriani, università di Venezia); ore 18.00 Conclusione dei lavori a cura del prof. Giuseppe Dal Ferro. da gazzettino.nordest.it Titolo: Arzignano -La Mafia tiene casa anche nel vicentino. Inserito da: Admin - Ottobre 24, 2007, 06:24:40 pm Arzignano -La Mafia tiene casa anche nel vicentino. Lo si sapeva da tempo, da quando ad esempio 15 anni fa a Camisano fu arrestato Giuseppe "Piddu" Madonia, all'epoca ritenuto il numero due di Cosa Nostra, che da alcune settimane aveva trovato casa a Costozza di Longare. Di ieri invece la notizia dell'arresto da parte della Direzione Investigativa Antimafia di un imprenditore arzignanese, Diego Olivieri, 59 anni, titolare della Olivieri Pellame S.a.s., ditta con sede al civico 1 di via Cimarosa specializzata nella mediazione di pelli grezze e wet blu, coinvolto, secondo gli investigatori in una maxi operazione finanziaria, finalizzata al riciclaggio di 600 milioni di dollari, gestita dal clan mafioso capeggiato dal boss Vito Rizzuto. La Olivieri Pellame, secondo gli investigatori, era punto di riferimento degli arrivi di cocaina, nascosti tra i bancali di pellame per eludere i cani antidroga, provenienti dal Canada. Tra i 19 provvedimenti di cattura emessi dal procuratore distrettuale antimafia di Roma, Italo Ormanni, anche due funzionari di banca, uno vicentino (agli arresti domiciliari), che facevano la spola tra Svizzera e Italia per depositare il denaro in conti correnti che facevano capo all'associazione mafiosa. ----- ARZIGNANO Maxi operazione messa a segno dalla Dia di Roma, che ha smascherato un traffico internazionale di stupefacenti e riciclaggio per 600 milioni di dollari Mafia e cocaina sull'asse Canada-Arzignano Arrestato un imprenditore vicentino, ai domiciliari un bancario. La droga veniva nascosta nelle pelli da concia per confondere i cani Arzignano Ha toccato anche Arzignano la maxi-operazione compiuta dalla Dia (Direzione investigativa antimafia) di Roma che ha smascherato una vera e propria multinazionale del crimine che aveva come principale attività il traffico internazionale di stupefacenti e il riciclaggio di denaro: si parla di 600 milioni di dollari. Gli uomini della Dia, che hanno avuto nell'occasione l'appoggio logistico dei carabinieri della Compagnia di Valdagno, hanno arrestato Diego Olivieri, 59 anni, titolare della Olivieri Pellame S.a.s., con sede al civico 1 di via Cimarosa specializzata nella mediazione di pelli grezze e wet blu. Secondo gli investigatori la cocaina veniva nascosta nei carichi di pellame per eludere i cani antidroga: imbarcata in Canada con destinazione il polo conciario più grande d'Europa, Arzignano appunto. Nell'inchiesta sono finiti anche due funzionari di banca, uno veronese ed uno vicentino: per loro arresti domiciliari, al contrario di Diego Olivieri, finito in carcere. Sull'imprenditore arzignanese gli investigatori avevano puntato gli occhi circa un anno fa quando sequestrarono a Vancouver, in Canada, 300 chili di cocaina provenienti dal Venezuela. Un sequestro tenuto nascosto per sviluppare senza clamore le indagini culminate con 19 ordini di carcerazione emesse dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma: destinatari boss, imprenditori, funzionari di banca e faccendieri. Diego Olivieri è persona nota ad Arzignano. La notizia del suo arresto ha destato grande sorpresa: nell'ambiente è descritto come un professionista stimato poco propenso a parlare dei suoi affari. L'attività di commercio della pelle l'ha imparata dal padre, ed anche il figlio lavora nello stesso ramo. La Dia di Roma ha lavorato a fianco della polizia canadese, di quella francese, svizzera e del Fbi statunitense, oltre che con il Nucleo centrale di Polizia per districare il complicato sistema di società 'ombra' e 'a conchiglia' che servivano per far viaggiare il denaro illecito attraverso molti Paesi europei e americani, per farlo poi confluire in due conti svizzeri che facevano capo al clan Rizzuto. Per questo lavoro il clan si serviva di due funzionari di banca del Veneto: erano loro che facevano la spola tra Svizzera e Italia per depositare il denaro in conti correnti denominati 'Olio 1' e 'Olio 2', messi sotto sequestro.L'inchiesta ha preso avvio da quella che vedeva la mafia del clan Rizzuto infiltrarsi nel grande appalto per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina. Per portare a termine, attraverso un'operazione finanziaria internazionale, il riciclaggio di 600 milioni di dollari, era stata scelta una sede al di sopra di ogni sospetto: Piazza Colonna, a Roma, proprio davanti a Palazzo Chigi. Qui era stata allestita la società di import ed export Made in Italy Spa, che insieme alla Made in Italy Inc., il cui presidente Mariano Turrisi è stato arrestato la scorsa notte, faceva capo al boss mafioso Vito Rizzuto. Giorgio Zordan da gazzettino.quinordest.it Titolo: ... dopo una conta, l'obbligano a recuperare nella turca del bagno dei piccoli.. Inserito da: Admin - Ottobre 25, 2007, 04:50:10 pm LA PAROLA AI BASSANESI
«Ingiusta la conta, però ora non criminalizziamo» Bassano "Anche se il principio di punire chi non rispetta le regole è giusto, trovo troppo pesante la punizione che è stata inflitta alla bambina. A maggior ragione perchè non era lei la diretta colpevole". Arianna Bizzotto, maestra della scuola elementare bassanese Mazzini, così sintetizza il giudizio sull'accaduto. E i pareri di alcuni genitori sono in linea. ma tutti invitano a non criminalizzare una scuola esemplare. "Ho lavorato anch'io nella scuola di Marchesane - continua la maestra Bizzotto - e posso dire che è una scuola bellissima dove si lavora bene. Evidentemente, per agire così, qualcuno dev'essere stato esasperato dai comportamenti dei bambini. In quanto maestra però io sono solidale con le mie colleghe, mi dispiace per come si sentiranno senza per questo voler giustificare a priori. Il principio di partenza è corretto: gli alunni vanno responsabilizzati, ma io non avrei agito così. La punizione è stata troppo pesante e l'errore è stato commesso nel fare la conta tra i ragazzi. Ora però non è giusto che sia la scuola a fare le spese di questo episodio". Anche Paolo Venzo, bidello del Mazzini, non si dichiara d'accordo con la scelta di prendere una bambina a caso per la punizione: "Non avrebbero dovuto sceglierla a caso. Il fatto che nessun bambino era disposto a confessare non autorizzava la conta". Secondo i genitori che ieri pomeriggio aspettavano i loro figli all'uscita della scuola, al primo posto negli ambienti scolastici ci deve sempre essere l'aspetto educativo: "Non mi sembra si sia pensato tanto a educare gli alunni attuando quella punizione - dice una mamma, Mabel Zuniga - La scuola elementare, in quanto formazione primaria, dovrebbe essere il luogo che in assoluto pensa all'educazione dei nostri figli". E' dello stesso parere Mariuccia Cuman, una nonna: "Così facendo ai bambini viene trasmesso un messaggio sbagliato". Alcuni genitori poi preferiscono rimanere anonimi. Si scagliano contro l'accaduto o prendono le distanze consapevoli che è un fatto delicato, difficile da commentare. "Io avrei subito sporto denuncia - dice severa una mammma - Non è possibile che venga presa una bambina a caso. Si è tutti innocenti fino a quando non emerge il colpevole". "C'è bisogno di capire bene la situazione - mitiga un papà che fa parte del consiglio del Primo circolo - A priori non è carino obbligare una bambina a caso a riparare a uno sgarbo di altri. Ma come si fa a dare un giudizio? Bisognava esserci per parlare, sentire tutti i punti di vista, ascoltare le maestre, i bambini". Alfredo De Bini, un nonno, si rammarica per l'accaduto: "Facendo così ritorniamo alle cattive maniere di una volta. Io sono contrario. Hanno condannato una persona a caso". Ma qualche voce si alza anche a paladina della necessità che i bambini capiscano e imparino: "Se lasciamo che i ragazzi facciano sempre tutto quello che vogliono non impareranno mai nulla - spiega Cristiana Klement, una nonna - C'è bisogno che i piccoli vengano educati. Io non sono contraria a quanto è successo."Lara Lago ------------- «Quanto accaduto va disapprovato ma poi ha avuto eccessivo clamore La scuola è sana» Bassano Le rappresentanti dei genitori difendono in blocco la scuola: «Il nostro plesso non si tocca», sottolineano. All'indomani del caso nazionale scoppiato alla primaria Papa Giovanni di Marchesane, dove un'alunna di prima elementare è stata punita, dopo una conta, dalla bidella e da due maestre che le hanno fatto recuperare un asciugamanino gettato da un compagno, rimasto anonimo, nella turca del bagno dei piccoli, le rappresentanti dei genitori condannano la decisione ritenuta "diseducativa" ma nel contempo prendono posizione in favore delle insegnanti che sono riuscite a far riflettere gli scolari sulla delicata vicenda. «Non è forse più importante - affermano infatti in una lettera aperta - il recupero successivo che dovrebbe venir svolto nei confronti dei bambini, per la rielaborazione dell'episodio accaduto? Ed è ciò che è stato fatto prontamente nei giorni successivi dalle insegnanti stesse, con tutti gli scolari, dimostrando la sensibilità e l'attenzione che in questa scuola e in questo Circolo viene posta nei riguardi dell'infanzia». I rappresentanti dei genitori lamentano anche il fatto che «le notizie negative sono sempre quelle che trovano maggior rilievo sull'opinione pubblica, mentre si dà poco spazio alle numerose iniziative che vengono svolte all'interno del plesso, quali attività teatrali e laboratori vari, portati avanti dalle maestre anche fuori dal loro normale orario di lavoro». Le mamme osservano pure come raramente vengano sottolineate la bravura e la preparazione delle insegnanti nella loro opera educativa ed esprimono «totale disaccordo anche su chi ha permesso che la notizia assumesse tali dimensioni». «Ci chiediamo infatti - continuano - in che modo tale eco possa giovare non solo ai diretti interessati ma anche a tutti i minori coinvolti. La storia raccontata assume i toni di un racconto da brivido dove bidella e insegnanti sembrano essere gli orchi delle fiabe. Siamo molto lontani dalla realtà e vorremmo far conoscere a tutti il clima familiare che si respira tra le mura della nostra scuola. Raramente viene posta in rilievo la capacità e la professionalità delle insegnanti di essere attente e sensibili alle esigenze dei singoli bambini, pur lavorando con classi numerose». Eccessivo, secondo le mamme, anche il risalto dato alla notizia: «Non sarebbe forse più edificante che da parte di tutti, in particolar modo dai mezzi di informazione venissero offerti ai nostri figli modelli e proposte più educative e meno violente?». Gianni Trentin da gazzettino.quinordest.it Titolo: DIARIO TRI/VENETO - I vicentini che mangiano ancora gatti Inserito da: Admin - Ottobre 28, 2007, 05:50:48 pm DIARIO
I vicentini che mangiano ancora gatti 28 ottobre «Se i vicentini sono ancora magnagati? Io ne ho quasi le prove», ridacchiaCarlo Presotto, attore e regista della Piccionaia. Che poi però sa circostanziare la propria affermazione: «Quando alla Scuola del Lunedì dei Ferrovieri tengo la mia lezione annuale sulle leggende locali, va a sempre a finire che faccio un po' di filò con gli anziani presenti. E ogni volta che chiedo se fra i presenti c'è chi ha mangiato gatto, prima si alzano un sacco di mani, e poi vengono fuori di quelle storie che si potrebbe riempirne un libro». Eventualità da non escludere, conoscendo la febbrile versatilità di Presotto, che intanto continua a spiegare: «Mangiare gatto è un rito, e i riti si sa sono duri a morire. Tanto che i vicentini chiamano questa cena 'dandega del gato', dove per 'dandega' si indica un convivio con cui celebrare qualcosa di importante. Fra le norme da rispettare, è fondamentale quella di non trovarsi a mangiare nella casa di chi ha ammazzato il micio, mentre gli appassionati di cucina hanno da perdersi sulla ricetta, che richiede giorni e giorni di preparazione, oltre a saper dosare ingredienti essenziali come i pinoli». Domani si potrebbe saperne di più, dato che alle 15.30 il professor Presotto torna alla Scuola del Lunedì (ex 150 Ore), tenendo lezione al centro di via Rismondo 2 sulle vicentinissime leggende di villa ai Nani, e "Buso della Contessa". Seguirà l'inevitabile filò, come a volte succede alla Scuola di Scrittura tenuta daTiziana Agostini per la Casa di Cultura Popolare. Sempre domani, con inizio alle 17.30, nella saletta Lampertico attigua al cinema Odeon, l'autrice di opere illuminanti sul presente del Nordest, come "Le nuove venete", apre un nuovo "Cantiere di creatività", dove le menti al lavoro sono quelle di tanti vicentini contagiati da un morbo della scrittura che qui si annusa nell'aria assieme agli odori di gatto in padella. Terra natale di ben quattro grandi del '900 italiano - Piovene, Parise, Meneghello e Rigoni Stern - Vicenza si è affacciata nel nuovo secolo facendo da teatro a vicende che, come il Dal Molin o il processo sulla morte di quattordici operai della Pm Galvanica di Tezze sul Brenta, sembrano "chiamare" i loro eredi al lavoro. Stefano Ferrio da gazzettino.quinordest.it Titolo: Vicenza Enrico Hullweck (un sindaco piagnone? ndr) Inserito da: Admin - Novembre 07, 2007, 06:11:23 pm «Sono ben lieto che ...
Vicenza «Sono ben lieto che i dati ci dicano che il Vicentino, rispetto ad altre province, non si trova in una condizione drammatica ma la percezione dei cittadini non è questa e se la nostra situazione non è giudicata allarmante non oso immaginare cosa avviene nelle realtà che ci precedono in classifica». Così il sindaco forzista di Vicenza Enrico Hullweck commenta i dati sulla criminalità, relativi allo scorso anno, che arrivano dal ministero dell'Interno e che vedono la provincia berica oscillare a seconda della tipologia del reato tra il 45. ed il 68. posto. A metà classifica, lontana dai vertici della graduatoria, comunque con luci ed ombre. Con le rapine che hanno subito un calo del 14,6\% rispetto al 2005 e gli omicidi che, al contrario, sono aumentati del 75\%. Del 23,6\% sono saliti borseggi e scippi, i furti in abitazione hanno subito un incremento del 9,4\%. «Considero - riprende Hullweck - queste classifiche inutili: basta un omicidio in più o in meno, ad esempio, per far alzare o abbassare la percentuale di molto. Insomma, queste cifre secondo me lasciano il tempo che trovano. Io faccio un ragionamento diverso rispetto alla sicurezza e per farlo mi metto a pensare a cos'era Vicenza qualche anno fa. Perché la nostra realtà, ricca e produttiva, oggi è più esposta ai pericoli rispetto ad altre città e in questi ultimi anni si ritrovata a dover fare i conti con un flusso impressionate di immigrati non in regola». Da qui una prima richiesta ad un governo che, secondo Hullweck, non fa quanto dovrebbe: «Occorre mettere un freno all'ingresso in Italia di persone provenienti da altri Paesi, e questo si può fare solo studiando accordi con i loro luoghi di origine. Ma soprattutto basta con il buonismo e il lassismo». E ancora. «Giusto poche ore fa ho ricevuto una comunicazione dalle autorità locali competenti in materia di ordine pubblico: la richiesta è quella di aumentare il pattugliamento dei vigili e di dotarmi di impianti di videosorveglianza. Tutte cose bellissime, ma con quali soldi? La sicurezza di uno Stato - riprende Hullweck - dipende dalla polizia che però, purtroppo, non ha né mezzi né risorse sufficienti». Hullweck è un fiume i piena e lamenta che «i sindaci hanno le mani legate quando si tratta di sicurezza. Io sono intervenuto come ho potuto e ho emesso un'ordinanza che vieta il consumo di alcol nelle aree pubbliche delle città. Bene, è successo che un gruppo di ragazzi ha promosso una manifestazione contro questo provvedimento ed il questore ha autorizzato la manifestazione. Questo per me vuol dire che il questore è contro l'ordinanza e allora davvero mi chiedo: che senso ha tentare, nel nostro piccolo, di intervenire?». Roberta Labruna da gazzettino.quinordest.it Titolo: Investito un no global: tensione alla base Usa Inserito da: Admin - Novembre 08, 2007, 11:23:39 am Davanti al «Dal Molin» c'è un presidio permanente
Investito un no global: tensione alla base Usa Vicenza, i manifestanti accusano un militare italiano MILANO - E' iniziato con il ferimento di Francesco Pavini, leader dei Disobbedienti vicentini, travolto da un auto guidata da un militare italiano, il presidio davanti ai due ingressi dell'aeroporto Dal Molin di Vicenza per impedire l'inizio dei lavori per l'ampliamento della base americana. Intorno alle 22 di ieri, quando circa duecento persone del movimento «No base» si erano appena incamminate lungo il viale che conduce al Dal Molin, un'auto avrebbe tentato di forzare il blocco dei manifestanti: «Il guidatore ci ha ordinato di lasciarlo passare — racconta Cinzia Bottene, portavoce dei "No base" —. Ha dichiarato di essere un militare e, quando gli abbiamo risposto che la strada era bloccata, lui ha premuto sull'acceleratore puntando Pavin. L'ha travolto, sbalzandolo a qualche metro di distanza. Poi è fuggito ». Il militare è stato identificato e messo a disposizione dei carabinieri che lo hanno interrogato nella notte. Nessuna fonte militare ha confermato la meccanica dell'accaduto. Francesco Pavin, che dopo l'incidente non ha perso conoscenza, è stato ricoverato all'ospedale San Bartolo di Vicenza. Non è grave e ha riportato solo alcune escoriazioni. «Il militare si è fermato e ha poi deliberatamente accelerato dirigendosi verso i manifestanti per colpirne uno prima di fuggire», ha dichiarato la senatrice Franca Rame che ha inviato una nota per conto dei manifestanti. Secondo l'avvocato che tutela il movimento «si potrebbe configurare il reato di tentato omicidio e omissione di soccorso». La nuova fase della protesta contro l'ampliamento della base americana (è in corso la bonifica dagli ordigni bellici presenti in un'area dell'aeroporto), si preannuncia carica di tensione. Nonostante l'incidente, continua l'afflusso dei manifestanti per raggiungere lo scalo vicentino: «Bloccheremo sia l'accesso militare che quello civile — hanno annunciato i "No base" —. Nessuno potrà entrare nell'aeroporto almeno fino a venerdì. A turno trascorreremo giorno e notte davanti agli ingressi». La decisione di dare inizio al blocco è arrivata una volta scaduto l'ultimatum che i manifestanti avevano imposto al commissario straordinario Paolo Costa al quale era stato dato tempo fino a lunedì scorso per interrompere i lavori e annunciare la trasformazione dell'aeroporto in parco pubblico. Lunedì l'assessore alla sicurezza Valerio Sorrentino, aveva dichiarato: «Da oggi in il problema diventa di ordine pubblico». Roberto Rizzo 07 novembre 2007 da corriere.it Titolo: Rogo De Longhi «Un comportamento di grave imprudenza e negligenza...». Inserito da: Admin - Novembre 08, 2007, 10:31:34 pm Treviso
NOSTRO INVIATO «Un comportamento di grave imprudenza e negligenza...». Le parole sono rimaste finora celate nel riserbo che ha coperto le pagine della perizia per il rogo che ad aprile distrusse lo stabilimento De Longhi a Treviso. Sono espressioni pesanti. Gli esperti gettano ombre sulla mancanza dei sistemi di sicurezza, sull'accatastamento dei materiali nei reparti, sull'assenza di meccanismi attivi e passivi per domare un principio d'incendio, impedendo che si trasformasse in un rogo di immani proporzioni, forse in un disastro ambientale. A mettere nero su bianco frasi taglienti come un capo d'accusa, è l'ingegnere milanese Massimo Bardazza, incaricato dalla Procura di chiarire cause e circostanze di un evento che ha pochi precedenti a Nordest. Ma sono condivise anche dal chimico veneziano Gianpietro Zucchetta, che è anzi tassativo sul fatto che l'incendio sia doloso. L'inchiesta non ha ancora registrato l'iscrizione di nessun indagato, nè sul fronte delle responsabilità dolose, nè su quello di possibili carenze nei sistemi di controllo. Finora si conosceva solo qualche conclusione dei periti, non il lororagionamento, avvincente come unthrilling. La verità sul rogo si articola in 14 punti e ruota attorno a un rapporto dei vigili del fuoco. Nei primi quattro punti gli esperti affermano che l'incendio si è sviluppato nella zona del deposito dove erano stoccati 181 bancali di imballi in polistirolo per un peso di 2.987 chilogrammi e 127 bancali di cartoni, che la produzione era in atto, che erano riprese le attività dei carrellisti e che le fiamme sono partite da una zona bassa, vicino al pavimento. Nei quattro passaggi successivi affrontano le cause sostenendo che l'alimentazione di energia nello stabilimento è venuta meno dopo che è stato notato il fumo, il che esclude il corto circuito. Che l'innesco non può essere stato causato dalla temperatura di alcune lampade, inidonea a dar fuoco al polistirolo. Che il polistirolo non si incendia per contatto con corpi caldi come sigarette, sigari, oggetti metallici, perchè in quel caso si fonde. L'ottavo punto è quello cruciale: «l'incendio del polistirolo si innesca facilmente con una fiamma anche di potenza termica bassa». Ma è nei passaggi successivi che entra in gioco il sistema antincendio. La «geometria dello stoccaggio» del materiale ha «provocato la rapidissima propagazione dell'incendio e il rilascio di un calore distruttivo». Dopo 50-60 secondi l'incendio era indomabile. «Nel giro di qualche minuto lo stabilimento è perso» anche perchè «la propagazione non è stata impedita da nessun tipo di protezione passiva». Nei punti finali si sottolinea come «dagli accertamenti di polizia giudiziaria non risultano dipendenti psicolabili» e come sia stato impossibile prelevare campioni della cobustione. In un capitolo a parte gli esperti affrontano il problema dell'innesco. Per affermare che «non ci sono evidenze di inneschi dovuti a malfunzionamento di impianti» o all'uso di apparecchiature elettriche. E per ribadire che l'incendio del polistirolo si raggiunge facilmente con «l'uso di fiamme anche di bassa potenza termica». Ecco la soluzione finale: «Non rimane che prendere in considerazione un atto volontario con la previsione delle conseguenze o involontario senza la previsione delle conseguenze». Questa è la formulazione di Bardazza, mentre Zucchetta non ha dubbi sul dolo. «La sola via per dar fuoco ai bancali di polistirolo è avvicinare per un certo tempo prolungato la fiamma libera di un accendino alla superficie esterna delle pile». Oppure infilare della carta nelle fessure dei bancali, per darvi poi fuoco. Ma oltre il capitolo doloso c'è quello di una possibile colpa. Gli esperti formulano cinque contestazioni, a sostegno di un supposto «comportamento» di «grave imprudenza e negligenza» che non avrebbe impedito il propagarsi dell'incendio. Ecco in cosa consistono. Lo stabilimento non aveva il Certificato di Prevenzione Incendi. Mancavano «elementi di presidio per la sicurezza degli incendi». Non c'era un sistema attivo di «spegnimento automatico». Nè accorgimenti «passivi complementari». Il quinto punto riguarda lo «stoccaggio di enormi quantità di polistirolo in mezzo allo stabilimento». Anche per questo la De Longhi di Fiera sarebbe andata completamente distrutta. Ma per sapere se questo diventerà motivo di contestazione penale bisogna attendere le decisioni dei pubblici ministeri. Di certo nell'inchiesta spunta un documento imbarazzante, firmato da Silvano Barberi, comandante provinciale dei vigili del fuoco di Treviso. «La De Longhi non ha presentato richiesta di sopralluogo per il rilascio del Certificato Prevenzione Incendi e quindi non risulta in possesso di tale certificato». L'1 ottobre '99 fu presentata un'istanza di CPI. Il parere fu favorevole, salvo verifica della realizzazione delle opere. Ma il sopralluogo non fu più chiesto dalla De Longhi. Giuseppe Pietrobelli da gazzettino.quinordest.it Titolo: Gigi Riva - Mai più tolleranza anche con i rom Inserito da: Admin - Novembre 09, 2007, 05:27:08 pm Mai più tolleranza anche con i rom
