Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2010, 12:34:49 pm Politica
07/12/2010 - LA CRISI: SPETTATORI INTERESSATI Bersani: per ora basta che il premier lasci Il leader Pd: governo di responsabilità per varare la legge elettorale FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Altro che un governo Berlusconi bis: «Sarebbe il quinto, un po' troppo, abbiamo già dato. Basta, accontentiamoci di quello che abbiamo avuto», ironizza il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Mentre sono all'orizzonte movimenti nel campo del centrodestra - ipotesi di nuovo incarico al premier, Gianfranco Fini dice no a "ribaltoni" e, dalle pagine della "Stampa", Fabrizio Cicchitto apre a un cambiamento della legge elettorale predicato dal Terzo polo -, Bersani, ospite in un convegno a Fiesole, traccia la road map democratica. «In caso di crisi cerchiamo di portare la nostra idea al Quirinale, e poi aspettiamo la decisione del Presidente della Repubblica», niente nomi di un ipotetico nuovo premier per rispetto delle prerogative del Capo dello Stato, ma l'idea è sempre quella del "governo di responsabilità". Da fare con chi ci sta, anche con il centrodestra di Fli se necessario: «E' un momento di emergenza democratica», giustifica l'ipotesi al Tg3 il capogruppo Dario Franceschini, «quando i nostri genitori e i nostri nonni salirono sulle montagne per fare la Resistenza, non si chiedevano l'un l'altro a quale partito appartenessero». Un esecutivo per affrontare la crisi e la legge elettorale: riforma a cui nel Pd stanno lavorando Gian Claudio Bressa e Luciano Violante e che invece, si dice convinto Bersani, il Pdl, nonostante il possibilismo di Cicchitto, non vuole cambiare: «Non ci credo a queste aperture, c'erano due anni per discutere e si è discusso di tutt'altro». Ma il leader del Pd è consapevole che «ogni giorno ha la sua pena» e «il percorso per uscire dal berlusconismo non è breve». La settimana prossima, dopo il fatidico 14 dicembre, «magari Berlusconi salta, magari fanno una roba interna al centrodestra e noi saremo contro, oppure c'è una cosa nuova, meglio! Comunque noi dal 14 combattiamo da una posizione più avanzata. In tutti i casi se va a casa Berlusconi siamo già avanti di un bel pezzo», si accontenta. Dal Berlusconi bis all'esecutivo sponsorizzato da Casini a guida Gianni Letta, Tremonti o Alfano, sarebbero soluzioni tutte interne all'altro schieramento negative per il Pd. «Sono opzioni che non preoccupano perché non sono realistiche», confida però Matteo Orfini, giovane leva dalemiana in segreteria nazionale: «Anche con un governo a guida Letta le contraddizioni politiche di quella parte resterebbero in piedi: altro che Unione, sarebbe un mostro politico ». In attesa di capire come evolverà la situazione, continuano a registrarsi fibrillazioni nel partito, accerchiato dalle pressioni di Vendola e del nascente Terzo polo, che Bersani giudica così: «In Italia il bipolarismo è radicato più di quanto crediamo, questo non significa che non ci possano essere posizioni centrali, non nel senso di una nuova Balena Bianca, ma come una formazione che può dare flessibilità al sistema bipolare scegliendo opzioni diverse». Continuano malumori e voci di partenze: ieri l'ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, ha annunciato che «Letta, Fioroni ed altri dopo il voto se ne andranno». Pronta e categorica la smentita di entrambi. In vista del 14, intanto, è previsto tra oggi e domani un incontro di Bersani con il leader radicale Marco Pannella. «Parleremo di politica, missioni internazionali, giustizia, carceri», anticipa Bersani. Ma anche di quei sei voti che ancora i Radicali non assicurano alla sfiducia. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378943/ Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Inserito da: Admin - Agosto 15, 2011, 06:24:36 pm Politica
15/08/2011 - INTERVISTA Di Pietro: "Dall'opposizione contro-manovra unitaria" «Una vera alternativa di governo: nessun ribaltone, nessun inciucio» FRANCESCA SCHIANCHI Enrico Letta ha proposto un governo Bersani, Casini, Alfano e Maroni. Vorrei dire subito che, al di là dell’improbabilità che si realizzi, è politicamente scorretta perché è un ribaltone», esordisce tutto d’un fiato il leader dell’Idv Antonio Di Pietro. Il vicesegretario del Pd esclude da quest’ipotesi voi dell’Idv... «Bene ha fatto a non citarci, perché con un governo dell’inciucio non vorremmo avere nulla a che fare. Sarei solo curioso di sapere cosa ne pensa Bersani: se Letta parla per conto suo o ne ha parlato col segretario, che fino a ieri ha detto che le elezioni sono la strada maestra». Fatto sta che siete apparsi un po’ lontani col Pd: lei è sembrato persino più dialogante di loro sulla manovra. «Il danno l’hanno provocato in parte la realtà internazionale e in parte il modello di governo berlusconiano, che ha illuso dicendo che tutto andava bene fino a quando è venuto in Parlamento. Detto questo, noi ci rendiamo conto che oggi bisogna curare il malato. Per questo abbiamo presentato una contromanovra, e siamo disposti a discutere e valorizzare le proposte, senza però che il governo metta la fiducia». Berlusconi ha già detto che la fiducia non ci sarà. Soddisfatto? «Ma non deve mettere nemmeno una fiducia nascosta: cioè che si porta in Aula il provvedimento e con 200 voti al giorno si bocciano tutte le proposte dell’opposizione. Quando parlo di responsabilità intendo questo: si discuta e si valorizzino le proposte. Per esempio: vogliono intervenire sulle province? Aboliamole tutte. E ritiriamo le truppe dalla Libia e dall’Afghanistan». Com’è la manovra? «Ha il pregio di essere stata scritta, così almeno possiamo discutere nel merito. Ma è arrogante e ignorante perché colpisce le fasce sociali più deboli, i lavoratori. Così non la voteremo mai, va riscritta e noi sentiamo di poter contribuire a riscriverla per renderla più equa. Vediamo se il governo farà un atto di umiltà o continuerà con l’arroganza alla Tremonti». Cosa non funziona? «Anzitutto la riduzione dei trasferimenti di fondi agli enti locali, che li mette in ginocchio. E poi il fatto che riserva sciabolate al mondo del lavoro mentre non si chiedono sacrifici agli evasori, alle cricche, alla Casta». Però c’è un capitolo di tagli alla politica: lei che ha dichiarato oltre 176 mila euro dovrà dare un contributo di solidarietà del 20%... «Sono interventi solo di facciata. Ci sono un’infinità di rivoli da abbattere. Perché la Regione Lombardia deve avere un’ottantina di consolati all’estero? Perché ci sono Regioni che attribuiscono consulenze a esperti degli argomenti più strani?». Così si dirà che Di Pietro vuole tagliare le Regioni e non il Parlamento... «Eccoci: sono veramente necessari mille parlamentari? Sono necessari i vitalizi concessi in passato a chi stava anche solo due giorni in Parlamento?». Insomma, con questo testo non ci siamo... «Noi sentiamo la grande responsabilità di fare questa manovra nell’interesse del Paese. La cura proposta è omicida, come dare del curaro a un malato». Nella manovra di luglio tutte le opposizioni insieme avevate concordato un pacchetto di emendamenti: sarà ancora così? «Io penso che l’opposizione farebbe bene a presentare un pacchetto di proposte unitarie, per dimostrare che un’alternativa c’è e questo potrebbe essere il tuorlo d’uovo di una futura alternativa di governo». Anche se Letta la esclude da un’ipotesi di governo ora? «Perché sa bene che noi non parteciperemmo mai. Io parlo di un cartello delle opposizioni alle elezioni per diventare governo, non di un esecutivo dell’inciucio». La Cgil propone lo sciopero: condivide? «La Cgil chiede che la manovra venga riscritta per evitare che a pagare siano i più deboli, una richiesta che va sostenuta con le manifestazioni di piazza e gli scioperi: l’Idv farà la sua parte, partecipandovi». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/415778/ Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. La Russa: "Marcegaglia ingrata Inserito da: Admin - Settembre 25, 2011, 10:12:40 pm Politica
25/09/2011 - INTERVISTA La Russa: "Marcegaglia ingrata Non c'è la dittatura degli industriali" Il ministro della Difesa Ignazio La Russa "No ai diktat di Confindustria" FRANCESCA SCHIANCHI ROMA «Quando sento un aut aut mi viene l’istinto di dire no». E’ infastidito il ministro Ignazio La Russa dall’ultimatum della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: nuove misure in una settimana altrimenti «scindiamo le nostre responsabilità». Parole dure, ministro... «Non ho mai pensato che le organizzazioni che rappresentano una parte della società potessero avere una ricetta: giustamente suggeriscono percorsi funzionali ai loro interessi. Alla politica spetta il compito di equilibrare le spinte di parte, senza accettare i diktat di nessuno. Soprattutto quando si pensa che questo progetto possa essere la risposta al timore, che con la sinistra al governo sarebbe certezza ma anche con il centrodestra si prospetta, di una patrimoniale». La Marcegaglia ha dato disponibilità a una «piccola patrimoniale»... «Vedremo... Non vorrei invece che proponesse ricette per fare pesare meno sui più ricchi i sacrifici della crisi. E come diceva mia nonna, non bisogna lamentarsi di gamba buona». Cioè? «I sacrifici più grossi li abbiamo chiesti ai dipendenti pubblici, ai pensionati: Confindustria dovrebbe riconoscere che Berlusconi ha sempre tutelato il loro ruolo. E poi non si capisce mai per chi parla Confindustria: le grandi imprese o le piccole, che spesso non hanno interessi coincidenti? Io distinguo le piccole imprese, che stanno pagando un prezzo alto e tutti insieme dobbiamo capire come aiutarle. Ma senza diktat, che proprio non m’è piaciuto. Come un’altra sciocchezza detta dalla Marcegaglia». Quale? «Quando non voleva che si festeggiasse il 17 marzo: fosse stato per lei non avremmo avuto quel grande evento che è stato. Nessuno glielo rinfaccia, purché nessuno si senta l’oracolo. Non c’è la dittatura degli imprenditori». Ora vi chiedono riforme urgenti. «Tutto il sistema Italia dovrebbe concorrere a un grande piano per abbattere il debito pubblico e rilanciare la competitività. Sei mesi di tregua dove l’opposizione smette di pretendere che Berlusconi se ne vada e noi smettiamo di dire che i pm vogliono mandarlo via. Poi tra sei mesi tiriamo le somme e vediamo cosa succede». Confindustria vi dà una settimana. «Già porsi al centro di un ruolo non loro è un dato egoistico. E neanche la grande impresa italiana può chiamarsi fuori da questa crisi». Di fatto gli imprenditori sembrano abbandonarvi. Non è che vogliono mettersi in proprio? «Una cosa sono le organizzazioni e un’altra i singoli soggetti. Nei momenti di crisi c’è sempre chi pensa di poter fare da sé: dal partito degli automobilisti a quello della bistecca. Ma se vogliono fare il partito degli imprenditori è una sconfitta della politica, che è la sintesi delle posizioni. Capisco che in momenti di crisi ci sono queste tentazioni, ma sono momentanee». Pensa che la Marcegaglia voglia scendere in campo? «Non credo, Berlusconi già le aveva proposto di fare il ministro e ha detto di no». Ci sono altri movimenti nel mondo economico-finanziario: da Profumo a Montezemolo nuovi nomi pronti alla discesa in campo ... «In Unione sovietica comandò la dittatura del proletariato, e per me è stata una iattura. Ma non mi piacerebbe nemmeno la dittatura del grande capitale. E non piacerebbe alla maggioranza degli italiani». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421877/ Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi e la squadra di giovani che vuole governare l'Italia Inserito da: Admin - Novembre 16, 2011, 06:12:57 pm Politica
01/11/2011 - LA STORIA Renzi e la squadra di giovani che vuole governare l'Italia Da Zingales a Martina Mondadori Dal pc di Gori le 100 idee FRANCESCA SCHIANCHI ROMA «Il vero spin doctor di Matteo Renzi è Matteo Renzi». Chi conosce bene il sindaco di Firenze non ha dubbi: attento comunicatore, politico tutt’altro che sprovveduto, è lui stesso a gestire le sue scelte e la sua immagine. Ma, come ogni politico, accanto a lui gravitano amici, consiglieri, sponsor. Una squadra pronta a scendere in campo se il leader si lanciasse definitivamente nell’avventura nazionale. Staff e consiglieri Età media 30 anni o poco più. C’è il fidatissimo braccio destro, divenuto da poco capo di gabinetto: Luca Lotti, classe 1982, ex consigliere comunale di Montelupo Fiorentino, al lavoro con Renzi dai tempi in cui era alla Provincia. Lo segue come un’ombra anche il portavoce Marco Agnoletti, 38 anni, di provenienza Ds; vicinissimo al sindaco pure l’assessore alla cultura, Giuliano Da Empoli. Poi ci sono gli amici, consiglieri molto ascoltati (a titolo gratuito): buona parte dell’ideazione della Leopolda è merito di Luigi De Siervo, figlio dell’ex presidente della Corte Costituzionale Ugo, dirigente Rai, avvocato esperto di comunicazione. La sorella, Lucia, è stata capo di gabinetto di Renzi. Altro amico fraterno è il coetaneo Marco Carrai, imprenditore e ad di «Firenze parcheggi»: è stato il tramite per il primo incontro tra il sindaco e il professor Zingales. I compagni di partito Nell’apparato democratico il giovane rottamatore incontra non poche ostilità. Ma può contare sull’entusiasmo di alcuni giovani dirigenti: Matteo Richetti, tra gli organizzatori della Leopolda, presidente del Consiglio regionale emiliano, a Firenze è sembrato il «vice-Renzi», l’ultimo a chiudere gli interventi prima di dare la parola al leader, mentre ha aperto i lavori il consigliere regionale siciliano Davide Faraone, deciso a candidarsi alle primarie per fare il sindaco di Palermo anche a costo di creare scompiglio nel Pd. Presenti alla kermesse anche il primo cittadino di Novara, Andrea Ballarè, e quello di Reggio Emilia, il presidente dell’Anci Graziano Del Rio. «Il patrimonio della Leopolda è una materia prima preziosa di cui il Pd non può fare a meno» anche per alcuni parlamentari, come Realacci, Giachetti, Della Seta. I padri nobili Presente all’iniziativa, l’ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino ha elogiato la «positiva voglia di partecipazione». Certo, alle primarie «potrei decidere anch’io di aggiungermi», ma per il sindaco guastatore è comunque una sponda autorevole nella «vecchia guardia» dei dirigenti di primo piano del partito. Come una sponda importante è costituita da Arturo Parisi: non lo si può certo ascrivere alla squadra renziana, ma l’anticonformismo del professore amico di Prodi lo ha portato a partecipare alla Leopolda riconoscendo il valore dell’iniziativa. Ricambiato: per lui l’applauso più fragoroso. La squadra di governo «Abbiamo trovato il candidato!», sorride Renzi al termine dell’intervento dell’economista Luigi Zingales, padovano con cattedra a Chicago, editorialista de «L’Espresso» e «Il Sole 24 ore», tra coloro che hanno lavorato molto alla stesura dei cento punti. Se il candidato (a Palazzo Chigi) fosse Renzi, avrebbe già trovato il ministro dell’Economia? Non ci sono frequentazioni dirette ma comunanza di idee sul mondo del lavoro con il giuslavorista Pietro Ichino, senatore Pd. Alla Leopolda non è andato, ma ha firmato un appello in sua difesa. I Guru Incuriosito dal sindaco, è stato Giorgio Gori, produttore, fondatore di Magnolia, a contattarlo per conoscerlo. E il suo know how si è visto, nel format riuscito della Leopolda. Dove è stato, insieme a Giuliano Da Empoli, tra i principali curatori dei cento punti. Pronto alla discesa in campo: «Io, caro Matteo, ci sono». Altro mago della comunicazione in sala, Antonio Campo Dall’Orto, «padre» di Mtv Italia e oggi vice presidente esecutivo Mtv networks international. Gli scrittori Applauditissimo e presente a tutte le riunioni preparatorie della kermesse, lo scrittore premio Strega Edoardo Nesi: «Caro Matteo, ora tocca a te». Tramite lui approda nell’entourage del rottamatore anche Alessandro Baricco, «sono qui perché Renzi mi incuriosisce molto e sono stufo di vedere quello che fa da lontano». I testimonial Nello staff di Renzi ancora si chiedono se l’endorsement di Benigni fosse serio o una burla («sarà il prossimo premier»). Ma non è stato l’unico: complimenti sono venuti dal ct Prandelli come da Jovanotti. A Firenze c’erano dall’ex calciatore Billy Costacurta al regista Fausto Brizzi all’ideatore dei Gormiti, Leandro Consumi. Ma anche imprenditori: il fondatore di Technogym Nerio Alessandri e la giovane Martina Mondadori, dell’omonima dinastia. Palese nel suo sostegno: «Matteo, ora tocca a te». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/427553/ Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. “Toccherà al Pdl saper raccogliere l’eredità di Bossi” Inserito da: Admin - Aprile 08, 2012, 05:13:35 pm Politica
08/04/2012 - “Toccherà al Pdl saper raccogliere l’eredità di Bossi” Bossi in radio: "Non stracciate le vostre tessere" Galan: «Senza il Senatùr il Carroccio è finito» FRANCESCA SCHIANCHI Roma La cosa più «inquietante» di quanto sta succedendo, dall’inchiesta Lusi in poi, «è l’omertà dei partiti, che non sono corsi a modificare la legge sul loro finanziamento». Ma Giancarlo Galan, ex presidente del Veneto ed ex ministro, ci tiene a sottolineare anche un altro aspetto, nei giorni della bufera leghista: «Ora si gioca la partita decisiva della rappresentanza del Nord: mi sembra difficile che riesca a continuare a farlo la Lega, qualcuno dovrà raccoglierla». Partiamo da qui, dalla Lega e dai suoi problemi... «Mi faccia fare una premessa: prima di condannare chiunque, lasciamo che i giudici facciano il loro lavoro». Nessuna condanna, ma un commento politico a quanto sta succedendo e alle dimissioni di Bossi. «Per anni la Lega è riuscita, seppur malissimo, a dare una risposta ai desideri del Nord. Pur nella durezza dei miei scontri con Bossi, gli concedo l’onore delle armi, anzi di più: di sicuro non è un uomo legato ai soldi, proprio non lo vedo a fare pastette. Piuttosto gli do un’altra colpa». Quale? «In famiglia la politica la fa uno solo e gli altri fanno altro. Questo vale per tutti». Ce la farà la Lega a superare questa tormenta? «Spero di non essere offensivo ma penso sia molto difficile che possa farcela, perlomeno a restare ai livelli a cui è arrivata oggi». Se si chiude una fase nella Lega, non pensa che questo porti cambiamenti anche nell’alleato storico Pdl? «Speriamo si apra per noi una fase nuova, di maggiore consapevolezza delle istanze del Nord. Quello che io ho sempre criticato ai miei è l’arrendevolezza con cui abbiamo appaltato la questione settentrionale alla Lega. Dobbiamo riappropriarcene. Ma c’è anche un’altra riflessione da fare». Dica. «E’ doveroso sfruttare quest’occasione per fare chiarezza nel sistema del finanziamento ai partiti. Anche per il passato. Ad esempio, dove sono finiti i soldi andati ai partiti nati e poi sciolti? Non so, Rinnovamento italiano di Dini, o Democrazia europea di D’Antoni?». Cosa vuol dire? «Sono serviti per iniziative politiche? Non ho dubbi, ma vorrei saperlo. Non per disistima verso Dini o D’Antoni, anzi, ma credo sia giusto saperlo. Ci vuole più trasparenza». Ora tutti i partiti si dicono pronti a fare una legge. «C’è il dovere di farla, ma secondo me non c’è la volontà. Spero si faccia una legge più federalista: ora tutto, dalle candidature ai finanziamenti, viene deciso a Roma, il centralismo più sfrenato. Così si controlla meglio tutto». Si crea un «cerchio magico»... «Il centralismo vale per tutti, ma è tanto più grave in un partito che predica il federalismo.Tutti i partiti hanno un cerchio magico che decide. Forse anch’io ci sono stato, ai tempi: mi viene da rabbrividire se penso a chi ne fa parte oggi da noi... Cicchitto, Gasparri e La Russa? Sai che magia!». Come riformerebbe lei il sistema? «Dimezzerei i rimborsi obbligando tutti alla trasparenza assoluta. Anzi, se potessi rivoluzionare questo Paese farei di più». Cosa? «Abolirei i finanziamenti pubblici. E pure i partiti così come sono, con strutture rigide e costose. Come, ahimé, siamo anche nel Pdl. Mentre in Forza Italia eravamo diversi». Vi chiamavano il partito di plastica... «Beh, allora anche il partito repubblicano americano è di plastica: neanche un iscritto, eppure sono fortissimi». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/449444/ Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI - Di Pietro: mettono insieme il diavolo e l’acqua santa Inserito da: Admin - Agosto 03, 2012, 07:21:16 am Politica
02/08/2012 - intervista Di Pietro: mettono insieme il diavolo e l’acqua santa Il leader dell’Italia dei valori: il centrosinistra? Dobbiamo ancora capire qual è. Potrebbe chiamarsi «voltagabbana» FRANCESCA SCHIANCHI Roma L’appello di Vendola a smetterla con le polemiche lo derubrica a lite tra innamorati: «Se il suo fidanzato dieci volte le dice che le vuole bene e una le dice “Perché hai messo quella gonna?”, non gli vuole più bene?». Poi però critica l’«alleanza a prescindere» tra Pd e Sel, e li sfida entrambi, sulle liste da presentare alle elezioni in Sicilia e sulla raccolta firme dei quesiti referendari presentati proprio ieri dal suo partito, l’Idv. E sulle «avances» all’Udc, commenta: «In confusione non siamo noi, ma chi cerca di mettere insieme il diavolo e l’acqua santa in un rapporto programmatico impossibile». Presidente Di Pietro, che sta succedendo, vi stanno escludendo? Vendola parla di «deriva» a cui porta il «propagandismo esasperato»... «Invito lettori ed elettori a riflettere su cosa ha fatto oggi l’Idv, per valutare se si tratti di “propaganda” e “deriva”, o di coerenza programmatica». Cos’ha fatto oggi l’Idv? «Mentre Bersani e Vendola facevano queste critiche all’Idv, noi eravamo in Cassazione a depositare quattro quesiti referendari, due sul lavoro, a favore dei soggetti più deboli, e due per richiamare i soggetti forti, la Casta, ai propri doveri, eliminando il finanziamento ai partiti e la diaria dei parlamentari. Questa non è propaganda: vedremo se chi si dice di centrosinistra ci aiuterà a raccogliere le firme per ripristinare i diritti». Beh, però critiche vengono anche dal suo stesso partito. Donadi dice che l’Idv da mesi «non sembra avere interesse» per la costruzione di una coalizione con Pd e Sel... «Ognuno è libero di esprimere le proprie idee. Ma noi stiamo costruendo un programma riformista, non è colpa nostra se altri ci rinunciano: mi rifiuto di credere che alla fine Vendola rinunci alle battaglie comuni in difesa dell’articolo 18 e dei diritti civili per cercare una condivisione programmatica con Buttiglione e Casini». Madov’èfinitol’assetraleieVendola? «Invito a leggere tutte le sue dichiarazioni, non solo quelle che interessano per creare la polemica». Nella conferenza stampa “chiarificatrice” ha ribadito che certe sue polemiche rischiano di portare alla rottura. «Ma lei, se il suo fidanzato dieci volte le dice che le vuole bene e una le dice “Perché hai messo quella gonna?”, non gli vuole più bene?» Quindi si sente ancora «fidanzato» con Vendola? «Rispetto Sinistra e libertà e non cado nel trabocchetto di chi vuole creare polemica a tutti i costi». Ma lei si sente sempre parte della coalizione di centrosinistra? «Io mi trovo nel centrosinistra, dobbiamo capire qual è il centrosinistra. Una data importante sarà il 16 settembre, quando si presenteranno le liste in Sicilia. Vogliono proporre l’alleanza Pd-Sel-Udc? Mi pare difficile immaginare il povero Vendola con Lombardo e Cuffaro... ». Si candida anche lei alle primarie? «Non so quale centrosinistra sarà, prima voglio vedere l’identità programmatica». Nel frattempo pure Grillo le ha mandato a dire che alleanze non ne fa... «Io ho sempre rispettato il fatto che Grillo andasse solo, e non ho chiesto niente! Ho detto solo che questa ipocrita maggioranza deve ringraziare il fatto che non ci ritroviamo in un’unica lista, se no li manderemmo tutti a casa in un colpo solo». Invece sembrano voler far fuori lei... Dica la verità, non ha qualche autocritica da fare? «Noi stiamo portando avanti la nostra politica nel pieno rispetto della Costituzione, e stiamo cercando di informare i cittadini di tutte le anomalie, le violazioni continue della Costituzione come l’abuso dei voti di fiducia». Il capogruppo Belisario ha evocato la crisidellegiuntelocaliincui governate con il Pd, se il Pd non vi volesse più... «Il nostro impegno è per costruire un centrosinistra di governo nazionale e locale: se qualcuno modifica il programma, beh non sarà più centrosinistra, si chiamerà voltagabbana, pincopallino, che ne so...». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/464399/ Titolo: Francesca Schianchi. Onorevoli liquidazioni d’oro Inserito da: Admin - Febbraio 28, 2013, 11:26:03 am Elezioni Politiche 2013
28/02/2013 - Il «prezzo» dell’esclusione Onorevoli liquidazioni d’oro Gli ex parlamentari che non entreranno alla Camera o al Senato riceveranno un importo al netto delle imposte Per ex deputati e senatori bocciati o non più candidati arriva il ricco “assegno di fine mandato” Francesca Schianchi ROMA Poco più di 41mila euro come minimo: per chi, come la deputata democratica Paola Concia, paladina dei diritti gay, torna a casa dopo solo una legislatura. Ma c’è anche chi, come il presidente della Camera Gianfranco Fini, con i suoi trent’anni di Parlamento ha diritto a circa 250 mila euro. Se chi ha deciso di non ricandidarsi o chi, come improvvidamente è scappato detto in un tweet poi cancellato dall’account della presidenza del Consiglio, è stato «trombato» dal voto, dovrà dire addio a stucchi e velluti di Montecitorio e Palazzo Madama, è pur vero che una consolazione se la vedrà accreditare sul conto corrente. Si chiama assegno di fine mandato, o di «solidarietà»: praticamente la liquidazione, che spetta agli ex parlamentari. Un gruzzoletto che consiste nell’80% dell’indennità lorda (10.435 euro alla Camera; 10.385,31 al Senato) moltiplicato per gli anni di mandato effettivi, o frazione superiore ai sei mesi. È vero, come si affrettano a ricordare dai Palazzi, che ogni mese dallo stipendio dei parlamentari viene accantonata una quota da destinare a questo fondo (784,14 euro alla Camera e circa 695 al Senato), ma è vero anche che le cifre che incasseranno alla fine i parlamentari cessati dal mandato sono esentasse. Migliaia di euro netti, arrivederci e grazie. Così, per esempio, se Fini potrà consolarsi con 250 mila euro su per giù, il democratico Franco Marini, ex presidente del Senato, 21 anni in Parlamento, potrà contare su una cifra che si aggira sui 174 mila euro. 141 mila spettano a Italo Bocchino, il colonnello di Fini che, come tutta Fli, resta fuori dalla Camera, dopo averla frequentata dal 1996. Più basse le buonuscite di altri futuristi, da meno tempo in Aula: circa 58 mila per Flavia Perina, deputata dal 2006, così come per l’avvocato Giulia Bongiorno; 41 mila euro o giù di lì per l’ex falco finiano Fabio Granata. Antonio Di Pietro, il leader di Italia dei valori, rimasto fuori, causa mancato quorum della lista «Rivoluzione civile», ha diritto alla liquidazione per due legislature, di cui una interrotta dopo due anni: circa 58 mila euro. All’incirca 100 mila euro è quello che invece spetta dopo 12 anni tra i banchi a Guido Crosetto, ex sottosegretario del Pdl, poi diventato fondatore, insieme con Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, della nuova formazione «Fratelli d’Italia». Stessa indennità di fine mandato per l’ex sottosegretario Giuseppe Cossiga. E anche per Maurizio Paniz se, in bilico in Veneto, alla fine non ritornerà alla Camera, dove è diventato un volto noto del Pdl quando ha arringato l’Aula sulla convinzione di Berlusconi che Ruby fosse la nipotina di Mubarak. Prima dei non eletti in Campania anche Anna Maria Carloni, la moglie di Bassolino: se non entrerà, incasserà un assegno di circa 58 mila euro. Anche chi ha rinunciato alla candidatura di sua volontà, ovviamente, ha diritto all’indennità. Circa 217 mila all’ex premier Massimo D’Alema, 26 anni nel Palazzo, sette legislature, così come per la collega Livia Turco. Per l’ex ministro Beppe Pisanu, che riscuote «solo» per gli ultimi 19 anni in Parlamento (ne aveva fatti altri venti prima, dal ’72 al ’92, poi un’interruzione), circa 157 mila euro. Sui 141 mila euro per Marcello Dell’Utri come per Claudio Scajola, entrambi con 17 anni di carriera parlamentare; 100 mila per l’ex candidato premier Francesco Rutelli e per l’ex segretario del Ppi Pierluigi Castagnetti. Walter Veltroni, invece, ha diritto unicamente all’indennità di questa ultima legislatura, un po’ più di 41 mila euro, perché una parte, per i suoi primi anni di attività parlamentare, l’ha avuta quando nel 2001 abbandonò lo scranno per fare il sindaco di Roma. da - http://lastampa.it/2013/02/28/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/onorevoli-liquidazioni-d-oro-iy2BDbNq7gEe4RzJvTVDNO/pagina.html Titolo: Francesca SCHIANCHI. Renziani: “La base sta con noi” (oppure con i 5-Stelle) Inserito da: Admin - Luglio 28, 2013, 10:46:08 am politica
28/07/2013 Polemiche accese dopo la Direzione Renziani: “La base sta con noi” Dopo la Direzione di venerdì si inasprisce il dibattito nel Pd in vista del Congresso Francesca Schianchi ROMA «Non hanno capito che la proporzione 80 a 20 a sfavore di Renzi esiste solo a Largo del Nazareno». Cioè, nella sede nazionale del Pd. Secondo un fedelissimo renziano, è quello l’unico luogo in cui, da Bersani a Franceschini, la maggioranza del partito ha ancora percentuali bulgare. «Nel resto d’Italia non è più così, gli equilibri stanno cambiando». Motivo per cui, il giorno dopo il fallito blitz sulle regole (congressi locali prima delle candidature nazionali e segretario eletto solo dagli iscritti), l’anima renziana del Pd si mostra tranquilla. Il sindaco di Firenze, ormai da una decina giorni in silenzio stampa, era ieri al lavoro a Palazzo Vecchio. Uno tra i suoi più autorevoli sostenitori, l’ex ministro Paolo Gentiloni, sospira preoccupato: «Quello che è successo venerdì in Direzione è sconfortante. Basta leggere i giornali per capire quale danno abbia fatto al partito: in un momento come questo, si sono preoccupati di proporre un non-congresso con l’intenzione disarmante di evitare che una persona possa diventare segretario del Pd. Peraltro senza riuscirci». Un danno all’immagine del partito, «nemmeno un favore al governo», ma non un colpo a Renzi: «Prigionieri dei loro cavilli – valuta Gentiloni – non mi pare abbiano fatto male a Matteo». Lui, il sindaco, se l’aspettava qualche regola capace di metterlo in difficoltà. Ma stavolta, a differenza delle primarie dell’autunno scorso, fanno notare dalle sue parti, le cose sono cambiate: da Cuperlo a Civati all’arcinemica Rosy Bindi, sono stati anche altri a bocciare la proposta. Un fronte composito che ha impedito alla «maggioranza» di avere i numeri per far passare le modifiche: «Gli è andata male sia dal punto di vista politico che mediatico: ci hanno provato e manco ci sono riusciti», ridacchia un renziano doc. «Epifani ha persino dovuto smentire se stesso», dice, facendo riferimento alle dichiarazioni del segretario venerdì sera alla Festa del Pd di Roma, dove è stato accolto anche da proteste dei No Tav e di Occupy Pd: la platea degli elettori, ha dichiarato, «non può essere solo di iscritti perché sono troppo pochi». Così, ora, resta da capire cosa potrà cambiare nello Statuto. Per operare modifiche, ci vuole la maggioranza assoluta dei voti dei mille membri dell’Assemblea nazionale. Numeri che nessuna area del partito è in grado oggi di garantire. «È evidente che non si possa azzardare a portare in Assemblea nulla di controverso», giudica Gentiloni. «Alla fine, l’unica cosa che a mio avviso si potrà fare, sarà confermare la norma approvata per consentire a Matteo di correre alle primarie: il segretario resta candidato premier, ma anche altri possono candidarsi. Non vedo chi avrebbe interesse a contrastare questa regola». C’è un’altra proposta che vede molti in disaccordo. Quella che vorrebbe fare svolgere i congressi locali ed eleggere i segretari regionali prima che scendano in campo le candidature nazionali, senza collegarli quindi alle varie mozioni. Il segretario aveva pensato - e ne aveva parlato coi segretari regionali - di affidare a due personalità del partito, d’esperienza e super partes, Alfredo Reichlin e Pierluigi Castagnetti, la stesura di un documento unitario, una sorta di testo preparatorio al dibattito congressuale, da discutere nei circoli. Ma agli interessati la richiesta non è ancora arrivata. Dopo il caos della Direzione, i renziani sono abbastanza convinti che la proposta non passerà, e i congressi regionali si terranno collegati alla sfida nazionale. Non fosse così, comunque, non si mostrano preoccupati: dal sindaco di Bologna alla governatrice del Friuli, fanno notare, sono tante le personalità sul territorio in avvicinamento. «I bersaniani e gli altri pensano di avere ancora in mano il territorio, ma non è più così». da - http://lastampa.it/2013/07/28/italia/politica/polemiche-accese-dopo-la-direzione-renziani-la-base-sta-con-noi-nY05o9mWtNXM0VKKrl1QLI/pagina.html Titolo: Francesca Schianchi. Renzi: “Prendetevi pure la Grecia, io preferisco fare le... Inserito da: Admin - Luglio 12, 2015, 06:04:21 pm Renzi: “Prendetevi pure la Grecia, io preferisco fare le riforme”