di Gigi Riva Cancellare le regole internazionali sul popolo nomade. Polizia europea a tutela delle frontiere. Vigili urbani in azione sui reati minori. La ricetta del governatore friuliano. Colloquio con Riccardo Illy Riccardo Illy, la sua idea sulla cancellazione dei privilegi dei rom farà discutere. "Vecchi accordi internazionali, ratificati dai vari Paesi, rispondevano a un mondo che non c'è più. Quasi tutti gli Stati dove i rom sono presenti sono entrati in Europa, c'è la libera circolazione delle persone. I rom non rischiano più il genocidio e l'isolamento. Di più: non rischiano nemmeno di essere discriminati. Erano questi i motivi, allora condivisibili, che giustificavano i privilegi. Adesso è giunto il momento di normalizzare la loro presenza e la loro partecipazione alla società europea. Non c'è più ragione di mantenere norme speciali che riguardano, ad esempio, maggiori difficoltà per il loro allontanamento o i loro mezzi di trasporto che circolano con targhe non regolari". I rom inoltre sono diventati più stanziali. "Fino a un certo punto. Gli spostamenti sono meno frequenti, è vero, tendono a rimanere per qualche anno nello stesso luogo. Tuttavia in pochi accettano di vivere negli appartamenti. Preferiscono le roulotte". L'onda emotiva del delitto di Roma ha prodotto un decreto severo. Lo condivide. "Nel merito sì. Nel metodo no. Trovo sbagliato che si prendano provvedimenti sull'onda di un fatto specifico. E poi si è scatenata una caccia al romeno quando sono in migliaia i romeni che lavorano e sono persone per bene mentre delinquono anche immigrati di altri Paesi. O gli stessi italiani. La caccia alle streghe non fa bene a nessuno e i massimi danneggiati sono proprio le persone per bene di quel popolo". Si arriva alla misura drastica delle espulsioni. "Che lasciano il tempo che trovano. Noi li espelliamo, magari li portiamo a nostre spese nel loro Paese e quelli rientrano subito. Perché non c'è come fermarli. A dicembre l'Ungheria entrerà nell'area Shengen. Gli ungheresi non avranno nessun interesse a respingere i romeni, tanto sanno che vanno altrove in Europa. E dall'Ungheria saranno facilmente nelle nostre strade". Le correnti migratorie non si fermano con un decreto, d'accordo. Ma come fare per fermare alla frontiera almeno i delinquenti? "Noi, dico l'Italia, dico Trieste, oggi siamo frontiera Shengen. Dal 22 dicembre non più. Diventano frontiera Shengen paesi che hanno il reddito pro capite più basso e non hanno le capacità finanziarie di formare il personale, informatizzare il sistema. Allora deve entrare in campo l'Europa. Sicurezza e ordine pubblico non possono essere solo problemi nazionali. Sull'esempio degli Stati Uniti, bisognerebbe creare una polizia federale che si occupi tra l'altro del controllo della frontiera. Soprattutto della frontiera Shengen. Immigrazione clandestina, droga, prostituzione, traffico d'armi dovrebbero essere tutti temi di competenza della polizia europea". da espresso.repubblica.it Titolo: "I nostri bimbi romeni insultati a scuola" Inserito da: Admin - Novembre 13, 2007, 09:19:31 am SCUOLA & GIOVANI
Il racconto dei bambini a casa I genitori li hanno tenuti lontani dalle aule La denuncia di un´associazione veneta. "Aggrediti dai compagni" "I nostri bimbi romeni insultati a scuola" Gli episodi in alcune scuole delle province di Treviso e Vicenza dal nostro inviato ROBERTO BIANCHIN TREVISO - Bambini italiani contro bambini romeni. Finisce per avvelenare anche i rapporti tra i più piccoli il caso di Giovanna Reggiani, la donna massacrata a Roma dal rumeno Nicolae Mailat. L'associazione degli immigrati romeni che vivono nel Veneto ha denunciato che in alcune scuole delle provincie di Treviso e di Vicenza, dei bambini romeni sarebbero stati aggrediti e molestati da alcuni loro compagni di classe italiani. Vi sarebbero state spinte, minacce e insulti nei confronti dei bambini romeni, accusati dai loro coetanei di appartenere a un "popolo di assassini". A raccontare il fatto è Ileana Fofuca, presidentessa dell'associazione culturale "Tera Nova" che riunisce i romeni della provincia di Treviso. Secondo la donna, che è rumena, sposata con un italiano, ha due figli e vive ad Asolo, nel Trevigiano, sarebbero stati gli stessi ragazzini romeni a raccontare ai loro genitori che all'indomani del terribile delitto di Roma sarebbero stati malmenati e insultati da alcuni loro compagni di classe. Per questo alcune madri romene avrebbero tenuto a casa da scuola i loro figli per paura di ritorsioni, dopo che i piccoli avevano riferito di avere subìto maltrattamenti e offese. "Sono preoccupata - dice la donna - per il clima di tensione, di incertezza e di diffidenza in cui stiamo vivendo in questo periodo". L'associazione romena ha invitato tutti gli insegnanti delle scuole venete a vigilare per prevenire atti di intolleranza, e a diffondere messaggi di amicizia tra i due popoli. Della questione verrà interessato anche il Provveditorato agli studi. Ma le preoccupazioni sono più ampie. C'è infatti il timore che si instauri e si diffonda un clima di odio fra italiani e romeni, e che questo possa anche portare a delle conseguenze negative per i 3.500 imprenditori del Nord Est che lavorano, senza aver incontrato fino a questo momento grossi problemi, in Romania. La presidentessa dell'associazione "Tera Nova" ha perciò rivolto un invito anche ai suoi connazionali, nel nome della "antica amicizia" tra Italia e Romania, affinché "non dimentichino il tradizionale spirito di ospitalità e di accoglienza che è tipico del nostro popolo". E' amareggiata, Ileana Fofuca, per questi che giudica "dei segnali di intolleranza molto preoccupanti", ma è anche critica, pur manifestando "piena solidarietà a chi ha vissuto tragedie inimmaginabili", verso le autorità italiane "che danno l'impressione di non saper affrontare una situazione che rischia di degenerare". La portavoce della comunità romena, che fa parte del coordinamento dei migranti "Cittadinanza Attiva", racconta che la maggioranza degli oltre 8mila romeni che vivono in provincia di Treviso, "si è integrata bene, studia, lavora e si comporta onestamente". Ma ora, spiega, "sta iniziando a pagare duramente le conseguenze per gli atti folli di qualche singolo delinquente". Secondo l'associazione infatti, "non si può fare di tutta l'erba un fascio, cadendo vittime di pregiudizi. Perché il clima che ormai serpeggia tra gli adulti si sta cominciando ad insinuare anche nei più piccoli, come dimostrano gli episodi di intolleranza avvenuti in alcune scuole. E questo è molto grave". Fino a ieri i lavoratori romeni non avevano creato particolari problemi nella regione. I primi attriti con le popolazioni locali sono sorti da quando alcune bande di romeni hanno preso il controllo del mercato della prostituzione, dell'accattonaggio e della droga. (12 novembre 2007) da repubblica.it Titolo: Il caso nazionale. Oltre 35 milioni per il friulano Inserito da: Admin - Novembre 14, 2007, 05:12:23 pm Il caso nazionale
Oltre 35 milioni per il friulano Il libro. Esce oggi “Impuniti”, atteso come la nuova “Casta”. Legge Cecotti e finanziamenti alle minoranze fra i temi. E in rete c’è già un blog UDINE. La tutela del friulano è un investimento o uno spreco? Quali sono gli effetti degli oltre 35 milioni di euro, circa 70 miliardi di vecchie lire, spesi per finanziare le leggi? La Lega Nord degli anni ’90 ha tutelato l’identità o inaugurato un business che oggi la giunta Illy continua ad alimentare? Sono questi i temi friulani del saggio “Impuniti. Storie di un sistema incapace, sprecone e felice” pubblicato da Baldini & Castoldi che da oggi sarà in tutte le librerie italiane.Il libro, che si propone come la “Casta” della Seconda repubblica, è scritto dal giornalista Antonello Caporale, di Repubblica, in collaborazione – per quanto riguarda il Friuli Vg – con Tommaso Cerno del Messaggero Veneto. E da qualche ora è già on line anche il blog su cui friulani e non potranno denunciare liberamente gli sprechi della politica, cercando così di rendere pubblico il malcostume della classe dirigente. Il blog si trova al sito http://www.impuniti.net. Si annuncia già come il nuovo best seller, dopo la Casta di Stella e Rizzo, ma stavolta il viaggio tocca luoghi e vicende segnati dal cattivo uso del denaro pubblico. In Italia. Ma anche in Friuli. Tanto che uno dei capitoli centrali del saggio riguarda proprio il friulano e la legge di tutela promossa in Friuli Vg prima dalle giunte leghiste degli anni ’90 e oggi dal centro-sinistra. «Il ghigno sornione è rimasto lo stesso. Identico. Il tratto di Silver è inconfondibile. Eppure qualcosa non torna in quel fumetto. Perché se quello è Lupo Alberto, che diavolo mai significa la scritta gialla Alberto Lof? Devono essersi sbagliati. E invece no, nessun errore. In Friuli si parla friulano, per cui i bambini si rassegnino pure perché in friulano lupo si dice lof e, da quelle parti, Lupo Alberto si chiamerà Alberto Lof. Fateci pure il callo», denuncia “Impuniti” aprendo il dibattito sui fondi spesi dalla Regione Fvg per la tutela del friulano e, negli anni di governo del centro-destra, per la legge sui Celti, che ha portato a «un vero e proprio assalto di istituzioni e associazioni per aggiudicarsi i finanziamenti previsti dalla legge voluta dalla Lega – si legge –. Giungono richieste per 21 miliardi e mezzo di vecchie lire, ma a disposizione ce ne sono solo 4. E così Alessandra Guerra istituisce una commissione speciale, che dovrà vagliare le domande ammissibili e decidere a chi, fra le 53 associazioni che hanno chiesto soldi pubblici per celebrare gli antenati Celti, alcune con più di un progetto per un totale di 196 richieste di finanziamento, dovranno essere dati i fondi. Le iniziative spaziano su diversi settori: scavi (11 progetti), pubblicazioni (20), convegni (18), ricerche e studi (25), atti (4), mostre (30), musei e biblioteche (6), villaggi celtici (3), cataloghi (6), musica (21), Cd Rom (12), documentari e film (7), siti internet (3), teatro e spettacoli (11), più altri 19 progetti catalogati come attività diverse». Ma non è tutto. Il libro si propone come uno strumento aperto di riflessione. Tanto che Baldini e Castoldi ha già messo in rete un blog (www.impuniti.net) per dare la possibilità a tutti di denunciare i casi di spreco del denaro pubblico di cui cittadini e politici fossero a conoscenza. (13 novembre 2007) da espresso.repubblica.it Titolo: Storie di consulenti e manager pagati dalla Veneto Sviluppo Inserito da: Admin - Novembre 16, 2007, 12:25:17 pm Il piano strategico della Finanziaria veneta è costato tra i 630.000 e i 900.000 euro
Storie di consulenti e manager pagati dalla Veneto Sviluppo VENEZIA. Se 273.471,61 euro lordi all’anno vi sembrano tanti, non conoscete il caso di Luigi Barone, che se li è visti assegnare in busta paga dal 1º ottobre nonostante ne avesse contrattati 320.000, più 60.000 di premio annuale, più auto blu con l’autista. Più rimborso spese per «vitto e alloggio in albergo adeguato» da lunedì a venerdì, giorno in cui prende l’aereo per tornare a Roma dove risiede. Tutto messo per iscritto (tranne i 60.000 euro di premio annuale che erano solo indicati a voce) nei verbali del consiglio di amministrazione della Spa, a maggioranza pubblica, che l’ha assunto lo scorso ottobre. Fate i conti: precipitare da quota 380.000 euro più i benefits a quota 273.000 all inclusive, ovvero dovendo pagare l’albergo l’auto il cellulare e magari anche l’aereo, significa dire addio a metà stipendio. Signori si nasce. Il dottor Luigi - Barone di nome ma non più di fatto - è giustamente seccato. Ma signori si nasce. E lui che lo nacque non fa una piega, al telefono della finanziaria regionale Veneto Sviluppo che l’ha assunto come direttore generale: «Per evitare polemiche assurde e fastidiose, abbiamo concordato di rientrare nei parametri accettabili delle strutture regionali». Ma subito aggiunge: «Vorrà dire che ci saranno altre cose in futuro». Non specifica quali, ma è chiaro che non si è rassegnato. Eppure il suo predecessore Mauro Trapani, portato in Veneto Sviluppo da Paolo Sinigaglia, si fermava a 147.000 euro lordi, più premi annuali. Per non parlare di Giancarlo Bortoli, che come direttore facente funzione ha diretto la finanziaria dopo il passaggio di Trapani in Regione e prima dell’arrivo di Barone (un periodo di molti mesi) con uno stipendio sotto i centomila euro. Precedenti che non contano? Premiata ditta. Il contratto di Luigi Barone ha tenuto occupato il Cda di Veneto Sviluppo da giugno a ottobre. Una faticaccia. Per fortuna che il grosso del lavoro se l’era accollato la Bain & Company, assoldata come consulente (900.000 euro secondo una versione che filtra dal Cda, contestata da Barone a cui risulta solo 630.000), senza alcun tipo di gara, forse in considerazione del fatto che è ben nota alla presidente Irene Gemmo, essendo consulente anche dell’azienda di famiglia, la Gemmo Impianti di Vicenza. Questi intrecci mettono allegria, fanno vedere che il mondo è piccolo e la gente si fida solo di chi conosce. Nella brochure di Bain & Company campeggiano le foto e il curriculum dei due manager, Andrea Isabella e Renato Giacobbo Scavo, che in 7 anni di esperienza nel settore hanno messo su un portafoglio clienti da far tremar le vene i polsi: Fiat, Saipem, Eni, Snam, Edf, Impregilo, Seat group, Spea gruppo Autostrade ed altri ancora. Devono aver lavorato anche la notte: tanto di cappello. Bastiancontrari. Ciò non toglie che alcuni componenti del Cda di Veneto Sviluppo, poco d’accordo sul metodo adottato per reclutare il consulente, abbiano chiesto chiarimenti per tutta l’estate. Prima a voce e poi anche per iscritto. Sostenendo la necessità di sospendere la collaborazione con la Bain, almeno finché non fosse stato assunto il nuovo direttore generale. Ma garantiva Irene Gemmo. E la consulenza con la Bain è andata avanti. Il piano strategico. Consulenza per fare che cosa? Un piano strategico, ovviamente. Un pacco voluminosissimo di carte, assicura chi l’ha visto, che contiene una formidabile ipotesi di rilancio dell’economia veneta, i cui benefici purtroppo non sono ancora stati avvertiti allo sportello utenti della Veneto Sviluppo, dove le pratiche di finanziamento alle imprese aspettano anche 12 mesi. E sui prefinanziamenti le aziende pagano interessi salati alle banche. Di questo formidabile piano è nota purtroppo solo la sintesi di 45 slides, trasmessa alla 1ª commissione del Consiglio regionale, cioè all’organismo di controllo, il 4 settembre 2007 dal segretario generale Adriano Rasi Caldogno. Chissà cosa se ne faranno del resto. Il contratto. Il nome della Bain & Company viene fatto la prima volta al Cda del 18 dicembre 2006 dalla presidente Irene Gemmo. C’è da assumere un consulente e poco tempo da perdere, dice la Gemmo. E avendo facoltà di spesa fino a 50.000 euro, divide in due la consulenza: «Primo incarico per 25.000 euro più Iva per fare una ricognizione generale; secondo incarico per 245.000 euro più Iva per entrare nello specifico; spese forfettizate all’11%, esclusa Iva». Franco Andreetta non è d’accordo: «Non possiamo abbassare il costo?». Tampona Alfredo Checchetto: «E’ un onorario in linea con il mercato». Dino Cavinato: «Noi siamo una società a maggioranza pubblica, dobbiamo consultare più fornitori come fanno tutti gli enti pubblici». Irene Gemmo: «Mi pareva che fossimo tutti d’accordo sulle capacità della Bain». Cavinato: «Non sto parlando delle capacità della Bain ma del metodo usato per la scelta». Tonino Ziglio: «Ha ragione Cavinato, per il futuro dobbiamo cercare più interlocutori. Ma mi fido anche della valutazione di Checchetto». Roberto Bissoli: «Chi la sa più lunga in questi casi sono gli esponenti bancari». Fabrizio Stella: «In futuro dovremo far in modo di scegliere tra una rosa di nominativi». Ai voti: consulenza alla Bain assegnata all’unanimità. L’onorario. Se ne riparla nel Cda del 10 settembre, quando la Bain consegna i 3/5 del piano. Riguardano: 1) aggregazione per il sistema fieristico veneto, 2) sostegno all’operatività dei Confidi, 3) piano di aggregazione per le utilities venete (già inutilmente predisposto da Paolo Sinigaglia). Mancano ancora i punti 4) Turismo e 5) No Profit. Ma intanto bisogna pagare il consulente. La nostra fonte dice che questo è avvenuto a tranche di 65.000 euro al mese, da marzo a settembre. Più Iva al 10%. Più i 25.000 iniziali. Più i 245.000 successivi. Sempre più Iva. Si totalizzano così i 900.000 euro. Cifra destituita di fondamento da Luigi Barone, che non senza difficoltà (parte da 400.000!) arriva a stabilire che il costo della consulenza della Bain - a ieri sera - è stato di 630.000 euro. Soglia europea. In entrambi i casi la cifra è molto superiore a 211.000 euro, soglia sopra la quale il Codice De Lise per gli appalti pubblici (DL 12 aprile 2006 n.163) obbliga a ricorrere ad una gara. La normativa riguarda anche le Spa a partecipazione pubblica e vieta il frazionamento dell’importo. Ma la casistica è complessa e il Cda di Veneto Sviluppo ritiene di non aver infranto la legge. Può dire altrettanto dell’opportunità? Anche sul prezzo ci sarebbe da ridire, come cantava Re Carlo tornato dalla guerra: risulta che una analoga consulenza della Bain alla finanziaria regionale Friulia, che è molto più grossa di Veneto Sviluppo, sia costata 200.000 euro. (15 novembre 2007) da espresso.repubblica.it Titolo: Silvia Bergamin - Editto di 10 pagine contro gli sbandati Inserito da: Admin - Novembre 17, 2007, 12:46:48 am Bitonci «copiato» da Tosi (Verona) e Gobbo (Treviso): lunedì la firma congiunta dei leader leghisti
Editto di 10 pagine contro gli sbandati Silvia Bergamin Conte: «Pronti a fare altrettanto in tutti i comuni del Veneto amministrati dal Carroccio» CITTADELLA. La Lega blinda l’ordinanza di Cittadella. Dubbi di legittimità? Cavilli giuridici o serie falle legali? Il sindaco, Massimo Bitonci, va avanti. Con l’appoggio dei colleghi di Verona e Treviso. L’asse del Carroccio sarà ufficializzato lunedì, quando Bitonci, con Flavio Tosi (Verona) e Gian Paolo Gobbo (Treviso), firmerà l’editto che vieta la residenza agli stranieri pregiudicati, senza casa o lavoro. «La gente - insiste Bitonci - non ha bisogno di chiacchiere; a noi politici e amministratori chiede fatti. Siamo tutti d’accordo che il problema esiste. E allora affrontiamolo, con strumenti innovativi». L’ordinanza «è pronta», annuncia. E lascia trapelare: «Si articola in 10 pagine». Il che fa pensare che i legali hanno lavorato sui particolari, cercando di eludere gli scogli giuridici. «Può esserci qualche punto controverso, ma l’impianto è solido». Ora «Treviso e Verona stanno esaminando l’ordinanza, contiamo di arrivare a una firma congiunta lunedì; di certo, ci sarà la firma di Cittadella». Il consigliere regionale leghista Maurizio Conte assicura: «Ci sono tutti i presupposti per generare un effetto a catena in tutto il Veneto o almeno nei comuni amministrati dalla Lega». Vada o non vada in porto l’ordinanza, che rischia secondo molti d’essere spazzata al primo ricorso al Tar, resta il fatto che la Cittadella leghista ha dettato l’agenda della politica veneta sul tema sicurezza. Il calendario si infittisce: oggi alle 21, la sezione locale organizza un incontro in palestra a Santa Croce Bigolina. Il 3 dicembre, consiglio comunale. «Ordinario»: non avrà luogo la seduta straordinaria richiesta dalle opposizioni. «Non servono altre discussioni»: così il sindaco ha sbattuto la porta in faccia alle minoranze, che volevano analizzare «i dati reali che portano a questa decisione e conoscere i progetti e le prospettive di tale attuazione». Snobbati ancora una volta, di certo il 3 dicembre i consiglieri di centrosinistra e FI daranno battaglia. (16 novembre 2007) da espresso.repubblica.it Titolo: Forza Italia, raccolte a Vicenza più di mille firme per le elezioni (poche!). Inserito da: Admin - Novembre 20, 2007, 12:24:42 am VICENZA
Forza Italia, raccolte in due giorni più di mille firme per le elezioni anticipate Forza Italia vuole andare a tutti i costi alle elezioni anticipate e anche a Vicenza è iniziata la campagna per raccogliere le firme a supporto della richiesta da presentare in parlamento. Ieri e sabato i due gazebo in Piazza Castello e in Via Cavour, coordinati dalla sezione giovanile del partito, hanno raccolto più di mille firme. Per aderire all'iniziativa bastava presentare la carta d'identità e versare un euro, richiesto dagli organizzatori. Ma come hanno reagito i vicentini all'iniziativa? «L'affluenza è stata buona, e credo sia l'indicatore di un paese che è sempre più stanco», ha sottolineato il presidente dell'Ipab Gerardo Meridio, presente al gazebo in Piazza Castello. Forza Italia ha comunicato di aver raccolto, nella sola giornata di sabato, circa 900 firme, mentre alle 10,30 del mattino di domenica la postazione di Piazza Castello era già arrivata a quota 50. «E non hanno firmato solo i nostri ha aggiunto Meridio ho l'impressione che qualche pentito ci sia stato». E la giovane attivista del partito ha confermato : «Ieri è arrivato un signore che mi ha mostrato la tessera di Rifondazione Comunista, non era affatto contento di appoggiare un'iniziativa di Forza Italia, ma ha firmato lo stesso perché diceva di essere troppo deluso dalla situazione attuale del governo». Al banchetto di Forza Italia si poteva anche sostenere la proposta dell'assessore regionale Gava, che prevede l'ingresso gratuito in discoteca a chi si "offre" nel ruolo di autista astemio per le serate con gli amici. Sotto questo aspetto la raccolta firme è andata meno bene: solo 70 in tutta la giornata di sabato. Pietro Rossi da gazzettino.quinordest.it Titolo: Galan non va da Prodi: « Ignora il caso Cittadella» Inserito da: Admin - Novembre 26, 2007, 10:38:55 am Il presidente del Veneto giustifica il gesto come reazione alla mancanza di risposte dal governo sui temi sicurezza, federalismo fiscale e sanità
Galan non va da Prodi: « Ignora il caso Cittadella» Polemica assenza del governatore a Marghera al varo di una super nave da crociera. Era invece presente il collega Illy «Questa nave è il simbolo delle capacità di un'intera regione», scandisce il presidente del Consiglio Romano Prodi dalla plancia di comando della Queen Victoria, meraviglia dei mari pronta per essere consegnata all'armatore inglese Cunard Line, del gruppo Carnival. Ma il presidente della regione in questione - il Veneto - non c'era ad ammirare fregi, marmi, specchi, tecnologia veneta applicati in questa città galleggiante da 90mila tonnellate di stazza. Assenza evidente ed evidenziata, quella di Giancarlo Galan, resa ancor più palese dalla presenza invece di Riccardo Illy, governatore del Friuli-Venezia Giulia che condivide con il Veneto l'attività della Fincantieri. La spiegazione viene a galla solo nel pomeriggio, quando uno stizzito governatore manda neanche tanto metaforicamente a quel paese il premier: «E che cosa avrei dovuto festeggiare con Prodi? Magari quel suo ministro che si permette di fare lo spiritoso su Cittadella e le iniziative dei sindaci veneti in materia di sicurezza? "Cittadella non è una Repubblica", ha detto. Si sbaglia: questa, la sua, non è una Repubblica seria». Galan accompagna quindi lo sgarbo istituzionale dell'assenza al fianco di Prodi con una dura polemica che parte dalla questione sicurezza per arrivare al federalismo fiscale e alla sanità: «Stiamo ancora aspettando da questo governo almeno due cose - attacca il Governatore -: notizie in merito al federalismo fiscale, anche perché qualche minima cosa era stata approvata in un consiglio dei ministri ma è rimasta lettera morta, e l'intervento di un qualche ministro in merito alla tragicommedia di quell'assurdo referendum che consente di sprecare tempo e soldi per passare da una Regione all'altra. Quando Prodi batterà un colpo, saremo liti di accoglierò a braccia parete. Per il momento, ero preso da altri impegni. Nella sanità la finanziaria dà ancora aiuti al Lazio e alle regioni meridionali penalizzando quelle virtuose come il Veneto. E allora che vada al sud». E in effetti il presidente del Consiglio era già in volo verso Abu Dhabi; nessuna replica, quindi. Nemmeno da un'altro presidente, quello della Repubblica, chiamato in causa dal vice governatore del Veneto, Luca Zaia: Giorgio Napolitano è stato invitato a intervenire sul caso-Cittadella perché Zaia è convinto «dell'estrema correttezza del capo dello Stato nel fare rispettare la legge e la Costituzione. Il presidente è sempre pronto e puntuale a intervenire in difesa delle norme. I nostri sindaci, a cominciare da Bitonci a Cittadella, in questo caso applicano la legge mentre è il governo con le dichiarazioni dei suoi rappresentanti a rinnegarla». Per Zaia, Napolitano rimane «il punto di riferimento» per ogni amministratore ma ciò non significa che i sindaci non siano pronti, se prosegue «l'atteggiamento del governo» alla «clamorosa protesta di riconsegna delle fasce». Ario Gervasutti da gazzettino.quinordest.it Titolo: Eurodeputati contro Cittadella. Inserito da: Admin - Novembre 27, 2007, 06:04:47 pm Eurodeputati contro Cittadella.