Il premier ai pro-Tsipras: io voglio tenere l’Italia fuori da questi scenari drammatici Matteo Renzi assicura che si aspettava questo risultato: «Avevo scommesso con Lotti un 70% al no» 06/07/2015 Francesca Schianchi Roma «Volete la Grecia? Prendetevela! Se volete proporre ai cittadini code ai bancomat per venti euro al giorno, se questo volete proporre agli italiani, accomodatevi pure. Io preferisco fare le riforme e tenere fuori l’Italia da questi scenari drammatici». A risultati ormai chiari, quando, nonostante lo spoglio in corso, non ci sono più dubbi sulla vittoria del no, il presidente del Consiglio Matteo Renzi risponde così «a chi inizia a festeggiare Tsipras eroe». Mentre i sostenitori di «oxi» esultano in piazza ad Atene, e Twitter e agenzie di stampa cominciano a rilanciare le dichiarazioni trionfanti dei sostenitori nostrani, il premier commenta ironico: «Festeggiano come se a Fermo, Nuoro ed Arezzo potessero aggiungere Corfù e Creta, ma non vedo cosa possano fare insieme Brunetta e Fassina: mi pare una convergenza fantastica». «Me l’aspettavo» Ha stravinto il no: lui se lo aspettava, anzi, si attendeva anche percentuali superiori, assicura. «Non sono per nulla stupito, avevo scommesso con Lotti che il no avrebbe vinto 70 a 30», perché, spiega, «la posizione del sì era debole. Non è stato presentato come un referendum euro contro dracma, Tsipras è stato abile a presentarlo dicendo “restiamo nell’euro ma datemi più forza per trattare e portare a casa un accordo migliore”». Morale, i cittadini greci hanno preso una decisione «della quale occorre, in primo luogo, prendere atto con rispetto», ricorda il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, una decisione che tuttavia, sottolinea, «proietta, oltre ad Atene, la stessa Unione europea verso scenari inediti, che richiederanno a tutti, sin d’ora – raccomanda - senso di responsabilità, lungimiranza e visione strategica». Padoan e la solidarietà Caratteristiche da mettere in campo subito, perché a questo punto, secondo il premier, «è complicato, si apre una settimana cruciale: mi risulta che Tsipras voglia trattare, ma molto dipende dalla partita interna tedesca fra la cancelliera Merkel e il ministro delle finanze Schauble», considera. Una settimana che lui aprirà con un summit insieme al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, domattina alle 9.30 a Palazzo Chigi, proprio per valutare le conseguenze del referendum greco. Che non impatteranno negativamente sull’Italia, hanno ripetuto nei giorni scorsi («noi siamo quelli che risolvono i problemi, non siamo il problema», ha ribadito il premier alla vigilia del voto): ieri, fonti del Ministero delle finanze rassicuravano sul fatto che l’Italia è pronta ad assorbire eventuali shock dei mercati. E il ministro Padoan twittava: «L’Italia lavora da sempre per una Europa solidale e più integrata. Era vero ieri e lo sarà ancora domani», e ancora «regole condivise dai popoli europei servono a garantire stesso obiettivo: il benessere attraverso crescita economica e occupazione». Per stamattina è prevista anche una riunione del Consiglio direttivo della Bce, per fare il punto della situazione e decidere sull’Ela, la liquidità d’emergenza. Nel pomeriggio, poi, l’incontro a Parigi tra Angela Merkel e il presidente francese François Hollande, che nel Pd guardano con preoccupazione, temendo che possa essere, come dice qualcuno, «più un problema che un vantaggio», se dovesse riproporre una sterile contrapposizione tra Europa e governo greco. «Io spero che una soluzione si trovi, perché se la Grecia uscisse dall’euro sarebbe una catastrofe, un’emergenza umanitaria», si allarma Renzi, «ci sono soldi nelle banche solo fino a domani (oggi, ndr.), non so come possano farcela», si preoccupa. Superata questa crisi, però, tutto quello che è successo deve essere l’occasione per aprire uno spazio politico per l’Italia, per promuovere una «terza via tra austerità e tagli ed emergenze e salvataggi»: «Da settembre bisogna ragionare su come l’Europa deve essere, bisogna rilanciare, chiedersi se non convenga di più all’Europa scommettere su crescita e investimenti piuttosto che vivere di emergenze e salvataggi». Da - http://www.lastampa.it/2015/07/06/italia/politica/renzi-prendetevi-pure-la-grecia-io-preferisco-fare-le-riforme-uq5IjMwX7vk7HmZah7wZPL/pagina.html Titolo: Francesca Schianchi. Parisi: se non avesse fatto le primarie Matteo sarebbe ... Inserito da: Arlecchino - Agosto 16, 2016, 05:50:10 pm Parisi: se non avesse fatto le primarie Matteo sarebbe ancora a Firenze
L’ex ministro: se ne faccia una ragione, sono la nostra ragione sociale Professor Arturo Parisi, lei è considerato il padre delle primarie italiane: Renzi sta riflettendo se sia il caso di continuare a farle, secondo lei se ne può fare a meno? «Se è per quello si può fare a meno anche delle elezioni ufficiali, le “secondarie”, e quindi della democrazia: quasi tutte le obiezioni avanzate contro le semifinali possono essere usate anche contro le elezioni finali. Ma la democrazia è “la peggiore forma di governo”, diceva Churchill, “ad eccezione delle altre sperimentate finora”». Prima obiezione: si rischia che vincano candidati incapaci poi di vincere le elezioni... «Sensato: in effetti le primarie non assicurano la scelta del candidato ottimale, né la vittoria alle elezioni. Ma scusi, quando a decidere erano pochi sconosciuti chiusi in una stanza, i candidati poi vincevano sempre? O erano i migliori?». Seconda obiezione: troppo spesso sono state inquinate. «Vero, esattamente come possono essere inquinate le elezioni finali: e allora non votiamo più? Nel caso, vanno corrette le regole e perseguiti gli inquinatori». Correggere le regole in che modo? «Iniziamo a far votare alle primarie solo chi ha titolo a votare alle “secondarie”». Cioè, no alle file di stranieri in coda ai seggi? «Una inclusione decisa soltanto per aumentare l’effetto propaganda. Acceleriamo semmai la loro integrazione come cittadini, e quindi il loro inserimento nelle liste elettorali». Morale, quale consiglio darebbe al segretario Renzi? «Di farsene una ragione: le primarie sono entrate nell’immaginario della nostra democrazia. A tornare indietro si fa e ci si fa del male». Quindi vanno fatte per trovare il candidato sindaco di Roma... «Sì, e fatte presto. Nel tempo giusto per farle e per dimenticarle: se sono primarie vere, il vincitore deve avere il tempo di coinvolgere i vinti. A Roma come negli altri Comuni che vanno al voto in primavera è giunta l’ora di allungare il passo: l’ideale sarebbe farle entro l’anno. Anche se ho annusato l’idea che, almeno per l’anno prossimo, e almeno a Roma, le elezioni potrebbero essere rinviate: sarebbe scorretto istituzionalmente e rischioso politicamente». Le primarie andrebbero regolate per legge? «Sarebbe l’ideale, anche se fossero solo facoltative. Ma con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo: non vorrei che questa proposta servisse più a rinviare la partenza che ad accelerare l’arrivo». Se il Pd smettesse di farle, perderebbe un pezzo della sua identità? «Senza dubbio. Non starebbe solo abbandonando un istituto che per primo ha adottato in Italia, ma, con l’indebolimento della “D” di Pd, perderebbe la sua ragione sociale». Strano che pensi di abolirle Renzi, l’uomo delle primarie: senza, secondo lei, sarebbe arrivato dov’è? «Sicuramente no. Secondo il vecchio modello, lo aspettava un lungo cammino, quello che gli consigliava D’Alema: prima l’esperienza locale, poi magari un passaggio in Europa, infine una candidatura per cariche nazionali». Magari sarebbe arrivato comunque a Palazzo Chigi, solo un po’ più vecchio. «Ma, sa, il tempo talvolta aiuta, ma più spesso logora: soprattutto chi il potere non ce l’ha ancora...». Francesca Schianchi da - http://www.lastampa.it/2015/10/11/italia/politica/parisi-se-il-pd-cancellasse-le-primarie-perderebbe-la-sua-ragione-sociale-LbkNJSLzHFLSSZXsy6NIrI/premium.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI Gentiloni: “Europa a due velocità? Possibile, ripartiamo... Inserito da: Arlecchino - Agosto 26, 2016, 08:56:09 pm Gentiloni: “Europa a due velocità? Possibile, ripartiamo dai sei Paesi fondatori”
Il ministro degli Esteri: sui migranti basta annunci, azione comune 29/01/2016 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA «È giusto discutere di un’Europa a due velocità, anche se non si tratta della definizione migliore, perché opposte visioni devono e possono convivere»: così il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, preannuncia che nel prossimo incontro a Roma fra i colleghi dei sei Paesi fondatori dell’Ue si inizierà a delineare una «visione comune sul futuro dell’Unione». Sono parole che disegnano un possibile sentiero per armonizzare le differenti posizioni di più Paesi membri su temi scottanti come l’immigrazione. Ministro, l’ultima notizia dall’Europa sono i voli speciali svedesi per rimpatriare 80.000 migranti. Che ne pensa? «I rimpatri devono far parte di un’azione comune europea e non di annunci a effetto». E che impressione le fa la norma danese sul prelievo ai migranti? «È qualcosa che, sul piano culturale, l’Europa non dovrebbe mai vedere. Come far pagare l’Ici ai senza tetto. E chiunque conosca la drammaticità di queste rotte fa fatica a capire come possa essere applicata: mi sembra una norma manifesto utile più che altro ai fini del consenso interno». Rischiamo la fine di Schengen? «Spero di no, ma non basta la speranza, qualcosa deve cambiare. Non possiamo proseguire con le regole di Dublino che scaricano sui Paesi di primo arrivo asilo o respingimento dei migranti. Servono un diritto di asilo europeo, un’azione di rimpatrio europea, una polizia di frontiera europea. Senza questo scatto, la conclusione rischia di essere il sacrificio della libera circolazione delle persone». La soluzione alla crisi europea potrebbe essere l’ipotesi di una Europa a due velocità? «Qualche settimana fa ho scritto un articolo con il ministro degli Esteri inglese: la definizione di Europa a due velocità non è la migliore, ma è giusto discutere di livelli di integrazione diversa. C’è chi, come l’Italia, vuole un’unione bancaria, fiscale e politica crescente. E chi, come il Regno Unito, vuole solo un mercato comune più efficiente. Due visioni che devono e possono convivere». In che modo? «Cominceremo a parlarne a Roma, in un incontro tra ministri degli Esteri dei sei Paesi fondatori a sessant’anni dai trattati istitutivi». Oggi si incontreranno Renzi e Merkel: cosa dobbiamo aspettarci? Ieri il premier alla «Faz» ha detto chiaramente che la Germania sbaglia a privilegiare il rapporto con la Francia… «Una cosa è certa: Italia e Germania sono protagonisti della scena europea, hanno differenze sulle regole economiche ma possono lavorare a una visione comune sul futuro dell’Unione». Intanto, in Italia la settimana è stata segnata dalla visita del presidente Rohani. Quali aspettative avete dal rapporto con l’Iran? «Il significato politico è molto chiaro: la prima visita in Occidente l’ha fatta in Italia non per caso, ma come conseguenza di un rapporto iniziato 60 anni fa e proseguito anche in tempi recenti. Questa primazia non basta in un contesto in cui tutti saranno in competizione per questo mercato, ma l’Italia parte con un piccolo vantaggio». Che paghiamo però arrivando a coprire statue millenarie? «Quella è stata una sciocchezza incomprensibile». Il rabbino Di Segni ha trovato la visita intollerabile, tanto più nel Giorno della Memoria… «L’Italia ha celebrato la Giornata della Memoria con tutto l’impegno che merita. La visita di Rohani non c’entra. Certo, capisco la preoccupazione di Israele, la cui sicurezza per noi è cruciale. Ma non condivido il giudizio del governo israeliano sull’accordo nucleare, che penso abbia evitato, e non creato, una minaccia. E i prossimi mesi ci diranno se, come auspico, la diplomazia avrà prodotto i suoi frutti positivi nella regione». Ad esempio nei negoziati sulla Siria? Non sembrano facili… «L’avvio di oggi, che mi auguro ci sia, sarà davvero molto preliminare. Al massimo, quel che i diplomatici chiamano “negoziati di prossimità”: tradotto, il commissario Onu De Mistura che fa la spola tra due parti che non si incontrano… La strada del negoziato è stretta, e resa più impervia dall’impennata di tensione tra Paesi chiave come Iran e Arabia Saudita, ma non ce n’è un’altra per fronteggiare la più grave crisi umanitaria degli ultimi anni». Impervia è anche la strada per arrivare al governo di unità nazionale in Libia: è fiducioso? «Anche lì deve essere chiaro, soprattutto alle parti libiche, che non abbiamo alternative. Una nuova proposta di governo sarà presentata entro la settimana prossima. Fondamentale è che le parti libiche credano nel negoziato: senza questa base è difficile anche per la comunità internazionale contribuire a stabilizzare la Libia, perché occorre rispondere a una richiesta del governo libico». Cosa succede se, nonostante gli sforzi, il tentativo fallisce? «Succede che le parti libiche rinunciano - almeno per una fase che può non essere breve - a ogni speranza di sicurezza e ripresa del controllo sul territorio. Anziché una Libia stabile, avremmo una gigantesca Somalia dall’altra parte del canale di Sicilia. Naturalmente poi se un Paese si sente minacciato ha diritto a difendersi e può decidere di contrastare Daesh nelle forme che la comunità internazionale condivide». Da giorni si parla di un intervento militare. Ieri il ministro Pinotti ha detto che non si può far passare la primavera in questo stallo, precisando però che non ci saranno accelerazioni né azioni unilaterali. Ci spiega meglio? «Lavoriamo a far nascere un governo libico e a rispondere alle sue richieste, anche sul piano della sicurezza. Oggi non ci sono piani B basati su interventi stranieri, se non l’ovvio diritto-dovere di difendersi dal terrorismo». Un’ultima domanda: come sta andando il dossier Russia? C’è possibilità di abolire le sanzioni? «Se a giugno valuteremo che lo stato dell’attuazione degli accordi di Minsk è sufficiente, saremo ben lieti di abolirle o almeno ridurle. Ma al momento la valutazione è prematura». LEGGI ANCHE Un nucleo forte per creare una strategia (di Gian Enrico Rusconi) Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/01/29/italia/cronache/gentiloni-europa-a-due-velocit-possibile-ripartiamo-dai-sei-paesi-fondatori-Vlz3eXykwF3L3sV6fNgzaN/pagina.html Titolo: Francesca Schianchi Il premier rilancia la sfida ai leader. Inserito da: Arlecchino - Settembre 20, 2016, 08:55:52 pm “Se vinco il referendum al vertice di Roma sarò più forte di Merkel e Hollande”
Il premier rilancia la sfida ai leader. Il 18 ottobre l’incontro alla Casa Bianca con Obama: “Un fatto enorme. Gli parlerò di crescita-crescita-crescita” 18/09/2016 Francesca Schianchi inviata a Firenze «Io sto solo dicendo a Merkel e Hollande: volete portare l’Europa a cambiare? Io ci sono. La volete così? Fatevela, ma non chiedetemi di starci. Io la faccia su un maquillage non ce la metto. Visto che poi tocca a me finirla: perché se vinco il referendum succede che il 25 marzo, al vertice di Roma, io arrivo come il più forte di tutti, mentre loro saranno in piena fase elettorale». E’ mezzogiorno quando, poco prima di concedersi un pranzo col figlio maggiore Francesco, il premier Matteo Renzi si lascia andare con qualche amico in una saletta attigua all’imponente salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. All’indomani del deludente consiglio europeo di Bratislava, è qui, nella sua Firenze, che trascorre la mattinata. Visita alla conferenza sulla disabilità, apertura del Festival dell’innovazione Wired Next Fest, piccolo fuori programma con bagno di folla in piazza («che bello stare tra la gente: se invece lo annuncio prima mi contestano, perché sono tutte contestazioni organizzate»), lì dove, a dispetto dell’abito scuro che smagrisce, una verace concittadina lo rimprovera: «Oh Matteino, come tu sei ingrassato, che ti danno da mangiare a Roma?». Circondato da amici e compagni di Leopolda come l’attuale sindaco fiorentino Dario Nardella, il presidente del consiglio è di umore allegro, nonostante l’esito dell’incontro del giorno prima. «I giornali si ostinano a titolare “l’ira di Renzi”, anche se vedo che ormai c’è spesso anche “l’ira della Raggi” …», scherza, «e invece la mia posizione è senza polemica, col sorriso sulle labbra». Un sorriso amaro, però, se è vero che meno di un mese fa lui, il presidente francese Hollande e la cancelliera tedesca Merkel veleggiavano (apparentemente) affiatati e solidali verso Ventotene, per ricostruire insieme un’Europa diversa, e invece venerdì la posizione sua e quella di Parigi e Berlino si sono divaricate. Una distanza resa plastica dalla conferenza stampa di Hollande e Merkel, da cui Renzi è stato escluso. Giurano fonti presenti quel giorno di non avere saputo con certezza se i due leader l’abbiano organizzata come reazione infastidita della cancelliera alle parole del premier italiano durante la riunione («ho detto che non si può sostenere che le regole valgono per il deficit e non per il surplus commerciale della Germania da 90 miliardi di euro»), o se fosse già in programma da prima. Fatto sta che «in questi mesi abbiamo proposto tre formati: quello di Ventotene, quello di Atene, e la riunione dei sei Paesi fondatori dell’Unione europea. Mi hanno chiamato dicendo: bene, bravo. Poi però, dopo aver fatto questo percorso, ho chiesto di fare modifiche vere: ebbene, a Bratislava non sono venute fuori. Loro pensavano che io facessi la parte di quello che si accontenta, che dice “sì, sì”, ma non è così», spiega a chi gli chiede una ricostruzione delle ultime ore. Poco prima, in una sala affollata, aveva sintetizzato la situazione con una battuta: «Non faccio la foglia di fico a nessuno: non sono fico e non faccio la foglia». Eppure, insiste, «non sono polemico: con Hollande l’altra sera siamo andati a prendere la macchina insieme e abbiamo fatto anche due risate, mi ha detto: “Matteo, non hai attaccato la Turchia”, “sì François che l’ho attaccata…”». Il problema però resta, su due degli aspetti fondamentali delle politiche europee per l’Italia: l’immigrazione - che investe per prime e più di tutte le coste italiane - e la crescita. Che significa flessibilità e quindi soldi freschi da investire nella nostra economia. Renzi lo sa bene: «Fra sei mesi, a marzo del 2017», quando si terrà l’anniversario del Trattato di Roma, «o si è risolto il problema africano o mi ripiglio tutti gli immigrati anche quest’anno – ragiona sullo scenario – o si riparte con la crescita o mi ritocca la gauche caviar che mi dirà “Eh, però, la crisi…”». E allora, che fare adesso? Lui, per ora, mantiene lo stile arrembante: «Io non violo le regole europee, io le rispetto: ma ci sono altri che non le stanno rispettando. Non fai te, Europa, l’accordo con l’Africa? Va bene, lo faccio da solo». Convinto di avere un asso da calare di un certo peso: «Michelle e Barack invitano Agnese e Matteo alla Casa Bianca», ricorda l’invito a Washington dagli Obama del 18 ottobre prossimo. «L’ultima cena di Stato la fa con l’Italia, è una cosa enorme: e io parlerò di crescita, crescita, crescita». La ricetta di investimenti del presidente americano, lo ha ripetuto pubblicamente poco prima, è quella giusta: mica come la deprimente austerità europea. Spera che chissà, dall’altra sponda dell’Atlantico possa arrivare un sostegno. In vista di un nuovo round della lunga battaglia per cambiare l’Europa, al consiglio europeo di ottobre. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/09/18/italia/cronache/se-vinco-il-referendum-al-vertice-di-roma-sar-pi-forte-di-merkel-e-hollande-X034mygGzcKsrXKr3W6KAL/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Gentiloni: “Sui migranti l’Europa va a sbattere se non ... Inserito da: Arlecchino - Ottobre 05, 2016, 12:33:24 pm Gentiloni: “Sui migranti l’Europa va a sbattere se non fa rispettare gli accordi presi”
Il Ministro degli Esteri: sull’economia è fiscale e poi lascia fare quello che si vuole sui rifugiati 04/10/2016 Francesca Schianchi Roma «Se l’Unione europea resta ferma al dogma dei decimali in economia e all’idea che ciascun Paese fa quel che vuole sul tema migratorio, va a sbattere». Lo ripete più volte il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ragionando del futuro dell’Europa all’indomani del referendum ungherese. In Ungheria non c’è il quorum, ma in 3 milioni hanno votato no ai migranti. Come vanno interpretati questi due dati? «Il voto in sé non è stato il plebiscito cercato, per cui è una sconfitta per chi l’aveva promosso. Purtroppo, però, dire che questo significhi una svolta nella politica migratoria europea sarebbe un’illusione». Se l’Ungheria insistesse a rifiutare di accogliere 1300 migranti sarebbe giusto infliggerle una sanzione? «Io non posso credere che la Ue, così arcigna sui decimali di bilancio nonostante sia evidente la necessità di dare impulso alla crescita economica, sia invece comprensiva verso Paesi riluttanti ad applicare le decisioni sui migranti o addirittura tollerante verso chi alza muri». Si usano due pesi e due misure a seconda che si parli di economia o migranti? «È come se ci fosse una specie di licenza di infrangere le regole per quanto riguarda la questione migratoria». Infatti il ricollocamento dei migranti non è stato fatto se non in minima parte… «La politica europea sembra succube di veti vari e rischia di essere immobile, in attesa della prossima tragedia. A inizio anno l’Italia ha proposto il Migration compact, a giugno la Commissione l’ha fatto proprio: dopo 4 mesi non solo la parte operativa è ferma - le intese con 5 Paesi africani - ma addirittura lo stanziamento, seppur modesto, di 500 milioni di euro chiesto dalla Commissione, è stato bloccato». Si fanno addirittura passi indietro? «Speriamo che quei soldi siano sbloccati al più presto, ma ho l’impressione che in Europa si consideri la questione migratoria come nata nel luglio 2015 e risolta a marzo con l’accordo con la Turchia. Mentre è iniziata da anni e durerà ancora anni, e lo stesso accordo con la Turchia va continuamente mantenuto: per ora regge, ma con qualche incrinatura». Noi sappiamo quanto la crisi migratoria sia antica: ieri era l’anniversario del naufragio del 3 ottobre 2013. Cosa è cambiato da allora nell’approccio europeo? «Qualcosa dal punto di vista della condivisione dell’attività di soccorso in mare, ma pochissimo da quello dell’accoglienza comune». Sperate nella rifondazione di una nuova Unione entro l’anniversario del Trattato di Roma di marzo? «A Roma ricorderemo che, senza Unione, l’Europa rischia l’irrilevanza nel mondo globale. Ma l’Ue non può vivere in attesa di un anniversario: servono subito rimedi concreti». Quel che arriverà di certo sono i negoziati sulla Brexit: saranno avviati a marzo, fa sapere la premier Theresa May… «È positivo che finalmente Londra abbia indicato i tempi. La signora May ha lasciato intendere che si tratterà di una sostanziale uscita dal mercato unico, per cui bisognerà definire nuove relazioni tariffarie e commerciali, non semplicemente dare un’aggiustatina. Ci vorrà un atteggiamento equilibrato, non pregiudizialmente ostile, sapendo che ci vorranno anni di negoziato». Uscita dal mercato unico significa anche no alla libera circolazione delle persone? Per gli italiani vivere e lavorare a Londra diventerà difficile? «Certamente non avranno problemi gli italiani che sono già nel Regno Unito. Per il futuro, i britannici invocano sempre il principio di reciprocità. Giusto. Ma siccome hanno bisogno di un’unione doganale, non credo possano limitare più di tanto la circolazione dei cittadini Ue». Ministro, allargando il fuoco al Mediterraneo: cosa significa per l’Italia prendersi un ruolo da pivot in quell’area, per usare un termine usato da lei? «Era un modo per richiamare la centralità di un’area decisiva per i nostri interessi nazionali, come ha scritto domenica nel suo editoriale Molinari su “La Stampa”. Siamo riusciti a riportare il Mediterraneo in cima all’agenda di Ue e Nato: fino a due anni fa si parlava quasi solo di Ucraina. Guidiamo con gli Usa il tavolo libico e svolgiamo un ruolo chiave in quello siriano; promuoviamo un’agenda positiva sulle opportunità economiche, in una regione in cui siamo al quarto posto negli scambi dopo Usa, Cina e Germania. In prospettiva, si tratta di ricostruire le basi di coesistenza e reciproco riconoscimento tra attori della regione: ne parleremo tra due mesi a Roma nella seconda edizione di Med Dialogues». La regione significa anche Siria: siamo a un passo dalla rottura tra Usa e Russia? «Noi siamo stati tra i primi a considerare la presenza russa in Siria come un’opportunità, una leva per indurre il regime siriano a passare dalle bombe al negoziato. Ora c’è il rischio che il tavolo russo-americano salti: per evitarlo, serve da Mosca l’impegno chiaro, non teorico, di fermare l’offensiva di Assad ad Aleppo». In Libia invece sembra che non si riesca mai a sradicare Isis… «È vero che restano sacche di resistenza, ma, in poco più di due mesi, l’offensiva delle forze che appoggiano il governo Sarraj, anche a costo di numerose perdite ha molto ridotto la presenza di Daesh (Isis in arabo, ndr.): a Sirte si parla di un paio di caseggiati». A proposito di Libia: ci sono novità dei connazionali rapiti a Ghat? «Lasciamo lavorare i nostri apparati e le forze di sicurezza». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/10/04/esteri/sui-migranti-leuropa-va-a-sbattere-se-non-fa-rispettare-gli-accordi-presi-QhUd0zJAVbkCTdw7qvrq7O/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Dittatori, partigiani, insulti e poltroncine: se il ... Inserito da: Arlecchino - Ottobre 10, 2016, 12:29:38 pm Dittatori, partigiani, insulti e poltroncine: se il dibattito sul referendum finisce in rissa
Il botta e risposta D’Alema-Lotti è solo l’ultimo episodio di una campagna dai toni accesi 08/10/2016 Francesca Schianchi Se vince il sì arriva la dittatura, la fine delle libertà e della democrazia. Macché, è se vince il no che si apre la strada al caos, scappano gli investitori stranieri, l’Italia sprofonda nella crisi più nera. Dittatori, partigiani veri e no, «poltroncine» di consolazione. Toni apocalittici, solo un poco smorzati nelle ultime settimane, e accuse sanguinose, in questa campagna elettorale referendaria. Tanto che oggi, dalle colonne dell’Unità, l’ex presidente della Camera Luciano Violante ha chiesto un time out al suo partito. Basta con «l’insulto e il dileggio» - prima di tutto da parte di chi ha ruoli di governo e di maggioranza - si faccia del dibattito referendario «una grande occasione di civilizzazione del dibattito pubblico». E lo ha detto a partire dal caso più clamoroso dell’ultima settimana, quello D’Alema-Lotti. Quando l’ex premier ha invitato il suo successore a Palazzo Chigi a governare «invece di andare in giro a fare comizi» (e d’altra parte, solo una decina di giorni fa, si era rivolto con un sorriso sarcastico a Giovanni Floris: «Lei fa parte di quel 2-3 per cento che ancora prende sul serio le cose che dice il presidente del Consiglio», che poi sarebbe anche il segretario del Pd, cioè il suo segretario) e il sottosegretario Luca Lotti, fedelissimo di Renzi, gli ha sobriamente replicato definendolo «accecato dalla rabbia e dall’odio personale per non aver ottenuto la sua poltroncina di consolazione» (ossia il posto da Alto rappresentante della politica europea che Renzi ha destinato alla Mogherini). Ma l’elenco dei toni esasperati da campagna elettorale è lungo. A partire dagli scenari del day after del referendum, il 5 dicembre: e allora «se vince il sì è in pericolo la nostra democrazia» (Brunetta), ma se vince il no «torniamo indietro di trent’anni» (Mario Segni). Se vince il sì, argomentava la ministra Boschi a tre giorni dalla strage di Nizza del 14 luglio, il Paese può essere «più forte», così da rispondere con l’Europa nientemeno che «al terrorismo internazionale»; ma se vince il sì, avvisa dall’altra parte il fondatore della Lega Umberto Bossi, «Renzi rischia di diventare il dittatore d’Italia». Anzi, a parere del pentastellato Luigi Di Maio è già sulla buona strada, visto che ha «occupato con arroganza la cosa pubblica, come ai tempi di Pinochet in Venezuela», scrive prima di fare combaciare storia e geografia e posizionare Augusto Pinochet - con tanto di colpo di Stato del ‘73 e morte di Allende - più correttamente in Cile. Gaffe infelici come quella della Boschi con i partigiani, destinata a provocare una polemica furibonda, quando se n’è uscita a sottolineare che molti partigiani, «quelli veri», voteranno sì alla riforma. E frecciate velenose come le tante riservate al premio Oscar Roberto Benigni quando, dopo essersi detto «orientato al no» qualche mese fa, ora è decisamente schierato per il sì: «Se vince il no sarà peggio della Brexit», ha sfoggiato pure lui un tono apodittico, ma col ghigno ironico del comico. Una gragnuola di attacchi, da «anche Benigni tiene famiglia…» di Brunetta a «facci vedere il tuo ministero» di Fitto. E la campagna elettorale è ancora lunga. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/10/08/italia/politica/dittatori-partigiani-insulti-e-poltroncine-se-il-dibattito-sul-referendum-finisce-in-rissa-CthNKosxdJLdkECOT2xC4K/pagina.html Titolo: SCHIANCHI. Bersani: il premier sia più umile e la smetta di paragonarsi a Prodi Inserito da: Arlecchino - Ottobre 14, 2016, 11:28:44 am Bersani: il premier sia più umile e la smetta di paragonarsi a Prodi
“Sì, ero per il doppio turno, ma di collegio, che è del tutto diverso. Se voto No non mi dimetto. Col sì elezioni più vicine, e poi non venitemi a chiamare” 12/10/2016 Ilario lombardo, Francesca Schianchi Roma In mattinata, l’aveva detta così: «Solo se la Pinotti schiera l’esercito mi si potrà far fuori dal mio partito. Quella è casa mia». Pierluigi Bersani è l’uomo più ricercato del giorno e ha voglia di rispondere a chi parla di scissioni imminenti. Nel pomeriggio l’ex segretario dem riceve il vignettista Sergio Staino, neo-direttore dell’Unità, che mesi fa disse a quelli della minoranza Pd che con Togliatti sarebbero finiti in Siberia. Perché non è intervenuto in direzione? «Bastavano Gianni Cuperlo e Roberto Speranza a dire le cose come stanno». La commissione Pd sulla legge elettorale è un’apertura concreta di Renzi, o no? «(Sorride) Una commissione non si nega a nessuno. Io ho detto a Guerini che noi della minoranza ne faremo parte solo per rispetto a lui». Cuperlo ha detto che se voterà no si dimetterà da deputato. Lo farà anche lei? «Quello di Cuperlo è un gesto generoso, ma non è una linea politica. E poi: qualcuno dovrà pur rimanere a testimoniare per il No». Accetterebbe un confronto tv con Renzi? «Credo non lo farebbe lui. Io, comunque, non faccio il portavoce del fronte del No». Come spiegherà agli elettori il No a un riforma che aveva votato in Parlamento? «Spiegherò che c’è un problema di democrazia, come dicevo già un anno fa. Oggi tutti parlano del pericolo proveniente dal combinato disposto Italicum-riforma costituzionale. Quando lo sostenevo io, eravamo in pochi. Per quel motivo si è dimesso un capogruppo, Speranza, e io per la prima volta in vita mia non ho votato la fiducia al mio partito». Renzi dice che eravate voi i sostenitori del doppio turno... «Il doppio turno di collegio, che è ben altra cosa. Lui parla tanto della legge dei sindaci... ma il sindaco è l’amministratore di un grande condominio che è il comune, non fa leggi, non stampa moneta». Scenari sul dopo referendum. Se vince il No? «Non si andrà al voto subito perché bisognerà prima fare una legge elettorale». Se vince il Sì? «Può essere che si vada a votare. Ma può benissimo succedere che il Pd perda, e vinca qualcun altro. A quel punto però, non mi venissero a cercare, eh...» Qual è il pericolo, scusi? «Visto cosa sta succedendo in Europa, e nel mondo? Io ho l’orecchio a terra, sento il magma che si muove sotto. E poi non pensiamo che la destra nel Paese non ci sia...» Con l’Italicum si conosce subito il vincitore: non è un bene? «Possiamo anche saperlo nel pomeriggio, se è per questo. Andiamo da Giletti, estraiamo a sorte una persona e gli diamo il cento per cento. Dai, non scherziamo... Se insisti a semplificare, alla fine trovi qualcuno che semplifica più di te. Anche un rappresentante della nouvelle vague del socialismo francese come Macron ha detto che se c’è la febbre non puoi rompere il termometro». Smentisce la scissione, anche per il futuro? «Sembra di assistere al referendum tra repubblica e monarchia. Anche allora, dentro la Dc votarono diversamente, ma il giorno dopo erano tutti democristiani allo stesso modo. Come avvenne nel Pci con l’aborto: mica tutti votarono a favore». Il clima così è da congresso permanente, però. «Il congresso sarà importante se separeremo i ruoli di segretario e premier. E non lo dico perché voglio far fuori Renzi. Sarebbe un gesto di generosità per riaggregare il centrosinistra, aprirlo al civismo, alle associazioni. Dobbiamo uscire dalla logica del faccio tutto io e guardare fuori per vedere cosa c’è intorno a noi». Renzi si è augurato di non passare i prossimi 30 anni a chiedersi chi ha ucciso il Pd, come avete fatto con l’Ulivo. «Gli consiglio più umiltà: non si paragoni a Prodi, già questo segnala una perdita di dimensioni, sia dal punto di vista delle personalità che ne facevano parte - c’era gente come Ciampi - che da quello della spinta riformista. Potrei parlare per ore delle riforme che abbiamo fatto. Era un governo dove ci davamo del lei e non facevamo una legge di Bilancio in dieci minuti per andare al Tg. Ripetono di guardare al futuro? Cominciamo a non lasciare troppi debiti». È contrario a più flessibilità? «Sono favorevole: ma una famiglia si indebita per investire, non per regalare bonus». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2016/10/12/italia/politica/bersani-il-premier-sia-pi-umile-e-la-smetta-di-paragonarsi-a-prodi-unjey5rL9d3G3cLegGvVnL/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi all’attacco di Hollande: “Troppo duro con Mosca”. Inserito da: Arlecchino - Ottobre 21, 2016, 12:34:32 pm Renzi all’attacco di Hollande: “Troppo duro con Mosca”. E rivela: l’Ue spaventa Obama