Galan: «Orrore» Verdi e sinistra: «Non rispetta le leggi Ue sulla libera circolazione» Zaia: «Ma se perfino Amato ha cambiato idea...» L'ordinanza antisbandati del sindaco di Cittadella non sarà magari in "palese contrasto con lo spirito e la lettera della legislazione europea»? É una domanda che hanno posto un gruppo di eurodeputati di Prc, Pdci, Verdi e Sinistra democratica sollecitando un intervento della Commissione Ue presso il governo italiano «affinché sia rispettata in pieno la legislazione europea». «Legislazione - ricordano - che "alla luce della recente risoluzione del Parlamento europeo ribadisce la libertà di circolazione e di stabilimento dei cittadini europei all'interno dell'Unione come principio fondamentale dell'integrazione europea» Tradotto il messaggio è: Cittadella (e l'Italia) con questa norma sarebbero fuori dell'Europa. Prima che la burocrazia di Bruxelles replichi a Roberto Musacchio, Giusto Catania, Vittorio Agnoletto, Luisa Morgantini e Vincenzo Aita (Prc), Pasqualina Napoletano e Claudio Fava (Sd), Umberto Guidoni (Pdci) e Seep Kusstatscher (Verdi) le risposte sono arrivate. In testa quella di Giancarlo Galan presidente del Veneto: «Orrore e raccapriccio. - ha commentato - È questo che mi viene da dire leggendo l'interrogazione degli eurodeputati di quella parte della sinistra favorevole ad un rapido diffondersi del razzismo nel nostro Paese. Non posso che dire così - è la continuazione del pensiero del Governatore - se penso che questi eurodeputati in effetti non solo operano contro il movimento dei sindaci, contro ogni buon senso, contro ogni minima forma di controllo sociale, ma operano anche contro tutti coloro che cercano di fronteggiare, in nome della civile convivenza e del sacrosanto diritto alla sicurezza, l'incontrollabile fenomeno dell'arrivo in Italia di decine di migliaia di cittadini comunitari ed extracomunitari». Anche il vicepresidente della Giunta Regionale del Veneto, Luca Zaia (Lega) non si è zittito: «Questi signori non si smentiscono mai - sono state le sue parole - e così continua a riproporsi un film già visto in un continuo susseguirsi di dichiarazioni, smentite e acrobazie degne di una pattuglia acrobatica». In mezzo alle due voci di centrodestra ieri è apparsa anche quella del ministro per la Solidarietà sociale Paolo Ferrero che ha liquidato così la faccenda. «Il caso Cittadella? Solo propaganda». Per Ferrero, «più che la sicurezza dei cittadini interessa il consenso dei cittadini, su misure contro i diversi, brutti e cattivi, che non saranno nemmeno attuate. Le badanti al nero in quel comune - ha spiegato a titolo esemplificativo il ministro - continueranno a stare lì e a lavorare in nero: di questo sono praticamente certo». La polemica continuerà. «Solo qualche giorno fa Amato - è stato il pensiero di Zaia - diceva di noi che siamo una Repubblica a sè salvo poi leggere, proprio ieri, le ritrattazioni e le smentite, a quanto affermato, in un comunicato del Viminale . Il mio invito, ora, è rivolto a tutti i sindaci che non hanno ancora firmato l'ordinanza ad affrettarsi a farlo». L'invito di Zaia sembra accogliere la seconda parte della riflessione di Galan: «Dobbiamo saper essere duri e fermi nel più determinato rifiuto della criminalità, osservando la stessa durezza e fermezza anche contro coloro che sfruttano il lavoro dei cittadini comunitari o extracomunitari. I Sindaci devono muoversi per consentire il miglior livello possibile di integrazione secondo la più concreta solidarietà e in uno spirito di vigile moderazione, così da ridare sicurezza alle nostre comunità, che di certo possono fare a meno sia di pericolose prediche sociologiche, sia di inaccettabili invettive razziste»." Sulla vicenda è intervenuta anche Isabella Bertolini, vicepresidente dei Deputati di Fi: «La sinistra europarlamentare la smetta di perorare la causa degli immigrati clandestini e di censurare quanti, Frattini e i sindaci del Nord, vogliono soltanto difendere, legittimamente, gli italiani ed i loro interessi». da gazzettino.quinordest.it Titolo: Otto miliardi per le opere pubbliche del Veneto... Inserito da: Admin - Dicembre 01, 2007, 11:11:52 pm Sono 4379 i progetti ora fermi che sarà possibile realizzare o completare nelle province venete
Otto miliardi per le opere pubbliche del Veneto Renzo Mazzaro Il Consiglio approva il piano triennale e il Pd dà via libera alla società mista Anas-Regione VENEZIA. Mille milioni tondi da spendere nei prossimi tre anni per strade e ferrovie del Veneto. Vengono un po’ dalla Finanziaria 2007 appena approvata al Senato ma non ancora alla Camera (170 milioni), un po’ dalla Finanziaria regionale 2007 ancora in gestazione (130 milioni), un po’ dal Piano triennale regionale 2006-08 (300 milioni) e l’ultimo po’ dal piano quinquennale Anas 2007-11 (400 milioni). L’annuncio è stato dato ieri mattina dal Pd riunito quasi al completo. Ma subito dopo l’aula si è incaricata di ridicolizzare questa cifra, approvando in cinque minuti nella seduta di Consiglio un programma triennale che vale 8 volte di più. L’importo esatto è 8.169 milioni di euro per realizzare la bellezza di 4.379 opere pubbliche, il cui elenco vi risparmiamo altrimenti non basterebbe l’enciclopedia britannica. Vi basti sapere che gli 8.169 milioni di euro del piano triennale approvato sbrigativamente dall’aula, contengono i 1.000 milioni annunciati con abbondanza di dettagli dal centrosinistra. Lo dice Maurizio Conte, leghista, presidente della 7ª commissione che ha istruito il provvedimento e che il grande pubblico conosce perché è stato di recente immortalato nella passeggiata anti-moschea di Padova, con la collega Mariella Mazzetto e il maialino portato a razzolare (sic!), come ha scritto perfino il Corriere della sera, anche se solo le galline razzolano, i maiali al massimo grufolano. Non per contraddire a tutti i costi e meno ancora per tifare Islam (ognuno si tenga il suo dio), ma abbiamo dei dubbi: difficile che negli 8.169 milioni di Maurizio Conte rientrino le cifre stanziate nelle due Finanziarie 2007, per il semplice fatto che non sono ancora state approvate. Un’altra cifra che non torna sono i 1.000 milioni annunciati ieri dal centrosinistra con la tabella riassuntiva il cui totale, come riportiamo a fianco, arriva a quota 1.641 milioni di euro. Ma anche qui la spiegazione dev’essere un uovo di Colombo: i 1.000 milioni dovrebbero essere quelli messi nero su bianco nel protocollo d’intesa tra giunta Galan e governo Prodi, di cui il Pd di Achille Variati si annette il merito. Dichiarazioni. Variati l’ha chiamato «metodo dell’opposizione di governo», definizione che richiama quella della «sinistra di lotta e di governo», con la differenza che in questo caso la spina è pianta nel fianco della giunta Galan e non del governo Prodi. Quest’ultimo fa transitare i provvedimenti decisi per il Veneto attraverso la sua minoranza, che viene recuperata ad un ruolo di mediazione e di negoziato con il governo veneto, oltre che di annuncio al pubblico. Non a caso alla conferenza stampa di ieri partecipava anche Marco Stradiotto, sottosegretario allo sviluppo economico. Naturalmente bisogna bilanciare il governo con la lotta, così Variati ha tirato di passaggio uno schiaffone al presidente Galan, definendolo «l’Agazio Loiero del nord», perché si lamenta sempre invece di imparare da Formigoni a trattare con Roma, portando a casa risultati. «Ma non vale l’inverso - ha eccepito a questo punto Stradiotto - perché Loiero non è il Galan del sud: lui fa squadra con l’opposizione, Galan no». Spa Anas-Regione. Passando di nuovo dalla lotta al governo, anzi all’«opposizione costruttiva», Variati ha confermato la disponibilità a sostenere la Spa mista tra Anas e Regione Veneto, prevista dall’art.37 della Finanziaria dello Stato, che gestirà il passante di Mestre con la garanzia di poter investire tutti gli introiti dei pedaggi esclusivamente nel territorio veneto. Cosa ci starà a fare l’Anas a quel punto non è chiaro. Ma Variati tira dritto: «Una società che, secondo le nostre intenzioni, che mi sembrano condivise anche dal presidente della Regione, dovrà avere la gestione di tutte le autostrade venete». Comuni di confine. Guido Trento, consigliere bellunese, informa che per le aree di confine di montagna (80 comuni dell’intero arco alpino, esclusi Trentino Aldo Adige, Val D’Aosta e Friuli) arrivano i 25 milioni del cosiddetto «Fondo Letta», cifra che si somma ai 12 milioni dell’accordo con la Provincia di Trento e agli 11 stanziati dal Veneto. (30 novembre 2007) da espresso.repubblica.it Titolo: Vicenza - Gli Industriali invitano la Guardia di Finanza «Collaboriamo» Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2007, 10:52:54 pm Gli Industriali invitano la Guardia di Finanza «Collaboriamo»
Vicenza Basta giocare a guardie e ladri. L'invito è di Rodolfo Mariotto, presidente del raggruppamento Vicenza Nordest dell'associazione Industriali. È stato lui l'artefice dell'incontro di ieri tra i vertici della Guardia di Finanza di Vicenza e gli industriali. Primo incontro in assoluto «per tentare di abbattere il muro di incomunicabilità tra chi controlla e chi è controllato». E lavorare al meglio. Ha spiegato il presidente dell'associazione Massimo Calearo: «Da sempre Confindustria ripete che le tasse vanno pagate bene, e da tutti. Per noi la Guardia di Finanza è davvero una risorsa. La concorrenza si fa ogni giorno più spietata. E la concorrenza si vince con l'arma della legalità. Pensiamo alla lotta alla contraffazione e all'evasione fiscale: chi può esserci d'aiuto se non la Finanza? Si va sempre in cerca di mille consulenti, ma sono loro, le Fiamme Gialle, a darti i suggerimenti più preziosi». Per il tenente colonnello Antonio Morelli, comandante della Guardia di Finanza di Vicenza, si è trattato del secondo incontro con le categorie economiche, dopo quello con gli Artigiani. «Non siamo il fronte contrapposto - ha spiegato -. Noi dobbiamo garantire il rispetto delle regole, che va a vantaggio degli imprenditori. Ottimizzare il lavoro significa anche assicurare giustizia. Sono stato felice di accettare l'invito dell'associazione Industriali. Seguiranno sicuramente altri momenti di confronto». «Un modo di collaborare in piena trasparenza - ha aggiunto Calearo- perchè siamo tutti nella stessa barca. Lo scambio è importante anche per fare capire come funziona la nostra economia. È accaduto con il vescovo Cesare Nosiglia. Quando ci siamo conosciuti gli ho spiegato come Vicenza fosse diversa dalle realtà da cui proveniva, Genova o Roma. E poi con il giovane colonnello Morelli ha già instaurato un rapporto cordiale. Reciproche relazioni di correttezza, come si vede fare in altri posti d'Europa». Donatella Vetuli da gazzettino.quinordest.it Titolo: I ministri della Cosa Rossa a Prodi: "Sulla base di Vicenza ci devi ripensare" Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2007, 11:13:59 pm POLITICA
Ferrero, Mussi, Pecoraro Scanio e Bianchi scrivono una lettera al premier per sollecitare un ripensamento sulla base militare Usa Dal Molin I ministri della Cosa Rossa a Prodi: "Sulla base di Vicenza ci devi ripensare" Il documento arriva alla vigilia degli Stati generali di "La Sinistra-L'Arcobaleno" dove l'Assemblea permanente di Vicenza manifesterà tutta la sua rabbia ROMA - "Ti scriviamo per sollecitare un ripensamento sulla base militare statunitense di Vicenza". I ministri della Cosa Rossa Paolo Ferrero, Fabio Mussi, Alessandro Bianchi e Alfonso Pecoraro Scanio scrivono al premier Romano Prodi e lo invitano a ripensare il progetto di Vicenza. Non tanto per una questione politica ma per rispetto della popolazione locale che tutto sommato non è così contenta di avere in città una base militare con dimensioni doppie rispetto a quello attuale. Aprono, quindi, un nuovo fronte di tensione all'interno della maggioranza. Come se, tra legge elettorale, partita economica, pacchetto sicurezza e assi privilegati, non fosse già abbastanza strattonata e usurata. E lo aprono alla vigilia degli Stati generali della Cosa Rossa che si riuniscono domani per tenere a battesimo "La sinistra-L'arcobaleno". "Come sai- si legge nella missiva- non abbiamo mai condiviso la decisione di dare il via libera all'ampliamento della base. La questione non rappresenta però solo un elemento di conflitto tra forze politiche". Il punto riguarda i rapporti tra il governo e la popolazione di Vicenza: "Riteniamo - scrivono - non sia possibile continuare come se nulla fosse, in una situazione in cui la sacrosanta richiesta dei cittadini vicentini di avere un referendum popolare sull'opportunità o meno di ampliare la base, è stata disattesa da chi aveva il potere di organizzare la consultazione". Il Comitato "No Dal Molin" e tutto l'affaire della base militare a Vicenza ha già provocato guai pesanti a questa maggioranza. La crisi di governo del febbraio scorso era esplosa sulle linee generali di politica estera e in mezzo c'era anche la base Dal Molin. A Vicenza, sempre in quei giorni, avevano marciato più di centomila persone. Il popolo pacifista contro il "suo" stesso governo. Allora si poteva ancora dire così. Oggi, mesi dopo, sono talmente tante le tensioni tra la sinistra radicale e il governo che è più quello che divide di quello che unisce. "Ti chiediamo quindi - è il punto posto nella lettera dai ministri - un ripensamento anche alla luce dell'ordine del giorno che impegna il governo ad organizzare entro i primi sei mesi del 2008 una Conferenza nazionale sulle Servitù militari". "In questa situazione, in cui crescono le tensioni internazionali e i venti di guerra - osservano infine - aprire una interlocuzione vera con le popolazioni che si oppongono all'allargamento della base statunitense è un punto decisivo per un governo progressista e democratico. Per questo ti chiediamo di prendere ogni iniziativa utile per ricercare una soluzione rispettosa della dignità, della qualità della vita e dei diritti dei cittadini vicentini". La questione della base militare Usa a Vicenza è esplosa nell'estate 2006, pochi mesi dopo l'insediamento del governo Prodi. Il Professore infatti e il ministro della Difesa Arturo Parisi hanno autorizzato il raddoppio della base Usa e la costruzione di una struttura nuova in località Dal Molin. Hanno concluso, a dir la verità, un percorso avviato dal governo Berlusconi nell'ambito di una più vasta cooperazione Nato. L'area dove si alzerà il nuovo insediamento militare è a 1.500 metri del centro storico di Vicenza, gioiello di architettura palladiana. A giugno l'ambasciatore Usa Ronald Spogli annunciò l'imminente fase attuativa. In estate un gruppo di parlamentari pacifiste, tra cui Elettra Deiana e Lalla Trupia, erano state a Washington per capire meglio a che punto fosse la situazione. Scoprirono allora che in realtà c'erano margini di trattativa perchè il Congresso Usa non aveva ancora deliberato in via definitiva. Si arriva così alla lettera dei ministri de "La Sinistra-L'Arcobaleno". Ripensarci, scrivono a Prodi, è in fondo anche un modo "democratico" di affrontare le questioni. Ma la missiva ha anche un uso, diciamo così, interno. Su Vicenza si sono organizzate due ali di protesta. Una più "garbata", i comitati Dal Molin, e una più movimentista, l'Assemblea permanente, persone, centri sociali ma anche militanti della Lega e anche Luca Casarini. Quelli dell'Assemblea hanno più volte accusato in questi mesi ministri e parlamentari della Cosa Rossa di non fare quello che hanno promesso e di non rispettare le volontà della base che li ha eletti. E hanno annunciato di manifestare tutta la loro rabbia proprio durante l'assemblea degli Stati generali. Non basterà certo una lettera a convincerli del contrario. (7 dicembre 2007) da repubblica.it Titolo: Siamo veneti o trogloditi? Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2007, 05:15:24 pm Siamo veneti o trogloditi?
Si può espellere dalla cerchia della città chi non può dimostrare di avere un reddito? Il provvedimento di alcuni sindaci veneti ha precedenti storici documentati Il sindaco di Treviso Giancarlo GentiliniSi può espellere dalla cerchia della città chi non può dimostrare di avere un reddito? Il recente provvedimento di alcuni sindaci veneti è molto discusso, ma in realtà ha precedenti storici e giuridici ben documentati. Presso l'uomo di Cro-Magnon il troglodita che non era in grado di procacciare al branco almeno un coniglio alla settimana veniva cacciato a sassate dalla caverna. E fino al neolitico non era infrequente che gli individui in stato di indigenza venissero chiusi in una cesta e buttati in un dirupo, recuperando poi la cesta. Sono episodi documentati da pitture rupestri, rinvenute, per una curiosa coincidenza, tutte nel Triveneto. La ventilata espulsione dei nullatenenti fa di questa zona d'Italia un vero laboratorio sociale. Altri sindaci locali, sull'esempio dei volonterosi colleghi, hanno allo studio ulteriori provvedimenti d'avanguardia. Espulsione doppia Proposta da un paio di sindaci leghisti dell'altopiano del Bruson, l'espulsione doppia prevede che ogni straniero espulso venga poi rintracciato nei campi, con l'ausilio di mute di cani, ricondotto nella piazza del paese e nuovamente espulso. Una sola espulsione pareva un provvedimento troppo blando. Gemellaggi Fallito il tentativo di molti sindaci veneti di gemellarsi con colleghi dell'Alabama. "Noi abbiamo chiuso con il razzismo", dichiara il vicegovernatore della Contea di Hanging, Bill White. "Non attirava più i turisti, meglio allevare struzzi o organizzare gare di motocross". Incassati solo rifiuti anche da altre municipalità contemporanee, alcuni primi cittadini veneti stanno pensando a una forma inedita di gemellaggio storico: con Sparta e con alcune municipalità azteche. Salario delocalizzato Secondo uno studio della Camera di Commercio dell'altopiano del Brusin, i salari vanno commisurati al tenore di vita della zona d'origine del lavoratore. Un indiano va pagato in rupie, un indonesiano in conchiglie, un africano in noci di cocco. Le culture legate al baratto vanno incoraggiate. Un operaio di Capo Verde impiegato in una fabbrica di articoli sportivi del Vicentino ha ricevuto come tredicesima 20 guanti da sci sinistri. Esame di cultura veneta Può rimanere in Veneto solo quell'immigrato che dimostri una perfetta conoscenza della lingua e delle tradizioni venete, rispondendo a un prontuario di duemila domande di questo tenore: "Quanti cuciai de zucaro vano ne la torta del Brusin come che la fano ne l'altopiano del Bruson, e quanti cuciai de zucaro vano ne la torta del Bruson come che la fano ne l'altopiano del Brusin". Chi non risponde correttamente è prima internato in campi di rieducazione degli altopiani del Brusin e del Bruson, poi, una volta ottenuta dopo anni di stenti la cittadinanza veneta, acquista il diritto di rinverdire un'antica tradizione: imbarcarsi su un piroscafo e emigrare. Revisione storica La vulgata sulla emigrazione, che vide partire per il mondo molti milioni di veneti, viene radicalmente confutata da alcuni storici revisionisti, tra i quali i professori Zandomeneghin e Zandomenegon. L'idea che i veneti emigrassero per povertà è il frutto, secondo Zandomeneghin, della propaganda marxista. Si trattava, in realtà, di facoltosi esponenti del mondo agricolo che viaggiavano per motivi di studio, sull'esempio della più avanzata borghesia europea. A chi gli fa notare che si trattava di analfabeti, il professore replica: "Apunto! Per quelo che voleveno studiar!". Quanto alla fame, si tratta dell'ennesimo luogo comune della retorica di sinistra: "Xe vero che magnaveno solo mais. Ma non avete idea di quante panochie, ah! Anca 20-30 panochie al zorno, ah!". Diversa la tesi del professor Zandomenegon, secondo il quale l'emigrazione veneta fu una gigantesca esercitazione della Protezione Civile: l'evacuazione di un'intera regione. Grazie alla disciplina dei veneti, l'esercitazione riuscì così bene che molti non fecero mai ritorno. (07 dicembre 2007) da espresso.repubblica.it Titolo: No Dal Molin (news) Inserito da: Admin - Dicembre 09, 2007, 05:03:23 pm IL VICESINDACO SORRENTINO
«Corteo e sicurezza. Quella dei ministri è solo una boutade» «Per quanto ci riguarda le cose non cambiano. Tutto è stato definito, dal punto di vista della sicurezza». All'indomani della lettera con cui i ministri della sinistra Paolo Ferrero, Fabio Mussi, Alfonso Pecoraro Scanio e Alessandro Bianchi hanno chiesto al premier Prodi di fare marcia indietro su Camp Ederle 2, il vicesindaco e assessore alla sicurezza Valerio Sorrentino dichiara di non temere ripercussioni sul fronte dell'ordine pubblico da parte del popolo dei No base in vista dei due appuntamenti caldi della prossima settimana: l'inaugurazione del teatro comunale e la mobilitazione europea contro il progetto Dal Molin. Una lettera che butta benzina sul fuoco delle ragioni del no? «Non credo. Penso che l'iniziativa dei ministri sia più che altro una "boutade". Se Prodi dovesse far bloccare i lavori ne prenderemo atto, ma non credo lo farà e dubito fortemente, anche se mi piacerebbe, che i quattro che hanno mandato la lettera facciano cadere il governo. Non credo sia una lettera a far cambiare le cose». Sorrentino si dice convinto che «l'uscita di questi signori dipenda dal fatto che si temono contestazioni a Roma per la convention della Sinistra radicale». E chiarisce: «È un modo per tenerli buoni», riferendosi alla protesta che il Presidio Permanente ha annunciato di voler mettere in scena oggi nella Capitale a suon di pentole, tamburi e fischietti in occasione della convention che sancisce il varo della Sinistra arcobaleno. Protesta che vuole spingere verso una moratoria sui lavori al Dal Molin.Sulla possibilità che lo zampino dei quattro ministri possa incidere sulle proporzioni della mobilitazione tanto da rimettere in discussione le misure di sicurezza già programmate per gli eventi clou di lunedì e sabato, il vicesindaco si esprime con un pizzico di fatalismo: «L'ordine pubblico è gestito dal questore, il Comune può fare ben poco. In realtà, se dipendesse dal Comune ci sarebbero altri provvedimenti. Confidiamo quindi nel lavoro del questore. Mi auguro solo che i cittadini di Vicenza abbiamo meno disagi possibili, che si abbia rispetto di loro che non ne possono più e ne hanno le scatole piene. Per quanto riguarda l'inaugurazione del teatro staremo a vedere, saranno prese tutte le precauzioni possibili. Per la manifestazione di sabato, non penso che l'intervento dei ministri provochi, per reazione, un aumento dei manifestanti». Laura Pilastro ---------------- L'Aeronautica spegne la torre di controllo Dal 15 dicembre funzionerà a orari di ufficio. Esplode l’ira di Bonotto (Aeroclub) contro Hüllweck, Forza Italia, Calearo e Costa Dal 15 dicembre la torre di controllo dello scalo vicentino rispetterà gli orari di ufficio. E cioè dalle 8 alle 16 dal lunedì al giovedì, dalle 8 alle 12 il venerdì, chiuso sabato, domenica e festivi. Tradotto, significa basta voli privati, la maggior parte dei quali adesso partono dopo le 16 e nel weekend (attualmente l'attività di volo si svolge tutti i giorni dalle 7 alle 20). Una vera e propria mazzata - arrivata l'altro ieri, con una stringata comunicazione di Alessandro Di Muni, comandante dell'aeronautica militare di stanza al Dal Molin - che ha fatto andare su tutte le furie Antonio Bonotto, referente di Apindustria Vicenza per l'aeroporto Dal Molin, oltre che Presidente dell'Aeroclub Vicenza. Lui, che fino a ieri non era mai intervenuto sulla questione, ne ha per tutti. «Ci faremo sentire, a costo di fare delle azioni di disturbo e di invadere la pista», ha chiosato, aggiustando la mira. Sul sindaco: «Sono meravigliato dell'assoluta mancanza di lungimiranza del sindaco Hllweck e mi vergogno dei miei colleghi di partito a livello provinciale e regionale (Bonotto era candidato sindaco di Schio per Forza Italia, ndr)»; su Calearo: «Dopo le sue dichiarazioni, spero che Renzo Rosso (patron della Diesel che spesso usa l'aeroclub, ndr) si ritiri da Confindustria, io lo farei immediatamente»; su Paolo Costa: «Chi è stato quell'intelligente a dire di spostare gli americani nel lato ovest? C'è tutto lo spazio a est e la tangenziale risolveva il problema dell'entrata di via Sant'Antonino, mentre a Ovest abbattiamo 900 piante, senza considerare che perdiamo l'aeroporto». Sì perché la decisione dell'Aeronautica è fatalmente destinata ad accelerare la fine dell'aeroporto civile di Vicenza. Da parte dei militari italiani non è arrivata nessuna spiegazione, anche se il motivo ufficiale potrebbe essere il debito di 50mila euro che avanzano da Aeroporti Vicentini per le ore in più fatte alla torre di controllo. Ma dietro alla mossa c'è il sospetto di una volontà politica, visto che la società di via Sant'Antonino, dopo la riunione del Cda di lunedì scorso, si era impegnata a risolvere la questione debiti in attesa di risposte dallo Stato. E se il primo scoglio, l'appuntamento del 14 dicembre con il giudice per la procedura fallimentare presentata da un creditore, sta per essere superato, adesso si è aggiunto lo stop dell'Aeronautica militare che, a quanto sembra, aveva richiesto un saldo entro il 30 novembre. «La mia impressione è che vogliono a tutti i costi chiudere l'aeroporto», conclude Bonotto, «un problema politico e di governo che fanno pagare ai vicentini, soprattutto agli imprenditori di una delle zone più produttive d'Italia, i quali fanno business in tutto il mondo» Pietro Rossi -------------------- PRESIDIO PERMANENTE Cinque pullman a Roma: «Le parole non bastano. Ora i fatti» (e.s.) Cinque pullman di vicentini del fronte del "no" (più uno di "No Mose") arrivano oggi nella capitale per reclamare la sospensione dei lavori al Dal Molin. «Non chiediamo la luna, ma il rispetto delle promesse fatte». A Cinzia Bottene e compagni la lettera dei ministri non basta e quindi l'assordante rumore delle pentole del Presidio oggi sarà in trasferta alla fiera di Roma, per disturbare la convention della sinistra "radicale". Partiti all'una di notte, dovrebbero raggiungere il luogo della protesta attorno alle 8. Nell'occasione i manifestanti consegneranno una lettera aperta a tutti i presenti. «Vogliamo che alla parole seguano atti concreti», fanno sapere da Rettorgole. «Il Dal Molin non è una questione di equilibri, è una questione di principi: chi vuol portare con orgoglio la spilla della pace al petto non può avere sulle proprie spalle la responsabilità di aver permesso la realizzazione del più importante centro militare statunitense in Europa. La moratoria sui lavori deve essere applicata subito, prima della grande manifestazione europea del 15 dicembre. La lettera non è sufficiente: tante tracce d'inchiostro contro il Dal Molin sono state lasciate sui giornali, ma non un'istanza concreta è stata portata in Parlamento». Cosa vuole di preciso il movimento di Ponte Marchese lo spiega Olol Jackson: «La vicenda della base deve essere una discriminante per questa maggioranza quando ci sarà la verifica di gennaio. Bisogna che i responsabili dei quattro partiti di governo domani si prendano questa responsabilità. La lettera? Va bene perché vuol dire che la questione non è finita, ma così non si bloccano le basi». Nessuna novità invece per quanto riguarda la contestazione di lunedì a Vicenza, in occasione dell'inaugurazione del nuovo teatro. «Il Coordinamento vorrebbe sapere cosa intendiamo fare? Ci chiamino, visto che in precedenza avevano detto che non avrebbero manifestato. Noi alle 19 saremo davanti alle mura», dice Francesco Pavin. -------------- ALBERA (COORDINAMENTO) «Speriamo che la lettera trascini altri nella lotta. Serve un confronto con Rettorgole» (e.s.) «Bene la lettera al premier, ma sei mesi per convocare una conferenza sulle servitù militari mi sembrano troppi: ci vorrebbero tempi più rapidi». Giancarlo Albera, portavoce del Coordinamento dei comitati, rimane prudente: non era catastrofico dopo l'ultima trasferta del movimento a Roma, e non è particolarmente euforico adesso che quattro ministri hanno scritto a Prodi per convincerlo a ripensarci. «La lettera ha interrotto il silenzio», dice Albera. «Sono contento che si sia tornati a parlare di Dal Molin: l'immobilismo è dannoso per la causa. Agli stati generali della sinistra, a Roma, la nostra presenza non serve: sono tutti senza dubbio contrari alla nuova base americana. Il fatto è che quei centosettanta parlamentari che si sono schierati con noi dovrebbero diventare di più. Speriamo che la lettera dei quattro ministri trascini altri nella nostra lotta». Per quanto riguarda il rapporto tra Coordinamento e Presidio Permanente, Albera spera di potersi confrontare oggi con i rappresentanti del movimento di Rettorgole. Domani sera c'è la tanto attesa inaugurazione del nuovo teatro comunale e tra le due anime del "no" non è stato ancora condiviso un programma per la contestazione dell'amministrazione. «Io vorrei fare una protesta silenziosa, di un silenzio assordante, magari utilizzando manifesti che fanno il verso a quelli che il sindaco ha usato per tappezzare la città: per noi la bambina della pubblicità, oltre al teatro, chiede una città di pace». -------------- «La Sinistra c'è Non so perché il Presidio continui a contestare» (e.s.) «Sono soddisfatta: con lo stop dettato a Prodi dai quattro ministri abbiamo fatto un altro passo avanti verso l'obiettivo finale di impedire il Dal Molin». La parlamentare vicentina Lalla Trupia ha più motivi per rallegrarsi della lettera di Mussi, Bianchi, Ferrero e Pecoraro Scanio: «È la dimostrazione che la politica della sinistra può essere amica dei movimenti e delle ragioni di una comunità locale: Vicenza non è una città particolarmente grande, eppure la costruzione della nuova base è sul tavolo delle verifica nazionale che abbiamo chiesto al premier». La politica sarà anche amica dei movimenti, ma in questo momento una parte del fronte del 'no' non sembra altrettanto amichevole: oggi a Roma quelli del Presidio Permanente saranno presenti alla convention della sinistra per reclamare rumorosamente il rispetto della promessa di moratoria da parte dei parlamentari.«Facciano ciò che credono», dice la Trupia. «Non so cosa abbiano da contestare a questo punto. Che obiettivo hanno? Essere visibili o fare un passo in avanti verso la vittoria finale? La pensano diversamente da me, ma ciò non toglie che abbiano fatto anche molte iniziative positive in questi mesi. La lettera dei ministri è anche la dimostrazione che la tenacia e l'unione pagano: è un premio per i movimenti e per noi parlamentari. Dopo la manifestazione di febbraio c'era il rischio che Vicenza fosse ridotta a una questione locale. Penso che adesso la raccolta firme per la moratoria andrà avanti alla grande. Il movimento contro il Dal Molin ha molte anime, ma bisogna stare insieme. La contrapposizione non paga». da gazzettino.quinordest.it Titolo: Respinta la mediazione della giunta per salvare il marchio storico in Italia Inserito da: Admin - Dicembre 12, 2007, 06:36:04 pm IL BRACCIO DI FERRO SULLA DENOMINAZIONE