“A lungo termine l’Unione preoccupa più della crisi siriana”. Sul referendum il premier chiede aiuto agli eurodeputati 21/10/2016 Francesca Schianchi Inviata a Bruxelles L’Unione europea deve rilanciarsi e cambiare. Così com’è, non preoccupa solo noi, ma anche di là dall’Oceano. Il presidente del consiglio Matteo Renzi arriva a Bruxelles dalla galvanizzante due giorni alla Casa Bianca, dopo solo un breve passaggio a Roma per incontrare il ministro dell’Economia Padoan: ad aspettarlo, sotto il cielo plumbeo della capitale belga, un Consiglio europeo che deve affrontare la crisi dei migranti e il delicato tema del rapporto con la Russia. Argomento sul quale riserva critiche al presidente francese François Hollande: l’unico, racconta in una riunione con gli eurodeputati Pd, a sposare una linea molto dura contro Mosca sulla Siria, tanto da lasciare perplessa persino la Casa Bianca. LEGGI ANCHE - Il Consiglio europeo apre alle sanzioni alla Russia. Renzi ai suoi: l’Europa preoccupa il mondo È in quella mezz’ora in compagnia del suo gruppo, al primo piano di un hotel del quartiere europeo, che, prima dell’appuntamento coi capi di Stato e di governo fa il punto della situazione. Partendo dall’Europa per arrivare all’Italia, al referendum del 4 dicembre come chiave di volta per ottenere consacrazione in patria e quindi peso contrattuale a Bruxelles. Ma il discorso del presidente del Consiglio parte dall’America, lì dove è appena stato e da cui è tornato entusiasta. Dove, con Obama, ha affrontato anche la questione Europa: tra i dossier che dovrà lasciare al suo successore (o, come si augura, alla sua successora), il presidente americano spera che la Siria possa essere una preoccupazione temporanea, che possa cioè trovare presto una soluzione, ha raccontato Renzi secondo varie fonti, mentre, in prospettiva, un’Unione europea che non dovesse riuscire a rilanciarsi viene vista come un grosso problema di lungo periodo. Bisogna cambiare, ha ripetuto il premier, ripercorrendo le tappe di quest’estate: la scossa della Brexit che sperava portasse a un cambio di marcia, l’appuntamento di Ventotene con Merkel e Hollande e l’illusione che fosse un nuovo inizio, la delusione dell’inconcludente vertice di Bratislava. E le loro posizioni che inevitabilmente tendono a divaricarsi: parole nette di critica le riserva appunto al presidente francese Hollande, per la sua linea molto dura nei confronti della Russia sulla questione siriana, una posizione che rischia di creare problemi all’Unione, riferiscono le parole di Renzi i presenti, su un tema di cui i capi di Stato e governo hanno parlato in serata nel corso della cena. Per questo, per cambiare un’Unione claudicante, per poter contrattare con più forza, il premier si è ricollegato nel suo discorso alla politica italiana. Datemi la consacrazione con la vittoria del referendum, il senso del suo appello, e potremo rilanciare la Ue su tre punti: l’economia, trovando un’alternativa all’austerità; l’Europa sociale; la cultura, l’istruzione, la ricerca. E per farlo, l’appello agli eurodeputati a darsi da fare, loro che, eletti con migliaia di preferenze, hanno relazioni e contatti sul territorio. In particolare serve una mano da quelli del Sud, da Roma in giù: al Nord andiamo bene, ha svelato Renzi, addirittura parlando di 25 punti di vantaggio del «sì» sul «no» in Lombardia. Ma è il Mezzogiorno il punto debole, su cui lavorare: il rapporto nel recupero degli indecisi, secondo i suoi calcoli, è di tre a uno per il «sì», ragiona confortato da sondaggi positivi che danno questa settimana il governo e il Pd in aumento, con gli altri partiti in calo. Bisogna lavorare e bisogna farlo subito, con un occhio rivolto all’appuntamento di marzo dell’anniversario del Trattato di Roma a cui, se vincesse il referendum, potrebbe arrivare, calcola, più forte di Hollande e Merkel alla vigilia delle elezioni. E con un occhio di riguardo per l’appuntamento del G7 di Taormina, di cui domani svelerà il logo. Oggi seconda giornata di vertice europeo dedicata al commercio: poi, appunto, volerà in Sicilia, per iniziative sul referendum a Palermo, Trapani e Messina. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/10/21/esteri/renzi-allattacco-di-hollande-troppo-duro-con-mosca-e-rivela-lue-spaventa-obama-DoWytVS4VRzyO1zhr2WX3M/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Dalle parti di Renzi lo hanno notato: Agnese funziona. Inserito da: Arlecchino - Novembre 08, 2016, 11:21:34 am Francesca Schianchi
Inviata a Firenze Quando, venerdì sera, tutti i fotografi lo hanno ripreso in prima fila all’inizio della Leopolda, Matteo Renzi sedeva accanto alla moglie Agnese. Abito nero, un filo di trucco, ha elargito ai cronisti solo sorrisi. Come d’abitudine, mai una parola di troppo, una dichiarazione fuori posto, un lamento che sarebbe stato meglio evitare. Dalle parti di Renzi lo hanno notato: Agnese funziona. Funziona la sua aria da giovane donna normale, da insegnante per anni precaria mamma di tre bambini. Funziona la sua immagine: una come tante, una sorella, una figlia. Un’immagine pulita e «comune» che, hanno valutato nella war room del premier-segretario, può rivelarsi preziosa in campagna elettorale: non a caso – dalla Casa Bianca alla visita agli sfollati del terremoto - ha cominciato a comparire più spesso accanto a lui. Perché l’obiettivo, ora che restano meno di trenta giorni, è recuperare un po’ di normalità e solidità alla narrazione del governo. «Basta con l’illusione del magico mondo di Matteo», riassume la strategia chi di questo ha parlato direttamente con lui, «bisogna riposizionare la comunicazione: dire sinceramente che non è tutto perfetto, ma questa è la via, la strada da percorrere». Con una squadra che sappia trasmettere l’entusiasmo delle origini, quando essere renziani era un azzardo e le Leopolde non erano ripetitive kermesse con le guardie del corpo a circondare il tavolo di lavoro coordinato dal ministro dell’Economia, ma appuntamenti corsari e un po’ guasconi. E così, l’obiettivo è di tornare a coinvolgere la vecchia guardia che in molti casi nel tempo è stata messa un po’ in disparte, come si è capito già ieri, aggirandosi per la grande navata della vecchia ex Stazione. Sul palco a condurre i lavori erano Matteo Richetti e Simona Bonafè, renziani di antico conio che negli ultimi tempi erano stati inesorabilmente esclusi dal cerchio magico: il premier-segretario-primattore dell’appuntamento fiorentino, in maniche di camicia, sale sul palco e dedica un abbraccio a uno, un bacio all’altra. Entrambi ricominceranno più spesso a comparire in tv. Al deputato modenese, addirittura, all’altro Matteo che un anno fa di questi tempi si lamentava della rottamazione mancata, ha fatto aprire la serata a più alto tasso simbolico, quella di venerdì, e ha voluto che la chiudesse il ministro Graziano Delrio, pure lui uno che si fece convincere dalla prima ora renziana, poi caduto un po’ in disgrazia. Tra i coordinatori dei tavoli tematici, due vecchi collaboratori con cui alterno è stato il rapporto, come il suo ex assessore fiorentino Giuliano Da Empoli e l’attuale sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che ha dovuto unire due tavoli per accontentare tutti quelli che volevano parlare con lui (e oggi interverrà dal palco). E di là, nel retropalco, trova posto anche Luigi De Siervo, ex manager Rai con cui Renzi è stato grande amico, prima di un lungo periodo di freddo (tanto che alla Leopolda dell’anno scorso si aggirava come un ospite qualsiasi, dopo anni di aiuto nell’organizzazione): è stato Renzi in persona a chiamarlo, qualche giorno fa. Con la richiesta di tornare a esserci. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/11/06/italia/politica/ora-matteo-riscopre-la-vecchia-guardia-e-si-affida-ad-agnese-Aon4THzW5nO6Z5GeiMPVVJ/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi: “La minoranza spera nella spallata. Inserito da: Arlecchino - Novembre 08, 2016, 10:53:26 pm Renzi: “La minoranza spera nella spallata. Così ricorda Bertinotti”
Il premier: che devo fare, fustigare chi ha urlato”fuori”? Pubblicato il 08/11/2016 Francesca Schianchi Inviata a Frosinone La minoranza è alla ricerca di argomenti per litigare, non rendendosi conto che il rischio è di trasformarsi agli occhi della nostra gente come Bertinotti e D’Alema nel ’98». Il primo comizio della settimana è appena terminato. Cinquecento militanti e fan si sono pigiati in un cinema di periferia al grido di «Basta un sì» per ascoltare, toccare, fotografare il segretario-premier. Ha fatto appena in tempo a iniziare il suo discorso, volando alto tra Stati Uniti, Mosul e Bruxelles, che arriva il primo urlo: «Manda a casa D’Alema». Manco dieci minuti, e di nuovo una voce: «Cacciali tutti». Qui, Renzi, maniche di camicia e cravatta bordeaux, alza lo sguardo verso il signore che ha strillato: «Buoni, buoni, noi non cacciamo nessuno». Parole significative, nel giorno in cui il segretario del Pd è sotto attacco per quel coro «Fuori-fuori» che si è alzato domenica dalla Leopolda. A Firenze ha dato il via al coro un contestatore isolato, seguito da pochissimi, sono certi dall’entourage di Renzi, portando come prova un tweet di Claudio Velardi con un video che riproduce il momento «incriminato». E lui, Renzi, dal palco ha reagito come fa spesso Obama: «Don’t boo: vote», nella versione italiana «Non urlate e fate i comitati per il sì». Nessuno scandalo, insomma, considera il segretario-premier, nessuna volontà di cacciare nessuno, solo un errore di valutazione nel racconto della giornata: «Ho attaccato duro sul tema degli scontri e a questo è stato riservato meno spazio rispetto a uno che ha urlato…». Il punto vero, secondo lui, però, è un altro: che la base del partito, la «nostra gente» - sia la Leopolda o l’affollato cinema di Frosinone - è arrabbiata con i vari Bersani, D’Alema, Speranza. Non li capisce, non li segue, li critica, ragiona con i suoi. Come dimostrerebbero i sondaggi riservati in mano al Pd, secondo cui il numero degli elettori grillini che voteranno sì al referendum è più alto di quello dei democratici che voteranno no, cioè delle truppe della minoranza. Dalle agenzie, il segretario del Pd legge le accuse che gli vengono rivolte - l’arroganza, la sudditanza. Il fantasma della scissione torna ad aleggiare su un partito inquieto, ma lui parlando con alcuni suoi collaboratori, in auto mentre fila verso un altro comizio, declina ogni responsabilità: «Per tenerli dentro abbiamo fatto tutto il possibile: abbiamo cambiato la riforma costituzionale, abbiamo accettato di cambiare la legge elettorale, ora per non votare lo stesso la buttano sull’arroganza di Renzi… Che dobbiamo fare, fustigare uno che alla Leopolda ha urlato “Fuori”?». Il problema vero, ragiona lui prima di infilarsi in un cinema di Latina per motivare altri elettori al voto del 4 dicembre, è che la minoranza del Pd sta infliggendo una «ferita profonda al centrosinistra»: li paragona a Bertinotti e D’Alema, alludendo alla responsabilità di aver messo fine al sogno del primo governo dell’Ulivo. «E’ paradossale, nel momento in cui nel mondo siamo un punto di riferimento della sinistra, e lo è ancora di più dopo l’accordo sulla legge elettorale». Non ci crede alla buona fede, non ci crede che il punto vero sia cambiare la riforma o l’Italicum: «I leader del fronte del no usano l’appuntamento del 4 dicembre per tentare la spallata al governo». È gente che «non sopporta l’idea che qualcuno riesca dove loro hanno fallito». E qualcuno di loro, si dice certo, lo fa per ragioni personali: «D’Alema venne da me e mi chiese il posto della Mogherini», racconta nel libro di Vespa anticipato ieri. «Io non avrei avuto niente in contrario, ma ho dovuto constatare che nel Pse non lo voleva nessuno». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/11/08/italia/politica/renzi-la-minoranza-spera-nella-spallata-cos-ricorda-bertinotti-CfJAXKhY7iSDvYd7gaRGCO/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Cuperlo: “Renzi ha iniziato il rodeo ma ora lavoriamo ... Inserito da: Arlecchino - Novembre 16, 2016, 11:24:56 pm Cuperlo: “Renzi ha iniziato il rodeo ma ora lavoriamo per ridurre le distanze”
“I miei dubbi sono più utili delle certezze di D’Alema” Pubblicato il 14/11/2016 Ultima modifica il 14/11/2016 alle ore 07:46 Francesca Schianchi Roma In «un estremo tentativo di ridurre le distanze», poco più di una settimana fa Gianni Cuperlo ha firmato il documento che impegna il Pd a cambiare la legge elettorale. Unico della minoranza a farlo e quindi a votare sì al referendum, oggi chiede uno sforzo di unità prima di tutti al segretario-premier Matteo Renzi: sbaglia, ammonisce, a credere «che l’autorevolezza del leader passi dalla divisione del suo Paese e del suo campo». In questi giorni ha ricevuto più insulti o incoraggiamenti? «Ho sofferto quella firma al documento. Sapevo che persone che stimo l’avrebbero criticata o avversata. Ho ricevuto parecchi sostegni, ma ti spiace l’incomprensione con chi ha condiviso le tue battaglie e senti vicino. Ho pensato al giorno dopo e al dovere di un estremo tentativo per ridurre le distanze almeno sulla legge elettorale e l’elezione dei senatori». D’Alema dice, riferito a lei, che «bisognerebbe stabilire limiti all’ingenuità» ... «Ah, si riferiva a me? Ingenuamente ho pensato fosse un’autocritica. Comunque continuo a pensare che i dubbi aiutano più delle certezze». I rapporti nel Pd sono tesi, «un rodeo», ha detto lei: cosa si deve fare per recuperare unità? «Il punto è che quel rodeo lo ha iniziato il premier. L’unità del Pd e della sinistra non è un totem o un atto di fede: conta su cosa e come la costruisci. Ma serve la volontà di raggiungerla quell’unità. Io non ho mai pensato che cambiare l’Italicum o eleggere direttamente i senatori fosse una concessione alle minoranze ma la via per istituzioni un po’ più solide. E anche il modo per ridare ossigeno a un centrosinistra più largo di noi. Perché questo dovrebbe esser chiaro a tutti: il Pd da solo non vince, ma senza il Pd a non vincere è la sinistra». Quindi chi sbaglia è Renzi? «L’errore più grande è nell’idea che l’autorevolezza del leader passi dalla divisione del suo Paese e del suo campo. Passare dalla rottamazione spinta alla divisione del mondo tra innovatori e conservatori, amici e nemici, prima che una caricatura è un abbaglio». Bersani che chiede in una lettera a Repubblica una «riflessione collettiva» tenta il dialogo o certifica la distanza? «Ho apprezzato il tono. Come Bersani penso che il problema sia un’onda potente che da destra si abbatte sulle nostre democrazie. Dobbiamo vederla e attrezzare una nuova sinistra a reagire. La premessa per farlo è anche nel cogliere la quota di verità nelle ragioni dell’altro». Si può stare in un partito senza fidarsi del segretario? «In un partito non si sta perché ci si fida ma perché si è convinti che quella forza sia necessaria per affrontare i problemi». C’è il rischio di una scissione? «Tempo fa ho detto che il Pd per me non era un destino ma una scelta da rinnovare e far crescere. Se alzo lo sguardo sul mondo temo il fallimento di questo progetto perché ricadrebbe su tutto il centrosinistra. Mi batto per evitarlo, ma è una sfida che non si vince in pochi. E la premessa è un Pd ancorato a sinistra». Il referendum è legato alle sorti del governo o no? «E’ stata una miopia del governo caricarsi una funzione che doveva essere del Parlamento. Con altri lo abbiamo gridato con proposte nel merito. Renzi ha detto che in caso di sconfitta lascerà Palazzo Chigi: direi che farlo è nelle sue corde». Se vince il sì, come dice D’Alema, nasce il partito di Renzi? «Mi sono sempre battuto contro l’idea di un partito piegato al volere di un capo. E il tema del troppo potere in una figura sola rimane. Al congresso sarà in campo un’alternativa a Renzi e a quella sua impostazione che mi ha portato a non votare jobs act, buona scuola e fiducia sull’Italicum. La coerenza non si chiede, si pratica». Come giudica l’iniziativa della lettera spedita agli italiani all’estero? «Se è vero che si tratta di una iniziativa del Pd e che altri in passato hanno fatto lo stesso, non vedo il problema. Se si fossero violate delle regole sarebbe giusto renderne conto». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2016/11/14/italia/politica/renzi-ha-iniziato-il-rodeo-ma-ora-lavoriamo-per-ridurre-le-distanze-FnPoOOxn4bgX8na4Rf6L1O/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. La telefonata di Alfano al collega: “Benvenuto nel club” Inserito da: Arlecchino - Dicembre 24, 2016, 08:43:29 pm Lotti indagato nel caso Consip, pioggerellina o inizio della tempesta?
Renzi e il “Giglio magico” in allarme La minoranza Pd tace, ma è pronta ad andare all’attacco. La telefonata di Alfano al collega: “Benvenuto nel club” Pubblicato il 24/12/2016 Ultima modifica il 24/12/2016 alle ore 07:51 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Nessun problema, nessuna preoccupazione. Convinto che si stia parlando di qualcosa di inconsistente, Luca Lotti ieri si mostrava solo un po’ infastidito dal danno d’immagine. «Caro Luca, a me “Il Fatto” ha dedicato decine di prime pagine… Benvenuto anche tu!», gli fa una telefonata di solidarietà il collega ministro degli Esteri Alfano, e lui ci scherza sopra durante il Consiglio dei ministri. Mostrare serenità, è la parola d’ordine per il diretto interessato, che si presenta sorridente e spavaldo. Blindarlo, avvolgerlo in una coltre di silenzio solidale è quella del Pd renziano. Nella speranza che, se anche la notizia troverà conferma, l’inchiesta si concluda in una bolla di sapone. È mattino quando partono i primi scambi di sms tra deputati ed esponenti vari del renzismo: «Ma è vero quello che scrive Il Fatto?». «Indagato Lotti», titola il quotidiano diretto da Travaglio, a caratteri cubitali in prima pagina. Una indiscrezione che, per il peso specifico del neoministro, non può che allarmare il quartier generale fiorentino. E’ solo una pioggerellina, o l’inizio di una tempesta? Matteo Renzi è a Pontassieve a trascorrere qualche giorno in famiglia. Per lui, il 34enne ministro dello Sport è il braccio destro e sinistro, conosciuto quando era un giovane consigliere comunale di Montelupo Fiorentino e invitato a seguirlo alla Provincia di Firenze (Renzi era il presidente), e poi, sempre più uomo di fiducia, nella sua scalata al potere: da capo segreteria e poi capo di gabinetto a Palazzo Vecchio lo ha accompagnato fino a Palazzo Chigi, fidatissimo sottosegretario per i mille giorni del suo esecutivo. Il leader tace, evita qualunque commento, posta qualche riga su Facebook ma è per congratularsi con «la qualità delle forze dell’ordine italiane» per aver fermato il tunisino accusato della strage di Berlino. Non una parola sulla novità che coinvolge il suo fedelissimo: la strategia concordata è che sia lui stesso a intervenire. Anche Lotti è a casa, per assistere alla recita del primogenito Gherardo. Ma decide di tornare a Roma. Fa sapere di non aver ricevuto alcuna notifica, ma se l’indagine a suo carico è vera, vorrebbe essere sentito subito dai magistrati: «Noi non scappiamo dalle indagini». Dà l’incarico a rappresentarlo al principe degli avvocati Franco Coppi, a cui ribadisce lo stesso concetto: «Appena mi chiamano a comparire sono pronto». Disponibilità verso i magistrati, tranquillità sulla propria posizione, diventa il mantra della giornata. «Conosco da anni Lotti, so che è una persona onesta e seria, ho fiducia che le cose si chiariranno con rapidità», assicura il capogruppo alla Camera Ettore Rosato. Pochi altri nel Pd intervengono, complice anche il clima prenatalizio e la chiusura delle Camere. Tra i renziani, la speranza è che l’indagine finisca in nulla. Il senatore Stefano Esposito attacca «l’ennesima fuga di notizie», e tra le righe anche il «noto e vulcanico» pm Woodcock, «non so se è un pm che cerca pubblicità, sicuramente non nasconde la sua voglia di fare il proprio lavoro». Altri lo dicono a taccuini chiusi. Anche la minoranza tace, anche se sotto sotto sembra godersi il momento di difficoltà per l’uomo più vicino all’odiato segretario. «Prima di esprimersi bisogna capire se è veramente indagato, e qual è l’entità della vicenda», prende tempo un bersaniano. Il che, però, non esclude che, se la notizia fosse confermata, da loro potrebbero arrivare più avanti attacchi come quello riservato da Speranza nei giorni scorsi al ministro Poletti per tutt’altra vicenda - partendo dalla gaffe sui giovani «fuori dai piedi» all’estero e arrivando ai voucher. «Un passo alla volta», predicano cautela i bersaniani. Lotti e Renzi sono avvertiti. E anche il premier Gentiloni. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2016/12/24/italia/politica/lotti-indagato-nel-caso-consip-pioggerellina-o-inizio-della-tempesta-renzi-e-il-giglio-magico-in-allarme-dcybAufRb1ZmD1TKlag3xK/pagina.html Titolo: Francesca Schianchi. Renzi riparte dalle origini. E chiama a raccolta i sindaci Inserito da: Arlecchino - Gennaio 14, 2017, 06:20:58 pm Renzi riparte dalle origini. E chiama a raccolta i sindaci Pd
Appuntamento a Rimini il 27 e 28 gennaio Pubblicato il 13/01/2017 Ultima modifica il 13/01/2017 alle ore 14:19 Francesca Schianchi Roma Matteo Renzi riparte dalle origini. Dal territorio, dai sindaci, dalle buone pratiche che vengono dai comuni. Il segretario del Pd, che tanto ha insistito sulla sua esperienza amministrativa da ex primo cittadino di Firenze come punto di forza all’inizio dell’avventura nazionale, vuole incontrare sindaci, consiglieri comunali, presidenti di Regione del Pd. Impegnato a riorganizzare il partito, a rivedere la squadra di segreteria e a rimotivare una comunità messa a dura prova dalle spaccature della campagna elettorale e dalla sconfitta del referendum, ha messo in agenda per il 27 e 28 gennaio prossimi, a Rimini, un’Assemblea nazionale degli amministratori Pd. L’aveva annunciata ai segretari regionali e provinciali incontrati alla sede del Nazareno prima delle vacanze: ora sono partiti gli inviti, in cui si spiega che l’appuntamento è pensato per «valorizzare le nostre tante esperienze di buon governo, riprendere il ragionamento sui punti programmatici essenziali e riuscire a dare una nuova visione generale al Paese partendo dalle realtà locali». «Vogliamo far diventare il buon governo Pd a livello locale un pezzo della nostra proposta nazionale», spiega Matteo Ricci, che nella segreteria nazionale è responsabile Enti locali ed è pure sindaco di Pesaro. «Parleremo di cultura, accoglienza dei migranti, investimenti, urbanistica…». Invitati tutti gli amministratori d’area: dal sindaco di Milano Sala a quello di Bergamo Gori, dal fiorentino Nardella ai giovani Falcomatà di Reggio Calabria e Palazzi di Mantova, che potrebbero anche entrare a breve in segreteria nazionale accanto a Renzi. Ma saranno i benvenuti anche ministri e parlamentari. Una due giorni per rimettere al centro il territorio. In una location non casuale: Rimini è stata scelta perché, alle ultime amministrative, mentre Roma e Torino franavano sotto l’assalto dei Cinque stelle, nella città romagnola il dem Andrea Gnassi vinceva al primo turno con il 57 per cento. Una performance da prendere a esempio, in un anno in cui, come si ricorda nell’invito, «alle prossime elezioni amministrative si vedranno coinvolti più di mille comuni». La manifestazione sarà chiusa dal discorso di Renzi. «Sto facendo il segretario a tempo pieno», ripete a chi gli chiede di queste sue giornate tra Roma e Pontassieve. Sabato 21 ha annunciato una mobilitazione dei circoli Pd, e un appuntamento programmatico il 4 febbraio prossimo. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. DA - http://www.lastampa.it/2017/01/13/italia/politica/renzi-riparte-dalle-origini-e-chiama-a-raccolta-i-sindaci-pd-xYqTFugmYXyIvhlmvtag4N/pagina.html Titolo: Francesca Schianchi. Casini tiene a battesimo i Centristi per l’Europa per... Inserito da: Arlecchino - Febbraio 13, 2017, 12:42:14 pm Casini tiene a battesimo i Centristi per l’Europa per riunire i moderati italiani ” Non l’ennesimo partitino ma un movimento politico europeo per bloccare i populismi” Pubblicato il 11/02/2017 Ultima modifica il 11/02/2017 alle ore 14:56 Francesca Schianchi Roma «Quello che nasce oggi non può essere l’ennesimo partitino ma un movimento politico europeo che, per bloccare l’avanzata del populismo, deve fare appello all’unità dei moderati». Maglione e pantaloni neri, sul palco del romano Teatro Quirino dove si presenta modestamente come un semplice iscritto ma viene ringraziato e ascoltato da tutti come il leader, Pier Ferdinando Casini chiude l’assemblea del nuovo movimento «Centristi per l’Europa» svelando il senso dell’operazione: essere il «lievito», ripete più volte, di una riunificazione dei moderati italiani. Che poi, in prospettiva, guardi più verso il centrodestra o verso il centrosinistra, quello è ancora da verificare. La platea è piena, c’è il ministro dell’Ambiente Galletti, ci sono i senatori Di Biagio e Marino, i deputati Adornato e D’Alia, che sarà anche la guida del movimento, ma anche qualche giovane amministratore locale. Apre l’Inno alla gioia, quello europeo, insieme a quello italiano, sul grande video che fa da sfondo al palco campeggia il simbolo per metà con la bandiera blu a stelle dorate della Ue e per metà tricolore, una scelta che vuole essere «un atto di sfida» contro il pensiero dominante antieuropeo, deciso solo poche settimane fa: sugli striscioni di chi è arrivato da Benevento come da Bronte, il logo è ancora nella prima versione, Centristi per l’Italia. Una sfida ai populismi che indicano nell’Europa la fonte di tutti i mali, ma anche a una Ue che deve cambiare, come chiede con forza dal palco il sindaco di Rosarno. «L’Europa è a un bivio: o va avanti, o se sta ferma va indietro, e non ce ne sarà più per nessuno, nemmeno per Francia o Germania», predica Casini, mentre da «semplice iscritto» dà consigli e traccia la strada. «Non dovete pensare di prendere voti su una rappresentazione retorica dell’Europa», sul ricordo nobile «di De Gasperi, Schumann, Adenauer», non si può vivere sulla «mitologia», sottolinea, ma serve «qualcosa di concreto». Questo dovrà fare il nuovo movimento, «chiedere una spinta verso una nuova Europa». E, contemporaneamente, cercare di riunire i moderati italiani, mettendo da parte le incomprensioni del passato: «Le divisioni che ci sono state non contano niente: ora conta il progetto per il Paese». In vista di elezioni che ancora nessuno sa quando saranno, il messaggio lanciato da questo palco è diretto al centrodestra come al centrosinistra. Per Berlusconi messo in guardia «che se va a fare le liste con Salvini, consegna a Salvini la leadership del fu centrodestra», come per Renzi che «se rifiuta l’alleanza coi moderati che l’hanno fatto vincere, beh, allora Dio gliela mandi buona». Il lavoro inizia adesso, dice lui e ripetono tutti i protagonisti della giornata. L’importante, spiegano, è far sentire che ci siamo. Marcare un terreno. Chiudendo con l’insolita formula, di questi tempi: «Viva l’Italia e viva l’Europa». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/02/11/italia/politica/casini-tiene-a-battesimo-i-centristi-per-leuropa-per-riunire-i-moderati-italiani-RHEeSPtscGt9WMAKWmcgDI/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Bersani: “Un verdiniano alla Commissione sulle banche? ... Inserito da: Arlecchino - Febbraio 13, 2017, 01:00:42 pm Bersani: “Un verdiniano alla Commissione sulle banche? Siamo al dadaismo puro”
Anche Sel e M5S contro l’ipotesi della presidenza a Enrico Zanetti Pubblicato il 07/02/2017 - Ultima modifica il 07/02/2017 alle ore 21:56 Francesca Schianchi Roma «Siamo al dadaismo puro». Ride l’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani, a chiedergli della richiesta che Denis Verdini ha avanzato ai democratici: la presidenza della Commissione d’inchiesta sulle banche. Non per se stesso, ma per l’ex viceministro dell’Economia del governo Renzi, Enrico Zanetti. Ma il fatto che Verdini, coinvolto in un processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino, possa interessarsi a una Commissione che dovrà occuparsi – se mai riuscirà a nascere – di indagare su guai e difficoltà del sistema creditizio, fa sorridere amaro molti in Parlamento. Nella minoranza Pd e non solo. In tarda mattinata, nella sala lettura di Montecitorio, Zanetti studia una serie di emendamenti dietro al portatile acceso. «Io presidente? Non ne parlo finché non vedo costituire la Commissione – sbotta – sono stato il primo un anno fa a dire che è fondamentale crearla, lo dissi anche a Renzi: per noi che siamo sulla scena politica nazionale dal 2013, è importante dimostrare che, se problemi nelle banche ci sono stati, è perché raccogliamo il cerino di scelte fatte da altri. Ma quando lo dicevo, al Ministero dell’economia non erano entusiasti… Ora, capisco che forze politiche che non hanno fatto della responsabilità il proprio marchio di fabbrica potrebbero usarla come palcoscenico della campagna elettorale, ma davvero è necessario istituirla». La sua disponibilità a presiederla, raccontano compagni di gruppo parlamentare, c’è. Ma non gli piace essere derubricato a «verdiniano», come fa il capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta quando mette in chiaro che «Monte dei Paschi vuol dire Pci-Pds-Ds-Pd e quindi, semmai si varerà, natura democratica vorrebbe che la presidenza andasse a un esponente dell’opposizione». «Zanetti è segretario di Scelta civica e non fa parte della maggioranza», interviene subito il collega Rabino a tenere viva la candidatura. Il fatto però che l’ex viceministro condivida il gruppo parlamentare con Verdini e i suoi è quello su cui si concentrano tutti. «Se fossi in Zanetti non sarei molto soddisfatto di avere la sponsorizzazione di Verdini», sospira il senatore della minoranza Pd Federico Fornaro, «e penso che se Verdini della Commissione sulle banche non se ne occupasse sarebbero più contenti anche i suoi avvocati…». Dal M5S sono i senatori Alberto Airola e Laura Bottici a schierarsi contro l’ipotesi Zanetti, «ideale testa di ponte per garantire al governo Gentiloni i voti sempre più necessari di Ala: la commissione d’inchiesta sulle banche è troppo importante per essere merce di scambio di un Governo traballante. Affidarla ad un uomo di Denis Verdini sarebbe vergognoso. Vigileremo perché non accada». Da Sinistra italiana è Nicola Fratoianni a intervenire sul filo dell’ironia: «Cari amici del Pd, vabbé che Verdini di banche e bancarotte se ne intende, però è davvero troppo affidargli la presidenza della Commissione d’inchiesta parlamentare». Interpretando le stesse perplessità di molti nel Pd, che ne discutono in qualche capannello del Transatlantico tra occhi al cielo e risatine imbarazzate. O lo dicono chiaramente, come fa il bersaniano Miguel Gotor: «A sentire i verdiniani che rivendicano la presidenza della Commissione, non so più se ridere o piangere». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/02/07/italia/politica/bersani-un-verdiniano-alla-commissione-sulle-banche-siamo-al-dadaismo-puro-LoAxcsJaBC7bPy4uAAuvHP/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Orlando: “Attento Matteo andando avanti così rischi ... Inserito da: Arlecchino - Febbraio 14, 2017, 05:57:20 pm Orlando: “Attento Matteo andando avanti così rischi l’incidente frontale”
“Le primarie finiranno per essere una sagra dell’antipolitica. Nessun accordo con la minoranza, ho detto quello che penso” Il ministro di Giustizia Orlando ha parlato in modo critico, mentre il collega Dario Franceschini, l’altra gamba della maggioranza, fila via senza aprir bocca Pubblicato il 14/02/2017 Ultima modifica il 14/02/2017 alle ore 07:07 Francesca Schianchi Roma «Se vedi uno che sta facendo una curva parabolica che lo porta a un frontale, glielo dici di stare attento, no?». La Direzione è appena finita, ha appena votato per convocare al più presto il congresso. Contraria la minoranza, ma anche, con un intervento che diventa subito quello di giornata, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. «Cosa c’è di strano, se uno sbaglia glielo dico», ripete al termine dei lavori, mentre si incammina lentamente verso piazza di Spagna. La prima crepa nella maggioranza che, in questi anni, ha sostenuto il segretario Renzi: anziché correre verso una conta interna, predica il ministro, bisognerebbe «organizzare una conferenza programmatica, aprendo un confronto sui contenuti e mettendo al bando la parola scissione». Evitare una precipitazione al congresso perché, così, «le primarie finiranno per essere una sagra dell’antipolitica: il tutto consumato dentro la campagna elettorale per le amministrative». Parole chiare, che aprono una breccia preoccupante per i renziani. Mentre il collega Dario Franceschini, l’altra gamba della maggioranza, fila via senza aprir bocca, lui, l’uomo del giorno, l’antagonista inatteso del segretario, si allontana chiacchierando. «Andrea, hai fatto un ottimo intervento, mi hai convinto», lo raggiunge il governatore pugliese Michele Emiliano; «Ho vinto il premio della critica», scherza Orlando. LEGGI ANCHE - Patto con Franceschini, Renzi vince Congresso subito e voto dopo l’estate Ministro, una netta presa di distanza dalla linea di Renzi… «Non sono convinto che andare subito al congresso sia un bene per il Pd. Io sono molto attento agli aggettivi, ma in questo caso non si può sfumare la posizione. Se uno non è d’accordo a fare un percorso deve dirlo: non sono d’accordo perché così non si risolvono i nostri problemi identitari e di proposta politica». Ha suscitato l’entusiasmo della minoranza… «Non mi sono messo d’accordo con la minoranza, ma ho detto quello che penso». Cioè una conferenza programmatica prima di tutto... «Io ho dato i miei consigli, spero che le mie funeste previsioni non si avverino, ma conosco il partito». Però la Direzione si è espressa in maggioranza per il congresso: lei come ha votato? «Non ho partecipato al voto». A questo punto però il percorso congressuale è partito, no? «No, il percorso congressuale lo apre l’Assemblea nazionale. Vediamo cosa si deciderà in quella sede. Sono dispiaciuto che non sia passata la mia linea: io la riproporrò lì e spero di avere maggior fortuna». Quindi è ancora possibile che l’Assemblea sposi la sua linea? «L’Assemblea in teoria potrebbe decidere per una conferenza programmatica prima del congresso». Pensa che tirando dritto la minoranza possa uscire dal Pd? «Mi auguro di no, perché non credo si possa uscire da un partito per ragioni di calendario. Ma qui ci vuole la politica, che deve vigilare per evitare qualunque scivolata». E lei potrebbe candidarsi alla segreteria del Pd? «È un problema che mi porrò solo quando arriveremo a discutere della proposta da fare al Paese». Renzi era avvisato della sua posizione? «Avevo fatto un’intervista ma si vede che non è bastata». Eppure il suo intervento ha fatto molto scalpore… «Non ho detto niente di particolarmente eversivo, ho solo espresso i miei dubbi sul percorso. Se le mie parole fanno così clamore, significa che la discussione ha preso una brutta piega, perché o ci si insulta o bisogna darsi ragione al cento per cento…». Renzi le ha anche risposto nella replica. «Io ho semplicemente detto che non ho paura del popolo, ma delle regole». Cioè quelle dello Statuto? Lo ha definito inadeguato… «Sì, non portano a combattere la destra e i populismi come diciamo di voler fare. E’ un problema che un segretario dovrebbe porsi». Il voto in Direzione è un avviso di sfratto al governo Gentiloni? «Non credo. Bisogna evitare di scaricare le tensioni sulla tenuta del governo. Mi hanno assicurato che non sarà così, spero abbiano ragione, ma non ne sono del tutto convinto». Ma con la conferenza programmatica si arriva a fine legislatura? «Non necessariamente: la conferenza si può fare in un mese. Dobbiamo fare una discussione seria sull’esperienza del governo Renzi». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/02/14/italia/politica/orlando-attento-matteo-andando-avanti-cos-rischi-lincidente-frontale-Vbywqlsso0UFcOdGUinxdK/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Bindi: “Matteo fai un gesto, puoi ancora fermare la rottura Inserito da: Admin - Febbraio 26, 2017, 11:57:28 am Bindi: “Matteo fai un gesto, puoi ancora fermare la rottura”
L’ex presidente dem: “Non guardare con soddisfazione chi se ne va, devi dire con chiarezza che la legislatura avrà scadenza naturale” Pubblicato il 21/02/2017 Francesca Schianchi Roma «Le ragioni per cui qualcuno pensa alla scissione sono esattamente quelle per cui dobbiamo stare insieme». Sembra un paradosso, eppure Rosy Bindi parte da qui per spiegare perché bisogna scongiurare la separazione annunciata. Tra i fondatori del Pd, concorrente alle primarie del 2007 che incoronarono Veltroni, decide di rompere il riserbo in cui si è chiusa da qualche tempo - anche per difendermi da polemiche ingiuste che mi hanno colpito» - per esprimere la sua preoccupazione: «Se vogliamo che il progetto politico del Pd vada avanti, il partito va tenuto unito». Altrimenti, il rischio è che «qualcuno tenga il nome, ma non più il progetto». Quel qualcuno è Matteo Renzi a cui, ricorda, fu permesso di correre alle primarie in deroga allo Statuto: «Non chiuda le porte di un partito che a lui le ha spalancate, forzando anche l’architrave». Presidente Bindi, la scissione è consumata o ci sono ancora margini di ricucitura? «Si sono creati tutti i presupposti perché avvenga, con la responsabilità di tutti anche se in misura diversa. Ma non è detto che non ci sia ancora lo spazio per evitare di consumarla». Come? «Alcuni presupposti sono di schiuma, di superficie, e su quelli tutti possono fare uno sforzo. Poi ce ne sono altri, più profondi, che forse esistono da sempre, e sono legati all’identità incompiuta del partito, alla sua visione e alla sua missione storica: quando un partito si divide su questioni fondamentali come lavoro, scuola, legge elettorale, Costituzione, serve una fase di confronto vero». Ma detti così si direbbero presupposti insuperabili... «Non è così: contengono in sé le ragioni per cui dobbiamo stare insieme. Sono il motivo per cui abbiamo deciso di fondare il Pd e prima ancora l’Ulivo. Abbiamo capito che le questioni inedite che sfidano questa epoca sono così grandi che nessuna cultura da sola ha una risposta esaustiva. Bisogna fare la fatica di trovare un punto d’incontro». Di chi è la responsabilità maggiore? «Chi vince il congresso ha la responsabilità di guidare e chi non lo riconosce sbaglia. Ma è il segretario a doversi portare dietro tutti, vivendo le ragioni degli altri non come un fastidio ma come una ricchezza. Per questo mi appello prima di tutto a Renzi». Cosa vuole dirgli? «Che ha bisogno di coloro che invece guarda andarsene quasi con soddisfazione. E per fare un passo avanti deve dire con chiarezza che la legislatura arriverà a scadenza naturale. Non si tiri a campare perché ci sono tante cose da fare e correggere: la legge elettorale, il Jobs Act… E poi una legge di bilancio libera dalla paura delle elezioni: prima viene il Paese che soffre». Lui ha detto che sostiene Gentiloni, poi deciderà il capo dello Stato quando sciogliere le Camere… «Cosa può fare il presidente della Repubblica se il Pd toglie l’appoggio al governo?». E sul congresso cosa dovrebbe fare? «Se si vota l’anno prossimo, cosa cambia se il congresso dura un po’ di più? Vedo da tutti i sondaggi che la sua leadership non è intaccata nonostante il referendum, che problema ha a prevedere una conferenza programmatica? In realtà vuole un congresso breve per votare nel 2017. È lui a dover fare il primo passo». Ma lui può ricandidarsi o sarebbe meglio di no? Ha cittadinanza nel Pd? «Renzi fa parte del Pd. Non hanno cittadinanza il PdR (partito di Renzi, ndr.) o il partito della nazione». Ma non sembra intenzionato a dare queste garanzie: anche lei è tentata di uscire? «Io non posso prendere il considerazione la subordinata quando lavoro per la principale. Per questo mi rivolgo a lui ma anche a chi se ne vuole andare». A loro cosa dice? «Non pensino che le ragioni della sinistra - che io condivido pensandola plurale e non monoculturale come Bandiera Rossa - possano dare un contributo al Paese se si rifugiano in un partito identitario». Al congresso del Pd potrebbe candidarsi Orlando: tra lui e Renzi lei con chi starebbe? «Anche questo scenario dà per scontata la scissione, per cui non mi esprimo. Non sono preoccupata solo o tanto per il partito, ma per il Paese: se si spezza questo progetto, viene a mancare l’architrave del sistema politico italiano. E se vogliamo che il progetto del Pd vada avanti, il partito va tenuto unito». Altrimenti muore il Pd? «Temo di sì: qualcuno terrebbe il nome ma non più il progetto». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/02/21/italia/politica/bindi-matteo-fai-un-gesto-puoi-ancora-fermare-la-rottura-hX8rCS3ysFhoMFGZBEQDEL/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Nasce “Articolo 1 - Democratici e progressisti”: “Non ci... Inserito da: Arlecchino - Marzo 01, 2017, 05:37:19 pm Nasce “Articolo 1 - Democratici e progressisti”: “Non ci facciamo mettere sulla ridotta”
Speranza e Rossi senza più Emiliano lanciano il nuovo movimento. Senza Bandiera rossa e “per un rinnovato centrosinistra” Pubblicato il 25/02/2017 - Ultima modifica il 25/02/2017 alle ore 17:32 Francesca Schianchi Roma «Oggi non nasce un partito, una cosa stretta: inizia un percorso che deve unire, aggiungere esperienze». La decisione è presa, l’incertezza finita, non c’è il pathos della decisione (andarsene o non andarsene: «E’ finito il tempo dei rimpianti», ammonisce l’ex Sel Arturo Scotto): a una settimana di distanza dall’appuntamento degli «scissionisti» Pd al Teatro Vittoria di Testaccio, anche uno dei protagonisti non c’è, a partecipare alla nascita della nuova formazione di sinistra, il governatore pugliese Michele Emiliano, che alla fine ha scelto di restare con i dem e sfidare Renzi al congresso. Speranza: “E’ un nuovo inizio per battere populismo’’ Ma ci sono loro, Roberto Speranza ed Enrico Rossi, l’ex capogruppo e il presidente della Regione Toscana, gli altri due attori della scissione: una settimana dopo, di nuovo a Testaccio, ma nella popolare Città dell’Altra economia, tengono a battesimo il nuovo partito, pardon movimento, che partito non è parola in linea con lo spirito dei tempi. «Articolo 1 – Movimento democratici e progressisti», hanno deciso di chiamarsi, e lo comunicano a chi si accalca nella piccola sala conferenze. Speranza: “Ricucire frattura con il nostro popolo’’ Proiettata sullo sfondo una frase, «l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro», il primo comma dell’articolo 1 della Costituzione, «nostro simbolo, nostra identità», garantisce Speranza, di un movimento «aperto che sia la costituente di un rinnovato centrosinistra», non un nostalgico gruppo di combattenti e reduci. Non risuona più Bandiera rossa, come una settimana fa, la colonna sonora dovevano essere i più «laici» Coldplay (ma a dire il vero non si sentono): «Non ci facciamo mettere sulla ridotta: il nostro blocco sociale sarà ampio», è certo Rossi. «C’è bisogno di una nuova radicalità della proposta politica che deve tenersi con una solida cultura di governo», aggiunge Speranza. “Ciao, io me ne vado”: cent’anni di scissioni nella sinistra italiana Ci sono Stumpo e Zoggia, i bersaniani alla guida dell’organizzazione, il dalemiano Danilo Leva, il senatore Miguel Gotor. Ci sono alcuni ex Sel che hanno seguito Scotto e faranno i gruppi parlamentari con gli ex Pd. C’è anche Fassina, che resta in Sinistra italiana ma viene a vedere perché «dovremo collaborare». Non c’è Bersani, a Piacenza per il fine settimana, e non c’è D’Alema, impegnato in un tour in Umbria, ma entrambi partecipano e benedicono da lontano, lasciando agli altri il palcoscenico. I gruppi parlamentari di Mdp, o forse Dp – che però ai più vecchi evoca Democrazia proletaria –nasceranno tra lunedì sera e martedì, quando anche gli ultimi indecisi avranno detto la propria risposta definitiva. «Mettiamoci in cammino», predica Scotto. Sorride il presidente Rossi: «Ve ne faremo vedere delle belle». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/02/25/italia/politica/nasce-il-nuovo-partito-del-centrosinistra-democratici-e-progressisti-lOf6pMsB7BGqAOTGK8CwmK/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi riparte dal Lingotto: “Basta paura, è l’arma... Inserito da: Arlecchino - Marzo 16, 2017, 05:32:42 pm Renzi riparte dal Lingotto: “Basta paura, è l’arma elettorale degli altri”
Il favorito alla segreteria del Pd conferma il sostegno a Gentiloni: «Dobbiamo ripartire e rilanciare sugli ideali e i contenuti e restituire una speranza al Paese» Pubblicato il 10/03/2017 - Ultima modifica il 10/03/2017 alle ore 22:39 FRANCESCA SCHIANCHI TORINO “Io ci sono con la forza e l’energia che conoscete, ci sono anche con le mie ferite. Ma ci sono perché ci siete voi”. Esplode la sala in un lungo applauso, sale sul palco il vicesegretario designato Maurizio Martina che non smette di ripetergli “bravo, bravo”: sorride e saluta Matteo Renzi, alla fine del suo discorso di un’ora, ufficialmente ricandidato alla guida del Partito democratico. Lo fa dal Lingotto, luogo simbolo per i dem, perché da lì dieci anni fa Walter Veltroni si candidò primo segretario della neonata formazione: e viene spesso citata quell’occasione, ma per dire che “siamo il partito degli eredi, non dei reduci”. Un partito che non abbia “l’atteggiamento di chi sa solo fare polemica e distruggere l’avversario”, che sappia dare “un progetto politico per i prossimi dieci anni” unendolo alla “speranza” e non alla paura, perché “se la paura diventa il collante dell’altra parte dello schieramento noi siamo finiti”, è la “loro arma elettorale”. E sì, anche un partito più collegiale - riconosce una critica che gli è spesso stata fatta, di eccessivo accentramento - a partire dal ticket col ministro di “sinistra” Martina. Il giudizio su Matteo del popolo del Lingotto: “La sconfitta ha fatto bene” Un partito “non liquido, non pesante, ma pensante”, capace di tenere aperti i circoli ma anche di muoversi nella rete: per questo lancia una nuova piattaforma che si chiamerà Bob, da Kennedy. Ma anche quelle che lui stesso ribattezza le “Frattocchie 2.0”, una scuola di politica per 200 giovani a partire dall’anno prossimo. Un partito che non ha paura di sdoganare parole considerate tradizionalmente di destra come “identità e patria”, e capace di affezionarsi di nuovo all’Europa. Se “premier tecnici animati da sentimento antipatriottico e anti italiano” - fa un attacco durissimo a Monti, senza nominarlo - “andavano in Europa con la giustificazione, come a scuola”, dando vita a una fase “che ha forse migliorato i conti pubblici, ma disintegrato l’idea di Europa”, ora è tempo di cambiare la Ue, per volerle ancora bene: la sua prima proposta è l’impegno per ottenere l’elezione diretta del presidente della Commissione, e predestinare il candidato socialista attraverso primarie transnazionali. Saluta gli ex sindaci Chiamparino e Fassino seduti in prima fila e chiama un applauso per la prima cittadina in carica Appendino, ringrazia l’organizzatore Tommaso Nannicini. E chiede un battimani anche per gli sfidanti, Emiliano e Orlando, con cui evita polemiche. “Gli iscritti al Pd sono 420mila, ci sono stati alcuni problemi”, ammette i casi di polemica nel tesseramento, “ma c’è un popolo indomito, appassionato, che non lascia il futuro dei propri figli a chi sa solo lamentarsi”. La platea si scalda, pronta a partire. La sfida del congresso è lanciata. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/03/10/italia/politica/renzi-riparte-dal-lingotto-basta-paura-larma-elettorale-degli-altri-ZHrrmIC7pkgk7ncbiYHxxL/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Bersani: “È ora che Gentiloni si emancipi da Renzi e ... Inserito da: Arlecchino - Marzo 22, 2017, 12:39:52 pm Bersani: “È ora che Gentiloni si emancipi da Renzi e dica la verità agli italiani” «Sulle nomine c’è lo zampino di Matteo, non del premier». Ma alle amministrative «pronti ad alleanze con il Pd» Ex segretario del Pd prima di Renzi, è oggi tra i leader della scissione di Movimento democratico e progressista Pubblicato il 22/03/2017 - Ultima modifica il 22/03/2017 alle ore 09:36 Francesca Schianchi Roma «Non abbiamo ancora battezzato il bambino e ha già più pane che denti». Nel mezzo di un tour per l’Italia, Pierluigi Bersani sintetizza con una battuta delle sue l’accoglienza riservata a Mdp. «Ovunque ci sono più persone che sedie», sorride soddisfatto, nel piccolo ufficio che accoglie il nuovo gruppo parlamentare, da cui lancia un messaggio al premier Gentiloni: «Dica la verità agli italiani sull’economia». I sondaggi sono avari, danno Mdp tra il 3 e il 4 per cento… «Siamo già ben oltre, glielo dico io. Del resto, in questa fase già mi stupisco che ci sondino: solo oggi, anniversario dell’approvazione dell’articolo 1, presenteremo il simbolo. È il momento di mettere l’orecchio a terra per sollecitare gente che non andava più a votare, che votava Pd ma non se la sente più, gente che vota M5S». Non rischiate di favorire il M5S togliendo voti al Pd? «Sarebbe vero se avessimo un sistema in cui chi arriva primo prende tutto, ma non è così. E se il M5S cresce bisogna cercare le ragioni: qualcuno può pensare che Consip e il voto su Minzolini non siano benzina per Grillo?». L’ha stupita il voto su Minzolini? «L’ho trovata una vicenda incomprensibile: non credo compatibile con la legge Severino che il Senato si faccia quarto grado di giudizio. E atteggiamenti diversi caso per caso possono solo portare confusione». Alludeva al sistema elettorale: qual è la vostra proposta? «Servono piccoli collegi per riavvicinare i cittadini ai loro rappresentanti. Il resto si discute: è possibile un proporzionale con qualche correzione che consenta di formare un governo, meglio con premio alla coalizione che alla lista». Obiettivo vostro e di Pisapia è presentarvi insieme? «Partendo da iniziative diverse stiamo cercando la stessa cosa: un centrosinistra largo e plurale. Ma nessuno dei due vuole fare un partitino. Come presentarsi si vedrà, non c’è ancora la legge elettorale. Il tema delle alleanze viene dopo». Dice la Serracchiani che non rientrerete da una lista Pisapia… «Ma sì, facciamo un listone tutto di Serracchiani… (ride). Quei toni spiegano più di tante cose la deriva del Pd». Per Renzi è un’immagine da macchietta la sinistra di Bandiera rossa e pugno chiuso. «Vedo nelle sue parole lo sberleffo: lui non sarebbe arrivato al Lingotto se qualcuno non avesse sventolato la bandiera rossa. Non accetto la presa in giro, soprattutto da chi non ha titoli». Nonostante il giudizio sul Pd renziano, alle amministrative vi alleerete con loro? «Alle amministrative andremo con una chiave di centrosinistra, favorendo liste civiche: da qualche parte sarà possibile presentare un candidato sindaco, altrove si potrà convergere con altri, in altre ancora daremo indicazioni da fuori». Appoggerete candidati del Pd? «Se il Pd non fa pensate strane, se ne discute. Non c’è nessun pregiudizio purché si resti nel centrosinistra». Capitolo governo: che ne pensa dell’abolizione dei voucher? «Voteremo la legge, ma non è quello che avremmo fatto noi. Si è fatta una inversione a U oltre il ragionevole per paura del referendum». Gentiloni ha detto che non era il momento di spaccare il Paese… «Sono d’accordo, ma se tu sei il governo, fai una proposta che riporta i voucher all’impostazione originaria, poi vai davanti al popolo, che è adulto, e la spieghi. A quel punto il referendum sarebbe diventato un osso di seppia». Nelle nomine delle società partecipate vede lo zampino di Renzi? «Vedo lo zampino che non c’è - quello di Gentiloni -, e quello che c’è troppo poco, quello di Padoan. In diversi casi siamo nel campo dell’opinabile. E mi fermo qui, perché la materia è delicata. Dico solo “buon lavoro”, perché c’è di mezzo parecchio di quel che resta dell’industria italiana». A Gentiloni avete chiesto di togliere le deleghe al ministro Lotti, ma non sembra vi ascolti… «Lotti dice che Marroni mente (Ad Consip, ndr.), e Marroni riceve la fiducia del ministero del Tesoro: uno dei due non la racconta giusta. Amerei che ci fosse un governo capace di prendere in merito una decisione». Quale? «Quella che ritiene opportuna, ma una decisione». Ci spera ancora? «Meglio tardi che mai: le cose lasciate alle spalle prima o poi tornano fuori». Gentiloni è troppo poco autonomo da Renzi? «Si può apprezzare lo stile di Gentiloni, che conosce la buona educazione, ma io lo incoraggio, col nostro aiuto, a segnare qualche discontinuità, ad affermarsi come capo di un governo che deve portarci al 2018 in condizioni di credibilità». Quali sono i vostri paletti? «Io chiedo solo una cosa: Gentiloni deve dire la verità agli italiani sull’economia, poi insieme vedremo come fare. La cosa che mi disturberebbe di più sarebbe la descrizione di mondi che non ci sono. Ci vuole un discorso serio e rigoroso sullo stato del Paese». E sulla manovra che bisognerà fare? «Si prepara una manovra in autunno da far tremare le vene ai polsi, bisogna discuterne. Quando sento Renzi dire di non aumentare l’Iva, gli ricordo che è lui che l’ha aumentata per il 2018, ora bisogna intervenire perché l’aumento non scatti. Mi auguro che Gentiloni si emancipi sempre di più da quella continuità». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/03/22/italia/politica/bersani-ora-che-gentiloni-si-emancipi-da-renzi-e-dica-la-verit-agli-italiani-PyvdzU1qT80orqZeifnzEK/pagina.html?wtrk=nl.direttore.20170322. Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. L’offerta di Berlusconi spiazza anche i renziani e i rivali Inserito da: Arlecchino - Aprile 03, 2017, 05:39:01 pm L’offerta di Berlusconi spiazza anche i renziani e i rivali non si fidano
Emiliano e Orlando: subito una riforma per scongiurare l’alleanza con Forza Italia Pubblicato il 01/04/2017 - Ultima modifica il 01/04/2017 alle ore 07:06 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Caro Matteo, dimostraci che non vuoi fare la grande coalizione con Berlusconi: dai l’ok al premio di coalizione nella legge elettorale. Si riassume così la sfida che i competitor di Renzi per la conquista della segreteria del Pd, Michele Emiliano e Andrea Orlando, lanciano all’ex segretario ricandidato, all’indomani della notizia che scuote il mondo dem: la disponibilità rivelata dal leader di Forza Italia alla cancelliera Merkel a una grande coalizione con il Pd per evitare un governo Cinque Stelle. «Respingiamo al mittente l’ipotesi di una grande coalizione», sbotta il deputato Pd Andrea Martella, coordinatore della campagna congressuale di Orlando, «con la grande coalizione morirebbe il Pd». Per questo, spiega, «il nostro obiettivo è una legge elettorale che escluda quell’eventualità e permetta alleanze di centrosinistra». La proposta ufficiale dei Dem è il Mattarellum. «Ma non vorrei si dicesse Mattarellum sapendo che fallirà, per tentare un voto con le due leggi elettorali diverse contando poi di dar vita a un governo di centro-sinistra-destra», mette in guardia il deputato Dario Ginefra, sostenitore di Emiliano, spaventato proprio dall’ipotesi di un governo con Berlusconi: «Noi ci opporremo in tutti i modi». Tra i sostenitori del ministro della Giustizia come del presidente pugliese in tanti sono infatti preoccupati che Renzi voglia andare al voto in autunno, con le leggi che ci sono, mettendo in conto l’ipotesi di una grande coalizione con l’ex Cavaliere. «Sono tutti scenari anticipati, non si può parlare di nulla finché non c’è la legge elettorale», taglia corto la renzianissima Alessia Morani. Ma tra i colleghi delle altre mozioni l’allarme è già scattato da un po’, e la frase di Berlusconi alla Merkel non fa che peggiorare la situazione. «La grande coalizione sarebbe una sconfitta per tutti», ammonisce il presidente della Commissione Bilancio, Francesco Boccia, attivissimo sostenitore di Emiliano, «se i renziani non fanno nulla per evitare quello sbocco, qualche dubbio lo fanno venire». Per questo, insiste, «bisogna introdurre il premio di maggioranza alla coalizione, per evitare il rischio di governare con chi non è di centrosinistra», oltre che, chiede la mozione Emiliano, eliminare i capilista bloccati. «Sfidiamo Renzi a fare una nuova legge elettorale per ricostruire alleanze di centrosinistra», aggiunge Martella. «Ah, anche Orlando vuole il premio alla coalizione? Quando presentò il modello di legge simil-greca era alla lista», punzecchia il deputato renziano Dario Parrini, esperto di sistemi elettorali. Al premio alla coalizione si è detto contrario Renzi; non farebbe che favorire Berlusconi, giura Parrini, «ci metterebbe poco a ricostruire una coalizione di centrodestra». Ma, insiste allontanando accuse e illazioni, anche dalle parti di Renzi «il Pd ha due avversari, populisti e centrodestra, e punta a vincere». Guardano da fuori senza troppa sorpresa i fuoriusciti Dem che hanno fondato Mdp, oggi a Napoli per l’assemblea nazionale dei comitati. «Mi pare sia nelle cose che Renzi guardi abbastanza serenamente a uno scenario di futura alleanza col centrodestra», sospira Roberto Speranza, «l’idea di ricostruire il centrosinistra è uscito dalla sua agenda». Se si andasse a votare con le leggi che ci sono, assicura l’ex Sel Arturo Scotto, «la grande coalizione è molto probabile: l’unico modo per evitarla, oltre alla legge elettorale, è ricostruire un campo di forze di centrosinistra». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/01/italia/politica/lofferta-di-berlusconi-spiazza-anche-i-renziani-e-i-rivali-non-si-fidano-8YqeJbcjUcktVC8T35T4LP/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Primarie Pd, il confronto Renzi-Emiliano-Orlando Inserito da: Arlecchino - Aprile 28, 2017, 12:12:42 pm Primarie Pd, il confronto Renzi-Emiliano-Orlando Pubblicato il 26/04/2017 - Ultima modifica il 27/04/2017 alle ore 09:53 FRANCESCA SCHIANCHI Emiliano attacca Renzi, «testardissimo nell'insistere sugli errori», che invece si concentra su Orlando e tenta di coinvolgerlo nelle responsabilità del suo governo. In un’ora e venti di botta e risposta così serrati da risultare ansiogeni, nell'unico confronto TV previsto tra candidati alle primarie del Pd di domenica per la carica di segretario, i pretendenti Matteo Renzi, Andrea Orlando e Michele Emiliano rispondono a domande su alleanze, temi etici, Alitalia. Renzi: “No soldi pubblici”, Emiliano: “Ma per le banche i soldi c’erano” Ma anche curiosità per capire quanto siano calati nella realtà, tipo qual è il video italiano più cliccato, o quanto sia lunga la lista d’attesa per una radiografia nella propria regione (nessuno dei tre lo sa con certezza). Renzi: “Affluenza è grande incognita, oltre un milione sarà un successo” Nello studio tutto blu di Sky, senza l’ombra di un simbolo del partito a ricordare quale sia la posta in palio, si comincia a dividersi sull’affluenza ambita ai gazebo di domenica («tutto ciò che ha la cifra di un milione davanti va bene» secondo Renzi; «l’asticella è quella che fissò Renzi l’altra volta: 2 milioni», risponde Orlando) e si continua sull’eredità del governo Renzi: lui difende Jobs Act e 80 euro; Orlando critica, l’ex premier reagisce: «C’eri anche tu in consiglio dei ministri, hai votato tutto, tutto». Si prosegue sull’Europa (Orlando: «Io non toglierò la bandiera europea, e non darò la colpa ai burocrati»; Renzi: «Tu hai votato il fiscal compact, io non c’ero»); ci si distingue sull’ipotesi di una patrimoniale: Renzi trova che «in questo momento non sia una soluzione», gli altri due non la escludono. Renzi: “Se non cambia la legge elettorale, non escludo larghe intese” E sulle alleanze: mai con Berlusconi per Orlando e Emiliano; l’ex premier concede che «credo non si possa escludere se c’è il proporzionale», ma giura che «farò di tutto perché non ci sia il proporzionale». Emiliano: “Leale a ogni costo? Se Renzi sbaglia farò opposizione costruttiva” Domande dal pubblico, qualche scintilla tra loro, qualche cedimento alla vanità quando tutti e tre fanno sapere di avere avuto contatti col Papa. «Dite qualcosa di sinistra», invita il moderatore Fabio Vitale per l’appello finale. «Andate a votare», insistono. Appuntamento ai gazebo domenica. http://www.lastampa.it/2017/04/26/italia/politica/emiliano-orlando-e-renzi-il-dibattito-tv-dei-candidati-alle-primarie-pd-K7UOekcPFovk8WReuUV74I/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. La seconda volta di Renzi: “Dobbiamo ricominciare dal basso Inserito da: Admin - Maggio 01, 2017, 05:28:46 pm La seconda volta di Renzi: “Dobbiamo ricominciare dal basso”
Nelle prime parole del rieletto segretario c’è lealtà dichiarata al governo di Gentiloni, ma c’è quel richiamo a «non sappiamo il giorno in cui voteremo» che non passa inosservato Pubblicato il 01/05/2017 - Ultima modifica il 01/05/2017 alle ore 09:15 FRANCESCA SCHIANCHI Nella «pagina bianca da riempire» che è questa seconda segreteria Renzi, restano le critiche all’Europa da cambiare, non c’è spazio per alleanze con «presunti partiti che non rappresentano nemmeno se stessi» - allusione velenosa a Mdp degli scissionisti D’Alema e Bersani - e l’avversario dichiarato restano i Cinque stelle, mai citati per nome ma evocati in più punti. C’è lealtà dichiarata al governo di Paolo Gentiloni, ma c’è quel richiamo a «non sappiamo il giorno in cui voteremo» che non passa inosservato. “Non è la rivincita, è un nuovo inizio” Circondato dai suoi a fargli da quinta e rappresentazione plastica del tanto sbandierato passaggio dall’io al noi, il segretario rieletto Matteo Renzi incassa l’affluenza sopra le aspettative («oggi abbiamo fatto qualcosa di straordinario»), la vittoria ancora più ampia delle attese e giura da qui, dalla prima notte da segretario bis, sulle note del Ligabue di «Ho fatto in tempo ad avere un futuro», di non volersi prendere la rivincita sulla sconfitta del referendum del 4 dicembre. Boschi: “Vittoria sopra le aspettative ma non è una rivincita” «Forse non siamo stati in grado fino in fondo di portare la gente dalla nostra parte partendo dal basso, dobbiamo ricoinvolgere dal basso, casa per casa», promette, parlando di «umiltà e responsabilità», di partito di cui essere orgogliosi in cui «il rapporto col popolo segna la diversità rispetto a tutti gli altri», che «non è un partito personale quando due milioni di persone vanno a votare». Una comunità «che mi ha sostenuto quando barcollavo» che può fare da argine ai populismi: «L’alternativa non è nel salotto, nei tweet, ma nel popolo». Un partito che ha vinto nella sua interezza, con i gazebo di ieri, ma ha vinto «soprattutto – non resiste alla tentazione di difendere il suo governo – quello che non è vergognato delle cose fatte in questi anni». E ora dovrà combattere per cambiare un’Europa diversa, perché «non ne possiamo più di una Ue che non incrocia i desideri più belli di chi vuole l’ideale europeo». Martina: “Il popolo del Pd è al di là dei nostri dubbi” Ma la domanda che tutti si fanno è se sarà un partito destinato a sostenere il governo di Paolo Gentiloni ancora a lungo, o se sarà pronto a dargli il benservito come fece con Enrico Letta. «Grazie a tutte le amiche e gli amici che lavorano al governo del Paese a iniziare da Gentiloni», che lo ha chiamato dal Kuwait per congratularsi, «lavoreremo al vostro fianco con molta convinzione». Anche se la chiosa sembra una messa in guardia: «Ci attendiamo molto da voi». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/05/01/italia/politica/la-seconda-volta-di-renzi-dobbiamo-ricominciare-dal-basso-5IMPfMLpdBMvk90tsX7f3M/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Incontro con Obama e Michelle. E Renzi prepara la riscossa Inserito da: Admin - Maggio 02, 2017, 11:56:55 am Incontro con Obama e Michelle. E Renzi prepara la riscossa
Prima a Milano con Barack, poi in Toscana con le mogli Pubblicato il 30/04/2017 - Ultima modifica il 30/04/2017 alle ore 07:56 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Un appuntamento è già fissato, lunedì 8 maggio a Milano. A un altro, con le rispettive mogli, si sta lavorando: dovrebbe essere una decina di giorni dopo, in Toscana. Matteo Renzi ci si è dedicato nelle settimane scorse, tra un impegno e l’altro di campagna per le primarie. Nella speranza che saranno i primi incontri internazionali da segretario rieletto del Pd: quelli con l’ex presidente americano Barack Obama, al suo primo tour in Europa dopo l’abbandono della Casa Bianca. Quello dell’8 maggio «è un incontro non ufficiale, ho piacere che Obama venga in Italia e vado volentieri a Milano a salutarlo», ha spiegato Renzi ad alcuni amici. In questi mesi, racconta chi gli è vicino, un canale con il predecessore di Trump è rimasto aperto dopo che, da premier, era stato l’ultimo ospite straniero alla Casa Bianca. Era ottobre: Renzi si presentò accompagnato dalla moglie Agnese e una parata di talenti italiani (dalla campionessa paraolimpica di scherma Bebe Vio alla sindaca di Lampedusa Giusy Nicolini, fresco premio per la pace Unesco, a Roberto Benigni); Obama lo accolse con un largo sorriso e parole di sostegno per l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre. Da allora, Renzi ha perso il referendum e la guida del governo; Obama ha finito il mandato ed è tornato alla vita di «comune» cittadino. Ora però è con un viaggio in Europa che torna alla vita pubblica, in chiave anti-Trump, spiegano analisti americani: prima tappa, Milano, la terza edizione di Seeds & Chips, il Global food innovation summit, dove, accompagnato dal suo cuoco personale alla Casa bianca, Sam Kass, il 9 maggio alle 14 terrà un intervento sugli effetti del cambiamento climatico sulla sicurezza alimentare. Atterrerà nel capoluogo lombardo il giorno prima, lunedì 8, tra imponenti misure di sicurezza, e alloggerà in un lussuoso hotel a cinque stelle del centro città: lì ha già ottenuto un appuntamento Renzi, «prendiamo un caffè insieme», minimizza coi collaboratori, felice di reincontrare un leader politico di cui, ha detto pochi giorni fa, se fosse quindicenne terrebbe il poster in camera. Nei giorni meneghini è previsto anche che il sindaco, Beppe Sala, gli consegni il sigillo della città: per motivi di sicurezza, ancora da chiarire se la cerimonia si potrà tenere a Palazzo Marino o altrove. Ma non è il solo incontro con l’ex commander in chief che l’aspirante segretario rieletto del Pd ha messo in agenda. Dopo l’impegno milanese, infatti, Obama resterà in Europa: il 25 maggio è in programma un incontro con la cancelliera Angela Merkel a Berlino, mentre il 26, in concomitanza con l’apertura del G7 a Taormina, lui si recherà nella Scozia anti-Brexit. È prima di questi appuntamenti, in una data ancora da designare con certezza – potrebbe essere venerdì 19 o martedì 23 – che si sta lavorando a un nuovo incontro tra i due. Questa volta esteso alle mogli, perché Michelle dovrebbe raggiungere il marito dagli Stati Uniti. Destinazione, la Toscana di Renzi, che lo stesso ex presidente e consorte hanno visitato in passato, «ci siamo stati con Michelle: bei tempi, non avevamo figli», ha avuto modo di scherzare lui una volta. Probabilmente, l’incontro sarà a Firenze, la città di cui l’ex presidente del Consiglio è stato sindaco, ma non è escluso che si terrà invece in un borgo fuori città. Un incontro a quattro, forse un’onorificenza da consegnare al leader democratico, premio Nobel per la pace, che «ha cambiato la storia di questo pianeta», come ripete Renzi. Oggi, l’ex segretario ricandidato cercherà di vincere le primarie. Già proiettato ai primi appuntamenti da leader riconfermato. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/30/italia/politica/incontro-con-obama-e-michelle-e-renzi-prepara-la-riscossa-oMHd1jD4YT26EsRR36ebzN/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI Salvati “La maggioranza liberale di sinistra ha rigenerato.. Inserito da: Admin - Maggio 03, 2017, 10:22:48 am Salvati: “La maggioranza liberale di sinistra ha rigenerato il partito democratico”
Il politologo: Renzi esce rafforzato da questa svolta, ora deve rispondere mettendo a posto la situazione nei territori Pubblicato il 01/05/2017 - Ultima modifica il 01/05/2017 alle ore 13:21 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA «Dopo la sconfitta del referendum e i risultati del governo, percepiti come non eccellenti, il fatto che una parte così ampia del popolo di sinistra riconfermi Renzi a questi livelli è un dato importante. A cui lui deve rispondere». Politologo ed economista, Michele Salvati è stato, più di dieci anni fa, il primo teorico del Pd. Un dato importante anche per il Pd: da noi i partiti tradizionali hanno ancora una vitalità? «In Europa i partiti tradizionali sono in crisi quasi ovunque, con l’eccezione della Germania, la cui politica s’impernia sui grandi assi di Spd e Cdu. In qualche modo però il Pd sia a livello di struttura dei circoli che attraverso le primarie, si può definire un partito tradizionale con una base democratica ampia». È un’eccezione? «Sì, tanto che i politologi Fasano e Natale hanno intitolato il loro libro in uscita “L’ultimo partito”. Un partito che però ha permesso a un quasi outsider di arrivare alla guida. In questo è la differenza col Ps francese». Cioè? «Nel Ps era tale la resistenza a nuovi innesti liberal-democratici che Macron – un personaggio simile a Renzi, portatore di una filosofia liberale – si è convinto che non ce l’avrebbe mai fatta a vincere primarie aperte. Non avrebbe mai potuto scalare il partito dall’interno: Renzi l’ha fatto». Ma qual è lo stato di salute delle primarie? Non è che poi, come in Francia, chi vince le primarie perde le elezioni? «Lo stato di salute delle primarie dipende dai contesti. In origine, qui da noi, sono state un espediente per santificare Romano Prodi, che si rivolgeva a due popoli diversi e aveva bisogno di un’investitura generale. Adesso però quella vecchia spaccatura tra Dc e Pci è sparita, la fusione è avvenuta, e restano le fratture tipiche di ogni partito di una sinistra di governo europeo: tra un orientamento più radicale, uno più socialdemocratico filo sindacale, e uno liberal democratico». E le primarie sono ancora utili? «Non devono essere un feticcio, ma restano un grande strumento per tastare il polso dell’elettorato potenziale. Me la faccia dire così: vanno usate con opportunismo, quando servono. E secondo me hanno un senso solo quando coinvolgono molte più persone rispetto al popolo del partito: quasi quasi io metterei una clausola, che il risultato si rispetta solo se ai gazebo si presenta un numero di persone pari a 4 o 5 volte quelle che hanno votato tra gli iscritti». Che Pd è uscito dai gazebo? «Dal 2013 per la prima volta, e con la larga riconferma di ieri, la maggioranza del partito è liberale di sinistra, quella che era solo una infima minoranza quando militavo io nell’Ulivo: al congresso di Pesaro prendemmo il 4 per cento... Questo è, per ora, un successo di Renzi. Che ha avuto una investitura notevole a cui deve rispondere». Come? Cosa deve fare subito? «Renzi ha avuto un grande successo nel partito: ora lo metta a posto. Il Pd in molte realtà del Paese non esiste o è frutto di notabilati locali. Ripensi alla struttura del partito». Proverà a votare in autunno o Gentiloni può stare sereno? «Non lo so, ma credo che Gentiloni abbia con lui un contatto continuo e una tale affinità politica da poter stare abbastanza tranquillo». Cosa prevede verrà deciso sulla legge elettorale? «Temo che l’ipotesi più probabile sia che si vada a votare con le due leggi uscite dalla Consulta. Anche se spero di sbagliarmi: spero non si vada in direzione ancora più proporzionale». La ferita della scissione di Bersani e D’Alema è già sanata? «Non credo, ma vedremo gli effetti a lunga scadenza alle prossime elezioni. Tra la sinistra rimasta nel Pd e i fuoriusciti c’è una sorta di continuum, poi perché siano usciti non l’ho ancora capito. Pisapia, di cui ho grande stima, vorrebbe riunire tutto quel nucleo, vedremo se riuscirà e come reagirà Renzi». Orlando e Emiliano lo accusano di voler fare un governo dopo le elezioni con Berlusconi… «La battaglia politica sarà condotta sempre di più nella divisione tra due blocchi: Europa sì-Europa no, come già sta succedendo in Francia. In questo clima, è possibile che, se Berlusconi non si allea coi sovranisti, si troverà da questa parte del campo e diventi inevitabile fare un governo con lui». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/05/01/italia/cronache/la-maggioranza-liberale-di-sinistra-ha-rigenerato-il-partito-democratico-VQlZDHKshzqO9hsSfIzjtM/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Le Ong dividono il governo: Orlando le difende, Minniti ... Inserito da: Admin - Maggio 03, 2017, 10:36:28 am Le Ong dividono il governo: Orlando le difende, Minniti chiede chiarezza