Respinta la mediazione della giunta per salvare il marchio storico in Italia «Il ricorso al Tar sarà rigettato». E Bruxelles «confermerà la decisione» Tocai, il ministro boccia il doppio nome Stefano Polzot De Castro: «Faremmo solo confusione, vado avanti con il Friulano» «Registro che i consorzi, Confagricoltura e Coldiretti sono convinti di questa linea» PORDENONE. Non ci sono margini per una doppia denominazione del Tocai, per mantenerne il nome nel mercato italiano, mentre all’estero verrebbe conosciuto solo con il termine Friulano. A bocciare la proposta di mediazione lanciata dal presidente della Regione, Riccardo Illy, in occasione della seduta di giunta che si è tenuta venerdì scorso a Clauzetto, colui che avrebbe dovuto farla propria, ovvero il ministro delle Politiche agricole, Paolo De Castro. L’esponente del Governo Prodi è a Madrid, dove sta partecipando alla Trilaterale con Spagna e Portogallo su alcuni problemi comuni, tra i quali la riforma del vino. Ministro De Castro, il nome Tocai, di produzione italiana, è destinato a scomparire? «Registro che gli otto Consorzi di tutela del Friuli Venezia Giulia, titolati della questione, perché hanno la responsabilità della denominazione, sono assolutamente convinti della giustezza della linea che stiamo seguendo al ministero, in assoluta continuità con gli accordi presi nella precedente legislatura che sono legati al rispetto delle norme europee». Lei cita i Consorzi, ma le grandi cooperative la pensano diversamente e hanno a tal proposito scritto una lettera aperta al presidente del Consiglio, Romano Prodi. Perché la loro è una tesi non condivisibile? «La posizione delle cooperative è quantomeno suggestiva. In particolare si assume il parere della cooperativa di Cormons come se fosse quello di tutti i produttori, invece non è così. A favore del nome Friulano si sono espressi, tra gli altri, la Coldiretti e la Confagricoltura nel corso di incontri che abbiamo avuto al ministero, alla presenza dell’assessore regionale, Enzo Marsilio. Non a caso, da quanto so, gli otto Consorzi di tutela mi scriveranno per confermare la giustezza del percorso che abbiamo adottato». Ma per quale motivo il Friuli dovrebbe rinunciare al nome Tocai? «Per le stesse norme europee che ci consentono di tutelare e difendere i nostri vini Doc, ma anche il prosciutto di Parma e le altre produzioni d’eccellenza del comparto agroalimentare. Questa volta è l’Ungheria a rivendicare tale diritto sul Tocai». Il presidente Illy sostiene che mantenere il nome Tocai friulano in Italia e Friulano all’estero sia consentito dagli accordi Trips... «Sono sempre pronto a qualsiasi approfondumento, ma basato su argomenti giuridici validi. In questo caso non ce ne sono e non faremmo un buon servizio se introducessimo una doppia denominazione destinata a far confusione. Idea bizzarra, peraltro, quella di una duplice etichettatura, una che vale per il mercato italiano e l’altra solo per l’estero». Lei ritiene che il Tar del Lazio, il 17 dicembre, darà torto alle Cooperative nel ricorso contro il suo decreto? «Lasciamo alla magistratura decidere, ma ho elementi giuridici per ritenere che il ricorso verrà rigettato. La decisione finale sulla vertenza la prenderà la Corte di Giustizia, ma dagli approfondimenti che ho avuto in sede nazionale ed europea ritengo che la linea, lo ripeto concordata con le associazioni agricole e i Consorzi, verrà confermata. Queste iniziative delle cooperative, gli attacchi sui giornali, le prese di posizione politiche anche recenti non favoriscono quel clima sereno, necessario per guardare al futuro». Conferma che sono a disposizione i 12 milioni di euro di finanziamenti per la promozione del Friulano? «L’accordo, frutto di un’intesa precedente alla mia gestione, l’ho ereditato e lo confermo, perché è la strada concertata con i Consorzi. Può piacere o meno, ma questo è quello che abbiamo deciso». (11 dicembre 2007) da espresso.repubblica.it Titolo: Manuela Pivato - «Cacciari troppo mestrino? E’ il suo fallimento politico» Inserito da: Admin - Dicembre 13, 2007, 07:12:07 pm IL BARICENTRO DI VENEZIA
«Cacciari troppo mestrino? E’ il suo fallimento politico» Manuela Pivato Venezia di qua e Mestre di là. Soprattutto Mestre di là, carica di onori, attenzioni e futuro, almeno a sentire il sindaco Cacciari che da giorni va sostenendo come la terraferma sia l’oggi, il domani e il dopodomani. «Mestre è la città del futuro, perchè a Mestre c’è tutto. L’ospedale, l’aeroporto, il porto. A Mestre ci sono i ragazzi, c’è l’invenzione e c’è anche la produzione culturale giovanile» spiega Cacciari lanciatissimo al di là del ponte. Per Venezia sembra quasi una resa, a cominciare dalla vicenda Rai sulla quale il sindaco, incurante dell’ennesimo trasloco di posti di lavoro dal centro storico, non usa mezze misure. «In laguna la Rai non ha la possibilità di produrre nulla - continua - è solo una struttura intorno agli affreschi del Tiepolo». A Mestre, invece. A Mestre Cacciari intravede scenari molto più interessanti, per non dire «istintivi», come se in tutti questi anni i giornalisti della Rai avessero lavorato a Palazzo Labia come in un contenitore affrescato sotto vuoto. Logico che le affermazioni del sindaco non siano piaciute al di qua del ponte della Libertà. Per il sindaco «Venezia resta il punto di eccellenza internazionale» che vuol dire tutto e niente perchè senza abitanti e senza uffici l’eccellenza è solo ideologica. Dice infatti il vicepresidente della Municipalità di Venezia Fabrizio Reberschegg: «Purtroppo è vero per Venezia che il futuro dello sviluppo è a Mestre e purtroppo è vero per Mestre che lo sviluppo si sposta sempre più verso Padova e Verona. Però è anche vero che per il centro storico sembra una resa. Un sindaco che parla così, al suo terzo mandato, significa che sta prendendo atto del fallimento oggettivo di questa città e anche del suo fallimento personale. Basti pensare alla residenzialità. Se ne parla dagli anni Settanta e nessuno è riuscito a invertire la tendenza di un millimetro». L’esodo, gli uffici che ne se vanno, gli abitanti che se ne sono già andati. Per il deputato di FI Cesare Campa «una città deve restare città e se il sindaco non difende i suoi pezzi più importanti, come ad esempio la Rai, allora la situazione è grave». «Oggi è la Rai, domani sarà un’altra cosa. Altri palazzi che si svuotano, altri lavoratori che se ne vanno - continua Campa - è davvero singolare che il sindaco di Venezia non si renda conto della pesantissima crisi della sua città o tenti di risolverla portando tutto a Mestre». Perchè il punto è proprio la trasposizione da una città all’altra, come fa notare il capogruppo di Rc Sebastiano Bonzio. «Quelle di Cacciari mi sembrano dichiarazioni oneste, coerenti con la sua amministrazione anche se non mi sembra che si stiano compiendo scelte per il futuro di Mestre. Però è vero che stanno svuotando il centro storico. Venezia senza un corpo di residenti è nulla, l’architettura non basta». E mentre il sindaco sta organizzando gli auguri alla stampa solo in sede mestrina - «mica l’ho deciso io, me l’hanno proposto e ho detto di sì», chiosava ieri - i filo-veneziani rinsaldano la protesta. Come, tra gli altri, il capogruppo della Lega, Alberto Mazzonetto, che spiega come la vede: «Dopo tre mandati e un’alluvione, Cacciari si è accorto che esiste anche Mestre. Bravo. Ora che il centro storico è stato devastato dai turisti, dai colombi, dai delinquenti, dagli accattoni e dall’assoluta mancanza di iniziative politiche, ci preoccupa che il sindaco possa portare la sua politica del degrado anche in terraferma». (13 dicembre 2007) da espresso.repubblica.it Titolo: Lalla Trupia. Scelgo di essere a Vicenza con la mia gente Inserito da: Admin - Dicembre 14, 2007, 04:29:35 pm 14 dicembre 2007
Scelgo di essere a Vicenza con la mia gente di Lalla Trupia* Mi colpiscono particolarmente due aspetti delle esternazioni americane del Ministro degli Esteri -a nome del Governo italiano- sulla “irreversibilità” della decisione di costruire a Vicenza una nuova base militare statunitense: -la scelta di ribadire decisioni che hanno diretta attinenza con l’esercizio della sovranità e dell’autonomia nazionale a casa dei diretti interessati, a Washington, e sotto la vigile presenza di Bush e Condoleeza Rice. Se ne ricava inevitabilmente una sgradevole impressione; -la scelta di prendere la parola sempre “fuori casa” in una materia così delicata come la politica estera, evitando accuratamente di coinvolgere le sedi istituzionali proprie, quali il Governo e il Parlamento e tenendosi lontani sistematicamente da un confronto con le cittadine e i cittadini che ancora sono tenacemente contrari a questa scelta insensata. Prima Prodi a Bucarest, ieri D’Alema a Washington sono riusciti a rappresentare anche simbolicamente la lontananza, che ormai è diventata troppo spesso pratica di governo, non solo dalle comunità locali, ma dai rappresentanti istituzionali della loro stessa maggioranza. L’appello rivolto ancora in giugno a Romano Prodi da ben 170 parlamentari della maggioranza è stato accolto da un gelido silenzio. Si avanzava una proposta di buon senso: la moratoria dell’inizio dei lavori al Dal Molin fino allo svolgimento della seconda Conferenza sulle servitù militari prevista nel programma dell’Unione. Nessun cenno di interlocuzione da parte del Governo. Come se non esistessimo. Stessa algida indifferenza fino ad oggi nei riguardi della lettera con cui i quattro ministri della Sinistra-L’Arcobaleno chiedono un ripensamento sulla base militare americana e assumono la richiesta di Moratoria, ponendo di fatto la base di Vicenza tra le questioni prioritarie della verifica di gennaio. Ancora silenzio. E mi ha sinceramente ferita la notizia che a farsi garante di una scelta che spetta al Governo e sulla quale non si è mai sentito il bisogno di interpellare né le comunità locali né il Parlamento e a liquidare la lettera dei quattro ministri come puro atto consentito dalle libertà costituzionali, sia, sempre da Washington, la più alta carica dello Stato, il Presidente Napolitano. Nonostante il Suo autorevole richiamo, continuo testardamente a pensare che fare di Vicenza una cittadella militare in cui insediare la più grande base americana d’Europa sia una scelta scellerata per il futuro della mia città e per il futuro di pace che tutti a parole diciamo di volere. Ma non mi perdo d’animo e non mi arrendo. Come tutti quei cittadini che in questi tre giorni manifesteranno a Vicenza e che stanno già raccogliendo in tutto il paese centinaia di migliaia di firme a favore della moratoria. E’ giunto il momento che una questione tutt’altro che locale, ma di grandissimo interesse nazionale, approdi nella sede propria: il Parlamento. A questo fine, i capigruppo de La Sinistra-L’Arcobaleno e tutti i deputati veneti impegnati in questa battaglia, oggi hanno depositato una mozione formale presso la Camera dei Deputati. Per quel che mi riguarda, dovendo scegliere dove stare domani e sabato, scelgo di stare con la mia gente e con chi da più di un anno sacrifica famiglia, lavoro, tempo di vita perché ha a cuore il futuro dei suoi figli, della sua bella città, della pace. Venerdì perciò non sarò a Roma a votare per tre volte la fiducia al Governo, ma a casa mia con tanti giovani e tante donne a dire: NO DAL MOLIN, MORATORIA SUBITO…. *Parlamentare Sd da sinistra-democratica.it Titolo: No Dal Molin, Vicenza dà un volto agli invisibili Inserito da: Admin - Dicembre 15, 2007, 06:02:32 pm No Dal Molin, Vicenza dà un volto agli invisibili
In testa, Dario Fo e maschere bianche. Vicenza si prepara al corteo che sabato concluderà la tre giorni di mobilitazione europea iniziata giovedì 13 dicembre. Attese ventimila persone, per riprendersi il palcoscenico della protesta dopo che «su Vicenza è calato il silenzio». Il comitato No Dal Molin accusano il Governo: «Ci considerano soltanto come una presenza collaterale». Per questo i volti dei manifestanti saranno dipinti di bianco, per «evidenziare l’invisibilità di Vicenza, svenduta e trattata come una merce dallo stesso Presidente della Repubblica». La polemica è storia recente. Mercoledì, in visita a Washington, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva dichiarato che riguardo all’ampliamento dell’aeroporto Dal Molin, da parte del governo italiano non c’era «nessun ripensamento». Apriti cielo. «Invece di volare negli Stati Uniti per fare la first lady di Bush – avevano prontamente risposto quelli del presidio – Napolitano farebbe bene a fare il Presidente della Repubblica italiana, recandosi a Vicenza e parlando con quei cittadini di cui dovrebbe essere il massimo rappresentante». In corteo, sabato, nessuna bandiera: i No Dal Molin non hanno «padreterni» e sono arrabbiati praticamente con tutti, anche con i partiti della sinistra che dicono di sostenere la loro causa ma ancora non hanno fatto arrivare in Parlamento la moratoria sull’inizio dei lavori di ampliamento della base americana. Il corteo, comunque, è aperto a tutti. Ad aprirlo ci sarà un palco itinerante, «un camion di otto metri – spiegano – dal quale interverranno i rappresentanti del movimento vicentino, ma anche le delegazioni in arrivo da tutta Europa e gli attivisti statunitensi che si battono contro la guerra». Ci sarà anche Lalla Trupia, la deputata vicentina di Sinistra Democratica che ha annunciato: sabato non sarò in Aula a votare la fiducia al governo. Vado a Vicenza e sto con i cittadini. E critica, riferendosi a D’Alema e Napolitano, «la scelta di prendere la parola sempre “fuori casa” in una materia così delicata come la politica estera, evitando accuratamente di coinvolgere le sedi istituzionali proprie, il governo e il parlamento, e tenendosi lontani sistematicamente da un confronto con le cittadine e i cittadini che ancora sono tenacemente contrari a questa scelta insensata». Dalla parte dei vicentini anche la vicepresidente della commissione Difesa alla Camera, Elettra Deiana: «Con la questione del Dal Molin – ha dichiarato la parlamentare del Prc – il Governo ha toccato il suo punto più basso per quanto riguarda il rispetto del programma e il rapporto democratico con gli elettori. La vicenda dell'ampliamento della base militare di Vicenza non può assolutamente considerarsi chiusa, nonostante il giudizio le del Presidente della Repubblica e le congratulazioni che la Segretaria di Stato americana Condoleeza Rice ha rivolto al Ministro degli Esteri D'Alema, il quale avrebbe fatto meglio a prendere le distanze». Partirà per il Veneto anche il capogruppo di Rifondazione al Senato, Giovanni Russo Spena. E assicura che «tra i punti della verifica di gennaio – quella che vedrà confrontare sinistra e governo – uno di quelli più importanti sarà proprio la moratoria sul raddoppio della base, almeno sino a quando non si sarà svolta la conferenza sulle servitù militari che figurava nel programma dell'Unione». Pubblicato il: 15.12.07 Modificato il: 15.12.07 alle ore 10.39 © l'Unità. Titolo: «Un grande successo per Vicenza». Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2007, 04:49:35 pm Vicenza
(D.V.) «Un grande successo ... (D.V.) «Un grande successo per Vicenza». Gli occhi a stella, un piumino crema da brava ragazza, i capelli tirati su dalla pinza con strass. E lo zainetto in spalla. Ecco Cinzia Bottene, leader del movimento contro il Dal Molin, volutamente sottotono, senza eccessi, senza troppa visibilità, ai lati del corteo, a smussare facili entusiasmi o a resistere allo scoramento di una battaglia infinita. Calibra le parole, da buon politico: «Sessantamila, settantamila partecipanti. E quasi tutti di Vicenza - dice spalancando gli occhi -. Possiamo ancora vincere. Intanto la bonifica dell'aeroporto è stata bloccata grazie a noi. E poi abbiamo una fantasia illimitata. Troveremo altre forme di lotta. C'è già un pool di avvocati che lavora per individuare i punti deboli del progetto sotto il profilo ambientale. Sì: presto ci muoveremo anche in campo giudiziario. Insomma, non lasciamo nulla di intentato». Eppure il progetto cammina. Gli americani annunciano che durante l'estate partirà il cantiere vero e proprio e il presidente della Repubblica ripete a Bush che la base si farà. «Napolitano -aggiunge la Bottene - dovrebbe occuparsi di difendere la Costituzione e i cittadini. A Roma abbiamo chiesto ai parlamentari di riappropriarsi degli ideali di democrazia. Ma vogliamo atti concreti. Basta chiacchiere». La Erin Brockovich vicentina vuole solo guardare avanti, e aggiunge: «Non ho visto i politici al corteo. Forse perchè sono stata sempre in testa. Mi hanno chiesto se anch'io presto farò politica. Macchè. A me piace stare in mezzo alla gente. Combattere. Quando la battaglia sarà vinta spero di tornare alla vita di sempre». -------------------------------------- Dalla stazione con pentole e fischietti erano in oltre 30 mila per dire no alla base Usa. Nessun incidente, solo qualche tensione I No Dal Molin senza i leader della Sinistra Pochissimi i politici presenti: Achille Variati (Pd), Lalla Trupia (Sd) e Francesco Caruso (noglobal) VicenzaAncora pentole e coperchi, e fischi, e urla, e bandiere arcobaleno, e bambini imbacuccati nei colori del pacisfismo, come i cani dallo sguardo smarrito, e no al Dal Molin in un ossessivo rap sotto un cielo nero. Nessuno scontro, qualche momento di tensione, ma poi il corteo ha sfilato come previsto: tre ore di marcia dalla stazione ferroviaria, oltre 30 mila persone secondo i dati della Questura, 70 mila per il Comitato organizzatore. Pochissimi politici (Achille Variati del Pd, Lalla Trupia di Sinistra democratica, il no global Francesco Caruso), due nomi eccellenti, il premio Nobel Dario Fo e la senatrice Franca Rame, tra i partiti al Governo solo Rifondazione, Cgil assente, pochi striscioni dell'associazionismo, molte famiglie, molti giovani anche dei centri sociali. Ma una copia striminzita della grande manifestazione del 17 febbraio scorso, quando il movimento sembrava vicino a rivoluzionare gli accordi con gli Usa e la sinistra si era presentata in grande spolvero. Cinzia Bottene, leader del movimento del No Dal Molin, aveva annunciato che sarebbe stata una manifestazione internazionale, avendo avuto conferma della partecipazione di un gruppo della Repubblica Ceca e dei veterani americani contro la guerra. Molti vicentini, questo sì, come ha sottolineato anche la questura, una grande fetta del serpentone colorato e chiassoso che è scivolato da viale Milano sino a contra' San Bortolo, da Ponte Novo a piazzale Giusti, per sciogliersi in viale Roma. Ad aprirlo le donne, come sempre, in segno di pace, ma stavolta con il viso coperto da una maschera bianca per denunciare di essere cittadine invisibili. Dietro i gruppi di No Tav, No Mose, No all'ampliamento dell'aeroporto senese di Ampugnano, No agli F35 a Novara, Genova G8, Emergency, Vicenza out of Unesco, gli Amici di Beppe Grillo, gli studenti, i Berretti Bianchi (movimento che punta a riconoscere i corpi civili di pace), le bandiere rosse del Partito Comunista. Poche divise in vista, in testa al corteo solo sette agenti. Secondo le cifre fornite dalla questura erano in seicento tra poliziotti e carabinieri, in punti strategici della città, ma lontani dai manifestanti per evitare tensioni. Qualche problema c'è stato quando un gruppo ha tentato di avvicinarsi alla Gendarmeria europea, fallendo nell'intento grazie all'intervento delle forze dell'ordine. A piazzale Giusti, subito dopo, qualcuno ha cercato di sfondare la vetrina della Deutsche Bank, ma senza successo. Scritte sui muri del nuovo teatro, compresa l'oscura frase «Anche se è nuovo è contro il Dal Molin». Maggiori problemi in serata, alla stazione ferroviaria, quando 250 manifestanti in partenza per Milano pretendevano di salire in treno senza biglietto. Per avere ragione hanno spintano i controllori. Intervento della Polfer, circolazione bloccata sino alle 20, poi chi partiva si è visto costretto a pagare aiutato dalla generosità di un parlamentare di Rifondazione. Pure nella tarda mattina si erano create tensioni alla stazione ferroviaria di Milano e di Verona per gli stessi motivi, con la polizia in assetto di guerra per controllare che chi si recava a Vicenza avesse regolare biglietto. «Ma abbiamo avuto senso di responsabilità- ha commentato Cinzia Bottene - il centro della città è rimasto libero, chi voleva fare shopping non ha avuto difficoltà». Subito la replica di Roberto Cattaneo del Comitato del sì al Dal Molin: «Il centro storico è rimasto deserto, con i negozi chiusi. La gente si è riversata nei centri commerciali. Sono stati questi i segnali del poco interesse alla manifestazione». Donatella Vetuli da gazzettino.quinordest.it Titolo: A. CAPORALE - Gli appalti del sistema Galan vince chi chiede di più Inserito da: Admin - Dicembre 24, 2007, 11:11:34 am Rubriche » Piccola Italia
In Veneto le meraviglie del presidente e di una commissione che riesce a scegliere se stessa Gli appalti del sistema Galan vince chi chiede di più NON BISOGNEREBBE mai smettere di leggere le cronache dei quotidiani del Veneto. Mai. Ogni giorno Il Mattino di Padova e La Nuova Venezia elencano le meraviglie e l'efficienza del "sistema Galan", il cognome di Giancarlo, prodigio della nidiata di amministratori berlusconiani, uomo spiritoso e gaudente, mano ferma e conosciuta di potente podestà regionale. In Veneto, più che in altre parti di Italia, le gare di appalto spesso le vince chi in busta rialza di più il prezzo. I veneti, che sono tignosi e vogliono le cose fatte per bene, più del prezzo chiedono qualità. Il marchio qualità è impresso in diverse gare per la gestione, la cura e le pulizie degli ospedali. Frutta e ortaggi, carne e pesce, ma anche pulitura, lucidatura, eccetera eccetera. Vogliamo il meglio, costi quel che costi. Al meglio non c'è mai fine e quindi dagli ospedali, il passo è breve, si è passati ad altri tronconi della spesa pubblica. Intervistato da Renzo Mazzaro su La Nuova Venezia, il presidente dei Sistemi territoriali spa Gianmichele Gambato, ha spiegato il perché e il per come dell'affidamento dei lavori per l'ammodernamento della ferrovia locale Mestre-Adria all'associazione di imprese che ha proposto solo lo 0,50% di ribasso dei costi. "Io faccio una considerazione - ha detto Gambato - uno bandisce una gara da 21 milioni di euro. Arrivano solo tre offerte: la prima offre lo 0,50% (di ribasso ndr), una seconda il 2% e la terza l'11%. Non può nascere il sospetto che la tipologia di questo lavoro fosse particolarmente complessa al punto che l'11 per cento poteva essere un ribasso eccessivo?". E infatti, il sospetto è nato. E infatti non ha vinto chi chiedeva meno soldi, ma ha vinto chi ne chiedeva di più. Perché farà prima e meglio degli altri. E chi chiedeva di più? Ah, ecco qua: un'associazione di tre imprese, Carron SpA, Gemmo spa, e Coveco SpA. Delle tre una è molto nota in Veneto: la Gemmo Spa. Lavora molto e bene, lavora ovunque ci sia da lavorare. La famiglia Gemmo conduce con successo l'impresa impiantistica, padri e figli al timone di una azienda solida e bene affermata. Figli e figlie. Irene Gemmo, almeno fino al 26 ottobre dell'anno scorso, è stata vicepresidente della Gemmo spa. E Irene Gemmo chi è? Imprenditrice di qualità e conoscente di Galan. Più che conoscente amica, anche collaboratrice. Al punto che il 1 marzo 2006 Irene viene indicata dal consiglio regionale membro del consiglio di amministrazione di Veneto Sviluppo SpA, la finanziaria regionale impegnata a sostenere l'economia veneta. Il 30 giugno dell'anno scorso Irene Gemmo è nominata dal consiglio di amministrazione presidente di Veneto Sviluppo. E la finanziaria ha gambe muscolose e una borsa capiente: al suo interno c'è anche il 99,997% di Sistemi Territoriali SpA. Perfetto. Ora riandiamo all'inizio della piccola storia. L'appalto da 21 milioni per l'ammodernamento della ferrovia è stato bandito da una società (la Sistemi Territoriali appunto) detenuta pressocché totalmente dalla Veneto Sviluppo, di cui è presidente la signora Gemmo. La gara l'ha vinta un'associazione di imprese in cui è presente l'azienda di famiglia della signora Gemmo. Errori, favori, conflitti di interessi? "Poteva venire proposto ricorso al Tar e fino ad oggi nessuno l'ha fatto", ha giustamente precisato Gambato, il presidente della società che ha bandito l'appalto. Tutto perfetto e tutto pulito. E, soprattutto, tutto a norma di legge. Segnala una storia a: a. caporale@repubblica. it da repubblica.it Titolo: A. CAPORALE - Veneto, ecco il "sistema Galan" Inserito da: Admin - Dicembre 24, 2007, 11:15:37 am Rubriche » Piccola Italia
Ottime aziende, tutte molto amiche Veneto, ecco il "sistema Galan" Nel Veneto ogni cosa ha un capo e una coda. A tenere unito il capo alla coda è lui, Giancarlo Galan. L'uomo è alto e grosso, ha il fisico del conducator e il pensiero leggero. Da dodici anni guida la sua regione. Pugno di ferro, potere ben piantato, occhi e orecchie dappertutto. La sua professoressa lo immaginava un bravo idraulico. Ma i genitori sognavano per lui un futuro in giacca e cravatta. L'insegnante decise di essere accomodante: "Provate, se proprio volete mandarlo all'università, con una facoltà semplice". Il giovanotto invece scelse Giurisprudenza. E completò la laurea con un master alla Bocconi. Gli studi non hanno scalfito il carattere iracondo, né le sue idee, brevi ma intense. Il chiodo fisso: "Mi piacciono le belle donne. Peccato avere poco tempo da consumare con loro". Sì, al governatore piacciono le donne e adesso i suoi occhi sono tutti per la compagna Sandra Persegato. Per lei ha acquistato e ristrutturato a Cinto Euganeo villa Rodella, millecinquecento metri quadrati coperti, un parco e una cappella privata. L'Espresso ultimamente ha fatto stimare il valore del restauro ad alcuni invitati esperti del settore alla grandiosa festa di inaugurazione della casa reale. Con i soldi dichiarati del suo incarico pubblico (140mila euro lordi l'anno) forse avrebbe potuto sognarla. Acquistarla (e poi ristrutturarla) è sicuro di no. Galan ama le donne e la bella vita, ama il mare e la pesca. Sempre a pesca si dice che sia. Epperò una cosa bisogna aggiungerla e subito: la sua regione è un immenso cantiere. Il passante di Mestre, il Mose per difendere Venezia, la Pedemontana per alleviare il traffico. E grandi fiere, e altri svincoli, passi e sottopassi. Ruspe ovunque. La sanità, per esempio, è stata rivoltata come un calzino. Si spende sempre molto e gli affari sono per pochi. Il Mattino di Padova con una serie di inchieste ha documentato come le gare di appalto si siano chiuse, e con reciproca soddisfazione, in alcuni casi con importi superiori fino al 36 per cento dell'importo a base d'asta. I Veneti sono fatti cosi così: tengono agli "schei", però un occhio lo danno al prodotto. Si premia l'affidabilità dell'impresa, la qualità del servizio. Si premiava: il 15 novembre l'assessore alla sanità ha capovolto il rapporto: la qualità è importante, ma il costo del servizio lo è ancor di più. E comunque qui si costruiscono ospedali nuovi, quelli di Santorso e Mestre sono un bell'esempio di finanza pubblica che si sostiene sullo sforzo dei privati. I privati, soprattutto gli industriali, fanno la loro parte. La Gemmo Impianti è una grande azienda nazionale e, tra parentesi, ha accompagnato Galan durante la sua prima campagna elettorale. Non per niente nella famiglia di imprenditori spicca il nome di Irene, che il governatore ha voluto a Veneto Sviluppo, la finanziaria regionale. La Gemmo spa ha vinto le gare, da sola o in consorzio con altre imprese, per la fornitura di energia ai complessi sanitari di Dolo-Mirano, Bassano, Arzignano, Verona. Ancora Gemmo, quando si è trattato di costruire il nuovo ospedale a Santorso con un progetto di finanza mista: un poco dal pubblico e un poco dai privati. In questo caso Gemmo si è consorziata con lo studio Altieri e con la Serenissima ristorazione. Studio Altieri è uno studio di progettazione di antica e solida fama. Il titolare, Vittorio, morto tre anni fa, era compagno di Lia Sartori, eurodeputata di Forza Italia e donna di ferro, forza trainante e indiscussa del sistema Galan. E' vero, saranno amici ma sono bravi. Infatti Gemmo e Altieri hanno anche partecipato, sempre con la formula del project financing alla costruzione dell'ospedale di Mestre. Novanta milioni di euro dallo Stato, 130 dai privati. Che però in cambio hanno avuto la concessione esclusiva dei servizi per 24 anni. Concessione del valore superiore al miliardo di euro. E Gemmo più Altieri più Mantovani Costruzioni hanno progettato la finanza mista e il tracciato tecnico della Pedemontana, 64 chilometri di strada da costruire per legare la A13 Valdastico alla A27 Mestre-Belluno. Avranno loro il lavoro? La Mantovani, del resto, è impegnata nel Mose di Venezia (4,3 miliardi di euro il costo dell'opera), partecipa anche allo sforzo, insieme alla Gemmo, di realizzare nei tempi dovuti il Passante di Mestre. E la Gemmo è stata pure la capofila del consorzio per la costruzione della terza corsia dinamica della Tangenziale di Mestre. Riferisce poi l'Espresso che la Mantovani si è "aggiudicata due lotti del nuovo Piano Acquedotti (progetto Altieri) della rete di distribuzione del degasificatore, e del piano integrato Fusina". Imprese pigliatutto? "Tutti leggiamo, tutti vediamo. Però c'è silenzio. Un silenzio assordante", annota Giorgio Carollo, ex amico ed ex potente del sistema Galan. Oggi in proprio, con una carica di europarlamentare e un movimento (Veneto nel Ppe) da mantenere. "Costruire un teorema riferendo la presenza di singole aziende in diversi consorzi ma dimenticando di rilevare la loro rispettiva quota negli stessi, il peso reale che esse hanno, è un'opera mistificatrice - ammonisce invece Lia Sartori, parlamentare di Forza Italia - Il Veneto si è rimboccato le maniche, attua politiche di sviluppo e investe ovunque. Offre lavoro certo alle aziende venete ma non discrimina le altre, tutte le altre. Padova, Verona, Venezia, ovunque c'è una presenza larga e diversificata, non c'è opera che per almeno la metà del suo valore non sia frutto del lavoro di gente non vicina a noi. Non esiste un club di eletti, e i veneti sono un popolo che ha fatto i soldi lavorando". Non tutto ruota intorno a Galan? Di certo il politologo Ilvo Diamanti gli riconosce la forza, dopo il potere incontrastato della Dc, "di essere l'unico vero leader espresso dal Veneto". Antipolitico e antistatale, ma con una rete vasta di legami esclusivi, amici e soprattutto amiche collocate lungo il tragitto dei suoi dodici anni di regno, Giancarlo Galan ha forgiato e sedotto una intera classe imprenditoriale che ora mantiene sotto chiave. Lunedì sera, davanti agli industriali, è stato sferzante: "Voglio che i vostri dirigenti non siano dei politicanti". "Voglio". Ha detto così. Galan è la sintesi e insieme la rappresentanza più illustre di quello che Diamanti ha chiamato "il forzaleghismo". Il pugno, la politica fisica, la voce tonante, il giudizio definitivo. "Il modello del berlusconismo attuale è lui, non Formigoni. La piazza di Roma è figlia di quella di Vicenza. E gli atteggiamenti politici nazionali sono mutuati da quelli veneti: antagonisti, protestatari, ribellisti". Spegne le candeline il regno di Galan. Disse: "Il mio futuro? Vorrei aprire un villaggio turistico a Zanzibar, sempre che prima non mi suicidi con una cassa di Amarone". Scherzava, naturalmente. C'è la Pedemontana da costruire. Segnala una storia a a. caporale@repubblica. it (18 dicembre 2006) da repubblica.it Titolo: A. CAPORALE - Il sogno del Chavez di Salerno Le mie ceneri al centro della città Inserito da: Admin - Dicembre 24, 2007, 11:17:14 am Rubriche » Piccola Italia