Il Guardasigilli contro il procuratore di Catania: atti, non parole Pubblicato il 28/04/2017 - Ultima modifica il 28/04/2017 alle ore 08:32 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Sulla vicenda delle Ong, nel governo si parlano lingue diverse. A qualche giorno dall’esplosione della polemica su quale sia il ruolo delle organizzazioni non governative nel salvataggio dei migranti in mare, dopo che ancora ieri il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, ad «Agorà», ha affermato che «alcune Ong potrebbero essere finanziate da trafficanti» (salvo poi chiarire che si tratta di «ipotesi di lavoro, non prove») impostazioni diverse si sono chiaramente avvertite ieri, quando sono intervenuti il ministro della giustizia, Andrea Orlando, e quello dell’Interno, Marco Minniti. Ma anche l’ex segretario ricandidato del Pd, Matteo Renzi. «Spero che la procura di Catania parli attraverso le indagini, gli atti, perché credo sia il modo migliore. Se il pm ha elementi in questo senso faremo una valutazione», richiama il Guardasigilli Orlando a evitare di esprimersi con valutazioni personali. «In generale, non è giusto ricostruire la storia delle Ong come la storia di collusi con i trafficanti, è una menzogna», bacchetta, dopo che già mercoledì sera, nel corso del confronto tra candidati alle primarie Pd, aveva attaccato il grillino Di Maio per le sue parole sui «taxi del Mediterraneo»: «Dovrebbe vergognarsi». Perché, oltre che ministro del governo Gentiloni, Orlando è candidato alle primarie, e non dimentica di voler rappresentare l’ala sinistra del partito. Quella che sta con le Ong, che le difende, e sull’inchiesta si mostra più che prudente. E se sulla frase di attacco a Di Maio c’è sintonia col resto del governo («evitare giudizi affrettati», ha raccomandato anche Minniti) e con Renzi («la visione degli operatori delle Ong che sono tutti al servizio degli scafisti, come detto da qualche aspirante statista, non va bene»), è sull’impostazione generale che si individua una linea di frattura. «Che qualcuno non si stia comportando bene direi che è possibile. Arrivo a dire, è probabile», dichiara l’ex premier a «Porta a porta»: «Che ci siano state alcune vicende discutibili, per me è innegabile. Se qualche Ong va a qualche miglio dalla costa, credo si debba intervenire», considera, «dopodiché vanno combattuti gli scafisti, non i volontari». Altro che la cautela di Orlando. Una linea che, nel governo, incarna bene il ministro Minniti: «Le questioni sollevate non possono essere sottovalutate», ha spiegato ieri in un question time alla Camera, per questo il governo «segue lo sviluppo» di numerose indagini – da quella della procura di Catania a quella della Commissione difesa – e «ha aperto un canale di scambio informativo con la Commissione europea e l’agenzia Frontex». Certo, anche il responsabile del Viminale invita a «non generalizzare», ma anche a non sottovalutare, e garantisce che «gli esiti finali» di tutte le inchieste in corso «verranno valutati con grande attenzione». D’altra parte, quando il presidente della Commissione difesa del Senato, Nicola Latorre, propose un’indagine conoscitiva sul tema, i segnali che gli arrivarono dall’esecutivo furono di incoraggiamento. Due linee a confronto, insomma. Quella «dura» di Minniti sulla questione migranti in generale, secondo qualcuno stava rischiando di trovarsi isolata: più vicina a un approccio solidale è considerata la ministra Pinotti, legata al mondo scout, così come il cattolico Delrio, o anche la Farnesina, dove il viceministro Mario Giro è molto legato alla comunità di Sant’Egidio ed è stato il primo a rifiutare di considerare il salvataggio in mare da parte delle Ong come «pull factor», fattore di attrazione per le partenze. «Ma il Parlamento e l’opinione pubblica sono con Minniti», assicura un sostenitore del governo. E, soprattutto, è con lui il quasi certo nuovo segretario del Pd. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/04/28/italia/cronache/le-ong-dividono-il-governo-orlando-le-difende-minniti-chiede-chiarezza-Nsq3ZSoTvRK0KkD7zFgDUL/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Licenza di sparare se aggrediti di notte e in casa propria Inserito da: Arlecchino - Maggio 09, 2017, 05:43:26 pm Licenza di sparare se aggrediti di notte e in casa propria
Pd e centristi trovano il compromesso, ma la reazione dovrà essere proporzionata. Oggi l’accordo alla Camera. Per le opposizioni, però, la legge è ancora troppo timida Negli ultimi anni una maggiore tutela di chi spara per difendersi è diventato un cavallo di battaglia della Lega Nord. Parlamentari ed esponenti del Carroccio sono sempre stati al fianco di chi è stato incriminato per aver ucciso un ladro che gli stava entrando in casa Pubblicato il 04/05/2017 - Ultima modifica il 04/05/2017 alle ore 08:44 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Raggiunto l’accordo di maggioranza martedì sera, oggi le modifiche sulla legittima difesa saranno approvate alla Camera. Dopo due anni di discussione, periodicamente riaccesa da fatti di cronaca, oggi arriverà il voto finale di un provvedimento che, comunque la si pensi, è destinato a far discutere. Un primo ok che però non spedisce la legge in Gazzetta Ufficiale: manca ancora l’approvazione del Senato. Nodo chiave della legge, su cui Pd e centristi di Alfano si sono confrontati e scontrati a lungo, salvo poi trovare la quadra grazie alla mediazione del ministro Anna Finocchiaro, è l’articolo 52 del codice penale. A sigillare il compromesso è un emendamento messo a punto dalla Commissione per stabilire che si considera legittima difesa la reazione a un’aggressione «in tempo di notte» o avvenuta dopo che una persona si è introdotta a casa propria «con violenza alle persone o alle cose» o «con minaccia o con inganno». Il tutto, però, è specificato, «fermo restando quanto previsto dal primo comma»: cioè che sussistano i criteri di necessità, attualità e proporzione tra offesa e difesa. Una formula che permette così ad Ap di cantare vittoria, giurando, come fa Maurizio Lupi, che «ora la reazione a chi entra in casa mia di notte, con violenza, per attentare alla mia sicurezza e alla mia proprietà è tutelata come legittima difesa», e al responsabile giustizia del Pd, David Ermini, relatore della legge, di sottolineare che viene lasciato «al giudice un margine per decidere e valutare quella condotta», senza fughe in avanti da Far West o, come le chiama, «follie leghiste». Soddisfatta la maggioranza, per qualche ora sembra che persino una parte dell’opposizione possa convergere sulla legge. Mentre il M5S resta defilato rispetto al dibattito di giornata e oggi voterà contro («una norma tecnicamente aberrante che dice tutto e niente, forse con profili di incostituzionalità», la boccia Vittorio Ferraresi), in mattinata ci sono contatti tra i capigruppo di Pd e Forza Italia, Rosato e Brunetta, con i berlusconiani tentati di votare a favore. Proprio per dare un segnale di apertura, nella sua introduzione in aula il relatore Ermini parla del lavoro della commissione e di criteri presi in considerazione da emendamenti di vari colleghi, citando volutamente anche la forzista Maria Stella Gelmini. A quel punto però si tiene una riunione tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Con il Carroccio che riesce a imporre la sua linea: all’uscita, la proposta che arriva ai democratici è irricevibile, ovvero adottare l’emendamento firmato dal leghista Nicola Molteni. E così, Pd e centristi vanno avanti, mentre Forza Italia si sfila per amor di alleati e oggi voterà contro. «Il Pd e le altre forze di maggioranza non hanno saputo o voluto scrivere una legge che rispondesse davvero alle esigenze dei cittadini onesti, una legge in grado di tutelare le persone perbene quando sono aggredite», interviene Silvio Berlusconi con una nota, «noi non siamo certo per la difesa “fai da te”, ma di fronte al pericolo dev’essere garantito il diritto alla difesa», mentre «il testo non dà risposta, lascia alla discrezionalità del giudice margini eccessivi». Critiche che in maggioranza leggono come tattica: «Questo testo è equilibrato, e ricalca le stesse proposte delle opposizioni - valuta il ministro degli Affari regionali Enrico Costa, Ncd, che molto ha lavorato alla legge - Mi dispiace che per calcolo politico ne prendano le distanze». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/05/04/italia/cronache/licenza-di-sparare-se-aggrediti-di-notte-e-in-casa-propria-5QI3xk0F1KJEqo6Yt2MvOO/pagina.html Titolo: Re: FRANCESCA SCHIANCHI. Inserito da: Arlecchino - Giugno 03, 2017, 11:33:32 am La festa del grande gelo. Nei giardini del Quirinale vacilla il patto sul voto Alla celebrazione del 2 giugno tiene banco la legge elettorale. Il leader Pd: se si sfila il M5s salta tutto. Gentiloni defilato Pubblicato il 02/06/2017 - Ultima modifica il 02/06/2017 alle ore 06:44 Francesca Schianchi Roma Con i Cinque stelle siamo partiti bene, ma non sono così convinto che tengano». È tardo pomeriggio, l’orchestra suona la musica del “Padrino” in sottofondo al chiacchiericcio degli ospiti. Vicino ai gazebo bianchi sulla sinistra del giardino, Matteo Renzi in gessato grigio stringe mani, scatta selfie, scherza con i sindaci del terremoto. Arrivato al tradizionale ricevimento del Quirinale per la festa della Repubblica per la prima volta non più come premier, ma solo come segretario Pd, con qualche interlocutore racconta sinceramente come la vede, in questa giornata che sembra rimettere tutto in discussione. Sembrava fatta fino a poche ore prima: una miracolosa intesa sulla legge elettorale capace di mettere d’accordo Pd, Forza Italia e M5s sul sistema tedesco, mettendo all’angolo Alfano e la sua Alternativa Popolare. Poi, ieri, le prime crepe, i primi mugugni dall’interno dei Cinque stelle che suonano come un campanello d’allarme. La paura che tutto salti che attraversa il Palazzo e anche qui, in questo gran ballo dei potenti, rimbalza da un capannello all’altro. «Se si sfilano i Cinque stelle, salta l’accordo», confida il leader Pd. Dall’altra parte del giardino, loro, i pentastellati, chiacchierano in un tavolo rotondo. Per la prima volta è venuto Luigi Di Maio, accompagnato dalla fidanzata Silvia Virgulti, ma c’è anche Roberto Fico, che proprio ieri ha ammonito «l’accordo non è scontato» scatenando timori e nervosismi. «C’è ancora il lavoro di commissione, abbiamo presentato i nostri emendamenti, ma non c’è da parte nostra un ultimatum», cerca di rassicurare Di Maio. «Noi reggiamo, anche perché per il sistema tedesco hanno votato il 95 per cento dei nostri, bisogna vedere se regge la maggioranza…». Lì dove le tensioni sono platealmente deflagrate. «Renzi è stato una delusione umana e politica: dovrà spiegare lui agli italiani perché non facciamo la legge di stabilità. E noi che abbiamo fatto la scissione per fargli fare il governo…», è furibonda la ministra della Salute Beatrice Lorenzin, mentre dalla grande terrazza che si affaccia sul cupolone di San Pietro si staglia la figura di Angelino Alfano. Cammina verso i giardini, si guarda un attimo intorno. Individua laggiù la sagoma di Renzi, lo osserva da lontano, si guarda bene dall’incontrarlo. «Tra noi c’è sempre stato un rapporto leale, quasi affettuoso, non capisco questo attacco personale… O forse sì: mercoledì, il giorno in cui mi ha definito “il ministro di tutto”, avevo fatto un post su Facebook in cui lo attaccavo. È passato praticamente inosservato, ma tra i pochi che l’hanno letto c’era lui», racconta. Il deputato Pizzolante ha rivelato come già a febbraio l’ex premier chiese ai centristi di far cadere il governo Gentiloni: «Io sono un avvocato: quello che ha detto Pizzolante in tribunale si configura come fatto notorio. Non ha svelato chissà quale segreto: basta leggere i giornali di quei giorni», conferma tutto. Il premier Gentiloni presente con la moglie Emanuela resta defilato, lontano dai giornalisti. A Renzi riserva però un abbraccio caloroso che sembra voler certificare una perdurante armonia, poi si appartano per un breve colloquio. Si forma una fila lunghissima per omaggiare il padrone di casa, il presidente Mattarella. Tra i tavoli, in cui si spizzica finger food, l’argomento resta la tenuta dell’accordo. «Io spero proprio che regga», sorride il riservatissimo Gianni Letta. Ma tra alcuni eminenti giuristi ci si interroga già anche sulla costituzionalità della legge che nascerà, se i collegi non rischieranno di essere una roulette russa a rischio bocciatura della Consulta. «Vedrete che i Cinque stelle faranno saltare l’accordo: ho studiato la loro tecnica, è sempre la stessa – si preoccupa il sottosegretario renziano Gennaro Migliore – Prima dicono di sì, poi appena vedono qualche incrinatura nel fronte degli altri si sfilano». Accompagnata dal fratello Emanuele - «il boschino», come lo saluta Renzi – arriva la sottosegretaria Maria Elena Boschi. «I cinque stelle rischiano di non reggere questa legge ma non dal punto di vista del merito – perché a loro va benissimo – ma del metodo. L’idea di fare un accordo con noi e Forza Italia per alcuni di loro è ancora difficile da accettare. Tanto più ora che pare che ci siano magistrati che si stanno avvicinando a loro, e forse non vedono di buon occhio un accordo con Berlusconi… Molto dipenderà anche da come voi giornalisti descriverete questo accordo», è insolitamente loquace, «ma io per ora resto ottimista». Anche perché, considera Renzi, se saltasse la legge e si votasse col Consultellum, per i grillini sarebbe peggio: «Questa legge serve al M5s, se salta loro vanno in difficoltà perché si vota con la soglia all’8 per cento e le preferenze. Per noi non è un problema, noi le preferenze le gestiamo, ma loro?». E forse anche Di Maio ci riflette, visto che a uno dei tanti che vanno a presentarsi e salutarlo, si lascia sfuggire un sicuro «la prossima legislatura è a settembre». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/06/02/italia/politica/la-festa-del-grande-gelo-nei-giardini-del-quirinale-vacilla-il-patto-sul-voto-8Ty5kehFPYGOaKcz8bGc9H/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi: destinati a perdere se l’unico nostro schema è ... Inserito da: Arlecchino - Giugno 27, 2017, 11:22:02 am Renzi: destinati a perdere se l’unico nostro schema è allearci con la sinistra
“Ragionavamo in chiave anti-Grillo, ma Berlusconi c’è ancora”. Sconfitta storica anche a La Spezia Pubblicato il 26/06/2017 - Ultima modifica il 26/06/2017 alle ore 09:41 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA A poche ore dalla chiusura dei seggi, i vertici del Pd si sono confidati con onestà: se si perde Genova ma si riescono a vincere Taranto, Padova, L’Aquila più una città in Toscana e una in Lombardia, è “solo” una sconfitta. Meno di così, è una débâcle: proprio quella che si concretizza a notte, con sconfitte da L’Aquila a La Spezia a Lodi, nonostante le sorprese positive di Padova e Lecce. Un magro bottino che oggi commenterà il vicesegretario, Maurizio Martina. Resterà in silenzio Matteo Renzi, che ieri ha atteso i risultati in famiglia a Pontassieve esprimendosi via Facebook, dialogando con gli utenti del social network ma, in una giornata così delicata per il partito, per parlare solo di sport, la Ferrari e lo «scandalo arbitrale» di cui è stata vittima l’Italia del basket femminile. Forse nemmeno oggi scenderà a Roma, a fronteggiare chi, come l’avversario interno Andrea Orlando, già nella notte dava il via a una resa dei conti: «Il Pd isolato politicamente e socialmente perde quasi ovunque. Cambiare linea. Ricostruire il centrosinistra subito». Già due settimane fa, dopo il primo turno, ai piani alti di Largo del Nazareno avevano ragionato sui risultati. Quelli già acquisiti, e quelli che sarebbero arrivati ieri, prevedendo un’ampia vittoria del centrodestra. Convinti con disappunto che, se il M5S è uscito male da questa tornata, i voti che loro perdono non vanno verso sinistra, ma verso destra. E lì, in quell’area, dove hanno rinsaldato l’alleanza tradizionale Forza Italia-Lega hanno vinto: a partire dalla città più attesa di questo voto, Genova, persa dopo anni di dominio incontrastato. Dove pure il centrosinistra si presentava unito, una coalizione sbilanciata a sinistra, sostenuta anche dagli scissionisti di Mdp perché, spiegano dal Pd ligure, «dopo la sconfitta della Paita di due anni fa si pensava che con un renziano non si potesse vincere». Ecco, è proprio a partire dai dati del capoluogo ligure che il segretario dem ieri sera discuteva con i suoi: «Berlusconi c’è ancora. Siamo andati al voto con uno schema anti-Grillo, ora bisogna trovarne uno più efficace contro il centrodestra: dobbiamo rafforzare il profilo riformista». Frase che i suoi interlocutori hanno interpretato in un solo modo: se per fronteggiare Grillo bisognava inseguire Pisapia, contro la destra serve un Renzi più prima maniera. Alla faccia della richiesta orlandiana di «ricostruire un centrosinistra». Giornata difficile per la sinistra, Genova sulla scia di Roma e Torino Perché è ovvio che dal risultato di stanotte si trarranno anche conclusioni sul piano nazionale. Prima tra le osservazioni del segretario del Pd, quindi, è che l’ex Cavaliere è tornato, è di nuovo temibile, e queste comunali potrebbero convincerlo definitivamente a tornare a braccetto con Salvini. Non solo: dal Pd sono convinti che un Berlusconi di nuovo in auge potrebbe avere conseguenze anche sull’immediato, una grande forza attrattiva, nel Palazzo, sull’area di Alfano. E poi, seconda osservazione, il rapporto con la sinistra fuori dal Pd, a partire da Pisapia. Se Genova dopo anni di vittorie di centrosinistra è persa, se mettendo insieme il largo e plurale centrosinistra di cui parla Pisapia il risultato è stato quello di consegnare la città alla strategia di Toti e Salvini, allora forse non è quello lo schema vincente per il centrosinistra. Cioè non è utile rincorrere i pezzi di centrosinistra fuori dal partito – operazione che richiederebbe, secondo Prodi, di superare robusti «veti personali» - ma occorre accentuare piuttosto il profilo più riformista, o se si vuole “di destra” del Pd. Mentre Renzi ragionava così, mentre squadernava l’ipotesi di escludere del tutto una coalizione con Bersani, D’Alema e compagni, qualcuno dei suoi ha colto in lui un sospiro di sollievo: in fondo, non tutte le sconfitte vengono per nuocere. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/06/26/italia/politica/renzi-destinati-a-perdere-se-lunico-nostro-schema-allearci-con-la-sinistra-N2IcsDJt5L4Ijq3Wp3OuUI/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. È stato un voto anti-sistema. Così Renzi legge i risultati Inserito da: Arlecchino - Giugno 27, 2017, 11:28:37 am “È stato un voto anti-sistema”. Così Renzi legge i risultati
Per il segretario del Pd gli elettori hanno penalizzato chi governa. “Altro che cambio di linea: non inseguo la sinistra, torno me stesso” Pubblicato il 27/06/2017 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Nella notte di domenica, non appena i dati si stabilizzano, il segretario del Pd, Matteo Renzi, affida a Facebook le sue prime impressioni. «Risultati a macchia di leopardo», li definisce, guardando il bicchiere mezzo pieno: «Nel numero totale di sindaci vittoriosi siamo avanti noi del Pd», anche se è costretto ad ammettere che «poteva andare meglio». Se lo aspettava, immaginava che il risultato non sarebbe stato positivo. Sperava in qualcosa di meglio in Lombardia, teneva le dita incrociate per L’Aquila, ma sapeva che questo secondo turno non avrebbe sorriso al centrosinistra. E naturalmente era consapevole che sarebbe stato lui nel mirino, in quanto capo del partito, segretario appena rieletto, le sue scelte, la sua latitanza in campagna elettorale. Che gli sarebbero arrivate richieste di cambiamento, come fa l’avversario interno al Pd Andrea Orlando («serve umiltà, ascolto, disponibilità a cambiare idea o a far cambiare idea agli altri: non è solo una questione di carattere, ma di linea politica») e come predicano fuoriusciti come Roberto Speranza («l’unica strada per ripartire è archiviare definitivamente le politiche errate del renzismo»). Lungo la giornata, trascorsa a Firenze prima di decidere di rientrare a Roma nel tardo pomeriggio, alla sede nazionale di Largo del Nazareno, ha riguardato i dati, i risultati da Nord a Sud del Paese. E si è convinto che c’è un filo conduttore nelle scelte degli elettori alle urne: secondo lui, in una lettura un po’ autoassolutoria, non è necessariamente il voto contrario al Pd. «Se a Lecce vinciamo inaspettatamente noi, e a Genova il centrodestra dopo decenni, io interpreto questo risultato come antisistema», ha spiegato ai suoi, «sì, quello che è successo è che, quasi ovunque, i cittadini hanno votato contro chi governava, hanno scelto il cambiamento». A spese dei dem è successo all’Aquila come a Piacenza, a Monza come a Lodi come nella storica roccaforte rossa di Sesto San Giovanni, ma anche in un altro fortino di sinistra come Carrara, a favore del M5S. Ai danni del centrodestra è successo a Lecce ma anche a Padova. Una dinamica facilitata, secondo il suo ragionamento, dalla bassa affluenza (46 per cento di media nazionale), che, in una torrida domenica di fine giugno, ha portato alle urne solo i più convinti e i più arrabbiati. Ecco perché il tweet di quel grafico a torta, di buon mattino, che rivendica numeri quantomeno opinabili, visto che vanta 67 sindaci del centrosinistra contro 59 del centrodestra (su 22 capoluoghi al voto domenica, ben 16 sono andati a Berlusconi e alleati) e che infatti gli procura ironie del web e smentite di compagni di partito (sempre Orlando: «è stata una sconfitta»). Ecco perché, nonostante lui stesso fosse preparato al peggio, ammette che «il risultato complessivo non è granché» ma insiste sul fatto che si tratta di un voto locale («le elezioni amministrative sono un’altra cosa rispetto alle politiche»), che nello scegliere un sindaco «i candidati contano più del dibattito nazionale» e insomma rifiuta l’idea – su cui invece analisti e politici sono perlopiù concordi – che il voto di domenica sia stato «un campanello d’allarme: non si capisce per cosa e perché visto che in un comune perdi, in quello accanto vinci». La linea viene trasmessa ai colonnelli, uno dei suoi fedelissimi come Matteo Ricci si presenta alle tv a sostenere l’ardita teoria che «l’unico sconfitto è Grillo e il Movimento cinque stelle, il centrosinistra vince nella maggioranza dei comuni nonostante l’avanzata della destra»; il presidente del partito Matteo Orfini, ex leader dei Giovani turchi e oggi uno degli uomini a lui più vicini, sbeffeggia la richiesta dell’altro ex leader della medesima corrente Orlando di convocare «un tavolo delle forze di centrosinistra» pubblicando su Twitter un grafico dell’affollato, litigioso tavolo dell’Unione con hashtag «Anche no». Se lo schema è cambiato, se l’avversario da battere non è più tanto Grillo quanto il centrodestra, è il ragionamento di Renzi, allora bisogna cambiare strategia: «Anziché rincorrere Pisapia devo tornare a fare Renzi», ha detto ai suoi. E allora, la prima prova ieri, quando ha lanciato dalla sua pagina Facebook il dibattito quotidiano che si tiene alla sede del Pd. Argomento della discussione, il bonus per i 18enni e la politica «un euro in sicurezza e uno in cultura». Anche questa misura finì nel mirino della sinistra del partito, essendo concessa in modo indiscriminato a neomaggiorenni incapienti come a milionari. «Il presidente Macron l’ha integralmente ripreso nel suo programma per la Francia», rivendica invece il leader Pd. Come a dire: altro che cambio di linea, è su quella strada che vuole continuare a battere. Avrà modo di farlo capire, nei prossimi appuntamenti del partito: l’Assemblea nazionale dei circoli Pd, a Milano nel fine settimana, e la Direzione il 10 luglio. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/06/27/italia/politica/stato-un-voto-antisistema-cos-renzi-legge-i-risultati-8vOk4YHplMKqqPmfpSnEIK/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Marianna Madia: “Pisapia alleato naturale, Renzi non ha ... Inserito da: Arlecchino - Luglio 11, 2017, 10:20:29 am Marianna Madia: “Pisapia alleato naturale, Renzi non ha mai chiuso Discutiamo di programmi”
Il ministro della Pubblica amministrazione: “Ci aiutino, fuori dalla logica Matteo sì-Matteo no” Pubblicato il 04/07/2017 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Marianna Madia è il ministro della Pubblica amministrazione dal febbraio 2014, prima nel governo Renzi e ora in quello guidato da Gentiloni. Oggi sarà a Reggio Calabria, «in tour per curare l’attuazione della mia riforma», spiega difendendo i provvedimenti di questi anni da chi, fuori dal Pd, li critica. E lancia un appello a Pisapia: «E’ il nostro alleato naturale, discutiamo insieme di temi e non di veti su Renzi». Partiamo dal Pd: come definisce il risultato delle amministrative? «Avremmo preferito fosse migliore, anche se vanno riconosciute vittorie importanti come Padova. Ma è innegabile che avremmo sperato qualcosa in più». Che impressione le ha fatto la piazza di Pisapia, Bersani e D’Alema? «Pisapia e tutto ciò che gli ruota attorno sono gli unici potenziali alleati naturali del Pd: da loro mi aspetto che arrivi un innalzamento del dibattito, che portino la discussione su ciò che fa bene al Paese e ciò che bisognerà fare nella prossima legislatura, e non che la trascinino al ribasso su Renzi sì-Renzi no». Lo hanno già detto: discontinuità con le politiche di Renzi. «Nel suo discorso, Pisapia non è stato così chiaro». Le critiche più aspre sono per il Jobs Act: per lei è di sinistra? «E’ un provvedimento fortemente di sinistra che dà diritti a chi non ne aveva, a una generazione che era ormai abituata ai contratti a progetto». Bersani sferza voi dirigenti del Pd: qual è la vostra idea del mondo, chiede. «Vorrei capire cosa ne pensa lui dell’assunzione dei precari della Pa, dello sblocco dei contratti pubblici che ci accingiamo a fare, dell’approvazione del Foia che aumenta la trasparenza…». Renzi ha già bocciato le coalizioni coi grandi tavoloni modello Unione: dialogo impossibile? «Renzi non ha mai detto che Pisapia non può essere un alleato: affermarlo è una forzatura del dibattito. Semplicemente, dice di parlare delle cose da fare». Beh, però un’alleanza con D’Alema la esclude, no? «Non parliamo delle persone ma della natura dei provvedimenti». C’è il rischio di larghe intese con Berlusconi? Orlando ha già detto che in quel caso chiederebbe un referendum tra gli iscritti… «L’alleanza con Berlusconi non è all’ordine del giorno perché Forza Italia è alternativa a noi e non è un alleato naturale. Mentre noi superiamo le leggi sulla Pa di Brunetta, stiamo a discutere di presunte larghe intese con loro: un dibattito da marziani». Molto dipenderà dalla legge elettorale: lei quale vorrebbe? «Io sono entrata in Parlamento nel 2008 con Veltroni, sono figlia del maggioritario. Ma so bene quanto è difficile approvare una legge elettorale». Ministro, come si lavora in un governo sempre esposto a fibrillazioni? «Si lavora in assoluta continuità col governo Renzi e, in realtà, rispetto alla durata media dei governi in Italia, non ci sono tutte queste fibrillazioni…». Oggi però ce n’è una nuova: Emiliano che definisce «invotabile» il decreto sulle banche… «Quel decreto è strumento fondamentale per tutelare risparmiatori, imprese e lavoratori». Sulla questione migranti lei è d’accordo con la minaccia di chiudere i porti italiani alle navi di Ong straniere? «Cito il ministro Delrio: ha detto che non è immaginabile né ipotizzato. L’Italia ha fatto tanto non tradendo la sua identità: mi faccia dire che sono fiera di come si sta comportando la Pubblica amministrazione, dai medici ai sindaci. Ma la Ue su questi temi non può essere lenta ma reattiva. E per noi è doveroso chiederlo». Francia e Spagna sono contrarie ad accogliere navi nei loro porti. «L’accordo di Parigi mi sembra rappresenti un passo nella giusta direzione. Ora Bruxelles faccia la sua parte fino in fondo». Lei per ottobre ha promesso il rinnovo dei contratti della Pa: è sicura che in quei giorni non staremo per votare per le politiche? «Quello che ho fatto resta comunque come patrimonio di chi verrà. A cominciare dalla riforma della Pa, di cui in questo periodo sto curando l’applicazione, girando l’Italia con una campagna chiamata #terzotempo per verificare come viene attuata, dal digitale alle semplificazioni alle nuove norme sulla trasparenza. Ma non mi pare ci sia l’ipotesi del voto. Chi sostiene in modo convinto il governo è il segretario del Pd: non so se problemi possono venire da altre forze politiche». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/07/04/italia/politica/marianna-madia-pisapia-alleato-naturale-renzi-non-ha-mai-chiuso-discutiamo-di-programmi-x1R6p0siSI40CU9R8hmMML/pagina.html Titolo: La telefonata con l’Eliseo per ricucire. In agosto summit anche con la Merkel Inserito da: Arlecchino - Luglio 30, 2017, 05:36:39 pm La telefonata con l’Eliseo per ricucire. In agosto summit anche con la Merkel
La nave La Marina militare è pronta a schierare il ’’Bersagliere’’ Pubblicato il 28/07/2017 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA L’appuntamento per un faccia a faccia europeo è per il 28 agosto. In Francia, per discutere di crisi libica, si incontreranno il presidente Emmanuel Macron, il nostro premier Paolo Gentiloni, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il capo del governo spagnolo Mariano Rajoy. Forse l’invito verrà esteso anche ai rappresentanti di Ciad e Niger, i due Paesi africani in cui, ha spiegato ieri Macron, potrebbero in futuro sorgere centri di orientamento e pre-verifica delle richieste d’asilo. Lo hanno concordato ieri pomeriggio Gentiloni e Macron, nel corso di una telefonata chiarificatrice dopo le tensioni della giornata, in parte stemperate quando l’Eliseo ha smentito la notizia di voler creare quest’estate hotspot in Libia per esaminare le candidature dei rifugiati. Ma può darsi che un incontro Italia-Francia si tenga anche prima: l’Eliseo ha chiarito che «la Francia non vuole emarginare l’Italia», e il presidente Macron, al telefono con Gentiloni, ha espresso la volontà di venire a Roma nelle prossime settimane, anche se da Palazzo Chigi una risposta ancora non è arrivata. Di certo, la Libia è stata al centro della giornata di ieri: un summit tra premier, ministri interessati (Alfano per gli Esteri, Minniti per l’Interno e Pinotti per la Difesa), e vertici di sicurezza e servizi ha affrontato la richiesta avanzata dal capo di governo al-Sarraj di navi italiane nelle acque del Paese africano per lottare contro i trafficanti di uomini. Sul tavolo, la necessità di discutere quale tipo di missione proporre a deputati e senatori (oggi un provvedimento arriverà sul tavolo del Consiglio dei ministri, da portare la settimana prossima in Parlamento), quali regole di ingaggio stabilire con la controparte libica, quale consistenza dare alla missione. A Palazzo Chigi si sono confrontate due linee: una più favorevole a un intervento light, di dimensioni contenute, e una, prevalente, più propensa a una missione di dimensioni consistenti. Alla fine, si tratterà di una missione di appoggio e supporto alla Marina e alla Guardia costiera libica che utilizzerà mezzi dell’operazione Mare sicuro, composta da circa 700 militari: si parla di quattro o cinque navi e altrettanti aerei, forse droni e un sottomarino, e centinaia di militari, comandati da un ammiraglio a bordo di una fregata Fremm. È previsto che forniremo anche una piattaforma per riparare i mezzi libici. Chiarezza dovrà esserci sul trattamento dei nostri soldati («evitiamo un nuovo caso marò», raccomanda una fonte di governo) e su quello riservato ai migranti riportati sulle coste libiche. Intanto, esponenti di maggioranza in Parlamento stanno già lavorando per cercare un consenso più ampio possibile al provvedimento. Da Forza Italia, Silvio Berlusconi dice che «l’accordo con le autorità libiche è l’unica soluzione»: se la proposta del governo sarà efficace, loro voteranno a favore. Mentre la sinistra di Mdp definisce «non scontato» il suo via libera. Martedì l’approdo in Parlamento. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/07/28/esteri/la-telefonata-con-leliseo-per-ricucire-in-agosto-summit-anche-con-la-merkel-oSlTJI77LGKOB3ayhXp4aP/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. L’affondo di Renzi su Fincantieri: “Governo debole di ... Inserito da: Arlecchino - Agosto 03, 2017, 05:22:28 pm L’affondo di Renzi su Fincantieri: “Governo debole di fronte a Macron”