Il sogno del Chavez di Salerno "Le mie ceneri al centro della città" Vincenzo De Luca Niente più sepolture di massa. Da quando Silvio Berlusconi, politico ricco e di destra, ha scelto la sua dimora eterna nel vasto e lussureggiante parco di Arcore, la valutazione dei luoghi dove segnare la morte, a imperitura testimonianza di sé, è pregna di ricerche anche da parte di politici più poveri in canna e per giunta di sinistra. Il modello ha fatto scuola, e dunque... E dunque il sindaco di Salerno e deputato diessino Vincenzo De Luca ha stabilito, in una commossa anticipazione alla città, che vorrebbe localizzare le sue ceneri al centro della principale piazza della città, in corso di edificazione. Piazza della Libertà, elle maiuscola. Salerno è un caso interessante, un caso di scuola. Lì l'antipolitica è già al potere. E' detenuta da un ex comunista che negli anni ha mutato linguaggio e passioni. Funzionario del Pci, segretario di Federazione, poi sindaco e deputato, poltrone che oggi assomma naturalmente. Amava le bandiere rosse, e adesso di rosso, ai comizi in cui chiama a raccolta il popolo, ci sono solo i vessilli della città. Ha mutato linguaggio, virando nell'ultimo decennio verso toni più grevi e diretti. Gli oppositori sono configurati come "iettatori"; i napoletani, concittadini dell'odiato nemico Bassolino, governatore della Campania, sono spesso "cafoni" e gli immigrati senza permesso di soggiorno "sfaccendati" da restituire con un calcio alla patria di provenienza. Salerno è l'esempio più luminoso di come l'esercizio di una politica "anti": efficiente, pratica, ruvida ma concreta abbia necessità di fare un modico uso dei riti della democrazia. "Io sono Salerno", dice il novello Chavez della Campania. Autore della politica del "fare" nemico delle "chiacchiere", odia l'inutile tempo speso in Parlamento ("chiacchierificio") e ogni usanza delle moderne democrazie. C'è da costituire l'Ufficio comunale per le relazioni col pubblico e lui dice: "Un barocchismo burocratico inutile e costoso. E' sufficiente che io giri per i quartieri, ascolti i problemi della gente per dar loro risposte. Si fa prima, si fa meglio e si risparmia". De Luca ha studiato filosofia, conosce Marx, ha pianto per Togliatti e venerato Berlinguer. Eppure ha capito che la politica è un'altra. Fare e non discutere. Decidere e mai riflettere. Governa con mano ferma e potere assoluto. Non ha opposizione e un po' la cosa lo intristisce: "Dobbiamo imparare ad essere opposizione a noi stessi". Sogna la grandeur: "Noi non abbiamo il Colosseo. E allora dobbiamo pensare a realizzare qualcosa che sia il nostro Colosseo". Ecco Piazza della Libertà: grande, con un colonnato maestoso, imponente, insuperabile. E al centro della piazza le ceneri dell'uomo: "Mi piace immaginare l'urna con le mie ceneri posta al centro di questa piazza sul mare". Al centro del centro della storia. Segnala una storia a: a.caporale@repubblica.it (23 dicembre 2007) da repubblica.it Titolo: Così sfumò il film su Goldoni progettato da Kezich e Strehler Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2008, 04:29:17 pm CINEMA - Domani al Trieste Festival sarà presentato il volume dedicato al critico
Così sfumò il film su Goldoni progettato da Kezich e Strehler TRIESTE Domani nell’ambito del Trieste Film Festival sarà presentato il volume «Tullio Kezich, il mestiere della scrittura» (Kaplan, Torino) - da cui è tratto il testo che pubblichiamo - frutto del progetto di ricerca «Lo schermo triestino» dell’Università di Trieste, coordinato da Luciano De Giusti e attuato in collaborazione con festival di Alpe Adria Cinema. Saranno presenti i curatori e Tullio Kezich. Questa «noterella» è un ricordo, che dedico ai futuri biografi di Giorgio Strehler secondo la formula goldoniana «per servire alla storia della sua vita e del suo teatro». L'argomento è il fallito tentativo di realizzare per la Rai una miniserie cinetelevisiva dai «Mémoires». Inviato da «L'Europeo» per un'intervista, ero arrivato a Portofino nel cuore del fatidico '68, lunedì 22 luglio, il giorno dopo le clamorose dimissioni di G. dal Piccolo Teatro di Milano. Avevo trovato il nostro grintosamente sereno, fermissimo nella dolorosa decisione che lo estraniava dal suo teatro dopo oltre vent'anni.Nei confronti suoi e di Paolo Grassi le contestazioni allora di moda erano venute assumendo un ingiustificabile carattere oltraggioso. Finché G. in un soprassalto d'orgogliosa impazienza aveva deciso di liberarsi da ogni impegno pubblico per dimostrare di poter fare la sua strada anche senza lo scudo istituzionale. Già pensava al gruppo cooperativistico che poi si sarebbe chiamato «Teatro e Azione» e prevedeva la messinscena, in chiave di produzione indipendente, della «Cantata di un Mostro lusitano» di Peter Weiss. Non avrei mai immaginato, salutando G. alla fine dell'intervista, che sarei tornato per portare avanti il progetto dei «Mémoires» goldoniani. Nelle visite a Portofino parlavamo di tutto: spettacolo, politica, donne, pettegolezzi, storie di vita, triestinità. Ho l'impressione tonificante e assillante al tempo stesso che ogni discorso si riconducesse a Goldoni, ogni evento della giornata o accensione della memoria, ogni fantasticheria e ogni scherzo cercassero un omologo nelle pagine del libro che era nostro compito trasformare in un lunghissimo film a puntate. Per G. il lavoro drammaturgico è una specie di assorbimento esistenziale tale da non concedere spazi per occuparsi di altro: quand'è concentrato su un problema di rappresentazione, il regista vi aderisce con tutto se stesso, senza riserve né difese. Sicché, mi apparve subito chiaro il segreto di quella G. che compariva a indicare il protagonista "io", cioè Carlo Goldoni, fin dalle prime cartelle programmatiche buttate giù nel comune rito propiziatorio all'impresa. G. stava per Goldoni, ma anche per Giorgio: e il mio G. si era talmente appropriato della vita, delle esperienze e della psiche di quell'altro G., vissuto due secoli prima, da fondere e addirittura confondere i due discorsi. Era ovvio, ascoltando la lettura del manoscritto continuamente interrotta da esuberanti postille, identificare mutatis mutandis il capocomico Girolamo Medebach in Paolo Grassi, il Truffaldino Sacchi nell'Arlecchino di Marcello Moretti, la primattrice Teodora con le sue crisi e le sue smanie nella radiosa Valentina Cortese a quel tempo compagna di G. In un incontro con l'onnisciente goldonista Ludovico Zorzi, accompagnato dalla moglie Elvira Garbero esperta anche lei di antichità teatrali, insieme a G. presero a intrattenersi producendo vecchie edizioni e fotocopie di manoscritti della Marciana. I due studiosi si trovarono subito consenzienti con l'interpretazione che G. dava della vita e del carattere di G.: il rovesciamento totale della figura di «papà Goldoni» bonario e benedicente, immerso nelle calli e dei campielli, a beneficio di una figura di intellettuale già appartenente alla modernità, sensibile ai segnali del mondo popolare, aperto alle istanze della società, istintivamente proiettato prudentemente dalla parte giusta; e soprattutto aperto, pur ancorato ai suoi dialetti nativi, in una dimensione europea. G. aveva preso a macerarsi ad alta voce con il problema goldoniano, che spesso non gli permetteva pure di chiudere occhio: mi venne così a svegliare nel mezzo della notte. Era pronto a recitarmi là, sui due piedi, la scena del Pantalone friulano Cesare d'Arbes che si presenta a Pisa dall'avvocatino G. nell'agosto del 1747 per chiedergli un copione destinato a diventare «Sior Tonin Bellagrazia». E così, nel bel mezzo della coloritissima perorazione pantalonesca, G. aprì una vasta chiosa meditativa che partendo dal teatro di marionette di Wilhelm Meister e passando attraverso la sua infanzia triestina all'ombra del nonno Olimpio Lovrich impresario lirico, con lampeggianti reminiscenze di una remota apparizione come Fazio in «La cena delle beffe» e delle successive prove al teatro universitario, approdava al tentativo di definire il motore, l'armonia e l'aspetto diabolicamente ineluttabile della comune vocazione dei due G. Come trovo meschina, a distanza di tanti anni, l'idea che in quel momento anziché prendere appunti, godere del privilegio e assorbire una lezione incomparabile, io non aspettavo altro che la fine della tirata, insomma di vedere Pantalone uscire dalla comune e abbandonarmi al sonno. Ci furono anche momenti di spensieratezza, ma spesso G. era esacerbato per le notizie dal mondo di fuori, per le difficoltà che incontrava il gruppo «Teatro e Azione», per i rigurgiti della Contestazione più becera e i primi segnali di un minaccioso Riflusso, per le ambiguità e i ritardi della Rai; o, più largamente, per lo spettacolo di un'Italia sconvolta e periclitante come non mai. La sera guardavamo a volte la televisione, che allora offriva solo due canali. Ci fu una sera in cui il padrone di casa perse per cinque minuti la parola, vale a dire la sua straordinaria reattività. Fu il 12 dicembre '69, quando sullo schermo arrivarono all'improvviso, incredibili e terrificanti, le immagini della strage con morti e feriti alla Banca dell'Agricoltura a Milano. Solo più tardi, dopo una cena silenziosa, G. si abbandonò a una serie di considerazioni desolate sull'impossibilità di prevedere, evitare o anche soltanto analizzare le imboscate della storia nell'ambito della nostra fantomatica e fragile realtà di uomini di spettacolo. Sentiva l'ingenuità di una formula come «Teatro e Azione»: «Ma quale azione? Che cosa possiamo fare noi gente di teatro?»; e insieme la mortificazione di non poter opporre, in momenti simili, quel gesto utile, risanatore e chiarificatore di cui sentiva l'estrema urgenza. E anche qui, imprevedibilmente, G. chiamò in causa l'altro G., parlando del suo probabile sgomento nell'accorgersi che la rivoluzione, di cui era stato sul palcoscenico modestissimo e cauto profeta, stava scivolando verso il bagno di sangue del Terrore. La bomba di Piazza Fontana era una conferma della dolorosa impotenza del teatro, o più ampiamente dell'arte, di fronte alla violenza e alla follia. A questo punto, concludeva G., l'artista può solo sforzarsi di continuare a fare bene il proprio lavoro. Dopo qualche tempo mi stupì constatare che tra tanto leggere, annotare, progettare e discutere G. stava scrivendo e i copioni dei cinque capitoli poco a poco venivano avanti. Questi testi pare non esistano più: né il trattamento generale, che rappresentò il primo sforzo di G. per condensare la sterminata materia, né le sceneggiature che si succedettero a intervalli pressoché regolari nei primi sei mesi del '70. Alla Rai amavano tanto poco i «Mémoires» che nell'archivio non li hanno conservati: sono stati smarriti, rubati o buttati via. E G. stesso non è riuscito a recuperarli e in tempi recenti, in vista di un'auspicata versione teatrale, ha dovuto ricostruirli alla meglio. I discorsi divennero nel tempo un po' accademici, le visite a Portofino finirono anche perché G. dovevo raggiungerlo di qua e di là dove aveva ripreso a fare il teatro. Del resto non aveva mai veramente smesso, neanche dopo le dimissioni dal "Piccolo": il teatro stava riprendendo possesso della vita di Strehler e la televisione, impigliata nei suoi indugi, perse il momento giusto in cui riuscire ad acchiapparlo. I «Mémoires», il capolavoro che non fu, per me è esistito; e non dispero nel miracolo di vederlo finalmente vivere sulla scena dove G. da tempo si è ripromesso di trasferirlo. (21 gennaio 2008) da espresso.repubblica.it Titolo: Spariti in Brasile beni da sequestrare Inserito da: Admin - Febbraio 29, 2008, 08:36:17 am VICENTINO IMPUTATO
Spariti in Brasile beni da sequestrare Vicenza (gla) Sono "sparite" in Brasile le quote azionarie delle società che fanno capo alla Servizi Costieri, poste sotto sequestro la scorsa settimana dal Tribunale di Venezia per garantire il pagamento dei risarcimenti milionari dovuti allo smaltimento illecito di rifiuti e all'inquinamento di numerose aree. La sconcertante scoperta è stata fatta dagli uomini del Nucleo regionale della Guardia di Finanza, delegati dal presidente Sergio Trentanovi di occuparsi dell'esecuzione materiale del provvedimento di sequestro. Da mesi, mentre il processo era in corso nell'aula del Palazzo di giustizia di Mestre, gli amministratori della Servizi costieri stavano operando per trasferire all'estero tutte le attività del gruppo. L'operazione è stata conclusa qualche mese prima della sentenza, con la quale lo scorso 8 febbraio, l'amministratore della società, il vicentino Carlo Valle è stato condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione. I finanzieri hanno scoperto che, attualmente, è una donna brasiliara la proprietaria formale di tutto l'impero economico facente capo alla Servizi Costieri: non è stato dunque possibile eseguire il sequestro nei confronti delle quote societarie del gruppo. Una vera e propria beffa per enti pubblici e privati cittadini che chiedono di essere risarciti per i danni subiti dall'illecito trattamento dei rifiuti, per i quali il sequestro dei beni costituiva la garanzia di poter ottenere quanto gli spetta: oltre alle azioni, il sequestro riguardava anche crediti per sei milioni di euro che il gruppo ha iscritti a bilancio. Ovviamente le parti offese di Servizi Costieri potranno avviare azioni giudiziarie in Brasile, ma è chiaro che per loro sarà tutto più difficile. Il trasferimento all'estero delle società, tra l'altro, non potrà neppure avere alcun seguito di natura penale: tutto è stato eseguito in maniera lecita. Quando è stata realizzata l'operazione, infatti, le azioni non erano ancora sottoposte ad alcun vincolo. da gazzettino.quinordest.it Titolo: Giorgia Gay. Grado: geotermia per gli edifici pubblici Inserito da: Admin - Marzo 08, 2008, 04:53:13 pm Sarà ammortizzato in due anni e mezzi
Grado: geotermia per gli edifici pubblici Un progetto pilota con un pozzo profondo mille metri. Sfruttato il calore, l'acqua è rimessa in falda GRADO - Mentre il prezzo del petrolio sale, a Grado c’è un pozzo che scende. Deve arrivare a mille metri di profondità per poter sfruttare l’energia geotermica necessaria a riscaldare alcuni edifici pubblici. È questo l’obiettivo del progetto pilota avviato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia per incentivare lo sfruttamento di questa risorsa da parte di amministrazioni pubbliche e soprattutto di privati. A fronte di una spesa iniziale di 1,5-2 milioni di euro, il rientro dei costi è garantito entro due anni e mezzo. CONDIZIONI IDEALI - Il pozzo per la ricerca di energia geotermica è stato aperto sulla Spiaggia Azzurra di Grado, nella zona più occidentale dell’Isola del sole. Qui ci sono le condizioni ideali del terreno per poter sfruttare la geotermia profonda con perforazioni fino a mille metri di profondità, alla ricerca di acqua con una temperatura sufficientemente alta. Il progetto, che gode di un finanziamento europeo di 1,2 milioni di euro e di un investimento regionale di 400 mila, procede nella giusta direzione, ma non senza sorprese: la temperatura per il momento risulta lievemente inferiore al previsto, ma la grande portata d’acqua che si è scoperta compensa l’inconveniente. «Una temperatura di 55 gradi è ideale per poter garantire il riscaldamento tramite i termosifoni», spiega Roberto Della Torre, della direzione centrale Ambiente. «Ciò che ci serve dell’acqua è il suo calore: ottenuto quello, la risorsa idrica viene reimmessa nella falda. Con questo progetto saremo in grado di riscaldare senza problemi due scuole e un centro per anziani, ma se ci sarà la possibilità di fornire altri edifici sarebbe un’ulteriore vittoria». APRIPISTA - Non si esclude, poi, nemmeno la prospettiva di eventuali utilizzi termali. «Un progetto di questo tipo, che vuole fare da apripista, non poteva che essere sperimentato da un ente pubblico quale la Regione, considerata soprattutto la spesa iniziale», aggiunge Tiziano Tirelli, direttore del Servizio geologico regionale, che cura il progetto insieme all’Università di Trieste. «Quello che ci preme soprattutto», sottolinea, «è di diffondere le conoscenze e i risultati che stiamo ottenendo, perché la strada delle risorse rinnovabili deve essere percorsa senza indugi. Ed è certamente già un risultato che diversi soggetti privati abbiano inoltrato la domanda per poter investire in questo ambito». REGIONE - Il Friuli-Venezia Giulia, che da tempo si è dotato di un Piano energetico regionale, oltre che sulla geotermia profonda sta investendo anche su quella superficiale, già diffusa nella bassa pianura friulana. In questo caso la perforazione è minore, 300-500 metri, al fine di raggiungere una temperatura di 40 °C. Una terza via è poi quella delle pompe di calore, una tecnologia già consolidata all’estero e molto promettente. Un loro pregio è che possono essere utilizzate indistintamente su tutto il territorio, non richiedendo particolari caratteristiche del terreno. Inoltre non producono anidride carbonica né necessitano di particolare manutenzione. Un esempio di questo utilizzo è il riscaldamento del museo della Forestale a Basovizza, sul Carso triestino. Per le future ricerche geotermiche la Regione potrà disporre di un ulteriore finanziamento europeo di 8 milioni di euro. Giorgia Gay 06 marzo 2008 da corriere.it Titolo: OLTRE 4 MILIONI GLI IMMIGRATI, PIU' INTEGRATI AL NORD EST Inserito da: Admin - Marzo 09, 2008, 12:44:21 am LO SOSTIENE IL CNEL
OLTRE 4 MILIONI GLI IMMIGRATI, PIU' INTEGRATI AL NORD EST Gli immigrati presenti in Italia hanno superato nel 2007 la soglia dei 4 milioni, dei quali piu' di 3 milioni risultano residenti. Il loro standard di vita e' decisamente peggiore di quello degli italiani ed anche nelle regioni in cui e' vi e' un trattamento piu' egualitario si registra un gap di circa il 40% a sfavore rispetto alla situazione degli italiani. I migliori livelli di integrazione si registrano nel Nord est e nella fascia adriatica, dal Trentino al Friuli fino all'Abbruzzo, includendo pero' anche la Lombardia. E' quanto sostiene una ricerca del Cnel presentata nel corso della "Giornata dell'integrazione", da cui emerge che le regioni che garantiscono un trattamento piu' ugualitario sono il Fiuli Venezia Giulia (63 punti contro i 30 della Puglia), il Trentino Alto Adige e il Piemonte. Lo studio rileva che per numero di presenze restano al primo posto Milano e Roma, ma l'aumento maggiore di popolazione straniera si e' registrato in Umbria e Marche: dal 1994 al 2004 la crescita e' stata del 400% (mentre a livello nazionale e' intervenuto il raddoppio), seguite dal Veneto e dall'Emilia Romagna (+300%). A livello provinciale, si segnala Prato con un aumento della popolazione immigrata di ben 31 volte, seguita da Rimini (18) e Crotone (16). La densita' di immigrati per kmq e' massima nella provincia di Milano (156 per kmq), che distanzia Trieste (82), Prato (82) e Roma (64). Le regioni che offrono le condizioni piu' favorevoli per l'integrazione sono il Trentino Alto Adige, il Veneto, la Lombardia, l'Emilia Romagna, le Marche, il Friuli Venezia Giulia. A livello provinciale, quasi la meta' delle province italiane (48 su 103) presenta condizioni potenziali per un'integrazione degli immigrati massimamente o altamente soddisfacente, contro un terzo (35) in cui tale potenziale e' basso o minimo. (AGI) - Roma, 7 mar. - Titolo: Fra i depositi in Liechtenstein anche un ex ufficiale della G. d. F. ... Inserito da: Admin - Marzo 30, 2008, 04:18:20 pm Negli elenchi distribuiti alle Procure d’Italia ci sono anche imprenditori del Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige.
Numerose le smentite Quaranta nomi veneti tra i conti di Vaduz Fra i titolari dei depositi in Liechtenstein anche un ex ufficiale della Guardia di Finanza in servizio a Treviso e Venezia Venezia Sono una quarantina i nomi di contribuenti veneti - soprattutto imprenditori, gioiellieri, commercialisti - che compaiono nella «lista italiana» con persone e società conti in Liechtenstein. Tra questi anche un alto ufficiale della Guardia Finanza oggi in pensione. Il colonnelloStefano D'Archino, negli anni Novanta vicecomandante del Nucleo regionale di polizia tributaria di Venezia e poi responsabile de comando provinciale delle Fiamme gialle di Treviso, risulterebbe intestatario di un conto da 700 mila euro. Accanto al suo nome compare anche quello della moglieClara Zachin. Ma tra i coinvolti, quasi la metà (14), ha regolarizzato la posizione con il fisco italiano nel 2002, usufruendo dello scudo fiscale inventato dal ministro Tremonti. È il caso del «paperone» della lista veneta, l'imprenditore vicentino dell'acciaioNicola Amenduni(15,5 milioni di euro a Vaduz), che risulta aver regolarizzato i conti con la cosiddetta «integrativa semplice», una sanatoria che poteva riguardare un singolo anno e integrava gli importi già versati. Gli Amenduni, nei giorni scorsi, avevano escluso tuttavia il possesso di beni all'estero «in violazione o elusione della normativa fiscale», precisando che le partecipazioni in società estere erano state acquisite «nel pieno rispetto della normativa tributaria». Altra facoltosa famiglia di imprenditori ricorsa nel 2002 al condono «tombale» è quella dei veronesi Facchini (Dino e i figli Mathias, Masha e Manuel) titolari fra l'altro con la Swinger International del marchio della moda Byblos. I 7,5 milioni di euro fatti rientrare in Italia con il condono avrebbero fatto finire nella lista del Liechtenstein anche due altri veronesi, il commercialistaRoberto Maria Rubini e il figlio Marco. I quali, precisano però, conti a Vaduz non ne hanno mai avuti; semplicemente, spiega Roberto Rubini, sono rimasti nelle tracce informatiche di Vaduz perché hanno agito professionalmente proprio per far rientrare i capitali dei Facchini. Un altro veronese noto, il contePietro Arvedi D'Emilei, patron del Verona Calcio (1,2 mln) aveva a sua volta sistemato la propria posizione nel 2002, grazie alle leggi per il recupero dei capitali all'estero. Lo stesso vale per la famiglia di gioiellieri vicentini Chimento(6,3 milioni l'importo del conto intestato ad Adriano Chimento), che risulta aver usufruiti del condono fiscale. Compaiono anche la moglieTeresita Romio, Federica e Mario Chimento. In un'altra posizione Giancarlo Chimento e Gabriella Berti. Nella lista vi sono poi nomi meno noti o sconosciuti ai più. Come quello di un piccolo imprenditore vicentino,Paolo Facci, di Schio, che a Vaduz aveva depositato qualche decina di migliaia di euro («il conto non arrivava a 100 mila» dice), condonati nel 2002, sostiene l'uomo. «Li ho riportati in Italia con lo scudo fiscale, ho regolarizzato tutto - spiega - ma fa male vedere che ora il mio nome compare comunque in questa lista infamante». Altri vicentini nella lista: Paola Costa, Emilia e Ruggero Garbin. C'è poi chi nega di aver mai avuto conti a Vaduz, come un imprenditore padovano del settore dei metalli, Graziano Grosselle, di Cittadella: «Non sono io, si tratta di un omonimo», ha detto Grosselle. A questo nome vengono comunque attribuiti 650 mila euro non condonati. Per rimanere nell'Alta Padovana, nella lista diffusa c'è il nome dell'imprenditore nel settore delle macchine utensiliPiergiorgio Trevisan. Nel suo conto 1,5 milioni di euro che non risultano condonati. Non è indicata nessuna cifra in quello intestato alla moglieMaria Isabel Velasco Valladarescome pure in quelli attribuiti alle due figlie Nuria ed Eva Chiara. Ma proprio con la pubblicità dei nominativi sono cominciate le polemiche sull'attendibilità della stessa poichè alcuni imprenditori che hanno letto il proprio nome, avevano sì portato somme di denaro all'estero anche ingenti, ma avevano regolarizzato la loro posizione con il fisco italiano dopo la normativa del 2002 facendo rientrare il denaro in Italia. Adesso si trovano in quella che alcuni di essi non hanno desitato a definire senza mezzi termine come "lista infamante". E nomi sono spuntati anche in Friuli.Lo ha confermato ieri il capo della procura Luigi Delpino, che però non ha voluto aggiungere altro. Da quanto si è appreso i documenti riguarderebbero uno dei componenti della famiglia Zanussi e in particolareAntonio Zanussi(gli altri Zanussi,Aldo, Emilia, Antino ed Elisa Guiotto sono domiciliati in Veneto ed è perciò competente un'altra Procura, quella di Belluno). «Non ho ricevuto nulla - ha detto ieri pomeriggio Antonio Zanussi - quello che so l'ho appreso dai giornali». Nel Bellunese risultano poi Franco De Pasqual (650mila euro), Osvaldo Valmassoi e Anita Casanova.. Altri nomi veronesi in lista quelli della famiglia Aspes: Giovanni, Claudia, Valentina, Marco Pietro, Pietro e Bertha Pernstich. E sempre nella città scaligera Peter Hinrich AxteInge Axt, e Liana Paccagnella. Spostandoci oltre i confini veneti, va segnalato che nella lista di Vaduz risulterebbe anche Karl Schmid imprenditore altoatesino ex re dell'amaro Jaegermeister, in lista per un conto da milione e mezzo di euro. «Per me si tratta di una grande bufala. Io ho la coscienza a posto», ha spiegato. --------------------- L’IDENTIKIT In lista industriali, sportivi e un parroco Polemiche sulla divulgazione delle liste ROMA - Smentite, precisazioni e prese di distanza da presunti illeciti: ha provocato reazioni distinte la pubblicazione della lista italiana completa dei titolari di conti bancari in Liechtenstein su cui sono al lavoro 38 procure. Alcuni negano di avere fondi milionari a Vaduz, altri escludono di essere la persona indicata nell'elenco ma c'è anche chi non ha problemi a confermare chiarendo di aver già regolato i conti con il fisco e con la legge. Complessivamente sono 390 gli indagati per omessa e infedele denuncia dei redditi ma tra le persone in questione diversi potrebbero, appunto, già aver sanato la loro posizione, anche attraverso la legge del cosiddetto scudo fiscale, mentre per altri, magari residenti all'estero o non cittadini italiani, potrebbe non ravvisarsi alcun reato. «Quei soldi in Liechtenstein erano i guadagni del mio stabilimento in Austria, per i quali ho già pagato il condono» ha spiegato Romano Freddi, 74 anni, industriale del settore alimentare del mantovano, indicato nell'elenco con la moglie e due figli per otto milioni di euro. «Sì sono io e che problema c'è? Ho portato questi soldi in Liechtenstein 30 anni fa. Ho dichiarato tutto, ho pagato le tasse dovute e non ho niente da nascondere», conferma Dario Pruneri, imprenditore bolzanino di imballaggi di plastica, in lista con dieci milioni di euro. Marco Piccinini ribadisce la sua «perplessità» sostenendo che un semplice controllo confermerebbe che egli non risiede in Italia dal 1972 e che non è cittadino italiano. L'ingegner Giampiero Pesenti, presidente del gruppo Italmobiliare, «ribadisce categoricamente di non avere alcun deposito bancario intestato in Liechtenstein. L'ipotesi formulata di un deposito derivante dall'eredità della madre, Rosalia Pesenti, deceduta alla fine di agosto dello scorso anno è completamente destituita di fondamento in quanto non è ancora stato avviato l'iter esecutivo testamentario». Smentita categorica anche dal senatore di Fi Luigi Grillo (650 mila euro):«Mai posseduto una cifra di tale enormità ». In Liguria, tra le persone chiamate in causa, c'è don Lorenzo Nanni, parroco di S. Pietro in Davagna un paesino del genovese: «Sono basito. Non so cosa dire» è stato il suo commento. La diffusione dell'intero elenco ha provocato l'irritazione del viceministro all'Economia, Vincenzo Visco: «È un fatto grave che compromette l'immagine dell'Italia in Europa. Quei dati possono essere utilizzati a fini fiscali o per indagini penali, ma devono comunque restare riservati. Il fatto che ciò non sia avvenuto in Italia, unico Paese tra quelli coinvolti a violare in modo così plateale il principio della collaborazione internazionale, può indurre i nostri partner a considerare scarsamente affidabile il sistema paese e può compromettere la collaborazione internazionale nel contrasto all'evasione fiscale». La prossima settimana la Procura di Roma inoltrerà al ministero della Giustizia la richiesta di rogatoria internazionale per ottenere documenti ufficiali che avallino la lista «romana» di presunti evasori fiscali. Considerata la riservatezza di Vaduz, esiste però il rischio che la rogatoria non venga accolta. da gazzettino.quinordest.it Titolo: Fassino: «I valori del Nordest sono anche i nostri» Inserito da: Admin - Aprile 08, 2008, 10:13:19 pm Fassino: «I valori del Nordest sono anche i nostri»