Il segretario del Pd: “Il presidente francese fa solo l’interesse del suo Paese. Esecutivo fragile perché ha un orizzonte breve”. E rilancia sulla rete Telecom Pubblicato il 31/07/2017 FRANCESCA SCHIANCHI INVIATA A MARINA DI PIETRASANTA «Da me una parola contro Macron non l’avrete mai. Il presidente francese fa il suo interesse nazionale: il problema piuttosto è un governo italiano debole». Se non vogliono essere un attacco al premier Paolo Gentiloni - «facciamogli un applauso» - le prime parole del segretario del Pd Matteo Renzi sulle tante occasioni di scontro tra Italia e Francia degli ultimi giorni assomigliano però a una critica all’irresolutezza italiana. Da qualche giorno il leader del Pd pensava a come intervenire. Dopo il vertice parigino sulla Libia da cui Roma è stata esclusa e la marcia indietro del capo del governo libico al-Sarraj sulle nostre navi nelle acque di Tripoli, poi parzialmente rientrata, venerdì mattina Renzi avrebbe dovuto rilasciare un’intervista in radio. L’ha annullata all’ultimo minuto, per evitare di lasciarsi andare a commenti infuriati su Parigi e ancor di più a polemiche con Palazzo Chigi. Si è preso ancora un paio di giorni per pensarci, e ieri, nella pineta della Versiliana, sotto un sole ancora torrido nonostante l’ora, alla presentazione del suo libro “Avanti” moderata dal direttore della Stampa, Maurizio Molinari, ha cercato di dirla così: il problema non è l’attivismo di Macron, ma la fragilità di un governo che, non per colpa di chi lo guida, ha un orizzonte molto breve davanti a sé. «Abbiamo sempre detto che, dopo il referendum, l’Italia avrebbe attraversato un periodo di debolezza, soprattutto a livello internazionale. Quello che sta facendo Macron era prevedibile, non ho niente contro di lui», risponde a precisa domanda sulle tensioni sulla rotta Parigi-Roma: «Il punto è che l’Italia deve andare a testa alta, noi ci siamo presi la flessibilità a sportellate» ma «questo governo ha davanti cinque o sei mesi», e in Europa «contano i rapporti di forza». Non è colpa insomma di Gentiloni, ci tiene a chiarire («avrà sempre la mia amicizia e il mio sostegno») ma di un governo strutturalmente debole, se le tensioni si moltiplicano e Parigi sembra talvolta farci lo sgambetto. Come reagirebbe lui è facilmente immaginabile, per chi ricorda il Consiglio europeo di Bratislava di un anno fa in cui attaccò clamorosamente le conclusioni del vertice e anche gli alleati Francia e Germania, ma davanti alla platea accaldata di Marina di Pietrasanta, tra cui la moglie Agnese e la figlia Ester, renziani della prima ora come Simona Bonafè, il sottosegretario franceschiniano Giacomelli, l’ex lettiano Sanna, evita consigli a Gentiloni, «sa benissimo cosa fare». «Macron fa una battaglia su Fincantieri? Bene, le regole europee lo consentono: consentiranno anche a noi di fare battaglie su altre partite», posto che nella prossima legislatura «abbiamo bisogno di un governo che abbia un progetto forte e autorevole nel rapporto con l’Europa». E se non è pensabile una ritorsione verso la Francia nazionalizzando Telecom («nessuno immagina di farlo») si può fare invece, propone il leader dem, «un ragionamento attorno a Cassa depositi e prestiti sulla rete, perché la rete è un asset fondamentale per il futuro del Paese». Mescola futuro e passato nel suo discorso il segretario dem. Critiche a chi «va via col broncio, quando dopo che hai servito il Paese devi solo dire grazie» (riferimento chiaro al suo predecessore a Palazzo Chigi, Enrico Letta), punzecchiature agli scissionisti del Pd che hanno fondato un altro partito («se ne sono andati per paura delle primarie, auguri!»), bordate contro il M5S («un movimento eterodiretto che confonde il Cile col Venezuela»), dichiarazioni di fiducia per un Pd «diga contro i populismi». E c’è anche del personale, quando si tocca il tema degli sms fra lui e suo papà Tiziano intercettati e finiti ieri sulle pagine del Fatto quotidiano. «Non so cosa accadrà quando e se mio padre, che è stato pedinato come un camorrista, sarà archiviato per la seconda volta. Dimostreranno che le intercettazioni erano regolari: non hanno rilevanza penale, chi le pubblica spiegherà perché le pubblica». Ma sul caso Consip dice di più: «Questa storia non può oscurare la vera storia: la Procura sospetta siano stati manomessi documenti e prove dell’allora presidente del consiglio: questo è tecnicamente un atto eversivo». Se qualcuno lo ha commesso, insiste, dovrà pagare: trovarlo per la magistratura non sarà difficile, si augura, «hanno lasciato più tracce di Pollicino». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/07/31/italia/politica/laffondo-di-renzi-su-fincantieri-governo-debole-di-fronte-a-macron-SLZn8bpLVH8iHsPiuVrobP/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Adesso il governo punta sulla missione in Libia per ... Inserito da: Arlecchino - Agosto 03, 2017, 05:51:51 pm Adesso il governo punta sulla missione in Libia per dimezzare gli sbarchi
Oggi passaggio in Parlamento. Le navi italiane potrebbero vigilare sui volontari La Guardia costiera libica ha in dotazione quattro motovedette italiane, che entro la fine dell’estate saliranno a dieci Pubblicato il 01/08/2017 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Deluso dall’esito della trattativa con le Ong, il governo oggi conta sul passo avanti decisivo di un’altra iniziativa: la missione in Libia. Annunciata solo mercoledì scorso, rinnegata dal capo del governo libico al-Sarraj e poi riconfermata nella forma non di «un’invincibile armata», come dice il premier Paolo Gentiloni, ma di «una missione di supporto all’azione delle autorità libiche di controllo del proprio confine marittimo», stamane sarà illustrata dai ministri Alfano e Pinotti, Esteri e Difesa, alle commissioni competenti di Camera e Senato perché la votino. Domani, poi, il passaggio in Aula a Montecitorio, che dovrebbe autorizzare con una maggioranza più ampia di quella di governo le nostre navi nelle acque libiche. LEGGI ANCHE - Migranti, le Ong boicottano il piano del Viminale (G. Longo) Operazione vissuta con grandi speranze nelle stanze di Palazzo Chigi, Farnesina, Viminale e Difesa: potrebbe persino, rivelano, dimezzare i flussi verso l’Italia. E intrecciarsi in qualche modo al fallimentare tentativo di dialogo con le Ong: interpretando in modo estensivo l’accordo con Tripoli, facendo leva sulla clausola secondo cui la Libia può chiedere ogni aiuto in caso di emergenza, potrebbero essere proprio le navi italiane - al momento relegate a fare da scorta a quelle libiche - a vigilare perché le Ong restino in acque internazionali e non entrino in quelle di Tripoli. LEGGI ANCHE - La sfida del fuoco amico (S. Stefanini) Dati alla mano, nei ministeri che si stanno occupando del dossier hanno notato una flessione negli arrivi. A inizio luglio erano circa il 20 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2016; una settimana fa, l’aumento si era ridotto al 5,7 per cento, sceso all’1,1 ieri. Una variazione che può essere legata a molti fattori, ma che dal governo non esitano ad attribuire in buona parte a interventi più incisivi della Guardia costiera libica, che agisce con quattro motovedette consegnate dall’Italia e che entro fine estate ne avrà altre sei: oltre a un’azione deterrente sulle partenze, sono tredicimila le persone che hanno riportato sulle proprie coste dopo averle intercettate in mare. Il mese di luglio fa registrare un dato sbalorditivo: 10.781 arrivi contro i 23.552 dell’anno scorso, la metà. Se questo è il risultato dell’azione dei soli libici, ragionano nel governo, l’affiancamento italiano potrebbe portare a stabilizzare la tendenza. L’ultimo passaggio necessario prima della partenza della missione - entro pochi giorni - è il via libera delle Camere. A cui nel governo guardano con tranquillità: sanno che dentro Mdp, che sostiene l’esecutivo, c’è qualche maldipancia («ombre sulla missione: il governo ci rifletta», invita Arturo Scotto), e infatti oggi i parlamentari si riuniranno per discuterne, ma ai voti della maggioranza si aggiungerà con buone probabilità Forza Italia. La Lega vincola il suo sì a un mandato chiaro per «una politica di rinforzo ai respingimenti», come dice Giancarlo Giorgetti, mentre dal M5S Luigi Di Maio anticipa che «valuteremo tutte le proposte: se saranno l’ennesima presa in giro per gli italiani voteremo no». L’obiettivo è quello dichiarato da Gentiloni al Tg5, «rendere più governabili e, se possibile, ridurre come è necessario i flussi organizzati dai trafficanti di esseri umani». Anche se chi se ne sta occupando ha già in mente i problemi successivi. A cominciare dalle garanzie necessarie sul trattamento delle persone riportate in Libia, su cui è importante coinvolgere l’Onu con l’Unhcr. E poi si sa bene che, chiusa una rotta, i trafficanti ne trovano un’altra: per questo, oltre che col governo di Tripoli, sarebbe utile, si dicono nel governo, stringere un accordo anche con il generale Haftar, l’uomo forte della Cirenaica. Nei giorni scorsi è intervenuto tramite portavoce con parole non concilianti, interpretando la nostra iniziativa come volta a fare «abortire» quella francese di pochi giorni prima. Contatti con lui ci sono, ma sottotraccia: non si è mai voluto dargli lo standing di interlocutore al pari del premier riconosciuto dall’Onu al-Sarraj. Ma l’invito di Macron a Parigi della settimana scorsa potrebbe aver cambiato la prospettiva. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. DA - http://www.lastampa.it/2017/08/01/esteri/adesso-il-governo-punta-sulla-missione-in-libia-per-dimezzare-gli-sbarchi-ZOc8QtIX6otpRhsea3DD5H/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. “Devi parlare con noi”. “Allora lascio”. Inserito da: Arlecchino - Agosto 08, 2017, 06:10:36 pm “Devi parlare con noi”. “Allora lascio”. E Gentiloni chiede aiuto a Mattarella Lo sfogo di Delrio a Palazzo Chigi: Marco ha sbagliato metodo. Imbarazzo del premier. L’intervento risolutore del Quirinale Pubblicato il 08/08/2017 Francesca Schianchi Roma Quando ormai è sera, conclusa la giornata più burrascosa di questi otto mesi alla guida del Viminale, il ministro Marco Minniti si sente finalmente rassicurato. Palazzo Chigi ha diffuso un comunicato per ricordare che l’unica linea del governo su Libia, contrasto ai trafficanti e immigrazione è la sua. Ma, soprattutto, il Quirinale ha redatto una nota informale per garantirgli tutto il suo appoggio e apprezzamento per il lavoro che sta facendo, tentativo estremo e riuscito di scongiurare le sue dimissioni e sedare la rivolta che si stava sviluppando tra i ministri contro di lui. Mettendo fine a un pomeriggio ad altissima tensione, che lascia per qualche ora seriamente in difficoltà il governo: «O mi tutelate o lascio. Se la linea politica non è più condivisa, il mio compito è finito», minaccia Minniti a un certo punto. LEGGI ANCHE - Codice delle Ong, Minniti minaccia le dimissioni. Scudo del Colle per salvare il governo (A. Carugati) Alle quattro e mezza del pomeriggio, al termine della riunione del governo, è chiacchierando con i colleghi che il responsabile delle Infrastrutture, Graziano Delrio, sfoga tutta l’irritazione covata in questi giorni sulla vicenda del trattamento delle Ong: «Le scelte strategiche non si fanno fuori dal Consiglio dei ministri, è un problema di metodo, mi sarei aspettato di discutere oggi della questione del codice di condotta». Nel corso della riunione dell’esecutivo si parla di scuola, di stato d’emergenza per la crisi idrica in Lazio e Umbria, di equo compenso nelle prestazioni legali: non una parola invece sul protocollo destinato alle associazioni non governative fonte di tensioni tra lui e Minniti. Anzi, il titolare dell’Interno a Palazzo Chigi non si presenta proprio e avverte il premier Paolo Gentiloni, pare addirittura con una lettera: tutti lo aspettano per avere finalmente chiarimenti sulle sue parole dure dei giorni scorsi (le associazioni che non firmano si mettono «fuori dal sistema di soccorso»), ma dopo la lettura dei giornali che danno conto delle critiche contro la sua linea, decide di disertare. Una scelta che non piace ai colleghi, a partire da Delrio ma non solo. Nei capannelli a margine della riunione, sono in tanti a mostrarsi scocciati dall’atteggiamento del ministro e delusi dalla mancata discussione sull’argomento, infastiditi non solo dal merito della questione, ma anche dall’atteggiamento “solitario” dal collega: da Andrea Orlando a Maurizio Martina, da Angelino Alfano a Valeria Fedeli e Marianna Madia. Una fronda trasversale che va dalla maggioranza alla minoranza del Pd, passando per Ap, e che decide di rivolgersi al premier. Così, al capo del governo impegnato in una perenne mediazione tra le diverse sensibilità dell’esecutivo, si presenta un problema cresciuto in pochi giorni a dismisura. Domenica aveva dovuto richiamare all’ordine il viceministro Mario Giro, per un’intervista critica sulla missione in Libia e, in particolare, sul trattamento dei migranti riportati sulle coste di Tripoli («non possiamo condannarli all’inferno»), incassando frasi di sostegno pubbliche anche da esponenti del Pd. Ieri erano filtrate nuove tensioni con Delrio, che già un mese fa, dinanzi alle minacce di Minniti, aveva assicurato «nessun porto chiuso, lo dico da responsabile della Guardia costiera e delle operazioni di soccorso ai migranti». Parole critiche vengono anche dal ministro della Giustizia Orlando, «dobbiamo disciplinare il settore senza correre il rischio di una criminalizzazione indiscriminata». L’allarme si fa rosso, Gentiloni sente il presidente Mattarella e si decide la exit strategy: garantire a Minniti un sostegno pubblico totale per il suo operato, come lui ha richiesto. Camminando su un fragile crinale che consenta però anche di non sconfessare la linea più “morbida” di Delrio, Giro e chi la pensa come loro. Scongiurato il peggio, evitate dimissioni che avrebbero creato non pochi problemi all’esecutivo, proprio nel momento in cui gli sbarchi invertono la tendenza e nell’opinione pubblica sta passando l’idea che il problema cominci ad essere governato, Minniti può dirsi soddisfatto. Il ragionamento che ha fatto a Gentiloni è chiaro: sono io, in sintesi, quello che da anni, fin dai tempi di Renzi a Palazzo Chigi, tratta costantemente con i libici. Prima da responsabile dei servizi segreti, poi, da dicembre, direttamente da ministro, è lui che ha fatto la spola tra Roma e Tripoli, parlando con il premier Sarraj come coi capitribù, guadagnando il rango di interlocutore con vari attori del complicatissimo panorama libico. Per quanto possa sembrare anomala, la situazione è questa: a chi lo critica, a chi lo definisce troppo decisionista e accentratore, vorrebbe ribattere: e voi dov’eravate? È quello che avrebbe detto loro se fosse andato alla riunione del governo. Ma prima, voleva avere la rassicurazione pubblica che Gentiloni e Mattarella fossero con lui. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/08/08/italia/politica/devi-parlare-con-noi-allora-lascio-e-gentiloni-chiede-aiuto-a-mattarella-yfRk6rcsSP6G2okomQpWpJ/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Migranti e Libia, l’agente infiltrato sulla nave della Ong Inserito da: Arlecchino - Agosto 08, 2017, 06:15:33 pm L’INCHIESTA DI TRAPANI
Migranti e Libia, l’agente infiltrato sulla nave della Ong: «Così ho scoperto i contatti tra Iuventa e i trafficanti libici» Il poliziotto dello Sco per 40 giorni a bordo dell’imbarcazione di “Save the children” Di Fiorenza Sarzanini Era un addetto alla sicurezza, imbarcato sulla Vos Hestia, la nave di “Save the children” per conto di una società privata. Nessuno immaginava che in realtà fosse un agente sotto copertura, poliziotto dello Sco, il servizio centrale operativo impegnato da quasi un anno nell’indagine sull’attività delle Ong per il salvataggio dei migranti al largo della Libia. È rimasto a bordo per quaranta giorni, «l’esperienza più impegnativa, ma anche più emozionante della mia carriera». E adesso rivendica con soddisfazione di essere riuscito a «documentare con foto e video i contatti tra l’equipaggio della Iuventa e i trafficanti». Ma anche «di aver restituito al suo papà, nigeriano che da tempo vive in Italia, una bimba di 15 mesi imbarcata su un gommone con la mamma che invece non è riuscita a terminare il viaggio». La missione La scelta di agire in missione segreta viene presa nel maggio scorso. Il pool investigativo guidato dal vicequestore Maria Pia Marinelli, che lavora da oltre sette mesi per verificare la fondatezza delle denunce presentate da alcuni volontari di “Save the children” per conto della procura di Trapani, ha raccolto numerosi indizi sui possibili legami tra volontari e organizzazioni criminali. Nel mirino c’è Jugend Rettet, definita dalle altre organizzazioni «temeraria» proprio perché entra in acque libiche e carica migranti che poi trasferisce su altre navi. Ma servono prove concrete, bisogna documentare gli incontri con gli scafisti, i possibili accordi. Il direttore dello Sco Alessandro Giuliano sa bene che l’unica strada è quella della “copertura”, proprio come accade nelle indagini sui trafficanti di droga o di armi. Consulta il prefetto Vittorio Rizzi, direttore dell’Anticrimine. Ottiene subito il via libera. Tra gli agenti impegnati nelle verifiche, c’è Luca B., 45 anni che ha le caratteristiche giuste. È esperto di sub, tanto da avere il brevetto Divemaster oltre a una serie di abilitazioni per il soccorso medico in mare, la patente nautica. Ma è soprattutto un agente esperto. Quando gli propongono l’incarico non ha dubbi: «Felice di accettare». Il 19 maggio si imbarca. Viene alloggiato in una cabina con altre tre persone, sa che deve «stare continuamente all’erta per non essere scoperto». I soccorsi La nave partecipa a numerose incursioni di fronte alle acque libiche. Effettua tre operazioni di soccorso, lui aiuta gli operatori, salva i migranti, collabora quando c’è necessità di trasferire le persone da una imbarcazione all’altra. Tiene i contatti con Roma inviando messaggi via whatsapp. Li aggiorna su quanto accade a bordo, sulla posizione delle navi delle altre Ong. «Devo stare attento, perché si insospettiscono se faccio foto o filmati», comunica ai suoi capi. «Non abbiamo mai perso la sua posizione - conferma Marinelli - perché avevamo comunque il supporto della Guardia Costiera che ci teneva informati degli spostamenti e di eventuali emergenze». Riesce a scendere dalla nave tre volte. Incontra i colleghi in luoghi segreti, consegna aggiornamenti e informazioni utili all’inchiesta. Ma ancora non basta, bisogna continuare per dimostrare che quanto raccontato nelle denunce sia vero. Il 18 giugno arriva la svolta. Sono gli ultimi due soccorsi, quelli decisivi «All’alba la Vos Hestia e la Iuventa si incrociano in alto mare. Pochi minuti dopo si avvicina un barchino dei trafficanti. Rimane a pochi metri da Iuventa, gli uomini parlano con i volontari. Arriva un’altro barchino che scorta un gommone carico di migranti». L’infiltrato scatta foto, gira video, documenta minuto dopo minuto l’incontro che segna la svolta per l’indagine. Tre ore dopo c’è un altro contatto e anche questa volta riesce a filmare ogni passaggio. «Ho tutto, comprese le immagini dei barchini restituiti ai trafficanti e riportati in Libia», comunica ai suoi capi. La bambina salvata La missione è compiuta, ma bisogna attendere ancora qualche giorno. Portare a termine l’incarico così come previsto dal contratto proprio per non destare sospetti. A fine giugno l’agente torna a casa. Racconta quanto ha visto, «anche quell’emozione di aver salvato tante vite». Ma il ricordo più bello lo dedica a Rejoyce, la bimba di 15 mesi che il 5 giugno hanno salvato mentre era su un gommone con altri 125 migranti. «La mamma era caduta in acqua, l’abbiamo issata a bordo, le ho fatto il massaggio cardiaco, ma purtroppo non c’è stato nulla da fare». In tasca la donna ha alcuni bigliettini con un numero di telefono italiano. L’infiltrato li comunica ai colleghi della mobile di Trapani quando, tre giorni dopo, arrivano in porto. L’utenza appartiene a un nigeriano che da tempo vive in Italia e lavora come bracciante a Salerno. L’uomo viene subito trasferito in Sicilia. Conferma che quella donna morta è sua moglie. Racconta che la stava aspettando insieme con la figlioletta. Si decide di effettuare l’esame del Dna a entrambi per avere la certezza che non menta. Il risultato è arrivato ieri e non lascia dubbi: è sua figlia. Per l’infiltrato «la missione è davvero compiuta». Ma lui è pronto a ripartire. Ai suoi capi l’ha detto con chiarezza: «Per me è stata un’esperienza bellissima. Impegnativa ma esaltante, perché ti porta a contatto con queste persone che soffrono, ti fa capire che a volte per salvarli hai soltanto pochi secondi». 3 agosto 2017 | 23:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA DA - http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/17_agosto_04/agente-infiltrato-nave-ong-cosi-ho-scoperto-contatti-iuventa-trafficanti-libici-e765329e-7880-11e7-8ef0-c9b41f95269b.shtml Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Sulla missione italiana in Libia primo strappo nel governo Inserito da: Arlecchino - Agosto 08, 2017, 06:29:03 pm Sulla missione italiana in Libia primo strappo nel governo
Gentiloni riprende Giro dopo l’intervento sulle condizioni dei migranti. Ma il fronte del dissenso si allarga nell'area cattolica della maggioranza Pubblicato il 07/08/2017 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA «Caro Mario, potevi evitare di porre il problema dalle colonne di un giornale…». Nella prima torrida domenica d’agosto, una telefonata tra il premier Paolo Gentiloni e il viceministro agli Esteri Mario Giro cerca di porre rimedio al più presto alla prima crepa nel fronte compatto del governo sulla missione navale in Libia. Ad aprirla, ieri dalle pagine de La Stampa e del Secolo XIX, proprio Giro: «Riportare i migranti in Libia, in questo momento, vuol dire riportarli all’inferno», è il suo grido d’allarme verso un problema che l’esecutivo si è posto – il trattamento delle persone che, intercettate dalla Guardia costiera libica in mare col nostro aiuto, vengono riportate sulle coste di Tripoli – ma che ha risolto chiedendo un massiccio coinvolgimento dell’Unhcr e dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Cattolico già impegnato nella Comunità di sant’Egidio, grande esperto di Africa, il viceministro però chiede pubblicamente di fare attenzione, viste le condizioni dei campi libici: la sua intervista ha fatto sobbalzare il responsabile dell’Interno Marco Minniti, l’esponente di governo più impegnato nello spinoso dossier libico e, secondo varie fonti, fatto alzare il telefono direttamente al premier Gentiloni per discuterne e «mediare» con la linea «dura» di Minniti. Perché il timore è che Giro possa essere il primo a parlare, ma portavoce in realtà di una sensibilità più diffusa di quel che sembra, nel governo e in Parlamento, tra i cattolici e nell’ala sinistra della maggioranza. Se alla Farnesina assicurano che il ministro Alfano considera la posizione del suo vice in linea col governo, solo con un’attenzione più specifica al piano umanitario considerata la sua provenienza cattolica e di impegno sociale, è al Viminale che l’uscita viene letta come fuori linea rispetto al lavoro che si sta facendo. Nessun altro, nell’esecutivo, ha espresso per ora così chiaramente gli stessi timori. Ma frizioni e distinguo sottotraccia si sono già delineati. La posizione del ministro Delrio sull’uso dei porti italiani è molto diversa da quella di Minniti: il capo dell’Interno li chiuderebbe alle Ong che non hanno firmato il codice di condotta, il titolare dei Trasporti è contrario. Lo disse pubblicamente in un’intervista un mese fa e non ha cambiato idea. E da tempo si racconta dell’esistenza di una sensibilità più «morbida» e solidale nel governo rispetto a quella «legge e ordine» di Minniti, che coincide con alcune personalità di formazione cattolica, da Delrio alla sottosegretaria Maria Elena Boschi, che potrebbero condividere molto delle preoccupazioni espresse da Giro. O ancora come il viceministro dell’Agricoltura, Mario Olivero, ex presidente delle Acli, che ieri non a caso ha ritwittato l’intervista del collega. Mostrando di mantenere qualche inquietudine su una missione che, dalla Libia, continua a ricevere critiche e minacce più o meno velate: ieri è stata la volta della Commissione esteri del Parlamento di Tobruk, nell’Est del Paese, di definire la missione una «aggressione flagrante contro la sovranità libica», di mettere in guardia Roma e Tripoli sulle possibili conseguenze e di chiedere a Onu, Ue e Unione africana di intervenire. «Io ho scritto un messaggino a Giro: incredibile che per sentire una voce critica debba affidarmi a un cattolico piuttosto che a uno che viene dalla mia storia», rivela Arturo Scotto di Mdp. Ma anche dal Pd arriva qualche gesto di appoggio alla linea del viceministro: «Con Giro che oggi ci ricorda che tenere i profughi in Libia è come tenerli in un inferno. Occorrono garanzie», scrive in un tweet la deputata prodiana Sandra Zampa, della minoranza dem, mentre la collega Ileana Piazzoni condivide l’intervista postata su Facebook dal viceministro. «Ci sono due esigenze, quella di far rispettare le regole e quella dell’accoglienza, e le stiamo tenendo insieme», assicurano da Palazzo Chigi. Ma un retweet qua, una critica bisbigliata là, piccoli segnali potrebbero essere spia di un malumore più esteso del previsto. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/08/07/esteri/sulla-missione-italiana-in-libia-primo-strappo-nel-governo-tHDau2PZDDwhLp2V48BneO/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Vince la linea D’Alema. Crisi tra Mdp e maggioranza, ... Inserito da: Arlecchino - Ottobre 05, 2017, 10:53:06 am Vince la linea D’Alema. Crisi tra Mdp e maggioranza, tensione con Pisapia
L’ex sindaco: almeno li ho convinti a votare lo scostamento Pubblicato il 04/10/2017 - Ultima modifica il 04/10/2017 alle ore 08:03 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA «I gruppi di Mdp all’unanimità hanno scelto di non votare la relazione sul Def e di votare a favore dello scostamento di bilancio». È tardo pomeriggio quando il coordinatore del partito, Roberto Speranza, si affaccia da un’uscita laterale del Senato per dichiarare a giornalisti e telecamere quello che, fin dal mattino, si sussurra come retroscena nei Palazzi: l’uscita dell’ala più di sinistra dalla maggioranza, suggellata in serata dalle dimissioni del loro unico rappresentante al governo, il viceministro Filippo Bubbico. Un «messaggio politico forte», come si compiace Speranza, che allontana il drappello dei parlamentari scissionisti del Pd ed ex Sel dal governo di Gentiloni, ma anche dal progetto di una fusione con Campo progressista di Giuliano Pisapia. Sulla cautela dell’ex sindaco vince la linea barricadera di Massimo D’Alema, che da tempo predica la sfida al governo fino alle estreme conseguenze: «Ora abbiamo le mani libere», rivendica soddisfatto in tv da Bianca Berlinguer. … «In questi giorni mi sono impegnato affinché Mdp votasse a favore dello scostamento di bilancio per evitare non solo l’aumento dell’Iva ma più in generale un peggioramento delle condizioni di vita degli italiani», fa sapere non a caso in serata Pisapia, lasciando aperta la porta al governo per l’appuntamento più importante, quello di fine anno sulla manovra: «Prendo atto che il ministro Padoan ha dichiarato che è stato avviato un percorso» per inserire le richieste fatte proprio da lui lunedì, in un incontro a Palazzo Chigi, «confido che arrivino risposte in quella che sarà la discussione e il confronto sulla legge di bilancio». Parole che lasciano aperto un dialogo con il governo, senza bacchettare i compagni di strada di Mdp, come invece fanno i suoi uomini a Roma. «E’ un errore, la scelta di Mdp è un frutto malato della scissione: sono convinti di guadagnare più spazio politico andando all’opposizione», sbotta Bruno Tabacci, che alla Camera voterà la risoluzione. Così come faranno a Palazzo Madama sei senatori che si riconoscono in Campo progressista, a partire da Dario Stefano: «Perché dovremmo votare contro? Noi abbiamo interesse a rafforzare il centrosinistra, non a indebolirlo». … La decisione arriva dopo due riunioni degli scissionisti Pd, una dei 43 deputati della Camera, l’altra dei 16 senatori. Il via libera alla tattica di votare lo scostamento di bilancio (perché «noi ci sentiamo vincolati alla responsabilità verso l’Italia – spiega Pier Luigi Bersani – non rischieremo di far arrivare la troika») e non votare la risoluzione viene deliberata all’unanimità, come chiede Speranza. Una richiesta precisa, per dare una sensazione di unità, proprio mentre la distanza con Pisapia e i suoi è evidente: solo tre giorni fa, insieme su un palco, a precisa richiesta del giovane coordinatore di Mdp di svolgere insieme un’assemblea fondativa del nuovo partito, l’ex sindaco ha evitato di fissare una data. Decisivo allora il voto unanime di ieri, per restituire la sensazione di un gruppo compatto e allineato. «Il dato è che i nostri parlamentari si comporteranno in modo omogeneo e unitario», ripete non a caso il senatore bersaniano Miguel Gotor. Un gruppo capace di alzare la voce col governo: come da tempo chiede D’Alema, convinto della necessità di smarcarsi dalle politiche del Pd, «se siamo alternativi come dice Pisapia – sottolineava ieri – vuol dire che non abbiamo più il vincolo di votare tutto quello che il Pd propone». Non è passato inosservato, ieri, all’indomani della visita di Pisapia a Gentiloni, elogiato dall’ex sindaco per la sua discontinuità di metodo con Renzi, un articolo su Lettera 43 firmato da Peppino Caldarola, direttore della rivista dalemiana Italianieuropei, che definiva il premier rappresentante «di quella sinistra che teme più del fuoco la radicalità delle proposte». … A Palazzo Chigi hanno seguito la giornata con comprensibile interesse: è cominciata la campagna elettorale, si sono detti, è successo qualcosa di talmente significativo che forse non si tornerà più indietro. Ergo, il governo potrebbe ballare nei prossimi mesi. Soprattutto perché sanno bene che alla partita sui provvedimenti finanziari si intreccia quella, delicatissima, sulla legge elettorale. Dove il Pd non sembra intenzionato ad andare incontro agli ex compagni di partito, dipinti ora come irresponsabili impegnati «nei giochini della vecchia politica». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/10/04/economia/vince-la-linea-dalema-crisi-tra-mdp-e-maggioranza-tensione-con-pisapia-HVbBTBExzqZKusO1udJngM/pagina.html Titolo: F SCHIANCHI. Governo irritato: “Condizioni irricevibili è una pre-secessione... Inserito da: Arlecchino - Ottobre 28, 2017, 11:33:58 pm Governo irritato: “Condizioni irricevibili è una pre-secessione”
Ma Renzi: “Bisogna tener conto del risultato” Pubblicato il 24/10/2017 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA «Il presidente Maroni discute nel merito. Zaia invece chiede tutte le competenze, i nove decimi delle tasse e il Veneto a statuto speciale: un’operazione pre-secessionista di chi non ha a cuore l’unità nazionale». A metà pomeriggio del day after, la risposta del governo alle pretese venete è durissima. Agli occhi del sottosegretario Gianclaudio Bressa, responsabile degli Affari regionali e delegato a trattare la questione per il premier Gentiloni, è chiara la differenza di approccio tra Lombardia e Veneto: l’una responsabile, attenta a muoversi entro il perimetro della Costituzione; l’altra “oltranzista”, lesta a far balenare ai cittadini un’autonomia assoluta impossibile da ottenere. Pronti a incontrare entrambe, è la posizione dell’esecutivo, ma solo a condizione di confrontarsi con richieste ricevibili, altrimenti «non ci sono margini di trattativa». Non a caso, a ieri sera un contatto telefonico c’era stato con il governatore lombardo Maroni, ma non con il collega veneto Zaia. È Maroni ad alzare la cornetta per un «cordiale» colloquio sia con Bressa - due parole amareggiate sul Milan di cui entrambi sono tifosi, prima di ricevere disponibilità a discutere - e poi con Gentiloni: «Mi ha confermato - racconta il presidente leghista - il via libera al confronto su tutte le materie previste dalla Costituzione, con anche il coinvolgimento del ministero dell’Economia». Un primo passo verso il percorso già intrapreso senza referendum dal presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che ieri ha sentito Gentiloni e oggi incontrerà Bressa: «Disposto anche a fare incontri collettivi con Lombardia e Veneto», ha dato la sua disponibilità al premier. Perché anche nel Pd si sono accorti che il tema è sentito: «Il risultato dei referendum non va minimizzato», ammette il segretario Renzi, che va oltre la procedura di cui si discute: «Bisogna ridurre la pressione fiscale», la sua proposta, arrivando a sperare in un «accordo» tra forze politiche nella prossima legislatura per riuscire a farlo. “I partiti tradizionali sono in ritardo, non afferrano i motivi della protesta” Il fatto è che le richieste di Luca Zaia vanno ben al di là di un aumento dei margini di autonomia. Prova a stopparle il ministro Maurizio Martina, ricordando che le materie fiscali non sono oggetto di trattativa, e si becca una rispostaccia: «Il nostro interlocutore è Gentiloni». Il premier, che ha evitato anche nelle settimane scorse di intervenire sul tema, convinto che il risultato fosse abbastanza irrilevante essendo il governo già da tempo pronto a intavolare una trattativa, ufficialmente non parla nemmeno oggi che il Veneto chiede condizioni da statuto speciale che necessiterebbero di un cambio di Costituzione, appannaggio eventualmente del Parlamento. Una «provocazione» la fa però l’uomo che ha incaricato di occuparsene: «La sentenza della Corte costituzionale che ha consentito il referendum già aveva bocciato l’ipotesi di trattenere in Veneto l’80 per cento delle risorse definendola “un’alterazione stabile e profonda della finanza pubblica”. E far diventare tutte e 23 le materie concorrenti di competenza regionale significherebbe stravolgere la Costituzione», smonta una a una le richieste venete il sottosegretario Bressa, «l’atteggiamento di Zaia è pericoloso: se tutti facessero come lui non ci sarebbe più la Repubblica italiana». Bellunese di nascita, Bressa conosce bene le spinte autonomiste venete, tanto che fu lui a scrivere quel terzo comma dell’art. 116 che oggi consente alle Regioni di trattare. «Zaia pensa di essere El Cid Campeador del Veneto, ma ci vuole serietà. Il Veneto ha un debito previdenziale di alcuni miliardi: per pagare le pensioni, è debitore rispetto alla finanza nazionale. Quando si passa dalla poesia alla prosa la gente comincia a dire “vediamo un attimo” ...». A queste condizioni, la trattativa con Venezia e dintorni è in stallo. Ma oggi il premier sarà a Marghera, ad accoglierlo troverà il presidente Zaia e chissà se i due potranno avere un confronto. In realtà, a Palazzo Chigi sanno che il problema si porrà per il prossimo governo: stretti i tempi della legislatura, lunghi quelli di un negoziato che è una “prima volta”. Anche solo delineare i confini delle varie materie di competenza non sarà facile. Per chi vorrà provare a discuterne. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2017/10/24/italia/politica/governo-irritato-condizioni-irricevibili-una-presecessione-Uhrx92U5EsU9XQRbOVUxkI/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Matteo e Gentiloni firmano la tregua. Inserito da: Arlecchino - Novembre 04, 2017, 07:30:07 am Matteo e Gentiloni firmano la tregua.
Il segretario: “Non metto veti a Mdp” “Pronti alla coalizione, anche se non era il mio sogno segreto”. Il premier lo punge: non dissipiamo i nostri risultati Pubblicato il 29/10/2017 - Ultima modifica il 29/10/2017 alle ore 07:06 FRANCESCA SCHIANCHI INVIATA A PORTICI (NAPOLI) «Parliamo con tutti, siamo pronti alla coalizione anche se non era il mio sogno segreto. Aver fatto una legge che obbliga alla coalizione, tiene insieme Salvini e Berlusconi, che avrei preferito tenere divisi, ma ormai è andata. Noi non mettiamo veti, nemmeno su Mdp che ci insulta tutti i giorni: cosa vogliono ancora da noi?». A sera, quando ormai la sala del grande deposito treni di Pietrarsa si è svuotata e il presidente del consiglio Paolo Gentiloni è già in viaggio verso l’aeroporto per un viaggio istituzionale in India, Matteo Renzi è soddisfatto. «È andata molto bene», commenta coi collaboratori più stretti: una giornata complicata iniziata con la lettura delle critiche dei giornali è girata come sperava, la tregua con il premier è stata siglata sotto gli occhi di giornalisti e telecamere, tra sorrisi e battute. Dopo i giorni della tempesta e degli scontri su Bankitalia, è il momento di ricucire: e Renzi tenta di farlo platealmente, dal palco della conferenza programmatica del Pd. «C’è stata in queste settimane qualche differenza di vedute», ammette Renzi introducendo il premier a una visita guidata sul treno Pd con cui sta girando l’Italia, «ma questa è casa tua». E il premier si concede all’abbraccio: chiedendo unità, ma anche con una puntura di spillo, chiedendo aiuto a chiudere il mandato in modo ordinato, pur sottolineando la leadership di Renzi. «Spalle larghe, poche chiacchiere, gioco di squadra e discussione aperta», invita tutti parlando dal palco, occhi negli occhi con Renzi in prima fila, «gli ultrà delle nostre divisioni sono la famiglia più numerosa d’Italia», e invece bisogna lavorarci perché «il primo punto del mio programma siamo noi», e «De Coubertin non è nel nostro Pantheon»: cioè «giochiamo per vincere». E in quel noi c’è la richiesta, che suona polemica al modo felpato di Gentiloni, di «prendere l’impegno solenne a una fine ordinata della legislatura» e a «non dissipare i risultati raggiunti in questi anni». E a fare una campagna elettorale «per l’Europa» non contro l’Europa. Dalla prima fila Renzi applaude, poi lo accompagna all’uscita scherzando sul calcio, una battuta anche per Bankitalia, ma solo per ricordare insieme sorridendo quando Berlusconi al nome di Visco, sei anni fa, pensò al «comunista» Vincenzo anziché a Ignazio. Il saluto con il premier è solo l’ultima fotografia di una giornata passata a incontrare il suo sfidante alle primarie Michele Emiliano e a scherzare sul treno tra il ministro Marco Minniti e il collega Graziano Delrio («sono tra l’ala destra e l’ala sinistra del partito», dice in una diretta via Facebook). Delrio è tra i ministri che erano assenti al Consiglio dei ministri di venerdì che ha confermato Visco: un’influenza presa «nella galleria della Agrigento-Caltanissetta», si giustifica, ma ieri era presente. «Avevo parlato a lungo il giorno prima con Paolo - garantisce - sapeva che non sarei andato, tanto la scelta era già fatta. Io la penso come Matteo, ma è una decisione che ha preso Paolo e va bene così», tenta di tagliare corto sull’argomento: «Basta fare pettegolezzi sulle istituzioni». Così, con l’abbraccio tra premier e segretario, si chiude il caso Visco. Con tutto il partito riunito, oppositori inclusi, dal ministro Orlando che ha parlato il primo giorno di lavori ma torna ad ascoltare, a Emiliano. Manca Franceschini. Sono tra i sospettati di poter ordire un agguato a Renzi, dopo le elezioni siciliane, se i risultati dovessero essere pessimi come si temono. «Mi spiace per la Sicilia, non per il Pd. Cosa volete che succeda? - sbotta coi suoi il segretario -. Vi immaginate se qualcuno avrà la forza di venire in direzione a contestare? E per cosa, poi? Non credo: sarebbe una mossa azzardata». Anche perché, aggiunge malizioso qualcuno dei suoi, a chiedere primarie avrebbero paura di una sua vittoria. «Andiamo avanti», ripete. La tregua è siglata. Quanto durerà, si scoprirà a breve. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2017/10/29/italia/politica/matteo-e-gentiloni-firmano-la-tregua-il-segretario-non-metto-veti-a-mdp-pKekLjAvTOgKtP6P4dgl4M/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi ne parla con il sacerdote: “Vedrete, approveremo... Inserito da: Arlecchino - Novembre 20, 2017, 05:28:37 pm Renzi ne parla con il sacerdote: “Vedrete, approveremo la legge”
Ma in soli venti giorni ci sono anche Ius soli e regolamenti Pubblicato il 17/11/2017 - Ultima modifica il 17/11/2017 alle ore 11:18 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA «Della legge sul biotestamento ho parlato con il mio don, il mio prof di religione, che è uno molto rigoroso, attento a sottolineare l’appartenenza alla dottrina: anche lui dice che, coi livelli raggiunti dalla scienza, impedire il fine vita rischia di essere anticristiano». A chi nei giorni scorsi gli ha chiesto un’opinione sul biotestamento, anche a interlocutori cattolici, il segretario del Pd Matteo Renzi ha risposto così. Ora, le parole di papa Francesco, quel richiamo a evitare cure «non proporzionali», vanno in direzione di quello di cui anche lui è convinto: «Sono d’accordo col Santo padre», ripete. Dinanzi ai tanti che – a partire dai senatori a vita - intervengono per chiedere che venga finalmente discussa la legge ferma al Senato, si dice sicuro parlando con i collaboratori: «Vedrete: la approveremo». Passato alla Camera in aprile con una strana maggioranza formata dai voti di Pd, Si, Mdp e M5S, da allora il provvedimento è fermo, arrivato nell’Aula del Senato senza mandato al relatore. «Il biotestamento è uno dei nostri obiettivi prioritari», garantisce oggi il capogruppo dem di Palazzo Madama, Luigi Zanda. Il problema sono i tempi: la legge di bilancio verrà licenziata dal Senato il 28 o 29 novembre, a quel punto ci sarà una ventina di giorni o giù di lì, durante i quali la manovra sarà alla Camera, disponibili per lavorare ad altro. Ma, oltre al testamento biologico, aspettano di essere approvati anche lo Ius soli e la modifica dei regolamenti parlamentari, per stare alle preferenze del gruppo di maggioranza, il Pd. Poco tempo per tutti quei provvedimenti. A meno che, ma questo ancora non si sa, le Camere non vengano sciolte dal Presidente della Repubblica a fine gennaio, regalando qualche altra settimana di lavoro. «Dobbiamo provarci – insiste però Zanda – dobbiamo tentare di approvare il testo così com’è, perché chi propone modifiche non vuole che venga approvato». A chiederle sono in primis gli alleati di governo di Ap, che non vedono nella posizione del pontefice nulla che determini un cambio di linea: «Quel testo va corretto, così non lo votiamo», insiste Maurizio Lupi; «la legge va migliorata», aggiunge la ministra Beatrice Lorenzin. Una chiusura che, ragionano nel Pd, rende difficile il ricorso alla fiducia, strumento a cui si è qualche volta pensato, panacea di tutti i mali quando bisogna superare un ostruzionismo-monstre e i tempi sono ristretti. Ma, appunto, difficile da praticare se una forza di maggioranza è contraria e, per di più, il tema è così delicato e discusso. Difficoltà oggettive che però Renzi e chi gli è più vicino sono convinti si possano superare. «Alla Camera l’abbiamo approvata con numeri enormi – sottolinea Ettore Rosato, il capogruppo che lavorò per condurla in porto, ricordando i 326 voti a favore (37 i contrari e 4 gli astenuti) – dobbiamo tornare a quei numeri: le parole del Papa sono come coltello nel burro di una opinione pubblica che da tempo chiede quella legge». Basterà la pressione della società? Oltre alla corsa contro il tempo, a preoccupare i dem è anche la maggioranza inusuale. Perché sulla tenuta dei Cinque stelle, sul fatto che ripeteranno il voto a favore anche nel secondo ramo del Parlamento, al Senato non ci giurerebbero. «Siamo sicuri che non si rimangeranno la parola?», s’interroga Zanda, dopo che già sulle unioni civili il Pd si era illuso di potere contare sui loro voti e poi la trattativa è saltata. Un rischio che considerano ancora più alto a fine legislatura, quando l’imminenza della campagna elettorale potrebbe indurre l’opposizione a prendere le distanze dal Pd. Ma il punto vero per farcela è la volontà dei dem di calendarizzare in Aula e provarci. Una ventina di giorni sono pochi, ma non è impossibile: «Vedrete - sparge ottimismo Renzi - ce la faremo». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/11/17/italia/politica/renzi-ne-parla-con-il-sacerdote-vedrete-approveremo-la-legge-d9v3l0kLyS8rM3jrpPex9M/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi cambia e apre alle alleanze a sinistra Il segretario Inserito da: Arlecchino - Novembre 20, 2017, 05:50:12 pm Renzi cambia e apre alle alleanze a sinistra
Il segretario unisce il Pd: «Forse c’è stato l’uomo solo al comando, ma non è più così». Poi lancia la palla ai bersaniani: «Chi si tira indietro si assume una pesante responsabilità» Pubblicato il 14/11/2017 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA «Chi si tira indietro dall'invito all'unità del centrosinistra si assume una pesante responsabilità». Nella frase con cui ieri sera il segretario Matteo Renzi ha chiuso la direzione del Pd c’è il senso di tutto il suo discorso. Atteso come l’oracolo, preceduto da caldi inviti della minoranza ad aprire a un’alleanza con le altre forze di sinistra, si è risolto in un appello agli ex compagni di strada di Mdp, Possibile e alla Sinistra italiana di Fratoianni, senza però accennare nessun passo indietro sui contenuti, dal Jobs Act alla politica sui migranti: quanto basta per poter dire che «chi vorrà rompere lo dovrà fare in modo trasparente perché da noi non troverà alcuna sponda». Una nuova chiamata a una «coalizione più larga possibile», considerato che con gli scissionisti di D’Alema e Bersani già si governa «in 14 Regioni» e «con le persone da cui siamo stati divisi da discussioni e polemiche c’è più sintonia che con gli avversari storici», ma partendo dalla rivendicazione delle politiche di questi anni di governo («Chi si esercita in richieste di abiura non si rende conto di dove eravamo tre anni fa», dice): abbastanza per compattare il partito su un documento unitario (resta scettico solo Orlando: insieme ai 15 della sua corrente si astiene), ma non per convincere Bersani e compagni: «Le chiacchiere stanno a zero». Per cercare di dare impulso e sostanza alle dichiarazioni di buona volontà, per tentare di passare agli «atti concreti» che ieri ha evocato anche il solitamente taciturno Enrico Letta («positivi gli appelli all’unità, ma auspico che il Pd faccia anche proposte concrete»), Renzi incarica Piero Fassino «di darmi una grande mano con il mondo della sinistra»: sarà l’ultimo segretario dei Ds, che con D’Alema e gli altri ha condiviso un bel pezzo di strada, ad avere il ruolo di pontiere. Lui ieri ha cominciato dai Radicali di Magi, Emma Bonino e Benedetto Della Vedova, incontrati prima della direzione con il delegato alle trattative con le forze di centro, Lorenzo Guerini: «Credo sia cruciale che venga coinvolta l’area moderata così come i Verdi, Idv e i Radicali, con i quali c’è una discussione non scontata né chiusa». Una coalizione da lì a Campo progressista, e anche oltre, se si potesse, anche se, da Fratoianni a Civati, le premesse non sono incoraggianti. «Dentro Mdp si aprirà una discussione, vedrete. Ma nulla si muoverà prima della loro assemblea del 2 dicembre», prevedono ai vertici del Pd. «Sulla rivendicazione del passato non faremo alcun passo indietro», garantisce il segretario dem - rinnegarlo «sarebbe assurdo, illogico e inspiegabile» - ma «il futuro è una pagina totalmente bianca da scrivere: o la scriviamo noi o la destra», avverte, convinto che «il M5S è ampiamente sovrastimato nei sondaggi». Un appello a tutti quelli che stanno fuori dal Pd a stare insieme se non per amore, almeno per fermare l’avanzata delle destre. Sgomberando il campo dal tema dei diritti («non è che facciamo lo Ius soli per fare l’accordo con Mdp, ma perché è un diritto: cercheremo di farlo senza creare difficoltà alla chiusura ordinata della legislatura»), e condendo la richiesta con una timida autocritica, consapevole di essere per gli scissionisti dem il vero ostacolo a un’alleanza: «Non c’è un uomo solo al comando: forse c’è stato in passato, forse, ma adesso c’è una pagina bianca da scrivere insieme», ripete. «Sono tre anni che mi dicono che ho fatto l’accordo con Berlusconi: i fatti dicono il contrario, non credo di essere esattamente la persona che gli sta più simpatica. Adesso dobbiamo agire in maniera unitaria e coesa» per essere «il primo gruppo parlamentare della prossima legislatura». «Bravo segretario, mi hai convinto», interviene dalla minoranza Michele Emiliano. Soddisfatta anche la prodiana Sandra Zampa, come il ministro Dario Franceschini. Resta perplesso il leader della corrente più corposa di minoranza, Orlando: «Siamo in un vicolo cieco: abbiamo approvato una legge che prevede le coalizioni e al momento le coalizioni non le abbiamo», predica, chiedendo di smetterla con la riproposizione del passato («non mi interessa cosa pensa Speranza o Bersani, ma quelle 3-400 mila persone che non sono convinte che abbiamo fatto tutto bene») e chiedendo passi certi per costruire la coalizione. Per questo, pur non presentando ordini del giorno alternativi, lui e i suoi si astengono sul documento finale. Dove si legge di voler aprire un confronto su temi come lavoro, scuola e lotta alla precarietà, e si prende l’impegno a migliorare la legge di bilancio: 164 sì, nessun voto contrario. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/11/14/italia/politica/renzi-cambia-e-apre-alle-alleanze-a-sinistra-UAfEPJD1ZKtbwY0EWtBtQK/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi dopo l’audizione di Visco: “Contento abbiamo fugato.. Inserito da: Arlecchino - Dicembre 21, 2017, 02:33:13 pm Renzi dopo l’audizione di Visco: “Contento abbiamo fugato ogni dubbio”
L’ex premier: «Nessun ministro ha mai fatto pressioni, ma solo legittimi interessamenti legati al proprio territorio» Pubblicato il 19/12/2017 - Ultima modifica il 19/12/2017 alle ore 14:06 FRANCESCA SCHIANCHI C’era grande attesa per l’audizione di oggi del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco alla commissione d’inchiesta sulle banche. In tarda mattinata, dopo le prime tre ore di intervento, il segretario Pd Matteo Renzi diffonde un comunicato per compiacersi di come il governatore abbia «fugato ogni dubbio sul comportamento dei ministri». Vista da Firenze, dove il leader dem segue la giornata, un altro ostacolo sembra superato, dopo gli interventi dei giorni scorsi che hanno riacceso la polemica su Banca Etruria e l’ex ministra Boschi: ecco a seguire il testo completo della nota di Renzi. «Ringrazio molto il Governatore Visco per le parole di apprezzamento che ha rivolto al mio Governo nella sua audizione di questa mattina. Confermo che abbiamo sempre avuto la massima collaborazione istituzionale, anche quando non eravamo d’accordo su tutto nel merito. Mi fa piacere che egli finalmente fughi ogni dubbio sul comportamento dei ministri. Nessuno di loro ha mai svolto pressioni, ma solo legittimi interessamenti legati al proprio territorio: attività istituzionalmente ineccepibile svolta anche da amministratori regionali di ogni colore politico. Ringrazio dunque il Governatore Visco che mette la parola fine a settimane di speculazione mediatica e di linciaggio verbale verso esponenti del mio governo». «Confermo anche che il nostro interesse per Etruria era decisamente minore rispetto ad altri gravi problemi del sistema del credito e il tempo che abbiamo impiegato a informarci di questo lo conferma: decisamente più rilevante è stato il lavoro congiunto su altri dossier, a cominciare da quello di Atlante. Rivendico tuttavia il fatto di essermi interessato a tutti i singoli territori, nessuno escluso, oggetto di crisi bancarie. Le difficoltà del calzaturiero marchigiano o del settore orafo aretino o dell’export Veneto o del turismo pugliese stavano a cuore a me e al mio Governo come possono testimoniare le mie iniziative pubbliche e i numerosi incontri con Banca d’Italia, svoltisi sempre alla presenza di collaboratori e colleghi, quali Pier Carlo Padoan e Graziano Delrio». «Nessuna “insistenza”, nessuna “pressione”, nessuna richiesta di “violazione del segreto” è stata mai formulata da parte nostra e del resto essendosi svolti gli incontri in presenza di testimoni il fatto è facilmente verificabile. Il nostro stile istituzionale è sempre stato ineccepibile come peraltro riconosciuto dallo stesso Governatore». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/12/19/italia/politica/renzi-dopo-laudizione-di-visco-contento-abbiamo-fugato-ogni-dubbi-gKXJ6cSxRxpo0y1o6kB4eM/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi: ho incontrato Visco è stato lui a parlarmi di ... Inserito da: Arlecchino - Dicembre 22, 2017, 04:22:17 pm Renzi: ho incontrato Visco è stato lui a parlarmi di Etruria
Il segretario spinge la Boschi alla battaglia campale: candidarsi contro Di Maio Il leader Pd ricorda che i suoi incontri con Visco non sono stati a tu per tu «È tutto verificabile: non l’ho mai incontrato da solo La prima volta era con me Delrio, le altre volte Padoan» Pubblicato il 19/12/2017 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA A metà pomeriggio, Matteo Renzi digita un sms sul suo smartphone. Il destinatario è Pier Carlo Padoan, che ha appena dichiarato di non aver autorizzato nessuno a occuparsi di banche, poche parole che rimbalzano sulle agenzie e poi sui siti con una sola, univoca lettura: anche lui sta mollando Maria Elena Boschi. «Ma no, Matteo, sono stato uno dei pochi ministri a sostenerla pubblicamente», lo rassicura il titolare dell’Economia alludendo al tweet di pochi giorni fa, prima di diffondere un comunicato informale che cerca di ridimensionare la presa di distanza dalla sottosegretaria al centro della bufera. Tentando di chiudere l’ennesimo caso di queste giornate complicate, per il segretario del Pd e la sua fedelissima, che si preannunciano ancora più cariche di tensioni oggi e domani, quando a sedersi davanti ai commissari a Palazzo San Macuto saranno il governatore di Bankitalia Ignazio Visco e l’ex Ad di Unicredit Federico Ghizzoni. «Ho incontrato Visco varie volte. Nel febbraio 2014, ricevuto l’incarico di formare il governo, gli domandai un incontro perché il presidente Napolitano riteneva fosse consuetudine durante le consultazioni sentire anche il governatore. Lo avevano fatto anche Monti e Letta». Ritirato a Firenze, Renzi ripercorre con alcuni amici gli albori del suo rapporto con il capo di Banca d’Italia, di cui solo poche settimane fa ha cercato invano di silurare la riconferma con una mozione di sfiducia in Parlamento. «Non credo la prima, ma la seconda volta che l’ho visto mi ha parlato, lui, di Banca Etruria», fa mente locale su discorsi e incontri: «Comunque sia, è tutto verificabile: non l’ho mai incontrato da solo. La prima volta era con me Delrio, le altre volte Padoan», ricorda il segretario dem. Ostentando tranquillità, cercando di trasmettere a un partito sull’orlo di una crisi di nervi nessuna preoccupazione per quello che il governatore potrebbe dire: che il loro rapporto si sia deteriorato a causa dell’istituto di credito aretino. «Nessuna mancata collaborazione, il governo e la Banca centrale hanno lavorato insieme senza nessun problema istituzionale», insiste con chi, in questo periodo, ha avanzato l’ipotesi. Per quanto riguarda la Boschi, è convinto di sapere già quello che Visco potrà raccontare, un incontro con il vicedirettore generale dell’istituto Panetta che lei, giocando d’anticipo, ha già commentato ieri in un’intervista. Minimizzandone il significato e il peso, come ripete anche il segretario a chi gliene chiede conto. «Leggo agenzie che parlano di una Boschi che si aggira negli uffici di Bankitalia: da quanto ne so non ci è mai andata». Superato il primo cerchio di fuoco, oggi, domani ne arriva un altro, con la deposizione di Ghizzoni, a cui, secondo Ferruccio De Bortoli, la ex ministra delle Riforme si sarebbe rivolta chiedendo di valutare l’acquisizione di Banca Etruria da parte di Unicredit. Frase per la quale lei ha intentato una causa civile contro l’ex direttore del Corriere della sera. «Non c’è nulla da temere», ripete Renzi, «anche altri ministri si sono occupati di banche: Delrio, ma anche Poletti quando abbiamo fatto la riforma delle Bcc o Franceschini sulla Banca di Ferrara». Il problema è quante scorie resteranno di questa vicenda, a pochi mesi dal voto. Non a caso il tentativo del segretario e dei suoi, ieri, è stato quello di spostare il fuoco, di intervenire sulle parole di Di Maio a proposito del referendum sull’euro. E intanto, a Largo del Nazareno si ragiona su come trattare la candidatura della Boschi. Non farà un passo indietro, sarà nelle liste. Un modo per garantirle l’elezione potrebbe essere nel listino del proporzionale, sfuggendo al confronto diretto con altri candidati. Eppure, l’idea che ronza in testa al segretario è quella di spingerla alla battaglia campale: candidarsi nel collegio uninominale di Di Maio. Che dovrebbe essere Pomigliano, per la regola del M5S di cercare l’elezione nel luogo di residenza. Una scelta da ponderare bene, però: quel collegio è considerato incerto, il rischio di schiantarsi è molto alto. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2017/12/19/economia/renzi-ho-incontrato-visco-stato-lui-a-parlarmi-di-etruria-s4nBXQcymSBmauXJCijzhI/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Sei saggi per il Trattato del Quirinale. Inserito da: Arlecchino - Febbraio 25, 2018, 11:09:02 am Sei saggi per il Trattato del Quirinale. In autunno l’accordo Francia-Italia
Il 2 marzo l’incontro tra le parti per avviare il tavolo. Al centro, istruzione e industria Pubblicato il 21/02/2018 - Ultima modifica il 21/02/2018 alle ore 07:34 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA La prossima riunione è fissata per venerdì 2 marzo. Alla vigilia delle elezioni, mentre altrove sarà tutto un fibrillare in attesa dei risultati, a Roma, nelle aule ovattate dell’Università Luiss, un gruppo di lavoro dovrà concentrarsi su come rafforzare la cooperazione italo-francese nell’industria, la conoscenza, l’istruzione. Sei personalità con competenze e percorsi diversi dovranno avanzare nel compito che, con una lettera chiara nei tempi e negli obiettivi, i presidenti Macron e Gentiloni hanno affidato loro: stilare una proposta del «Trattato del Quirinale». Un nuovo documento tra i due Paesi «cugini» che - sulla falsariga di quello dell’Eliseo, firmato da Francia e Germania nel 1963 - vuole favorire i rapporti bilaterali. Dovranno fare alla svelta: la firma è prevista in autunno. «Alle relazioni storiche tra Italia e Francia abbiamo deciso di dare una cornice più stabile e più ambiziosa», ha presentato l’iniziativa il presidente del consiglio quando, qualche settimana fa, ha accolto a Roma l’inquilino dell’Eliseo. «Cooperiamo da sempre in modo straordinario, ma siamo convinti che il Trattato possa rendere ancora più forti e sistematiche le nostre relazioni». Un’idea balenata già in un incontro dell’anno scorso e messa in campo ora: scelti i sei «saggi», le persone incaricate di lavorare al progetto, la prima riunione è stata venerdì della settimana scorsa, nella Sala verde di Palazzo Chigi, organizzata dal sottosegretario per gli Affari europei Sandro Gozi e dalla sua omologa ministra di Parigi, Nathalie Loiseau. I lavori sono partiti: ora, entro fine aprile, si incontreranno sei volte tra le due capitali per presentare la proposta. E arrivare appunto alla firma in autunno: sempre ammesso che il nuovo governo che si insedierà a Roma dopo le urne non intenda interrompere il percorso. A cimentarsi con un testo così delicato e un precedente tanto impegnativo quanto il Trattato dell’Eliseo, l’Italia ha scelto due uomini e una donna. Lei è Paola Severino, avvocato penalista molto quotata e rettore della Luiss, già ministra della Giustizia nel governo Monti, dove legò il suo nome alla nota legge sulla incandidabilità e decadenza dei politici condannati. Insieme a lei, c’è Franco Bassanini, ex parlamentare, ex ministro della Funzione pubblica negli anni Novanta sotto Prodi, D’Alema, Amato, poi più di recente presidente della Cassa depositi e prestiti. A completare la squadra italiana, Marco Piantini, oggi consigliere per gli affari europei del premier Gentiloni, prima nella segreteria del presidente Napolitano al Quirinale. Poi ci sono i colleghi francesi, che parlano tutti un buon italiano: l’unica donna è Sylvie Goulard, oggi vice governatrice della Banca di Francia, ex eurodeputata del partito centrista MoDem, per un mese ministro della Difesa con Macron, prima di lasciare quando proprio MoDem venne messo sotto i riflettori da un’inchiesta preliminare sulle condizioni di impiego di alcuni assistenti al Parlamento europeo. Con lei, tornerà a Roma a discutere del Trattato l’imprenditore Pascal Cagni, esperto di digitale e innovazione, presidente di Business France, e lo storico Gilles Pécout, specializzato in Risorgimento italiano, rettore dell’Académie de Paris. Il Trattato che hanno il compito di scrivere «dovrà dare un forte impulso alle relazioni tra i nostri Paesi - si legge nella lettera di incarico - strutturandole e dando loro nuovi obiettivi, arricchiti di una duplice dimensione bilaterale ed europea». Tra i settori di cooperazione che i sei proporranno «di approfondire o di istituire», le relazioni «in campo economico, industriale e dell’innovazione», e poi quelle che riguardano «istruzione, cultura, ricerca, insegnamento superiore». Non solo: dovranno individuare anche gli strumenti di cui avvalersi, che, sul modello del Trattato dell’Eliseo, possono essere scambi di funzionari tra ministeri gemelli, o riunioni prima di eventi particolari. «Questa cooperazione deve servirci perché Italia e Francia siano motori della spinta a rifondare l’Europa con chi ci sta», spiega Gozi. Che infatti ritiene «auspicabile» un richiamo alla riforma dell’Europa nel preambolo. I saggi sono al lavoro: pochi mesi per svelare la loro proposta. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/02/21/italia/politica/sei-saggi-per-il-trattato-del-quirinale-in-autunno-laccordo-franciaitalia-1GtsxuX2RUwdFL1QbSDEiO/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi: “Mai un governo con i grillini. Inserito da: Arlecchino - Febbraio 27, 2018, 05:29:33 pm Renzi: “Mai un governo con i grillini. Camere, presidenti condivisi” Il segretario Pd: «Famiglie, Europa e lavoro per continuare a crescere» Pubblicato il 26/02/2018 Francesca Schianchi Torino Matteo Renzi, quale risultato definirebbe una vittoria? «Chiamerei vittoria essere il primo gruppo parlamentare». Prende in considerazione l’ipotesi di un passo di lato per indicare Gentiloni come candidato premier? «Questa legge elettorale non prevede la figura del candidato premier. Chi sarà il premier lo deciderà Mattarella in base alle dinamiche post-elettorali. Il segretario, invece, lo scelgono le primarie». Il governatore Emiliano dice che dovreste sostenere un eventuale governo del M5S. Se vi proponessero un contratto alla tedesca per un governo insieme con premier Di Maio, si siederebbe a parlarne? «Vedo gente che sale al Quirinale o che giura: non mi risulta però che sia stato già scelto il capo del governo. Penso che il Pd sarà il primo partito e lavoro perché lo sia: credo che tutti i dirigenti del Pd potrebbero fare questo sforzo. Per quanto riguarda un governo coi Cinque stelle: noi non faremo mai nessun governo con gli estremisti». Giudica i Cinque stelle estremisti? «Stanno dentro l’Europa o fuori? Sono per l’obbligatorietà dei vaccini o no? La realtà s’incarica di dimostrare che le prese di posizione del M5S sono profondamente lontane da ciò che l’Italia ha sempre conosciuto». C’è un canale aperto tra Pd e Fi in vista di possibili larghe intese? «Smentisco che esista, nel modo più categorico». Visto il ritorno a un sistema in gran parte proporzionale, sarebbe il caso di adottare un metodo più largo di elezione dei presidenti delle Camere? «Fateci fare l’ultima settimana di campagna e vediamo. Il ragionamento di per sé non fa una grinza, visto che siamo tornati a un modello istituzionale ben diverso da quello che sognavo». Veniamo al programma: non le sembra che manchino tre parole chiave? «Non è vero, le tre parole chiave ci sono: lavoro, famiglia e ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo». Non pensa però che la campagna elettorale faccia discutere solo di una novità proposta del centrodestra, la flat tax? «La flat tax non è una novità, Berlusconi la propone ogni cinque anni, è un’idea credibile come Babbo Natale. Noi abbiamo lavorato sull’articolo 18, l’Irap costo del lavoro, industria 4.0: la concretezza del lavoro fatto in questi anni a mio giudizio meriterebbe un riconoscimento diverso. La nostra esperienza di governo ha dalla sua i fatti». Veniamo al Pd: se dopo le elezioni glielo chiedessero, sarebbe disponibile a concedere un congresso anticipato? «Almeno per questa settimana discutiamo di cosa vogliamo fare. Quel che succederà al Pd lo vedremo dopo». In lista molte donne sono pluricandidate: così entreranno molti più uomini… «Il problema è vero. Resta una delle righe più preziose del mio curriculum essere stato il primo premier a fare un governo metà di donne. Ma le dinamiche che portano alle candidature sono molto complicate da spiegare: sicuramente avremmo potuto fare di più anche sulle candidature femminili». Non sarebbe stato meglio evitare di candidare la Boschi? «La Boschi ha lavorato molto bene: decine di riforme sono state approvate in questi anni anche grazie al suo lavoro. Si concentra l’attenzione solo su qualcuno, che in questi anni ha fatto molto bene in Parlamento». Altre candidature colpiscono, come “i figli di”, da Piero De Luca a Daniela Cardinale… «Io difendo con forza tutta la mia squadra: mai uno che fa il leader può permettersi di mollare qualcuno dei suoi per esigenze mediatiche o di visibilità. Io spero che i miei figli non facciano politica, o che almeno diano il tempo di smettere a me, ma che tutta questa discussione su Piero De Luca cancelli le altre 500 candidature mi sembra uno standard di valutazione del Pd che non vedo da altre parti». Teme interferenze digitali russe a ridosso del voto? «Sono certo che ci siano state interferenze digitali durante la campagna referendaria, e in questa stagione, ma non le definisco geograficamente. Sono certo che vi sia almeno una doppia struttura di diffusione di notizie false che viene usata da canali anche un official vicini a partiti politici. Avrebbe senso che la prossima legislatura si aprisse con una commissione parlamentare d’inchiesta sulle fake news». Esclude che dentro al Pd ci siano esempi di questa comunicazione aggressiva? «Che ci siano scontri verbali tra attivisti sui social credo di non poterlo escludere. Quello che sono in grado di escludere è la creazione di reti parallele che lanciano fake news». Firmerà la petizione dell’Anpi per sciogliere le formazioni neofasciste? «La Costituzione vieta la ricostituzione del partito nazionale fascista: a questo si è sempre fatto riferimento, la valutazione spetta al ministero dell’interno e io sono totalmente in linea con ciò che pensa Minniti. Mi colpisce Berlusconi quando, per tranquillizzare i moderati, dice che Salvini non sarà premier ma ministro dell’Interno. Se fossi un moderato torinese saprei che, qui, la partita è davvero indecisa in molti collegi, con un risultato al fotofinish. Chi mette la croce su Fi, con questa legge elettorale, deve sapere che dà quel voto alla Lega, perché la leadership culturale è nelle sue mani. Non gioco questa campagna sugli aspetti ideologici, ma su quelli pratici». Sull’immigrazione la linea della coalizione di centrosinistra è quella di Minniti o della Bonino? «Ho grande rispetto per Emma Bonino, ma la nostra posizione è quella di Minniti». Come si vede fra cinque anni? «Con qualche capello bianco in più, temo». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/02/26/italia/speciali/elezioni/2018/politiche/renzi-mai-un-governo-con-i-grillini-camere-presidenti-condivisi-rvzANCXG3Zrui9YQ8yevIJ/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Scontro nel centrodestra. E i 5 Stelle prendono tempo Inserito da: Arlecchino - Aprile 11, 2018, 04:52:23 pm Scontro nel centrodestra. E i 5 Stelle prendono tempo