Ninni Andriolo «Prima con Berlusconi avevamo un’unica possibilità, adesso con il Pd abbiamo due opzioni tra le quali scegliere». Il Nordest raccontato dagli imprenditori del distretto del mobile dell’asse del Livenza, che incontrano Fassino in una cascina del Trevigiano. Il Nordest raccontato da quelli che sono passati «dal tornio alle Mercedes», che esportano in Cina, in India o in America Latina e stipano di merci i Tir che intasano l’Autostrada che taglia il Triveneto. Sommando il fatturato dei «capitani d’azienda» riuniti nella cascina Piovesan di Campomolino si raggiungono cifre da capogiro. Sono una cinquantina gli imprenditori che si danno appuntamento per il pranzo nella campagna trevigiana a pochi chilometri da Oderzo. Lì si consuma un rito ventennale che si ripete ogni lunedì, settimana dopo settimana, e che prevede la cena, qualche partita a scopone e interminabili discussioni sulle aziende, sull’economia e, naturalmente, sulla politica e sul governo. Giovedì scorso, eccezione alla regola del lunedì, la tavolata era stata predisposta per Piero Fassino, che da settimane batte il Nord e aveva messo in calendario due giorni veneti fitti di incontri, comizi e appuntamenti. Qui, spiega l’ultimo segretario dei Ds, «c’è la più grande concentrazione di lavoro dipendente, ma anche di lavoro autonomo, d’Italia. Un valore forte che va riconosciuto, mettendo fine al luogo comune che identifica i lavoratori autonomi come evasori fiscali». Una volta l’anno, da quando era ministro per il Commercio estero, Fassino è ospite abituale della cascina Piovesan, proprietà di una nota famiglia di imprenditori del legno. Una solida costruzione contadina, circondata dalla campagna veneta, dove nulla suona come sfarzosa ostentazione di ricchezza. Se non fosse per le Porsche, Mercedes, Bmw e Suv parcheggiati nell’aia che fronteggia il fabbricato, il pranzo suonerebbe come una rimpatriata tra compagni di scuola che si raccontano una vita guadagnata lavorando sodo e senza sfarzi. Tavola apparecchiata con tovaglie di carta e piatti di plastica, prosecco sorseggiato davanti al grande camino in pietra, tra una statua di Padre Pio e i poster del mago “David Cats” che, evidentemente, ha allietato qualcuno dei lunedì di casa Piovesan. Appese alle pareti le fotografie degli amici che hanno trasferito gli incontri di Campomolino da quando un certo bar del paese chiuse i battenti. Luciano Benetton questa volta non c’è, perché è impegnato all’estero, ma non mancano le foto che lo ritraggono tra i commensali più assidui. Come non mancano quelle di Fassino. Gli imprenditori dell’asse del Livenza hanno lasciato per qualche ora la fabbrica per incontrarlo. Molti di loro votano abitualmente per il centrodestra, ma la stima per Fassino - che conoscono da anni - li spinge a non mancare l’appuntamento. E poi la novità del Partito democratico qui non passa inosservata e fa riflettere. Anche «la candidatura di Calearo rappresenta un mondo produttivo del Nordest che in passato ha guardato con diffidenza al centrosinistra», commenta l’ultimo segretario della Quercia. Pranzano insieme e parlano dell’economia che non tira, delle tasse che pagano, dello Stato lontano dal Nordest, dei contributi «a pioggia e a fondo perduto» che non servono a nulla. Arrosto, polenta, formaggio e grande insalatiere colme di radicchio. Raccontano le scommesse vinte all’estero, le commesse ottenute in capo al mondo, le imprese che tirano. «Non vogliamo soldi gratis dallo Stato», precisa uno di loro. Chiedono infrastrutture, servizi, efficienza amministrativa, federalismo fiscale, meno tasse e meno burocrazia. Ma chiedono, soprattutto, di essere riconosciuti dallo Stato per quelli che sono. Chiedono di non essere considerati pregiudizialmente come degli evasori. Rimproverano al centrosinistra di averli visti come «fumo negli occhi». Chiedono che il Sud marci più svelto, perché «non si può andare avanti con mezza Italia che produce e mezza no». «Le aziende investono se hanno fiducia nel governo», dice uno di loro, e si capisce che qui la fiducia nella politica, tutta la politica, scarseggia perché politica per loro vuol dire “casta”. Oggi a Campomolino c’è anche il vice presidente di Veneto Banca e lo stato maggiore dell’Unione industriali di Treviso, con il nuovo presidente che guida una struttura di 2500 imprese. Profondo Nordest, uno spaccato di mondo raccolto intorno a due grandi tavolate, dove troneggiano bottiglioni di vino rosso e di vino bianco. Alla fine, poi, con il caffè compare anche la grappa. Da piccolissime, in pochi anni, le imprese di chi partecipa all’incontro con Fassino sono diventate realtà economiche di tutto rispetto. «Da noi si fatica insieme agli operai - spiegano - E si guarda all’imprenditore come al padrone che deve piangere». Oggi, naturalmente, si parla anche di elezioni, di Veltroni e Berlusconi, del Pd che va da solo. Qui per contare chi ha votato a sinistra bastano e avanzano le dita di una sola mano. Hanno guardato alla Lega e poi a Berlusconi, ma oggi si avverte un certo disincanto per il Cavaliere. Che, a dispetto dei consensi che ha rastrellato, da queste parti non è stato mai realmente amato. La cultura contadino-industriale di chi si è «fatto da solo», infatti, è lontana mille miglia da quella di chi ha messo in piedi un impero economico sotto l’ala protettrice della politica. Concorrenza e libero mercato sono parole sacre, da queste parti. E anche per questo Prodi, associato all’Iri ricorda un capitalismo di Stato che non seduce. «Abbiamo radici contadine, solidarietà ed equa distribuzione da noi sono valori condivisi - spiegano - Qui qualcuno era socialista e qualcun altro democristiano e abbiamo bevuto assieme al latte materno una cultura antica che ha lasciato un’impronta forte nel grande sviluppo industriale di queste zone... ». Il centrodestra che da queste parti la fa da padrone? «Se si è costretti a mangiare un’unica minestra - spiegano - anche se non ti piace devi fartela piacere lo stesso». Traduzione: il centrosinistra che mette «lacci e lacciuoli burocratici come ha fatto Pecoraro Scanio con le sue circolari ministeriali sull’ambiente», dimostra che «si guarda a noi con la puzza sotto al naso» e «non possiamo che prenderne atto». Anche adesso che c’è il Partito democratico? La novità è che la politica del Pd è arrivata, e anche qui il 14 aprile si potrebbero registrare sorprese. Che si respiri qualcosa di nuovo è abbastanza evidente, lo si annusa, lo si avverte in modo epidermico. «C’è una grande attenzione per il Pd», sintetizza Fassino. Quando arriva il momento dei discorsi, alla fine del pranzo, Fassino spiega che «nell’ultimo Parlamento si contavano 39 partiti, mentre nel prossimo ce ne saranno al massimo 5» e che si è determinata «una vera e propria riforma del sistema politico provocata dall’entrata in scena del Pd». Veltroni ha avuto il coraggio di cambiare, sottolinea Fassino, «gli altri lo hanno copiato e si sono dovuti acconciare a fare la stessa cosa». «In effetti c’è stata una semplificazione - ammette Fiore Piovesan, imprenditore che appartiene ad un ramo della famiglia dei proprietari della cascina - E questo è utile, perché oggi un imprenditore può dire: bene c’è una sinistra che si colloca dove si colloca, e c’è una forza politica nuova della quale puoi condividere alcune cose e altre no. Ma quantomeno ci si comincia a riflettere sopra e ci sono due possibilità tra le quali scegliere». A differenza del passato, quindi, in campo non c’è solo Berlusconi. E Fassino ripete a Campomolino quello che spiegherà anche a Padova, a fianco del sindaco Zanonato, o a Treviso o a Mestre, o davanti al gazebo Pd della Piazza Grande di Oderzo. «Noi qui governiamo 6 regioni su 8, molte province e molte città anche difficili come Bergamo, Brescia, Pordenone, Udine, Belluno. Altro che estranei, altro che lontani dal Settentrione». E agli imprenditori della cascina Piovesan l’ultimo segretario Ds spiega che «l’Italia non può rischiare di essere emarginata in Europa e nel mondo, come vorrebbero Maroni, Fini e Tremonti che propongono i dazi doganali. Oggi - sottolinea - il saldo commerciale con la Cina è in attivo come l’export dell’Italia. Insomma, è la qualità produttiva del Nordest che ci ha fatto vincere la sfida sui mercati, e senza dazi». E Fassino elenca poi i «cinque temi della questione settentrionale: lavoro, infrastrutture, pubblica amministrazione efficiente, fisco e sicurezza». Le infrastrutture, ad esempio, servono anche «perché le imprese sopportano un costo aggiuntivo, ogni mattina, quando le merci escono dai cancelli». Al nord, ripete Fassino, «c’è la società più dinamica e competitiva d’Italia. Ed è abituata a misurare ogni giorno il tasso di efficienza dello Stato e chiede alle istituzioni di essere all’altezza». Quanto al fisco, poi, «il 70% dei contribuenti vive al Nord» e il Pd «vuole ridurre le tasse alle aziende e ai lavoratori dipendenti» e propone «la riduzione fiscale del 50% delle somme investite in ricerca e sviluppo, oltre al credito d’imposta per chi trasforma a tempo indeterminato il contratto di lavoro a termine». La sicurezza, ancora, che è problema impellente da risolvere. E che è «un diritto da garantire con le forze dell’ordine e la certezza della pena». Il pranzo è finito, Fassino saluta e risale in macchina. «Lo sanno che hanno un’altra possibilità concreta, diversa da quella di Berlusconi - spiega - Vedo un clima nuovo, la battaglia è competitiva e si tratta di convincere gli incerti, ma il Pd ha buone possibilità di vincere». Pubblicato il: 07.04.08 Modificato il: 07.04.08 alle ore 8.13 © l'Unità. Titolo: Aviano, in cinque contro gli Usa: via le bombe (atomiche ndr). Inserito da: Admin - Luglio 05, 2008, 05:09:08 pm Aviano, in cinque contro gli Usa: via le bombe
Alessia Grossi La Corte di Cassazione deciderà l'8 luglio se il Tribunale di Pordenone può o meno deliberare in merito alla causa intentata da cinque cittadini di Aviano contro gli Stati Uniti per ottenere la rimozione delle 50 armi atomiche presenti nella loro base Usaf. Insomma, i cittadini di Aviano, minacciati dal rischio di vivere praticamente sulle bombe atomiche ne hanno chiesto la rimozione agli Stati Uniti tramite il tribunale di Pordenone, ma gli avvocati americani e il Procuratore Generale della Repubblica hanno obiettato che il giudice di Pordenone, in quanto magistratura ordinaria sarebbe «incompetente» a decidere in merito. La questione posta dal comitato di Aviano «Via le Bombe» è che le armi nucleari costituirebbero una lesione ai diritti fondamentali dell'uomo. «Il pericolo per i cittadini - spiega Giuseppe Rizzardo, uno dei cittadini attori del processo - non sussiste infatti soltanto in caso di utilizzo della testate nucleari, ma è un rischio perenne e in quanto tale lede i diritti fondamentali dell'uomo». Secondo gli Usa invece, il danno e il rischio eventuale che le testate nucleari potrebbero provocare ai cittadini di Aviano non sarebbero di competenza di un tribunale ordinario italiano dal quale giudizio gli Usa sarebbero immuni. A dirlo, secondo gli avvocati statunitensi, sarebbe l'articolo VIII comma 9 della Convenzione tra gli Stati «parti» del Trattato dell'Atlantico del Nord, quello che regola lo stato e l'invio delle truppe. «Il nostro controricorso - dicono invece gli avvocati dell'associazione «Via le bombe atomiche» - si basa sul fatto che quell'articolo nella versione italiana manca manca del «non». Cioè al posto di scrivere: «lo Stato d'invio (in questo caso i militari di stanza nella base d'Aviano) per quanto concerne la giurisdizione civile dei Tribunali dello Stato ricevente, non può avvalersi dell'immunità dalla giurisdizione civile dei Tribunali dello Stato ricevente a favore dei membri di una forza armata o di un elemento civile» scrive: «può avvalersi ecc..» mancando del non. «Poichè questo Trattato è valido soltanto nella versione francese ed inglese - sostengono i legali di Aviano- la Cassazione dovrebbe riconoscere l'errore di traduzione e attenersi al testo della Francia e dell'Inghilterra e riconoscere così la competenza del giudice di Pordenone a procedere non riconoscendo l'immunità agli Usa». «Se il controricorso passasse l'8 luglio a quel punto si potrebbe entrare nel merito - spiega Giuseppe Rizzardo, per arrivare a dimostrare che le armi di Aviano non rispetterebbero gli standard di sicurezza previsti dal Ministero della Difesa italiano e quindi che vanno rimosse». Gli stessi standard, tra l'altro, non rispettati dalle altre 40 bombe atomiche americane presenti a Ghedi in provincia di Brescia, che tra l'altro è anche l'unica base italiana in Europa ad ospitare le bombe americane dopo lo smantellamento di tutte le altre perché ritenute inutili. «Da qui il pericolo che quelle di Ghedi finiscano proprio ad Aviano, considerata per ora una base più sicura» spiega ancora Rizzardo. «Nel merito della questione - ricorda uno dei legali di «Via le bombe», bisogna tener presente però che avere i risarcimenti chiesti per la presenza delle testate atomiche e lo smantellamento delle bombe perché lesive della sicurezza e dei diritti umani non sarebbe comunque facile. Infatti, nonostante l'Italia abbia ratificato il Trattato di non proliferazione resta il fatto che per la legge americana il mantenimento di testate nucleari sul suolo straniero non costituisce nessuna minacci ma solo un beneficio». Di tutt'altro parere, ovviamente, sono i cittadini di Aviano che vivono sulle bombe. Ma la data del processo in Cassazione farebbe ben sperare. Proprio l'8 luglio del 1996 - infatti- ricorda Luisa Morgantini, vice presidente del Parlamento Europeo che ha ospitato la conferenza stampa alla sede italiana del Parlamento europeo di Roma - la Corte Internazionale dell'Aja ha stabilito che l'uso e la minaccia dell'uso delle armi atomiche è contrario al diritto internazionale». «In realtà per riconoscere l'illegalità delle armi atomiche nel nostro paese basterebbe applicare l'articolo 11 della Costituzione italiana: L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali - spiega Lisa Clark- portavoce della campagna «Un futuro senza atomiche» e promotrice della proposta di legge di iniziativa popolare per l'eliminazione delle bombe atomiche americane in suolo italiano già all'analisi della Camera. In più ci sarebbe sempre il Trattato di non proliferazione ratificato dall'Italia quarant'anni fa - aggiunge la Clark - in base al quale Italia non solo si impegna a non produrre armi nucleari, ma anche a non ospitare sul suo territorio testate nucleari». L'8 luglio 2008 potrebbe essere la data dell'inizio della messa al bando reale delle armi atomiche da «Aviano, dall'Italia, dal mondo». Pubblicato il: 04.07.08 Modificato il: 04.07.08 alle ore 20.08 © l'Unità. Titolo: NUBIFRAGIO A GRADO, MORTI PADRE E FIGLIO Inserito da: Admin - Agosto 09, 2008, 06:30:42 pm 2008-08-09 10:36
NUBIFRAGIO A GRADO, MORTI PADRE E FIGLIO GRADO (GORIZIA) - Due turisti norvegesi sono morti a Grado (Gorizia) a causa del nubifragio che ieri sera ha colpito la località turistica friulana. Trombe d'aria e violenti nubifragi hanno colpito infatti ieri sera ampie zone del litorale del Friuli Venezia Giulia, da Trieste a Lignano Sabbiadoro (Udine). Le vittime nel campeggio sono Stale Nilds Hammer, di 44 anni, e di suo figlio Dastrom di otto anni. La madre - che era con loro nella tenda del camping 'Al bosco' - è rimasta invece illesa. I tre sono stati travolti da un grosso albero caduto a causa delle forti raffiche di vento. Sempre a Grado - la cittadina turistica non è più isolata - una terza persona, un uomo di 61 anni, è rimasto gravemente ferito colpito da un ramo staccatosi da un albero. L'uomo, trasportato nella notte all'ospedale di Grado, è stato poi trasportato a Udine. Non è in pericolo di vita. La Protezione civile del Friuli Venezia Giulia ha allertato 150 volontari che da ieri sera sono all'opera a Grado, Palazzolo dello Stella, Marano e Lignano. Il nubifragio ha colpito ampie zone del litorale, da Trieste alle foci del Tagliamento. I danni, secondo una prima e parziale stima, sarebbero molto ingenti. Colpiti diversi impianti turistici, abitazioni private, strutture pubbliche, ma anche le strutture viarie della zona hanno subito danni consistenti. L'ospedale civile di Latisana (Udine) è al momento la struttura pubblica che ha subito maggiori danni. Dalla prime valutazioni effettuate dai tecnici della Protezione civile regionale, circa 800 mq della copertura dell'ospedale sono stati gravemente danneggiati. Al momento la parte interessata è stata coperta con teli di emergenza, ma si sta lavorando per realizzare una prima struttura solida, in attesa del rifacimento del tetto. Il maltempo ha causato gravi danni anche al castello di Duino (Trieste), abitato dalla famiglia Torre e Tasso. Le violenti raffiche di vento hanno sradicato alcune decine di alberi secolari che sono caduti sui viali e su alcune ali del maniero del quattordicesimo secolo. Il castello è stato chiuso al pubblico. I danni sono ingenti quantificabili in diverse centinaia di migliaia di euro. CIRCA 700 TURISTI SFOLLATI A GRADO Sono circa 700 i turisti sfollati dai camping di Grado (Gorizia) che saranno ospitati nel Palazzetto dello Sport della località balneare colpita tra ieri notte e questa mattina da una tromba d'aria: lo ha affermato il coordinatore comunale della Protezione civile, Gianluca Felluga. "E' stata appena costituita l'Unità di crisi - ha affermato Felluga, interpellato dall'ANSA - per affrontare gli ingenti danni causati dal maltempo". Attualmente - ha detto Felluga - nel Palazzetto dello Sport sono ospitati circa 150 turisti allontanati dai camping, "ma stimiamo di arrivare a 700 ospiti in serata, al termine dei controlli nelle strutture turistiche che li ospitavano". I danni più gravi sono stati causati al camping 'Al bosco' dove un albero è caduto su una tenda causando la morte di due turisti norvegesi, padre e figlio. APPELLO A TURISTI, ORA NON VENITE A GRADO Il sindaco di Grado ha sconsigliato i turisti del Friuli Venezia Giulia di raggiungere l'isola d'oro. "Questo perché - ha spiegato Silvana Olivotto - stiamo predisponendo i primi soccorsi e stiamo mettendo in sicurezza tutte le strutture colpite dalla tromba d'aria. I turisti potrebbero ostacolare queste operazioni". A Grado sono stati colpiti diversi campeggi. nei vari punti critici stanno operando la Protezione civile e un centinaio di Vigili del fuoco provenienti anche da Veneto ed Emilia Romagna. da ansa.it --------------------- un terzo uomo gravemente ferito. danni ingenti anche a lignano, marano e palazzolo Tromba d'aria a Grado, muoiono 2 turisti Stale Nilds Hammer, 44enne norvegese, e il figlio di 8 anni travolti da un albero mentre erano in tenda GRADO - Due turisti norvegesi sono morti a Grado (Gorizia) a causa del nubifragio che venerdì sera ha colpito la località turistica friulana. Lo ha confermato la protezione civile del Friuli Venezia Giulia. Si tratta di Stale Nilds Hammer, di 44 anni, e di suo figlio Dastrom di otto anni. La madre - che era con loro nella tenda del camping «Al bosco» - è rimasta invece illesa. LA TROMBA D'ARIA - I tre sono stati travolti da un grosso albero caduto a causa delle forti raffiche di vento. Sempre a Grado - la cittadina turistica non è più isolata - una terza persona, un uomo di 61 anni, è rimasto gravemente ferito colpito da un ramo staccatosi da un albero. L'uomo, trasportato nella notte all'ospedale di Grado, è stato poi trasportato a Udine. Non è in pericolo di vita. La Protezione civile del Friuli Venezia Giulia ha allertato 150 volontari che da ieri sera sono all'opera a Grado, Palazzolo dello Stella, Marano e Lignano. Il nubifragio e la tromba d'aria, infatti, hanno colpito ampie zone del litorale, da Trieste alle foci del Tagliamento. I danni, secondo una prima e parziale stima, sarebbero molto ingenti. Colpiti diversi impianti turistici, abitazioni private, strutture pubbliche, ma anche le strutture viarie della zona hanno subito danni consistenti. 700 TURISTI SFOLLATI - Sono circa 700 i turisti sfollati dai camping di Grado che saranno ospitati nel Palazzetto dello Sport della località balneare colpita tra venerdì notte e sabato mattina da una tromba d'aria: lo ha dichiarato il coordinatore comunale della Protezione civile, Gianluca Felluga. Il sindaco di Grado intanto ha invitato i turisti del Friuli Venezia Giulia a non raggiungere l'isola d'oro. 09 agosto 2008 da corriere.it ------------------------- 9/8/2008 (6:56) Tromba d'aria in Friuli, due morti Dopo l'incidente in zona è scattato l'ordine di evacuazione Un albero ha travolto la tenda di una famiglia norvegese in campeggio. Ci sarebbe anche un ferito in gravi condizioni ROMA Un uomo di nazionalità norvegese e il figlio di otto anni sono morti per le conseguenze di un violento nubifragio accompagnato da una tromba d’aria che ha colpito in nottata il litorale del Friuli Venezia Giulia, e in particolare la zona di Grado (Gorizia). I due - hanno riferito le autorità cittadine - dormivano in una tenda in un campeggio della località turistica, quando un albero si è abbattuto su di loro spinto dal vento. La moglie dell’uomo e madre del bambino che giaceva loro accanto, è rimasta illesa. In zona è stato segnalato un altro ferito grave e per tutto il campeggio è scattato l’ordine di evacuazione, mentre il Comune si è subito allertato per offrire alloggi di fortuna a chiunque ne abbia necessità. Il violento temporale, durato non più di 15 minuti, ha causato danni ingenti in molte zone del litorale nord orientale. Diverse strade, tra Lignano Sabbiadoro (Udine) e Monfalcone (Gorizia) sono rimaste bloccate a causa di alberi e massi caduti sulla carreggiata. La protezione civile, intervenuta con 150 volontari e dieci tecnici, la polizia stradale e il 118 hanno ricevuto numerose chiamate di soccorso, alle quali stanno cercando di fare fronte nonostante gli ostacoli alla viabilità. da lastampa.it -------------------------------- Titolo: Squillo per un politico, tre indagati a Trieste Inserito da: Admin - Settembre 02, 2008, 10:02:43 pm Squillo per un politico, tre indagati a Trieste
TRIESTE (2 settembre) - Tre professionisti friulani sono indagati dalla Procura della Repubblica di Trieste per l'ipotesi di reato di favoreggiamento della prostituzione per aver favorito incontri di un esponente nazionale di Forza Italia con alcune prostitute. Le persone iscritte nel registro degli indagati sono l'imprenditore Riccardo Di Tommaso, proprietario della linea di esercizi commerciali Bernardi, l'avvocato Massiliano Basevi e l'albergatore Franco Marini. L'inchiesta, condotta dal pm Raffaele Tito, fa riferimento a cinque episodi compresi nel periodo fra il novembre 2007 e la fine dello scorso marzo che sarebbero avvenuti a Udine nell'albergo di Marini. Gli incontri con le prostitute (in particolare sudamericane e dell'Est) sono stati scoperti nel corso di intercettazioni telefoniche relative a un'indagine di natura fiscale, alle quali - riportano oggi i quotidiani Il Piccolo e Messaggero Veneto - sono poi seguiti accertamenti del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Trieste, pedinamenti, interrogatori e verifiche telematiche. Nessun particolare è trapelato finora sull'identità del politico che non risulta indagato. da www.ilmessaggero.it Titolo: "Dal Molin, niente ampliamento" Gli Usa: stop al piano-caserma Inserito da: Admin - Settembre 04, 2008, 06:57:48 pm CRONACA
Una legge regionale ferma la costruzione di 215 villette Blitz di protesta anche al festival del cinema di Venezia "Dal Molin, niente ampliamento" Gli Usa: stop al piano-caserma dal nostro inviato MASSIMO PISA VICENZA - Più che i comitati e i cortei, più che i ricorsi al Tar e i preannunciati blitz alla Mostra del cinema di Venezia, poterono un ufficio tecnico comunale e una leggina regionale. Che obbligano l'esercito americano a cancellare il contestatissimo ampliamento della caserma Ederle, le famigerate 215 villette da tre, quattro e cinque stanze da costruire a ridosso dell'aeroporto Dal Molin. E a ripensarne uno meno ampio e più frazionato, piccoli insediamenti intorno a Vicenza sul modello della base Nato di Aviano. Il progetto originale, infatti, avrebbe obbligato il comune di Quinto Vicentino, 5.383 abitanti a nord-est del capoluogo, a bloccare ogni nuova costruzione per i prossimi dieci anni, in base al regolamento urbanistico della regione Veneto governata da Giancarlo Galan, proconsole di Berlusconi e ultrà della prima ora della base americana. Da qui il passo indietro volontario dell'esercito a stelle e strisce. "Quinto è morto", sentenzia l'ingegner Kambiz Razzaghi, il responsabile dell'ampliamento della Ederle che ha annunciato il passo indietro sull'edizione online del quotidiano Stars and Stripes, il giornale dell'Us Army per i soldati stanziati in Europa e nel Pacifico. Dove, curiosamente, in home page campeggia l'annuncio dell'esercito per il reclutamento di nuove truppe in Germania e a Vicenza. "Le leggi del posto salvaguardano le aree agricole dagli insediamenti urbani - spiega Razzaghi - e se il consiglio comunale di Quinto avesse dato il via libera, avrebbero superato la loro quota di costruzioni per i prossimi dieci anni. Nessun cittadino si sarebbe potuto costruire la casa. Loro non volevano, i nostri contractor italiani nemmeno e così è saltato tutto". Colpa di un progetto, quello per l'ingrandimento del quartier generale della 173ª Brigata aerea americana, concepito con regolamenti diversi. Scartata la ricerca di una zona alternativa, visto che i regolamenti riguardano l'intero Veneto e che i lavori della Ederle 2 non erano ancora partiti, si è quindi deciso di adottare il modello Aviano, dove oltre una ventina di piccoli insediamenti sono sparpagliati nei comuni limitrofi. La retromarcia promette di ridar fiato al Comitato "No Dal Molin", fiaccato dalla sentenza del Consiglio di Stato di fine luglio, aveva dato il via libera ai lavori smentendo una sentenza del Tar del Veneto e svuotando di significato il referendum consultivo annunciato dal sindaco di Vicenza Achille Variati (Pd) per il 5 ottobre. E rischia di cambiare anche il calendario delle proteste: per sabato i comitati avevano annunciato il via di un "campeggio nazionale" intorno alla Ederle, sorta di presidio per impedire l'avvio dei lavori. E oggi una delegazione dei No-Dal Molin è attesa al Lido di Venezia per consegnare al commissario governativo alla base Paolo Costa il Premio Attila d'oro "come miglior devastatore di territori". L'ennesima polemica, l'ultima di quattro anni di battaglie, pareri governativi e carte bollate. Costa ha già fatto sapere che "grazie al riutilizzo di edifici già esistenti, la base americana si amplierà conservando il più grande spazio verde vicentino che precedenti soluzioni volevano sacrificare". Il ritiro americano cancella tutto. (4 settembre 2008) da repubblica.it Titolo: Polenta e pellagra: una strage Inserito da: Admin - Settembre 05, 2008, 10:43:54 am Polenta e pellagra: una strage
Nella foto dell'archivio del "Gazzettino" di Venezia, due contadini veneti a cavallo tra Ottocento e Novecento. Erano anni durissimi, per quelle terre oggi così ricche, che fornivano allora un terzo di tutta l'emigrazione italiana. Edoardo Pittalis, nel libro "Dalle Tre Venezie al Nordest", spiega che secondo i rapporti sanitari lungo il Terraglio, la strada per Treviso ingentilita parte per parte da splendide ville, "su 769 capifamiglia, 727 sono catalogati come "villici". Il 65 % della popolazione adulta non sa leggere e scrivere, su 6.362 abitanti ci sono 541 pellagrosi. L'ospedale di Mogliano accoglie malati da tutto il Veneto, alla fine dell'Ottocento si registrano nella regione oltre 10 mila morti per pellagra". Era la malattia delle tre "d": dermatiti, diarrea, demenza. La malattia della fame, dovuta all'eccessivo consumo di polenta: "Polenta da formenton/ aqua de fosso/ lavora ti paron/ che mi no posso". dal sito di Gian Antonio Stella Titolo: Toni Jop. I due volti del Nord-Est tra lavoro e razzismo Inserito da: Admin - Settembre 22, 2008, 06:47:13 pm I due volti del Nord-Est tra lavoro e razzismo