Pubblicato il 09/04/2018 - Ultima modifica il 09/04/2018 alle ore 12:14 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Doppio vertice nella domenica di riflessione tra la fine delle prime consultazioni con il capo dello Stato e l’inizio di un secondo tentativo. Nella villa di Berlusconi ad Arcore si incontrano i tre leader del centrodestra; nella casa di Casaleggio sulle colline di Settimo Vittone si riuniscono davanti a una grigliata il padrone di casa, Luigi Di Maio, e Beppe Grillo. Confronti e discussioni da cui escono linee che sembrano confermare le distanze: rivendicano la guida del governo e la compattezza della loro alleanza Salvini, Meloni e l’ex Cavaliere; nessuna apertura a sostenere «la grande ammucchiata», è la pronta risposta del M5S. Ma si nascondono crepe dietro l’apparenza di unità della coalizione riunita ad Arcore: appena uscito dall’incontro, il leader della Lega si smarca e ribadisce la volontà di dialogo con i grillini. «Gli elementi dai quali i tre leader non intendono prescindere sono: un presidente del Consiglio espressione dei partiti di centrodestra, l’unità della coalizione e il rispetto dei principali punti del programma sottoscritto prima del voto», si legge nel comunicato finale di Salvini, Berlusconi e Meloni, che in settimana andranno uniti in una sola delegazione al Quirinale. Segue elenco di punti di programma «quali il taglio delle tasse, incentivi al lavoro, il blocco dell’immigrazione clandestina, garanzie per la sicurezza dei cittadini e sostegno alle famiglie». Chiari quindi i paletti, a cominciare dalla premiership da riservare al capo del Carroccio, perché «dopo anni di governi nati da giochi di palazzo», il prossimo esecutivo deve essere, raccomandano, «rispettoso della volontà espressa dai cittadini alle elezioni». Condizioni che allontanano i Cinque stelle: «Vedo che la Lega ha promesso il cambiamento, ma preferisce tenersi stretto Berlusconi e condannarsi all’irrilevanza - scrive su Facebook Di Maio - Da noi la grande ammucchiata non avrà un solo voto. Quando Salvini vorrà governare per il bene dell’Italia ci faccia uno squillo». Apparentemente, dunque, distanze ormai siderali. Eppure, quello squillo di telefono il capo politico del Movimento lo riceverà molto presto, visto che, appena messo piede fuori da Arcore, Salvini fa sapere di voler incontrare Di Maio e di essere «fiducioso in un governo con i Cinque stelle». Prendendo le distanze dalla posizione congiunta di centrodestra, dichiarandosi aperto a una ipotetica terza figura di premier («terza, quarta, quinta: sono a disposizione, se sono figure valide che rappresentano tutti, perché no?») ma soprattutto indisponibile a rischiare una conta in Aula alla ricerca dei voti, come invece suggerirebbero di fare Berlusconi e Meloni. La strada per un governo appare ancora lunga. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/04/09/italia/politica/scontro-nel-centrodestra-e-i-stelle-si-allontanano-jgWd0OBsyfZbZBoZ5ZkIGJ/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Ma Renzi blocca il negoziato: “Martina sbaglia ad aprire co Inserito da: Arlecchino - Aprile 25, 2018, 03:59:15 pm Ma Renzi blocca il negoziato: “Martina sbaglia ad aprire così”
La provocazione dei falchi: allora Matteo ministro dell’Economia Il Pd rischia la scissione dopo la resa dei conti in Direzione Pubblicato il 25/04/2018 - Ultima modifica il 25/04/2018 alle ore 07:15 CARLO BERTINI, FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Inchiodare i grillini e fargli rimangiare, anche simbolicamente tutti gli attacchi subiti per quattro anni: ponendo pure una condizione capestro irricevibile sulla carta, il riconoscimento dell’azione di governo di Matteo Renzi, fino al punto di pretendere nel caso una sua presenza di primo piano nell’ipotetico esecutivo guidato da Di Maio. Questa suggestione che aleggia nei discorsi dei colonnelli del «giglio magico» renziano, fa capire bene come l’approccio sia quello di chiedere una sorta di abiura sapendo che non arriverà, per complicare, se non sabotare in partenza il tentativo di costruire un governo politico con i 5 Stelle. Una richiesta che in questi termini non è stata posta ieri a Fico, ma che verrebbe messa sul tavolo dai renziani se si sviluppasse una trattativa. Nell’incontro burrascoso ieri al Nazareno prima del colloquio con Fico tra i quattro della delegazione Martina, Orfini, Marcucci e Delrio, presente Guerini, sono volate urla captate a distanza da tutti: tra Martina, che avrebbe aperto ai grillini senza condizioni sul passato e Marcucci, che invece ha preteso fosse rivendicata l’eredità dei governi Renzi-Gentiloni. «Così è una follia», gli ha ribattuto il capogruppo al Senato, «e per tenere insieme il rispetto che si deve a Mattarella e l’orgoglio del Pd, dobbiamo andare da Fico con i cento punti del nostro programma elettorale, solo quelli possono essere la base di partenza di un dialogo». Renzi infatti bolla come sconsiderata la gestione di Martina e avrebbe condotto la partita in tutt’altro modo: con un percorso più lungo, senza accelerazioni, col metodo adottato per l’elezione di Mattarella al Colle. Convinto che si possano superare dubbi e perplessità del partito solo con una sua conduzione del gioco, e dopo aver fatto maturare nel tempo il divorzio tra 5 Stelle e Lega. Conscio di aver perso di credibilità in vari passaggi, dall’ascesa a Palazzo Chigi senza passare per il voto, fino alle dimissioni a metà dopo il referendum, ora l’ex leader si rimangerebbe il suo no ai grillini solo per una mission più alta e non sotto il ricatto delle urne. Che secondo lui è la vera arma di pressione sui «governisti» del Pd. Il segretario dimissionario non vuole un governo con una maggioranza politica, altra cosa sarebbe un governo istituzionale. Per questo prova a mettere una zeppa tra le ruote del carro. «Per noi - alza il tiro un falco renziano - è arduo far digerire un accordo con i grillini ai nostri e il solo modo sarebbe se Matteo facesse da garante assumendo un ruolo centrale nel governo, come quello di super ministro dell’Economia». E siccome le voci girano, pure i big del «partito dei governisti» del Pd sono preoccupati della piega che possono prendere gli eventi. Dario Franceschini ne parlava l’altro ieri con un politico di lungo corso che da mesi tesse la tela con il mondo grillino: dopo aver pronosticato lo «scongelamento» del Pd, il ministro della Cultura spiegava appunto che il problema sta in Renzi che vorrebbe condurre la partita rivestendo un ruolo da protagonista, addirittura come vicepremier. Di fatto, una sorta di reciproco riconoscimento politico tra l’ex segretario e Di Maio, che a quel punto verrebbe sdoganato come premier. Ma al di là di questa che suona come minaccia per far saltare il tavolo, il confronto con i 5 Stelle deve passare il fuoco della Direzione Pd: dove i renziani dispongono di una maggioranza, a sentir loro blindata, per dire no all’insegna dell’hashtag «#senzadime». Su 209 componenti, Renzi ne avrebbe 117, Orfini 8 e Delrio 3, Martina 9, Franceschini 20, Orlando 32 ed Emiliano 14, più altri sparsi. Insomma, la strada del governo 5 Stelle-Pd è una via crucis. Un bagno di sangue che rischia di produrre un’altra scissione nel Pd. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/04/25/italia/ma-renzi-blocca-il-negoziato-martina-sbaglia-ad-aprire-cos-PehO9DBHt3sNXneqhqZv8H/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi: “Governo con il M5S? Una gigantesca presa in giro” Inserito da: Arlecchino - Aprile 29, 2018, 09:49:19 pm Renzi: “Governo con il M5S? Una gigantesca presa in giro”
L’ex segretario scettico sulla trattativa. Martina: vediamo le carte Finora Renzi ha adottato una strategia attendista, in attesa della decisiva Direzione del Pd del 3 maggio Pubblicato il 28/04/2018 - Ultima modifica il 28/04/2018 alle ore 17:38 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA «Prego tutti di riflettere avendo a cuore l’unità del Pd e della nostra comunità». A cinque, lunghi giorni dalla Direzione dem che dovrà decidere la posizione da tenere nei confronti del M5S, il reggente Maurizio Martina invoca compattezza e unità. Investito nei giorni scorsi dalle dichiarazioni di guerra dei renziani, consapevole delle difficoltà del passaggio, ha dato un significato preciso alla riunione di giovedì prossimo: non il via libera a un accordo di governo con i Cinque Stelle, perché tutta l’ala renziana si era ribellata all’idea e lo aveva minacciato di mandarlo in minoranza con una conta, ma più modestamente l’occasione per «decidere se accettare il confronto o meno, per giudicarne gli esiti solo alla fine di un vero lavoro di approfondimento». Un esito che secondo il segretario dimesso Renzi è comunque già scritto: «Un governo Pd-M5S sarebbe una gigantesca presa in giro agli elettori». Lui domani andrà a ripeterlo in tv, a «Che tempo che fa» da Fabio Fazio. Ieri, ospite da Lilli Gruber a «Otto e mezzo», è andato il presidente Matteo Orfini a sostenere il no a qualsiasi accordo, al grido di «Salvini e Di Maio sono la stessa cosa». Fino a qualche giorno fa, lo stesso ex premier era tentato dalla mission impossibile di incaricarsi lui di convincere un partito in gran parte ostile al dialogo con Di Maio e compagnia, riprendendo così centralità e potendo dire di essere stato quello che ha evitato le urne garantendo un governo al Paese. Ora, dopo la gestione secondo lui malaccorta di Martina, lo scenario è cambiato. E in Direzione, dove è convinto di avere ancora la forza dei numeri, farà pesare la sua posizione. Non mettendosi di traverso alla discussione, ma inzeppando la proposta del reggente di dialogare con Di Maio di condizioni imprescindibili. La premiership diversa da quella del capo politico grillino, la garanzia di non toccare il Jobs Act, ma magari anche la Buona scuola, oppure la proposta di intervenire sull’art. 49 della Costituzione che regola la democrazia interna ai partiti. Insomma un elenco di richieste difficili da accettare per i Cinque Stelle, utili per far saltare il banco forse prima ancora di aprirlo. Saranno gli interventi dei renziani che seguiranno quelli del reggente a segnare il cammino; lui, l’ex premier, non ha ancora deciso se andare, nonostante le sollecitazioni di chi, come la ex portavoce di Prodi, Sandra Zampa, lo invita a esserci: «Si presenti anche lui a dire la sua posizione, senza lasciarla filtrare dai “suoi”. Chi ha portato il partito al 18 per cento – aggiunge una stoccata – se ne deve prendere la responsabilità». È possibile, ragionano in ambienti renziani, per mantenere un’unità almeno di facciata del partito, la Direzione si chiuderà con un documento condiviso. Dopodiché, bisognerà vedere come i Cinquestelle giudicheranno quel documento votato dai dem e se si andrà avanti, e come: con un incontro tra delegazioni, si chiedevano ieri alcuni renziani, o addirittura potrebbe arrivare un preincarico a Di Maio? In ogni modo, l’ex premier ieri ha ribadito la sua previsione: un nulla di fatto. A partire dalla constatazione che non ci sono i numeri, ripete a chi gli chiede quante possibilità abbia il tentativo, perché Pd più Cinque stelle al Senato arriva al filo della maggioranza, 161. Ed è anche convinto che, in realtà, quello di Di Maio sia solo un modo per prendere tempo, nella speranza che, passate le elezioni in Friuli Venezia Giulia, la sua prima scelta, cioè il leader leghista Matteo Salvini, si decida a lasciare Berlusconi. In serata, La7 ha diffuso un sondaggio secondo cui il 40 per cento degli elettori Pd sarebbero favorevoli a un accordo: ma la settimana scorsa la percentuale era il 42, ha fatto notare Renzi, e si tratta degli elettori, non degli iscritti. Un no, insomma, a cui arrivare attraverso un percorso che impedisca di prendersi tutta la colpa del fallimento. Difficile che dalla Direzione di giovedì esca la «bella notizia» di un governo comune che vorrebbe Michele Emiliano. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/04/28/italia/renzi-governo-con-il-ms-una-gigantesca-presa-in-giro-B1kEHLFGHHnGM6XptAdlUP/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. L’ipotesi di un governo neutrale, Mattarella ora torna al.. Inserito da: Arlecchino - Giugno 02, 2018, 12:12:52 pm L’ipotesi di un governo neutrale, Mattarella ora torna al piano B
Nessun cambio di rotta sul nodo Tesoro, la crisi politica precipita verso lo scontro istituzionale. Si fa strada lo scenario di un esecutivo del Presidente che porti il Paese a elezioni a settembre Pubblicato il 27/05/2018 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Nella giornata più lunga dall’inizio della crisi, quella più drammatica, scandita dagli hashtag contrapposti sui social network (#iostoconMattarella contro #VogliamoSavona) preludio di uno scontro istituzionale che si staglia minaccioso sullo sfondo, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha atteso con pazienza un cenno dal presidente del consiglio incaricato. Chiuso nel Palazzo crocevia in questi 84 giorni di incontri, scontri e tentativi di accordi, ha letto i giornali, seguito la giornata sulle agenzie, è venuto a conoscenza della telefonata del presidente francese Emmanuel Macron al non ancora premier Giuseppe Conte, ma soprattutto ha assistito alle dichiarazioni di chi, da Giorgia Meloni all’ex consigliere di Trump, Steve Bannon, insiste perché Lega e M5S tengano duro sul nome di Paolo Savona a ministro dell’Economia. Cioè, vadano allo scontro frontale con lui, o più precisamente con l’istituzione che rappresenta, la presidenza della Repubblica: perché non solo per le considerazioni anti-tedesche o le tentazioni no euro del professore, ma anche per il metodo che gli azionisti del governo hanno usato, per il tentativo di imporre quel nome come un aut aut («mi rifiuto di andare avanti ancora per giorni con le trattative: o siamo in condizioni di lavorare o qualcuno se ne prenderà la responsabilità», ha ribadito ieri Matteo Salvini), il Colle non può e non farà nessun cambio di rotta. Non darà il via libera a Savona nel ministero di via XX Settembre: e se questo significherà, come da minaccia leghista, precipitare il Paese verso il voto, allora si considera che quello sarà il destino che le due forze politiche avranno deciso per l’Italia. Dallo staff ci sono stati contatti informali coi partiti, ma non ci sono stati contatti del presidente con il professor Conte, né con Salvini o Luigi Di Maio. Nel chiuso delle stanze del Colle più alto, si ricomincia a ragionare, obbligati dalle circostanze, a un governo neutrale, o balneare, o più semplicemente elettorale, per traghettarci al voto. Al piano B, insomma, quello che Mattarella aveva sventolato davanti ai partiti indecisi a tutto una ventina di giorni fa, e poi riposto in un cassetto quando Carroccio e Cinque stelle si erano convinti a far cadere qualche veto per formare un governo insieme. Ora, però, questa battaglia all’ultima dichiarazione per Savona ministro dell’Economia comincia ad assumere quasi più le fattezze di una battaglia contro la presidenza della Repubblica, contro la sua importante funzione di contrappeso e controllo del potere esecutivo. E se in un primo momento, nell’entourage del capo dello Stato, qualcuno ha sperato che fossero Di Maio e il M5S a riuscire a placare i furori salviniani, le dichiarazioni delle ultime ore, a cominciare da quelle di Alessandro Di Battista, non fanno più sperare in un cambio di rotta. Difficile – e forse ormai inutile - che il professor Savona, da giorni nell’occhio del ciclone, si presti a fare una dichiarazione pacificatrice, che ammorbidisca le sue posizioni anti-Berlino. Altrettanto improbabile che l’incaricato Conte lo provi a spostare altrove, magari al suo fianco come consigliere economico, ma insomma in una posizione meno visibile e cruciale di quella da responsabile dell’Economia: il capo dello Stato non commenta naturalmente ipotesi, ma chissà forse quella potrebbe essere una mossa capace di risolvere l’impasse. Oggi per tutta la giornata tranne la parentesi della messa, il capo dello Stato sarà al Colle ad aspettare. Pronto a ricevere l’incaricato Conte: se però dovesse insistere con Savona all’Economia, se la lista prevedesse per quella casella solo quel nome, allora a Mattarella non rimarrebbe che spiegargli con garbo che no, non può dare il via libera. E predisporsi all’idea delle urne in settembre. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati Da - http://www.lastampa.it/2018/05/27/italia/lipotesi-di-un-governo-neutrale-mattarella-ora-torna-al-piano-b-1rVI2gOR3yCT9IutovEjRI/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Nella piazza del M5S: “Lo Stato siamo noi” Inserito da: Arlecchino - Giugno 04, 2018, 06:20:58 am Dall’impeachment all'inno di Mameli.
Nella piazza del M5S: “Lo Stato siamo noi” Tanti tricolori tra i pentastellati. Grillo: il populismo non significa nulla. Sul palco anche Bramini, l’imprenditore in crisi per i crediti con lo Stato Pubblicato il 03/06/2018 - Ultima modifica il 03/06/2018 alle ore 08:59 FRANCESCA SCHIANCHI Quando, alle nove passate, Luigi Di Maio sale finalmente sul palco, tra le note dell’inno cantate con la mano sul cuore da tutti i ministri Cinque stelle, e presenta il consulente che ha appena nominato al ministero dello Sviluppo economico, Sergio Bramini, l’imprenditore mandato sul lastrico da crediti con lo Stato, è costretto a fermare le proteste: «Non c’è bisogno di fischiare: da oggi lo Stato siamo noi». Alla piazza gremita che gli sta di fronte, ai tanti che hanno aspettato ore sotto un sole estivo, in un tripudio di tricolori e bandiere del Movimento, spillette e magliette-reliquie del 4 dicembre «Io voto no», il neo ministro reduce dalla prima diretta Facebook dal dicastero deve ricordare che non sono più lì a protestare, a fischiare, a strillare contro il governo o la casta o i potenti: ora, nella stanza dei bottoni, ci sono loro. Da protesta a festa «Con Mattarella non siamo più arrabbiati, diciamo che ci siamo passati sopra», sorride convinta Maria Grazia mentre il sole è ancora alto e i tecnici stanno finendo di mettere a punto il palco. «Il presidente ha avuto un ravvedimento operoso molto rapido», aggiunge Angela. Sono arrivate in pullman dall’Alto Adige, partenza alle 6 da Bolzano, 53 posti, altrettanti attivisti entusiasti di questa manifestazione che doveva essere di protesta ed è diventata invece una festa. Quando, lunedì scorso, Di Maio con la faccia stravolta dalla rabbia ha chiamato via Facebook alla piazza al grido di «Il mio voto conta», questo raduno a Bocca della Verità doveva servire a contestare il Quirinale e chiedere l’impeachment del capo dello Stato. E invece, col governo che ha giurato e la schiera dei ministri grillini sul palco a salutare la folla, sono sorrisi larghi così e cartelli con la frase di Gandhi «Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci» (lo scriveva anche Renzi alle prime edizioni della Leopolda) e «Grazie Beppe e Gianroberto», a ricordare i fondatori. Mattarella ragionevole «Questa piazza era stata convocata in un momento di tensione del Paese - riconosce Di Maio, nella solita uniforme, abito scuro e cravatta bordeaux - sono stato il primo a essere critico con il presidente della Repubblica ma gli riconosco la ragionevolezza di avermi incontrato», cerca di chiudere “l’incidente diplomatico”, ringraziando il presidente della Camera Fico e «i tanti che hanno lavorato dietro le quinte». Una carezza alla piazza («non ci autocertificheremo i risultati, non dovremo perdere queste piazze: voi ci dovrete dire se abbiamo migliorato la vostra qualità della vita»), un giuramento («ce la metterò tutta»), una promessa impegnativa: «Ai truffati delle banche: vi risarciremo». «Ammorbidiremo la Lega» Nella piazza c’è ancora qualcuno che intona cori contro Renzi, ormai leader dimesso di un partito di opposizione. Eppure, è dal palco Di Maio a ricordare il miracolo che è successo, quel governo pomposamente chiamato «del cambiamento» nato alla fine di 88 complicati giorni di trattativa: «Studiando i dossier, ho detto: io adotterei questa soluzione, posso? Ma certo, mi hanno detto, lei è ministro della Repubblica». Boato nella folla. Fianco a fianco, attivisti di vecchia data e ex Pd che hanno votato M5S in polemica con Renzi, come Antonio e Daniela, e ora all’idea di un governo con la Lega alzano gli occhi al cielo. «Cercheremo di limare le cose più cattive del Carroccio», garantisce Maria Grazia; «e poi c’è il contratto», ripetono un po’ tutti, aggrappandosi a quelle cinquanta pagine come la panacea di tutti i mali. E pazienza se non può includere qualunque eventualità, tipo un ministro della Famiglia secondo cui le famiglie arcobaleno non esistono: «Va bene, è un tema divisivo – concede Luigi – ma non deciderà il ministro Fontana da solo. E voi giornalisti cercate sempre di creare problemi». «Il vecchio mondo agonizza» Gli interventi iniziano in ritardo, tra le proteste della folla che si accalca contro le transenne. A scaldare l’atmosfera, una sfilata di big e parlamentari, da Nicola Morra («i partiti tutelano l’interesse di qualcuno, noi qui siamo la totalità») a Virginia Raggi («hanno buttato fango su di noi per evitare che arrivassimo al governo del Paese»), fino a Davide Casaleggio: «Se siamo qui è perché tutte le volte che ci hanno detto “è impossibile” non gli abbiamo creduto», e saluta la «stella che brilla più delle altre in cielo» del padre; i ministri, uno dopo l’altro, come Barbara Lezzi che promette di «rialzare il Sud». Fino all’acme, l’intervento di Beppe Grillo, quando ormai sono le dieci di sera, e invoca «il nuovo mondo» contro quello «che se ne sta andando e agonizza». Rigetta l’idea di populismo, che «non significa nulla», rivendica il «diritto all’urlo», che però «adesso non serve più», esprime fastidio per la definizione «grillini» («ho sempre desiderato essere un diminutivo»), si lamenta «contro chi faccio satira ora, contro i miei?» e si concede una battuta che sembra una raccomandazione: «Non bisogna mai prendersi troppo sul serio». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/06/03/italia/dallimpeachment-allinno-di-mameli-nella-piazza-del-ms-lo-stato-siamo-noi-PAsG6Q0aTJhlhWxiUpbtxH/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Conte conferma il “doppio binario” con la Russia, ... Inserito da: Arlecchino - Giugno 12, 2018, 05:55:47 pm Conte conferma il “doppio binario” con la Russia, all'insegna della “fermezza e del dialogo”
Il presidente del Consiglio ha incontrato Jens Stoltenberg, il norvegese segretario generale della Nato Pubblicato il 11/06/2018 - Ultima modifica il 11/06/2018 alle ore 15:53 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Attenzione al «fianco sud dell’alleanza» e conferma dell’approccio «del doppio binario» con la Russia, che coniughi «fermezza e dialogo». Al suo primo incontro con Jens Stoltenberg, il norvegese segretario generale della Nato, nel breve incontro con i giornalisti a Palazzo Chigi per rilasciare dichiarazioni alla stampa (senza però consentire domande), il neo premier Giuseppe Conte fissa i punti che interessano al suo governo, in vista del vertice Nato in programma a Bruxelles per l’11 e 12 luglio. Toccando gli argomenti caldi del momento: il rapporto con Mosca, da una parte, e quello con l’area del Mediterraneo, dall’altro. La settimana scorsa, all’indomani del primo discorso in Parlamento di Conte - quello in Senato per ottenere la fiducia - era stato proprio Stoltenberg a reagire al proposito annunciato di «rivedere» le sanzioni alla Russia, decise come reazione alla crisi ucraina. «Sono importanti per mandare un messaggio chiaro su ciò che la Russia ha commesso in Ucraina», era stata la risposta da lontano. Stamane, alle 9 del mattino, prima che il presidente del consiglio salisse in auto per l’annunciata visita sui luoghi del terremoto, i due hanno avuto modo di parlarne a tu per tu. «Dopo la crisi ucraina la Nato ha scelto l’approccio del doppio binario: fermezza sui principi e deterrenza contro la loro violazione da una parte, e dialogo dall’altra», ricorda il premier italiano, leggendo da un foglio che un assistente deposita sul suo leggìo poco prima del suo ingresso, «noi confermiamo, siamo fautori di questo approccio», garantisce, chiedendo anche una «più incisiva comunicazione fra vertici militari per evitare malintesi ed escalation». Pienamente nella linea della Nato, dunque, ma ricordando che «la Russia ha un ruolo fondamentale in molti teatri» per cui «senza il suo coinvolgimento è molto difficile se non impossibile raggiungere soluzioni politiche». Stoltenberg prende la parola e rassicura: «Stiamo facendo progressi su entrambi i binari», sia nella fermezza che nel dialogo. E poi c’è il secondo tema, il fronte sud, il bacino del Mediterraneo da cui arrivano le barche cariche di migranti, argomento quantomai attuale ora che la nave Aquarius, dopo aver salvato 629 persone, aspetta che si sciolga la tensione tra Italia e Malta per capire in quale porto farle sbarcare. Ieri è stato per primo il ministro degli Esteri Moavero Milanesi, incontrando il segretario Nato, a sollecitare l’attenzione dell’Alleanza per il «fianco Sud, da dove provengono importanti sfide, a partire dal terrorismo». Le stesse parole che usa, in mattinata, la ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, incontrando a sua volta Stoltenberg. «Riteniamo naturale che il nostro Paese possa svolgere sempre più un ruolo chiave per la stabilità e la sicurezza del cosiddetto fianco Sud dell’alleanza - dichiara Conte - e su questa regione l’Italia ha chiesto alla Nato di poter essere maggiormente concentrata con i suoi sforzi e la sua attenzione». Per questo, il premier insiste anche perché si arrivi alla «piena operatività» dell’Hub regionale presso il comando Nato di Napoli: cosa che Sotltenberg si augura possa realizzarsi entro il vertice di luglio. Dove verranno prese altre decisioni, annuncia: «Lanceremo una missione di stabilizzazione dell’Iraq per evitare che Isis torni”, oltre a pianificare un aumento del “sostegno ai partner in Medio Oriente e Nord Africa, come la Giordania e la Tunisia». Dopo il G7 dei giorni scorsi e il Consiglio europeo di fine mese, per Conte sarà un altro importante battesimo internazionale. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2018/06/11/italia/conte-nel-mediterraneo-bisogna-rafforzare-la-cooperazione-natoue-frqzfLfqAugp2DxuDvGENN/pagina.html Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi: “Marchionne ha cambiato l’industria del nostro Paese Inserito da: Arlecchino - Luglio 25, 2018, 05:47:22 pm Renzi: “Marchionne ha cambiato l’industria del nostro Paese”
Intervista a Matteo Renzi di Francesca Schianchi – La Stampa Pubblicato il 23 luglio 2018 in Primo piano «Per me Marchionne è stato un gigante: ha salvato la Fiat quando sembrava impossibile farlo. E ha creato posti di lavoro, non chiacchiere». L`ex premier Matteo Renzi è sempre stato un estimatore del top manager di Fca. Che rapporto avevate? «Di grande libertà: e questo ci ha permesso di dirci le cose in faccia, sempre. A me è servito molto per crescere. Se avevo dubbi su come approcciare i mercati globali, era uno a cui telefonavo per un consiglio». Un rapporto che ha vissuto alti e bassi fin dall`inizio… «È vero. Nel 2011 io dissi che nel referendum di Pomigliano avrei votato sì, e fui sommerso dalle critiche da sinistra: una parte di Pd lo identificava col “padrone”, ma il lavoro si crea con l`impresa, non con l`assistenzialismo. Un anno dopo, però, lamentai i ritardi del suo progetto: mi rispose che ero il sindaco di una piccola, povera città. Si scatenò mezza Firenze: fu costretto ad acquistare una pagina sulla Nazione per chiedere scusa. Me lo ha sempre rinfacciato divertito». Da premier, lei andò a visitare gli stabilimenti Fca a Detroit. «Sono stato anche a Melfi, Mirafiori, Cassino. E a Detroit, certo. So per esperienza diretta quanto Obama lo stimasse, ma non dimenticherò l`orgoglio dell`italiano che guida la Chrysler: mi ripeteva “si rende conto che questo è il più grande edificio d`America dopo il Pentagono?”. Ero con mia moglie Agnese, che di cognome fa Landini. Lui era in forte contrasto con l`omonimo capo della Fiom; prima di salutarci ci disse: “Ma non è che sua moglie è parente, vero?”». Qualche mese fa però disse che «il Renzi che appoggiavo non l`ho visto da un po’ di tempo». C`è rimasto male? «Il giudizio era ingeneroso, ma posso capirlo. La nostra campagna elettorale è stata totalmente sbagliata. Risposi solo con una dichiarazione pubblica: anche se lui aveva cambiato idea su di me, io non avevo cambiato idea su di lui». Vi siete più risentiti dopo quella critica? «Ha rotto il ghiaccio lui: quando sono andato a fare un`intervista da Fazio (quella con cui ha bloccato il tentativo di dialogo con il M5S, ndr.) mi ha scritto un messaggio, ormai si può dire: “Bravo, finalmente l`ho ritrovata. Lei si rimetta in gioco, e non molli.”». Vi davate del lei? «Certo. Il nostro era un rapporto professionale più che di amicizia personale». Da leader Pd venne attaccato da sinistra per il suo rapporto con lui: si è mai pentito di non aver preso le distanze? «E perché? Se l`Italia avesse avuto altri Marchionne oggi avremmo un`Alitalia competitiva o qualche banca italiana forte in giro per il mondo. Parte dell`odio contro di lui derivava dall`invidia. E sull`invidia per le persone di talento non si costruisce un Paese, come è ogni giorno più chiaro anche nell`Italia grillina». Ammetterà che è stato un interlocutore ostico per i sindacati: con la Fiom ci fu uno scontro durissimo. «La Fiom lo ha eletto a nemico, ma Marchionne è l`uomo che ha riaperto le fabbriche Fiat: se le fabbriche chiudono, non c`è lavoro né sindacato. A Detroit andava fiero della stima dei sindacalisti americani, come di quella di Fim e Uilm». Ci sarà pure qualche critica, che magari gli ha fatto in privato… «Certo, a cominciare dalla scelta dimettere la sede legale ad Amsterdam. Ci facevamo critiche a vicenda». Marchionne a lei cosa ha rimproverato? «Ad esempio si arrabbiò quando, nel 2015, feci un`operazione per tenere in Italia la produzione della Urus, il Suv della Lamborghini, dando incentivi fiscali. Mi disse: “Per la Fiat questo lei non lo ha mai fatto”. Risposi: “Dottore, alla Fiat lo scomputiamo dal passato” …». Quanto ha influito il suo rapporto con lui sul Jobs Act? «Mi disse che il Jobs Act e la riforma delle popolari avrebbero riportato la fiducia dei mercati sull`Italia. Aveva ragione». Che eredità lascia? «Lascia aziende vive e forti. Non era scontato. Mi piace ricordare che senza gli accordi di Paolo Fresco con General Motors, Marchionne non avrebbe potuto fare le scelte che poi ha fatto: questo figlio di un carabiniere ha cambiato la storia industriale d`Italia, piaccia o meno ai suoi detrattori». Da - https://www.partitodemocratico.it/primo-piano/intervista-renzi-marchionne-ha-cambiato-industria-del-nostro-paese/ Titolo: FRANCESCA SCHIANCHI. L’ultima frontiera del capo leghista. Inserito da: Arlecchino - Agosto 25, 2018, 05:13:34 pm L’ultima frontiera del capo leghista. Prima il popolo, poi le istituzioni
Per il leader-ministro un crescendo di dichiarazioni e linea sempre più dura in diretta Facebook. Se il Colle, il premier e i giudici non sono d’accordo poco importa: basta che la gente sia con lui Pubblicato il 24/08/2018 FRANCESCA SCHIANCHI ROMA Quale fosse l’aria si poteva capire fin dai primi giorni di governo, da quando, poche ore dopo aver giurato, già metteva da parte la grisaglia ministeriale e si scaldava in piazza a Vicenza coniando uno degli slogan più infelici e virali di questa stagione: «Per i clandestini è finita la pacchia». Da allora, in barba alla moderazione istituzionale che di solito porta il ruolo, per il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini è stato tutto un crescendo: contro l’opposizione in Parlamento e contro la Ue, i poteri forti e la stampa, il rapper, l’attrice, l’intellettuale. Beffardi bacioni per tutti, sempre in nome del popolo italiano, in un florilegio di attacchi e critiche e taglienti sfottò che arriva fino alla magistratura («Indagatemi») e ai vertici dello Stato: la nuova frontiera del salvinismo è lo scontro istituzionale, la sfida al presidente della Repubblica, ma anche al premier, entrambi provocatoriamente invitati, dopo che hanno tentato la moral suasion, a dare il via allo sbarco dalla Diciotti se vogliono, «ma senza il mio consenso», e al presidente della Camera, Roberto Fico, accomunato malignamente a «Bertinotti, Fini e Boldrini», la terza carica dello Stato descritta con sprezzo come uno che «ha tempo per parlare». Un rivale via l’altro Va in tv, interviene in radio, fa interviste sui giornali. Ma la specialità è il rapporto col suo pubblico, «è un po’ che non ci sentivamo e non ci vedevamo in diretta live», li saluta con il sorriso che si riserva agli amici parlando via Facebook, rassicurandoli di aver detto no allo sbarco «a nome mio, ma anche a nome vostro perché per questo mi avete scelto e votato», e mentre parla «da ministro, da papà, da italiano», mentre spuntano un attimo gli occhi della figlia in un quadretto di famiglia che sembra perfetto per dire «sono come voi», è tutto un tripudio di cuoricini e pollici alzati, «sei un grande non fermarti» e «l’Italia vi ama», più di centomila commenti e oltre un milione di visualizzazioni. I nemici sono Maurizio Martina e il Pd, «ma poveretto», Asia Argento «sperando che la notte stia tranquilla», Roberto Saviano con cui lo scontro è aperto da tempo, «sperando che non abbia esaurito la scorta di Maalox», Gad Lerner che «chissà se il Rolex funziona ancora perfettamente». E poi «l’Europa vigliacca», il «giornalismo ipocrita», la magistratura che apre un fascicolo contro ignoti, «sono qua, non sono ignoto» e via via, un nemico dopo l’altro in una escalation che sente benedetta dall’umore popolare, «è con me la maggioranza degli italiani», e pazienza se il 4 marzo scorso a votare per lui fu il 17 e rotti per cento che non corrisponde esattamente alla maggioranza. La rivalità di Di Maio Da allora, in questi due mesi e mezzo di governo, proprio questo viaggiare solo in accelerazione, mai fare marcia indietro nella convinzione che qualcun altro risolverà il problema (come quando, a luglio, fu Conte su input di Mattarella a decidere lo sbarco) o, mal che vada, si finirà alla crisi di governo e all’incasso, lo fa crescere nei sondaggi, lievitare su su fino a raddoppiare lo score o giù di lì. Tutto questo nello stesso momento in cui Luigi Di Maio, il gemello diverso del M5S, l’alleato con cui «lavoro molto bene» gli sta dietro a fatica. Ne imita il linguaggio («Passeranno sul mio cadavere», «Hanno fatto marchette ad Autostrade»), alza i toni pure lui («Se l’Ue non fa nulla non siamo più disposti a dare 20 miliardi all’anno all’Unione europea»), eppure il ritmo è sincopato, ogni tanto gli tocca abbozzare come su Ilva, nascondersi dietro formule tipo «il delitto perfetto», per dire che la gara non gli piace ma le regole si rispettano. Mica come Salvini, disposto a tirare la corda fino quasi a farla spezzare. Anche oltre le regole dello Stato di diritto, l’umanità, il buon senso, spronato da una valanga di like. Licenza Creative Commons Da - http://www.lastampa.it/2018/08/24/italia/lultima-frontiera-del-capo-leghista-prima-il-popolo-poi-le-istituzioni-qFTSO4L5Ofy0TZoUMHaTcL/pagina.html |