Toni Jop Case, ville, capannoni, fabbriche, giardini, cancelli, case ville capannoni aziende. «Punto-linea-punto-linea», un «Morse» languido per chilometri e chilometri e i campanili a far niente, di tanto in tanto, immersi in questa disneyland pastello che scivola senza tempo tra Treviso, Asolo, Oderzo e oltre. Nord Est, fenomeno abusato, tra vizi e virtù; studi, analisi, servizi, reportage, è arrivato anche il cinema con Mazzacurati, Garrone, Molaioli, Munzi: una folla di sguardi per un «territorio» che ora passeggia vanesio nell’immaginario di mezza Europa: lì c’è la ricchezza, lì c’è il modello produttivo che funziona e riassume l’Italia che forse ancora non c’è, lì un terzo mondo, operaio e non solo, soffia positivo, alle spalle del marchio italiano, con la sua forza, con una capacità di soffrire e adattarsi che non ci appartiene più. Infine, da lì esce quel nuovo-vecchio vocabolario odioso, razzista, che ha allarmato, nell’ordine: ogni sincero democratico, la Conferenza episcopale italiana, Bruxelles e tutte le organizzazioni di brave persone che si ispirano ai diritti fondamentali dell’uomo. Lì, c’è l’«eresia» delle panchine vietate agli estranei, di un ordine che rifiuta il meticciato culturale, che demonizza la diversità in una caccia disperata ad un paio di concetti che si vogliono rendere taglienti come un rasoio: identità e territorio. Lì c’è la Lega che conquista e strappa consensi ai berlusconiani proprio mentre predica e inietta nel tessuto sociale questa facile droga culturale che uccide l’elasticità delle risposte. Terribile. Ma se fosse questo, solo questo il «gas» che governa quella vasta realtà, avremmo un morto al giorno, ci sarebbe la «guerra» e la guerra dice che le contraddizioni sono insanabili, men che meno dalla politica, da questa politica. Invece, proprio lì vivono e lavorano (alcuni da due generazioni) oltre ottantamila immigrati, il 14-15% della popolazione totale, un rapporto molto duro se non è ingentilito da una spugna di ammortizzatori. Quindi? Allora, forse, non c’è sintonia, non c’è coerenza tra quel vocabolario e quel che accade tutti i giorni tra casa, piazza e lavoro. Bossi urla fucili, ampolle padane, terroni a casa loro, Calderoli gli va appresso. Gentilini, dalla sua poltrona di vicesindaco trevigiano - lui, che non è attaccato al potere, sindaco per due legislature, non molla il governo della città anche se il prezzo da pagare è la rinuncia alla fascia da sindaco - rincara e impressiona i vescovi. Questi ultimi glielo fanno sapere che così, con quella ferocia non va e lui replica, in sostanza, mandandoli a quel paese, si facessero gli affari loro. «Ma io no che non sono d’accordo con Gentilini - si libera Leonardo Muraro, presidente leghista della provincia di Treviso - la Chiesa può dire ciò che vuole e a volte può infastidire, ma fa il suo mestiere, non mi sentirete mai attaccare la Chiesa a quel modo». Alé: siamo in clima di sconfessione, nella stanza linda di questo amministratore, oppure è un abbaglio? «Figurarsi - prosegue - se appartiene alla nostra gente, cattolicissima, questa cultura reattiva nei confronti della Chiesa...no, no, qui siamo nel cuore del Veneto, nel cuore della vecchia “balena bianca” conviene non dimenticarselo...». Glielo sta dicendo a Gentilini? «E a chi sennò? Ovvio che ciascuno di noi è libero di comportarsi come crede, io anche». E non è che un amministratore leghista come lei, formato in area socialista, possa stancarsi un giorno di trascorrere gran parte del suo tempo a dimostrare che Gentilini e le sue parole non testimoniano la realtà di questo territorio? «Io faccio il mio lavoro, cosa vuole...e il mio lavoro consiste molto nel consentire che l’incrocio tra gli immigrati e la gente di qui non sia conflittuale, che se ne ricavi armonia umana e produttiva. Non è facile, sa? Alloggi, formazione...abbiamo persino inventato dei corsi supplementari di guida, gratuiti, dopo che ci siamo accorti che un gran numero di incidenti era provocato da immigrati che non avevano la cultura di una guida costretta in spazi ridotti e molto normata, ci proviamo. Io penso a come hanno trattato nel mondo gli italiani in cerca di un lavoro, di una nuova vita e mi muovo di conseguenza: per produrre rispetto e conoscenza, a loro chiediamo di rispettare le leggi, come a chiunque altro, e le nostre radici». Ma lo sa che il contatto produrrà nuove radici e nuove soggettività? E cosa fa il presidente della Provincia quando Gentilini si presenta alle elezioni dopo aver reso invisibile questo lavoro di armonizzazione sociale, lo vota? Ricordiamo l’obiettivo: conviene sapere come stanno davvero le cose nel cuore del Nord Est, nel cuore di quel vocabolario politico. E forse la scena imbrattata da Bossi, Calderoli, Borghezio e Gentilini non è fedele, non fa così testo. Ma se esiste un luogo in cui matura prima e meglio che altrove la cultura dell’incrocio tra le diversità è proprio il mercato del lavoro. Qui nel trevigiano la stragrande maggioranza degli immigrati è regolarizzata, ci tengono le aziende. Migliaia di aziende, piccole piccolissime, più o meno ricche, anche con cinque-sei addetti oltre alla famiglia del titolare. Conti in banca e lavoro duro sulla base di un’idea, un’idea sola: produrre microviti di precisione (a chi verrebbe in mente?) o anche segnaletica stradale poi venduta in mezza Europa. Fino all’altro ieri erano contadini, adesso hanno il giardiniere che cura l’erba attorno ai nanetti. Fino a ieri, racconta un funzionario del collocamento, arrivava un immigrato e chiedeva al principale: vorrei lavorare, l’altro lo guardava negli occhi e, fregandosene del colore della pelle e dei luoghi d’origine, gli domandava cosa sapesse fare, se aveva davvero voglia di lavorare. Se andava, andava. Adesso ci sono gli uffici interinali, sono loro che garantiscono le «buone assunzioni» alle aziende. Così l’imprenditore non sceglie più, si deve fidare di quel filtro. Quelli, che ci guadagnano e non vogliono sbagliare bersaglio sennò le aziende non se li filano più, irrigidiscono le maglie della selezione a loro garanzia. Pare che un certo numero di albanesi abbia dimostrato un cattivo rapporto col lavoro? Va bene, niente più albanesi, così niente marocchini, senegalesi sì, romeni sì, molto stimati tra l’altro; ci sono imprenditori gelosi delle loro maestranze romene. Giudizi che variano, a periodi, come la frutta di stagione; niente, in origine, di razzista, ma la localizzazione «nazionale» certificata dai collocamenti pone le basi di un edificio in costruzione: ci pensa la politica, il front-end della Lega in questo caso, a tirar su il muro del razzismo, della diffidenza, dell’ostilità, a sdoganare progressivamente i retropensieri da bar dello sport verso chiunque non parli veneto. E si coagulano situazioni, dall’uso selettivo delle panchine e dei bus, che autorizzano l’allarme apartheid. Annalisa Andreetta ha una catena di supermarket che si espande in tre province. Centoventi dipendenti, alto turn-over, in crescita. Ha due lauree, una delle quali in economia, lavora col padre. Sposata, un figlio, un quadro completo, ascoltatela. «Oggi abbiamo dieci-dodici dipendenti extracomunitari, e non abbiamo mai fatto caso al luogo di provenienza. Può capitare che siano di più. Mai accorta che il loro rapporto col lavoro sia un problema diverso da quello della gente di qui. Non si ammalano più di loro, non hanno esigenze particolari. Non mi sono mai sognata di dire: quelli che vengono da lì, niente. Magari qualcun altro lo ha fatto, ma in tantissimi, che io sappia, no. Mio figlio frequenta scuole in cui una buona percentuale di compagni di classe esce da famiglie di immigrati. Colore della pelle variabile. Il piccolo torna a casa e racconta: mamma, c’era anche quello lì...quello col maglione rosso...La aiuto a capire cosa sto dicendo: quello col maglione rosso ha la pelle nera ma è stato connotato per il colore del maglione, non della pelle. Che significa? Che la scuola, questa scuola, non marchia, anzi, lavora bene e io ne sono felice. Qui molte cose funzionano e le sembrerà strano ma sono convinta che la cultura popolare profonda di questa terra, accogliente, solidaristica e pragmatica, sia in grado di condizionare l’operato di qualunque amministrazione pubblica, anche leghista; pare una bestemmia ma non lo è. Qui, la seconda generazione di immigrati si sta affacciando sul mondo imprenditoriale col piglio buono, sono tenaci, intelligenti, hanno una gran voglia di emancipazione e soprattutto hanno imparato a stringere i denti, meglio dei nostri figli». Perplessi? Buon segno, questa non è una ninna nanna intonata davanti a un plotone d’esecuzione. Facciamo un salto, da Oderzo a Bassano, margine estremo di questo fazzoletto produttivo, bella e dolce come uno zucchero, aria da alpini e, rima per rima, da grappa Nardini. La conoscono in mezzo mondo. Il vecchio Nardini, un liberal di antico stampo, si affida sempre più a Cristina, sua figlia. È lei che ha voluto e realizzato, su progetto di Fuksas, le Bolle, due femminili espansioni di un luogo di lavoro al cui interno scorrono, in autonomia, arte e cultura. Adesso, il turismo ha scoperto questi mammelloni e ci si viene in gita, per vedere da vicino. «Mi pareva giusto che chi guadagna lasciasse un segno di apertura, di generosità, così...no, non mi sembra che i miei colleghi imprenditori condividano generalmente questa strategia...peccato. Chiusi, molto autosufficienti, conformisti, sì, ma si può estendere questo colore un po’ a tutta la società di questa terra. In fondo non cattiva, non tagliente, nemmeno avara, Veneto profondo, oratoriale, insomma. Quello delle servette e dei contadini ebefrenici di un buon cinema andato. È lo stesso Veneto: solo che contadino e servetta hanno fatto i soldi, cambiando passo alla storia, molto da soli, senza piagnucolare davanti ai botteghini della politica. Poco e niente a che vedere con la ferocia dei piani alti della Lega, non è roba nostra, è una forzatura che purtroppo anima, crea comportamenti, autorizza estremismi. È come se si fosse data dignità di governo a un pensiero corto, cortissimo, quello che domina le reazioni automatiche e che ha sempre bisogno di un antagonista, se non c’è te lo inventi. Il nero, l’africano, il foresto, a seconda delle esigenze. Del resto, tutto è avvenuto in uno straccio di tempo, il cambiamento è stato radicale: quarant’anni fa questa terra era grigia, povera, stringeva il cuore. Ovvio che la crescita abbia portato con sé una crisi di identità, si cerca di ritagliarla attribuendo identità negative agli altri, a chi viene da fuori. A Bassano, la presenza degli immigrati è meno critica che più in giù, ma sono immigrate la signora che mi aiuta in casa, l’accompagnatrice di mia madre e così via. Brava gente, in genere, che merita rispetto e una vita migliore. In fabbrica abbiamo sessanta dipendenti, nessun immigrato, ma solo perché qui il lavoro alla Nardini si tramanda di famiglia in famiglia, entrassero anche gli immigrati, non avrei proprio niente da obiettare. Però...», però? «...Mi sa che anche la sinistra dovrebbe farsi un esame di coscienza a proposito di questa deriva pararazzista...», si accomodi..«Ecco, il modo in cui è stato affrontato il problema dei romeni, ricorda? Non è stata anche la sinistra a nazionalizzare la questione della sicurezza legandola all’immigrazione che veniva da lì? Credo si sia commesso un enorme errore, come si fa poi a bollare le sparate vergognose di Bossi e compagnia senza provare un rimorso nel cuore? E al fondo del barile, ne sono convinta, non siamo ancora arrivati. Auguri a tutti noi». Vero, il tempo non promette bene. Pubblicato il: 22.09.08 Modificato il: 22.09.08 alle ore 7.39 © l'Unità. Titolo: Ai Benetton il Fontego dei Tedeschi Inserito da: Admin - Settembre 28, 2008, 04:47:27 pm Ai Benetton il Fontego dei Tedeschi
Offerta da 53 milioni e il palazzo è loro La Edizione Property (braccio immobiliare della holding trevigiana) ha vinto l'asta per l'acquisto del prestigioso palazzo cinquecentesco ora sede delle poste. Nascerà un grande megastore di Enrico Tantucci Il palazzo Fontego dei TedeschiLo sbarco di Benetton al Fontego dei Tedeschi. E' stata Edizione Property - braccio immobiliare della holding trevigiana - ad aggiudicarsi l'asta per l'acquisto del prestigioso palazzo cinquecentesco, sede delle Poste, con un'offerta di circa 53 milioni di euro, rispetto ai 51 della base d'asta. Questa volta, come invece era accaduto qualche anno fa, l'asta non è andata deserta, anche perché - nonostante i vincoli urbanistici del Comune che gravano sui circa diecimila metri quadri dell'edificio e che prevedono attualmente solo la destinazione ad uffici pubblici - Ca' Farsetti è disposta ad allentarli, se il progetto presentato da Benetton risulterà interessante per l'Amministrazione, come spiega anche l'assessore al Patrimonio Mara Rumiz, senza però fare riferimento all'esito della gara. «Certamente non consentiremo che il Fontego dei Tedeschi diventi un nuovo albergo - spiega, a questo proposito, l'assessore Rumiz -. L'attuale destinazione è a uffici pubblici, ma il Comune è disponibile a estenderla parzialmente ad attività commerciali o di rappresentanza, se queste siano inserite in un progetto di valorizzazione di questo edificio di grande prestigio e importanza». Da quello che filtra, l'intenzione del gruppo Benetton sarebbe di insediare al Fontego - già storicamente sede di commerci e un tempo affrescato sulla facciata che dà sul Canal Grande da artisti come Giorgione e Tiziano - un 'megastore' di forte impatto simbolico, che rappresenti quasi una sorta di immagine globale per il gruppo di Ponzano. Il 'megastore' di taglio classico per Benetton si sviluppa su una superficie di circa 3 mila metri quadri, ma nel caso del Fontego occorrerà valutare come inserirlo nel complesso e, ovviamente, trattare con il Comune. Al Fontego potrebbero essere progressivamente riuniti i numerosi negozi che il gruppo conta già oggi con il marchio Benetton e Sisley tra Rialto e San Marco. Ma pare certo che due terzi del complesso saranno affittati ad attività commerciali o di rappresentanza di altri soggetti, come già avvenne qualche anno fa, per l'operazione del complesso del Ridotto in calle Vallaresso, a due passi da Piazza San Marco. Come però prevedeva anche il bando precedente, le Poste rimarranno comunque all'interno del palazzo, anche se con spazi più ridotti. Resteranno infatti aperti gli sportelli e i servizi per il pubblico in un'area di circa 250 metri quadrati del piano terra. Erano in parecchi negli ultimi mesi i potenziali acquirenti che si erano fatti avanti quando era apparso chiaro che le Poste avrebbero bandito una nuova gara per l'alienazione del complesso. Tra i primi, i fratelli Ugo e Arrigo Poletti - proprietari del Venezia Calcio - che da tempo si erano dichiarati interessati all'acquisto dell'immobile. Ma a farsi avanti, poi, sono stati soprattutto gruppi imprenditoriali impegnati nel settore dell'abbigliamento di massa. Tra di essi, a quanto risulta, il gruppo spagnolo Zara, il colosso spagnolo low cost che ha da poco tagliato il traguardo dei 4 mila negozi sparsi per il mondo. Ma anche - sempre secondo quanto emerso nelle scorse settimane - gli svedesi del gruppo H&M, oltre, appunto, a Benetton e Stefanel. Ma alla fine a spuntarla è stata proprio l'azienda di Ponzano Veneto, con la sua società immobiliare che ora si occuperà del Fontego dei Tedeschi, da tempo sottoutilizzato dalle Poste e che aveva visto naufragare molte delle ipotesi di riutilizzo. Tra le più intriganti, certamente quella di trasformare l'edificio nella nuova 'casa' della Biennale, inseguita dall'allora presidente della Fondazione Davide Croff, ma arenatasi di fronte all'indisponibilità delle Poste a "barattare" il palazzo con un posto nel Consiglio di amministrazione dell'istituzione e in un ritorno di immagine per il proprio marchio. Ma non aveva avuto miglior fortuna l'ipotesi caldeggiata dal Comune di insediare qui un Fontego della Cina - con una cordata di imprenditori orientali a supportarla - nel nome dell'antica alleanza tra le due civiltà, che non si era però mai concretizzata, tanto che l'asta di un paio d'anni fa bandita dalle Poste era appunto andata deserta, senza concorrenti. Ora invece tocca a Benetton e si aprirà a breve la trattativa con il Comune sul riuso del Fontego dei Tedeschi e sull'eventuale cambio delle destinazioni d'uso. (27 settembre 2008) da nuovavenezia.repubblica.it Titolo: Vicenza, il Dal Molin passa ai militari Usa. Al via la «Ederle 2» Inserito da: Admin - Settembre 30, 2008, 05:45:55 pm L’aeroporto Oggi la cessione dell’area. Domenica la città al voto
Vicenza, il Dal Molin passa ai militari Usa. Al via la «Ederle 2» L’8 ottobre nuovo pronunciamento del Tar MILANO — Tutto secondo i piani. Oggi, con una conferenza stampa in Prefettura a Vicenza, il commissario di Governo Paolo Costa annuncerà «la cessione dell’area dell’aeroporto Tommaso Dal Molin che verrà messa nelle disponibilità degli Stati Uniti». Via dunque con il progetto presentato dallo stesso Costa nonostante la spada di Damocle di un referendum cittadino e il nuovo pronunciamento del Tar. Ma indietro non si torna, i contestati lavori per l’ampliamento della base americana Ederle 2 inizieranno senza indugi per terminare nel 2012. Verranno costruiti alloggi (dai monolocali per i militari single agli appartamenti per famiglie fino alle ville indipendenti per gli ufficiali) in cui andranno a vivere i 2.000 soldati Usa oltre a aree di svago, centro fitness, campo sportivo, centro multiculturale e multireligioso, uffici e officine. Valore dell’appalto, vinto dalla cooperativa rossa Cmc di Ravenna, 300 milioni di euro. Il piano include anche la nuova pista che verrà spostata per renderla più funzionale alle attività civili del locale aeroclub e sulla quale «non atterreranno e non decolleranno apparecchi militari americani». Ma nemmeno aerei commerciali perché «un aeroporto civile a Vicenza non ha senso». La scelta di annunciare oggi il passaggio di consegne, come ammette il Commissario Costa, cade in un momento «particolare » per Vicenza e rischia di accendere gli animi, già caldi (manifestazioni e scontri con la polizia hanno caratterizzato tutto l’iter del progetto) di chi si oppone alla base. Domenica 5 ottobre si terrà infatti il referendum deciso dal sindaco della città, Achille Variati del Pd, per chiedere ai vicentini se vogliono che il Comune acquisti l’area, di proprietà del demanio dello Stato, su cui sorgono aeroporto e base. Referendum già stigmatizzato da Silvio Berlusconi che in una lettera inviata a Variati nelle settimane scorse aveva bollato la decisione come «gravemente inopportuna ». Un quesito ormai inutile, secondo Costa, nonostante Comune e comitato No Dal Molin proprio in queste ore stiano dibattendo sul quorum (35 mila votanti) referendario. Perché a Vicenza, a questa consultazione, nonostante le dichiarazioni del Commissario, si dà molta importanza. Chi per motivi politici, chi per problematiche legate all’ambiente, arrivando a legare l’opposizione alla Ederle 2 con le discariche campane e la Tav: «C’è un filo rosso che collega Chiaiano a Vicenza alla val di Susa—dice Cinzia Bottene portavoce dei No Dal Molin —. Si tratta sempre della difesa dei beni comuni, del territorio che viene da popolazioni che non sono d’accordo con la destinazione decisa dal Governo ». Inoltre, l’8 ottobre, sui lavori di ampliamento della Ederle 2 tornerà a pronunciarsi anche il Tar del Veneto che, accogliendo un ricorso del Codacons, in giugno aveva congelato il progetto per «irregolarità procedurali ed errate valutazioni ambientali », ordinanza poi ribaltata dal Consiglio di Stato. Ma nulla potrà fermare i lavori perché in gioco c’è «l’affidabilità dell’Italia». Gli Sati Uniti difficilmente avrebbero compreso un dietrofront dopo che gli accordi sulla base Ederle sono stati confermati da tre esecutivi (Berlusconi 1 e 2, Prodi 2) e dal presidente della Repubblica Napolitano. La cessione dell’area dell’aeroporto Dal Molin (che rientra nel piano di riposizionamento delle truppe Usa in Europa), secondo gli accordi con Washington è un aiuto di retrovia, una moneta di scambio: vi diamo la base, in cambio non ci chiedete di inviare altri soldati in zone di guerra (Iraq e Afghanistan). E i vicentini? Chi tra loro è contrario all’ampliamento della base si consoli con la circonvallazione. Il Governo, a titolo di «risarcimento », ha promesso il suo impegno per completarla. Roberto Rizzo 30 settembre 2008 da corriere.it Titolo: Bulgaria-Italia, tifosi azzurri provocano incidenti dopo aver inneggiato al Duce Inserito da: Admin - Ottobre 12, 2008, 09:57:34 am Bulgaria-Italia, tifosi azzurri provocano incidenti dopo aver inneggiato al Duce per le strade di Sofia
Sono ultras di destra, soprattutto del Nord-Est, e supporter del Napoli La Federcalcio: abbiamo venduto 144 biglietti, il Viminale ha i nomi SOFIA (11 ottobre) - Teppismo da stadio anche con la Nazionale: tafferugli al Levski di Sofia, prima di Bulgaria-Italia. A provocare attimi di tensione, prima che intervenisse la polizia bulgara, sono stati un centinaio di tifosi italiani che, una volta entrati nel settore a loro riservato, si sono diretti verso il pubblico locale cinghie alla mano, lanciando oggetti. I due gruppi erano divisi da una cancellata, ma sulle gradinate ha fatto ingresso un reparto di polizia in assetto antisommossa che ha riportato i tifosi italiani in un angolo per tenerli sotto controllo. Si tratta dello stesso gruppo di supporter che per arrivare allo stadio, dopo una rissa in un bar, ha sfilato per le vie di Sofia inneggiando al duce e cantando Faccetta Nera e altri motivi di epoca fascista. Nei pressi della curva sono subito accorsi Domenico Mazzilli, responsabile dell'Osservatorio del Viminale e della sicurezza della Figc e il suo collaboratore Roberto Massucci. Il loro intervento, in collaborazione con la polizia bulgara, ha fatto sì che i tifosi italiani accettassero di togliere alcuni striscioni che avevano esposto. Fischi all'inno di Mameli e saluto fascista. Salve di fischi a coprire l'inno di Mameli prima della partita. Questa l'accoglienza dei tifosi bulgari all'Italia campione del mondo, dopo i tafferugli del pre-gara. Mentre risuonavano le notte dell'inno di Mameli, i sostenitori italiani nello spicchio di curva loro riservato, salutavano con il braccio teso in posa fascista. Abete: abbiamo i nomi. Fra primo e secondo tempo il presidente federale Giancarlo Abete ha dichiarato: «La vendita dei biglietti della Nazionale è nominativa, e quindi si può risalire ad ogni singola persona». La Federcalcio ha precisato di aver venduto 144 biglietti a tifosi italiani per quel settore, dopo aver girato al ministero dell'Interno nomi e dati anagrafici dei titolari della richiesta e dopo averne ricevuto indietro il nulla osta. Da quel momento, gli Ultras Italia sono passati sotto il controllo della polizia locale. Un gruppo noto. Gli oltre cento tifosi organizzati al seguito della nazionale fanno parte dello stesso che segue gli azzurri da due anni: sono ultras della destra, ben noti al Viminale, provenienti da diverse città, specie del Nord-Est. In questa occasione si sono aggiunti anche tifosi provenienti da Napoli. Fra gli elementi di tensione della giornata c'è stato infatti anche il gemellaggio di questo gruppo con la tifoseria del Levski Sofia, tradizionalmente a destra, e il confronto con i rivali del Cska, tifoseria di sinistra. La scintilla. Secondo alcuni testimoni è proprio questo il motivo che ha fatto scattare la rissa all'interno di un bar del centro di Sofia: italiani e sostenitori del Levski contro ultras del Cska. Dopo l'intervento della polizia, senza fermi e senza che si registrassero feriti, gli ultras italiani sono andati allo stadio a piedi, scortati da una moto della polizia e alcuni agenti. Lungo il percorso è stato un miscuglio di cori calcistici, di ricordi per Gabriele Sandri e soprattuto di Faccetta Nera, "Duce Duce" e altri cori fascisti. Dopo l'arrivo allo stadio il tentativo d'assalto agli spettatori bulgari. Quando la calma è stata ristabilita dalla polizia, gli Ultras Italia hanno tolto i loro tricolori con i nomi di diverse città di provenienza, alcuni in caratteri celtici. da ilmessaggero.it Titolo: SANDRO TRENTO Siete anarchici, cercatevi un leader (non leghista...ndr). Inserito da: Admin - Novembre 18, 2008, 09:14:22 am L’analisi La debolezza è rappresentata da migliaia di piccoli e piccolissimi protagonisti che non riescono a esprimere obiettivi comuni
Siete anarchici, cercatevi un leader di SANDRO TRENTO La crisi in atto sembra colpire anche il Nordest. Non potrebbe essere altrimenti, in effetti. Ma la questione importante non è tanto quella dell’impatto della crisi in corso. Il punto è capire se il modello Nordest è destinato a chiudersi in difesa di alcune posizioni raggiunte o se in effetti ha le risorse per un balzo verso un nuovo equilibrio. Il Nordest è stato finora raccontato come un modello di diffusa industrializzazione spontanea, alternativo a quello della grande impresa, fondato infatti sulla piccola dimensione aziendale e la grande apertura agli scambi con l’estero. Il 90 per cento delle imprese nel Nordest ha meno di 10 addetti. D’altro lato, è in aumento la quota di imprese piccole (meno di 50 dipendenti) che ha una presenza sui mercati esteri. Il Nordest è la macroregione italiana a maggiore apertura, il rapporto tra interscambio con l’estero (import più export) e Pil è per il Veneto pari al 57 per cento, secondo solo alla Lombardia; per il Friuli è del 48 per cento. L’apertura internazionale è in aumento e si va qualificando. Crescono le importazioni, soprattutto quelle dai paesi dell’Europa centro-orientale e dall’Asia orientale, segno anche di un processo di delocalizzazione verso quelle aree che serve alle imprese venete o friulane per accrescere la loro competitività. Aumentano in effetti le aziende capaci di una internazionalizzazione attiva, fatta di nuovi stabilimenti e di alleanze. I timori di qualche anno fa che interi distretti veneti o friulani potessero trasferirsi in toto in Romania o in Polonia si stanno dimostrando privi di fondamento. Gli imprenditori del Nordest hanno riorganizzato le filiere produttive accrescendo nei fatti la loro dipendenza dai semi-lavorati, dai prodotti provenienti dall’Europa orientale e dall’Asia, hanno costruito reti internazionali. Pensare oggi a soluzioni protezionistiche vorrebbe dire mettere in ginocchio un’area che vive grazie alla sua capacità di approfittare del commercio mondiale. Il tornado cinese non ha insomma cancellato un sistema produttivo che ha dimostrato di essere solido e che certo ha subito in questo ultimo decennio una fase di selezione davvero severa. Nonostante i processi di riorganizzazione, il Nordest è rimasto in questi anni un’area di piena occupazione con un tasso di disoccupazione che ha oscillato tra il 4 e il 3 per cento. La imprese hanno recuperato flessibilità anche grazie al forte ricorso alla manodopera immigrata. Ma il punto è che forse il Nordest non è ancora un vero modello. Manca un’integrazione tra benessere economico e capacità di governo, intesa soprattutto come capacità di individuare delle priorità e di metterle in pratica in maniera consapevole. La macro-regione è caratterizzata da una rete di città di media dimensione (Trento, Verona, Vicenza, Treviso, Padova, Mestre, Udine, Trieste) che soffrono dell’assenza di una vera città leader, di una vera capitale capace di esercitare una forza catalizzatrice, di fornire servizi avanzati in quantità e di qualità elevata, in grado di attirare la localizzazione di grandi imprese estere. Manca una gerarchia urbana. La vasta presenza di manifattura, che senza dubbio è un punto di forza, può essere anche letta come insufficiente sviluppo del terziario. Il Nordest è ancora una delle regioni europee con la minore quota di occupati nel terziario. E senza un terziario integrato alla manifattura è difficile immaginare un salto di qualità di quest’area. Il sistema bancario del resto è oramai tutto al Nordovest e il lento aumento di imprese dei servizi è per lo più concentrato nei segmenti tradizionali come l’immobiliare. La situazione è in più aggravata da una cronica insufficienza infrastrutturale che ostacola l’attività quotidiana. Il capitalismo molecolare sembra a volte frammentato. Un sistema sociale di piccola impresa ha in effetti difficoltà a trovare spontaneamente obiettivi comuni. La grande debolezza di quest’area è quella dello scarso coordinamento. È difficile formulare una lista condivisa di priorità da chiedere (da imporre) alla politica locale e a quella nazionale se si è in migliaia e migliaia di piccoli e piccolissimi protagonisti. È difficile esigere anche solo la costruzione di questa autostrada pedemontana o di questo nodo di scambio intermodale. Il rischio più grave è che di fronte alla paralisi decisionale ci si rifugi nell’autocommiserazione, nel pensare che le scelte importanti possano essere prese da «altri», fuori o dentro l’area. Una regione che rivendica un ruolo di «modello nuovo» (post-fordista, post-industriale..), di terza via di sviluppo rispetto al Nordovest e al Mezzogiorno deve compiere un passo avanti che superi la spontaneità e costruisca una politica del fare in grado di valorizzare i tanti punti di forza del territorio, primo fra tutti quello di saper competere sui mercati mondiali e di saper accogliere migliaia di immigrati. da corriere.it Titolo: Darwin. Primo capitolo della crisi il mal di Nord Est. Inserito da: Admin - Dicembre 09, 2008, 11:00:23 am darwin
Primo capitolo della crisi il mal di Nord Est. Laddove in tutto il mondo si instaurava un'economia ad alto valore aggiunto, fondata sulle competenze e sulla massimizzazione della produttività legata alle nuove tecnologie da noi si affermava un'economia fortemente labour intensive, in cui la redditività è data dall'impegno lavorativo con tecnologie arretrate. Imprese di pochi addetti con il padroncino, qualche extra comunitario o indigeno a lavorare come schiavi per produrre a basso costo. Due danni in uno. Il primo si è puntato su settori, prodotti e processi produttivi che non potevano reggere l'impatto della globalizzazione e la concorrenza del costo del lavoro dei paesi emergenti. Il secondo è che si è tagliato ogni invetimento nei settori di punta, si compra qualcosa dall'estero ma l'Italia è scomparsa da settori come l'informatica e le tecnologie di telecomunicazione. Ricordate il libricino del buon tremonti contro la globalizzazione, è nato dalla necessità di difendere il suo elettorato ed il suo riferimento sociale arretrato nel mondo moderno, anzi post moderno. Da qui le fesserie come la detassazione degli straordinari per dare ossigeno ad aziende che non possono competere. Si aumenta lo sfruttamento di chi è sotto il numero minimo di risorse per l'applicazione dello statuto dei lavoratori. Così negli altri paesi il lavoro rende cento, anche ai padroni, mentre qui sessanta, se tutto va bene. Tutto perché questa parte sociale vede come la bestia nera l'investimento ed i costi in nuove tecnologie, PIL prodotto da servizi sociali efficienti, etc. Certo costoro non hanno studiato da manager moderni, vedono come sperperato ogni soldo dato in ricerca. Si è visto al traguardo dei tre mesi, dicevano tanto vedete come si è ricchi così? Io ho il Cayenne!!! A che serve il resto? Putt....te. Sono diventati gli eroi italiani invece erano solo pirati e corsari. Hanno distrutto tutto. Campione in ritardo di questa visione è anche "l'illuminato" signor Fitto che voleva rendere il Salento il nord est del tessile e calzaturiero, con gli operai in nero nei sottoscala, i cinesi in schiavitù. Ha dilapidato tutto mandando il tutto in mona (anche se non si dice così dalle mie parti). Poi è arrivato Vendola ed il PIL della Puglia è cresciuto nel 2007 del 1.8%, terza regione in Italia. Tutti a boca aperta perché ha puntato sulle fonti energetiche rinnovabili, provato a creare centri di eccellenza in ricerca, iniziative come bollenti spiriti ed altro. Sono bastati 2 anni per far qualcosa, ancora non tutto ma qualcosa di importante. Quindi per prima cosa serve un piano di riconversione imponente, con cui convincere a cambiar registro, convincere anche i padroncini del Nord Est a studiare .......... Le cose non arrivano dall'alto. Attenti anche a parlare di partito del Nord, perché ciò che c'è stato fino a ieri nel Nord Est è debole. Soldi ed energie sprecati e sottratti all'imperativo di dare efficienza alla nostra economia. Nei vari post che ho letto qui, infatti, la scure è giunta subito più affilata proprio lì. Con tremonti e fitto come si fa a pensare che questo governo possa trovare soluzioni? Siamo sulle montagne russe, cadrà e saranno dolori per il tempo necessario a rimetter sù una operativa di governo credibile. Risorse e debito. C'è bisogno di risorse per la conversione, per il welfare di chi andrà nelle condizioni peggiori verso la crisi, senza lavoro, per dare credibilità al sistema Italia e consolidare il debito. L'unica risposta è ricorrere all'oro alla patria? Può darsi, ma dove cercarlo? Prima miniera l'evasione. Seconda il reddito da rendimento di capitale che sfugge anche alle dichiarazioni dei redditi (pagando il 12,5% direttamente) per portarlo al 20%, non diciamo che così non si comprano più BOT e CCT perché altrove condizioni migliori non ce ne sono. Terzo, se necessario, alzare la aliquote dei redditi oltre i 100 mila euro. Non so se possiamo sperare in contratti di solidarietà nelle aziende per ridurre il costo del lavoro, perché le famiglie sono già a rischio default per cui incidere sui loro guadagni è come accendre kerosene per far andare più veloce l'effetto domino. Questo se si fa in tempo prima che le aziende presentino un rosso generalizzato, in tal caso ......... Ho letto le considerazioni sugli sprechi RAI. Beh il canone è una fonte ma c'è anche quello che non si può nominare con il maghetto di Arcore al governo. Perché non alzare il tetto della pubblicità in RAI? La Gasparri fa un guazzabuglio per ricalcolare a sistema i tetti massimi di pubblicità per evitare un'eccessiva concentrazione del mercato in monopoli. Il problema principale è che questo governo non è in grado di affrontare la crisi, non è stato capace negli anni di vacche grasse figuriamoci ora. Solo che non possiamo attendere la prova dei fatti e riconoscerlo come interlocutore autorevole, come fanno CISL e UIL, è pericolosissimo. Per cui uno sciopero generale può essere utile, chiaramente meglio se fatto unitariamente, ma non c'è peggior sordo....... Però è da troppo che faccio la Cassandra, vorrei che mi venisse in sogno S. Gennaro o S. Nicola per dirmi che in realtà mi sbaglio e che devo essere ottimista, naturalmente con identità certificata e che non siano il duo tremonti - maghetto sulle navi crociera (magari il Titanic). _____________ Arturo Infante (Darwin) dal forum - www.ilforumista.net Titolo: Carne alla diossina:... - (poveri Veneti quando capiranno? Ndr) Inserito da: Admin - Dicembre 11, 2008, 11:11:19 am Carne alla diossina: sotto il Salone, l’allarme snobbato dai padovani
Un commerciante: «I nostri prodotti provengono da animali allevati e macellati entro i confini del Veneto» I padovani snobbano l’allarme carne alla diossina. Sia per la voglia di festeggiare un Natale 2008 da «nababbi» con tanto di tavole imbandite - nonostante la magra realtà di un portafogli quest’anno davvero sottilissimo - sia per la generalizzata consapevolezza che la carne bovina e suina venduta dal macellaio è nostrana. E dunque sicura. Sotto il Salone i commercianti lo ribadiscono: «Gli animali sono tutti allevati, macellati e venduti in un raggio che non oltrepassa il confine regionale». «Non rileviamo alcun calo delle vendite. Semmai - ammettono - qualche preoccupazione; ma di noi i clienti si fidano e, una volta rassicurati, pensano a depennare la lista della spesa pre-festiva come nulla fosse». Manzo, salumi, cotechino e zampone non scompariranno né dal pranzo di Natale né tanto meno dal cenone di Capodanno: d’altronde, sono una tradizione irrinunciabile, un simbolo gastronomico. Eppure, proprio ieri l’Irlanda ha confermato il sospetto che il mangime contenente diossina sia finito anche nello stomaco di mucche e buoi, e non soltanto di suini. E non è finita qui: delle 89 partite di carne di maiale importate dalla verde terra irlandese fino in Italia, ne sono state rintracciate e poi sequestrate 42; sei di queste, in Veneto. La replica arriva dal presidente del Sindacato provinciale dei macellai dell’Ascom, Francesco Canton. «Da noi - spiega - il suino irlandese non è gettonato. Né dal commerciante né dal consumatore: i veneti hanno altre preferenze. In Emilia Romagna, però, la usano per fare gli insaccati». E sottolinea la provenienza Dop (denominazione di origine protetta) della carne veneta: «A livello nazionale, il Veneto è la prima regione produttrice di carne suina; a confermarlo, è la nascita di un nuovo marchio, chiamato Gran Suino Padano, che viene esportato anche all’estero». Idem, o quasi, per la carne bovina. «La nostra Regione si posiziona al secondo posto - continua Canton - subito dopo la Lombardia». Intanto, nel Regno Unito la carne made in Ireland è stata bandita da scaffali e banchi frigo. Un tormentone che, dopo la mucca pazza e l’aviaria dei polli, si ripercuote ciclicamente sul mercato. Almeno, questa è la tesi del presidente di categoria. «Sembra quasi un progetto preordinato - accusa - e studiato a tavolino con una tempistica perfetta: guarda caso, o in prossimità della Pasqua o del Natale». (10 dicembre 2008) da mattinopadova.repubblica.it Titolo: «Niente cure mediche ai clandestini in Friuli». E i medici insorgono Inserito da: Admin - Gennaio 08, 2009, 04:06:02 pm Immigrati Il Carroccio: segnalarli alla polizia. Il Pdl diviso
«Niente cure mediche ai clandestini in Friuli». E i medici insorgono Battaglia leghista, il leader era amico di Theo Van Gogh DAL NOSTRO INVIATO UDINE — «I clandestini, in teoria non esistono: però ci sono». La sintesi è di Danilo Narduzzi, capogruppo della Lega nel consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia. In effetti, i sindacati calcolano che in Friuli gli immigrati irregolari siano circa 20 mila, che tra loro ci siano 11 mila badanti, e che molti altri siano transfrontalieri che vorrebbero regolarizzare (diritti ma anche doveri) la loro posizione. Insomma, gli irregolari ci sono e le conseguenze sono varie. In materia sanitaria, per esempio: il clandestino se sta male va dal medico, spesso al pronto soccorso, e chiede di essere curato. In questo non si distingue da chi ha il permesso di soggiorno o da un italiano. Ma a quel punto il dottore cosa deve fare? L'azienda per i Servizi Sanitari numero 6, quella di Pordenone, ha invitato con una lettera tutte le strutture pubbliche della Regione a continuare nei programmi di assistenza e cura degli immigrati irregolari avviati dalla giunta di centrosinistra che ha governato il Friuli fino alle scorse elezioni. E infatti: «Bisogna curare e garantire assistenza a tutti, senza distinzione» afferma Luigi Conte, presidente dell'Ordine dei medici di Udine. Lui considera intollerabile la posizione della Lega, che vuole limitare le cure per i clandestini agli interventi urgenti e non differibili, e vorrebbe anche che i pazienti senza permesso di soggiorno fossero segnalati alle autorità. «Il medico non è un delatore» tuona Conte, preoccupato dal pericolo «per gli individui e la collettività» che verrebbe dalla nascita di una «clandestinità sanitaria», o una «sanità parallela» priva di controllo. «Uno dei rischi — spiega — è che aumenti la diffusione di patologie». La Lega ribatte a muso duro: «Questo è terrorismo mediatico. Epidemie non ce ne sono mai state, al limite il pericolo è quello di attentati» dice Narduzzi. Che poi presenta in questi termini la questione-sanità: «Grazie a progetti della precedente amministrazione di centrosinistra, i clandestini in Friuli godono di assistenza gratuita per prestazioni di ogni tipo, persino la pulizia dei denti... Certo, la Bossi-Fini prevede che chiunque abbia bisogno di cure urgenti debba essere assistito, anche se è irregolare. Noi, però, crediamo che le terapie non urgenti vadano sospese, perché i clandestini sono da espellere». Non tutti, nella maggioranza di centrodestra che governa la Regione, la pensano così. Sia l'assessore alla Sanità Vladimir Kosic, un tecnico, sia il vicepresidente della commissione sanità in consiglio Massimo Blasoni, del Pdl, sono convinti che per questioni di civiltà e tutela della salute tutti vadano curati. «Proporremo una mozione per definire linee di politica sanitaria che seguano i principi del centrodestra — attacca la Lega —. Non solo: chi è curato e non ha il permesso di soggiorno deve essere segnalato». È la stessa querelle che si scatenò a livello nazionale in autunno, dopo la presentazione del pacchetto sicurezza. Un emendamento prevedeva che i dottori denunciassero eventuali pazienti-irregolari. Anche in quel caso i medici si opposero. L'emendamento, per ora, è stato ritirato. Narduzzi spera che venga riproposto in Consiglio dei ministri. Nell'attesa, in Friuli la Lega ha tentato una fuga in avanti. Tanto che l'Udc, che qui è nella coalizione di governo, chiede una verifica: «Qualunque essere umano va assistito — dice il segretario regionale, Angelo Compagnon —. Poi, in seconda battuta, bisognerà segnalare il fatto alle autorità. In ogni caso di tutto ciò non c'è traccia nel programma, la maggioranza dovrebbe sedersi attorno a un tavolo e discuterne». E ancora non basta: da due giorni la Cgil chiede le dimissioni del presidente del consiglio regionale, il leghista Edouard Ballaman, famoso per aver diffuso in Italia il film contro l'Islam radicale di Theo Van Gogh. È accusato di aver tradito «lo spirito super partes del suo ruolo» schierandosi a favore della Lega sulle cure agli irregolari. Il Pd considera la sua uscita «censurabile e inaccettabile». L'Udc sottolinea che «i compiti istituzionali non hanno colore politico». E tutto questo, in fondo, perché è solo nelle teorie che i clandestini non esistono. Mario Porqueddu 08 gennaio 2009 da corriere.it Titolo: Orrore sulla A4: ragazza straziata dalle auto... Inserito da: Admin - Marzo 13, 2009, 12:33:33 am VICINO A PORTOGRUARO
Orrore sulla A4: ragazza straziata dalle auto Indagini nel mondo delle lucciole dell’Est Aveva 18 anni, era ungherese Il corpo gettato di notte in mezzo alla carreggiata PORTOGRUARO Il corpo sull'asfalto è stato investito dai camion. Di quell'esile corpo è rimasto poco. In tasca un documento ungherese. Katalin Doczi, 18 anni, era una prostituta. E' morta l'altra notte verso le 2 in A4, direzione Trieste, tra Portogruaro e Annone. C'è il sospetto che qualcuno l'abbia fatta volare da un'auto in corsa. Di sicuro lì non ci è andata da sola. Per ora si indaga per omicidio colposo. La ragazzina, perché questo era Katalin, indossava ancora gli abiti da lavoro. I quattro stracci che la coprivano per renderla appetibile, se l'età non bastava, a chi cerca sesso a pagamento e non guarda certo la carta d'identità delle ragazze. Quella mini, quegli stivali e la maglietta col giacchino erano diventati col corpo una massa informe, quando il tir del camionista ucraino le è passato sopra. Molto probabilmente era l'ennesimo automezzo che calpestava quel corpo. Ma è stato quel camionista a fermarsi ad accostare, a chiamare la polizia stradale per segnalare quanto accaduto. L'unico ad avere pietà. Erano le 2.15 quando sul posto sono arrivate le prime pattuglie della polizia stradale di San Donà. Il camionista ha spiegato agli agenti che non ha potuto far nulla per evitare quel corpo esanime in mezzo alla carreggiata. L'abbigliamento della giovane ha fatto sospettare subito che si poteva trattare di una prostituta o di una ballerina di qualche locale dove in realtà più che danzare le ragazze si vendono. Poi quei documenti ungheresi e la certezza, grazie agli agenti della Squadra Mobile che quel corpo prima di essere reso irriconoscibile apparteneva ad una giovanissima prostituta. La certezza che fosse Katalin c'è stata quando sono state comparate le sue impronte con quelle presenti in archivio in Questura e prese alla ragazzina. Come avviene in questi casi poi sono state avvertite, attraverso il consolato ungherese, le autorità del suo paese. Terminali per arrivare alla famiglia che, chissà, se sapeva il lavoro che la ragazzina faceva in Italia. Oggi l'autopsia ordinata dal pm Emma Rizzato per stabilire le cause della morte. Per capire se Katalin era già morta quando è stata travolta dai camion. Le indagini della Mobile ora dovranno accertare prima di tutto come è arrivata sul posto la ragazzina. Non aveva auto, non aveva la patente. Forse l'ha portata un cliente o magari qualcuno del racket a cui non andava bene che lei rimanesse sul Terraglio a lavorare. O perchè, magari, voleva darle una lezione per non aver accettato di lavorare per lui. Di certo non è stato soltanto un incidente anche se il fascicolo aperto dalla pm Rizzato riguarda per il momento l'omicidio colposo. In quel tratto di autostrada non ci sono piazzole di sosta o aree di servizio che possono far pensare che la giovane abbandonata da un cliente volesse attraversare l'autostrada per raggiungere qualche luogo. Come altre volte successo invece in tangenziale o a Villabona. Lì la ragazza è stata porta. C'è il forte sospetto che sia stata buttata da un camion o da un'auto in corsa o che lei abbia cercato di scappare da qualcuno aprendo la portiera in corsa. Perchè? E' la domanda principale a cui dovranno dare una risposta gli investigatori. E naturalmente chi? Ieri per tutta la giornata i poliziotti della Mobile con l'aiuto degli operatori dei servizi sociali del Comune hanno sentito le ragazze che si prostituiscono lungo il Terraglio alla Favorita. Le ragazze, in buona parte ungheresi, che conoscevano Katalin. Qualcuna forse ha visto con chi è salita la ragazza: l'ultimo cliente o chi la voleva sfruttare. Chissà. Stando a quanto accertato fino ad ora, la ragazzina l'altra sera aveva avuto alcuni clienti. Da quanto hanno accertato gli inquirenti non sembra che la ragazza avesse un protettore. Come del resto la gran parte delle ungheresi e delle romene che lavorano in strada. Ragazze diventate comunitarie e quindi non più ricattabili sul fronte del permesso di soggiorno a cui non sono più soggette. Nessuno infatti le può espellere. Carlo Mion (11 marzo 2009) da espresso.repubblica.it Titolo: FORZA "NO DAL MOLIN"... Inserito da: Admin - Marzo 26, 2009, 06:41:45 pm Usa pronti a trasferire gli F-16 in Polonia
Aviano. La presenza di «elementi ostili» in regione consiglia lo spostamento verso l’Est Europa di Marco Bardazzi Washington. Nelle scuole di guerra del Pentagono c'è preoccupazione per le condizioni in cui operano le basi aeree di Aviano e Vicenza, anche per la presenza di «elementi ostili» nella società italiana. È uno dei motivi che ha spinto uno stratega militare a ipotizzare di trasferire gli F-16 americani da Aviano alla Polonia. Un'idea, sottolinea il ministero della Difesa statunitense, che al momento è solo «un'ipotesi accademica». È stato il tenente colonnello Christopher Sage, un ufficiale dello stato maggiore dell'Air Force, a preparare uno studio secondo il quale spostare i caccia sarebbe «nell'interesse nazionale degli Stati Uniti», impegnati a muovere verso Est le forze del proprio comando europeo visto il cambio dello scenario dopo la fine della Guerra Fredda. La Polonia è «un alleato fedele» e Washington, secondo lo studio, ha tutto l'interesse a rafforzare questo legame in un momento in cui la Russia alza il livello della propria retorica. Il saggio è stato pubblicato su ”Air and Space Power Journal”, rivista accademica dell'Air Force, è rimbalzato sul quotidiano militare Stars and Stripes e da qui in Polonia e in Russia. L'ipotesi del trasferimento sul suolo polacco degli F-16 ”italiani” difficilmente lascerebbe indifferente Mosca, in un periodo in cui è ancora in discussione il futuro dello scudo antimissile americano che la Polonia si è offerta di ospitare nonostante le resistenze russe. Il Pentagono si è affrettato a precisare che la questione è puramente un'esercitazione accademica. «Non è una proposta presa in considerazione dall'Air Force nè, da quel che ci risulta, da altre organizzazioni (Comando Usa in Europa, Nato, governi interessati) che sarebbero coinvolte in una decisione del genere», ha detto all’A nsa il tenente colonnello Tadd Sholtis, un portavoce dell'Air Force al Pentagono. Le idee di Sage, in definitiva, «sono sue e sue sole», afferma il portavoce, sottolineando che, anche se pubblicato solo ora, il saggio è stato scritto dall'ufficiale come studente del Navy War College un anno e mezzo fa. Adesso che Sage ha assunto un ruolo di responsabilità nello stato maggiore, «conferma la sua tesi - spiega Sholtis -, ma non ha altro da aggiungere», come membro di un ufficio di comando. Il saggio apre una finestra sulle preoccupazioni che nelle scuole di guerra americane si percepiscono sulla realtà italiana. Sage sottolinea che l'Italia è un alleato fedele degli Usa, «ma i governi cambiano, e persiste in alcuni settori della società italiana un atteggiamento politico e sociale che offre poco sostegno alla politica estera americana». Citando le manifestazioni contro la base Usa a Vicenza, l'ufficiale sottolinea anche che ci sono «elementi ostili nella società italiana che presentano anche preoccupazioni di sicurezza e protezione delle basi». La Polonia offrirebbe invece maggiori opportunità di addestramento per gli americani, minori restrizioni allo spazio aereo e disponibilità di aree dove i piloti possono esercitarsi. (26 marzo 2009) da ilpiccolo.gelocal.it Titolo: Expo 2015 Inserito da: Admin - Marzo 31, 2009, 04:03:14 pm 31/3/2009
Il Nord-Ovest va in gol con Expo 2015 BRUNO VILLOIS Il conto alla rovescia per l’Expo 2015 è in corso, il tempo corre, tante e fondamentali sono le cose da fare. Quelle che resteranno, le infrastrutture, avranno un ruolo chiave per la modernizzazione a Milano e dintorni, ma non solo lì. Importante sarà la capacità dei territori confinanti, Province lombarde e Regioni, di offrire una convinta candidatura per porsi a fianco della capitale lombarda con proprie iniziative in grado di attrarre visitatori e sviluppare business indotti. Riconosciuto che l’iniziativa è stata conquistata dal sindaco di Milano, tocca ai politici e alla società civile farsi avanti con progetti e risorse. Il Veneto lo farà sulla linea Verona-Padova-Venezia, un potenziale enorme per le attrattive artistiche delle tre città, cui si abbina un grande parco giochi in grado di richiamare interi nuclei familiari. Più complessi spazi e ruoli del Nord-Ovest piemontese, tenuto anche conto che montagna e vendemmia conteranno poco a causa del periodo, marzo-settembre. La Liguria, con il porto di Genova per le crociere e il Golfo del Tigullio, con Portofino e Santa Margherita primattori, e il sole e il mare di piena estate, avrà naturali vantaggi. Il Piemonte dovrà fare lo sforzo maggiore per ottenere ruolo e spazio attrattivo. Servirà un trasporto veloce Torino-Milano, Torino-Malpensa di primo livello, un’ora al massimo dovrà essere il tempo di percorribilità. Poi servirà un’identità caratterizzante che in primavera e a fine expo potrà essere l’enogastronomia, con Alba e Asti a farla da regine, mentre in estate il tanto annunciato e mai terminato itinerario delle regge sabaude, dopo l’apertura di Venaria, sarà il punto di riferimento, magari potenziato da una grande mostra disposta su più sedi piemontesi. Mancherebbe ancora un evento caratterizzante e di forte fascino. Il grande alleato della Moratti per vincere è stata l’Africa: un torneo di calcio Europa-Africa, ideato con la Fifa e successivamente itinerante, potrebbe diventare l’evento clou in giugno, della durata di tre settimane. Il torneo mondiale Fifa sarà nel 2014, quello continentale Uefa nel 2016, ben ci sta una primogenitura italiana per un terzo appuntamento a scadenza quadriennale tra il vecchio e il più arretrato continente, che però già sforna campioni sparsi in mezzo mondo. Il calcio, piaccia o no, è una formidabile attrattiva. Se si affida l’evento a un medium potente a livello globale come Sky, si ottengono risorse da sponsor e si attraggono moltitudini di spettatori, soprattutto africani e asiatici, ai quali poi offrire il meglio delle piazze sabaude. L’expo dev’essere un grande momento di popolo, un momento in cui si fondono umanità, scienza, sport, cultura, ricavarne un ritorno che duri e conti nel tempo è cosa fondamentale per il Piemonte. Le Olimpiadi invernali hanno ridato slancio e lasciato infrastrutture, molte, troppo inutilizzate o peggio ancora da demolire (i gianduiotti di Giugiaro in piazza Solferino fanno gridare allo scandalo per l’abbandono in cui sono). L’Expo non è di Torino, ma per Torino: anche utilizzando quale cassa di risonanza i 150 anni dalla nascita del Regno d’Italia, può diventare, attraverso proposte illuminate, una grande ulteriore occasione di farsi conoscere. Una volta attratti, i turisti saranno stupiti da tanta bellezza e la città sabauda e dintorni, con pieno diritto, potrà assurgere a meta stabile del turismo internazionale. Riuscirci dipende dalla capacità di fare il gol, già, proprio quello. bruno.villois@unibocconi.it da lastampa.it Titolo: A Cargnacco, in Friuli, le salme di migliaia di militari identificati e "ignoti" Inserito da: Admin - Novembre 04, 2009, 03:28:18 pm A Cargnacco, in Friuli, le salme di migliaia di militari identificati e "ignoti"
Un tempo il sacrario era meta di pellegrinaggio, ora la situazione è molto diversa Nella cripta dei Caduti in Russia scende il silenzio sulla Storia di JENNER MELETTI CARGNACCO (Pozzuolo del Friuli) - Non suona più "il Silenzio", per i Caduti in Russia. Non ci sono più bambini con le bandierine, sindaci con il tricolore e i picchetti dei soldati - dieci anni fa si vedevano anche nei Tg nazionali - per l'ultimo saluto alle salme recuperate nelle pianure dell'Est e riportate nei cimiteri italiani. "Nell'ultimo anno - dice don Primo Minin, parroco di Cargnacco e del tempio nazionale dei Caduti in Russia - non ci sono state consegne. Solo l'anno scorso, il 4 novembre, sono arrivate a Redipuglia 14 cassette di zinco. C'era anche il presidente Napolitano. Poi sono state portate qui da noi, quelle piccole casse. E anche loro sono finite nel sacrario dei senza nome. Ma sono tanti anche i soldati che sono stati identificati ma sono rimasti qui, nel sacrario. Sa, dopo tanti anni, le mamme non ci sono più, anche le mogli sono scomparse o sono molto anziane e non tutte le famiglie hanno voglia di occuparsi di un parente di cui hanno solo sentito parlare". La ritirata di Russia è finita qui, nella grande cripta della Madonna del Conforto. Secondo i dati ufficiali, dietro le piccole lapidi ci sono 518 militari identificati e 595 "noti ma non identificati". "Quando si trova un elenco dei morti si sa che nella fossa ci sono persone di cui si conoscono i nomi: ma non si può attribuire un'identità certa ad ognuno di loro". Sono dodici anni che don Primo segue i vivi della parrocchia e i morti del Sacrario. "Secondo me, nella cripta, ci sono mille identificati e altri mille noti non identificati. Le cifre ufficiali vanno controllate meglio. Sarebbe tempo anche di cambiare i registri che sono nell'atrio della cripta, dove sono scritti tutti i nomi dei dispersi in Russia. Li preparò il mio predecessore, don Carlo Caneva, un cappellano degli alpini che ha costruito il tempio. Chiese a tutti i Comuni italiani di mandare l'elenco di chi era partito per la Russia e non era tornato. Ma tanti Comuni non hanno risposto. Bisognerebbe confrontare questo elenco con le liste di Onorcaduti, l'organo del ministero della Difesa che si occupa dei cimiteri militari e delle "campagne" di recupero delle salme in Russia". Nella grande cripta gran parte dei nomi sono in ordine alfabetico. "Soldato Riolo Settimio, artigliere Riondato Giorgio, generale Rossetti Augusto, artigliere Scandola Antonio, fante Soffritti Vittorio, soldato Scognamiglio Giovanni...". Piccole lapidi senza date. C'è chi ha lasciato qui il proprio padre o nonno perché "in un sacrario la tumulazione è eterna", c'è chi non ha risposto alla lettera di Onorcaduti che avvertiva del ritrovamento. Altre famiglie, dopo tanti anni, non sono state trovate. "Certamente - dice don Primo Minin - sui caduti in Russia sta scendendo il silenzio. Ogni mese arrivano qui tre o quattro pullman e abbiamo calcolato che i pellegrini - io li chiamo così - siano 20.000 all'anno. Ma negli anni '60 e '70 erano diecimila al mese e si dovette comprare un grande terreno per il parcheggio, ora quasi sempre vuoto". "L'ultima campagna - dice il tenente colonnello Paride Massaro, di Onorcaduti - l'abbiamo fatta in Russia nel 2007, ma abbiamo raccolto soltanto resti sparsi in fosse comuni. Per questo abbiamo sospeso il lavoro di recupero che era iniziato nel 1991. Siamo comunque orgogliosi del nostro lavoro. In questi anni abbiamo riportato in Italia 11.601 salme. La maggior parte, 9.762, erano in Russia. Le salme identificate erano 2.244 e 1.960 sono state consegnate ai parenti. In Ucraina abbiamo recuperato 1244 "noti", e 1.035 sono stati portati nei cimiteri di famiglia. A Cargnacco ci sono 8.518 salme, e 7.405 sono quelle non identificate. Abbiamo fatto tutto il possibile, per dare risposta a chi ha aspettato un funerale di un proprio caro per 60 anni". C'è anche un ufficio del ministero della Difesa, a pochi metri dal Sacrario di Cargnacco. Il maresciallo Matteo Clemente fornisce informazioni a chi viene a chiedere di un parente e fa anche la guida volontaria nella chiesa-cripta, soprattutto quando arriva qualche scolaresca. Su un muro, il testo della legge 204 del 9 gennaio 1951. L'articolo 7 prescrive che "le salme dei Caduti in guerra o nella lotta di Liberazione, sepolte in cimiteri civili, sono esenti dai normali turni di esumazione". Ma ci sono Comuni che, per spostare una salma da una tomba privata a un luogo di "tumulazione eterna", chiedono che le spese siano rimborsate dal ministero. Quando ancora c'era la cortina di ferro - e il ritorno delle salme era un sogno impossibile - il tempio di Cargnacco era il luogo dove le famiglie mettevano una lapide in bronzo per ricordare chi era stato mandato nei ghiacci della Russia con le scarpe di cartone. "Luigi Divari. Cadde sulle steppe del Don con negli occhi il cielo d'Italia". "Ettore Di Liegro. Con la tua mamma ti ho atteso tanto". "Pirazzoli Luigi. Da sempre e per sempre nei cuori di tua moglie e di tua figlia". Più di diecimila sono tornati, ma gran parte di loro - 6.979 "ignoti" - sono finiti dietro una parete segreta. E' una cripta nascosta alla quale, come in un libro di Dan Brown, si accede attraverso una "porta a scomparsa", mascherata fra le lapidi della cripta ufficiale. In questo luogo segreto, senza cerimonie ufficiali, sono state messe le salme arrivate dall'Est e prima depositate nell'ossario di Udine e al sacrario di Palmanova. Le povere ossa sono su ripiani in metallo, dentro a urne di bronzo e anche in sacchetti di plastica. Da una fossa comune in Russia o Ucraina a un'altra "fossa comune" nascosta nel sacrario. Il maresciallo Matteo Clemente si arrabbia. "Non è una fossa comune. Accanto ad ogni urna ci sono i numeri dei verbali che ci dicono dove e quando questi poveri resti sono stati raccolti". Nessuno dei pochi visitatori sa però della cripta nascosta. "Sentirò Onorcaduti", dice il maresciallo. "Potremmo mettere una lapide: "Dietro questa parete riposano 6.979 Caduti ignoti"". © Riproduzione riservata (4 novembre 2009) da repubblica.it |